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Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta

Giacomo Scotti.
Croazia, Operazione Tempesta.
La “liberazione” della Krajina
ed il genocidio
del popolo serbo
Gamberetti Editrice 1996.
Prefazione di
Tommaso Di Francesco
***
La Croazia ed il “caso Krajina”:
nell’agosto del 1995, dopo la cacciata di un intero popolo, una regione
di 11.000 chilometri quadrati è stata saccheggiata, incendiata e devastata
per poter essere colonizzata. Giorno per giorno, nel diario di un testimone
italiano, gli eventi ignorati di una storia tutta da riscrivere.
“Questo diario è stato scritto per conservare la memoria di crimini
taciuti o ignoti. Così domani non potremo dire di non sentirci colpevoli per
non aver saputo”…
Nato a Saviano (Na), Giacomo Scotti
è vissuto fin da giovane nella
ex Jugoslavia. Giornalista e scrittore,
è autore tra l’altro di Goli Otok,
ritorno all’isola calva (Lint, 1991),
Non si trova la cioccolata (Pironti, 1993),
Terre perdute (Elea Press, 1994).
Da anni è impegnato in
attività umanitarie.
Prefazione
Chi ha conosciuto davvero il dramma della ex Jugoslavia non solo
avrebbe voluto che questa tragedia non fosse mai stata provocata, ma è
anche arrivato a desiderare di non averla mai incontrata sulla propria strada.
E questo non solo per l’orrore dei tanti momenti sanguinosi del conflitto
fratricida, ma soprattutto per il fatto che in quest’avvenimento, che segna a
fuoco il finire del secondo millennio, come non mai la verità è stata
vilipesa, stracciata, nascosta, deturpata. E invece la menzogna si è affermata
al punto da diventare regola di funzionamento dei nuovi media (e dei poteri
ad essi connessi). Così oggi la verità e l’obiettività sono ridotte ad essere un
inutile ingombro gravido però di nuovi pericoli: ogni fingimento e
occultamento prepara sul terreno balcanico nuovi odi forieri di altrettanti
conflitti — qualcuno a ragione ha scritto che lì la II guerra mondiale è come
se non fosse mai finita.
Che fare dunque di tanta consapevolezza residuale e sconfitta? La
consapevolezza della tendenza alla guerra che per la prima volta dopo 50
anni è tornata nel cuore d’Europa; delle responsabilità primarie
dell’Occidente in quella distruzione; delle colpe equivalenti, con qualche
necessario distinguo, dei nefasti nazionalismi interni e dei crimini di tutti i
leader che hanno fatto della bandiera nazionalista motivo di guerra etnica e
religiosa; dei molteplici, quanto non narrati, fronti della guerra mentre i
media ne raccontavano — con camera fissa su un solo ospedale — uno
soltanto, quello di Sarajevo, come se quella città disgraziata fosse tutta la
Bosnia Erzegovina; della fine anticipata dell’Istituzione-Europa proprio a
partire da questa crisi, che rappresenta un singolare antefatto storico della
sua sconfitta politica, già alla fine del 1991
quando la guerra in Bosnia non era ancora scoppiata e la Grande
Europa-Nazione si accingeva, con i riconoscimenti, ad allestire la
distruzione della Federazione Jugoslava; della morte delle Nazioni Unite
per mano di chi ha voluto affidare alla Nato, un organismo legato alla
Guerra Fredda, decrepito quanto armato fino ai denti, poteri d’intervento di
“pace” e su questo ha legittimato in armi i contenuti del dominio (Stati
Uniti), la dispersa credibilità politica e diplomatica (l’Europa) e l’immagine
di una sinistra finalmente — quanto inutilmente — di governo.
Sì, non c’è ombra di dubbio. Come ha indicato nei suoi reportage
coraggiosi lo scrittore Peter Handke, la guerra nell’ex Jugoslavia è il
paradigma della generale menzogna dei tempi in cui viviamo.
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Così, se una narrazione arriva anche da lontano, con fatica, a rompere il
velo di omologazione di parte, piaggeria e unilateralità utilizzati in genere
nel testimoniare questo conflitto, ecco che non si può non provare subito
un’emozione positiva profonda.
Il libro di Giacomo Scotti, scrittore, poeta e giornalista croato d’origine
italiana, grande accusatore di tutte le leadership nazionaliste, dell’ex
Jugoslavia, ha il merito di essere un testo unico, per la forma e il contenuto,
nel panorama della pubblicistica internazionale e nazionale sulla guerra nei
Balcani. Si tratta infatti di un appassionato quanto rigoroso “diario in
pubblico” con cui l’autore, che ha direttamente verificato sul campo, annota
o svela, giorno per giorno, a partire dalla prima settimana dell’agosto 1995
e per molti mesi a seguire, un fatto storico decisivo: la pulizia etnica della
croata Operazione Tempesta nei territori della Krajina serba.
Dal 4 al 7 agosto del 1995 l’esercito croato dilaga in tutta la Krajina, la
regione croata incastrata tra la costa dalmata a ovest e la Bosnia
nordoccidentale a sud, abitata da più di 300.000 serbi da almeno quattro
secoli che, al momento dell’auto-proclamazione dell’indipendenza croata su
base etnica («la Croazia è la patria dei croati», recitava il primo articolo
della nuova Costituzione) nel 1991-1992, hanno deciso di fare secessione
costituendo un loro
“stato”, pronti a combattere per non diventare minoranza nelle terre in
cui vivono da sempre.
È quella delle truppe di Zagabria un’avanzata inarrestabile. Sono più di
100.000
i soldati impegnati nell’offensiva che è stata preparata a tavolino da
tempo, grazie anche all’aiuto in armi, logistico e con molti consiglieri
militari americani, degli Stati Uniti e dell’Europa. All’attacco croato
partecipano anche aerei della Nato che bombarderanno i radar di Knin,
capitale della Krajina, per evitare una risposta missilistica come era
successo durante la conquista croata della Slavonia occidentale a maggio,
solo due mesi e mezzo prima. Un bombardamento, quello della Nato,
decisivo per la vittoria croata e rimasto sapientemente in ombra. Secondo il
comunicato del comando Nato di Napoli, alle ore 19 del 4 agosto 1995 due
aerei americani EA6B della Us Navy, decollati dalla portaerei Roosevelt
che naviga in Adriatico, erano di pattuglia su richiesta dell’Onu «per la
protezione dei Caschi Blu» e «dopo essere stati puntati dai radar di una
postazione di missili terra-aria dei serbo-croati gli aerei hanno lanciato i
loro missili in un’azione di autodifesa». Che fosse necessaria la protezione
dei Caschi Blu è fuori discussione; più di 100 militari dell’Onu, kenyoti,
canadesi, polacchi e cechi, vennero infatti catturati sulla linea di
interposizione dalle truppe di Zagabria e trasferiti a forza in territorio croato
per avere mano libera e nessun testimone, molti Caschi Blu vennero feriti,
gli uomini del contingente canadese dell’Onu furono tenuti prigionieri per
molti giorni. Ci si sarebbe dunque dovuto aspettare un attacco della Nato
contro le truppe croate all’offensiva, a reale protezione del contingente Onu
in quel preciso momento sotto il fuoco dell’esercito di Zagabria. Invece i
bombardieri americani della Nato centrarono, distruggendoli, i radar di
Knin, cioè degli attaccati e assediati, in un’azione di “logistica” come più
tardi il Pentagono definì ufficiosamente il bombardamento della Nato, che
ebbe così anche il “merito” militare di mettere definitivamente in fuga
dall’area la presenza di pace delle Nazioni Unite.
Washington a partire dal gennaio-febbraio 1994 — nonostante qualche
timido tentativo di iniziativa di pace reale tra le parti in guerra nei Balcani
sulle spoglie di quella che fu la Federazione Jugoslava, rappresentato dalla
mediazione dell’ex presidente Jimmy Carter — aveva optato ormai per una
scelta armata di parte e nel marzo del 1994 inventerà di sana pianta la
cosiddetta Federazione croato-musulmana, privilegiando soprattutto come
interlocutore militare il presidente croato Franjo Tudjman. E questo sulle
ceneri dei massacri perpetrati dai croati contro i musulmani in Erzegovina e
in Bosnia centrale sin dall’autunno 1992 fino alla fine del 1993. Massacri
che sono stati ignorati finché non si è scoperto che la guerra tra croati e
musulmani a Mostar, capoluogo dell’Erzegovina, aveva creato maggiori
distruzioni che nella stessa Sarajevo. Il trattato del marzo 1994, siglato a
Washington sotto l’occhio elettoralmente vispo di Bill Clinton, puntava fra
l’altro — anche su pressione dell’Arabia Saudita — al controllo politico
della leadership dei musulmani di Bosnia di Sarajevo, rappresentata in
maggioranza dal presidente Alja Izetbegovic e dal suo partito
fondamentalista, l’Sda (allora ancora unito e rappresentato anche dall’ex
premier Haris Silajidzic, poi dimissionario e caduto in disgrazia al punto da
subire, ad opera di membri dello stesso Sda, un grave attentato alla vita).
Con l’obiettivo implicito d’impedire il rinsaldarsi dei legami tra Izetbegovic
e Teheran, ormai diventati fin troppo evidenti agli occhi 2agina p
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dell’opinione pubblica internazionale. Sulle pagine di quel trattato sta
scritto che l’Herzeg-Bosna, lo “stato” dei croati di Bosnia e la Repubblica
di Bosnia con capitale Sarajevo hanno il diritto-dovere di confederarsi con
la Croazia —
mai un trattato internazionale ha riconosciuto eguale diritto ai mini-stati
serbi verso Belgrado.
Così fin dall’inizio del 1994 arrivano a Zagabria ingenti forniture di
armi (vale la pena ricordare che siamo in pieno periodo d’embargo Onu
sulle armi a tutta l’ex Jugoslavia e che per questo c’è una flotta con più di
50 navi in Adriatico) e giungono in Croazia decine di consiglieri militari
americani. Si avvia così quella messa all’indice dell’Orni sotto la pressione
di Franjo Tudjman, che chiede espressamente a Bill Clinton e al
vicepresidente americano Al Gore di non rinnovare ai Caschi Blu il
mandato di forza di interposizione di pace in Krajina, Slavonia occidentale
e Slavonia orientale, le tre regioni (krajine) abitate in maggioranza dai serbi,
mandato che le Nazioni Unite gestiscono invece fino a quel momento con
successo da tre anni, dopo la ferocia della guerra serbo-croata che ha visto il
suo apice di sangue sulle rive del Danubio nella battaglia di Vukovar del
novembre 1991. L’operazione è coordinata dall’ambasciatore statunitense in
Croazia, Peter Galbraith, e diretto da Washington (dopo le rivelazioni e
ammissioni avvenute durante le audizioni al Senato americano dei primi
mesi del 1996 sul “Bosniagate”, lo scandalo sulle triangolazioni di armi per
i musulmani di Bosnia tra Stati Uniti, Turchia e Iran, sì, proprio il
“terrorista” Iran) dallo stesso uomo che poi diventerà l‘“artefice” degli
accordi di pace di Dayton: Richard Holbrooke.
Quella della prima settimana dell’agosto 1995 è un’avanzata disastrosa
per il piccolo esercito dei serbi di Krajina, composto per gran parte di civili
in armi, con effetti devastanti: si contano decine di massacri contro la
popolazione civile e altrettante fosse comuni. Sarà la più grande operazione
di pulizia etnica di tutta la guerra nell’ex Jugoslavia, se si pensa che solo nel
giro di dieci giorni saranno espulsi in più di 300.000 — i due milioni di
profughi in Bosnia Erzegovina sono stati il “prodotto” di quattro anni di
guerra. Gli occhi delle telecamere hanno mostrato migliaia di contadini
serbi in fuga sui loro trattori, ma i rari servizi giornalistici li hanno fatti
apparire senza nome se non addirittura colpevoli. Non esistevano prima,
come potevano essere nominati adesso? Lo stesso ragionamento sarebbe
valso più tardi, nel marzo del 1996, per i più di 80.000 serbi terrorizzati in
fuga dai quartieri di Sarajevo, consegnata da Dayton alla leadership
musulmana: non esistevano, nessuno aveva mai parlato di loro, Sarajevo
“multietnica”era assediata dai militari serbi e basta, raccontarli ora avrebbe
voluto dire superare ogni semplificazione manichea fin lì utilizzata a man
bassa negli anni precedenti e riconoscere così la diversità di un “assedio”
che vedeva più di un terzo degli abitanti della città partecipare all’assedio
degli altri due terzi. Scoprendo magari la scarsa vocazione alla multi-
etnicità della leadership musulmana al potere a Sarajevo che fin dal
febbraio-marzo 1992 aveva voluto a tutti i costi un referendum
sull’indipendenza della Bosnia Erzegovina contro il parere della
“minoranza serba” (il 36% della popolazione) che poi non partecipò al
voto.
L’assedio di Sarajevo, come l’assedio dei cinque anni di guerra nella ex
Jugoslavia, è stato quello subito dalle
coscienze multi-etnìche ancora, nonostante tutto, jugoslave e bosniache
unitarie, tenute in ostaggio da tutte le oligarchie nazionaliste armate, serbe,
croate e musulmane. Di questo “assedio” quasi nessuno ha parlato.
Così, nei confronti dei profughi in fuga dalla Krajina molti hanno
pensato soltanto “Ben gli sta!”. Ha scritto Alexander Cockburn su The
Nation nell’ottobre 1995: «Quando i musulmani di Bosnia vengono
bombardati, strappati dalle loro case o assassinati, il mondo piange. Quando
sono i serbi ad essere cacciati dalle loro case o trovati con la gola tagliata,
gli occhi restano asciutti. Quando i serbi fanno pulizia etnica è genocidio.
Quando sono i serbi a esser ripuliti è silenzio — o il grido di giubilo che
finalmente è toccato a loro. I bombardamenti della Nato hanno dato a
William Pfaff, che scrive sul Los Angeles Times, un “giustificato sollievo e
perfino un vendicativo piacere”. Il suo pezzo era intitolato “I serbi se la
sono voluta”. Due anni di propaganda —
spesso ai confini della demenza — in favore dei musulmani bosniaci e
dei loro alleati croati stanno maturando i loro frutti. La più grande
operazione di pulizia etnica di tutta la guerra, l’espulsione dei serbi dalla
Krajina da parte dei croati, è un argomento praticamente ignorato da tutti i
notiziari americani».
Alexander Cockburn scrive nell’ottobre 1995, i bombardamenti Nato di
cui parla 3agina p
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saranno quelli massicci della “guerra dell’Alleanza Atlantica” ai serbi di
Bosnia che nel settembre del 1995 vede più di 3.500 incursioni aeree sui
territori serbo-bosniaci e 1.000 azioni di bombardamento, più che nella
guerra del Golfo. Dunque ha fatto scuola il bombardamento mascherato dei
due aerei Nato che il 4 agosto del 1995, solo un mese prima, hanno distrutto
i radar di Knin capitale della Krajina aprendo così la strada al massiccio
protagonismo
“pacifista” dei bombardieri “intelligenti” dell’Alleanza Atlantica, alla
sua prima missione di guerra con tanto di partecipazione di uno stormo
aereo della Luftwaffe tedesca — a render chiaro il messaggio di
“revisionismo storico”
attivo. Qualcuno ha mai saputo nulla delle stragi causate tra i civili da
quei bombardieri occidentali?
Ma quei contadini serbi in fuga dalla Krajina sono solo colpevoli di aver
tentato di non finire come i serbi di Zagabria, e di Zara, cacciati, picchiati,
vessati in ogni modo. È vero, anche loro hanno espulso la loro minoranza,
quella croata. Ma non portano responsabilità dirette per quello che succede
in Bosnia; fanno parte della più grande diaspora serba, elemento ambiguo
ma costitutivo della vecchia Jugoslavia che poi, grazie anche ai
riconoscimenti delle indipendenze voluti dall’Europa e dagli Stati Uniti che
hanno trasformato i confini interni amministrativi della Federazione
Jugoslava in altrettante frontiere tra stati, e grazie anche alla nascita di stati
su base etnica (Slovenia, Croazia) che negano i diritti delle minoranze, sono
stati gettati nelle braccia del pernicioso nazionalismo serbo di Slobodan
Milosevic —
pronto a usarli, se necessario, come merce di scambio con il suo
omologo Tudjman
— e dei più accesi oltranzisti. Eppure l’Occidente gioisce della loro
disperazione: da questa prima sconfitta serba si avvia, dicono, la svolta in
Bosnia. Da questa tragedia di guerra fiorirà la “pace”; i profughi entrando in
Bosnia in fuga verranno infatti inseguiti dalle truppe croate che lì si
ricongiungeranno al 5° corpo del generale musulmano Dudakovic
responsabile di
“strategiche” cannonate sulle colonne dei profughi serbi di Krajina e
Bosnia.
Tutto questo sarebbe stato ignorato se coraggiosi e sconosciuti fotografi
o abili cameramen di agenzie e tv indipendenti (o di unico e assoluto valore
come la Bbc) non avessero testimoniato questo dramma, spesso in assenza
della figura professionale del “giornalista inviato” che aveva ben altro da
fare…
Ora il libro di Giacomo Scotti restituisce la voce o da nome ai disperati
che raccontano in prima persona quei drammi, svela i retroscena, fa parlare
anche qualche militare croato della “Tempesta” inorridito da tanto bagno di
sangue, elenca le atrocità ormai confermate all’inizio di agosto 1996 da
Elizabeth Rehn, la responsabile dell’Onu per i diritti umani, organismo del
quale fino alla tragedia musulmana di Srbrenica ad opera dei serbi era a
capo Tadeuz Mazovviotcki. Elisabeth Rehn che è tornata a verificare la
situazione di “tabula rasa” provocata in Krajina dalle truppe croate — e
certo non è una fonte di parte, impegnata com’è a denunciare molte stragi
anti-musulmane ad opera dei serbi di Bosnia — denunciando la «realtà di
inaudite vessazioni a cui sono sottoposti i serbi rimasti in Krajina» ha avuto
anche il merito di smentire una delle più ridicole e malvagie interpretazioni
dei fatti ad opera del regime di Zagabria. «Potevano restare, nessuno li ha
cacciati… », era la cantilena che ripetevano i media ufficiali croati e
qualche “tuttologo” nostrano. Già! Secondo le testimonianze raccolte dalla
Rehn, potevano restare ad essere sgozzati, o denudati in pubblico, bastonati
o presi a sassate, dati in pasto ai cani o lasciati senza cibo, stuprati, fatti a
pezzi con gli animali da cortile o mostrati al ludibrio di comitive di gitanti
zagabresi, (e tedeschi), in visita nei territori riconquistati “alla patria
croata”. Questo infatti è accaduto a chi, anziano per lo più, ha avuto la
ventura di rimanere.
Eppure in terra croata il coraggio della denuncia non viene meno. Così
come è vasta e diffusa la stanchezza per il clima di mobilitazione bellico
continuo: le elezioni della fine del 1995, fatte a bella posta subito dopo la
vittoria in Krajina, hanno dimostrato che Tudjman può stravincere sui
campi di battaglia con le armi dell’Occidente, ma non stravince in
democrazia e rappresentatività popolare, nonostante tutto, e non basta più
probabilmente il miraggio di una nuova vittoria militare, magari contro i
serbi della croata Slavonia orientale.
Ora il Comitato di Helsinki per i diritti umani di Zagabria, proprio ad un
anno dalla grande pulizia etnica della Krajina, nei giorni dell’anniversario
della
“Tempesta” celebrato con retorica e bandiere a scacchi al vento dal
regime croato, ha chiesto al Tribunale dell’Aja la messa sotto accusa per
“crimini di guerra” dell’alleato dell’Occidente, il presidente Franjo
Tudjman, proprio per i massacri commessi con l’Operazione Tempesta
dell’agosto 1995.
Così il libro di Giacomo Scotti potrebbe essere considerato anche come
una lunga 4agina p
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“lettera aperta” ai giudici del Tribunale dell’Aja che si vogliono “al di
sopra delle parti” ma che finora non hanno battuto ciglio di fronte alle
promozioni sul campo di molti criminali di guerra croati da parte del regime
di Zagabria.
Hanno incriminato giustamente Milan Martic, presidente della Krajina
serba, per il lancio di missili su Zagabria che provocarono sei vittime civili
nel maggio del 1995, ma dimenticando che vennero lanciati in risposta
all’offensiva croata contro la Slavonia occidentale del 1°maggio, che
provocò — secondo l’Onu — 600
vittime tra civili e civili in armi e 12.000 profughi serbi, molti feriti
anche tra i Caschi Blu messi in fuga dall’avanzata croata che spazzò via le
loro postazioni sulla linea del fuoco; senza dimenticare la profanazione
dell’occupazione militare e della devastazione del Mausoleo di Jasenovac,
il lager dove il regime fascista di Ante Pavelic, alleato del
nazifascismo,sterminò 600.000 serbi, 40.000 ebrei e decine di migliaia di
zingari. Ora Tudjman vuol farlo diventare «mausoleo di tutte le vittime
della II guerra mondiale, partigiani e ustascia». Un revisionismo pericoloso,
ma alleato, contro il quale protesta, sommessamente, la comunità ebraica di
Zagabria e invece alza la voce il Museo dell’Olocausto, lo Yad Vashem di
Tel Aviv, ma verso il quale le capitali “multietniche”occidentali tacciono
bellamente.
Dunque niente per i morti della Slavonia occidentale. Come niente per
quelli della Sacca di Medak — regione serba in territorio croato a 80
chilometri da Knin — attaccata il 9 settembre 1993 dalle truppe scelte di
Zagabria, che entrarono a sorpresa nella vallata e rasero al suolo i villaggi
di Medak, Citluk, Srnici, Vojinovici, Radakovici, Pocitelj, Divoselo,
uccidendo più di 160
civili, donne, anziani e bambini: anche allora il contingente polacco
dell’Onu venne preso a cannonate e fu costretto alla fuga, anche allora
arrivò in ottobre solo la “sentita protesta” di Tadeuz Mazowietcki dopo che
un rapporto della polizia civile dell’Onu aveva constatato dettagliatamente
gli eccidi della popolazione civile. Il rapporto arrivò sul tavolo della
Commissione sanzioni del Consiglio di Sicurezza che doveva riunirsi il 15
settembre: votò invece soltanto la conferma dell’embargo a Belgrado, e
basta.
Così come niente per quelli della Krajina in Tempesta. Non risulta
incriminato un solo leader o militare croato. Perché?
Tanti sono gli elementi decisivi mancanti perché, dopo cinque anni di
distruzioni, si torni a parlare davvero di pace nell’ex Jugoslavia. L’incerto
futuro dei profughi che per la maggior parte non ritorneranno mai più nei
territori dove vivevano; la difficoltà di spostamento in regioni che Dayton
conferma tagliati etnicamente quanto irrazionalmente; lo scarso peso delle
reali opposizioni al nazionalismo e alla guerra e la debolezza dei pochissimi
media indipendenti; il disarmo effettivo mentre l’Onu addirittura ha
cancellato ormai l’embargo sulle armi e tutti sembrano pronti ad una nuova
guerra; la condanna di
“tutti” i criminali; la difficile, quasi impossibile equità delle elezioni in
Bosnia Erzegovina (valga l’esperienza di Mostar, tutt’altro che sanata), che
comunque si avviano negativamente a confermare ovunque le leadership
nazionaliste che hanno voluto e alimentato la guerra, la distribuzione
secondo giustizia degli aiuti per la ricostruzione e la nuova subalternitàal
Fondo Monetario Internazionale che prima ricattava la Federazione
Jugoslava e ora fa il muso duro con gli staterelli nati dalla sua
frantumazione ben eterodiretta e architettata; una lingua unitaria e
multietnica frantumata in improbabili invenzioni sotto-dialettali. Tanti gli
impedimenti alla pace, troppe le cose ancora da conquistare. Ma una su
tutte può bloccare davvero il reinnesco di odi e vendette e il vittimismo che
torna a covare: la verità. Senza verità, senza la ricerca della verità, non sarà
possibile alcun processo reale di pacificazione nei Balcani devastati. Il libro
di Giacomo Scotti in questo senso è davvero un altissimo contributo alla
pace.
Tommaso Di Francesco
Introduzione
DOSSIER KRAJINA
Fra le ore 5.00 del mattino del 4 agosto e le ore 18.00 del 7 agosto 1995,
con un’operazione denominata “Tempesta” e l’impiego di oltre 150.000
uomini, l’esercito croato dilaga nei territori della cosiddetta “Repubblica
serba di Krajina” occupandoli. Liquida così, nel giro di poco più di 80 ore,
lo staterello secessionista nato nel 1991 in seguito alla rivolta contro il
governo nazionalista di Zagabria delle popolazioni serbe che abitavano le
regioni croate della Lika, Kordun e Banija. Al tempo stesso ripulisce quel
territorio dall’intera popolazione che, in interminabili colonne, abbandona
case ed ogni avere per raggiungere la Bosnia e la Serbia. Il movimento dei
profughi, 5agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
calcolati in 200-300.000, dura una decina di giorni.
I massmedia di tutto il mondo seguono giorno per giorno quegli eventi
drammatici e sanguinosi, le operazioni belliche e la tragedia dei profughi
serbi, alla quale fa seguito per ritorsione la cacciata delle popolazioni croate
e musulmane dalla regione di BanjaLuka, nella Bosnia sotto il controllo
serbo.
Poi l’interesse cessa, la Krajina non fa più notizia.
Che cosa sia successo ai profughi, che cosa sia successo alla “Krajina”
liberata, ovvero rioccupata dai croati, non ha interessato più di tanto le
redazioni dei giornali e degli studi radiotelevisivi occidentali. Le pagine che
seguono riempiono quel vuoto. In esse, sotto forma di diario, viene
presentato un dossier su quello di cui hanno poco scritto o taciuto i giornali
occidentali, su ciò che è successo dall‘8 agosto in poi sui 10.000 e più
chilometri quadrati della Krajina, che formano il 22% del territorio della
Croazia, un territorio reso deserto dall’Operazione Tempesta e dagli altri
“temporali” abbattutisi su quelle terre dalle quali è stata estirpata una
popolazione che ci viveva da cinque secoli.
La stessa cosa è avvenuta nei territori della Bosnia occidentale
confinanti con la Croazia nei quali, alcuni giorni prima dell’operazione in
Krajina, sono penetrate le truppe croate cacciando i serbi da Glamoc, da
Bosansko Grahovo e da altri territori, contribuendo inoltre alla rottura del
lungo assedio serbo alla “sacca di Bihac” ed alla liquidazione della
repubblica di Fikret Abdic (musulmani dissidenti) con capoluogo Velika
Kladusa.
Questo diario è stato scritto per conservare la memoria di crimini taciuti
ignoti che hanno avuto per teatro territori sui quali non sono più puntati i
riflettori internazionali.
A riflettori spenti, si sono scatenati gli incendiari, i saccheggiatori, gli
assassini. Potevano essere nascoste all’opinione pubblica queste atrocità
commesse a sangue freddo?
Ma non si tratta soltanto di presentare dei fatti. Abbiamo voluto
soprattutto fornire documenti che permettano di rendere meno vaghe e
astratte le notizie, più concreti i fatti e più comprensibili i motivi. Così
domani certa gente non potrà far finta di non sapere, di non conoscere la
verità, e non potrà dire di non sentirsi colpevole per non aver saputo.
Si dice che la vittoriosa operazione dell’esercito croato ha provocato
una svolta decisiva nella guerra che da quasi cinque anni insanguina l’ex
Jugoslavia, riuscendo a mettere in moto la macchina diplomatica e militare
dell’Onu e della Nato che da troppo tempo era inceppata e inefficiente. Così
il plauso per questa “prova di risolutezza” ha coperto i nuovi crimini
commessi in Krajina. Non si può infatti fare finta di ignorare che le
vendette, le deportazioni, gli incendi e i saccheggi immani, le fosse comuni
e le pulizie etniche continuano a susseguirsi «con un continuo scambio di
ruoli fra persecutori e perseguitati», come dice Indro Montanelli. Oppure
l’Occidente, schierato con l’interlocutore privilegiato, il presidente croato
Franjo Tudjman, è felice di non averne più notizia?
Indice
Comincia l’inferno
Non si fanno prigionieri 22 agosto
Isolati casi di saccheggio 23 agosto
Assalto alla bandiera italiana 24 agosto
Fobie e mano nera 26 agosto
Esodi umanitari 28 agosto
Droga per uccidere 30 agosto
Un dossier sui diritti umani 31 agosto
Le chiese e le bandiere 1° settembre
Colonizzazione al via 3 settembre
Il fantasma di Hitler 4 settembre
Minoranze e diritti umani 5 settembre
Il nazionalismo radicale 6 settembre
A Knin nel fetore dell’eccidio 7 settembre
Nuova frontiera e vecchie menzogne 8 settembre Lettere di solidarietà 9
settembre
Ladri e incendiari
Un genocidio programmato
I vescovi e il regime
6agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
Dai serbi agli italiani
Altre ondate di profughi
Un esodo gigantesco
La minaccia del militarismo
“Ci manca solo la fascia gialla”
Continua la grande fuga
Menzogne e manganello
Uno stato di criminali
La revisione della storia: ustascia e partigiani Un saccheggio senza fine
La Croazia fino alla Drina
Condannati all’esilio
Tudjman il civilizzatore
10 settembre
11 settembre
12 settembre
13 settembre
14 settembre
15 settembre
16 settembre
17 settembre
18 settembre
19 settembre
20 settembre
21 settembre
22 settembre
23 settembre
24 settembre
25 settembre
Il massacro dei francescani 26 settembre
Per i serbi non c’è ritorno 27 settembre
“Fuori o ti sgozzo” 28 settembre
Nel girone dei negletti 29 settembre
“Il serbo: buono solo se è morto” 30 settembre Un colpo alla nuca 1°
ottobre
Il massacro di Varivode 2 ottobre
Sulla soglia di casa 3 ottobre
Orgia di sangue 4 ottobre
Cessate il fuoco? 5 ottobre
Mappa di un disastro
Quasi un’appendice
La miccia di Mostar 8 novembre
Tudjman premia i criminali di guerra 16 novembre Bottino di guerra 4
dicembre
Macerie invece di città 13 dicembre
Bosnia divina: una e trina 14 dicembre
Promesse non mantenute 18 dicembre
Packracka Poljana, Medak e altri massacri ignorati 2 gennaio 1996
Non fumano i camini 4, 6, 7, 8 gennaio
Governi e lobby criminali 9, 11, 12 gennaio
Aguzzini e vittime 15 e 16 gennaio
La banda di Boban 17 gennaio
La guerra dell’Usora 18 gennaio
Una bibbia e Goldstone 25, 27, 28 gennaio
Mostar 30 gennaio
La colpa di vivere con i serbi 2, 3, 4 febbraio L’Europa non abita più qui
7, 9, 14 febbraio Croazia, Operazione Tempesta
COMINCIA L’INFERNO
ALCUNI FATTI DIMENTICATI
Da un rapporto della missione dell’Onu in Croazia traduco e sintetizzo
in ordine cronologico i documenti relativi ad una serie di violazioni dei
diritti umani commesse dalle truppe croate nel corso dell’operazione per la
riconquista della 7agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
Krajina (4-8 agosto) e nei giorni successivi.
5 agosto A Knin appena occupata, mentre vengono trasportati
all’ospedale,
i corpi di alcuni soldati serbi uccisi in combattimento vengono estratti
dai sacchi di plastica e mutilati. Un reparto croato apre il fuoco sul posto di
osservazione del battaglione ceco dell’Uncro: cinque Caschi Blu restano
feriti.
La loro evacuazione viene impedita, per cui due soldati dell’Onu
muoiono per un’emorragia.
Le forze croate bombardano con i mortai una colonna di civili serbi in
fuga sulla strada fra Glina e Dvor. In tre minuti esplodono sei granate che
uccidono quattro persone e ne feriscono 10.
