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INTRODUZIONE

Nella tormentata, entusiasmante, dinamica e ricca stagione postconciliare la vita religiosa si è trovata
pienamente coinvolta nel vortice del rinnovamento che ha investito l’intero popolo di Dio. Forse più
che non altre realtà della Chiesa i religiosi hanno sofferto il travaglio di un passaggio esigente che lo
Spirito a tutti ha chiesto. Dall’euforia al disorientamento, dalla contestazione all’adattamento, dal
rinnovamento strutturale alla conversione personale, le fasi del cambiamento sono state molteplici e
articolate in un susseguirsi incalzante di stimoli, appelli, nuove esperienze.
Veniva delineato anche l’orizzonte nel quale la vita consacrata si muoveva in quegli anni: la riscoperta
delle proprie radici evangeliche, un nuovo senso ecclesiale accompagnato da un maggiore
inserimento nella Chiesa locale, l’attenzione alla persona e ad un’autentica vita comunitaria, la
valorizzazione del carisma specifico, la sensibilità ai nuovi bisogni della società e in particolare dei
poveri, l’apertura missionaria.
Ritrovare la propria identità, riscoprirsi depositari di un carisma, sentirsi animati e guidati dallo
Spirito, è stato uno dei frutti più belli del Concilio.
Oggi come mai, in una Chiesa comunione, partecipazione e missione (è il tema del Sinodo) i religiosi
debbano scoprirsi sempre più come membra di un unico corpo e vivere di conseguenza. Non si può
vivere il proprio dono prescindendo da quello dell’altro. Da qui l’obiettivo di andare al di là del
cerchio delle persone consacrate, in vista di promuovere la più ampia comunione con tutte le altre
vocazioni nella Chiesa per porsi con tutti a concreto servizio del mondo intero.
È un obiettivo che tiene lontano il rischio del ripiegamento su se stessi, del narcisismo, che porta a
fermarsi a godere delle proprie conquiste spirituali, mette piuttosto in dinamismo la vita religiosa, la
porta ad essere se stessa: esigenza di santità, segno profetico delle realtà future, servizio alla Chiesa
e al mondo intero.
Una delle questioni più urgenti da affrontare nella vita consacrata è quella relativa al servizio di
leadership. In questo ambito, come seguaci di Cristo, abbiamo bisogno di scelte innovative. La
chiamata evangelizzante e missionaria di uscire insieme opportunamente preparati chiede un buon
servizio di animazione a tutti i livelli.
Il passaggio dall’autorità classica all’autorità come animazione presuppone un cambiamento nella
cornice teologica di sostegno, un modello trinitario di reciprocità nella comunione.

CAMBIAMENTO
OTTOBRE
Premessa
È mio intento condividere con voi alcune riflessioni. L’approccio non è sociologico, né antropologico,
né psicologico, né teologico. È un approccio artigianale pastorale che non manca di riferirsi alle
scienze gestionali e organizzative.
Affondo, pertanto, la mano nell’esperienza, nel vissuto, con quello spessore inedito che la vita
restituisce. È bello che ci ritroviamo assieme in questo momento formativo trasversale (presbiteri,
laici, consacrati/e, famiglie). È un’inedita via di formazione sulla quale avviare processi, perché se
invece si continua ad occupare solo spazi nostri di preti è un boomerang assicurato.

