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Enzo Bianchi VITA RELIGIOSA E VOCAZIONI OGGI IN EUROPA OCCIDENTALE

Sunday 22 March 2009


(http://nuovo.dehoniani.it/index.php?option=com_content&task=view&id=157&Itemid=40)
Riflessione di fr. Enzo Bianchi in un incontro con i Gesuiti del Belgio

Su richiesta del Provinciale dei Gesuiti del Belgio e del Lussemburgo, fr. Enzo Bianchi ha
rivolto questa riflessione a 150 Gesuiti radunati a Bruxelles il 1° maggio 2007. Il testo è stato letto
in francese

Ringrazio innanzitutto il padre Provinciale per l'invito rivoltomi, che ho accettato con un po' di
tremore. Vi parlerò con semplicità e libertà, cercando soprattutto di rispondere alle domande che mi
sono state poste, nella speranza che questi miei abbozzi di riflessione possano venire incontro alle
vostre esigenze. Spero altresì di non ferire nessuno e di essere ascoltato come un semplice fratello
tra di voi, che siete miei fratelli.

1. Quali sono secondo lei le cause dello scarso numero di entrate nella vita religiosa, nel nostro
contesto dell'Europa occidentale?
È difficile rispondere a questa domanda: vocazione, infatti, è l'atto con cui il Signore stesso
chiama uomini e donne alla sua sequela e, in particolare, a votare la propria esistenza nella vita
religiosa. Atto della libertà del Signore, la vocazione conserva una distensione di mistero su cui
l'uomo non ha alcuna presa. Al tempo stesso, la Parola di Dio che chiama, è Parola relazionale che
risuona nella storia, in tempi e luoghi precisi, e sollecita la responsabilità e il coinvolgimento
dell'uomo. Dalla risposta dell'uomo alla Parola divina dipende la narrazione di Dio agli uomini
d'oggi e la testimonianza di fede per il mondo. All'interno di questo quadro si colloca e trova il suo
senso la riflessione sul numero decrescente di persone che si impegnano nella vita religiosa
nell'Europa occidentale.

Le motivazioni dello scarso numero di persone che entrano nella vita religiosa sono di diverso
ordine. Sociologico in primo luogo: il calo delle nascite; il fatto che sia sempre più raro trovare
famiglie numerose (diverse ricerche hanno mostrato che molte vocazioni alla vita presbiterale e
religiosa sono sorte da famiglie con molti figli); la crescente rarità dei cristiani stessi (il fatto cioè
che il cristianesimo stia diventando minoritario). A livello economico, il benessere diffuso ha
mutato radicalmente il panorama rispetto al periodo postbellico che vide sorgere molte vocazioni
presbiterali e religiose in un contesto di povertà e di bisogno.

Altri fattori hanno prodotto significativi mutamenti sul piano ecclesiale e della fede: a livello
culturale la rottura con la tradizione (vi è chi, come Danièle Hervieu-Léger, parla di "prima società
post-tradizionale") è un fattore di primo piano che ha contribuito alla crisi della fede e della sua
trasmissione, così come alla perdita della capacità di presa dell'istituzione ecclesiastica sui vissuti
delle persone. La secolarizzazione e oggi, forse, anche la secolarizzazione della secolarizzazione,
con l'avvento di una cultura segnata dal nichilismo, quindi l'avvento della società tecnologica e
informatica, hanno completato la fuoriuscita dal mondo "cristiano" di una società fino a ieri spesso
in osmosi con la Chiesa. Il ripiegamento sulle tematiche del benessere interiore e
dell'autorealizzazione all'interno di quello che potremmo chiamare il "culto del sé", crea i
presupposti per la ricerca di una relazione terapeutica così come di una religiosità sincretistica o "fai
da te", che trova espressione nel New Age piuttosto che nel "vecchio" cristianesimo.