6 agosto Diciassette Caschi Blu (7 indonesiani, 5 danesi, 3 giordani e 3
ucraini del quartier generale dell’Unero) sono presi in ostaggio dall’esercito
serbo a Topusko. Soldati croati della brigata “Puma” si danno al saccheggio
a Knin. Sulla strada Drnis-Knin i Caschi Blu rinvengono i cadaveri di
quattro civili massacrati.
A Korenica soldati croati entrano nella sede del battaglione ceco
portandosi via con la forza due giovani civili serbi che vi hanno ottenuto
asilo.
A Gracac le truppe croate si danno al saccheggio delle abitazioni: tutte
le case vengono parzialmente distrutte, cinque vengono completamente
demolite, sei vengono date alle fiamme. Viene incendiato anche l’edificio in
cui hanno sede gli uffici e le abitazioni degli osservatori militari dell’Onu.
A Knin una casa nei pressi delle caserme viene fatta saltare in aria con
l’esplosivo. Quattro case nel centro della città vengono date alle fiamme.
Una casa distante 50 metri dalla sede dei Caschi Blu viene saccheggiata dai
soldati croati.
A Vrbnik si registrano esplosioni e incendi: l’intero villaggio brucia.
A Rastevic un soldato croato saccheggia una casa di fronte
all’accampamento del battaglione canadese.
7 agosto A Dvor nove civili handicappati serbi vengono massacrati da
uomini armati in uniforme (croati e bosniaco-musulmani).
In località Ceranje Donje sono entrate le truppe croate: tutte le case
vengono saccheggiate, cinque incendiate. Incendiata una casa a Miranje,
incendiate due case a Dagodnja.
A Knin altre due case date alle fiamme; è in corso il saccheggio di tutte
le abitazioni. Oltre a impossessarsi degli oggetti di valore trovati, i soldati
rubano gran parte delle automobili civili che stanno nelle strade, comprese
quelle che si trovano davanti alla sede dell’Orni {Phaó). Saccheggiato
anche il punto di osservazione Sc-43-Gd dell’ Uncro.
A Gracac saccheggiata e data alle fiamme la sede degli osservatori
militari dell’Orni. Nella medesima località la polizia croata ha raccolto e
caricato su grandi automezzi il bestiame dei contadini serbi. La polizia
croata ha aggredito i Caschi Blu del battaglione keniota, cercando di
disarmarli e di trascinarli a Sebenico. Dopo trattative, sono stati rilasciati.
8 agosto A Slunj viene incendiata la sede del CivPol dell’Orni. I
poliziotti croati hanno rubato dalla sede tutte le attrezzature, saccheggiando
inoltre l’Ufficio per gli Affari Umanitari e Politici dell’Orni.
A Knin l’interprete dell’Onu è stato preso a schiaffi e minacciato di
morte dai soldati croati. Un altro interprete e due funzionari dell’Onu sono
stati tenuti prigionieri per
due ore e maltrattati. Tre case sono state fatte saltare in aria. Le
abitazioni degli osservatori dell’Orni sono state totalmente saccheggiate dai
soldati croati che continuano a girare per la città ubriacandosi e incendiando
le case.
La polizia croata ha sorvegliato l’opera di saccheggio delle case e del
bestiame compiuto da gruppi di persone lungo la strada fra Drnis e Pakovo
Selo.
A Surle e Sovilji bruciano le case.
Gli osservatori dell’Orni constatano che la loro sede a Pod-konje è stata
saccheggiata e svuotata di tutte le apparecchiature.
9 agosto Civili, poliziotti e soldati croati assalgono un convoglio di
profughi serbi a sud di Sisak.
Trentacinque case in fiamme tra Knin e Kosovo. Altrettante appaiono
distrutte e annerite dal fumo, bruciate nei giorni precedenti.
Truppe croate saccheggiano e incendiano le case a Kistanje.
Sulla strada Knin-Drnis sei case in fiamme. Dalla strada si vedono
colonne di fumo alzarsi da case sparse nei campi.
8agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
Fra Kacma e Polaca trovato il cadavere di un uomo di circa 65 anni
ucciso con cinque colpi alla schiena, due sul sedere, uno alla nuca.
Venticinque minuti prima del ritrovamento del cadavere, l’uomo è stato
visto vivo, controllato a vista dalla polizia croata che lo ha anche
fotografato nei pressi del luogo in cui è stato poi ammazzato.
10 agosto Sulla strada Knin-Drnis 40 case in fiamme. Bruciano anche i
campi di grano. Soldati croati su due camion si aggirano nella zona con
bidoni di benzina e accette. A Drnis bruciano numerose case.
A Srb la polizia croata va saccheggiando le case.
A Oklaj numerosi gruppi di soldati croati e croato-bosniaci sono
impegnati a saccheggiare la cittadina; gran parte delle case brucia.
A Knin una colonna dell’esercito croato è passata davanti alla sede
dell’Onu sparando raffiche con armi automatiche; una raffica è penetrata
all’interno dell’accampamento del battaglione canadese.
A Knin i soldati croati, dopo aver tolto le targhe a tutte le automobili
trovate abbandonate per le vie, se ne sono impossessati e vanno
scorrazzando su quelle.
Tutti i negozi sono stati saccheggiati.
10-11 agosto Durante la notte sono state date alle fiamme le case dei
villaggi di Lunici, Ruzici, Djitici, Kuci, Krikici, Treskavica, Civljane e della
cittadina di Donji Lapac.
11 agosto A Glina saccheggiati i negozi.
A Gracac è stata trovata in fin di vita una donna sugli 80 anni. Due
giorni fa è stata fucilata da breve distanza: un proiettile ha attraversato la
guancia destra, un altro si è schiacciato sul cranio senza perforarlo. È stata
soccorsa da una squadra medica indonesiana.
Due villaggi, posti al bivio Plaski-Otocac, sono stati saccheggiati e in
gran parte distrutti. Sui muri delle case hanno lasciato il loro biglietto da
visita (scritte ed emblemi) i soldati della 1ª brigata “Tigrovi” e della 119ª
brigata dell’esercito croato.
Una casa in fiamme a Grabovac.
A Civiljane continuano i saccheggi. Truppe croate e delle forze speciali
di polizia penetrano nelle case.
A Kistanje e Dvrske si nota una forte presenza di truppe croate. Le due
cittadine sono state quasi completamente incendiate.
Soldati dell’esercito croato e civili arrivati da Bihac in Bosnia sono
impegnati a saccheggiare la città di Otocac.
Bruciano alcune case lungo la strada di Sinj.
A Podkonje un’altra casa viene data alle fiamme.
Sul tragitto da Knin a Strmica continua il saccheggio delle case.
Continuano ad essere incendiate le case della città di Otocac.
Nuove case in fiamme a Knin, Benkovac e Rastevic.
A Donji Lapac i soldati croati perquisiscono e saccheggiano le case. Il
95%
della città è stata distrutta. Le case risparmiate sono state occupate da
ufficiali dell’esercito croato e della polizia militare.
12 agosto A Cetina, soldati croati armati di fucili e di scuri vanno di
casa in casa appiccando il fuoco. Un osservatore militare dell’Onu è stato
arrestato e trattenuto nella stazione di polizia di Vrlika per due ore.
A Deringaj (84 Km da Knin) sono stati registrati 15 incendi.
A Knin, in una casa, sono stati fucilati due uomini di 65 e 90 anni. La
morte risale a sette giorni fa, quando i soldati croati sono entrati
nell’abitazione saccheggiandola.
Nei dintorni di Sebenico alcune case continuano a bruciare.
Nei pressi di Donji Lapac, gli osservatori militari dell’Onu sentono una
raffica in direzione del villaggio di Neteka dove, 10 minuti prima, si sono
diretti alcuni soldati croati. Giunti sul posto, gli osservatori trovano il
cadavere di un giovane sui 25-30 anni, in abiti civili, colpito in più parti del
corpo, dalle gambe alla nuca.
Due edifici in fiamme nel settore di Udbina; una casa in fiamme e
Brocanac.
13 agosto Soldati del 5° corpo di armata bosniaco-musulmano e civili
sono visti saccheggiare la località di Ostojici nel distretto di Glina. La roba
saccheggiata viene trasportata in Bosnia su camion e carriole.
Tra Glina e Zirovac si registrano saccheggi su vasta scala; vengono
distrutti camion, trattori e automobili abbandonati dai serbi. Numerose le
case incendiate.
A Vrginmost incendiate cinque case.
Dalla vallata di Benkovac si levano 10 colonne di fumo. Giungono
notizie di 9agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
nuovi incendi di case a Kistanje e dintorni. A Donji Lapac il 60% delle
case è distrutto.
14 agosto Pattuglie di osservatori militari dell’Onu sorprendono a
Kistanje alcuni civili che danno fuoco alle case. Squadre operative per i
diritti civili informano che le cittadine di Kistanje, Dverske e Otric sono
completamente avvolte dalle fiamme: almeno 200 case bruciano in
quest’area. A Kistanje le fiamme hanno divorato il 90% delle case.
Kistanje, pomeriggio: autorità civili croate con in mano mappe catastali,
indicano alcune case ancora intatte. Tre ore dopo anche quelle case sono in
fiamme.
A Rudele una casa in fiamme.
A M. Plancinik, due trattori trascinano altrettanti rimorchi carichi di
oggetti saccheggiati. Vanno in direzione di Benkovac.
Squadre operative per i diritti civili (Hrat) informano da Donji Lapac:
visti poliziotti e soldati croati fermi intorno al corpo di un uomo in abiti
civili.
L’uomo è stato freddato con un colpo alla nuca.
15 agosto A Dvor la maggior parte delle case è stata bruciata o in altro
modo distrutta.
Nove case in fiamme a Zrmanja e Vrelo; una casa in fiamme a Vugonje;
due case in fiamme a Karin Slava; due case in fiamme a Benkovac.
A Gracac la polizia civile dell’Onu scopre fosse scavate da poco nella
parte del cimitero rivolta al Velebit. Sono state contate 22 fosse, ciascuna
profonda 50, larga 80 e lunga 200 centimetri.
A Benkovac, Otric e Drnis altre case in fiamme.
16 agosto A Blinja vengono saccheggiate le case.
A Gracac, mentre i poliziotti dell’ Uncipol ispezionano il cimitero
ortodosso, vengono sparati contro di loro cinque colpi di fucile dalla parte
del Velebit.
Gli osservatori dell’Onu segnalano numerose case in fiamme a
Komalic, Kistanje, Bakarija, Vrhovine, Banjeglavi e Mandic. A Koslovac è
stata vista una grossa pattuglia di soldati croati che, girando per la località a
bordo di un camion civile, saccheggiavano le case.
Squadre operative per i diritti civili in osservazione lungo le strade
segnalano che numerose case stanno bruciando a Padjene, Jovici, Otocac e
Drnis. In queste località sono stati visti soldati dell’esercito croato.
Il comando dell’esercito croato accusa gli osservatori del-POnu e una
squadra di cineoperatori di aver appiccato il fuoco ad una casa a Jovici. La
squadra televisiva della Wtn, accreditata presso le forze di pace dell’Onu in
Croazia, ha tentato in realtà di riprendere la scena di una casa in fiamme;
sette soldati croati hanno arrestato gli operatori, confiscando le
videocassette, rubando 1.000 marchi tedeschi
uccidendo il cagnolino mascotte dell’equipe televisiva. L’episodio è
avvenuto nei pressi di Drnis.
A Zagrovic sono stati rinvenuti i corpi di quattro uomini, la cui morte
risale a una settimana addietro, con addosso soltanto le mutande e le
canottiere.
Risultano uccisi con un colpo alla nuca.
17 agosto Due case sono state incendiate a Tusilovic. In tutta l’area di
Slunj vengono saccheggiate le case. Nel centro di Slunj gruppi di soldati
vanno appiccando il fuoco alle case.
Dal punto di osservazione del battaglione ucraino viene segnalato: un
soldato della cosiddetta Repubblica serba di Krajina è stato fucilato, il suo
corpo è stato cosparso di benzina e dato alle fiamme.
Golubic: 20 case avvolte dalle fiamme; altre due a Rodo-polje
altrettante a Kolarina.
A Knin, nel centro cittadino, a 200 metri dalla nuova sede degli
osservatori militari dell’Orni, viene appiccato il fuoco a una casa.
18 agosto Osservatori militari dell’Orni segnalano: una casa in fiamme
a Korenica, 10 a Velika Kopina. In quest’ultima località gli incendiari
agiscono in presenza dei soldati che, all’arrivo della jeep degli osservatori,
la danneggiano colpendo la carrozzeria col calcio dei fucili.
A Bribirska Giava tre soldati croati vengono sorpresi a saccheggiare le
case.
Appiccano poi il fuoco a cinque abitazioni.
Nel villaggio di Morpolaca, dintorni di Sebenico, gli osservatori
contano 21
case di recente distrutte dalle fiamme. Nella medesima area, nel
villaggio di Zazvic, contano altre 20 case di recente incendiate. Gruppi di
civili vengono sorpresi a saccheggiare le altre abitazioni. Sono civili anche i
saccheggiatori sorpresi a saccheggiare le case di Kozlovac, nell’area di
Zara-Benkovac.
19 agosto Gli osservatori militari dell’Onu riescono a raggiungere in
10agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
giornata le località di Kaldrma, Kistanje, Vacani, Siroka Kula, Serdari e
Stenjajica registrando quanto segue: l’intero villaggio di Kaldrma è distrutto
dal fuoco, eccetto una casa
davanti alla quale sono stati visti quattro poliziotti e un civile. Un’ora
più tardi anche quell’unica casa è stata data alle fiamme.
Altre case, in giornata, bruciano a Kistanje (1), Vacani (1),
Serdari (3), Siroka Kula (3). In quest’ultimo villaggio le
case non distrutte dal fuoco sono state saccheggiate. Nel paese sono
stati visti 30 soldati croati.
A Stenjajica sono stati visti soldati penetrare nelle case.
« Uno di essi ha lanciato una granata all’interno di un’abitazione.
Fra Topusko e Grabovac otto case sono state incendiate di recente.
20 agosto Due case incendiate a Srb e otto a Suknovci. L’intero
villaggio
di Bobodol, una cinquantina di case, è avvolto dalle fiamme.
Case in fiamme anche a Cupici, a Palanka, Bibici, Cenic, Potkosa e
Manovac. Qui sono stati visti girare per le case otto soldati giunti a bordo di
un camion. A Cenic è stato razziato il bestiame e sono stati portati via dalle
case elettrodomestici ed altri impianti sotto la sorveglianza della polizia. A
Podkonje quattro soldati hanno saccheggiato le case poste immediatamente
alle spalle della sede degli osservatori militari dell’Orni.
21 agosto Gli osservatori militari dell’Onu nel settore nord della Krajina
constatano che a Roknica, dove non ci sono stati combattimenti, il 90%
delle case, stalle e fienili sono stati incendiati.
Nel settore sud nuove case sono state incendiate oggi a Brtonja
Zagradina, Gornje Mìranje, Orce, Pravic, Kozlo-vac, Benkovac e Karin
Slana…
NON SI FANNO PRIGIONIERI
22 AGOSTO
Due bambini sono stati uccisi a Cazin sotto un bombardamento dei serbi
che ha fatto 10 morti. Altre due bambine erano state uccise due giorni fa,
domenica.
Siamo nella zona di Bihac. C’è tutto uno stillicidio di bombardamenti
serbi in queste ore: su Osijek, in Slavonia, su Sarajevo, sulla regione di
Ragusa (Dubrovnik).
Assolutamente digiuno di tattica e strategia militari, non capisco la
ragione per cui quei criminali di Mladic e Karadzic martellino con tanta
tenacia Sarajevo ed altre città. Se non le conquistano, che cosa ottengono
oltre 4
nominare la morte di tanti innocenti? Mi pare, tutto sommato, una gran
vigliaccata. E, comunque, con questi bombardamenti i capi serbi non fanno
che suicidarsi. Oltre a gettare fango sul loro popolo. E hanno ottenuto un
risultato, quello di rendere un grande servizio agli estremisti croati ed ai
fondamentalisti bosniaco-musulmani nelle cui teste si è fatta sempre più
strada la medesima idea degli estremisti serbi: l’idea dei territori
etnicamente puliti. Due radicalismi si sono reciprocamente nutriti di odio,
venendosi a trovare sulle medesime posizioni.
Sono arrivati a 13.000, oggi, i fuggiaschi dalla regione della Banja Luka
riparati in Croazia.
Nell’ex Krajina croata, invece, su 250.000 serbi ne sono rimasti poco
più di 2-3.000, quasi tutti anziani. Hanno deciso di andarsene anche molti I»
quelli che si sono rifugiati nella caserma dell’Onu di Knin, poco più di 800
Di questi ne partiranno 627, gli altri resteranno: 60 perché vogliono ture
nella propria terra; 54 perché furono abbandonati ammalati negli ospedali e
tuttora sono ricoverati, e non saprebbero dove andare; altri 60
sono bloccati dalle autorità croate che li accusano di crimini di guerra e
rivolta armata. I serbi della Krajina fuggiti hanno trovato rifugio in Bosnia
(regione di Banja Luka), nella Vojvodine ed a Belgrado. Nel territorio
dell’ex Jugoslavia si trovano oltre tre milioni di profughi, un milione e
mezzo hanno trovato ospitalità all’estero.
Dal governo di Zagabria ancora non viene fornito il numero dei soldati
serbi uccisi (saranno ufficialmente 600 per il governo croato)
nell’Operazione Tempesta perché, ha detto il generale croato Cermak, «di
giorno in giorno 11agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
vengono trovati nuovi cadaveri nei boschi, dei quali il 10% sono civili».
Il più grosso problema è la raccolta del bestiame abbandonato dalla
popolazione durante la fuga. Nel rastrellamento dei boschi nessun “ribelle”
viene catturato vivo.
Non si fanno prigionieri.
Ed ora la storia di una serba di 95 anni di Licki Osik, nella Lika, non
lontano da Ogulin. La Lika, “la più serba” delle regioni che formavano lo
staterello della Krajina, è terra deserta, terra bruciata. Cognomi e casate
secolari non hanno più alcun valore, sono scomparsi, bruciati insieme agli
album di fotografie, alle lettere, agli abiti, ai mobili e ai muri anneriti delle
case.
Licki Osik, nella Lika, era “il paese più serbo” di questa regione serba
della Croazia, dove i serbi rimasti si contano sulle dita. A Licki Osik l’unico
fabbricato rimasto intatto è una grande fabbrica di armi che darà,
prossimamente, lavoro a 1.300 croati, spiegano gli ufficiali dell’Ufficio
Politico del Ministero della Difesa croato, incaricati di fare da ciceroni ai
giornalisti nazionali e stranieri in visita nella regione. Due domande restano
senza risposta. Perché gli ufficiali serbi dell’ex Krajina hanno lasciato al
“nemico” questa fabbrica senza seminarvi nemmeno uno dei tanti
ordigni esplosivi che invece i genieri dell’esercito croato vanno cercando
tra i palazzòni stile anni ‘60 semicrollati della cittadina? Perché le artiglierie
croate non l’hanno mai presa di mira?
L’unico abitante di Licki Osik rimasto sul territorio del comune è Nonna
Knezevic. Non rivela nemmeno il nome, «l’importante è la casata», dice. La
stirpe dei Knezevic, spiega, aveva qui radici da secoli. Per ora le autorità
croate non sanno dove mandare questa donna nata nel 1900, abbandonata al
suo destino nella solitudine di una vecchia casa di legno vuota. Né lei
saprebbe vivere lontana da questa casa, nella quale è nata.
Licki Osik aveva, ed ha ancora, due monumenti: uno eretto a Tito e
l’altro all’eroe della Resistenza Marko Oreskovic. Nella II guerra mondiale
Licki Osik era interamente schierato con Tito e con i partigiani. Ora,
completamente bruciato e deserto, è un paese che attende di riavere una
popolazione dalla ripresa della produzione di una fabbrica di armi. La
popolazione nuova che verrà, non più di stirpe serba, lascerà in piedi i
monumenti? E fino a quando vivrà Nonna Knezevic? La lasceranno nella
sua baracca isolata fuori della borgata, in località Ljubovo? Si può lasciare
sola una donna di 95 anni?
«Vivevo con mia figlia e suo marito. Lei serba, lui croato. Sono fuggiti
a piedi, non ho potuto seguirli». È tutta in queste poche parole la storia della
guerra vissuta da Nonna Knezevic all’inizio di agosto. Mente lucida, è
rimasta con la speranza del ritorno della figlia e del genero. «Le loro bestie
creperanno se non tornano, dovranno tornare», dice la donna pensando alle
mucche e ai maiali rimasti senza padroni. A prostrarla non sono gli anni, ma
l’incertezza del suo futuro. Non spende buone parole sul passato: «Si
viveva da poveri. Ora arrivava questo, ora quello, ognuno si portava via
qualcosa e non si riusciva ad accontentare mai nessuno. La colpa di tutto è
di quelli che stanno in alto, i grandi, il popolo si è rimescolato e sono
cominciate le baruffe. Io ancora mi meraviglio di come sia successo tutto
questo. Lo dicevo sempre: lasciate il popolo in pace, ma loro no, hanno
aizzato i cani ed ecco, tutto è caduto sulla schiena del popolo».
Il discorso cade sulla vita ancora da vivere. «Io non ho più niente,
nemmeno i fiammiferi per accendere il fuoco, non ho nessuno che mi faccia
compagnia. Verrà l’inverno e sarò sola senza nessuno che mi prepari la
legna, nessuno».
L’intervistatore tira fuori di tasca l’accendisigaro e lo regala a Nonna
Knezevic che, rapidamente, lo ripone nella tasca della gonna nera. Poi
riprende a dire: «Forse mia figlia tornerà, un’altra figlia sta in America, ed
ora anche questa andrà da lei. Magari potessi andarci anch’io!». Chi ascolta
le sue parole non ha parole per confortarla, e tuttavia le dice, come per
rispettare un rito:
«Verranno giorni migliori». «E che me ne faccio, figlio mio?». Poi torna
a chiedere: «Sapresti dirmi come farò per raggiungere mia figlia in
America?».
Nessuno sa dirle niente. Presto verrà l’inverno e questa donna sarà
ancora più sola in un paese deserto, in un paese bruciato.
Sto sviluppando degli spunti raccolti alcuni giorni addietro nel corso di
un viaggio compiuto attraverso il “settore meridionale” dell’ex Krajina
organizzato dall’Ufficio Politico del Ministero della Difesa della Croazia.
Nel settore settentrionale non si poteva ancora ficcare il naso e tuttora a
nessun giornalista straniero è concesso di metterei piede. In quello
meridionale si può seguire un percorso obbligato sotto la scorta di decine di
poliziotti e di soldati dei reparti speciali. Praticamente si può vedere quello
che vogliono farti vedere, il tutto condizionato dai commenti, dalle
spiegazioni e dalle 12agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
notizie degli accompagnatori. Questi, ad esempio, della plurisecolare
storia di Knin sottolineano unicamente: «Qui sono sepolti i primi re croati [i
quali] qui regnarono tra il X e l’XI secolo». I serbi invece sarebbero arrivati
nella regione appena «nel periodo a cavallo tra le due guerre mondiali».
Per una ventina di chilometri lungo la strada percorsa dal torpedone
della Generaltturist di Zagabria , con a bordo i giornalisti e le loro guide in
uniforme, si vedevano ancora camion, trattori ed altri automezzi
abbandonati, con i pneumatici a terra. Che fine hanno fatto i loro
conducenti e la gente che fuggiva sui rimorchi trainati dai trattori? Risposte
parziali delle guide:
«Alcuni sono fuggiti nei boschi, presto li scoveremo». La tappa a
Gracac è stata un incubo. Una cittadina rimasta pressoché intatta, ma
totalmente deserta; tre pattuglie di militari formavano un cordone sanitario
attorno ai giornalisti, sconsigliandoli di allontanarsi troppo dal torpedone
perché «nei boschi si aggirano ancora i cetnici». Da Gracac parte una strada
in direzione di Srb, quella seguita dalla maggioranza della popolazione
serba per abbandonare il territorio, mentre un’altra diramazione porta a
Licki Osik. Le tracce dei saccheggi erano evidenti. A Licki Osik sono
rimaste solo le rovine.
Sempre nella Lika, villaggio di Podlapaca. Era una piccola enclave
croata di 800
abitanti nella Piana della Cherbava come si diceva fino al ‘700, oggi
Krbavsko Polje, abitata quasi esclusivamente da serbi. Nel 1991, con la
secessione della Krajina, i croati di Podlapaca cominciarono ad essere
cacciati dalle loro case.
Nel 1993, quando l’esercito croato irruppe nella cosiddetta “sacca di
Medak”, seminando distruzioni e compiendo massacri, i serbi si
vendicarono cacciando da Podlapaca la maggioranza dei croati. Tuttavia 95
sono riusciti a resistere per quattro anni sotto il governo banditesco della
Rsk. A salvarli, dicono, sono stati dapprima “alcuni serbi vicini di casa” e
poi i Caschi Blu di un battaglione ceco. Il 6 agosto del 1995, quando a
Podlapaca sono arrivati i soldati croati della 9ª brigata della Guardia,
innalzando la bandiera con la scacchiera sul campanile della chiesa cattolica
del paese, i 95 abitanti croati sono stati invitati a unirsi alla loro festa. Ma
quei 95 abitanti croati sono rimasti inchiodati sulle soglie delle loro case
senza un sorriso, senza accennare a un applauso, col volto inespressivo,
muti di fronte ai connazionali liberatori. «Non avevano nemmeno il
coraggio di manifestare allegria», ha scritto un soldato descrivendo
l’evento. Si erano abituati a temere qualsiasi uomo in armi, qualsiasi
uniforme.
I soldati croati, tornati a casa per una breve licenza, raccontano che sui
monti sovrastanti Podlapaca e la Piana di Cherbava si nascondono ancora
più di 300
civili serbi fuggiaschi: vecchi, donne e bambini. Li impaurisce il solo
sentire la parola “ustascia”, per essi sinonimo di “soldato croato”.
Nella Piana sono sparsi i villaggi abbandonati, deserti, in parte bruciati,
e le numerose carcasse di cavalli e mucche, insieme ad automezzi
carbonizzati. I soldati croati ancora non iniziano a dare la caccia a quei
fuggiaschi «perché nessuno vuole rischiare la vita su quei monti boscosi»,
scrive un corrispondente di guerra del Novi List di Fiume, Nenad Bunjac. E
poi «dovranno pure uscire dai boschi e dalle tane con le prime nevi, per
scendere in pianura alla ricerca di cibo». Nel frattempo sono state date alle
fiamme le loro case sotto la catena del Velebit.
Fra i villaggi sovrastati da quei monti c’è il minuscolo Budisavljevici,
luogo natale di Jovanka Budisavljevic vedova Broz, già moglie di Josip
Broz-Tito per oltre trent’anni. Anche quel villaggio è stato quasi
completamente distrutto dalle fiamme, e forse è andata distrutta anche la
casa natale di Jovanka che vive a Belgrado. Forse, perché non c’è nessuno a
cui si possa chiedere quale sia questa casa davanti alla quale, all’inizio degli
anni ‘50, nel rispetto delle antichissime tradizioni delle popolazioni rurali
serbe della Lika, arrivò Tito in persona per presentarsi e inchinarsi davanti
alla madre di Jovanka. Questa era una contadina analfabeta, ma alta e forte
come lo sono tutti i montanari likani. «Chi è costui?», chiese alla figlia
indicando il presidente jugoslavo.
Rispose Jovanka: «Questo è il mio uomo!». Con la morte di quell’uomo
si aprì il capitolo dello sfacelo della Jugoslavia federativa e socialista da lui
creata.
ISOLATI CASI DI SACCHEGGIO
23 AGOSTO
Ho incontrato l’amico F.V., connazionale di Fiume, medico, tornato a
casa per alcuni giorni di licenza. E scosso. Mi confessa che, appena gli si
presenterà l’occasione, diserterà l’esercito e lascerà per sempre «questo
paese di merda».
Dice di aver visto cose terribili nell’ex Krajina, ma non specifica quali.
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Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
Il governo croato si è riunito per affrontare il problema del
ripopolamento della Krajina ripulita dalla popolazione serba. Sono già
pronte le liste di 103.000 persone che andranno a stabilirsi in quei territori
nelle prossime settimane. Tra queste ci sono circa 70.000 che furono
cacciate dai serbi e che ora andranno a insediarsi nelle case dei serbi, perché
le loro furono distrutte nel 1991. Il ministro Jure Radie «ha preso le
distanze dai casi isolati di saccheggio e distruzione dei beni verificatisi
negli ultimi giorni» ed ha chiesto ai colleghi della Difesa e degli Interni di
«impedire il ripetersi di fatti del genere» anche perché negli ultimi tempi
numerose organizzazioni internazionali accusano la parte croata di crimini
compiuti durante e dopo l’Operazione Tempesta.
Mi viene in mente l’intervento al Parlamento croato di un deputato
dell’opposizione, Vladimir Bebic di Fiume, che sul finire dello scorso
marzo rivelò: «Oggi sono sempre più numerosi in Croazia coloro che
cercano un’abitazione perché sono fin troppo numerose le case che abbiamo
distrutto in questa guerra, e nulla viene costruito». «Quali case abbiamo mai
distrutto?», chiese il deputato del partito al potere Vice Vukojevic. Bebic
rispose: «Quelle dei serbi intorno a Zara, a Gospic, in Slavonia e altrove,
incendiate o fatte saltare con la dinamite nel motto “bruciamo e
distruggiamo, così non avranno dove tornare”».
In quel medesimo periodo il giornale Novi List di Fiume (29.III.95)
pubblicò un elenco di oltre 400 nomi di ufficiali superiori croati premiati
dal presidente-generale Tudjman con l’assegnazione gratuita di
appartamenti. Una villa fu data al generale Praljak, l’uomo che si conquistò
quel grado quando, da colonnello, fece cannoneggiare e distruggere l’antico
ponte di Mostar, suscitando lo sdegno di tutto il mondo civile. La gente si
chiese in quei giorni come mai un generale dell’esercito bosniaco, sia pure
di etnìa croata poteva essere al tempo stesso generale dell’esercito in
Croazia e ricevere in premio una delle più belle ville di Zagabria per aver
distrutto un monumento di grande importanza storica e artistica.
Damir Bajin, presidente del Consiglio regionale dell’Istria, mobilitato
insieme al fratello per l’Operazione Tempesta ed oggi tornato a casa, ha
dichiarato a Pisino che «la vittoria militare non equivale ad una vittoria
politica»; «la Croazia agisce come se volesse trasformare la vittoria in
sconfitta, visto anche il suo atteggiamento nei confronti dei profughi serbi,
ovvero le proposte di modifica della Costituzione che pongono in forse il
rientro alle loro terre delle popolazioni serbe fuggite».
Da Turanj, alle porte di Karlovac, fino a Drnis in Dalmazia sono circa
250
chilometri di strada. L’arteria attraversa villaggi e città desolatamente
deserti. L’attenzione di chi guarda la Tv (o viaggia) è attratta da centinaia di
mucche, pecore, suini e tantissimi cavalli, sparse un poco dappertutto.
Girovagano per le campagne in cerca di cibo e, soprattutto, di acqua.
Lungo il tragitto si vedono numerose carcasse di mucche morte perché non
munte da parecchi giorni. Appena ora si comincia a radunare il bestiame
rimasto ed a convogliarlo verso i centri di raccolta della Lika. Fino ad oggi
sono stati assegnati ai contadini croati 700 bovini, 3.000 pecore, 80 cavalli.
A Drnis sono stati condotti 4.000 capi di bestiame.