1. Essere chiesa in un cambiamento d’epoca


«Si può dire che oggi non viviamo un'epoca di cambiamento quanto un cambiamento d'epoca. Le
situazioni che viviamo oggi possono affrontare sfide nuove che per noi a volte sono difficili da
accettare. Questo nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli: il
Signore è attivo e all'opera nel mondo» (Papa Francesco a Firenze, 10 novembre 2015).
L’affermazione di papa Francesco non è un gioco di parole, ma esprime quanto incisive e profonde
siano le trasformazioni che stiamo vivendo nella società e nella Chiesa.
Siamo immersi dentro una lunga epoca di cambiamenti anche molto grossi e radicali, iniziata a metà
del secolo scorso, e rilanciata dal Concilio Vaticano II e dalla sua recezione.
Tuttavia, a differenza degli anni Sessanta del XX secolo, esso non provoca più aspettative utopiche,
ma piuttosto insicurezza e ansie per il futuro. Mancano prospettive sul futuro. In una tale situazione
di crisi e di mutamento occorre soprattutto una visione.
Storditi dai troppi cambiamenti messi in atto, sorpresi dalla fatica di imprimere attraverso di essi un
nuovo rilancio alle nostre comunità cristiane, sentiamo il bisogno di avviare finalmente quel
cambiamento che realizzi quella trasformazione, quella conversione della nostra esperienza ecclesiale
che le tante riforme e i tanti cantieri aperti in questi decenni non sono riusciti a operare.
Il cambiamento è uno degli aspetti più ordinari o normali della vita umana, dalla mattina alla sera noi
iniziamo un cambiamento o reagiamo ad un cambiamento. Le famiglie, la società, le nazioni sono in
continuo moto di cambiamento, e possiamo dire la stessa cosa della comunità internazionale e anche
delle forze della natura. Ma anche se il cambiamento è costantemente presente nelle nostre vite, in
realtà non vi siamo molto abituati. Alcuni di questi cambiamenti ci causano insicurezza e un certo
senso di malessere, vorremmo che alcuni cambiamenti non avvenissero.
Vi sono, invece, cambiamenti che noi consideriamo benedizioni. Il cambiamento è un’esperienza di
transizione da una condizione di vita ad un’altra. Ogni transizione presenta rischi, così come
opportunità di crescita: la nascita, il primo giorno di scuola, il diventare adolescenti, andare
all’università, cercare il lavoro, sposarsi, diventare prete o religiosa, andare in pensione, diventare
vecchi o ammalarsi. Queste sono esperienze di cambiamento che definiscono la vita umana.
Vi sono diversi tipi di cambiamento, così come vi sono diverse cause o contesti di cambiamento:
alcuni cambi sono inaspettati, come la morte di una persona cara o la perdita di un lavoro, la venuta
di un ladro nella notte oppure un terremoto, una guerra che causano distruzione.
Alcuni cambiamenti vengono scelti, deliberatamente pianificati, altri cambiamenti sono conseguenze
di decisioni e di azioni sia nostre che di altre persone; ma aldilà del tipo di cambiamento che si trova
davanti a noi, il cambiamento chiede una risposta. Il cambiamento a tutti i livelli della vita umana
arriva in una modalità così veloce che noi siamo incapaci di rispondergli, sia come individui sia come
comunità.
Papa Francesco ha sottolineato alcuni dei cambiamenti posti da questo momento di svolta nella storia:
L’umanità vive in questo momento una svolta storica che possiamo vedere nei progressi che si
producono in diversi campi. Si devono lodare i successi che contribuiscono al benessere delle
persone, per esempio nell’ambito della salute, dell’educazione e della comunicazione. Non possiamo
tuttavia dimenticare che la maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo vivono una
quotidiana precarietà, con conseguenze funeste. Aumentano alcune patologie. Il timore e la
disperazione si impadroniscono del cuore di numerose persone, persino nei cosiddetti paesi ricchi. La
gioia di vivere frequentemente si spegne, crescono la mancanza di rispetto e la violenza, l’iniquità
diventa sempre più evidente. Bisogna lottare per vivere e, spesso, per vivere con poca dignità. Questo
cambiamento epocale è stato causato dai balzi enormi che, per qualità, quantità, velocità e
accumulazione, si verificano nel progresso scientifico, nelle innovazioni tecnologiche e nelle loro