Ovviamente, la crisi del cristianesimo non può non divenire crisi della vita religiosa cristiana.
Gran parte delle congregazioni religiose sorte con un fine specifico (sociale, assistenziale,
caritativo) sperimentano ora come il principio così specifico che ha loro dato vita sia divenuto il
principio che le conduce alla morte, rendendo fuori luogo e anacronistica la loro presenza. Altri
fattori che non costituiscono certo un terreno favorevole al sorgere di vocazioni religiose si situano
sul piano ecclesiale: l'ignoranza circa gli elementi basilari della fede anche presso i cristiani
normalmente praticanti; il fatto che oggi le parole e i gesti della fede non siano più autoevidenti, ma
debbano sempre essere motivati, (ri)fondati, giustificati nel presente; il clima di stanchezza e di
frustrazione che si respira in molte comunità cristiane.
La stessa pluralità di spiritualità che ha segnato la stagione del fiorire e del moltiplicarsi di
ordini e congregazioni in tempi di cristianità, ora svela le proprie debolezze; si rivela cioè incapace
di fornire motivazioni a chi vorrebbe attuare una sequela radicale di Cristo, e invece si vede
proporre finalità perseguibili, con molta maggiore efficienza e senza bisogno del celibato, attraverso
altre forme di lavoro e d'impegno. Il fiorire del volontariato, per es., ha mostrato la non necessità
della vita religiosa per attuare forme di testimonianza e di servizio a favore dei poveri e dei
bisognosi...

Venendo al mondo giovanile, va registrato il rapidissimo mutamento antropologico che ha


creato una clamorosa dissimmetria tra l'impostazione di gran parte della vita religiosa e gli aneliti
giovanili. Basti pensare, tra gli elementi oggi riscontrabili nelle fasce giovanili, alla loro difficoltà di
scegliere e di concepire che una scelta sia definitiva, così come alla difficoltà di perseverare e di
vivere la fedeltà. Si può inoltre pensare all'incomprensione della necessità di un'ascesi e di rinunce;
al bisogno di affermazione di sé sul piano professionale ed economico, di indipendenza e di
protezione al tempo stesso; alla fuga dalla sofferenza e dalla fatica; all'impopolarità di celibato e
castità non solo a causa di quanto propagandato dai mezzi di comunicazione, ma forse anche
dell'enfasi ecclesiale sulla famiglia; e, buon ultimo - ma non meno importante -, all'analfabetismo di
fede, che rende necessaria una catechesi elementare a giovani i quali pure hanno fino ad allora
vissuto in ambienti ecclesiali.
È facile comprendere che tutto questo rende estranea, distante, priva di fascino e attrattiva la vita
religiosa per i giovani. Inoltre, le "fragilità giovanili" rendono estremamente precario anche il
cammino di coloro che in una vita religiosa arrivano a entrare. È in ogni caso certo che gli ambienti
ecclesiali e religiosi sono oggi in affannosa ricerca degli "agganci antropologici" con cui poter
parlare ai giovani, sperare di essere da loro capiti, annunciare loro il Vangelo, rendere interessante il
modello di vita che essi presentano...
Se quanto detto ha una sua plausibilità e pertinenza, tuttavia occorre, prima di tutto e soprattutto,
che la vita religiosa si interroghi su se stessa. Forse impostare le domande in maniera adeguata, o
almeno rinnovata, è più interessante che moltiplicare le risposte e sommarle. Una vocazione
religiosa comporta almeno i livelli della chiamata alla vita, alla.fede e, infine, alla vita religiosa
caratterizzata in maniera essenziale da celibato e vita comunitaria, e poi da una missione
particolare: i religiosi sono dunque chiamati a interrogarsi sulla vitalità delle loro comunità, sulla
qualità della fede e sulla radicalità della sequela che da esse traspare.

a) La vitalità
Rispondere a una vocazione significa decidere di giocare l'intera propria vita, l'unica disponibile,
in una determinata forma. Ora, è la vita che attira la vita. Solo una comunità vitale, capace di
mostrare che la sequela Christi è vitale e umanizzante, che essa perviene a valorizzare l'umano e le
relazioni, può sperare di "attrarre vocazioni". Non certo una comunità d'intellettuali, un'équipe di
lavoro, un gruppo di progettazione pastorale, né tanto meno una comunità di anziani che non ha
futuro.
I religiosi, a mio avviso, sono pertanto chiamati a fare della loro esistenza una vita bella, buona
e beata, sull'esempio di quella vissuta da Gesù stesso. Si è giustamente sottolineato spesso che la
vita religiosa cristiana dev'essere "buona", secondo la volontà di Dio. Questa bontà si traduce nella
preghiera, nel fare del bene agli altri, seguendo l'insegnamento di Cristo. Ma la vita di Gesù è stata
anche "bella e beata", e i religiosi dovrebbero preoccuparsi di fare altrettanto! Ora, le nostre
comunità danno la possibilità di relazioni di amicizia, o ne hanno paura? Sono capaci di vivere la
festa nella semplicità? Hanno una conoscenza stupìta e contemplativa della natura? In una parola:
sono capaci di rendere le vite dei loro membri "belle e beate"? Ecco, per potersi preoccupare
legittimamente del futuro della propria comunità, occorre prima verificare la qualità della propria
vita e se essa può dare un futuro a un giovane che, con generosità e anche ingenuità, chiede di
seguire radicalmente il Signore. La domanda da porsi qui è: quale promessa di vita la nostra
comunità può offrire al giovane?