ASSALTO ALLA BANDIERA ITALIANA
24 AGOSTO
In occasione della partita internazionale di calcio fra la squadra croata
Hajduk (Spalato) e la greca Panathinaikos, giocata allo stadio di Cantrida a
Fiume, gli ultras della squadra dalmata si sono scatenati nelle vie del centro
fiumano, prendendosela con la bandiera italiana esposta accanto a quella
croata sul balcone della redazione di Radio Fiume sul Corso. Sono volati
insulti, poi alcuni “tifosi”, evidentemente sollecitati dagli ossessivi proclami
anti-italiani del presidente Tudjman di questi giorni, in occasione delle
operazioni belliche in Krajina, hanno cercato di salire sul balcone per
incendiare il nostro tricolore. La polizia lo ha impedito.
A Gospic, la città della Lika dove già nel 1991 fu attuata una delle
prime pulizie etniche (furono cacciati 8.000 serbi su una popolazione
complessiva di 15.000 abitanti, le abitazioni furono demolite con la
dinamite e fu letteralmente rasa al suolo la chiesa ortodossa), il ministro
croato dell’Istruzione, signora Vokic, ha convocato i direttori di tutte le
scuole del paese in vista della riapertura dell’anno scolastico.
Nell’occasione, ha ribadito la validità della sua circolare sulle “iscrizioni
etniche”, che vieta ai bambini di etnìa croata di frequentare scuole della
minoranza italiana in 14agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
Croazia. In proposito la Vokic ha detto di aver avuto un colloquio con
l’ambasciatore italiano a Zagabria, Pensa, rassicurandolo che i diritti della
minoranza non vengono intaccati! «E comunque — ha detto a Gospic — le
polemiche sono inutili»; lei proseguirà imperterrita per la sua strada,
ignorando qualsiasi protesta. «I bambini croati debbono frequentare le
scuole croate!» e su questo punto nessuno ha diritto di libera scelta in
Croazia. È un muro invalicabile costruito con le pietre del più bieco
nazionalismo. Purtroppo i presenti al convegno hanno salutato le decisioni
del ministro con un fragoroso applauso. Il patriottismo innanzitutto.
“ 42
Il ministro degli Esteri croato Mate Granic ha presentato «i primi
risultati ufficiali sulle perdite globali avute durante l’operazione
dell’esercito croato nell’ex Krajina»: la parte croata lamenta 174 morti e
circa 1.400 feriti (dati contrastanti con quelli forniti dal presidente Tudjman
la scorsa settimana quando dichiarò che «tra i croati ci sono stati più di 200
caduti»), mentre i serbi hanno avuto 524 morti (dei quali 24 civili), ma
soltanto 124 di essi sono stati identificati.
«Il numero dei caduti serbi non è definitivo; esso comprende soltanto la
zona sud dell’ex Krajina».
Un amico di Bologna, impegnato con l’organizzazione “Beati i
costruttori di pace” di don Albino Bizzotto, mi ha scritto una lettera sul
tentativo compiuto da lui e dagli altri per raggiungere Sarajevo nei giorni di
Ferragosto. C’era anche don Antonio Mazzi. In tutto erano 180, guidati da
don Albino che intendeva piantare nella capitale bosniaca “la tenda della
convivenza”, ma sono stati fermati a Kiseljak, 20 chilometri prima della
meta. A Kiseljak comandano i croati bosniaci. «Fermi o spariamo».
Era il quarto viaggio che organizzava don Albino e molti dei circa 200
partecipanti erano veterani delle missioni in Bosnia; ma di fronte alle
bocche di fuoco hanno dovuto fermarsi. Erano partiti l‘8 agosto facendo
tappa a Spalato, in Croazia, nel clima impregnato dal trionfalismo dei croati
per la riconquista della Krajina. Un volantino contro la violenza armata in
lingua serbo-croata-bosniaca è stato accolto come una dichiarazione di
guerra, una provocazione, anche perché la lingua croata sta subendo una
pulizia radicale con la “cacciata” di ogni termine ed espressione che ricordi
il “nemico” serbo. Alla fine, per non correre rischi, gli italiani di don
Albino hanno chiesto scusa.
Peggio è andata al posto di blocco di Kiseljak, dove li ha fermati una
pistola che un soldato ubriaco dell’Hio ha puntato alla tempia del frate di
Trento: «O
ve ne andate o premo il grilletto». Il viaggio si è concluso con una
marcia a Mostar, la città ancora divisa fra croati e musulmani.
Dopo l’accordo sulla Federazione, in atto da circa due anni, Mostar
avrebbe dovuto diventare una città simbolo dell’alleanza e della ritrovata
amicizia fra croati e musulmani di Bosnia. Invece sta B a dimostrare che i
muri della diffidenza e dell’odio non crollano. Sta a dimostrare che la
Croazia è più che mai decisa a non spostare le proprie bandiere nemmeno di
un millimetro, né a Mostar, né a Kiseljak, né a Glamoc, né altrove.
FOBIE E MANO NERA
26 AGOSTO
L’onorevole Furio Radin (Pola), unico deputato della comunità
nazionale italiana dell’Istria e del Quarnero al Parlamento della Croazia, ha
pubblicato una lettera aperta al console generale della Croazia a Trieste,
Miroslav Bertosa (anche lui di Pola) nella quale, tra le altre cose, si rallegra
del fatto che in Croazia fra la gente comune «esiste un alto tasso di italofilia
ma, al tempo stesso, sottolinea l’alto tasso di italofobia del generale-
presidente Franjo Tudjman.
«Vada a rileggersi i suoi discorsi in cui viene menzionata l’Italia e gli
italiani, inclusi naturalmente quelli dell’Istria e del Quarnero: troverà ben
poche tracce di italofilia. E lo dico con amarezza…».
Troppo spesso, e l’Istria insegna, le fobìe hanno portato alle fobìe…
L’italofobìa di Tudjman ha assunto ormai l’aspetto di un programma
politico che impronta l’azione governativa. In tale contesto si inserisce il
malfamato decreto del Ministero dell’Istruzione che vieta tassativamente ai
bambini croati di Fiume e dell’Istria di frequentare le scuole che abbiano
come lingua d’insegnamento quella italiana e delle altre minoranze. Tale
decreto segna l’inizio della cancellazione delle scuole delle minoranze, e in
primo luogo della minoranza italiana in Istria, finora frequentate — nello
spirito della secolare convivenza e della multiculturalità — da notevoli
percentuali di 15agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
bambini non italiani. Inoltre è un attacco ai valori di civiltà che la
multiculturalità e la convivenza hanno creato in questa regione; e un atto
(oltre tutto anticostituzionale) di segregazione su base nazionalistico-
razzista profondamente negativo. Purtroppo, questo decreto è solo uno dei
tanti anelli di una lunga catena di attacchi ai diritti acquisiti dalla minoranza
italiana scatenati dal regime di Tudjman negli ultimi cinque anni. L’anno
prossimo le scuole della minoranza italiana le cui classi conteranno meno di
22 alunni saranno abolite. A Fiume, per fare un esempio, delle quattro
scuole elementari e medie inferiori ne resterà una soltanto. Sarà l’inizio
della fine dell’esistenza dell’etnìa autoctona italiana in quella regione.
«Consigliamo a tutti i serbi, ovvero ai “cetnici”, di abbandonare quanto
prima il territorio istriano. Se non lo farete, sarete liquidati in modo brutale.
Le vostre case saranno bruciate e le vostre mogli violentate, visto che non
sono altro che puttane cetniche. Seguiamo passo passo i vostri movimenti,
sappiamo tutto di voi. Siamo ritornati dal fronte pronti per scannarvi. Per
queste ragioni vi invitiamo ad abbandonare la nostra Istria croata entro il 30
agosto 1995. Vi ricordiamo che la “mano nera istriana” vi raggiungerà
ovunque. Sia fottuta la vostra madre serba».
Un volantino del genere, firmato da un sedicente “Mano nera istriana”
detta
“Ucka” (Monte Maggiore), è stato recapitato all’indirizzo di cittadini
croati di nazionalità serba e montenegrina in varie località della penisola
istriana.
Nessun giornale croato ha pubblicato una lettera inviata a Zagabria dal
ministro degli Esteri tedesco Klaus Kinkel che denuncia massacri compiuti
dai croati nella ex Krajina; oggi però tutti pubblicano la risposta del
ministro degli Esteri croato Mate Granic, il quale definisce «assurda e
tendenziosa» la reazione della Germania e respinge «la preoccupazione per
i presunti crimini compiuti dall’esercito croato nei confronti dei serbi e dei
loro beni». Il capo della diplomazia croata accusa «alcuni osservatori
internazionali» che avrebbero esagerato nei loro rapporti. Per il governo
croato «si è trattato soltanto di eccessi compiuti da singoli soldati assetati di
vendetta, e questa è ormai una cosa risaputa». Ieri sull’argomento si era
espresso in termini pressoché identici l’ambasciatore della Croazia all’Onu,
Mario Nobilo, che ha parlato di
«incidenti causati dallo spirito di vendetta nei confronti dei civili serbi e
dei loro beni».
Il governo di Zagabria non quantifica gli “eccessi”, ma molti reduci
delle brigate istriane dell’Ha affermano che gli uomini “assetati di vendetta”
erano la maggioranza nell’esercito che ha riconquistato la Krajina.
Mentre leggo la lettera di Granic, il quale sostiene pure che il suo
governo
«sta facendo tutto il possibile per tenere sotto controllo l’intera
situazione nei territori liberati», un esponente della minoranza serba a
Fiume mi telefona chiedendo aiuti per una decina di vecchi e vecchie che
«non hanno carte d’identità, non hanno tessere sociali né lo status di
profughi» e si sono rifugiati a Fiume. Ma chi sono? Sono serbi dell’ex
Krajina, tipici “esemplari”
di quelle poche centinaia di civili che non hanno voluto, o potuto,
fuggire da quel territorio. Ora le autorità croate stanno cacciando via anche
questi.
‘ 45
Quelli arrivati a Fiume non sanno come vivere e presso chi sistemarsi.
Ho subito telefonato ad amici di Sommacampagna e Cologna Véneta
chiedendo solidarietà. La daranno.
Nel settore sud dell’ex Krajina, i soldati croati hanno fatto irruzione
nella base di un battaglione keniota a Kricke, disarmando le sentinelle e
prelevando armi e munizioni. A Knin continua l’odissea dei 720 civili serbi
rifugiatisi nella caserma dei Caschi Blu. Le autorità militari croate chiedono
la consegna di 62 persone da esse a priori dichiarate “criminali di guerra” (i
tribunali sono avvertiti: la sentenza è stata già emanata). Minacciano di
tenere in assedio la base fino a quando i “criminali” non saranno consegnati
loro.
Il presidente croato Tudjman ha celebrato il trionfo per la vittoria in
Krajina viaggiando con alcune centinaia di gerarchi su un treno speciale da
Zagabria a Spalato, attraverso i territori riconquistati. Ad ogni stazione ha
tenuto un discorso. Nella Krajina, dove la popolazione autoctona è sparita,
lo hanno accolto poliziotti, soldati e militanti del partito al potere,
convogliati appositamente da altre regioni della Croazia. Ma a Karlovac e
Gospic, città ai margini dell’ex Krajina, ed a Spalato, capoluogo della
Dalmazia, c’erano folle autentiche, esultanti con il contorno di bandiere,
bande musicali, canzoni patriottiche, riprese televisive in diretta da
elicotteri e da terra. Nel discorso di Spalato Tudjman ha annunciato
apertamente l’imminente colonizzazione 16agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
della Krajina. Con la fuga dei serbi dal territorio restano circa 300.000
proprietà terriere e altrettante case senza padroni per cui «ora bisogna
fare in modo di far rientrare in patria centinaia di migliaia di croati sparsi in
tutti i continenti. Questi devono ritornare nel paese dei loro avi», è stato
categorico.
Appena due giorni fa, Tudjman ha sdegnosamente negato qualsiasi
azione men che pulita dell’esercito croato in Krajina. Stavolta ha dovuto
ammettere, però giustificandoli, gli «abusi» commessi dai suoi soldati.
“Abusi” è un eufemismo da tradurre: saccheggi sistematici, casa per casa, in
tutta la regione, uccisioni di civili ed incendi di interi villaggi. Incendi fatti
cessare quando, due settimane dopo la “liberazione” del territorio, dal
governo di Zagabria è arrivato finalmente l’ammonimento che «il
patrimonio edilizio dell’ex Krajina è proprietà della nazione e va tutelato».
Nel suo discorso odierno, ancora una volta Tudjman ha respinto l’accusa di
pulizia etnica e non ha avuto nessuna parola di pietà per i 200.000 e più
civili serbi costretti a fuggire terrorizzati. A Knin ha evitato perfino di
chiamare i serbi per nome, definendoli “quelli”. «Quelli sono spariti in tre-
quattro giorni senza avere il tempo di raccogliere i loro sporchi soldi e le
loro mutande, sono spariti come se non ci fossero mai stati… Mai più quelli
potranno diffondere nel cuore della Croazia il cancro che distruggeva
l’essenza della nazione croata».
Anche stavolta, infine, non ha resistito alla tentazione di sputare veleno
verso la sponda occidentale dell’Adriatico, tirando in ballo nuovamente
I‘“imperialismo italiano” nel contesto di un’accusa rivolta ai serbi della
Croazia che «nel 1941 conclusero un accordo con l’Italia fascista contro lo
Stato Indipendente Croato».
L’etichetta di “fascista” data all’Italia del 1941 è a posto. Con questa
affermazione, però, lo “storico” Tudjman riabilita politicamente un
fascismo ben peggiore, quello ustascia dello “Stato Indipendente Croato”
che, per cominciare, rivelò il suo carattere imperialista occupando l’intera
BosniaErzegovina,annettendosi anche parte della Serbia fino alla periferia
di Belgrado (Zemun). Quello “Stato Indipendente Croato” che, nato come
creatura (effimera) del nazifascismo,in primo luogo del fascismo italiano
(dall’Italia fu mandato a Zagabria il “duce” Ante Pavelic), finì
ingloriosamente con il crollo del nazifascismo.Quello “Stato Indipendente
Croato” satellite dell’Asse che strinse un’alleanza politico-militare con
Mussolini e Hitler per contribuire alla costruzione del “nuovo ordine
europeo”.
Quello che non va giù a Tudjman è il fatto che, nonostante il fascismo
mussoliniano, le autorità militari italiane in Dalmazia non restarono
indifferenti di fronte ai primi massacri che gli ustascia croati compirono
contro le popolazioni serbe nella vicina Lika; perciò le fecero cessare,
ponendo i serbi della regione sotto la protezione dell’esercito italiano di
occupazione.
Tudjman avrebbe preferito forse che gli ustascia avessero sterminato
completamente le popolazioni non croate risolvendo già allora la “questione
serba” in Croazia? Così come risolsero la “questione” degli ebrei croati e
bosniaci, dei quali gli unici a salvarsi dalla distruzione — poco più di 3.000

furono quelli che riuscirono a riparare nei territori occupati dagli italiani
in Erzegovina, Lika e Dalmazia?
Leggo su un giornale i risultati di un’indagine demoscopica condotta in
Italia dall’agenzia Explorer. Il 40% dei connazionali di Mazzini intervistati
è stato d’accordo nel rispondere — alla domanda su chi sarebbero i più
scellerati, i più perfidi del mondo — che a meritarsi la medaglia della
cattiveria sono i serbi.
Così anche nella democraticissima Italia, il tamtam massmediologico
balcanico è riuscito a far breccia nelle coscienze ed a demonizzare un intero
popolo. La propaganda del regime di Belgrado identifica col popolo croato,
definendolo
“ustascia”, poche centinaia di nazifascisti.Siamo alle solite.
Nell’edizione odierna, il quotidiano triestino Il Piccolo pubblica una
denuncia di Paolo Rumiz dal titolo “La Croazia saccheggiata dai Signori
della guerra”. La Croazia, in questo caso, è l’ex Krajina. L’articolo è scritto
da uno che malvolentieri parla male della Croazia, uno che (lo confessa
anche in questo pezzo) finora sovente ha «messo il silenziatore alla penna
di fronte a casi isolati di abominio». Ma ora, «di fronte a quanto accade
nelle Krajine dopo la gestione banditesca dei proconsoli di Belgrado» non
può tacere. Sembra un nuovo sport — racconta Rumiz — quello di prendere
la mattina il treno per Knin (da Spalato viaggia ormai da una settimana),
«fare lo shopping nelle case abbandonate» dai serbi «e tornare la sera con i
sacchi pieni», senza che la polizia muova un dito. E si tratta, si badi, di
saccheggiare quel poco o molto 17agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
che è rimasto dopo che decine di migliaia di soldati si sono riempiti gli
zaini tra il 5 ed il 20 agosto. Rumiz parla di «spoliazioni sistematiche».
«I ladri arrivano come le cavallette, entrano non solo nelle case dei serbi
appena partiti, ma anche in quelle dei croati che devono ancora ritornare…
Insomma un Far West in piena regola. Non è solo l’inevitabile anarchia
che segue alla guerra. È un lavoro che pare trovi il suo riscontro anche ai
vertici organizzativi del nuovo ordine croato ristabilito su Knin. Quello
dell’Ha», l’esercito che pare ormai coinvolto in un business immobiliare a
tappeto per conto dell’Hìfe, il partito di governo. E spiega in che consista il
business:
«Da Glina a Knin, da Korenica a Petrinja, molte case abbandonate non
passano ai profughi croati ma ai sedicenti militi dell’Operazione Tempesta.
Su molte case si legge “Hv occupated house”; altre sono state date alle
fiamme per scoraggiare possibili ritorni. Pare che a Knin sia lo stesso
comandante generale della piazza, generale Ivan Cermak, a coordinare a
tempo di record la vendita delle proprietà abbandonate dai serbi non ai
nullatenenti dei campi di raccolta, ma ai ricchi clienti del partito di
Tudjman». E più avanti: «Ed ecco che Knin, dopo essere stata il simbolo
del martirio e poi della riconquista, se non sarà ripristinata la legalità in
pochi giorni potrebbe diventare il simbolo della vergogna». «Ora tutto
rischia di essere sporcato da ladri e prepotenti che, in nome della croaticità,
divorano la Croazia».
L’hanno già fatto in Istria e Dalmazia, dove la guerra non c’è stata, e
che non sono neanche terre occupate dai serbi da liberare. “I Signori della
guerra venuti da Zagabria” hanno messo le mani su tutto; l’alibi
dell’emergenza bellica
«ha consentito massicci passaggi di proprietà nelle mani dei signori
dell’Hai;».
«Anche le sontuose proprietà ex federali sono finite nelle mani della
stessa gente, i ricchi emigrati, con base in Germania e altrove, che con
cospicui finanziamenti spinsero così in fretta Tudjman verso la secessione
con Belgrado».
I croati onesti, e sono tanti, vedono tutto questo, si rendono conto che
«dietro a tanti valori di patria, si nasconde troppo spesso la squallida realtà
di una colossale operazione affaristica. Con le espulsioni dalle case che
appaiono, ancora una volta, non come la conseguenza ma come lo scopo
preciso di questa guerra infame».
Non molto diverso è il tono di un articolo di Jelena Lovric, una
coraggiosa giornalista croata, commentatrice politica dell’unico giornale in
Croazia, il Novi List di Fiume, che osa ancora far sentire voci dissonanti da
quelle del regime. Sotto il titolo “Il peso della vittoria”, la Lovric ha scritto:
«Adesso, quando finalmente la Croazia è stata ripulita dai serbi, i croati
potranno pensare a sé stessi. Per capire dove sono e cosa sono. In genere si
sarebbe portati a pensare che ora tutto è risolto. […] Ci si potrebbe
accorgere però che, ad eccezione del riconquistato controllo dei confini, per
la Croazia non c’è altra certezza. […] Il Presidente, è vero, parla di un
grande bottino di guerra, ma non è sul bottino che si può costruire la
prosperità. Da nessun punto di vista. L’unico risultato è quello di alimentare
la convinzione che appropriarsi dell’altrui conviene di più che non vivere
dell’onesto lavoro.
Una mentalità già presente in Croazia. Che il potere si comportasse
pensando dapprima ai propri interessi lo si sapeva. Ora ha fatto del popolo
il proprio complice. La Krajina appena liberata è stata teatro di saccheggi in
grande stile, all’insegna dell‘“arraffa più che puoi”. I potenti si
approprieranno del bottino più grosso, ma anche i piccoli uomini non
rimarranno a mani vuote.
Vengono con automobili e camion, a svuotare le case abbandonate.
Nessuno che glielo impedisca. Adalbert Rebic, un sacerdote, dunque fa
sapere pubblicamente che quelle case ora appartengono allo stato croato.
Jure Radie non esita a dichiarare che la Croazia proteggerà di più coloro che
si sono trasferiti nelle case abbandonate che non quelli ai quali
appartengono. Se lo stato, che si vuole di diritto e democratico, può
comportarsi così, perché non dovrebbero farlo i suoi cittadini. Con
l’esempio e con le parole lo stato aiuta la gente a non provare vergogna
mentre mette a sacco le case appartenenti ad altri.
Anziché al fiorire della democrazia — che dovrebbe far seguito alla
liberazione del paese — si assiste soltanto al fiorire del culto della
personalità. Anche se si erano superati i limiti, ora però è insopportabile
vedere come sotto questo aspetto si ritorni ai tempi di Tito. Il maresciallo, o
meglio il vrhovnik, in divisa di gala, cerimonie a non finire, un ricorrersi di
servili adulatori, il popolo festante che assorbe tutto quanto gli viene detto,
giornalisti a pensare sempre nuove metafore, un leader al quale non si secca
mai la lingua, che vuole dire la sua su tutto e che esprime giudizi che fanno
rizzare i capelli ai veri democratici, soprattutto all’estero.
Da qualche giorno, poi, si direbbe che in Croazia non esiste più
un’opposizione.
18agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
Anch’essa travolta dalla Tempesta. Si fa sempre più folta la schiera dei
leader dell’opposizione convinti che Tudjman sia così forte che qualsiasi
critica nei suoi confronti si rivolterebbe contro di loro, come un boomerang.
Con la fuga in massa dei serbi dalla Croazia qualcosa però è davvero
cambiato —
non ci sarà più l’eterno nemico di cui ci si poteva servire quando e come
si voleva. Un ruolo nel quale i serbi si erano calati perfettamente, per
propria colpa ma anche perché così altri avevano voluto. Per qualche tempo
si continuerà a prendere di mira i serbi rimasti. Ma assai presto i croati
dovranno trovare un nuovo colpevole di turno, con ogni probabilità tra le
proprie fila; per il semplice motivo che questo potere non saprebbe
funzionare in assenza di un nemico. Lo si è visto anche dall’esempio della
ribellione serba, che ha saputo soffocare ma non disinnescare. Il tempo
scelto da Tudjman per andare a Knin vi dice come egli ragioni secondo le
categorie non democratiche della vittoria e della sconfitta. In molti avevano
atteso che il presidente della Croazia si recasse a Knin cinque anni fa,
all’inizio della ribellione organizzata, nella convinzione che così avrebbe
almeno tentato di evitare il divampare dell’incendio bellico. Il Presidente è
andato a Knin quando tutto era ormai finito. Si è recato in una Knin vuota a
baciare la bandiera croata.
Il potere croato, non solo in questa circostanza, ha dimostrato di non
sapere risolvere i conflitti politici. Con ogni probabilità il metodo usato nei
confronti dei serbi non potrà essere trasferito nell’Istria inquieta né
applicato nei confronti dei lavoratori in agitazione. Per quanto qualcuno
vorrebbe cambiare anche il proprio popolo ciò non è possibile. Con ruoli
modificati sembra riproporsi lo stesso spettacolo. Che con i croati fosse
altrettanto difficile vivere che con i serbi lo si era in qualche modo capito.
Ora diventa sempre più evidente che i serbi dovranno essere sostituiti
con degli altri, in certi casi forse con gli istriani e in altri con gli erzegovesi.
La Croazia ha vissuto con grande dignità nei momenti più difficili,
mentre era militarmente debole, mentre veniva distrutta Vukovar e
bombardata Ragusa… Di fronte alla propria tragedia si è comportata con
dignità. Al momento della vittoria non ha saputo comportarsi con altrettanta
dignità».
ESODI UMANITARI
28 AGOSTO
Nel corso di quel viaggio in treno che lo ha portato da Zagabria a
Spalato attraverso la “Krajina”, scortato da circa 1.000 gerarchi, il
presidente del partito al potere e capo dello Stato croato ha concesso allo
Slobodna Dalmacìja un’intervista per molti aspetti rivelatrice. Il quotidiano
di Spalato lo pubblica oggi. Il “Supremo” ha cominciato col dire che
l’estirpazione dal territorio croato della secessionista “Repubblica serba di
Krajina” e dell’intera sua popolazione ha fatto sì che «finalmente nessuno
dal territorio croato potrà più minacciare la nostra libertà, come veniva
minacciata da Knin e da tutto ciò che essa significava quale covo dei
cetnici». Alla constatazione dell’intervistatrice Olga Ramljak che «spesso
viene fatta ricadere sui croati la colpa della fuga dei serbi dalla Croazia e
dell’arrivo in quella terra dei profughi croati cacciati per reazione dalla
Vojvodina e dalla Bosnia» e alla domanda «se questo massiccio fenomeno
di esodo delle popolazioni poteva essere evitato, e quali ne saranno le
conseguenze», Tudjman ha fatto una rivelazione.
Ha detto che «ancora sul finire del 1992, nell’incontro avvenuto a
Ginevra tra la delegazione croata e quella serba, cioè fra me da una parte e
Dobrica Cosic e Milosevic dall’altra, per concordare i passi da compiere
sulla via della normalizzazione delle relazioni, fu deciso di aprire uffici
diplomatici della Croazia a Belgrado e della Serbia a Zagabria». Uffici ihe
da qualche anno, infatti, funzionano regolarmente. Ma i leader della (
‘roazia e della Serbia concordano anche di «permettere un volontario
trasferimento delle popolazioni dai rispettivi territori». «Era facile
prevedere inlatti — ha continuato Tudjman
— che una parte della popolazione non avrebbe accettato di vivere nella
Croazia indipendente, e che per una parte «della popolazione croata, dal
Kosovo alla Vojvodina, si sarebbe creato un clima sfavorevole all’ulteriore
permanenza in Serbia». «La nostra idea era
dunque di arrivare a uno scambio umanitario di popolazioni nel quadro
della necessità storica e della normalizzazione delle relazioni croato-serbe,
ma anche del futuro di tali rapporti. Invece è accaduto quello che è accaduto
e, al di là della tragedia di questa gente, i risultati saranno positivi perché
eviteremo di subire il ruolo dei serbi in Croazia qual è stato dai tempi dei
turchi fino ad oggi».
Ora si capisce la ragione per cui Milosevic non è intervenuto a
difendere i 19agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
“fratelli serbi in Croazia”. L’accordo per la loro estirpazione, e per lo
“scambio umanitario delle popolazioni” è stato rispettato. E Tudjman,
come Milosevic, non ha alcun motivo oggi di spargere lacrime sulla
tragedia di un milione di serbi e croati sradicati dalle terre dei loro avi, dalla
loro storia secolare. Per la Croazia di Tudjman è importante che si sia
sbarazzata di 500-600.000 serbi, che sia stato estirpato dal proprio territorio
quello che i leader del partito Hdz hanno definito in questi giorni «il cancro
secolare serbo nel corpo croato».
Nell’intervista alla Slobodna Dalmacija, Tudjman conclude su questo
punto dicendo: «Bisogna ora spingere affinché questo processo possa
concludersi al più presto, nella maniera più umana [!] possibile permettendo
lo scambio delle proprietà fra i croati che sono stati costretti ad andarsene
[dai territori serbi] ed i serbi che hanno scelto volontariamente di andarsene
dalla Croazia».
L’intervistatrice ha fatto presente un nuovo fenomeno: non tutti i croati
che nel 1991 furono costretti ad abbandonare la Krajina intendono
ritornarvi ora che i serbi a loro volta ne sono stati cacciati. Tudjman ha
risposto: «Le autorità croate dovranno prendere le misure necessarie,
ricorrendo a delibere obbligatorie e decreti legge per costringere la gente a
tornare in quella regione sistemandosi nelle case disponibili, nelle case
rimaste intere. Non sarebbe male, anzi, ricorrere agli obblighi di lavoro per
tutta la popolazione della Croazia». In Croazia, l’obbligo di lavoro consiste
nel reclutamento militare per svolgere lavori pubblici.
Ma come risolvere la questione dei beni abbandonati dalle popolazioni
serbe della “Krajina”? Semplice, ha risposto Tudjman: la proprietà delle
case e terreni già appartenenti alla maggioranza (serba) della popolazione
passerà allo stato. «La decisione è stata già presa in una riunione del
Consiglio Nazionale per la Sicurezza: saranno varate leggi in base alle quali
i beni abbandonati verranno statalizzati. Ciò permetterà ai profughi croati
che arrivano dalla Bosnia, dalla Vojvodina e dallo Srijem, ma anche agli
altri croati, di stabilirsi [nella Krajina] con la sicurezza di non essere
sfrattati da quelle case». Tudjman, insomma, ha cancellato sin d’ora
qualsiasi idea di un ritorno dei serbi alle loro case ed alle loro terre in
Croazia; sin d’ora ha deciso di nazionalizzare quei beni, «perché questo è
nell’interesse — ha spiegato — non soltanto della gente che andrà a viverci,
ma anche dello stato croato. Risolveremo la cosa o modificando una legge
per la quale è già iniziato l’iter parlamentare, o con un decreto governativo
con forza di legge. Al governo ho già impartito una direttiva in tal senso».
Ma i cambiamenti in vista sono parecchi. Per cominciare, Tudjman
intende sciogliere il Parlamento di Zagabria, poi modificare la legge
costituzionale sui diritti delle minoranze nazionali ovviamente per
restringerli ma, soprattutto, per cancellare i “Distretti ad amministrazione
autonoma” che avrebbero dovuto funzionare nelle regioni con maggioranza
di popolazione serba e per annullare la norma della legge elettorale relativa
alla “rappresentanza proporzionale della minoranza serba e delle altre
minoranze nazionali al Parlamento della Croazia”.
In considerazione del fatto che «i serbi hanno volontariamente
abbandonato la Croazia è venuta a crearsi una situazione tale — ha detto
Tudjman nell’intervista — che di per sé ha cancellato le norme della legge
costituzionale sui diritti delle minoranze e le relative norme della legge
elettorale. Noi non facciamo altro che prendere atto di questa nuova realtà».
Tudjman mira ad ottenere, inoltre, sempre più ampi poteri personali ed a
rendere dinamico il processo di “croatizzazione della Croazia” il cui
prossimo obiettivo sarà l’Istria.
h’Hdz, il partito di Tudjman, detiene già da cinque anni la maggioranza
al Parlamento e può fare, come ha sempre fatto, quasi tutto quel che vuole.
Ciò nonostante Tudjman vuole sciogliere al più presto l’Assemblea.