rapide applicazioni in diversi ambiti della natura e della vita. Siamo nell’era della conoscenza e
dell’informazione, fonte di nuove forme di un potere molto spesso anonimo (EG 52).
Quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di
epoca. Siamo, dunque, in uno di quei momenti nei quali i cambiamenti non sono più lineari, bensì
epocali; costituiscono delle scelte che trasformano velocemente il modo di vivere, di relazionarsi, di
comunicare ed elaborare il pensiero, di rapportarsi tra le generazioni umane e di comprendere e di
vivere la fede e la scienza. Capita spesso di vivere il cambiamento limitandosi a indossare un nuovo
vestito, e poi rimanere in realtà come si era prima. Rammento l’espressione enigmatica, che si legge
in un famoso romanzo italiano: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”
(“Gattopardo” Giuseppe Tomasi di Lampedusa). L’atteggiamento sano è piuttosto quello di lasciarsi
interrogare dalle sfide del tempo presente e di coglierle con le virtù del discernimento. Il
cambiamento, in questo caso, assumerebbe tutt’altro aspetto: da elemento di contorno, da contesto o
da pretesto, da paesaggio esterno… diventerebbe sempre più, e anche più cristiano. (FRANCESCO,
discorso alla Curia romana, 21 dicembre 2019).
La maggior parte dei cambiamenti sono ambivalenti dal momento che possono avere elementi sia
positivi che negativi. Per esempio, la creazione di benessere e di produttività, ma anche la crescente
ineguaglianza, così come l’esclusione e la corruzione, un costante richiamo al lavoro per il bene
comune e anche il rifiuto dell’etica, l’invito ad una sicurezza globale ma pure una crescente
aggressione e violenza. Noi assistiamo anche a cambiamenti di carattere culturale, sociale, politico e
religioso che si configurano come attacchi alla libertà religiosa: il fondamentalismo l’individualismo,
il secolarismo, l’indifferenza, il relativismo, la disillusione, il ritorno del totalitarismo, l’imperialismo
culturale e così via.
Propongo tre immagini per illustrare una Chiesa che fa fronte al cambiamento o al rinnovamento
voluto da Gesù. Prima, la porta di una casa. La porta unisce il fuori con il dentro, ma allo stesso modo
è il punto di distinzione fra il fuori e il dentro. La Chiesa rinnovata prende sul serio la sua porta, è una
porta attraverso la porta, la grazia della fede cristiana, del culto e del servizio si diffonde nel mondo.
Ma attraverso la porta, il mistero della presenza dello spirito nel mondo viene portato nella Chiesa
specialmente dai fedeli.
La seconda immagine: la tavola imbandita. Mangiare non è solo una questione di cibo ma è riunirsi
in una comunità, in una famiglia; la tavola è completa quando c’è cibo e ci sono storie umane che
nutrono l’amicizia e la solidarietà. Una Chiesa rinnovata può essere paragonata a una grande tavola
che ha posto per tutti: è una tavola dove i beni e le risorse della terra devono essere condivisi
specialmente con i poveri, una tavola dove la gente che non ha niente da mangiare e non ha nessuno
con cui mangiare può sedersi con dignità. Intorno alla tavola, la Chiesa è cambiata, è rinnovata dallo
spirito di reciproca accettazione, partecipazione, interdipendenza e corresponsabilità.
L’ultima immagine: costruire una vita nuova.
«Stare fermi su forme sociologiche o culturali di un altro tempo e di un altro luogo, come se fossero
uguali al vangelo eterno, potrebbe essere una scelta che indebolisce piuttosto che rinnovare la Chiesa,
con il vangelo e lo Spirito Santo come nostre guide. Lasciamo coraggiosamente da parte idee e
progetti che spesso confondiamo con il vangelo e diventiamo aperti alle sorprese, alla poesia e alle
storie che Dio ha in serbo per la Chiesa» (EG 22).
Occorre immaginare un cambiamento che sappia salire di livello: dalla semplice trasformazione
organizzativa alla spiritualità; dalla riforma di ambiti (pastorali) alla conversione degli operatori
(pastorali) che dentro quegli ambiti vivono e testimoniano la loro fede. Solo dei discepoli che si fanno
missionari possono aiutare il popolo di Dio e le istituzioni che lo servono a vivere in modo maturo il
cambiamento d’epoca che stiamo attraversando.