b) La qualità della fede


Con questa espressione non s'intende certo mettere in dubbio la sincerità di fede dei membri di
una comunità religiosa, ma sottolineare il fatto che una comunità religiosa deve oggi essere anche
una scuola di formazione alla fede.
La formazione specifica per il proprio istituto o ordine non può non accompagnarsi a un lavoro
basilare di formazione alla fede del novizio: purtroppo la formazione catechistica nelle parrocchie è
deludente, e molti giovani provengono da vicende di distanza dalla Chiesa, per cui non hanno
beneficiato nemmeno del poco di chi ha sempre praticato. Quale che sia la maniera in cui si esprime
la ricerca del giovane, inoltre, è importante che la comunità religiosa sappia presentargli
l'essenziale, ciò che ha a che fare con il cuore della fede, non con prestazioni, opere particolari,
apostolati o servizi vari: la "chiamata" è a seguire il Signore e a vivere radicalmente il Vangelo,
mentre le forme in cui ciò avviene sono secondarie.
Qualità della fede significa anche qualità della celebrazione della fede, dunque della liturgia: il
volto di una comunità traspare eminentemente nella liturgia. La vita monastica, anch'essa alle prese
con gli stessi problemi di scarsità di vocazioni della vita religiosa, trova tuttavia nella liturgia - a cui
normalmente presta particolare attenzione e cura - un luogo capace di esercitare un'attrazione o
almeno di suscitare un interesse (senza, peraltro, risolvere il problema). Questo secondo punto
ricorda alle comunità religiose il loro compito di essere luoghi di fede sana e robusta, nutrita dalla
Scrittura e dalla liturgia. Io credo che anche se una comunità abitata da devozionismi, da enfasi
sullo spettacolare, sul taumaturgico, sul miracolistico, e magari dal culto della personalità del
leader, attraesse molte persone, non per questo sarebbe una buona indicazione di via da percorrere...

c) La radicalità della sequela


La vita religiosa ha un suo nucleo essenziale irrinunciabile: seguire Cristo nel celibato e nella
vita comunitaria. In particolare la qualità della vita comunitaria è una testimonianza decisiva, che
fonda la credibilità di una comunità e manifesta se in essa si vive realmente la carità, la fraternità e
l'amore. Ovviamente un giovane andrà in una comunità in cui si sente amato e dove percepisce che
potrà lui stesso crescere nell'amore ed esercitare l'amore. Celibato, povertà e obbedienza si
manifestano nella qualità delle relazioni comunitarie e svelano se la comunità vive la radicalità
come amore, agape.
In un discorso del 21 novembre 1992 rivolto ai partecipanti alla Plenaria della Congregazione
per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, Giovanni Paolo II ha detto: «Tutta la
fecondità della vita religiosa dipende dalla qualità della vita fraterna in comune. Più ancora, il
rinnovamento attuale nella Chiesa e nella vita religiosa è caratterizzato da una ricerca di comunione
e di comunità. Perciò la vita religiosa sarà tanto più significativa, quanto più riuscirà a costruire
comunità fraterne nelle quali si cerchi Dio e lo si ami sopra ogni cosa, e perderà invece la sua ragion
d'essere ogni qual volta si dimentichi questa sua dimensione dell'amore cristiano, che è la
costruzione di una piccola "famiglia di Dio" con quelli che hanno ricevuto la stessa chiamata. Nella
vita fraterna si deve riflettere "la bontà di Dio nostro Salvatore e il suo amore per tutti gli uomini"
(Tt 3,4), quale è manifestata in Gesù Cristo».
La considerazione delle possibili cause del numero ridotto di vocazioni religiose ci ha portato a
concentrarci sulla comunità religiosa e a intravederne gli elementi essenziali. Sarebbe paradossale,
infatti, se la preoccupazione di "avere vocazioni" facesse perdere di vista la vocazione propria ed
essenziale di una comunità religiosa, chiamata ad essere sé stessa anche quando fosse in procinto di
morire.
A questo proposito vorrei sottolineare un fatto spesso trascurato: nella vita religiosa, piuttosto
che preoccuparsi unicamente delle nuove vocazioni, occorre verificare anche la presenza di quelle
"vecchie". In qualche misura oserei dire che la loro presenza è più importante di quella dei giovani:
essi testimoniano, infatti, la qualità cristiana e la perseveranza che hanno vissuto. Se gli anziani
mancano, se la vita non è giunta a tenere insieme quelli che pure si erano impegnati fino alla morte,
quale radicalità cristiana potrebbe vantare una tale comunità? Sì, nella vita religiosa gli anziani sono
pegno dell'autenticità della vita che si è condotta fino al momento attuale, ed è tale autenticità che
darà un futuro alla vita religiosa. Una comunità, infatti, costituisce un ecosistema: conformemente
alle leggi ecologiche, essa esige un nucleo dinamico e fedele, affinché la vita si mantenga; senza
questo nucleo, invece, la vita tenderà a restringersi e le nuove vocazioni si faranno rare.