Perché? Perché non tutti i deputati del suo partito sono dei falchi, e non tutti
si sono dimostrati sempre disciplinati. Inoltre, la situazione economica e
sociale è catastrofica, la criminalità ha raggiunto alti livelli, favorita dalla
corruzione in tutte le sfere del partito al potere sicché, in tempi normali e in
condizioni democratiche, esso verrebbe battuto. Ora Tudjman non tollera
sconfitte, tanto meno dissensi; chiede ai suoi ubbidienza assoluta e pieni
poteri. Reso baldanzoso dalle vittorie militari in Slavonia occidentale, in
Bosnia e nella “Krajina”, vuole sfruttarle fino in fondo ed arrivare al
plebiscito, all’assoluto dominio del suo regime e all’altrettanto assoluto
comando sul proprio partito con la certezza di portare in Parlamento ed al
governo persone assolutamente sottomesse, docili ed ossequiose al culto
della sua personalità. Così, ancor prima che il parlamento e il governo
attuali 20agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
abbiano potuto esprimersi, il vrhovnik Tudjman ha deciso, con una
semplice intervista, di imporre al paese elezioni anticipate, entro la fine di
quest’anno. E, per assicurarsi il trionfo, sarà lui stesso a capeggiare la lista
dell’Hdz, il partito che dal 1990 detiene il potere in Croazia. «Capeggerò la
lista nazionale del mio partito — ha spiegato — perché senza un partito di
maggioranza assoluta qual è Hdz, io non potrei avere un governo compatto,
non potrei avere una maggioranza al Parlamento e, quindi, non potrei
prendere decisioni di tale portata quali sono state quelle che ho preso finora
e che hanno portato alla liberazione di questa regione, all’Operazione
Fulmine, all’Operazione Tempesta, all’Estate Novantacinque le conquiste
territoriali nella Bosnia occidentale, regione di Bihac]. E perché fosse
possibile l’Estate Novantacinque fu necessario creare la Repubblica croata
di Erzeg-Bosnia e l’esercito croato-bosniaco». La repubblica e l’esercito
che i bosniaci musulmani vedono come la sabbia negli occhi, ma che nei
piani di Tudjman dovranno portare la federazione croato-musulmana della
BosniaErzegovina diventare un’appendice della Croazia, mediante un
legame confederale che avrà il suo perno in Zagabria, non certamente a
Sarajevo.
DROGA PER UCCIDERE
30 AGOSTO
«Dopo l’Operazione Tempesta nella Krajina, l’intera Croazia è stata
trasformata in una marca militare di confine ed i confini dei Balcani sono
stati spostati sui confini dell’Austria, dell’Ungheria e dell’Italia. Il
presidente della Croazia potrà iniziare i suoi futuri discorsi politici con
“Croate e croati”, perché oltre ai croati in Croazia non è rimasto nessuno, la
Croazia è diventata un’ameba uninazionale». Sono parole pronunciate in
una conferenza stampa da Vladimir Bebic, deputato di Fiume, unico
parlamentare del partito Unione Socialdemocratica. Ha aggiunto: «La
politica croata fa rivoltare lo stomaco a tutto il mondo. Dopo l’Operazione
Tempesta, la Krajina è diventata terra bruciata sulla quale non torneranno
più i suoi abitanti. La cosiddetta liberazione della Krajina, la cui
popolazione è fuggita davanti ai liberatori, è il risultato non della superiorità
dell’esercito croato, che non ha incontrato praticamente nessuna resistenza,
ma di un accordo tra Zagabria e Belgrado, il cui finale si avrà in Bosnia con
la spartizione di quel paese. Lo scenario del cosiddetto esodo umanitario
delle popolazioni fu scritto molto tempo addietro da Tudjman e Milosevic e
su di loro ricadono le conseguenze di questo crimine di guerra».
Guardo, ascolto e non riesco a credere ai miei occhi ed alle mie
orecchie: la Tv italiana, che si vede ottimamente in varie regioni della
Croazia, rivela che una decina di soldati croati sono arrivati nei giorni scorsi
nella comunità di San Patrignano a Coriano, in Italia, per intraprendere un
trattamento antidroga. I soldati, tutti giovanissimi, hanno confermato che
«venivano imbottiti di droga»
prima di essere avviati al fronte a combattere, per meglio resistere al
ribrezzo per le atrocità della guerra in Bosnia e nella Krajina. Se non ho
capito male, il giornalino della comunità di San Patrignano riporta una serie
di interviste ai soldati che parlano di eroina offerta dagli ufficiali medici ai
più deboli ed a quelli destinati alle azioni più rischiose.
La droga «era prescritta come un medicamento dell’anima, come il
farmaco che ti permette di dimenticare e ti aiuta ad andare avanti». Non è la
prima volta, del resto, che viene usata la droga per aumentare la resistenza
dei soldati in battaglia.
L’eroina, racconta Davor, 29 anni, «veniva distribuita due volte al
giorno: passavo dall’infermeria del campo per ritirare la mia dose
giornaliera, mezzo grammo al mattino e mezzo alla sera».
«Ne avevi proprio bisogno — racconta un altro al giornale — per
affrontare quelle battaglie crudeli dove, per salvare la pelle, dovevi essere tu
il primo ad uccidere; per dimenticare i pianti e i volti terrorizzati dei
bambini accanto ai corpi dei genitori morti; per non vomitare tutta la bile
che avevi in corpo alla vista dei tuoi compagni orrendamente mutilati dalle
granate».
La distribuzione della droga, secondo il racconto dei soldati riferito dal
mensile, talvolta ritardava e, «anche se non potevi essere troppo
condizionato dalla crisi di astinenza, dopo due giorni le strette della
“scimmia” erano forti: così un giorno siamo scesi in città e, puntando il
mitra alla testa di uno spacciatore, abbiamo acquistato la droga».
I soldati hanno poi confermato che venivano distribuiti anche alcool e
psicofarmaci di vario genere, «ma per compiere le azioni più rischiose, per
attaccare villaggi, per sgozzare e uccidere a sangue freddo, servono
anestetici 21agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
più potenti e un tossico imbottito di eroina o cocaina è l’ideale».
Stanotte, alle ore 2.00, è cominciata un’operazione aerea della Nato
sulle posizioni dei serbo-bosniaci intorno a Sarajevo per la distruzione delle
postazioni militari dalle quali potrebbero essere partite le granate che hanno
provocato una nuova strage di innocenti, il 28 agosto, nel mercato della
capitale bosniaca: 41 morti e un centinaio di feriti, una carneficina orrenda a
vedersi, agghiacciante. Ricorda quella del 27 maggio dell’anno scorso
quando una granata di mortaio sparata, non si è mai saputo da chi, dalle
colline circostanti in mezzo a una folla di persone che facevano la fila per il
pane, fece a pezzi decine di uomini, donne e bambini.
«Sull’asfalto fiorì una rosa di carne umana, intorno giacevano i morti,
i feriti strisciavano
invocando aiuto, supplicando,
si allargarono le macchie di sangue,
accorsero i soccorritori… ».
È il brano di una poesia del poeta sarajevese Josip Osti scritta l’anno
scorso.
Ci sarà qualche poeta a ricordare quest’altra carneficina?
La rappresaglia della Nato è stata durissima. Fino alle 6.00 di stamani
57 aerei statunitensi, britannici, olandesi e francesi, partiti dall’Italia e dalla
portaerei Roosevelt nell’Adriatico, hanno distrutto postazioni di radar, di
missili e di artiglieria non soltanto sui monti intorno a Sarajevo ma anche su
quelli che circondano Tuzla e Gorazde. Verso le 17.15 un missile serbo ha
abbattuto un Mirage 2000 francese: i due piloti si sono lanciati col
paracadute.
Alle 21.00 sono ripresi gli attacchi notturni…
Sto per andare a letto quando il fax si mette a ronzare. Tanja Olujic, ex
direttrice dello Studio televisivo di Fiume, radiata da quel posto quando
Tudjman salì al potere in Croazia (la “colpa” di Tanja: essere di etnìa
serba), mi fornisce alcuni appunti. «Possono servirti per un racconto»,
annota in calce al telescritto. Gli appunti riguardano la vicenda di una donna
di 75 anni arrivata a Fiume dalla Krajina. Questa è la storia di Dànica R.
La sua casa sorge sulla principale camionabile della Lika, nel punto in
cui svolta in direzione di Udbina. Il figlio e il fratello di Dànica
abbandonarono casa e paese per seguire le interminabili colonne dei
profughi serbi che hanno lasciato la Krajina nei giorni della “Tempesta”
croata. Dànica non volle seguirli, decise di restare nella propria casa nella
quale appena due mesi fa è morto suo marito. «Debole ed ammalata come
sono, dove vado?».
Quando arrivarono i soldati croati, la trovarono in casa, nel suo vestito
nero di vedova. Uno dei soldati l’aggredì immediatamente. Tentò di infilare
la mano fra i seni della vecchia in cerca, disse, del denaro nascosto. La
donna si ribellò. Nemmeno suo marito si era mai permesso un gesto come
quello in 50 anni di matrimonio. Il soldato la picchiò. Anche gli altri
commilitoni presero a menar pugni e calci, e finalmente dal reggipetto della
vecchia trassero fuori un rotolo di 3.000 marchi tedeschi. «Vedi? La cetnica
voleva prenderei per il naso!». Per punirla le stracciarono con i pugnali tutti
¡ panni che portava addosso, tutta la biancheria che trovarono in casa, tutti i
vestiti che trovarono negli armadi. Si presero poi il televisore e
l’apparecchio telefonico; estrassero dal frigorifero il cibo, lo sparsero per
terra e lo calpestarono.
Compiuto il saccheggio, se ne andarono, lasciando l’anziana donna
insanguinata, dolorante, priva di viveri, senza luce, senza acqua, senza
scarpe e senza vestiti…
Poco dopo capitò un altro soldato. Commosso di fronte allo spettacolo
di quella donna martoriata, andò in cerca di pane e di acqua, trovò anche un
po’ di pomodori e portò il tutto alla povera disgraziata. Infine le lasciò 100
kune (qualcosa come 35.000 lire) e le chiese se avesse qualche parente. Sì,
la donna aveva dei parenti a Fiume. Qualche giorno dopo, il soldato buono
informò per telefono i parenti di Dànica R.: «È viva e vi aspetta. Venite a
prenderla».
Giunta a Fiume, la vecchia serba esprime un solo rammarico: quello di
non conoscere il nome di quel soldato che l’ha salvata. Il giovane in
uniforme le disse soltanto di essere istriano di Pinguente.
Quest’altra storia è di Milena S., una donna di 29 anni. L’esercito croato
stava già dilagando in Krajina ed era già cominciato il fuggi fuggi generale
della popolazione. La madre di Milena si avviò di corsa verso casa, dai
campi, per liberare le bestie dalla stalla, afferrare qualche oggetto e
scappare pure lei.
Milena, meno frettolosa, la seguì a grande distanza. Quando giunse in
paese, Kijanje Gore, uno dei tanti villaggi sparpagliati della Lika, non vi
trovò più 22agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
nessuno. Anche sua madre era scomparsa, anche la sua casa era vuota.
Che fare?
Tutto intorno echeggiavano le esplosioni delle granate e le raffiche delle
armi automatiche. Milena decise di rinchiudersi in casa ed aspettare. Lasciò
la casa solo quando, calata ormai la notte, l’abitazione fu improvvisamente
assalita da una pattuglia di soldati croati. Riuscì a sgusciare fuori senza farsi
notare, dal di dietro. Sottrattasi così a un temuto stupro collettivo, la
giovane donna vagabondò per alcuni giorni nei boschi.
Un giorno sentì che qualcuno la chiamava: «Ehi, piccola!». La donna si
voltò. Da un’automobile occupata da quattro uomini in tute mimetiche con
fazzoletti neri legati intorno alla testa, partì improvvisa una raffica. Quattro
proiettili raggiunsero la giovane che crollò in un fossato non lontano dalla
strada. L’auto con i soldati si allontanò, la ragazza rimase a giacere nel
fosso per tutta la notte. Delle quattro ferite, due erano gravi.
Pioveva. La ragazza tentò più volte di sollevarsi, ma non riuscì neppure
a muoversi. La trovarono altri soldati croati che passarono da quelle parti il
mattino seguente. La raccolsero, constatarono che respirava ancora e la
portarono all’ospedale di Gospic. Da Gospic l’hanno trasferita all’ospedale
di Fiume dove le ferite stanno lentamente rimarginandosi.
Milena ignora dove siano finiti i suoi familiari, non sa dove andrà
quando sarà dimessa dall’ospedale, né chi pagherà le spese del suo
ricovero…
Ljubomir S. e sua moglie vivevano nel villaggio di Nunic, nei pressi di
Knin.
Rimasero a casa, aspettando l’esercito croato, ma non furono lasciati
nella loro casa. I soldati con la scacchiera sull’uniforme li portarono via
dicendo loro:
«Andiamo un attimo al comando, metterete una firma e tornerete subito
indietro».
Il viaggio durò parecchio. Ljubomir e sua moglie, lui 70 e lei 65 anni,
furono scaricati in un campo di concentramento allestito alla periferia di
Zara, il
“Sabirni Centar”. Dopo qualche giorno li hanno portati a Fiume dove
hanno un figlio. Il figlio li ha rifocillati ma, non essendo in grado di
sostentarli, ha consigliato loro di tornare nella Krajina, nella loro casa.
Ljubomir e sua moglie sono tornati a Nunic, un villaggio che prima
della guerra era stato abitato per metà da serbi e metà da croati. I croati
sono i ornati; gli unici serbi sono loro, Ljubomir e sua moglie, che hanno
ritrovato la casa intatta e le bestie. Hanno fatto sapere al figlio che stanno
bene e che i vicini di casa croati li trattano bene.
Nel villaggio di Grulovic, presso Kistanje, sono rimasti 11 abitanti, tutti
serbi e tutti anziani. Da giorni sono sottoposti a interrogatori da parte della
polizia che però li lascia nelle loro case. Non impedisce però — la polizia
— a frotte di sciacalli, per lo più civili, di aggirarsi per il villaggio e
saccheggiare le case. Niente, la polizia non reagisce.
A Plaski e nelle altre località del Kordun le case abbandonate dai serbi
sono state già assegnate ai croati arrivati da Banja Luka. Vengono occupate
anche quelle case i cui proprietari si trovano in Croazia e sono cittadini
croati…
Ultima “storiella”. Questa però l’ho letta in un giornale croato istriano.
In un villaggio serbo rimasto quasi totalmente disabitato nel territorio
liberato, è stata trascinata ed esposta nella piazzetta principale la carogna di
una delle migliaia di vacche morte dopo la fuga dei proprietari. Coloro i
quali hanno organizzato il rito dell’esposizione, hanno precedentemente
tagliato alla bestia le mammelle, le hanno strappato gli occhi, hanno
squarciato il corpo per tutta la sua lunghezza. «Hanno voluto così lanciare
un messaggio». E necessario spiegare a chi era destinato? Ai pochi serbi,
tutti molto anziani, rimasti nel villaggio.
UN DOSSIER SUI DIRITTI UMANI
il AGOSTO
Come al solito, le uniche verità su quello che succede nell’ex Jugoslavia
vengono dagli osservatori dell’Orna sul posto. Il portavoce
dell’organizzazione mondiale a Zagabria, Chris Gunnes, ha comunicato
oggi che dal territorio dei settori sud e nord della “Krajina”, da più di 20
giorni sotto il pieno controllo delle autorità militari e civili croate,
«continuano ad arrivare notizie di nuovi saccheggi e incendi di case
compiuti dall’esercito croato». Continuano pure ad essere rinvenuti
cadaveri di persone uccise. Le relazioni delle squadre degli osservatori
dell’Onu accennano inoltre alle minacce che subiscono giornalmente i serbi
rimasti nella Slavonia occidentale (la “Krajina” liberata dai croati nei primi
giorni di maggio) per costringere anche loro, e sono poco più di 2.000, ad
andarsene. Nella “Krajina” di Knin e Glina, invece, su 250.000
serbi, ne sono rimasti meno di 1.000 ed anche questi negli ultimi giorni
vengono costretti a sgomberare. A Fiume sono arrivati una decina di vecchi,
23agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
sull’isoletta dalmata di Obonjan ne sono stati confinati 89, altri sono
stati sparpagliati in varie località della Croazia. «Nonostante gli
ammonimenti rivolti alle autorità croate, — ha detto Gunnes — esse non
hanno ancora ordinato di far cessare queste azioni, oppure gli ordini di
Zagabria non vengono rispettati». Secondo alcune fonti, sarebbe stata
scoperta una fossa comune presso Petrinja, ma Gunnes non ne è al corrente.
Sto leggendo un documento stilato da una missione della Federazione
internazionale di Helsinki per i diritti umani relativo alla Krajina.
“Fotografa” parzialmente la situazione in quel territorio riconquistato
dai croati così come essa si presentò alla missione nei giorni 17-19 agosto.
Nei colloqui avuti con rappresentanti dei 710 civili serbi di Knin e dintorni,
rifugiatisi nella caserma dei Caschi Blu (dove anche in questo momento si
trovano), si è saputo che quasi tutti intendono andarsene dalla Croazia
perché
«non
credono che, tornando alle loro case, saranno protetti dall’esercito o
dalla polizia croati, temono per la loro incolumità se resteranno in Croazia».
«Essi vogliono andarsene, non importa in quale paese purché non ci sia la
guerra, per poter vivere in pace senza essere strumentalizzati dai leader
politici. Per molti di questi profughi questo è già il secondo o terzo esodo».
«Nei colloqui con i loro rappresentanti, Banko Pupovac, Dusak Colak e
Sandra Oliveric, abbiamo saputo che molti avevano considerato la
possibilità di rimanere in Croazia (questa è la ragione per cui non erano
fuggiti dalla Krajina davanti all’esercito croato, limitandosi a chiedere
rifugio, ottenendolo, nella caserma dell’Orna), ma dopo che alcuni di essi
hanno lasciato il campo di raccolta e si sono resi conto dei saccheggi, degli
incendi e delle distruzioni subite dalle loro case, ed hanno riferito agli altri
rifugiati nel campo quanto avevano visto, la maggioranza dei rifugiati ha
deciso di andarsene da questa terra». «Molti dei rifugiati con i quali
abbiamo parlato hanno avuto paura di parlarci delle esperienze fatte. La
maggioranza si è rifiutata di fornirci le proprie generalità. Di oltre 700
rifugiati, appena sei si sono sentiti abbastanza sicuri da raccontarci quello
che è loro capitato».
Il rapporto sintetizza quindi le storie raccontate da queste sei persone,
sottolineando però: «Supponiamo che casi simili siano molto numerosi».
Prima storia, raccontata da Vineto Dragicevic. Il 5 agosto, un gruppo di
20
civili serbi viaggiava su un camion in direzione dell’accampamento dei
Caschi Blu. Avvicinatisi al villaggio di Kovacici hanno notato un gruppo di
soldati croati che immediatamente hanno aperto il fuoco sull’automezzo
uccidendo tre persone e ferendone altre tre che sono rimaste abbandonate
sulla strada senza soccorsi. Ad una donna anziana, Mara Dragicevic, il cui
marito Nikola è rimasto ucciso nell’agguato, hanno mozzato alcune dita
della mano destra. A spararle alla mano, da distanza ravvicinata, è stato un
soldato croato con la pistola.
Poi gli altri civili superstiti sono stati portati via come prigionieri.
Vineto Dragicevic è riuscito a fuggire consegnandosi ai Caschi Blu.
Nell’elenco nominativo delle persone uccise, ferite o tenute prigioniere,
consegnate dall’esercito croato agli osservatori dell’Orni, i nomi delle
persone uccise, ferite o catturate presso Kovacici non ci sono.
Seconda storia. Nenad Dukovic, sua moglie Nedjeljka, il loro bambino
nato da soli 45 giorni e il fratello di Nedjelika, Dragan Mirkovic, si
trovavano nella loro casa quando è cominciato il cannoneggiamento delle
artiglierie croate all’alba del 5 agosto, poco prima delle 5.00. Sul far della
sera, durante una pausa dei bombardamenti, uscirono dalla casa in cerca di
un rifugio migliore.
Nella fuga, la loro auto si bloccò per un guasto nel bel mezzo di una via
di Knin. Abbandonata l’automobile, cercarono riparo nello scantinato di un
palazzo nel centro della città. All’alba del 6 agosto, a conclusione
dell’ultimo massiccio bombardamento, sentirono le voci dei soldati croati
che si muovevano per le vie della città sparando raffiche a casaccio in varie
direzioni. I soldati penetrarono anche nell’edificio in cui la famigliola
Dukovic si era rifugiata, la trovarono ed ordinarono subito ai due uomini
Nenad e Dragan di seguirli. La donna col neonato fu invece condotta al
campo dei Caschi Blu. Nonostante tutte le ricerche, Nedjeljka Dukovic (è
lei la fonte di questo racconto) non è riuscita ad avere più notizie del marito
e del fratello.
Spariti nel nulla. I loro nomi non si trovano negli elenchi consegnati
dalle autorità croate ai rappresentanti dell’Onu e della Croce Rossa
Internazionale.
Terza storia. Tredici persone viaggiavano sul rimorchio trainato da un
trattore agricolo quando nei pressi di Vrbnik il 5 agosto, verso le 10.00 del
mattino, furono fermati da una pattuglia dell’esercito croato. A una giovane
donna ed al 24agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
suo ragazzo vestito da soldato canadese, ma disarmato, di nome Zivko
Stojakov, i soldati ordinarono di scendere dal carro. Appena i due furono a
terra, senza dire una parola un soldato croato puntò il suo fucile automatico
Ak-47 sullo Stojakov e lasciò partire una raffica. Lo uccise segandolo
all’altezza del petto. La ragazza, invece, costretta a spogliarsi, fu stuprata a
turno da tutti i soldati della pattuglia, al cospetto degli altri civili rimasti sul
carro.
Quando tutti ebbero soddisfatto i loro istinti sessuali, gli stupratori si
accinsero a liquidare anche la ragazza. Fortunosamente fu salvata
dall’arrivo di un più folto gruppo di soldati di un reparto di Varazdin. Questi
la condussero alcune ore dopo davanti all’accampamento dei Caschi Blu, e
lì fu abbandonata. La ragazza, che ha denunciato l’episodio alla missione
della Federazione Internazionale di Helsinki, non ha saputo dire che fine
abbiano fatto gli altri 11 civili. Al campo dell’Orni a Knin non sono mai
arrivati.
Quarta storia. Ratomir Tatomir di Knin, classe 1943, e Dragoljub Cupa-
vie da Oton, classe 1967, furono catturati dai soldati croati, ma i loro nomi
non compaiono in nessun elenco ufficiale di prigionieri. La persona che ha
raccontato della loro cattura alla commissione internazionale afferma di
aver visto anche più di 20 cadaveri di civili — uomini, donne e bambini —
nei pressi della casa segnata dal numero 1 di Via Kralj Petar a Knin.
Quinta storia. Nikola Bjelov, rifugiatosi nella caserma dei Caschi Blu a
Knin, è tornato nella propria abitazione in città intenzionato a rimanervi,
sottostando alle autorità della Croazia. Era il 7 agosto. Nella propria
abitazione trovò quattro soldati dell’esercito croato che lo aggredirono e
picchiarono causandogli serie contusioni, cacciandolo quindi fuori
dall’abitazione. Non gli rimase che tornare al campo dell’Orni dove tuttora
si trova.
Sesta storia. Un’anziana donna tornò nella propria abitazione a Knin per
prendere una preziosa cannula per tracheotomizzati di cui si serviva suo
marito, rifugiatosi insieme a lei nel campo dell’Orni. Trovò l’abitazione
saccheggiata e semidistrutta. Tornò al campo a mani vuote ma, per fortuna,
incolume.
Nell’abitazione aveva trovato alcuni soldati croati che, non avendo più
nulla da saccheggiare, frugarono addosso alla donna, portandole via gli
ultimi soldi che aveva: 100 marchi tedeschi. Un soldato le disse: «Non
avete più bisogno di marchi, potete usare le kune».
Il 21 agosto, il governo croato affermò che a fuggire dalla Krajina in
vista dell’attacco dell’esercito di Zagabria erano stati 154.079 serbi e che
tutti sarebbero stati benvenuti in Croazia se prima o poi avessero voluto
ritornare.
Pochi giorni dopo Zagabria ha negato ogni possibilità di un rientro puro
e semplice di questi suoi cittadini, lasciando aperta la porta soltanto a
“singole persone” le cui domande per il ritorno alle proprie terre e case,
surrogate da documenti impossibili da ottenere, sarebbero state esaminate
caso per caso.
Nemmeno la cifra dei profughi risulta veritiera. Varie fonti fanno salire
ad oltre 250.000 il numero dei serbi, cittadini croati, che hanno lasciato il
territorio della cosiddetta Krajina.
Il 23 agosto, i massimi rappresentanti del governo croato e lo stesso
capo dello Stato Tudjman respinsero come false e infondate le accuse
rivolte all’esercito croato di aver violato i diritti civili e umani
nell’operazione di riconquista della Krajina (5-7 agosto) e nei giorni
successivi. «I fatti sono in forte contraddizione con queste affermazioni», si
legge nel già citato rapporto della missione della Federazione Internazionale
di Helsinki per i diritti dell’uomo (Ih/), che ha raccolto una vasta
documentazione sulle «sistematiche distruzioni e saccheggi delle case serbe
e degli edifici pubblici da parte dell’esercito croato (Hv), della polizia civile
croata e di gruppi speciali di incendiari», reparti che continuano tuttora la
loro azione in questo territorio.
«Saccheggi e incendi continuano nella Krajina» è stato detto anche ieri
dai rappresentanti dell’Orni in Croazia.
Contraddittori sono pure le affermazioni e i dati delle autorità croate
relativi alle vittime civili dell’operazione bellica ed al numero totale dei
morti nella Krajina, afferma il rapporto dell’Ibf, e continua: «Esistono indizi
sull’esistenza di una fossa comune nel cimitero di Knin e di altre tombe
collettive, ma su queste circostanze non disponiamo di esatte informazioni».
D’altra parte «il gran numero di edifici saccheggiati e danneggiati
annotati da questa missione dell’in/ nel territorio di Knin, e la recente
decisione del governo croato che impone a tutti i profughi serbi che hanno
lasciato la Croazia, e che vogliono tornare alle loro case, di presentare un
certificato di cittadinanza croata rilasciato dalle autorità dei comuni nei
quali attualmente si trovano rifugiati», (e cioè nella Serbia e nei territori
della 25agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
BosniaErzegovinasotto il controllo serbo) «dimostrano che il governo
croato non ha alcuna voglia di creare le condizioni che faciliterebbero ai
serbi la via del ritorno».
Informazioni raccolte dalla missione Ibf — formata da Dardan Gashi,
William Heyden, Petra Klein, Petar Mrkalj (croato) e Björn Engesland —
dimostrano che nella Krajina sono stati ampiamente violati i diritti umani e
le leggi internazionali, anche se le autorità croate hanno praticamente
impedito ai membri della missione di spingersi fuori dalla città di Knin,
motivando questa limitazione di movimenti con l’impossibilità di garantire
la sicurezza e l’incolumità delle persone. Le informazioni raccolte, quindi,
sono molto parziali e non comprendono la gran parte dei territori della
Krajina da dove pur sono giunte denuncie di violazioni dei diritti umani.
Nel rapporto si legge che
«le autorità croate non sono riuscite a spiegare in modo convincente i
saccheggi e gli incendi delle case, l’uccisione dei civili e la sorte dei
dispersi». E più avanti: «Disponiamo di prove dirette sugli incendi e
saccheggi sistematici delle case di abitazione, di edifici pubblici e di
aziende private da parte dell’esercito croato, della polizia civile e delle unità
speciali di polizia, compiuti dopo le prime 30 ore dell’Operazione
Tempesta». La stessa missione Ibf è stata testimone di crimini compiuti da
speciali “gruppi incendiari” e descrive alcuni episodi.
«Soldati di un gruppo speciale, dotati di armi anticarro e di
lanciafiamme, hanno diretto queste armi contro case di abitazione nel
settore di Bulajusa, fra Drnis e Knin [immediato retroterra della
Dalmazia]».
«Nel territorio circostante Kistanje, persone in abiti civili, qualificatesi
come funzionari statali, hanno preso di mira le case di abitazione che, poco
dopo la loro azione, sono state viste avvolte dalle fiamme».
«Il 17 agosto questa missione Ihf ha visitato Kistanje ed ha visto un
gruppo di quattro soldati entrare nelle case e aggirarsi intorno agli edifici
delle vie principali della borgata. Mentre la missione era ancora presente
nella località, colonne di fumo hanno cominciato a levarsi dagli edifici della
via principale che porta a Knin».
«A sud della cittadina di Drnis, in direzione di Knin, e negli immediati
dintorni di Knin, centinaia di edifici sono stati saccheggiati e dati alle
fiamme.
La borgata di Kistanje, che contava circa 2.000 abitanti, è stata alla fine
completamente saccheggiata e incendiata.
Il villaggio di Srb risulta completamente bruciato. La cittadina di Donji
Lapac è stata distrutta al 70%. Le località di Siveric, Kosovo, Vrbnik,
Raducic, Kricka, Ivoseviä e Zagrovic sono seriamente danneggiate. Molti di
questi villaggi non hanno più nemmeno le targhe con i loro nomi, rimosse
dai soldati croati. Passando per questi territori i componenti la missione
hanno visto numerose case nelle ultime fasi di combustione.
Il 18 agosto, sul far della sera, mentre si spostavano da Knin a Drnis, i
membri di questa missione si sono fermati ed hanno fotografato un edificio
distrutto che non era stato visto bruciare quando erano passati accanto allo
stabile nel mattino dello stesso giorno. La missione è tornata sullo stesso
tratto di strada sull’imbrunire del 19 agosto ed ha fotografato le altre case
mentre da esse si levavano gli ultimi guizzi di incendio. Queste case non
erano state viste bruciare quel giorno, di primo mattino, quando la missione
era passata per la prima volta da quelle parti».
«I componenti la missione hanno anche visto case con sopra scritto
“Casa croata”
e “Non toccare, è una casa croata”, nonché case rimaste intatte davanti
alle cui porte o alla finestra sventolavano bandiere croate».
La relazione si sofferma successivamente sulla situazione nell’ex
“capitale”
della Krajina: i bombardamenti croati hanno risparmiato il centro di
Knin ma, girando per essa in auto ed a piedi, i membri della missione
«hanno constatato che anche le case risparmiate dalle artiglierie sono state
sistematicamente e totalmente saccheggiate. I maggiori danni sono stati
arrecati dai saccheggi».
Per inciso: una commissione di osservatori militari dell’Orni a Knin ha
constatato che 21 edifici sono stati gravemente danneggiati ed altri 23
hanno subito danni minori dal cannoneggiamento dell’esercito croato
all’inizio delle operazioni di riconquista, mentre altre 24 case sono state
gravemente danneggiate e 23 hanno subito danni minori dagli incendi
appiccati dopo la conquista.
Esistono numerose informazioni fornite dalle autorità di Zagabria
relative ai civili sorpresi a Knin dopo le prime 30 ore dell’Operazione
Tempesta, ma sono tutte in contraddizione le une con le altre. Fatta questa
constatazione, il 26agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
rapporto della missione Ibf afferma che i suoi componenti hanno avuto
modo di parlare con diverse persone che si sono trovate in città al momento
dell’ingresso in essa dell’esercito croato, dopo i cannoneggiamenti. «Stando
a questi colloqui, pare che i saccheggi della prima ondata sono stati
compiuti dai reparti della 4ªe della 7ª Brigata dell’Hv che per primi sono
penetrati in città». A sua volta il portavoce dell’Orni a Zagabria dichiara
che «i saccheggi della seconda ondata furono compiuti dalla polizia e dalle
unità speciali di polizia». «I membri della missione Ibf hanno avuto modo
di vedere parecchie volte gruppi di soldati guidare auto civili prive di targa,
stracariche di roba saccheggiata nelle case e nei negozi».
Nella località di Ivosevici, i membri della missione hanno rinvenuto due
ordigni Ma-23, mine anti uomo adoperate anche per far saltare in aria case e
strade.
Alcuni minuti dopo questo ritrovamento, quattro poliziotti delle unità
speciali, sbucando dal retro di una casa, sono apparsi sulla strada avviandosi
di corsa verso il punto in cui stavano fermi i membri della missione Ibf. A
un certo punto si sono divisi in due gruppi, puntando le armi, pronti a far
fuoco. Hanno rinunciato quando si sono accorti che i membri della missione
non erano civili serbi. Dopo averli sottoposti ad un serrato interrogatorio, li
hanno «invitati»
a lasciare la zona ancora «infestata dai terroristi serbi» a loro dire, e
perciò insicura. «Quasi tutte le case viste in quella località dai membri della
missione erano in vario grado danneggiate dagli incendi e dai saccheggi». E
più avanti: «A Kistanje i membri della missione hanno constatato che
l’unico edificio rimasto intatto era la chiesa ortodossa.