Abbiamo bisogno di profondità di sguardo e di interpretazione, se vogliamo davvero riuscire a


cogliere il cambiamento d’epoca che stiamo vivendo in tutta la sua entità, senza nasconderlo dietro
le proiezioni delle nostre paure o dei nostri sogni.

Questo vuol dire avere il coraggio di compiere un primo passo, di porre un primo esercizio in agenda:
vincere la paralisi. Occorre imparare a cambiare, servono esercizi e momenti di formazione comune
(scuole di discernimento?). Occorre imparare a fare di nuovo nostra l’attitudine cristiana della veglia:
la capacità di concentrare lo sguardo sul nuovo che avanza, sui tratti del Regno che questo “nuovo”
porta con sé, sulle opportunità che questo nuovo crea per la nostra ineliminabile missione di annuncio
della salvezza, di testimonianza e partecipazione al processo di santificazione e di trasfigurazione
della storia voluto da Dio in Gesù Cristo, reale e operante nel suo Spirito.

Occorre poi un secondo passo, per imparare a cambiare come Chiesa; mai da soli. Occorre richiamarci
continuamente la regola che dentro il cristianesimo non si è e non si agisce mai da soli. In questa
prospettiva occorrerà lottare per controbilanciare la tendenza inerziale di ogni struttura istituzionale,
a perpetuarsi per quello che è; dovremo operare per affermare il primato della missione sul semplice
mantenimento delle strutture.

2. Discernere e camminare insieme (sinodalità) Abitare il cambiamento d’epoca


Per poter vivere una simile capacità di aderenza al reale in un momento di così forte trasformazione
papa Francesco consiglia di assumere lo strumento del discernimento. In Evangelii Gaudium lo
raccomanda ben nove volte, precisandolo a seconda dei contesti come discernimento pastorale o
evangelico. Suggerendolo comunque come lo strumento più adatto per aiutare un corpo ecclesiale in
più di un caso disorientato dall’ampiezza delle trasformazioni subite e richieste.
Per discernimento non si intende una semplice riorganizzazione funzionale (secondo la logica
democratica o burocratica) dei processi di costruzione delle scelte e delle loro attuazioni. Il
discernimento cristiano è molto di più: è l’esperienza di un popolo che nella preghiera si sente unito
dallo Spirito e riesce a sentire la presenza di Dio che lo guida nella storia (EG 119: papa Francesco
chiama questa esperienza «l’istinto della fede»). Il popolo di Dio fa così esperienza della sua identità,
che è dinamica, tipica di chi è in cammino dentro la storia e continuamente percepisce in modo del
tutto naturale (spesso precritico) la mano di Dio che lo accompagna e lo guida. È di conseguenza una
esperienza antropologica che, prima di tradursi in procedure e strutture organizzative, nutre i sensi e
ristruttura gli strumenti attraverso i quali io leggo il senso della storia e i suoi singoli avvenimenti.
È un discernimento che porta in questo modo tutti i componenti del popolo di Dio, insieme anche se
con modalità diversificate, a percepire le priorità e gli indirizzi delle azioni e dei gesti che sono
chiamati a compiere, proprio per continuare a essere quel popolo che Dio sta conducendo dentro la
storia, vivendo così quella testimonianza senza la quale nessuna riforma riuscirà a rilanciare un corpo
stanco e alla ricerca di motivazioni (si veda come esempio EG 198: l’opzione preferenziale per i
poveri è la scelta che ci permette di restare connessi allo Spirito che guida il popolo di Dio nella storia,
evitando l’isolamento frutto della logica del mondo [il consumismo triste di EG 2], che avrebbe il