2. Secondo lei, cosa può favorire l'ingresso di giovani nella vita religiosa oggi? Cosa può
attirarli (e li attira) e cosa, invece, respingerli? Cosa potrebbe dire, in particolare, per un ordine
come il nostro?

Sempre nella Chiesa si tratta di tradurre le esigenze del Vangelo eterno nelle contingenze della
storia. Il Cristo, che "è lo stesso ieri, oggi e sempre" (Eb 13,8), deve trovare uomini che sappiano
tradurre la Parola eterna di Dio nei linguaggi che l'uomo capisce. L'operazione richiede di abbinare
la docilità allo Spirito alla creatività dell'intelligenza; richiede insomma "sapienza e intelligenza
spirituale" (sophia kaí sýnesis pneumatiké: Col 1,9).
L'esperienza mostra come la santità personale di molti membri di comunità religiose non basta
certo a far rifiorire le vocazioni. Piuttosto può riuscirvi il carisma personale di qualcuno, la capacità
di una persona illuminata e sapiente che irradia e trasmette vita senza trattenere le persone a sé ma
indirizzandole verso una risposta libera alle esigenze del Vangelo: ma questo è un dono di Dio che
lo Spirito suscita nella sua libertà. In ogni caso, quand'anche una comunità religiosa dovesse
chiudere, la sua piena sensatezza sta nella santità delle persone che vi hanno vissuto, nell'amore che
vi hanno donato e speso, nell'esperienza di Dio che vi hanno fatto.