Quando hanno chiesto ad un colonnello dell’esercito croato addetto alle
informazioni come mai le chiese non fossero state distrutte, ha risposto:
“Non vogliamo somigliare ai serbi”. Questa risposta è molto interessante,
soprattutto perché le autorità croate affermano che i saccheggi e gli incendi
sono opera di singoli civili croati mossi da sentimenti di vendetta, e che alle
autorità è difficile impedire questo sfogo di emozioni. Se i civili croati
distruggono le case serbe, perché non hanno distrutto tutte le chiese
ortodosse? E se le autorità croate sono riuscite a proteggere tutte le chiese
ortodosse, evitandone la distruzione, perché non riescono a proteggere le
case serbe?».
Il comandante croato del distretto militare di Knin, generale Ivan
Cermak, consegnò alla missione dell’Ibf tre elenchi nominativi che, a suo
dire, contengono le informazioni su 86 persone sepolte nella fossa comune
del cimitero di Knin e un quarto documento nel quale quei nomi si ripetono
e vengono indicati la data e il luogo in cui furono uccisi e il luogo in cui
sono stati sepolti. Le località in cui avvennero le uccisioni: Strmica e
Kosovo; lungo la strada fra Gracac e Otric; Otric e Zegara; ospedale di
Knin; Biljani Gornji e Donji Srb; sulla strada fra Srb e Donji Lapac; nei
boschi di Srb, di Bruvno, Mazin, Podgradje, Bukonic; nelle caserme di
Golubic e Knin; a Cista Mala, Kricka, Ivosevici, Frkapici, Bioéina; in una
casa di Donji Lapac; a Bijelina, Zitnic, Smrdjeli e Drnis. Esaminando e
confrontando questi elenchi/documenti non si fa fatica a concludere che essi
sono contraffatti o sono stati improvvisati. Ma prima di addentrarsi nelle
cifre, la missione rileva quanto segue: l’ufficiale croato di collegamento con
gli osservatori stranieri, Karolj Donda, ha affermato che a tutte le fasi di
identificazione e di sepoltura dei cadaveri avevano assistito e collaborato
rappresentanti della Croce Rossa Internazionale. Prima di rientrare a Vienna
il 21 agosto, i membri della missione Ibf hanno appreso dalla sede
zagabrese del Comitato Internazionale della Croce Rossa che nessuno li
aveva consultati, nessuno di loro aveva presenziato né all’identificazione né
alla sepoltura dei cadaveri né al cimitero ai Knin né altrove!
Il giorno prima dell’arrivo della missione Ibf, gli osservatori dell’Orni
contarono nella fossa comune 96 croati. Il generale Ivan Cermak dichiarò
alla missione Ibf che in quella fossa erano stati sepolti 84 soldati, di cui 74
serbo-bosniaci (!), e due civili. Gli elenchi da lui stesso consegnati alla
missione, invece, dicono che i sepolti sono: 16 civili e 7 soldati uccisi fra il
6 ed il 7 agosto, 4 civili e 22 soldati uccisi fra l‘8 e il 9 agosto, 21 civili e 28
soldati uccisi fra il 10 e il 13 agosto. Sommando si ottiene la cifra di 41
civili e 62 soldati, totale 130!
Ma la macabra danza delle cifre non è finita. Il 18 agosto, alla domanda
sulle perdite civili, il generale Cermak rispose che erano stati uccisi 108
soldati dell’Arsk (Armata della Repubblica Serba di Krajina); 18 civili
erano rimasti vittime dei bombardamenti su Knin ed altri 15 civili erano
stati trovati morti nei dintorni di Knin. Dai documenti consegnati dallo
stesso Cermak risulta che altre vittime dell’operazione, militari e civili
serbi, sono sepolte nei 27agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
cimiteri di Zara, Gracac e Korenica: 31 civili e 8 soldati nel cimitero di
Zara, 3 civili e 18 soldati in quello di Korenica, 16 civili e 18 soldati a
Gracac.
Infine si indicano 12 civili e 14 soldati seppelliti non si sa dove. La
somma dei morti è: 62 civili e 58 soldati che, insieme a quelli già elencati,
danno un totale di 101 civili e 120 soldati per il solo distretto di Knin. Ma
nell’elenco non compaiono i nomi di alcune decine di civili i cui cadaveri
sono stati rintracciati e identificati dal personale dell’Onu,sicché è da
pensare che gli elenchi di Cermak, oltre ad essere pasticciati, sono
largamente incompleti.
Nella relazione dell’Ibf si legge:
«Dai colloqui avuti dai membri della missione con i rifugiati nella
caserma dell’Onu a Knin siamo venuti a conoscenza di molti casi in cui i
civili sono stati presi come bersaglio ed uccisi o feriti. Numerose sono state
pure le testimonianze di coloro che, fuggendo in direzione della caserma dei
Caschi Blu, hanno visto per strada numerosi cadaveri. Questi profughi sono
stati testimoni, complessivamente, dell’uccisione di 24 civili e di due
soldati Hanno elencato pure otto civili feriti e 18 dispersi. Nessuna delle
persone uccise, da essi indicate, si trova negli elenchi consegnatici dalle
autorità croate Una donna ha dichiarato di aver visto molti cadaveri, quasi
tutti di civili, sulla strada percorsa per giungere alla caserma».
E più avanti:
«Quattro cadaveri di civili sono stati rinvenuti a Zagrovici il 16 agosto
da un gruppo dell’Onu per i diritti umani. I corpi giacevano da una
settimana circa: tre presentavano fori di proiettili alla testa, il quarto si
trovava in uno stato di avanzata decomposizione per cui non è stato
possibile appurare la causa della morte. I tre, uccisi con colpi sparati alla
testa da distanza ravvicinata, avevano una cinquantina di anni: a uno di essi
sono state mozzate tre dita della mano destra (pollice, indice e medio che i
serbi uniscono per farsi il segno della croce alla maniera ortodossa). A
Zvjerinac, il cadavere di un civile è stato trovato davanti a una casa
incendiata».
Il generale di brigata Alain Forand, canadese, ha dichiarato di aver visto
22 cadaveri di donne, uomini e bambini (due in uniformi militari), sparsi
sulla via principale che porta all’ospedale di Knin. Il personale dell’Onu ha
visto alcuni civili uccisi nel tentativo di raggiungere la caserma dei Caschi
Blu, colpiti dalle granate dei mortai croati davanti all’ingresso principale di
quella caserma. I corpi di questi civili non sono stati mai consegnati ai
funzionari dell’Onu.
Un osservatore civile dell’Orni, aggregatosi al gruppo di “Azione per i
diritti civili”, ha dichiarato che le perdite civili sono state molto più
numerose di quelle denunciate dalle autorità croate. Dice di aver visto,
girando per le strade attorno a Knin, molte automobili abbandonate,
sforacchiate da proiettili e con tracce di sangue sui sedili. Per le vie della
città ha visto pure
«qualcosa che assomigliava a quattro fosse comuni» e tutti gli edifici
portavano tracce di saccheggi, di distruzioni, di incendi.
L’incaricato del governo croato per le questioni civili nella Krajina,
Petar Pasic, ha dichiarato alla missione Ibf il 18 agosto che gran parte delle
distruzioni avvenute nella Krajina dopo la sua liberazione sono opera di
civili mossi da spirito di vendetta, ma gli osservatori hanno prove sin troppo
numerose che esse sono state opera dell’esercito e della polizia speciale.
Confermando le risultanze degli osservatori dell’Orni, i membri della
missione hanno scritto di aver visto «numerose automobili e trattori
bucherellati da proiettili ed altri veicoli civili schiacciati dai carri armati,
anch’essi con tracce di sangue».
Un anziano osservatore militare, il colonnello Steiner Hjertnes, ha
dichiarato alla missione Ibf che due giorni dopo la cessazione dei
cannoneggiamenti su Knin si poterono udire incessanti sparatorie di armi
individuali per le vie e case della città e nelle zone circostanti; non si
trattava di combattimenti, né di spari di festa, ma di veri e propri
rastrellamenti, quartiere per quartiere, casa per casa: una spietata caccia agli
abitanti che non erano riusciti a fuggire. L’alto ufficiale ha pure dichiarato
di aver incontrato un soldato dell’esercito croato che parlava perfettamente
inglese con accento americano; si è dichiarato un mercenario alla testa di un
gruppo di una decina di armati specialisti nella liquidazione dei “cetnici”.
Sempre secondo le dichiarazioni del colonnello Hjertnes, il mercenario gli
mostrò il cadavere di un uomo da lui ucciso con un solo colpo alla nuca
dopo che quell’uomo, definito “cetnico”, si era arreso.
Secondo la testimonianza del colonnello Hjertnes, il cannoneggiamento
delle artiglierie croate su Knin nelle prime 31 ore della “Tempesta” fu
concentrato su tre obiettivi militari: l’edificio in cui aveva posto la propria
sede il 28agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
“governo” della Krajina, le caserme dell’Armata della Krajina nella
parte settentrionale della città e i magazzini militari a est di Knin. Il
cannoneggiamento fu attuato in modo — ha dichiarato il colonnello — da
seminare il panico nella massa della popolazione e dei soldati serbi. Questo
obiettivo è stato confermato da un colonnello dell’esercito croato
intervistato dai membri della missione Ibf «Ci ha dichiarato che l’intento
particolare del martellamento delle artiglierie è stato quello di seminare il
disordine, il panico di massa e provocare l’esodo dei serbi».
Nelle ultimissime ore della loro permanenza nella zona di Knin, lunedì
21 agosto 1995, i membri della missione Ibf registrarono questo episodio
avvenuto nel villaggio di Bijeli Klanac, comune di Krnjak: i parenti di due
vittime dell’operazione militare croata trovarono nella loro casa bruciata i
resti di corpi umani parzialmente carbonizzati, quelli di Desanka e Cvijo
Matijevic, ambedue sui 65 anni di età. Nei pressi della stessa casa, i membri
della missione trovarono altri due cadaveri anch’essi parzialmente bruciati.
Alcuni metri più in là di questi corpi, fu rinvenuto il cadavere di un
bambino sui 10
anni. Si suppone che quest’ultimo, essendo riuscito a fuggire dalla casa
in fiamme prima che lo raggiungessero le lingue di fuoco, fu ucciso da un
colpo di fucile o di pistola. Il corpo era in avanzato stato di decomposizione
quando fu ritrovato, e probabilmente era stato anche in parte divorato nel
frattempo da cani e maiali.
Pregato di dare una spiegazione sui cadaveri dei soldati e dei civili serbi
rinvenuti con fori di proiettili in testa, per lo più alla nuca, e in genere sulle
“esecuzioni rapide” o a sangue freddo compiute evidentemente da distanze
ravvicinate, il generale Cermak ha fornito la seguente risposta: «Su questi
monti si possono probabilmente trovare ancora 200 o 300 cadaveri con fori
alla testa». Esecuzioni sommarie?
LE CHIESE E LE BANDIERE
1° SETTEMBRE
A Pisino, il presidente della regione istriana Luciano Del Bianco
(croatissimo nonostante nome e cognome) ha dato il bentornato a casa ai
ragazzi della penisola reduci dalla campagna in “Krajina”. Quando ha
ripetuto il saluto anche in lingua italiana, un piccolo gruppo ha cominciato a
fischiare, ma è stato zittito dall’applauso corale degli altri 2.000 giovani in
divisa presenti.
Una manifestazione in onore dei giovani militari appena tornati dal
fronte si è avuta anche ad Umago, una delle poche cittadine istriane dove —
in considerazione dell’alta percentuale dell’etnìa italiana — accanto a
quella croata sventolava in piazza anche la bandiera d’Italia. Però a notte
inoltrata, quando la festa volgeva alle ultime battute, qualcuno ha voluto
portarsi via, come trofeo strappato al “nemico”, il tricolore inviso a
Tudjman. Chi può andare soddisfatto di questa ennesima offesa arrecata ad
una comunità nazionale, la nostra, che pure ha dato centinaia di ragazzi
all’esercito croato?
Si è fatto sentire uno dei più stretti collaboratori di Tudjman, uno dei
falchi del partito al potere, Vladimir Seks, vicepresidente del Parlamento.
Alla domanda sul destino dei territori che fino al 4 agosto del 1995 erano a
stragrande maggioranza serba e, come tali, oggetto di tutela di un’apposita
legge costituzionale che aveva creato i “distretti autonomi” di Knin e Glina,
ha risposto: «Quella parte di Costituzione che si riferisce ai serbi non ha più
ragione di esistere, il quadro demografico in Croazia è cambiato. Tra
qualche mese sarà necessario procedere a un nuovo censimento per stabilire
l’esatto numero degli appartenenti alle minoranze etniche e nazionali e, in
base a ciò, ridefinire la legge costituzionale». Seks non ha fatto che
interpretare la volontà di Tudjman, già espressa il 26 agosto. Dunque,
Zagabria ha definitivamente rinnegato la promessa di accogliere
indiscriminatamente i profughi serbi fuggiti dalla Krajina qualora
decidessero di tornare, non importa quando, alle loro terre e case. La
promessa era stata fatta da Tudjman in persona all’inizio dell’Operazione
Tempesta, e da Tudjman calpestata tre settimane dopo. Ora la Croazia è
intenzionata ad adottare criteri inflessibili che praticamente impediranno il
ritorno di quelle popolazioni.
Qui tutti arruolano Dio sotto le bandiere nazionali, ma le minoranze
fanno sempre più fatica a vivere all’ombra dei vincitori e delle chiese
imbandierate.
Un portavoce dell’Orni a Zagabria, Chris Gunnes, ha dichiarato oggi
che continuano i saccheggi e gli incendi nel settore settentrionale e in quello
meridionale dell’ex Krajina. Si tratta di fenomeni che hanno assunto vaste
dimensioni, che hanno investito particolarmente le zone circostanti le
cittadine di Otocac, Korenica, Sinj, Donji Lapac, Plavno. Tra le località di
Zvjerinac e 29agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
Drnis nemmeno una casa è stata risparmiata dal fuoco. Le autorità
croate hanno imposto forti limitazioni al movimento degli osservatori dell’
Onu lungo la strada a sud di Gracac. Sulla strada tra Plavca Draga e Slunj,
50 case che ieri l’altro erano intatte, oggi erano ridotte a ruderi anneriti.
La soluzione del problema dei profughi serbi, rifugiatisi nella caserma
dell’Onu a Knin dal 5 agosto, non è stata trovata nemmeno dopo una serie
di nuovi colloqui avuti dai massimi esponenti dell’ Uncro con l’Ufficio di
presidenza di Tudjman. Le autorità croate insistono nella loro richiesta di
mettere le mani su 62 persone da esse ritenute criminali di guerra ovvero rei
di rivolta armata contro lo stato croato. L’Onu insiste a sua volta nella
richiesta che gli imputati vengano interrogati nella caserma dei Caschi Blu,
per impedire che vengano torturati.
Drago Pilsel, teologo laico e pubblicista cattolico tra i più noti in
Croazia, ritenuto il portavoce dei vertici ecclesiastici dell’arcidiocesi di
Fiume, dedica il suo settimanale commento sul quotidiano Novi List alle
rivelazioni della missione dell’ibf relative ai saccheggi, incendi e massacri
verificatisi nella Krajina dopo la liberazione di quella regione; crimini dei
quali è stato in parte testimone, essendosi unito alla missione internazionale
d’inchiesta. Il commento di Pilsel (con il titolo “Lo stato non è un
sacramento”) comincia ricordando agli estremisti del nazional-sciovinismo
zagabrese che «la democrazia ha un senso solo se rispetta la dignità e la
persona umana». Di fronte alle infamie documentate commesse in Krajina,
e testardamente negate dal governo croato, «questa nostra democrazia,
anche se spesso soltanto simbolica e fatta di vuote forme, ci impone di
levare la nostra voce di denuncia». Invece succede che viene accusato di
tradimento della nazione e dello stato chi denuncia i crimini e critica le
malefatte del regime.
Continuando nelle sue considerazioni, Pilsel denuncia il pesante clima
venutosi a creare da tempo in Croazia, ma addensatosi nell’euforia della
vittoria d’agosto in Krajina con una quotidiana incessante «esaltazione dei
miti della nazione e dello stato» e la persecuzione degli spiriti critici e liberi
accusati di “attività antinazionale”. E diventata prassi corrente accusare di
“propaganda anti-croata” chiunque si lascia guidare «dai principi
dell’inviolabilità della dignità della persona umana e dei suoi beni».
Purtroppo, aggiunge, anche il decano del giornalismo cattolico croato, don
Zivko Kustic, con un articolo apparso nei giorni scorsi sul Glas Koncila (La
Voce del Concilio, Zagabria) «ha unito la sua voce a quella di coloro che
vorrebbero eliminare dalla scena un’intera categoria di persone, e cioè gli
intellettuali indipendenti, i difensori dei diritti umani, una specie di persone
che va scomparendo nel generale processo di totalitarizzazione nel quale
siamo coinvolti».
«Sono convinto — prosegue Pilsel — che la buona fede di don Zivko
Kustic sarebbe emersa anche stavolta se egli si fosse unito ai membri della
missione della Federazione Internazionale di Helsinki e del Comitato croato
dell’ibf, visitando le regioni recentemente liberate e, insieme a noi, avesse
visto tutto quello che là è successo e che non avrebbe dovuto succedere
dopo la “Tempesta”».
Facendo proprie le motivazioni ufficiali, anche il commentatore
cattolico Pilsel sottolinea che la cosiddetta “Repubblica serba di Krajina” è
stata per quattro anni «la negazione di ogni diritto umano» ed era perciò
destinata a crollare:
«La giustizia vuole, infatti, che la mano criminale venga fermata e
vengano fatti cessare i crimini». Si era reso certamente necessario liberare
con le armi un territorio croato dal quale — vittime della violenza dei
secessionisti serbi, con le ferite nell’anima e nel corpo — erano stati
cacciati circa 70.000
cittadini croati; ed era impossibile che in un’operazione così vasta qual
è stata la “Tempesta” del 4-7 agosto fossero risparmiati i civili. Ma non si
possono minimizzare o negare i crimini commessi nell’operazione, non si
possono tacere i frutti della violenza e dell’odio caduti dall’albero croato;
non si può nascondere, di fronte alle tantissime prove, che l’obiettivo
primario (e non la conseguenza) dell’operazione bellica, oltre alla
riconquista del territorio, è stato lo sradicamento delle popolazioni serbe.
Che l’odio e la vendetta abbiano guidato le menti e le azioni dei liberatori
stanno a dimostrarlo, gli immensi
“saccheggi, incendi e violenze” denunciati, ecco, anche da Pilsel, il
quale ritiene molto pericoloso «rinunciare a chiedere almeno un minimo
rispetto dei diritti umani, quel minimo dal quale siamo ancor sempre
lontani».
D commentatore cattolico conclude le sue riflessioni evidenziando: a) il
governo croato continua a tollerare i crimini che si commettono nella
Krajina; b) cerca (inutilmente) di coprirli e di mettere a tacere chi li
denuncia; e) ostacola qualsiasi iniziativa diretta a facilitare il rientro dei
cittadini di etnìa serba «che pure avrebbero ogni diritto morale e civile di
tornare dopo essere 30agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
stati costretti a fuggire in lunghe colonne provocate dalla “Tempesta”,
ma anche dalla pluriennale propaganda pan-serba di Belgrado».
È inutile cercare all’interno del paese ed all’estero i nemici della
Croazia, come fanno Tudjman ed i vari don Zivko Kustic di fronte alla
denuncia dei crimini. I veri nemici della Croazia sono coloro che, come
sostiene Pilsel,
«ancora adesso vanno saccheggiando, incendiando e assassinando» o —
come ha detto perfino un emissario del governo di Zagabria inviato nella
Krajina, Petar Pasic — “gli uomini dal grilletto facile” «che spengono delle
vite umane senza un motivo, che depredano la Croazia, che aizzano i poveri
contro i poveri, che mentono spudoratamente ogni giorno, che restringono
lo spazio delle libertà e della democrazia». Pilsel si chiede: «Sono forse
nostri amici coloro i quali dichiarano, come fa il ministro Bosiljko Miserie a
nome del nostro governo, che la Croazia “non desidera che in essa vivano
persone che appartengono a un altro popolo”? Lo sono forse coloro i quali,
in nome del governo, si accingono a legalizzare gli atti di saccheggio
commessi nel corso dell’Operazione Tempesta, varando una nuova legge
sulla nazionalizzazione? Lo sono coloro i quali ai disgraziati fuggiaschi
dalla diocesi di Banja Luka e dalla Vojvodina offrono la Croazia quale
soluzione definitiva, pensando così di migliorare la situazione demografica
croata? Lo sono quelli che scoraggiano il ritorno dei profughi croati e
musulmani nella BosniaErzegovina nutrendo in tal modo i mass media serbi
che accusano la Chiesa cattolica di aver organizzato l’esodo dei cattolici
dalle loro case e dalle loro parrocchie?».
I crimini commessi dai vari Karadzic, Mladic, Seselj, Arkan ed altri fra i
leader serbi nell’ex Jugoslavia, sono ben noti. Ma le loro infamie non
possono servire da alibi a coloro, fra gli estremisti croati a tutti i livelli,
«che compromettono la legittimità e la credibilità dello stato croato e della
sua democrazia». I crimini dei leader serbi non possono autorizzare i
crimini croati né impedire ai democratici croati di lottare per una Croazia
migliore, per una Croazia che non tolleri massacri, saccheggi, distruzioni
che rimangono impuniti nei territori liberati e di lottare anche, — perché
no? — affinché il presidente croato Tudjman la smetta di trasformarsi nella
caricatura di Tito, imitandolo in tutti gli aspetti negativi.
Croati e musulmani che abbandonano la Krajina bosniaca (Bosanska
Krajina, regione di Banja Luka) riparando in Croazia al di là del fiume
Sava, all’altezza di Davor, sono stati protagonisti di un incidente che poteva
H
causare un’immane tragedia: la grande chiatta che, per volere di Emma
Bonino e con i soldi dell’Unione Europea, era stata riparata per fare la spola
fra le due sponde del fiume, è affondata miseramente a conclusione del suo
primo viaggio. I profughi — finora ne sono passati 17.000, quasi 1.000 al
giorno — sono tornati alle piccole barche noleggiate da barcaioli serbi a
carissimo prezzo. A malapena i profughi che si erano imbarcati sulla chiatta
sono riusciti a mettersi in salvo. Per mettere a posto quel pontone, l’Unione
Europea aveva sborsato 7.500
marchi.
A cominciare dall’ultimo giorno di agosto, il governo di Zagabria
intende spedire tutti i contingenti di profughi nei territori della Bosnia
occidentale occupati dall’esercito croato, e precisamente nella Piana di
Glamoc e sull’altopiano di Bosansko Grahovo da dove sono state spazzate
via le popolazioni serbe nell’offensiva tra la fine di luglio e l’inizio di
agosto. I primi 240 profughi di un contingente caricato su cinque autobus,
tenuti all’oscuro del piano e sballottati per due giorni da un capo all’altro
della Croazia, hanno scoperto le intenzioni dei capi di Zagabria solo quando
sono arrivati a Sebenico. E c’è stata subito una rivolta. Nella città dalmata si
sono impuntati: “Da qui non ci muoviamo”. Il funzionario dell’ufficio
governativo per i profughi che li accompagna si lamenta: «Sono
profondamente amareggiato, non mi aspettavo questo atteggiamento dopo
tutto quello che abbiamo fatto per loro. Ci dicono che siamo peggiori dei
cetnici, urlano, bestemmiano, ci ingiuriano e maledicono».
A descrivere la scena è un giovane collega, Gorda Malic, giornalista del
Novi List di Fiume.
Io, invece, impegnato da una settimana con i volontari della nostra
organizzazione “Arcobaleno” a distribuire viveri, vestiario e materiale
igienico-sanitario, ai circa 1.500 profughi di Banja Luka arrivati a Fiume e
dintorni, ho saputo che questi e gli altri provvisoriamente sistemati in Istria
andranno a colonizzare la Krajina croata abbandonata dai serbi. Vi saranno
trasportati al più tardi entro il 10 settembre. «Volenti o nolenti, dovranno
andare dove li ha destinati il governo croato», ha dichiarato K.B., massimo
31agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
funzionario della regione di Fiume dell’Ufficio governativo per i
profughi, aggiungendo: «Per convincerli abbiamo ingaggiato i loro
parroci».
Racconta il collega giornalista che ha incontrato a Davor questi pastori-
agitatori (così li chiama): «Ad attendere i profughi ci sono i poliziotti che
fanno la conta e annotano le generalità di ciascuno. I parroci sono accolti
dai delegati della Caritas. I profughi vengono avviati in colonna a piedi,
fino alla sala del cinema di Davor dove i croati vengono separati dai
musulmani, mentre i parroci prendono posto su un pulmino di lusso donato
da un croato-canadese miliardario, caritatevole e gran patriota. Una donna
elegantemente vestita e imbellettata, con la chioma magistralmente curata
dal parrucchiere, si stacca dalla folla dei profughi, s’inginocchia e bacia la
terra croata. Lo fa con teatralità. Un funzionario della Caritas, armato di
apparecchio fotografico si affretta ad eternare l’attimo, che però si è già
concluso. Prega allora la signora di ripetere la scena. La signora ripete ogni
gesto ila capo, sotto il ronzare della cinepresa!».
Il governo croato ha deciso: non darà più alcun aiuto né sistemazione in
Croazia ai bosniaco-musulmani; l’Alto Commissariato dell’Onu per i pro-
lughi dovrà pensare alla loro sistemazione nei campi o negli alberghi, alla
loro alimentazione ed al loro trasporto, se vuole, in terzi paesi.
Sulla sponda croata della Sava tutti i profughi si dichiarano croati,
anche i musulmani. Ma chissà come, da certi particolari del parlare, i
poliziotti di Tudjman scoprono chi croato non è: dalle implorazioni a Dio,
dal modo di ringraziare o di bestemmiare. Allora: “Fuori i musulmani!”. La
donna che ha baciato la terra non ha problemi, parla un croato letterario
molto aggiornato e ringrazia per l’ospitalità, “baciando le mani”.
COLONIZZAZIONE AL VIA
3 SETTEMBRE
Ieri, sabato, sono stato fuori casa per l’intera giornata, impegnato per la
mia organizzazione “Arcobaleno”. Abbiamo accolto ed accompagnato in
giro volontari della pace italiani provenienti da Torino, San Bortolo e
Caldogno di Vicenza, Sommacampagna di Verona. Sono arrivati con sei
automezzi carichi di generi alimentari, scarpe, coperte, lenzuola, pannolini,
materiale igienico-sanitario, medicinali. Li abbiamo distribuiti a profughi
bosniaci vecchi e nuovi, croati e musulmani, sistemati a Fuàine, Delnice,
Crikvenica, Bribir ed a Fiume. Con Renata, Stefano, Gloria e gli altri
ragazzi di Somma-campagna, siamo stati fuori anche stamattina.
Sul piano della guerra, nulla da segnalare. Pare che Karadzic e Mladic
siano stati ridotti alla ragione. Ma non sono ottimista. Ho visto troppe
tregue violate negli ultimi cinque anni, ed ho imparato che questo è il paese
delle menzogne. Tornato a casa sfoglio in fretta i giornali croati. Continua
l’euforia dei vincitori e continua pure, purtroppo, lo spettacolo di barbarie
nella Krajina. Sono stati pubblicati alcuni documenti del Comitato croato di
Helsinki.
Denuncia nuovi episodi avvenuti nel settore settentrionale della regione
liberata e ripulita dai serbi.
Nel villaggio di Hrastovac Gornji è stato ritrovato il cadavere di Mile
Stojakovic; nel villaggio di Svinjica sono stati rinvenuti altri due cadaveri di
civili non identificati. Prelevati dall’esercito o dalla polizia, non hanno fatto
più ritorno e sono spariti nel nulla quattro civili: Dejan Jovo Malbasa,
arrestato a Ustice, Bogdan Milan Vukelic, Dusan Grbe e Nikola Milakovic,
tutti e tre presi a Licke Jesenice.
Nel settore settentrionale dell’ex Krajina «gli incendi di case sono stati
meno numerosi di quelli registrati nel settore di Knin, tuttavia il saccheggio
è stato sistematico e totale».
n
A Rusevica, 15 giorni dopo la liberazione della regione, si sono visti
ancora soldati dell’esercito croato alla guida di trattori trainanti rimorchi
stracarichi di oggetti rubati nelle case. Nel villaggio di Vilin Kriz, nei pressi
di Krstinja, la scena si è ripetuta davanti agli occhi di un gruppo di
osservatori del Comitato. E così è stato dappertutto, senza eccezione.
Qualcuno, per fortuna, trova ancora il coraggio civile di mettere il dito
nelle piaghe.
Un’altra piaga del giorno è il programmato trapianto (qualcuno parla di
deportazione) dei profughi croati cacciati dalla Bosnia di Karadzic nei
territori della Bosnia occidentale controllati dall’esercito croato. Il
quotidiano Novi List di Fiume commenta severamente la triste vicenda
venuta alla 32agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
luce casualmente in seguito alla rivolta di quei profughi giunti a
Sebenico dopo aver viaggiato per tre-quattro giorni, in condizioni
drammatiche, attraverso la Croazia. Il quotidiano dalmate Slobodna
Dalmacija, che ha scoperto per primo la vicenda, titola “Siamo stati rapiti!”,
spiegando che le autorità croate, caricando il contingente di 240 profughi su
cinque autobus, hanno separato con la forza membri di una stessa famiglia,
sicché i parenti di alcuni di quegli infelici hanno inseguito con le loro
automobili gli autobus che giravano per la Croazia senza mai fermarsi, se
non per permettere ai viaggiatori di fare i propri bisogni corporali ai margini
delle strade e subito riprendere la corsa verso l’ignoto. La destinazione si è
saputa solo quando i profughi si sono finalmente ammutinati, in Dalmazia,
rifiutandosi di raggiungere la piana di Glamoc-Grahovo rimasta deserta
dopo la fuga delle popolazioni serbe. Nelle intenzioni di Zagabria, quella
regione dovrà appunto essere colonizzata dai croati sradicati da Banja Luka.
Sul Novi List di oggi, Jelena Lovric rivela: «I profughi dichiarano di
essere stati sequestrati, rapiti. Chiedono perciò di tornare a Davor per
ricongiungersi ai familiari dai quali sono stati separati». Altri profughi, in
convogli come quelli giunti in Dalmazia e destinati a Glamoc, sono arrivati
in varie località dei territori della Croazia, recentemente “liberati”. Le
autorità croate promettono a tutti lavoro e alloggio nelle case dei serbi
fuggiti. È difficile dire come si concluderà questo nuovo dramma, ma il
governo di Zagabria certamente non rispetta la dignità di questi infelici. Ad
essi si guarda soltanto come ad un “materiale umano” utile per la
colonizzazione, ovvero croatizzazione, dei territori strappati ai serbi, in
Croazia e in Bosnia. «Sono un materiale etnico — scrive la Lovric —
adatto a riempire gli spazi rimasti vuoti. La Croazia ha bisogno del maggior
numero possibile di croati, come ha detto Tudjman, per popolare le regioni
neoliberate». Più o meno la stessa cosa stanno facendo Karadzic e
Milosevic, spingendo i profughi serbi fuggiti o cacciati dalla Croazia ad
insediarsi nelle case degli albanesi e dei croati nel Kosovo, dei croati e degli
ungheresi nella Vojvodina, dei croati e musulmani cacciati dalla regione
bosniaca di Banja Luka.