risultato di renderci ciechi e sordi, non più capaci di cogliere la presenza di Dio e la sua guida).
Così inteso, il concetto di discernimento può aiutarci nella riflessione che stiamo sviluppando. Ci
permette di intuire il percorso grazie al quale trovare una possibile risposta alle attese che la
condivisione dell’affermazione di papa Francesco ha acceso in tanti di noi. Ci permette di affrontare
la sfida che abbiamo davanti a noi – il cambiamento d’epoca – dandole un nome e sviluppandone una
lettura che parte dalla fede che viviamo (e non semplicemente frutto della raccolta di dati elaborati
da prospettive scientifiche che risultano spesso astratte e non collimanti con il nostro specifico punto
di vista). Ci chiede di verificare in quale modo il discernimento si fa attitudine e stile, ovvero
dimensione capace di legarci tra di noi, realizzando quella esperienza di popolo di Dio senza la quale
il discernimento non può avere luogo. Ci porta infine a contemplare con lo sguardo di Dio stesso il
movimento storico che stiamo vivendo, per cogliere in modo ammirato la sua azione che continua,
anche in questo tempo, e sintonizzare i nostri movimenti con essa. Solo al termine di un simile
percorso potremo rimettere mano alle tante riforme e cantieri che aspettano, proprio grazie ad un
simile di-scernimento di popolo, di intuire le strade per poter accompagnare quel moto di
cambiamento della forma ecclesiae (una forma sempre dinamica e in cambiamento, per rimanere
incollata al cammino della storia dentro la quale vive) che tanto ci assilla e preoccupa in questo
momento.
La Chiesa italiana, immersa in questa sfida già dagli anni ’70 del ventesimo secolo, come abbiamo
potuto constatare dalle citazioni precedenti, in occasione del Convegno ecclesiale di Palermo (1995)
aveva cercato di dotarsi di uno strumento simile, capace di rispondere alle necessità di riforma
percepite, e aveva elaborato il discernimento comunitario, che così descrive, nel documento in cui
parla della necessità di una conversione pastorale della Chiesa italiana:
«Come espressione dinamica della comunione ecclesiale e metodo di formazione spirituale, di lettura
della storia e di progettazione pastorale, a Palermo è stato fortemente raccomandato il discernimento
comunitario. Perché esso sia autentico, deve comprendere i seguenti elementi: docilità allo Spirito e
umile ricerca della volontà di Dio; ascolto fedele della Parola; interpretazione dei segni dei tempi alla
luce del Vangelo; valorizzazione dei carismi nel dialogo fraterno; creatività spirituale, missionaria,
culturale e sociale; obbedienza ai pastori, cui spetta disciplinare la ricerca e dare l’approvazione
definitiva. Così inteso, il di-scernimento comunitario diventa una scuola di vita cristiana, una via per
sviluppare l’amore reciproco, la corresponsabilità, l’inserimento nel mondo a cominciare dal proprio
territorio. Edifica la Chiesa come comunità di fratelli e di sorelle, di pari dignità, ma con doni e
compiti diversi, plasmandone una figura, che senza deviare in impropri democraticismi e
sociologismi, risulta credibile nell’odierna società democratica».
Il processo di trasformazione in atto, essendo di natura culturale, è certamente di lunga durata. Non
chiede quindi né ai singoli e tanto meno alle nostre istituzioni soluzioni repentine o decisioni da
prendere in breve tempo. Chiede invece serenità di sguardo unitamente ad una istintiva fiducia
antropologica. Potremo continuare a essere cristiani, a vivere la nostra fede anche dentro le grandi
trasformazioni che saremo chiamati a fare nostre in tempi ormai non così lontani.