Non credo che si possa rispondere in maniera perentoria - se non rischiando la presunzione - alla
domanda su ciò che può favorire o scoraggiare l'ingresso di persone in una vita religiosa. Ogni
comunità ha una propria fisionomia, così come ogni giovane ha una propria biografia e una propria
ricerca che è innanzitutto umana, ricerca di senso. Di fronte alla dissoluzione del senso che
attraversa le società secolarizzate, la domanda che abita l'uomo, e il giovane in particolare, è la
domanda sul senso del proprio vivere, del proprio esserci, sulla direzione da dare alla propria vita.
Anche se inespressa e senza formulazione verbale, è tale domanda che muove la ricerca del
giovane: ed è a tale domanda che una comunità religiosa è chiamata a dare una risposta, un
orientamento, un'indicazione. Essa è chiamata, con un paziente lavoro di attenzione e di ascolto (e
dunque grazie a persone capaci di attenzione e ascolto profondi), a intercettare questi bisogni e a
mettersi a servizio della ricerca del giovane. Se una comunità non sa venire incontro alle domande
che un giovane porta dentro di sé, non potrà certo rappresentare la forma vitae in cui questo giovane
deciderà di trascorrere la propria intera esistenza.
Si situa qui il discorso sulla qualità profetica di una comunità religiosa. Se il profeta è colui che
"fa segno", la comunità religiosa - se vuole essere profetica - è chiamata ad essere segno e a
declinare questa sua vocazione profetica come "invenzione del senso", come reperimento, creazione
e donazione di senso.
I teorici del post-moderno affermano che le domande che ormai vengono poste, e sempre più lo
saranno, riguardano la funzionalità e l'utilità delle cose, delle nozioni e dei saperi: "A che serve? È
efficace? Si può vendere?", non la loro verità o bellezza: "È vero?".
Ebbene, la comunità religiosa può resistere a questa tendenza, cercando di porsi quale luogo in
cui la domanda sul senso viene custodita e tramandata come elemento che può umanizzare l'uomo.
La profezia è storica e sempre usa linguaggi e assume configurazioni differenti nelle diverse
situazioni storiche, culturali e geografiche: io penso che oggi, nei nostri paesi e nelle nostre Chiese,
essa debba assumere la forma dell'invenzione del senso, vivendo e trasmettendo la fede come
cammino del senso.
La vita religiosa non è certo un'agenzia di soddisfazione dei bisogni spirituali emergenti nella
società; al contrario, essa deve semplicemente vivere la propria vocazione. Ma poiché la sua
vocazione è storica e la inserisce nella Chiesa e nella compagnia degli uomini, essa non può essere
cieca e disattenta ai bisogni degli uomini della sua generazione. È la libertà stessa (che vive la
comunità religiosa segnata dal celibato) e la forza stessa (che le proviene dalla sua dimensione
comunitaria) che le consente di assumere il diffuso bisogno di senso e di provare a orientarne una
risposta nel senso della radicalità cristiana.
Il compito profetico della comunità religiosa si configura come capacità di narrazione del Cristo
"che ci insegna a vivere" (Ti 2,12), che dà direzione, finalità, significato e bellezza al vivere umano.
Si tratta di trasmettere simboli e chiavi ermeneutiche della realtà, di ricordare che l'uomo è uomo se
continua a interrogarsi su di sé, a riflettere sulla morte, ad accettare come costitutivi gli enigmi che
scopre in sé, a vedere nell'incontro e nella relazione con l'altro la bellezza possibile dell'esistenza, a
cogliere se stesso come compito da realizzare.
Si tratta insomma di valorizzare la dimensione sapienziale della Scrittura e della stessa figura di
Cristo; di mostrare con la propria esistenza che Cristo è motivo sufficiente di vita; che uomini e
donne possono raccogliersi insieme e insieme vivere una vita umanizzata nel nome di Cristo, per
amore di lui e a causa sua.
Penso che delle vocazioni possano affacciarsi a una vita religiosa se questa evita di fossilizzarsi
in forme e schemi che diventano immutabili e che sono totalmente incomprensibili ai giovani
abituati alla mobilità e alla "fluidità" (la liquidità di cui parla Zygmunt Bauman) del vivere odierno.
Credo che un giovane possa essere attirato da una comunità religiosa quando vi vede un luogo in
cui può fare esperienza di amore; in cui la sua umanità può crescere e maturare; in cui le sue
domande di senso sono riconosciute, accolte e trovano una risposta credibile e convincente - cioè
limpido, senza doppiezze e senza ipocrisie - sul piano della proposta concreta di vita cristiana. Che
dovrà essere giustamente rigorosa e non edulcorata.
In particolare, credo che una comunità religiosa possa acquisire un'eloquenza se riesce a far
trasparire il messaggio evangelico in maniera semplice e diretta, grazie alla qualità umana della
propria vita comune nel celibato, all'interno di una Chiesa sovraesposta sui mass-media, che spesso
si occupa di cose penultime, che ha secolarizzato o moralizzato il suo messaggio. La vita religiosa è
chiamata ad essenzializzare il messaggio cristiano: non a ridurlo, ma a restituirlo alle sue
dimensioni veramente irrinunciabili ed essenziali.
Nella babele di parole e messaggi che oggi bombardano i giovani, è importante che la vita
religiosa sappia rivolgere una parola semplice, chiara, inequivocabile, non confusa e indistinta, ma
capace di dare un'identità senza far cadere nell'irrigidimento, nello schematismo. Penso che un
lavoro di ritrovamento dell'essenziale sul piano della spiritualità cristiana e dei fondamenti basilari
della vita religiosa, possa andare nel senso dell'elaborazione di una parola chiara e udibile, che può
suscitare il desiderio di una risposta radicale.

In tutto questo, è evidente che una via privilegiata è quella del far risuonare la Parola di Dio
contenuta nelle Scritture attraverso un metodo di lettura che sappia porre in relazione il testo con la
vita (lectio divina). Una vita religiosa che riesca a presentarsi come comunità di persone sotto il
primato della Parola di Dio e capaci di vivere nella carità una vita umana e umanizzata, è forse
l'appello più forte rivolto a giovani in ricerca. Occorre, da parte delle comunità religiose assumere
un atteggiamento di profonda simpatia nei confronti dell'umano, e credere - in quanto lo si vive e lo
si sperimenta - che il Vangelo può orientare e dare pienezza di senso all'umano stesso.

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