Quello che sta succedendo in Croazia era stato chiaramente
preannunciato da Tudjman il quale «ha ammesso apertamente — scrive la
Lovric — tutto quello di cui per anni era stato sospettato. Nel cosiddetto
“treno della libertà”, spinto dall’euforia del trionfo e anche da qualcosa
d’altro, ha detto chiaramente di considerare lo svuotamento della Krajina
dai serbi la condizione base dell’esistenza e della sicurezza dello stato
croato». Le parole esatte di Tudjman sono state: «L’avvenire dello stato
croato non poteva dirsi sicuro fino a quando i serbi si trovavano a Knin».
Inoltre Tudjman non ha nascosto il sollievo per la loro partenza, «rivelando
così — scrive la Lovric — che l’appello a rimanere su quel territorio, da
egli rivolto alla popolazione all’inizio dell’operazione di riconquista
militare della Krajina, fu lanciato solo per salvare la faccia di fronte al
mondo». «Ora [nel discorso del “treno della libertà”] ha definito quelle
popolazioni “un carcinoma, un tumore maligno che, nel cuore della
Croazia, distruggeva l’essere nazionale croato”. Ha aggiunto: “Non c’è
possibilità di ritornare alla situazione di prima”. Non ha invitato quelle
popolazioni a tornare. Anzi, cinicamente ha augurato loro un felice viaggio,
accompagnando l’augurio con una moltitudine di espressioni volgari,
brutte, indegne di uno statista, permettendo che dal suo animo
fuoriuscissero parole urlate di odio e di rivincita». La commentatrice del
Novi List aggiunge subito dopo:
«Qui si tratta di un preciso programma di pulizia etnica come direbbe il
ministro degli Esteri tedesco Kinkel, e lo dimostra l’appello più volte
rivolto da Tudjman a tutti i croati sparsi nelle quattro parti del mondo, da
Banja Luka e dalla Vojvodina fino al Cile ed alla Nuova Zelanda, a
prepararsi a tornare in Croazia. La Croazia è vuota e ha bisogno di essere
riempita, ha ripetuto più di una volta, promettendo a coloro che torneranno
l’assegnazione delle case e delle terre abbandonate. Ha proclamato compito
prioritario della politica nazionale il ritorno in patria dei croati, preceduto
soltanto da quello della liberazione di Vukovar».
Secondo la commentatrice, in altre parole si tratta della opzione “Tutti i
croati in un unico stato”, identica a quella a suo tempo lanciata da
Milosevic per i serbi. Opzioni che presuppongono, appunto, la pulizia
etnica, lo sradicamento e lo spostamento di intere popolazioni, un esodo
biblico che è sotto i nostri occhi. Un esodo, peraltro, concordato già tre anni
addietro da Tudjman con Cosic e Milosevic, come il primo ha rivelato
nell’intervista alla Slobodna Dalmacija alcuni giorni addietro. Certo, a
sentire Tudjman, erano stati 33agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
concordati scambi “umanitari di popolazioni”, “spostamenti spontanei”
ma non tutte le ciambelle riescono col buco. Si è poi visto — a dirla con
Jelena Lovric
— che «il progetto degli scambi fra croati e serbi, ed altri gruppi etnici,
poteva essere realizzato soltanto brutalmente, con mezzi bellici.
Diversamente molti cittadini non avrebbero accondisceso a lasciare le
proprie case».
Ma la disumanità del procedimento e i massacri compiuti da varie parti
non hanno scoraggiato il presidente croato, il quale ha detto pure in quella
famosa intervista: «Al di là della tragedia di questa gente, i risultati saranno
positivi, eviteremo di subire il ruolo dei serbi in Croazia qual è stato dai
tempi dei turchi fino ad oggi». Gli ha fatto eco il ministro Jure Radic che,
incontrando un gruppo di croati fuggiti dallo Srijem, ha sostenuto che «lo
spostamento di popolazioni può causare frustrazioni ai profughi ma, dal
punto di vista nazionale, è auspicabile». Commento della Lovric: «La
Croazia si affretta a riempire i territori liberati per non permettere alle
popolazioni serbe che li hanno abbandonati nemmeno il tentativo di
ritornare. Perciò ha deciso di far tornare dalla Germania tutti i profughi
croati, che finora vi hanno trovato rifugio, per popolare la Krajina deserta e
con ciò, al tempo stesso, incasserà qualche marco di premio dal governo
tedesco. Forse anche le case serbe vengono incendiate (sistematicamente
dicono gli osservatori indipendenti) per scoraggiare i profughi serbi
dall’idea di tornare».
Holbrooke, inviato di Clinton nella ex Jugoslavia, recentemente ha
chiarito: «I serbi della Krajina hanno il diritto a tornare in Croazia. In caso
contrario hanno diritto al risarcimento dei beni abbandonati».
Comportandosi come ora si comporta, la Croazia dimostra di essere
disposta a pagare i risarcimenti (in un futuro remoto) piuttosto che
riprendersi indietro i profughi serbi. D’altra parte il prezzo del risarcimento
sarà tanto più basso quanto più numerosi saranno i croati costretti ad
abbandonare case e terre in Serbia, o nella parte della Bosnia sotto il
controllo delle autorità serbe. Un bel giorno gli stati della ex Jugoslavia
finiranno per appianare i reciproci debiti, scambiandosi sulla carta le
“proprietà dei rispettivi cittadini profughi”. Serbia e Croazia riterranno
addirittura di averci guadagnato: senza aver investito nulla, hanno ottenuto
quello che avevano desiderato. Con la possibilità, in aggiunta, di
strumentalizzare gli esuli a fini politici, partitici, elettorali. L’uno e l’altro
regime potranno farsi belli distribuendo case e poderi altrui a chi tutto ha
perduto, a chi è stato cacciato dalla propria casa e dal paese natale per finire
in ambienti nuovi, estranei (nonostante l’appartenenza etnica), dove sarà
costantemente ricattato per il tetto che gli è stato “donato”.
Ma, come s’è visto, il piano del regime di Zagabria prevede anche la
colonizzazione di quei territori della BosniaErzegovina sui quali la Croazia
ha allungato le sue zampe: le regioni della Bosnia sudoccidentale,in primo
luogo le zone di Glamoc e Grahovo, dove l’esercito di Tudjman ha piantato
la propria bandiera beffandosi dell‘“alleato” bosniaco-musulmano. Durante
lo storico viaggio sul “treno della libertà”, Tudjman si è vantato
enfaticamente di aver realizzato il proprio piano di «irrobustimento del
fragile grissino croato». Di
“grissino croato” egli parlò per la prima volta cinque anni fa, nella
prima campagna elettorale, spiegando che la Croazia non poteva essere
sicura negli attuali confini. Era chiaro che il suo progetto sottintendeva una
modifica delle frontiere della repubblica e scambi di popolazioni. Tutte cose
che non si ottengono senza la guerra. Oggi Tudjman sostiene che con la
creazione della Federazione croato-musulmana bosniaca e l’aggregazione di
questa alla Repubblica di Croazia, sotto forma di confederazione, il
“grissino” diventerà una grossa focaccia. Non a caso il ministro Jure Radic,
uno dei più stretti collaboratori di Tudjman al vertice del partito al potere e
dello stato, ha ripetuto più volte in questi giorni che i territori bosniaci di
Glamoc e Grahovo «sono secolari territori croati», anche se fino a poche
settimane addietro erano popolati esclusivamente da serbi autoctoni.
Parlando di questi territori ed annunciando l’intenzione del governo
zagabrese di sistemarvi una parte dei croati cacciati dalla regione di Banja
Luka, Radic si è espresso così: «Andrete nella vicina Bosnia, nel territorio
sotto la sovranità croata, protetto dal fucile croato». In altre parole, sin d’ora
la Croazia considera proprio territorio parte di uno stato riconosciuto
indipendente e sovrano dalle Nazioni Unite. Agendo così, legittima lo
stesso
“diritto” vantato da Milosevic sui territori della Bosnia attualmente
“protetti dal fucile serbo” di Mladic e Karadzic.
Anche queste considerazioni sono presenti nel commento del Novi List
che aggiunge: «Ora in questo sporco gioco e in questo commercio di esseri
umani si 34agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
cerca di trascinare anche la Chiesa. Forse perché, con la sua assistenza,
il progetto sarà realizzato più facilmente; forse per poter sporcare anche la
chiesa, per annullare la sua posizione di un tempo, quando definì barbarico
il progetto dei cosiddetti “scambi umanitari” di popolazioni. Anche
l’accenno che qui si fa alla chiesa cattolica croata è in relazione a quanto
detto dal ministro Radic, il quale ha chiesto al clero della regione di Banja
Luka di porsi alla testa dei profughi croati guidandoli nelle regioni
abbandonate dai serbi «che sono parte del secolare spazio croato» e che
perciò devono essere ripopolate dal popolo croato.
La scorsa domenica è stata celebrata una messa speciale per i croati
appena arrivati dalla regione di Banja Luka, portati a Vrgjnmost per
ripopolare quella cittadina della Krajina abbandonata dai serbi. È stata la
prima messa cattolica nella storia di quella regione, ed ha assunto perciò un
significato particolare anche per la presenza di alti funzionari dello stato
croato. Il rito religioso è stato trasmesso, in diretta, dalla televisione di
Zagabria «forse per far sapere all’intero popolo croato — scrive il Novi List
— che il progetto di colonizzazione gode della benedizione della Chiesa».
Nei territori “liberati” dalla popolazione serba in Croazia e nella vicina
BosniaErzegovina vengono promessi ai preti svariati benefici. Ai frati si
offrono aree fabbricabili per l’erezione di conventi e chiese. Ai trappisti
cacciati da Banja Luka è stato offerto di trasferirsi a Lapac, nella Krajina,
dove mai finora c’era stato un monastero cattolico. In un incontro con il
vicario generale dell’Ordine dei Francescani, il ministro Radic ha proposto
che
«nei territori liberati, tra Fiume, Gracac e Karlovac, vengano istituiti
alcuni nuovi conventi quali focolai di vita e di rinnovamento spirituale della
nazione croata». Resta aperto il problema del vescovo cattolico di Banja
Luka, monsignor Franjo Komarica. Dove lo metteranno, a Glamoc o a
Korenica? È l’unico sacerdote, finora, che non ha voluto lasciare la Bosnia
controllata dai serbi, subendo le più atroci persecuzioni.
Si dice che la massiccia, rapida ed efficace azione militare della Nato
contro le posizioni serbe intorno a Sarajevo, compiuta in questi primi giorni
di settembre per reazione al “massacro del mercato” (39 morti e 80 feriti),
indurrà Karadzic e gli altri capi serbo-bosniaci (e quelli di Belgrado) a
piegarsi, a trattare finalmente la pace, a farla finita con questa orrenda
guerra che ha causato finora, tra Croazia e BosniaErzegovina,quasi 300.000
morti. Nella sola Sarajevo sono state uccise 12.500 persone, di cui 2.000
erano bambini. Ma le trattative a che cosa porteranno? Qual è la vera
intenzione dei responsabili delle grandi potenze e degli stessi tre “grandi”
della ex Jugoslavia, Milosevic, Tudjman e Izetbegovic? E ancora possibile
la risurrezione della BosniaErzegovina quale stato unitario indipendente e
sovrano, democratico, multi etnico e multiculturale?Oppure sarà una
federazione di cantoni più o meno etnicamente
“puliti”? Oppure una federazione di tre nazioni? Oppure una
confederazione di federazioni? O finirà per essere semplicemente spartita
fra Croazia e Serbia?
Sarà ancora possibile al popolo serbo, a quello croato e musulmano,
della BosniaErzegovina vivere insieme in un unico stato dopo i tantissimi
crimini compiuti da una parte e dall’altra durante questa guerra con la
sistematica
“pulizia etnica”, la deportazione e la cacciata di intere popolazioni?
Augurandomi di sbagliare (convinto come sono che solo una Bosnia
unitaria e democratica potrà evitare in futuro nuovi conflitti), ritengo che i
detentori del potere a Belgrado ed a Zagabria, e coloro che nella stessa
Bosnia si sono macchiati dei peggiori crimini (che non sono soltanto Mladic
e Karadzic), finiranno per imporre la cosiddetta “realtà nuova” quale unica
soluzione possibile, e questo significa la spartizione della
BosniaErzegovina,la sua divisione in due parti pressoché uguali, una data ai
serbi e l’altra ai croati e musulmani.
La parte serba si confedererà con la Serbia, dentro la federazione serbo-
montenegrina (nuova Jugoslavia), mentre la parte musulmano-croata si
confedererà con la Croazia.
La confederazione croato-musulmana, tuttavia, difficilmente potrà
durare a lungo, in considerazione delle profonde divergenze esistenti fra
Sarajevo e Zagabria, del timore dei musulmani di diventare dei semplici
satelliti dei croati e delle fin troppo evidenti aspirazioni di Zagabria ad
instaurare il proprio predominio politico sulla Bosnia musulmana dove,
intanto, mantiene in piedi e rafforza la cosiddetta “Repubblica croata di
Erzeg-Bosnia”.
Quest’ultima, prima o poi, chiederà “l’unione alla madre patria” e
Zagabria non avrà nulla da eccepire all’offerta di annessione.
35agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
In ultima analisi, si avrà una Bosnia divisa in tre parti: serba, croata e
musulmana, delle quali due finiranno per diventare parti integranti della
Serbia e della Croazia e la terza si trasformerà in un piccolo stato dei
musulmani bosniaci, la Piccola Bosnia dei bosgnacchi, 1 come si
autodefiniscono i musulmani di quella regione. Una Piccola Bosnia che
diventerebbe erede e continuatrice, sul piano internazionale, dell’attuale
Repubblica di BosniaErzegovinariconosciuta dall’Onu. Magra
soddisfazione.
Troppe volte in passato Tudjman ha ripetuto che «come non è stata e
non sarà più possibile la sopravvivenza della Jugoslavia come stato
multinazionale, non è possibile l’esistenza di una BosniaErzegovina
multinazionale». Su questo punto Milosevic l’ha sempre pensata alla stessa
maniera. I due “nemici” concordano.
Così come hanno concordato, e concordano, sulla necessità di
trasferimenti e scambi di popolazioni per la creazione di territori
“etnicamente puliti”. Una volta terminata la guerra, speriamo al più presto, i
capi di Belgrado e di Zagabria, imponendo piena obbedienza ai loro
emissari nella “Repubblica serba”
di Bosnia e nella “Repubblica croata di ErzegBosnia”, completeranno il
processo di “pulizia” avviato e in gran parte realizzato grazie a, e durante,
questa sporca guerra che ha cacciato dalle loro case e terre i 3/5 dei
musulmani di Bosnia, i 2/5 dei croati e più di 300.000 serbi.
E la comunità internazionale? Vorrei sbagliarmi, ma ho paura che
ratificherà la spartizione e le pulizie etniche, accettando così la logica del
nazionalismo serbo e di quello croato che vedranno finalmente coronati i
sogni della Grande Serbia e della Grande Croazia. A rimetterci saranno i
musulmani di Bosnia i quali, ridotti ad un’enclave nel corpo dell’ex
Jugoslavia, perderanno l’indipendenza economica e saranno costretti, per
sopravvivere, a subire anche politicamente le pesanti e non certamente
affettuose “carezze” dei due “grandi”
balcanici. Oppure tenteranno di scrollarsi di dosso gli incomodi
protettorati chiedendo aiuto agli stati islamici, trasformandosi così in
elemento di disturbo e di instabilità nei Balcani.
La parola “bosniackj” indica, nella parlata di Sarajevo, i musulmani
della regione. Questa terminologia è diventata di uso corrente e ufficiale a
partire dal vertice del parlamento dei musulmani di Bosnia, riunito sul
piano Vance-Owen, il 21 settembre 1993, quando i documenti ufficiali
assunsero la parola “bosniackj”, cancellando la terminologia fino a quel
momento in uso con la lingua serbo-croata di bosanski (“abitanti della
Bosnia”). Da quel momento le autorità di Sarajevo accreditarono la
specificità della “lingua bosniaca” verso quella serbo-croata come la lingua
dell’«unico popolo autoctono, indigeno, della Bosnia».
IL FANTASMA DI HITLER
4 SETTEMBRE
In vista delle elezioni anticipate, il governo croato ha concesso ai
pensionati
— per ordine di Tudjman — di viaggiare per tutto il mese di settembre
sulle ferrovie dello stato senza pagare il biglietto. L’associazione dei
pensionati ha chiesto al governo come mai, invece di queste “improbabili
gite settembrine”
gratuite, non siano state restituite ai pensionati le 13 mensilità di cui lo
stato è debitore da tre anni nei loro confronti. Si tratta di una delle tante
manipolazioni politiche che si susseguono in Croazia dopo la “Tempesta” in
Krajina per accrescere il potere del partito di Tudjman. Lo scrittore Vlado
Gotovac ha commentato nel suo noto stile:
«Questo regime sta cercando con tutti i mezzi di sfruttare la vittoria
militare per non rendere conto all’opinione pubblica delle malefatte
compiute negli ultimi quattro anni. In nome della vittoria, il popolo croato
dovrebbe perdonare le rapine e gli altri crimini, dimenticare la catastrofica
situazione economica e la catastrofica situazione delle sue istituzioni
nazionali. In nome della vittoria, il popolo croato dovrebbe dimenticare i
peccati di coloro che da quattro anni hanno portato la Croazia alla rovina e
sulla strada del totalitarismo».
Da Goslar, in Germania, l’organizzazione Dehos-Forum für Kroatien,
ovvero il
“parlamento generale democratico dei croati” residenti in quel paese,
circa 400.000, ha spedito ai mass media in Croazia un documento che non è
piaciuto a Tudjman.
Finora il Dehos è stato il portavoce in Germania del governo di
Zagabria, e continuerà ad esserlo. Stavolta, però, c’è stata un’eccezione: la
reazione dell’associazione dei patrioti croati in Germania a quanto avvenuto
nell’Operazione Tempesta in Krajina suona come una denuncia.
Nella sua prima parte, il documento esprime l’esultanza «per la rapida
vittoria 36agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
ottenuta nell’operazione militare che ha portato alla reintegrazione della
Krajina nel corpo statale della Croazia», proseguendo col dire:
«Resta però l’amaro sapore di una reintegrazione senza reintegrati.
Nelle nostre fila di croati all’estero, e in una parte della diaspora croata, ha
lasciato una penosa impressione il fatto, a tutti evidente, che nelle regioni
della BosniaErzegovina,della Vojvodina e della Croazia è in atto una
massiccia pulizia etnica, un esodo biblico di popolazioni, attuato su base
etnico-razziale, con l’obiettivo di creare territori etnicamente omogenei là
dove le popolazioni hanno vissuto insieme per secoli.
Non basta dire che cittadini croati di etnìa serba hanno voltato le spalle
alla loro patria croata, confluendo nelle colonne di profughi avviatesi verso
est. Va anche detto che le loro case sono state e vengono preventivamente
saccheggiate, incendiate e demolite, e molti di noi si chiedono che
differenza ci sia fra quanto successe nel 1991 e quello che sta succedendo
nel 1995. Già da due anni, ma ora con particolare intensità, è in atto la
cacciata dalle loro terre delle popolazioni di etnìa diversa: croati, ungheresi,
bosgnacchi e serbi dalla Vojvodina, dalla Bosnia e dall’Erzegovina, dalla
Croazia e dal Sangiaccato.
Molti sospettano che tutto quello che è successo in quei territori fosse
stato concordato. Si è cominciato con la pulizia dei croati dalla Slavonia
orientale, dalla Baranja, da Vukovar, da Ilok; si è continuato con la cacciata
dei musulmani da Bijelina, dalla Bosnia orientale, da Prijedor, e con la
persecuzione delle popolazioni investite nel 1993 dagli scontri armati fra
croati e musulmani di Bosnia. Questo cambiamento violento, odioso, delle
strutture demografiche è entrato ora nella fase finale. Ai tempi di Hitler si
chiamava “Die Endlösung”, la Croazia ha una definizione più bella:
“trasmigrazione umanitaria”. Durante la II guerra mondiale ne furono
vittime gli ebrei, ora dovrebbero esserlo probabilmente i musulmani di
Bosnia.
Sta di fatto che molti in Croazia hanno tirato un sospiro di sollievo
quando i serbi dei territori reintegrati, ora vuoti, se ne sono andati più o
meno volontariamente. Molti sono giunti alla fatale conclusione che i
popoli della ex Jugoslavia possono vivere senza conflitti unicamente nelle
proprie riserve etnicamente pulite. Se è così — e pare che alcuni personaggi
a noi noti si siano dati da fare perché così sia — allora tutte queste barbare
espulsioni e questi trasferimenti di popolazioni, non umanitari ma disumani,
sono l’unica soluzione: dolorosa, brutale, selvaggia, tipicamente balcanica,
ma purtroppo l’unica. O
almeno lo sarà fino a quando gli orchestratori di queste trasmigrazioni
di popoli avranno il potere e l’appoggio per restare al potere.
Ma il messaggio del mondo civile dice con chiarezza: questi sono i
relitti di secoli passati, di epoche barbariche. […] Nel suo interesse,
l’Europa non potrà mai accettare i fautori dell’ “igiene etnica”. Gli ultimi
fautori di siffatta mentalità barbarica si suicidarono nella primavera del
1945 davanti alle rovine del bunker della Cancelleria del Reich di Berlino».
MINORANZE E DIRITTI UMANI
5 SETTEMBRE
il poeta e critico letterario Vlado Gotovac, l’uomo che fu alla testa della
“primavera croata” negli anni ‘70 e subì otto anni di carcere per aver
organizzato e guidato il movimento di secessione della Croazia dalla
federazione iugoslava, oggi è uno tra i massimi leader del partito social-
liberale e un fiero oppositore del regime di Tudjman. In una conferenza
stampa a Osijek ha detto:
«Apparentemente ci troviamo di fronte a un trionfalismo benigno ed
anche un po’
comico di questo regime. Questa, invece, è la via croata al totalitarismo.
Al suo inizio il totalitarismo sembra sempre ridicolo, uno crede di trovarsi
di fronte a pagliacci ridicoli, a degli incapaci, semi-primitivi, ignoranti…
Alla fine si accorge che sono dei tipi pericolosi. Questo pericolo oggi
incombe sulla Croazia. In Croazia si sta creando un regime monopartitico, il
partito al potere vuole dominare a tutti i livelli, vuole spazzar via ogni
opposizione, mettere a tacere tutti gli spiriti liberi, cancellare ogni
pluralismo».
Dello stesso parere è Marko Veselica, altro esponente del nazionalismo
croato emerso negli anni ‘70 e stroncato allora da Tito. Veselica è ora leader
del Partito democratico cristiano della Croazia che, pur essendo vicino a
quello di Tudjman, cerca di salvaguardare il pluralismo politico. Ha detto:
«Siamo alla soglia del totalitarismo, la democrazia sta per morire». Veselica
ha inoltre denunciato una situazione che ormai ha impresso il segno a
questa fine estate 1995 in vista delle elezioni politiche anticipate tra la fine
di ottobre e l’inizio di novembre.
Nel giro di un mese, offrendo cariche ministeriali e nel corpo
diplomatico, la 37agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
direzione di grandi aziende statali ed altri privilegi, Tudjman è riuscito a
portare nelle fila del suo partito numerosi esponenti dell’opposizione, ma
soprattutto del più forte partito non governativo, il social-liberale. Questo
partito, che ancora un mese fa occupava il 16% dei seggi al Sabor
(parlamento), oggi è ridotto all‘8% grazie ai passaggi di barricata.
Strumentalizzando la vittoria militare in Krajina e Bosnia, Tudjman cerca di
spazzare anche gli ultimi ostacoli sul suo cammino verso la dittatura.
Intanto ha imposto al governo, e il governo imporrà al Parlamento (visto
che già nell’attuale Assemblea il partito al potere detiene la maggioranza
assoluta dei seggi), una nuova legge elettorale che eleva al 5% dei voti la
soglia minima per l’ingresso al Parlamento, all‘8% se la lista è formata da
due partiti ed all‘11% se i partiti alleati sono più di due.
Nella costellazione dei 40 e più partitini di opposizione attualmente
esistenti in Croazia, insignificanti moscerini di fronte all’elefante del partito
di Tudjman, nelle scorse elezioni appena sei riuscirono a superare la soglia
del 3%, e di questi due soltanto superarono il 5%. Immaginarsi che cosa
succederà nel prossimo autunno! Manovrando un esercito e una polizia
fortissimi e fedelissimi al regime, con tutti i mass media direttamente o
indirettamente nelle mani dello stato, e con gli altri mezzi a sua
disposizione, Tudjman sarà il dominatore assoluto. La Croazia avrà un
nuovo Ceausescu?
Quella elettorale non è l’unica nuova legge che Tudjman farà votare dal
Sabor prima che esso venga sciolto nelle prossime settimane.
I giornali croati odierni informano che nella riunione di ieri il governo
di Zagabria ha deciso di presentare due proposte di legge grazie alle quali
fra quattro anni lo stesso Parlamento sarà pressoché ripulito dai
rappresentanti delle minoranze nazionali. Una prima legge, per cominciare,
annullerà la prassi dei censimenti a scadenza decennale (il prossimo
dovrebbe scattare nel 2001), imponendo un censimento straordinario della
popolazione nei primi 15 giorni di aprile del 1996. l Già, la prossima
primavera. Presentando la bozza di legge il vicepremier Bosiljko Miserie ha
detto che dall’ultimo censimento, quello dell’aprile 1991, la struttura
demografica della Croazia indipendente e sovrana ha subito profondi
mutamenti: dapprima in seguito all’aggressione serba nell’estate del ‘91 e
poi grazie all’operazione militare croata “Tempesta” che ha spazzato via
dalla Croazia gran parte dell’etnìa serba. Per il varo della legge sul
censimento sarà imposta la procedura d’urgenza: niente dibattiti nelle
commissioni, discussione abbreviata in aula, voto per direttissima.
Insistendo sugli «sconvolgimenti demografici subiti dalla Croazia», il
vice premier ha chiarito che cosa si vuole ottenere dal censimento e la
ragione per cui il governo croato ha sollevato ostacoli insuperabili per
impedire il rientro in Croazia dei profughi serbi. L’ultimo censimento,
quello del 1991, segnalava la presenza in Croazia di circa 600.000 cittadini
di etnìa serba. In base ai dati di cui dispone oggi il governo di Zagabria, dal
1991 in 1 Il censimento, annunciato a più riprese, per il momento non è più
stato fatto.
H)i circa 300.000 (esattamente 299.525) sono stati costretti a lasciare il
territorio della Croazia, per cui le persone rimaste, sparse quasi
esclusivamente nelle maggiori città del paese, dovrebbero essere poco più
di 280.000. Puntando, dunque, ad appurare principalmente la consistenza
delle minoranze nazionali (le più colpite dalla guerra e dalle sue
conseguenze economiche, politiche, psicologiche) ed a fornire al governo le
conoscenze di base per programmare ed attuare la politica di
“croatizzazione della Croazia”, il censimento dell’aprile ‘96 servirà a
mettere i paletti: gli appartenenti ai gruppi minoritari sono tanti e non uno di
più sarà riconosciuto. Ammesso (ma non potrà succedere) che una parte dei
cittadini croati profughi di etnìa serba, ungherese, italiana, eccetera,
tornasse in Croazia entro il 2001, il governo si richiamerà sempre e soltanto
al censimento del ‘96. L’imperativo politico è
“fare subito”; chi è dentro è dentro, chi è fuori resta fuori.
Non a caso alla legge sul censimento anticipato è collegata la seconda
legge che ieri il governo ha deciso di presentare: essa prevede la
sospensione di alcune disposizioni dell’attuale “Legge costituzionale sui
diritti e le libertà dell’uomo e sui diritti delle comunità e minoranze etniche
e nazionali nella Repubblica di Croazia”. Le modifiche portano
all’abolizione dei due “Distretti a statuto speciale di autonomia” nei territori
dell’ex Krajina (Knin e Glina), dove la componente etnica serba era
maggioritaria. Essendo stata letteralmente spazzata dalla “Tempesta”, non si
intende permettere ai fuggiaschi di tornare.
Miserie ha affermato: «Visto che la componente serba non può più
contare 38agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
sull’entità numerica necessaria per l’istituzione dei distretti a statuto
speciale, questi vengono aboliti». Quella legge, annoto per inciso, riguarda
anche le altre minoranze alle quali i diritti etnico-linguistici vengono
garantiti solo se in un determinato territorio superano l‘8% della
popolazione.
In chiusura della riunione, il premier croato Nikica Valentie ha
annunciato che la prossima seduta dell’esecutivo avrà luogo il 7 settembre a
Knin, l’ex capitale dell’ex Krajina. Esattamente ad un mese di distanza dal
giorno della vittoria.
Intanto la Banca Nazionale croata ha coniato una moneta d’oro
celebrativa: il ducato della “regia città croata di Knin”. Anche questa
celebra la liberazione della Krajina, o meglio — per dirlo con le parole del
governatore della Banca —
«la decapitazione di una creatura mostruosa di nome Krajina serba».
Nei cinque anni del regime di Tudjman, la Banca Nazionale croata ha
emesso una settantina di monete e medaglie celebrative, fra queste due —
d’oro e d’argento
— con l’effigie del “supremo”.
Il Partito popolare serbo, costituitosi in Croazia alcuni anni or sono
sotto l’egida di Tudjman per fare da contraltare al movimento radicale dei
serbi
“ribelli” della Krajina, ha presentato a Zagabria un “Rapporto Donji
Lapac”
firmato dal presidente del partito Milan Djukic, che è anche uno dei
vicepresidenti del Parlamento croato. Djukic, considerato da molti serbi di
Croazia come un traditore per essersi lasciato strumentalizzare troppe volte
dal regime di Zagabria, ora è passato anche lui tra i “ribelli”. Intanto perché,
nonostante la sua carica parlamentare, la polizia gli ha impedito fino a due
giorni addietro di rimettere piede nella “Krajina” e di rivedere dopo cinque
anni di assenza la sua nativa Donji Lapac. Quando vi è finalmente tornato,
22
giorni dopo la “liberazione”, ha trovato una cittadina devastata al 90%;
fra le case distrutte ci sono pure la sua, quella di suo fratello e quella di suo
padre. Le devastazioni sono state fatte, nei giorni e nelle settimane
successivi alla conclusione delle operazioni belliche, dai saccheggiatori e
dagli incendiari che ancor oggi si aggirano per la regione portando
l’uniforme dell’esercito croato o quella dei reparti della polizia speciale.
«Quando sono arrivato, semplicemente non ho riconosciuto il paesaggio
che conoscevo da quando sono nato; è scomparso. Ho trovato invece le
tracce lasciate da barbari più barbari degli uomini di Martic», ha detto
Djukic. «Della mia casa sono rimaste soltanto le spettrali, ma fiere e
ostinate, rovine».
«Ecco, anche nel caso di Donji Lapac è dimostrato che le autorità croate
stanno portando avanti un sistema di epurazione con l’intento di creare uno
stato croato etnicamente pulito». Questo è il commento di un altro deputato
serbo al Parlamento croato (che forse non potrà essere rieletto nelle elezioni
del prossimo autunno), Veselin Pejinovic, il quale ha definito i massimi
esponenti del regime croato come “ideologi del Male”. Ha posto quindi una
domanda: «Come mai ai cittadini croati di etnìa serba cacciati dalla Krajina
si nega il ritorno alla loro terra, se un giorno lo vorranno, mentre i Croati
dell’Australia, del Canada e di altri paesi del mondo, anche se cittadini
stranieri, anche se hanno lasciato la Croazia 50 anni fa, possono tornare
quando vogliono?». Tudjman ha promesso loro le terre e le case dei serbi
cacciati dalla Krajina.
Nella sua quotidiana conferenza stampa a Zagabria, Chris Gunnes ha
detto che dall’ex Krajina «sono arrivate anche oggi informazioni sul
prosieguo dei saccheggi e degli incendi di case». Sono avvenuti a Polaca,
Debelo Brdo, Benkovac, Predor, Milankovci, Ostojici e Kostajnica. Gli
osservatori militari dell’Onu hanno annotato la devastazione della chiesa
ortodossa nel villaggio di Cetina e la distruzione della chiesa ortodossa di
Cerovlje. Nel villaggio di Ivosevci è stato rinvenuto il cadavere di un uomo
anziano con la testa staccata dal corpo. A Podkonje è stato trovato il corpo
di una vecchia massacrata.