Si inserisce dentro questo scenario la valorizzazione del discernimento inteso non semplicemente
come strumento giuridico-amministrativo quanto piuttosto come strumento teologico, come tratto
cristiano di vita in questi cambiamenti d’epoca. Non a caso papa Francesco associa al discernimento
un altro strumento, quello della sinodalità.
È questa sinodalità che deve nutrire e strutturare il discernimento inteso come stile che i cristiani
assumono in questo cambiamento d’epoca. Si tratta di una forma che il popolo di Dio è chiamato a
fare suo per tornare ad aggregarsi, contrastando le spinte dispersive e gli impeti di frammentazione
che la situazione descritta nel paragrafo precedente genera come tossina in ogni comunità cristiana.
Occorre operare perché si torni a essere un soggetto coeso, che tutto insieme vive quei processi di
ascolto, interpretazione, immaginazione, che soli possono reggere l’operazione di reincarnazione, di
riscrittura del cristianesimo dentro la storia.
La sinodalità e il discernimento così intesi non sono perciò dei semplici processi cognitivi e
decisionali, ma vere e proprie forme di Chiesa, ovvero luoghi in cui vivere quel radicamento nel reale
senza il quale il cambiamento in atto ci spinge verso l’isolamento e l’artificialità.

3. Vivere è cambiare
«Qui sulla terra vivere è cambiare, e la perfezione è il risultato di molte trasformazioni». Viviamo in
un mondo che cambia velocemente: chi rimane indietro spesso è perduto. Il cambiamento non è
importante solo per stare al passo coi tempi che corrono, ma è anche fondamentale per la nostra vita.
Ogni cambiamento è accompagnato da segni di fronte ai quali siamo chiamati ad esercitare una
creativa capacità di interpretazione, senza ricorrere alle solite e collaudate soluzioni.
Il cambiamento d'epoca infatti richiede un cambiamento di mentalità ecclesiale: altrimenti rischiamo
di parlare ad un'epoca diversa dalla nostra e quindi a persone ormai morte non vive. (La Chiesa non
è un museo!). Il cambiamento infatti costituisce l’indole non solo delle persone, della storia, e delle
relazioni, ma anche il modo di recepire il Vangelo e di tradurlo in gesti e sentimenti.
La vita è piena di opportunità. È un'avventura emozionante ma è anche una lotta. La vita può essere
anche un'eterna primavera, se ci guardiamo intorno con nuovi occhi e nuove visioni. Nessuno trova
la vita degna di essere vissuta se non per qualcosa per cui vale la pena viverla. La vita dovrebbe avere
sogni e obiettivi.
Dobbiamo sognare e credere in noi stessi. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è di dedicare il nostro
tempo e la nostra energia per raggiungere il nostro sogno. Nessuno può seguire il nostro sogno. Molti
di noi non desiderano lavorare sui nostri sogni per paura di fallire. Dobbiamo invece investire la
nostra mente per realizzare il nostro sogno, il sogno di fare qualcosa di nuovo e creativo, ogni giorno,
per rendere la vita più interessante e significativa. Ogni giorno dobbiamo porci la domanda: Che cosa
dà senso alla mia vita? Nuova vita e nuova speranza? Se non l'abbiamo scoperto, allora non riusciamo
a vivere pienamente. Una ardente passione per il senso della nostra vita è il carburante più potente
per i nostri sogni.
Il cambiamento fa parte della vita della natura. Tutto sulla terra cambia in meglio o in peggio. Tutto
deve subire un cambiamento nella giusta direzione. Il cambiamento porta novità. Dobbiamo osare
cambiare, anche quando il cambiamento è difficile e rischioso. Dobbiamo cambiare il nostro modo
di lavorare.
È giunto il momento di pensare al cambiamento nel nostro campo di lavoro per evitare quelle routine
che si protraggono da secoli. Per avere successo in qualsiasi cosa la fiducia conta molto.
L'aggiornamento delle nostre conoscenze apre la possibilità di offrire tante nuove informazioni e
maggiori opportunità a nuovi modi di pensare. Per questo sono richiesti creatività, compassione e
competenza.
Per portare qualcosa di nuovo in qualsiasi campo dobbiamo costruire un nuovo team che crede nel
cambiamento, in un cambiamento rivolto a qualcosa di nuovo e in meglio. Quando abbiamo coltivato
un profondo senso di fiducia nelle nostre capacità, nulla può impedirci di andare avanti facendo
sempre qualcosa di nuovo.
Tutti possiamo essere persone entusiaste, energiche e coraggiose che osano fare passi coraggiosi per
fare la differenza nella nostra vita e nella vita delle persone con cui lavoriamo dando loro speranza.
Siamo chiamati ad essere audaci e ad avere una visione chiara.
Vorrei rilanciare la descrizione interessante che la Nota pastorale Il volto missionario delle parrocchie
in un mondo che cambia al n. 9 ha fatto della formazione. Il paragrafo porta come titolo: Per la
maturità della fede: la cura degli adulti e della famiglia. Nel tentativo di «rileggere con coraggio
l’intera azione pastorale» si auspica che essa «sia più attenta e aperta alla questione dell’adulto». Ed
ecco la descrizione della dinamica formativa: «L’adulto oggi si lascia coinvolgere in un processo di
formazione e in un cambiamento di vita soltanto dove si sente accolto e ascoltato negli interrogativi
che toccano le strutture portanti della sua esistenza: gli affetti, il lavoro, il riposo». Emerge una visione
dinamica della formazione: essa è un processo. Poi viene intesa come “cambiamento di vita”. Si fa
formazione perché la vita possa cambiare.

4. Competenze per abitare il cambiamento


Abbiamo bisogno di persone di riconoscere per tempo i cambiamenti e di adeguare le proprie mappe
mentali al mutare della situazione. Non si tratta solo di fare cose diverse dal passato, ma comporta un
profondo mutamento nel proprio modo di essere e la capacità di suscitare un’analoga trasformazione
nel modo di essere degli altri.
Generare interesse verso ciò che ancora non è conosciuto, incoraggiare il senso della meraviglia e
della scoperta, potenziare il senso di curiosità, essere consapevoli delle proprie emozioni è cruciale
per sviluppare in sé stessi e nei propri collaboratori un pensiero creativo capace di generare
cambiamento e innovazione.
Parlare di cambiamento significa essere in sintonia con lo spirito dei tempi. Cambiare vuol dire
crescere. Vuol dire vedere ogni traguardo raggiunto come un punto di partenza per nuove sfide da
affrontare, e da vincere. Non sembra ormai nemmeno più ammissibile non essere «dalla parte del
cambiamento». Né ci si può più rifugiare nell’atteggiamento di chi sembra dire: «Non sono pronto al
cambiamento» o «Non ho capito bene che tipo di cambiamento serve». Si dà per scontato che si debba
essere «supporter» del cambiamento, sposandone la direzione e partecipandovi attivamente.
Ora, le figure ecclesiali più decisive perché tutto ciò si possa realizzare sono i leader. Con questo
termine intendiamo sia i pastori in senso proprio, cioè i vescovi e i presbiteri, sia altre figure ecclesiali
che hanno responsabilità su altri credenti, come i diaconi, i catechisti, gli animatori e così via. Per
questo nelle nostre riflessioni non potremo fare a meno di riferirci al tema della leadership. D’altra
parte, la velocità e la complessità dei cambiamenti costringono molti leader, a tutti i livelli, a
convivere con una perenne sensazione di inadeguatezza. Si tratta del gap della complessità, cioè della
differenza tra livello di complessità ambientale atteso e percezione della propria capacità di saperla
gestire.
Non abbiamo opportunità di scelta. Non possiamo rifugiarci in comportamenti e modelli del passato.
Navighiamo nella tormenta e dobbiamo starci dentro. E la difficoltà ha due facce: da un lato, bisogna
esser capaci di individuare il cambiamento, di decifrare situazioni e di attribuire significati a ciò che
accade; dall’altro, bisogna saper dare a tutto questo una risposta adeguata. Si tratta di capitalizzare la
complessità e diventare cellule attive di cambiamento e trasformazione, affinando doti di coraggio e
di apertura mentale.
Per capitalizzare la complessità occorre tener presenti tre obiettivi:
- promuovere l’innovazione radicale e a guidare l’organizzazione (parrocchia, comunità,
congregazione) oltre i classici, sperimentati stili di gestione;
- imparare a co-creare, co-progettare, co-ideare, ecc.
- avviare la semplificazione dei processi, ricercando una maggiore efficienza dei processi Bisogna
altresì tener presenti tre grandi concetti:
- accogliere l’ambiguità imparando a prendere rischi ponderati. Trasformare la complessità in
vantaggio;
- discutere e cambiare i modelli: testare innovazioni radicali, sviluppando un mindset (mentalità) di
sfida continua; uscire dai consueti modi di pensare;
- andare oltre i classici stili di gestione; avere la capacità di superare gli schemi trappola
dell’esperienza. È il concetto di «non esperienza», una condizione spesso importante, perché permette
di vedere senza preconcetti e condizionamenti e di individuare la soluzione che poteva essere sotto
gli occhi di tutti ma non veniva colta proprio perché mascherata dalla routine.
Innovare significa uscire dalla propria zona di comfort per sperimentare e comporta un disagio
iniziale, che viene però superato non appena sono definiti nuovi punti di riferimento e quando il
miglioramento diventa chiaramente percepibile.

I cambiamenti pastorali richiedono il coraggio di “smontare” stili e abitudini che si sono consolidati
nel tempo. E nella Chiesa la resistenza alla novità è sempre stata molto alta. Di solito ciò è avvenuto
laddove uomini e donne sono stati “scossi dentro” dallo Spirito, in modo improvviso o graduale, e
sono stati spinti a modificare le categorie di fondo con cui sentivano e giudicavano la realtà e di
conseguenza anche il proprio agire.