Nello stadio di calcio di Banja Luka, nella Bosnia serba, attendono di
essere trasportati oltre il fiume Sava circa 2.000 persone che sono state
cacciate dalle loro case.
88 r
IL NAZIONALISMO RADICALE
6 SETTEMBRE
Il partito Hdz, fondato e tuttora presieduto da Franjo Tudjman, è,
relativamente al numero degli abitanti del paese, «il più forte partito
politico in Europa». È
l’affermazione trionfalistica fatta dal suo segretario generale Zlatko
Canjuga in una conferenza stampa convocata in vista delle elezioni
politiche anticipate volute da Tudjman. Ha pure espresso la certezza che
Hdz «vincerà con 39agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
un’altissima percentuale», vantandosi poi del fatto che in numerosi
paesi del mondol’ Hdz ha creato proprie filiali: «Perfino in Malesia e
Portogallo».
Secondo il dirigente del partito al potere in Croazia, questo paese «sta
vivendo oggi il più fecondo periodo della sua storia».
All’accusa rivolta al regime di avviarsi verso il sistema monopartitico
ed al totalitarismo, Canjuga ha risposto: «E una bugia, non abbiamo abolito
finora nessun partito, e ce ne sono tanti». Forse troppi, una cinquantina, tutti
cespugli che contano poco e hanno una vita dura. A sua volta,
commentando il recente ennesimo rifiuto del Consiglio d’Europa di
accogliere la Croazia nelle sue fila, il vicepresidente déü‘Hdz Ivan Milas ha
sostenuto: «Il Consiglio d’Europa non ha alcun significato nella vita
politica europea. Non è tanto importante, per noi, essere ammessi nelle
istituzioni dell’Unione Europea, ma lo è il fatto che la Croazia è diventata il
centro decisionale in questa parte del mondo!».
Quasi a voler reagire a tanta arroganza, il giornale Novi List di Fiume
pubblica oggi una lunga intervista con Florian Andreas Schlönhöfen,
austriaco nato in Germania, autore di numerose opere di sociologia politica.
Secondo questo studioso, «la Croazia di oggi non ha alcuna chance di
entrare a far parte dell’Europa. E non soltanto perché è un paese che pensa a
fare ancora la guerra.
L’ostacolo principale sta nella natura del regime di Zagabria che è
radicalmente nazionalista e fin troppo xenofobo».
«Fatte pochissime eccezioni, non esiste una stampa libera, i mass media
sono controllati, di regime. Sono molto evidenti, poi, le simpatie
dell’attuale regime croato per il defunto regime ustascia del cosiddetto Stato
Indipendente Croato di Pavelic; e questo è l’unico caso in Europa di
nostalgia del nazismo e del fascismo a livello governativo. In Croazia, da
parte dei vertici dell’esercito e di altre istituzioni importanti dello stato, di
singoli ministri e delle massime autorità, si guarda con simpatia a tutto ciò
che è apologia del nazifascismo, a tutto ciò per cui — in Germania, Austria,
Olanda, Belgio e in altri paesi europei — si finisce in tribunale e in carcere.
Questa posizione neofascista del regime in Croazia non è certo una buona
raccomandazione per l’Unione Europea».
Lo studioso austriaco afferma inoltre:
«Per i gusti europei, in Croazia c’è fin troppo totalitarismo e autocrazia,
troppo poco senso per la reale democrazia… Certo, la guerra può essere
sempre un buon alibi, ma almeno noi studiosi sappiamo “leggere” i vari
codici e simboli e da essi trarre le dovute conclusioni. I croati si sbagliano
di grosso se pensano che fuori della Croazia non si conoscano le loro
malefatte e non vengano analizzate. Perché lo fanno e in tali dimensioni,
non lo so e non è un mio problema. Io non vivo in Croazia, né intendo
viverci».
Fino a quando l’Europa chiuderà gli occhi di fronte al soffocamento
della democrazia in Croazia ed al giogo sofferto dal popolo croato e dalle
minoranze nazionali in Croazia?
Il Tribunale internazionale per i crimini di guerra commessi nel
territorio dell’ex Jugoslavia, con sede ali’Aja, ha reso noto oggi l’atto di
accusa spiccato contro il colonnello Ivica Rajic, croato-bosniaco, già
comandante del 2° gruppo operativo dell’Hvo per il settore di Kiseljak,
Kresevo e Vares.
Ammesso che le autorità croate si decideranno a consegnarlo ai giudici,
dovrà rispondere di un massacro compiuto nell’ottobre del 1993 nel
villaggio musulmano di Stupni Do, nella Bosnia centrale. Quel villaggio fu
totalmente distrutto, dopo essere stato conquistato: 16 civili inermi, caduti
nelle mani dei miliziani di Rajic, furono scannati; pochi superstiti riuscirono
a fuggire.
A Knin il colonnello generale Ivan Cermak ha tenuto una conferenza
stampa, convocata a tarda sera, per informare che «un folto gruppo di
soldati nemici serbi, per tramite dei Caschi Blu dell’Orni, ha deciso di
arrendersi alle autorità croate, uscendo dai loro rifugi sulle pendici del
Velebit». Un giornalista straniero ha approfittato dell’occasione per
ricordargli: «Signor Generale, le massime autorità della Croazia, compresa
Lei, hanno ripetutamen te smentito l’esistenza di uccisioni, di saccheggi e
incendi in massa nella Krajina dopo la liberazione di questo territorio.
D’altra parte questi crimini continuano tuttora sotto i nostri ed i vostri
occhi. Che ne dite?». Il generale ha inghiottito la saliva ed ha risposto: «Sì,
si verificano dei casi di illegalità, tra i fenomeni negativi il più negativo è
quello dell’occupazione forzosa delle abitazioni». Tutte qui le ammissioni?
Ha continuato: «Ho già dato l’ordine di arrestare i soldati che infangano
l’esercito croato e lo stato croato. Li trascineremo davanti al tribunale
militare di Spalato e con ogni mezzo impediremo gli atti illegali». Finora
sarebbero stati arrestati una decina di soldati colpevoli di “fatti illeciti”.
Nient’altro.
40agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
C’era una volta ad Albona, in Istria, una stazione radiofonica
indipendente, la Lae. Il governo di Zagabria l’ha spenta. Ancora una prova,
se ce n’era bisogno, del soffocamento dei mass media non graditi al regime.
Alla Tv di stato croato i partiti parlamentari di opposizione dispongono
soltanto di quattro minuti a settimana per far conoscere i propri programmi
e le proprie opinioni. Di fronte a tale situazione, Dobroslav Paraga,
presidente del Partito croato del diritto (destra), ha ritenuto necessario
denunciare il regime
«che tenta di fare della Croazia un paese dominato da un solo partito,
uno stato antidemocratico». Dichiarazione fatta nella trasmissione “Vita dei
partiti” che oggi, come ogni mercoledì, offre i famosi quattro minuti ai
pochi partiti che sono rappresentati al Sabor.
L’esponente dell’Unione democratica cristiana, Marco Veselica, ha
sostenuto a sua volta: «Il cosiddetto processo di pace in Croazia e Bosnia
Erzegovina è in realtà la legittimazione di un genocidio». «I partiti croati di
opposizione hanno evitato finora di entrare in conflitto col regime,
diventando ostaggi della guerra. È giunta l’ora di smetterla con questa
sottomissione». «Il regime di Tudjman, avviato verso il totalitarismo,
dimostra di avere una concezione asiatica del potere, per cui il popolo è al
servizio dell’autorità e non viceversa».
Le città martiri per eccellenza della Bosnia Erzegovina sono Sarajevo,
Mostar e Banja Luka. Più volte mi sono chiesto come mai tante tragedie si
siano concentrate in queste città abbattendosi sulle loro martoriate
popolazioni.
Oggi, scavando fra un mucchio di ritagli di giornali che continua a
crescere e di cui mi servo raramente, è venuta fuori casualmente una pagina
dell’ex settimanale zagabrese Danas, abolito dal regime di Tudjman per
mettere a tacere una voce democratica in Croazia. Riporta i risultati di
un’indagine demoscopica condotta tra il 9 e l‘11 maggio del 1991, prima
che cominciasse la guerra fratricida nell’ex Jugoslavia. Lo stato creato da
Tito stava pericolosamente crollando. Quando si chiedeva alla gente come
vedesse il futuro della Bosnia Erzegovina,queste erano le risposte:
continuare ad essere una delle repubbliche della Jugoslavia federativa;
diventare uno stato sovrano nel quadro di una confederazione iugoslava;
sparire come entità statale in una spartizione fra la Serbia e la Croazia;
oppure diventare uno stato indipendente e sovrano a sé stante senza legami
federativi o confederativi con la Jugoslavia.
Per la prima soluzione, e cioè per la continuità della federazione
iugoslava, si espressero: il 91% della popolazione a Banja Luka dove i serbi
erano (e sono) la maggioranza, i croati al secondo ed i musulmani al terzo
posto per numero; l‘86%
a Sarajevo dove la convivenza fra musulmani (maggioritari),serbi e
croati è stata sempre esemplare; l‘83% a Mostar dove le percentuali di
croati, serbi e musulmani si equivalevano. Per la spartizione della Bosnia
Erzegovina fra Serbia e Croazia votarono:l‘1% a Mostar, nessuno a
Sarajevo, nessuno a Banja Luka. I voti per la secessione dalla Jugoslavia
furono il 2% a Banja Luka ed a Sarajevo, 1‘1% a Mostar. Ora Karadzic è
riuscito a portare a termine la pulizia etnica a Banja Luka espellendo dalla
città e dal territorio della regione gli ultimi 30-40.000 croati e musulmani; a
Mostar i croati hanno ripulito la loro parte di città da serbi e musulmani; gli
eroici 300.000 superstiti di Sarajevo continuano ad essere puniti con
l’assedio e le granate per voler salvaguardare la convivenza di serbi, croati e
musulmani.
A KNIN NEL FETORE DELL’ECCIDIO
7 SETTEMBRE
La Camera delle Regioni del Parlamento croato è stata convocata per il
15
settembre. Dovrebbe approvare per direttissima la bozza di legge sul
censimento della popolazione voluto da Tudjman per il 1996 e la proposta
di sospensione di alcune norme della Legge costituzionale sui diritti e le
libertà dell’uomo e i diritti e le libertà delle minoranze etniche in Croazia.
Le abrogazioni saranno sanzionate definitivamente dalla Camera dei
Rappresentanti che è stata convocata per il 18 settembre.
Oggi è stata una giornata “storica” per il governo croato, che si è
spostato da Zagabria a Knin per tenervi una sessione esattamente un mese
dopo la fuga da quella “capitale” della Krajina del “governo” secessionista
serbo. Si è voluto sancire anche in questo modo la riconquista dei territori. I
ministri, riuniti nell’antica fortezza veneziana, hanno affrontato il problema
del rientro dei profughi croati (ignorando del tutto i profughi serbi),
decidendo che al più tardi entro una settimana sarà varato uno speciale
decreto che “obbligherà” a tornare nei precedenti luoghi di residenza le
famiglie che furono costrette a 41agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
lasciare la Krajina al tempo della rivolta dei serbi. Il ministro della
Ricostruzione e Sviluppo, Jure Radic, ha detto che «tutto volgerà al meglio
quando torneranno i profughi. E non solo loro dovranno tornare, ma anche
coloro che da 75 anni sono stati costretti ad abbandonare questi territori»
(compresi gli ustascia della diaspora). Ha poi ammesso che in seguito alle
operazioni
“Lampo” e “Tempesta”, con le quali l’esercito croato ha riconquistato i
territori della Slavonia occidentale e della Krajina, è andato distrutto il 30%
del patrimonio abitativo, e tuttavia sono rimasti ancora 123.000 alloggi
che possono essere riparati e messi a disposizione dei nuovi coloni.
Questa la sintesi del comunicato ufficiale. Edita Vlahovic, una
giornalista fiumana che è andata a Knin per seguire da vicino l’evento,
riferisce che stavolta i ministri hanno potuto vedere e toccare con mano che
la vita fatica a tornare nei territori liberati: «Molte bestie ancora si aggirano
qua e là lungo le strade e intorno alle case vuote; qua e là si vedono carogne
putrefatte di mucche, e si vedono anche case incendiate e saccheggiate».
Alcuni hanno tentato di salvare le proprie case dalla distruzione ricorrendo
alla protezione della bandiera croata esposta alla finestra oppure a scritte del
tipo: “Il proprietario appartiene all’associazione dei combattenti volontari
croati”,
“Questa è una casa croata”, “Questa casa è mia, sono croato”. Per il
resto, riferisce Edita, «si vedono colonne di fumo salire al cielo. Knin è una
città fantasma, sommersa dai rifiuti, avvolta dal fetore delle carogne di
animali in decomposizione». Anche se i ministri si sono otturati le narici e
si sono coperti gli occhi per non sentire né vedere, non hanno potuto non
ascoltare i rapporti presentati alla sessione dai presidenti delle sei province
nelle quali è stato suddiviso il territorio della ex Krajina. Per cominciare
«non è stata organizzata la raccolta e la cura dei bovini, ovini ed equini
abbandonati» così che chiunque abbia voluto, ha potuto impossessarsi e
portare via centinaia e migliaia di capi di bestiame. Dove? «Non si sa», ha
affermato il ministro degli Interni Jarnjak. Dai dati a sua disposizione risulta
che non meno di 15.000 capi sono stati “esportati” in altre regioni della
Croazia Sui saccheggi ha riferito il presidente della provincia di Zara-Knin,
Sine Prtenjaca, dicendo che «ancora oggi vengono devastate [anche]
aziende e fabbriche, asportati impianti e macchinari, e persino il materiale
edilizio», dichiarandosi impotente «di fronte all’esercito» che fa il bello e
cattivo tempo, e così «in tali condizioni non è possibile far funzionare
l’autorità civile, salvaguardare gli impianti e i beni, e tanto meno
intraprendere la produzione».
«In certe zone si vede anche troppa gente in divisa militare», gli ha fatto
eco il ministro Jarnjak, mentre il premier Valentie ha affermato che «non
tutti coloro che portano l’uniforme sono soldati regolari dell’esercito croato;
ci sono in giro gruppi paramilitari dei quali bisogna disfarsi». È l’unico
modo, ha aggiunto, per riportare alla normalità un territorio nel quale ora
come ora
«nemmeno le autorità competenti sanno chi comanda». «Se entro
l’inizio dell’inverno nelle case abbandonate, e finora risparmiate dagli
incendi, non potranno sistemarsi le persone, nulla resterà in piedi».
Sembra che mentre le squadracce scatenate e incontrollate, composte
dalla feccia nazista del regime, continuano sulla strada di un patriottismo
criminale e mafioso, il capo del governo ed alcuni suoi ministri abbiano
finalmente aperto gli occhi sull’abisso in cui i radicali dell’estrema destra
(fin troppo protetti da Tudjman) stanno per precipitare la Croazia. La
maggior parte degli uomini dell’esecutivo — riferisce Edita Vlahovic — ha
compreso che nei prossimi due-tre mesi bisogna fare tutto il possibile per
salvare almeno quel poco che non è andato distrutto nel corso della guerra e
dopo la
“Tempesta”. Il premier ha dato un termine di otto giorni per radunare
tutto il bestiame non ancora rubato, calcolato in circa 170.000 capi,
eliminare l’immondizia e le macerie che ingombrano le vie, infine costituire
le commissioni e fissare i criteri per l’assegnazione delle abitazioni e delle
case. A parte questi problemi, dall’insieme si può dedurre che le massime
autorità dello stato si sono rese conto di trovarsi di fronte ad un territorio,
l’ex Krajina, letteralmente e totalmente devastato dai liberatori e di fronte a
un mondo esterno che vede e sa questa vergogna. Proprio per questo si
prepara il terreno per scaricare la responsabilità di questo crimine non sui
veri responsabili, ma su “gruppi paramilitari” o “civili travestiti in uniformi
militari”. Quindi si può obiettare con quanto scrive la giornalista Edita
Vlahovic: «La domanda non è chi indossa o meno l’uniforme dell’esercito
croato per potere, in suo nome, saccheggiare e incendiare, ma piuttosto
“perché l’autorità croata non lo ha impedito e non ha punito i
responsabili?”».
42agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
Ad un gruppo di “volontari della pace”, a Zagabria da alcuni giorni, una
esponente della diaspora serba in Croazia, Milka Kajganic, di professione
vittimologo, 1 ha dichiarato: «L’affermazione delle autorità croate, secondo
cui i soldati croati non avrebbero commesso alcun crimine nella Krajina, è
inesatta.
Durante l’Operazione Tempesta sono stati uccisi 60.000 serbi, e la
Krajina è rimasta deserta e insanguinata. Prima o poi verranno a galla le
responsabilità ed i colpevoli. Io ho le prove che tre giorni dopo la
“Tempesta” i croati hanno commesso un genocidio dei serbi rimasti nella
Krajina». Un genocidio del quale sono responsabili anche le Nazioni Unite,
ha aggiunto, in quanto commesso in un’area protetta dai Caschi Blu
dell’Orni.
Le notizie di stragi di civili, saccheggi, incendi ed altre distruzioni
avvenuti durante e dopo l’operazione militare croata in Krajina, e il fatto
stesso che la Croazia è ricorsa per due volte all’azione armata nel corso di
pochi mesi, quest’anno, per la soluzione di problemi che erano già maturi
per una soluzione pacifica ha avuto una prima conseguenza internazionale:
il Consiglio d’Europa ha respinto la candidatura di Zagabria. Nel prossimo
ottobre una delegazione di Strasburgo verrà in Croazia per appurare la
situazione nella Krajina e ascoltare le spiegazioni che il regime di Tudjman
1 È così, nei Balcani c’è una scienza che si chiama “vittimologia” e
studia il comportamento delle vittime (profughi, desaparecidos, eccetera)
attraverso una professione accreditata anche accademicamente nella
docenza universitaria con cattedre di “Viktimologija”.
saprà fornire… Il quotidiano Veèemji List di Zagabria, organo del
regime, in proposito scrive:
«Se ai croati si chiedesse con un sondaggio di scegliere fra l’entrata a
Knin (e domani a Vukovar) e l’ingresso in Europa, la risposta sarebbe
univoca: per ogni cittadino della Croazia la liberazione dei territori occupati
è una priorità assoluta. Ma all’estero sono in grado di capirlo?». E più
avanti, alludendo al fatto che la Croazia è stata messa alla porta, ancora una
volta, non tanto per aver riconquistato la Krajina ma, soprattutto, per averla
ripulita dalla popolazione civile serba, provocando un sanguinoso esodo, e
per le «affollate gite di fine settimana nella Krajina», come un giornalista
(testimone oculare) del quotidiano francese Liberation eufemisticamente ha
definito i saccheggi, i massacri e le distruzioni che hanno fatto seguito alla
“brillante Tempesta”, il medesimo quotidiano zagabrese scrive: «Si tratta di
episodi incresciosi quanto dannosi». Alla fine, pur ammettendo che quegli
“episodi incresciosi” sono per il mondo civile qualcosa di molto pesante
(«E con questo peso, soprattutto se non si apriranno le porte, la soglia
dell’Europa potrebbe rivelarsi molto alta, più di quanto non lo sia nella
realtà») il firmatario del testo esclama con enfasi:
«La via croata verso Knin e Vukovar porta sempre in Europa!».
NUOVA FRONTIERA E VECCHIE MENZOGNE
8 SETTEMBRE
Nell’odierno incontro del venerdì con i giornalisti nazionali accreditati
presso la “Reggia del Bano” a Zagabria, è stato di turno il ministro del
Lavoro e dell’Assistenza Sociale Joso Skara. Tema principale della sua
conferenza stampa
“il ripopolamento della Krajina” dopo la pulizia etnica. (Per inciso: nei
territori epurati dei serbi, che le abitavano durante le operazioni militari del
1 e 2 maggio, nella Slavonia occidentale, e del 4-8 agosto 1995, nella
Krajina, sono rimasti 2.107 abitanti, dei quali 748 finora hanno ottenuto il
diritto alla pensione.) Molta gente, ha detto il ministro, ha manifestato
l’interesse a trasferirsi in quei territori per ridargli vita. Da un’indagine
dell’Istituto di collocamento al lavoro, già 7.000 persone si sono iscritte
negli elenchi dei coloni, pronti a raggiungere la “nuova frontiera”. La cifra
comprende 4.000
disoccupati (tra questi ci sono anche 340 istriani) che intendono metter
su casa a Knin, Benkovac, Obrovac e in altri centri urbani della regione
“liberata”.
Finora nessuno ha chiesto di fare il contadino. Il territorio è però vasto e
per ridargli vita c’è bisogno di almeno 300.000 persone, così il governo è
sempre intenzionato a ricorrere alla precettazione del personale sanitario,
scolastico, degli enti statali e parastatali, ma anche a vari decreti per il
trasferimento forzato di popolazione, in primo luogo dei profughi senzatetto
rifugiatisi in Croazia dopo essere stati cacciati dalla Bosnia
Erzegovina.Sono questi i primi coloni della nuova frontiera. Non fanno
corse in diligenza per accaparrarsi i posti migliori, ma vengono caricati
quasi a forza su autobus rabberciati e trasportati nella Banija, nel Kordun e
nella Lika, molto meno ospitali delle fertili pianure in cui erano nati e
vissuti finora, per riempire il vuoto etnico lasciato dai serbi della Krajina in
gran parte montuosa e petrosa. I giornali governativi croati si guardano
bene dal descrivere questi nuovi coloni così come 43agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
essi appaiono, disperati.
No, essi sono i patrioti che «vogliono contribuire all’edificazione della
Croazia libera e indipendente affrancata dalla schiavitù cui li avevano
costretti i serbi, da sempre padroni dello stato e del potere federale».
Si ammette, invece, che ci sono difficoltà per quanto riguarda il rientro
nella Krajina dei croati che ne furono cacciati nel 1991. Sembrava che dopo
quattro anni di attesa e di vita da profughi, essi si fossero lanciati di corsa
sulle vie che portano ai territori liberati, alle loro terre e case, e invece no:
molti non vogliono più tornare. Per cui il governo, ha detto Skara, sta
pensando alla possibilità di ripopolare quei territori «nel contesto
dell’attuale problema della disoccupazione in Croazia», abolendo «i molti
benefici» (?) di cui godrebbero i disoccupati. Infatti, a breve, sarà imposta
una nuova legge molto restrittiva sul lavoro. Intanto, quale conseguenza di
una lunghissima serie di fallimenti di aziende, nelle prossime settimane
saranno licenziati dai 20.000 ai 50.000 lavoratori, che andranno ad
aggiungersi ai 233.000 disoccupati finora iscritti presso gli uffici di
collocamento. Anche in questa massa di disoccupati il governo pensa di
trovare i nuovi coloni della Krajina e della Slavonia occidentale.
Eccezion fatta per un quotidiano istriano, nessun mass media croato ha
dato la notizia che il presidente di turno del Consiglio di Sicurezza del-
POnu, l’italiano Paolo Fulci, ha diffuso una dichiarazione approvata dal
Consiglio stesso che è una condanna della Croazia per la violazione dei
diritti umani nei territori cosiddetti “liberati”. Si denunciano le autorità di
Zagabria per «la tragedia subita dalla popolazione serba cacciata dalla
Croazia dopo l’offensiva croata e in seguito alla violazione da parte della
Croazia dei diritti umani».
Nel contesto si accenna al rapporto del segretario generale dell’Onu che
aveva già denunciato queste violazioni il 23 agosto (anche quel rapporto in
Croazia non è mai stato pubblicato), sottolineando: «Il Consiglio di
Sicurezza condivide l’opinione del segretario generale che l’esodo in massa
della locale popolazione serba ha creato una crisi di grandi proporzioni».
Inoltre esprime la preoccupazione per la violazione dei diritti umani
«manifestatasi anche con l’incendio delle case, il saccheggio dei beni e le
uccisioni dei civili», per cui chiede al governo croato di esaminare
immediatamente questa situazione e di
«prendere le opportune misure per far cessare questi crimini». Nella
dichiarazione si ricorda che i responsabili di questi crimini saranno chiamati
a rispondere davanti al Tribunale internazionale dell’Aja.
Nella quotidiana conferenza stampa, il portavoce dell’Onu a Zagabria
Gunnes ha ricordato oggi che ancora non è stato trovato alcun accordo con
le autorità croate sulla sorte degli 800 e più serbi rifugiatisi nella caserma
dei Caschi Blu a Knin. Il tempo passa e i soldati dell’Onu si accingono a
partire. Che fine faranno quei civili? Le autorità croate continuano a
chiedere la consegna di 62 di loro definiti “criminali di guerra”, mentre il
comando dei Caschi Blu continua a chiedere che questi “criminali” vengano
interrogati nella caserma, di fronte agli osservatori internazionali. I croati,
inoltre, si sono finora rifiutati di consegnare elenchi nominativi precisi, con
l’indicazione dei crimini che sarebbero stati commessi da quelle 62 persone,
cedendo soltanto su un punto: sono disposti a lasciar partire le donne e i
bambini. Ma questi non vogliono andarsene senza i loro padri e mariti.
Al comando dei Caschi Blu «continuano ad arrivare anche in queste
ultime ore —
ha affermato Gunnes — informazioni sul saccheggio e l’incendio di
case negli ex settori nord e sud [della Krajina]». Gli osservatori
internazionali indicano nei villaggi di Rudele e Frkasic, presso Korenica, il
teatro dei più recenti crimini. Altre case sono state incendiate anche a
Debelo Brdo. Il 6 settembre un gruppo di osservatori dell’Orni ha registrato
sul tratto di strada fra Donji Lapac e Otric, attraverso Srb, alcune centinaia
di case in fiamme. Sono state inoltre saccheggiate quasi tutte le case nei
villaggi del circondario di Glina.
Incendi e saccheggi sono stati compiuti anche sul territorio compreso
fra Bosansko Grahovo e Drvar (zona della Bosnia occidentale), presidiato
dall’esercito di Zagabria che lo ha strappato ai serbi il mese scorso.
Nella zona a nord di Kistanje e nei pressi di Knezevic (siamo di nuovo
nella Krajina) «l’esercito e i civili croati minacciano di morte i pochi
abitanti serbi superstiti». Infine, in tutto il territorio dell’ex Krajina
«continuano a venire alla luce cadaveri di civili massacrati». Gunnes ha
detto di aver protestato presso il generale Ivan Cermak e inviato rapporti
all’Orni. «È
difficile dire se le autorità croate diano sostegno agli autori di questi
crimini, — ha aggiunto — ma è difficile credere che l’esercito croato non
sia in 44agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
grado di impedire ai propri soldati di saccheggiare e incendiare
centinaia e centinaia di case in un territorio caduto sotto la sovranità croata.
Dalle autorità croate riceviamo le più svariate spiegazioni di questi
avvenimenti, ma ormai non gli crediamo più: le prove che abbiamo
dimostrano che mentono!».
Per aver criticato il governo in un’intervista concessa a Radio Europa
Libera sull’attuale situazione in Croazia, il presidente del partito di
opposizione Azione Dalmata, la dottoressa Mira Ljubic-Lorgher, è stata
pubblicamente definita dalla radio di stato croata come «traditrice della
patria». Succede sempre così: si rende impossibile agli oppositori di servirsi
dei media nazionali ma, quando trovano spazio fuori dai confini del paese,
vengono messi alla gogna come traditori. «Particolarmente scandaloso» è
parso al commentatore della radio statale il fatto che la signora Lorgher
abbia ricordato «una regione saccheggiata e incendiata», la Krajina appena
liberata. In realtà la Lorgher è stata molto cauta e “patriottica” nella sua
dichiarazione, a Radio Europa Libera.
«Nei giorni in cui i nostri soldati sono stati mandati a casa per godersi
alcuni giorni di licenza dopo la liberazione della Krajina, i reparti di polizia
ed altre unità cosiddette speciali, rimaste sul territorio insieme a gruppi di
sciacalli civili, sotto la protezione di singoli potenti “ras” del regime, si
sono affrettati a gettare fango sul nostro esercito, sulla nostra vittoria e sul
nostro stato, saccheggiando e incendiando».
«Ritengo di avere il diritto di chiedere che l’onta e la vergogna, gettate
da questi saccheggiatori e incendiari, non cadano sull’intero esercito croato.
Siano puniti coloro che hanno saccheggiato e incendiato, il regime la
smetta di proteggerli, separi i suoi criminali dalla nostra gente onesta! La
Croazia potrà ritenersi vincitrice in senso morale solo quando i suoi
dirigenti riusciranno a dimostrare una reale differenza di civiltà e di eticità
fra loro e gli aggressori».
LETTERE DI SOLIDARIETÀ
9 SETTEMBRE
La cosa più importante che mi è capitata oggi sono le lettere di alcune
ragazze e ragazzi italiani indirizzate a me ed all’organizzazione “Duga-
Arcobaleno” con la preghiera di farle arrivare a bambini e bambine della
Bosnia e di altre regioni dell’ex Jugoslavia vittime della guerra. Come
spiegare ai generosi mittenti che questa guerra ha sconvolto tutto, che la
Bosnia esiste ancora soltanto sulla carta geografica, che le popolazioni — e
con esse i bambini ai quali sono indirizzate le lettere — sono disperse
dappertutto, anche fuori della Jugoslavia?
I nominativi dei bambini dell’ex Jugoslavia si trovano nelle pagine di un
mio libro pubblicato due anni fa. Quasi nessuno di essi si trova più nella
località in cui viveva allora. Anche quelli che erano sistemati nei campi
profughi sono stati nel frattempo spostati o sono emigrati con le famiglie in
vari paesi europei. Inutile scrivere ai vecchi indirizzi: le lettere o non
arriveranno, o non potranno essere consegnate. Allora, che ne faccio di
queste lettere giuntemi oggi, che vanno ad aggiungersi alle centinaia
pervenutemi nelle settimane passate? Ecco, ho deciso di ricordare almeno i
mittenti di oggi, cominciando dalla tredicenne Sara Mazza da Villa
Verucchio (Rimini) che scrive a una Altiana Karahodzic, Travnik,
esprimendole la sua solidarietà e ricordando che nel lontano 1988 con la sua
famiglia trascorse le vacanze «in Jugoslavia, più precisamente in Croazia.
Mi è sembrata bellissima!». Alessandra Mariani, di Viterbo, volge invece il
suo pensiero ad Almir Milavic che nel ‘92 si trovava a Mostar. Gli scrive:
«Mi è rimasto impresso il tuo pensiero dove dicevi che le strade, macchiate
di sangue, non riescono a lavarsi neanche con le lacrime delle madri che
sarebbero capaci di sciogliere il ghiaccio nei cuori di tutti gli uomini
normali». Loretta Vento, Montecastello di Vibio (Perugia), scrive a Tanja
Blazevic, un tempo
a Travnik; Marcella Cocozza, di San Martino Valle Caudina (Avellino),
si rivolge agli «amatissimi bambini» di tutta la ex Jugoslavia. Scrivono
ancora: Roberto Comando da Vico Scardella (Reggio Calabria); Katia
Scintu da Ales (Oristano); Angela Melchiorre da Foggia; Daniela Fossati da
Mozzanica (Bergamo); Lilla Carpentieri da Bellegra (Roma); Cannas
Ariana da Lotzorai (Nuoro); Nicoletta Di Domenico da Cava dei Tirreni
(Salerno); Enrica Gibo-sini da Morrovalle (Macerata); Francesca
Brancaccio da Grumo Neviano e Ro-sella Mastroianni da Fratta Maggiore
(Napoli). Da Napoli scrivono ben 10 ragazzi e ragazze, probabilmente tutti
amici perché usano buste uguali e dello stesso colore, perfino i francobolli
sono uguali (8° centenario della nascita di Sant’Antonio): 45agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
Salvatore Leardo, Maria Della Femine, Raffaella Autiero, Claudia
Petraglia e Lucia Grimaldi da S. Giovanni a Teduccio-Parco Vitale; Anna
Rosa Tarantino, Marco Cesiano e Antonio Cionniello da Via Taverna del
Ferro; Marco Cappiello da Mugnano, Alessandro Fantasia da Via Aumbry.