Secondo papa Francesco, il rischio maggiore dei cristiani oggi è quello di guardare al passato. Perché,
per sfuggire al calar delle tenebre, le alternative sono due: o si guarda la notte così come si presenta,
o ci si chiude in fortini. La posizione del cristiano dovrebbe essere netta: «Niente è meno cristiano
che continuare a stringere tra le braccia il cadavere della vecchia cristianità: lasciamo che i morti
seppelliscano i loro morti, e guardiamo il mondo in faccia» (Adrien Candiard).

Anche la paura di sbagliare costituisce un ostacolo ai processi di innovazione. Altri freni


all’innovazione nascono da un’errata percezione del proprio contesto di riferimento o dall’incapacità
di interpretarne alcuni segnali. Lavorare immersi solo nella quotidianità impedisce una visione chiara
e più ampia di ciò che accade e i «campanelli di allarme», invece di destare l’attenzione, spesso
paralizzano potenzialità che dovrebbero invece essere espresse e valorizzate.

In sintesi
• Il cambiamento è «la nuova normalità» e tutti noi ne siamo coinvolti in prima persona. • La velocità
e la complessità di questo cambiamento, ci costringe spesso a convivere con una perenne sensazione
di inadeguatezza nell’identificare risposte di senso.
• In questa situazione di mutamento perenne è necessario sviluppare un nuovo «mindset» e soprattutto
nuove competenze.
• Dall’analisi di alcune ricerche qualitative emerge che il tema della creatività e dell’innovazione
ruota prevalentemente intorno ad alcune sfide precise: persone, processi, clima.

Esercizio n. 1 Costruire la visione


Quale direzione vuoi prendere per il tuo futuro? Sei alla ricerca di una tua visione personale e
professionale (ministeriale) ma non sai ancora da che parte iniziare?
A volte ci capita di voler iniziare un viaggio ma di non sapere perché, come o quale direzione prendere
e di non riuscire a muoverci. Avere una visione chiara ci permette di scegliere ogni volta la direzione
più idonea al nostro percorso e di convogliare tutte le nostre energie. Questo esercizio è un supporto
utile per rielaborare la tua visione o per costruirne una (o una nuova).
Prendi carta e penna e raccogli tutte le intuizioni/idee per la tua visione:
1. Quale visione hai per il tuo futuro?
2. Quale Grande Idea rappresenta?
3. Quali valori incarna?
4. A quali aspettative risponde?
5. Pensa ora ai tuoi clienti, ai tuoi colleghi, ai tuoi stakeholder, alla tua organizzazione (parrocchia,
comunità, famiglia, congregazione, ecc.): che impatto avrà questa visione quando si realizzerà?
6. Che cosa ti serve per raggiungere questa visione?
7. Che cosa può supportarti nel raggiungere questa visione?
8. Che cosa ti vedi fare immediatamente per trasformare questa visione in realtà? Quali sono i
passaggi da attuare?

Esercizio n. 2 Non mangiare sempre la stessa minestra


Non farti prendere dalla comodità, dalla routine, dall’abitudine. Sii sempre affamato, pieno di quella
curiosità insaziabile che porta ad assaggiare sapori inconsueti e sempre differenti. Anche quando le
cose vanno bene, anche quando non ne senti la necessità, prova a pretendere di più. E questo non
riguarda solo ciò che fai, ma vale soprattutto per te stesso: prova ad approcciare la tua quotidianità
cercando il meglio e introducendo dei cambiamenti. Indica alcuni cambiamenti che potresti
introdurre, superando le tue resistenze.

Esercizio n. 3 Prove di giardinaggio


COSA PIANTARE, ovvero: COSA FARE DI NUOVO
Alla luce della mia Visione e del mio Sogno, quali prassi nuove penso sia bene mettere in atto nella
nostra parrocchia, congregazione, comunità, gruppo, ecc.?
COSA POTARE, ovvero: COSA FARE MENO
Quali tra le prassi in atto ritengo sia giusto ridurre, sia come attenzioni che come risorse destinate
loro?
COSA INNESTARE, ovvero: COSA FARE MEGLIO
Quali delle prassi in atto, tra quelle più vicine al centro del bersaglio, si possono intensificare,
prestando più attenzione, risorse, spazi e migliorandole?
COSA TAGLIARE, ovvero: COSA NON FARE PIÙ
Quali delle prassi lontane dal centro del bersaglio è bene interrompere?

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