Decido di scegliere nel mucchio una lettera per citarne qualche brano. È
quella di Francesca Brancaccio e Rosella Mastroianni. Scrivono:
«Siamo due ragazze italiane, di 17 e 18 anni. Un giorno ci siamo trovate
di fronte a una vetrina nella quale era esposto questo libro Non si trova
cioccolata che è una raccolta di lettere di bambini jugoslavi nell’orrore della
guerra. Siamo rimaste molto colpite da tutte queste lettere ed è soltanto
leggendole che abbiamo capito quanto si soffre in Jugoslavia. Abbiamo
deciso di scrivere a te, Hatidza, come a tanti altri bambini, perché essendo
state colpite, ora vorremmo condividere questo immenso dolore con voi.
Ricorda la tua città come una delle più belle del mondo, non ricordarla
come un campo di guerra, ma ricorda i momenti belli trascorsi insieme alla
tua famiglia, agli amici, vivendo nella tua città. Prima o poi questo finirà,
vedrai. Quel giorno tanto atteso arriverà molto presto. Qualunque cosa
succeda nel tuo paese, ricordati che noi ti siamo vicine, che tutto il mondo ti
è vicino.
Poco tempo fa, dopo aver comprato e letto il libro, ci siamo riunite in
vari gruppi per esprimere tutta la solidarietà che proviamo per voi. Questa
lettera è stata scritta da noi due, ma è come se fosse scritta da tutte le
persone che condividono il vostro dolore (tutto il mondo). Noi possiamo
capire come ti senti e ci dispiace tantissimo, vorremmo fare qualcosa per
aiutarvi, ma in questo caso non possiamo far altro che confortarvi con le
nostre lettere.
Ti abbiamo scritto con la speranza che la nostra lettera ti arrivi al più
presto (ma non siamo sicure che ti arrivi veramente). Abbiamo scritto a te
ma è come se avessimo scritto a tutti i ragazzini che come te vivono questa
brutta situazione.
Le lacrime ti bruciano sulle guance
perché pensi alla tua città distrutta,
ma un giorno piangerai non di dolore
ma di gioia, perché tutto questo finirà
e noi piangeremo insieme a te!
Dai spazio a quei ricordi, belli o brutti.
Sono l’essenza d’amore.
Vi vogliamo un mondo di bene». 102
LADRI E INCENDIARI
10 SETTEMBRE
Sommerso da una valanga di inconfutabili prove, inchiodato al palo
delle troppe menzogne e reticenze, il governo croato ha dovuto riconoscere
che i territori riconquistati della Krajina sono da oltre un mese alla mercé di
rapinatori, incendiari e assassini. Le autorità di Zagabria, però, neanche
stavolta hanno smentito la propria natura. Invece di ammettere tutto, hanno
ammesso una parte.
E lo hanno fatto sviando le responsabilità. In un brevissimo comunicato
apparso oggi sui giornali, firmato dalla Direzione politica del Ministero
della Difesa, si afferma:
«Le indagini operative della polizia civile e militare, condotte
sull’ampio territorio di Knin, hanno permesso di accertare che gli atti
criminali — rapine, furti, saccheggi, incendi di case e occupazioni abusive
di alloggi — sono opera di civili travestiti da militari. Nei loro confronti
verrà sporta denuncia e saranno aperti procedimenti giudiziari».
In occasione della “festa patriottica per la canonizzazione di un santo
croato”, San Marco da Krizevci, il cardinale Franjo Kuharic, primate della
Chiesa cattolica, ha detto ai fedeli, tra l’altro:
«Purtroppo nelle regioni liberate, vediamo oggi il deserto, lo squallore,
santuari distrutti; e questa è la conseguenza del fatto che nei cuori degli
autori di quei delitti non c’è umanità, non c’è amore, non c’è Dio».
L’accusa è rivolta ai serbi che nella Krajina distrassero parecchie chiese
cattoliche dopo l’agosto del 1991, oppure ai croati che hanno moltiplicato
per cento le distruzioni dopo il 4 agosto del 1995? Il cardinale ha aggiunto:
«Non dobbiamo restituire il male nella stessa misura, non dobbiamo odiare
né saccheggiare, né incendiare. Abbiamo il diritto di difenderci, rispettando
ciò che è nostro. Dobbiamo reprimere tutto ciò che è malvagità nei nostri
cuori».
Un artista di Fiume, un pittore originario di Vojnic, nell’ex Krajina, si è
recato nella casa natale, pochi chilometri a nord di Karlovac, e l’ha trovata
saccheggiata. Ci è tornato tre volte nel giro di due settimane ed ogni volta
ha notato nuovi saccheggi. L’ultima volta, ieri l’altro, ha sorpreso due
46agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
saccheggiatori arrivati con un camion per caricare lampadari,
elettrodomestici e quant’altro ancora rimasto in casa. Per evitare il peggio,
trovatosi di fronte ad una pistola, li ha lasciati andare col bottino ed ha
richiuso a chiave la casa. Sicuro, dice, che la settimana prossima troverà in
piedi soltanto i muri.
Il ministro dell’Istruzione della Croazia, Lilja Vokic, torna all’attacco
contro la scuola della minoranza italiana in Istria e nel Quarnero. Fattasi
intervistare dal quotidiano zagabrese Novi Vjesnik, si è soffermata
diffusamente sulla sua malfamata circolare che vieta l’iscrizione dei
bambini della maggioranza nelle scuole minoritarie, dicendo tra l’altro:
«Solo la minoranza italiana iscrive i bambini croati nelle sue scuole. Ma noi
non permetteremo che la gioventù croata muoia perché i figli dei croati
studino poi l’italiano come prima lingua!». Nel clima di esaltazione
imperante in Croazia dopo le vittorie militari che hanno portato tra maggio
e l’inizio di agosto alla riconquista della Slavonia occidentale, del Kordun,
della Banija, della Lika, ed anche di ampi territori della Bosnia occidentale
(Glamoc, Grahovo), il ministro Vokic ha voluto inserire anche la sua parte
di super-patriottismo. Dimenticando però di dire che a combattere ed a
morire nella ex Krajina sono stati mandati anche numerosissimi italiani
dell’Istria e di Fiume, non soltanto giovani croati.
Continuando sulla linea del più becero patriottismo, la Vokic ha
sostenuto di aver ricevuto «messaggi scritti di sostegno» alla sua circolare
da «molti cittadini, operatori scolastici e istituzioni dell’Istria». Insomma,
sta organizzando una vera e propria campagna anti-italiana contro una
comunità già sin troppo perseguitata, ridotta al lumicino. E in questa
campagna di intimidazioni ricorre addirittura alle menzogne. Non è la
minoranza italiana, infatti, a iscrivere i bambini croati alle proprie scuole.
Semplicemente ogni anno vi sono dei genitori croati che insistono per
iscrivere i loro figli alla scuola italiana per le più svariate ragioni: perché in
famiglia l’italiano è di casa, perché ci sono in famiglia ascendenze italiane,
e per tantissimi altri motivi. Nessuno può obbligare un genitore a dichiarare
la propria nazionalità, è la sua volontà che conta. Ma per la signora Vokic è
preminente l’obiettivo della
“croaticità” della Croazia. Felicissima quando bambini di nazionalità
serba, slovena, macedone, ungherese, albanese, slovacca, eccetera (ne sono
piene Fiume e l’Istria) si iscrivono alle scuole croate, ricorre invece a
qualsiasi arma pur di impedire che un solo bambino croato frequenti una
scuola non croata.
La signora Vokic sostiene nell’intervista: «Perché lo facciano, loro lo
sanno probabilmente meglio di altri». “Loro” sono i direttori delle scuole
della minoranza italiana. Allude al fatto che in Croazia la presenza di
bambini croati nelle scuole italiane spesso serve a salvarle dalla chiusura.
Se frequentate da soli bambini di pura “razza” italiana si ridurrebbero, in
certi casi, a cinque-dieci alunni per classe. Ma è proprio questo l’obiettivo
che la Vokic vuole raggiungere quando, fingendo di osservare alla lettera la
legge e la Costituzione, dice (nell’intervista): «La Circolare si impernia
sull’articolo della Costituzione che sancisce che nella Repubblica di
Croazia è in uso la lingua croata, nonché sulla legge del 1979, nella quale si
dice che le scuole nelle lingue minoritarie vengono istituite solo per gli
appartenenti alle comunità nazionali», aggiungendo che l’organizzazione
della comunità italiana in Croazia (e Slovenia) «l’Unione italiana si sente
minacciata qualunque cosa noi facciamo. Essi ritengono di avere diritto a
10 alunni per classe, mentre altri possono averne anche 40. Essi
considerano normale questo fatto».
La signora Vokic dimentica però di dire che c’è una differenza abissale
fra le scuole della maggioranza e quelle della minoranza. Se a Fiume, dove i
croati hanno 23 scuole elementari, una di queste dovesse chiudere per
scarsità di alunni, ne resterebbero altre 22 La scarsità di alunni nelle scuole
italiane, invece, è un fatto cronico, normale per una minoranza e basta
elevare solo di poco la soglia (viene indicata quella di 22 alunni per classe)
per mettere in forse l’esistenza di tutte le scuole italiane. Ed è quanto
succederà applicando la Circolare Vokic. Nell’intervista ella afferma pure:
«I diritti della comunità nazionale italiana non vengono in alcun modo lesi,
giacché essa ha ancora le sue scuole, i suoi alunni». Ma fino a quando avrà
le sue scuole se si applicherà la circolare? Quanti saranno questi alunni? In
realtà la signora se ne frega altamente della sorte della minoranza italiana;
anzi, l’unica sua preoccupazione è quella di creare i presupposti per
eliminare questa minoranza (e le altre) dal territorio della Croazia. Basta
soffermarsi su questa sua cinica frase: «Ci sono infatti 900 alunni italiani e
10 scuole in lingua italiana. Nel contempo ogni scuola croata conta 900
alunni». Ora, a parte il fatto che non è vero che ogni scuola croata abbia 900
alunni (in realtà si va dai 100 ai 500, raramente di più, e comunque il
problema riguarda l’edilizia scolastica), la signora Vokic 47agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
dimentica di spiegare che i “900 alunni italiani” e le “10 scuole in
lingua italiana” sono sparsi in una vastissima regione. Vorrebbe ridurre
forse le 10
scuole ad una sola e riunire in un’unica scuola i 900 alunni italiani di
Fiume e di Pola distanti 110 chilometri, insieme a quelli di Rovigno, di
Parenzo, Umago, Buie, eccetera? La signora Vokic sa bene che questo non è
possibile, quindi il suo discorso è cinico, indegno di un ministro.
E mi pare strano che l’ambasciatore italiano a Zagabria non abbia
mosso alcuna obiezione. Sostiene nell’intervista il ministro Vokic:
«All’ambasciatore italiano [Pensa] ho detto di essere convinta che vadano
rispettati i diritti nazionali degli italiani e delle altre minoranze, ma che per
motivi di dignità nazionale va tutelato anche il popolo croato». Infatti, pare
che il popolo croato sia minacciato di estinzione dalla presenza nelle scuole
italiane di un centinaio di alunni croati che, quasi sempre, sono quegli
istriani e fiumani che hanno un nonno o una nonna, uno zio o una zia, o
qualche altro ascendente italiano e che comunque convivono con gli italiani
da secoli. Per tutelare la
“dignità nazionale del popolo croato”, il governo di Zagabria è pronto a
scavare la fossa alle minoranze.
Ultima annotazione. La signora Vokic sostiene che soltanto la
minoranza italiana ha contestato la circolare, solo gli italiani si sono sentiti
minacciati da questa. Risposta: «La circolare che vieta l’iscrizione dei
bambini croati nelle scuole minoritarie colpisce direttamente la minoranza
ungherese in Croazia. Con questa circolare non abbiamo alcuna possibilità
di istituire scuole per i nostri figli». È il brano di una dichiarazione della
Comunità Democratica degli Ungheresi della Croazia, datata 9 settembre
1995. Il leader della comunità magiara, Laszlo Horvath, ha affermato che
«soltanto il 10% dei bambini ungheresi in Croazia ha ora la possibilità di
studiare la lingua ungherese, e soltanto due o quattro ore settimanali» nel
quadro di scuole miste. Ha aggiunto che
«l’assimilazione della minoranza magiara in Croazia non solo non si è
fermata, ma ha assunto proporzioni più ampie che non nella ex Jugoslavia».
Fin troppo spesso i massimi esponenti dello stato e del governo croato si
riempiono la bocca con frasi del tipo: “Alle minoranze assicuriamo il più
alto livello di diritti, il più alto nel mondo”. La realtà è ben diversa.
Ad alcuni mesi dalle iscrizioni, con il nuovo anno scolastico già avviato,
il Ministero dell’Istruzione di Zagabria annuncia che gli ispettori
arriveranno nelle scuole italiane per disporre il passaggio alle sezioni croate
degli alunni iscritti alle prime classi degli istituti italiani. Il “decreto etnico”
sta creando il caos, ma i super-patrioti croati applaudono.
UN GENOCIDIO PROGRAMMATO
11 SETTEMBRE
La solita quotidiana conferenza stampa del portavoce dei Caschi Blu a
Zagabria, Chris Gunnes: i soldati dell’Orni stanno abbandonando la Croazia
(finora se ne sono andati 1.400); nella ex Krajina continuano a venire alla
luce nuovi cadaveri di civili, quasi tutti di gente anziana; continuano pure
gli incendi. A Kostajnica gli osservatori internazionali hanno registrato la
distruzione di altre cinque case; nuovi incendi si sono avuti pure a Licko
Petrovo Selo e in altre località dell’ex “Settore Nord”. Secondo le
valutazioni di Chris Gunnes, le case incendiate negli ultimi giorni in
Krajina sarebbero un migliaio.
Il presidente della provincia di Karlovac, Josip Jakovcic, ha dichiarato
che il 52% del territorio da lui amministrato è stato oggetto di saccheggi e
distruzioni. Case ancora abitabili ci sono a Slunj e Plaslci, mentre nulla e
rimasto in piedi nei comuni di Bakovic, Cetingrad e Saborsko: «Tutto
distrutto».
Sul territorio di otto comuni, che comprendono anche tre città, della
popolazione autoctona serba sono rimaste appena 280 persone, di cui circa
200 a Plaski.
Queste ed altre rivelazioni sono contenute in un’intervista apparsa oggi
sul Novi List di Fiume. Il quotidiano indipendente ha dato ampio spazio
anche al leader del Partito popolare serbo in Croazia, Milan Djukic, nativo
li Donji Lapac nella Krajina.
Per essersi opposto ai connazionali secessionisti di quella regione,
cinque anni fa, Djukic fu nominato ministro da Tudjman; successivamente
il tluwnik croato gli consigliò di costituire un partito dei serbi fedeli alla
muzia e premiò il fondatore di questo partito con la nomina a vicepresidente
del Parlamento della Croazia. Tutto ciò non ha impedito ai massmedia
statali della Croazia, dalla Tv ai giornali, di condurre contro il vice
presidente del Parlamento croato una sistematica campagna di odio. Per
reazione, 48agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
Djukic ha portato il suo partito sulla barricata delle opposizioni.
L’Operazione Tempesta ha colpito duramente anche lui e la sua famiglia.
Suo padre di 75 anni e un fratello minore con la moglie e due figli
minorenni si sono uniti al fiume dei profughi e si trovano oggi ad Apatin, in
Vojvodina. Anche se volessero tornare, non potrebbero farlo perché la casa
in cui vivevano fino al 5 agosto è stata incendiata dai liberatori. La casa di
Milan Djukic, invece, era stata distrutta nel 1991 dai compaesani serbi
ribelli al governo di Zagabria.
Dice l’onorevole: «Dopo la “Tempesta”, la Croazia ha riacquistato una
parte del suo territorio, ma è un territorio deserto, senza vita, senza i
cittadini croati (di etnìa serba) che da secoli vivevano su quei focolari oggi
distrutti». E il risultato di un fatale intreccio di circostanze o di un preciso
piano? Per Djukic «quanto successo è parte integrante di un programma
elaborato dal regime croato». Esaminando le dichiarazioni dei massimi
uomini politici croati e dello stesso vertice dello stato, «si vede che il
programma nazionale croato, come essi lo chiamano, ovvero il programma
del partito al potere, puntava alla soluzione definitiva del problema serbo in
Croazia, ad eliminare una volta per sempre i serbi dalla Croazia. I serbi
dovevano essere annullati, dovevano sparire o essere ridotti ad un’entità
insignificante. Questo è stato l’obiettivo delle operazioni militari “Lampo”
e “Tempesta”».
Per quattro lunghi anni — sintetizzando il prosieguo del discorso di
Djukic — il vertice zagabrese ha mentito alla comunità internazionale
facendo credere che esisteva la buona volontà di trovare una soluzione
politica. Questa volontà non c’è mai stata, né si è mai pensato di fare una
qualsiasi concessione ai serbi della Croazia. «Il risultato alla fine è questo: i
serbi in Croazia sono ridotti al 2%. È stata compiuta la pulizia etnica».
Si intravede o no una possibilità di ritorno di coloro che se ne sono
andati? È
vero quello che dicono Tudjman e gli altri leader croati che i serbi della
Krajina se ne sono andati di propria volontà e con la chiara intenzione di
non tornare più? Djukic risponde che le popolazioni serbe non volevano
abbandonare i focolari degli avi in Krajina, né la Croazia loro patria da
secoli. Partendo, quasi tutti hanno chiuso le porte delle loro case, tutti hanno
aperto le stalle per far uscire all’aperto il bestiame affinché non morisse. Se
avessero deciso di non più tornare, probabilmente avrebbero loro stessi dato
fuoco alle case ed alle stalle, distruggendo tutto. «Sono stato nella Banija e
nel Kordun ed ho visto trattori abbandonati perché la via della fuga delle
popolazioni era stata tagliata oppure era venuto a mancare il carburante. Gli
oggetti che erano stati caricati su questi trattori fanno pensare che i
fuggiaschi intendevano assentarsi da casa per un breve periodo,
raggiungendo i boschi per mettersi al riparo dai combattimenti, per poi
tornare
una volta cessate le operazioni belliche. Portavano bidoncini di olio,
sacchi di patate, farina, padelle, ombrelli, vecchie coperte (le buone le
hanno lasciate a casa), materassi, incerate e teli di plastica. Se avessero
pensato di partire per sempre avrebbero caricato sui rimorchi anche
televisori, oggetti di valore, qualche mobile. Invece le cose di maggior
valore le hanno lasciate nelle case alle quali, ecco, non è stato permesso
loro di tornare».
In proposito Djukic ha ricordato quanto affermato da Tudjman nel suo
discorso sul “treno della libertà” durante il viaggio da Zagabria a Spalato
attraverso le regioni liberate. «Le sue parole rivelano che la Croazia non
vuole che i serbi ritornino. Qua e là sarà permesso il rientro di singole
persone, ma nient’altro.
Resta il piano di sistematica pulizia etnica, come si ricava dalle
dichiarazioni di altri personaggi di spicco del regime croato. Questi non si
curano del rientro dei profughi serbi, ma del censimento della popolazione
rimasta nella parte bruciata della Croazia, dell’abolizione delle norme della
Costituzione sulla tutela delle minoranze, peraltro già lettera morta… ».
Sin dall’inizio, è l’opinione di Djukic, le autorità croate hanno puntato
alla pulizia etnica. A Obrovac, per esempio, nelle prime ore
dell’Operazione Tempesta, all’alba di venerdì 4 agosto, arrivarono diverse
corriere per evacuare la popolazione. La cosa si ripeté in altre località. Gli
evacuati, però, non sono rimasti in Croazia, ma furono trasportati
direttamente nella parte della Bosnia sotto il controllo dei serbi. In
proposito Djukic ha detto: «Qualcuno ha parlato di “deportazioni
umanitarie” di popolazioni, altri chiariscono che questo rientra nell’accordo
a suo tempo concluso fra Tudjman e Milosevic. Resta il fatto che un’intera
popolazione è stata sradicata contro la sua volontà».
L’intervistato se la prende soprattutto con Tudjman rivelatosi, ha detto,
un seminatore di odio e un menzognero. Nel “discorso del treno” sostenne
che in Krajina c’erano state durissime battaglie. «Io non so con chi ha
combattuto l’esercito croato — parole di Djukic — visto che, come lo
stesso Tudjman 49agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
aggiunse in quel discorso, “i serbi sono scappati a gambe levate senza
portarsi nemmeno le loro sporche mutande e il loro sporco denaro”. Sì, è
vero, i serbi se ne sono andati lasciando non soltanto il loro denaro fuori
corso, ma anche i marchi tedeschi finiti nelle tasche dei soldati croati. I fatti
più recenti avvenuti nella Krajina dimostrano che i serbi non erano forse più
puliti dei croati, ma certamente nemmeno meno sporchi di essi. Nel
vandalismo e nei saccheggi dei beni, i croati non hanno lasciato intatte
nemmeno le mutande dei serbi. Il discorso dell’odio tenuto da Tudjman ila
Zagabria a Spalato offre poche speranze circa un ritorno dei serbi ai loro
focolari».
L’onorevole Djukic ha raccontato poi quanto visto in un recente viaggio
nella Krajina, esclusa la regione della Lika che gli è stata vietata. Là dove
gli è stato permesso di andare, ha visto «molte case devastate e pochissima
gente. Pochissimi sono rimasti, quasi esclusivamente persone anziane.
Dopo essere stati rinchiusi in Centri di Raccolta per gli interrogatori, hanno
potuto tornare alle loro case, con l’obbligo di presentarsi alle stazioni di
polizia per ottenere nuovi documenti. Quando però sono andati agli
sportelli, alcuni sono stati fermati e portati non si sa dove; di essi si è
perduta ogni traccia».
«Quando l’esercito croato è entrato nella mia cittadina natale, Donji
Lapac, questa era intatta. Andate a vedere ora com’è ridotta, con le sue case
bruciate e devastate… ».
Lapac era la località con la più alta percentuale di popolazione serba nel
territorio della Croazia. Negli anni 1991-1995 (fino all’inizio di agosto)
nessuna delle famiglie croate era stata cacciata da lì.
Era una città esemplare per la convivenza e la tolleranza interetnica.Non
c’era odio tra vicini. Nonostante il regime instaurato dai leader
secessionisti, i croati erano rimasti. Djukic ha ricordato la famiglia dei
Miljkovic, croati che nelle elezioni del 1990 entrarono a far parte del
Consiglio Comunale. Ebbene, all’arrivo dell’esercito croato, hanno seguito
la sorte dei compaesani serbi, profughi anch’essi. Insieme ai Miljkovic
hanno percorso le vie dell’esilio alcuni medici, croati anch’essi, che non
avevano mai abbandonato i loro pazienti serbi nella stessa cittadina.
Tudjman ha detto che «Knin è stata sempre una città croata» in senso
etnico e che i serbi erano diventati maggioranza solo fra le due guerre
mondiali. Il capo dello stato croato, di professione storiografo — ha
osservato Djukic — non si è letto un libro edito dalla Lega Croata,
Almanacco di Knin del 1993 nel quale, nero su bianco, viene spiegato che
già nel 1857 i serbi formavano la maggioranza della popolazione. «Questa
ed altre menzogne di Tudjman sono il risultato di odio e frustrazione, egli
non vuole che la Croazia sia lo stato dei suoi cittadini, vuole cancellare ogni
traccia che ricordi che qui è vissuta una popolazione serba. Ma non ci
riuscirà». Djukic ha aggiunto: «Se non si darà alla popolazione serba la
possibilità di tornare alle proprie terre, si dovrà parlare di un genocidio».
Quella che si svolgerà in Croazia il prossimo autunno sarà una
campagna elettorale tempestosa, «nella quale non mancheranno attentati, e
qualcuno potrà anche essere ammazzato». Lo ha detto Slaven Letica, ex
consigliere personale di Tudjman ed ora suo critico, in un convegno di
“intellettuali impegnati nella lotta per il predominio dell’etica nella
politica”. Letica è convinto che, se non sarà fermato, il partito di Tudjman
ripristinerà nel paese il sistema totalitario, prendendo il posto che fu del
Partito comunista all’epoca di Tito.
Già ora, ha detto Letica, il sistema funziona in modo che uno «può
ottenere la carica di ministro dell’Economia perché è diventato amico di
Tudjman durante una partita di tennis». La Croazia di
Tudjman — ha aggiunto Letica — è un paese nel quale in pochi anni 50
famiglie controllano l‘80% del profitto nazionale; molti di questi nuovi
miliardari hanno fatto i soldi saccheggiando il patrimonio dello stato. Ora
hanno bisogno di un potere forte senza opposizione e senza controllo, per
non essere costretti a rispondere delle rapine compiute. Su quest’ultimo
punto concorda in pieno un uomo politico della sinistra, autore anche di
alcuni libri, di nome Miko Tripalo.
Miko Tripalo è presidente del Partito d’azione social democratica della
Croazia.
Dalmato, fu uno dei più stretti collaboratori di Tito durante la guerra
partigiana e nel dopoguerra ma, sul finire degli anni ‘60, guidò il
movimento nazionale della cosiddetta “Primavera croata” che gettò il seme
della radicale svolta democratica nell’intera Jugoslavia (nuova Costituzione
del 1974) ed anche della successiva secessione della Croazia e della
Slovenia. Nel 1990, col prevalere degli elementi estremisti, il movimento
cadde nelle mani di Franjo 50agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
Tudjman che, alleatosi con le organizzazioni dei fuoriusciti ustascia nei
vari paesi europei ed extraeuropei, imboccò la via dell’estrema destra
nazionalista, mentre Miko Tripalo rimaneva legato alle posizioni della
sinistra democratica.
Nell’odierno incontro a Zagabria, il sessantanovenne dalmato ha fatto
alcune considerazioni che mi sembrano oltremodo interessanti. Ha
cominciato col dire che Tudjman sfrutta l’operazione militare, che ha
portato alla riconquista della Krajina, per attribuire la vittoria
esclusivamente a sé ed al suo partito-regime, i cui gerarchi usano addirittura
espressioni come “l’esercito dell’Hdz”, trasformando in comizi del loro
partito sfilate, parate militari ed altre manifestazioni organizzate in Croazia
giornalmente, da oltre un mese, per festeggiare la vittoria.
«Tutto è opera di Tudjman e del suo regime, con un’unica eccezione: i
crimini commessi, e che continuano ad essere commessi, nei territori
liberati» dopo la conclusione dell’Operazione Tempesta. Secondo Tripalo,
«dopo che i primi scaglioni d’assalto dell’esercito e della polizia, insieme
ad alcuni reggimenti domobrani, hanno concluso quasi senza eccessi le loro
operazioni, sulla scena
[della Krajina] ha fatto la sua comparsa un terzo gruppo di “liberatori”
che ha dato il via ai saccheggi delle case abbandonate, appiccando il fuoco
ad interi villaggi e borgate. Qui non si tratta di questa o quella banda di
saccheggiatori, ma di una operazione di saccheggi e incendi appositamente
organizzata, dietro la quale stanno uomini del regime e del partito al potere.
Dunque, si tratta di un piano mostruoso, le cui radici vanno cercate nelle
tante prese di posizione del partito al potere relative alla pulizia etnica dello
stato». Ha pure notato che i rappresentanti di alcune organizzazioni
umanitarie straniere e nazionali, giunti nella Krajina, dopo aver visto la
situazione hanno concluso che «per la polizia croata era più importante
impedire che si fotografassero gli incendi e i saccheggi, piuttosto che
impedire ai saccheggiatori e agli incendiari di compiere il loro lavoro».
Miko Tripalo ha affondato ancor più il bisturi nella piaga accusando
Tudjman di aver stipulato accordi segreti con Milosevic ai danni della
Croazia:«Nonostante tutte le promesse fatte, il nostro vrhovnik non ha
spiegato chi fu ad ordinare
[nel 1993] all’esercito croato di ritirarsi dalla Posavina settentrionale,
permettendo in tal modo ai serbi di creare quel corridoio che ha avuto in
questi anni un’importanza vitale per le loro posizioni nella Bosnia
occidentale e in Krajina». E più avanti: «Si accumulano sempre più, nella
prassi politica croata, i cosiddetti casi che attendono una spiegazione:
dall’assassinio del capo della polizia di Osijek, Reihl Kiro, all’assassinio
del leader politico Ante Paradzik, all’esplosione del magazzino di
munizioni in località di Duboki Jarak con conseguente eccidio, e via
elencando. Il regime si sbaglia se crede che la gente abbia dimenticato. La
gente non dimentica inoltre che nel giro di tre-quattro anni poche famiglie,
strettamente legate al vertice dello stato ed alle banche, sono riuscite ad
arricchirsi in proporzioni scandalose. Si sono arricchite col sangue versato
dalla gioventù croata».
I VESCOVI E IL REGIME
12 SETTEMBRE
Il comando dei Caschi Blu l’ha spuntata: pare che sia stato risolto il
problema degli 800 civili di etnìa serba da 40 giorni rifugiati nella caserma
dell’Onu a Knin. Le autorità croate, che hanno dichiarato criminali di
guerra 60 di loro prima ancora di processarli, hanno accettato oggi di
avviare un processo formale, dopo di che i “condannati” saranno estradati
dalla Croazia. Le loro famiglie resteranno in loco fino alla conclusione dei
processi. Le accuse, peraltro non ancora argomentate sulla carta, sono
terrorismo e genocidio nei confronti delle popolazioni croate. Chi
processerà i croati autori di questi stessi crimini compiuti tra l’agosto ed il
settembre del 1995?
Il clima di terrore instaurato nella Krajina ha indotto ad espatriare
dall’area di Knin altri 1.500 civili serbi che, rimasti fiduciosi nelle loro
case, sono stati dapprima deportati in tre Centri di Raccolta istituiti dalla
polizia speciale croata a Zara, Sinj e Sebenico, e poi rilasciati oggi dopo
lunghi, diuturni interrogatori. Che gli hanno fatto per indurre anche questi
pochi rimasti a dire addio alla terra natale?
La Conferenza Episcopale Croata, riunitasi oggi a Zagabria, ha votato
un documento contraddittorio sulla fuga dei 250-300.000 civili serbi dalla
Krajina.
In un punto si dice che «i locali dirigenti politici e militari serbi e la
Chiesa ortodossa sono responsabili dell’esodo della popolazione serba», in
quanto «sono stati essi a costringerla ad abbandonare la regione», mentre in
un altro si esprime il “dispiacere” della chiesa cattolica «per il fatto che
51agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
l’azione dell’esercito croato e della polizia hanno avuto come
conseguenza, sia pure indiretta, l’esodo di un gran numero di cittadini di
etnìa serba dal territorio in cui si era sviluppata la rivolta contro la
Repubblica di Croazia».
Nel primo punto la posizione della Chiesa coincide perfettamente con
quella del regime di Tudjman. Molto vicina a quella del regime è anche la
valutazione dei vescovi sulla piena legittimità dell’operazione militare «che
ha ripristinato l’ordine e la pace» (?!) nei territori riconquistati. Non si
capisce invece se si riferisce ai croati oppure ai serbi (io spero che valga per
gli uni e gli altri) il punto in cui i vescovi sottolineano «il diritto di ciascun
individuo a tornare alla sua casa» e promettono il sostegno «agli sforzi per
far tornare i profughi».
Più avanti i vescovi si dicono «preoccupati dalle notizie secondo le
quali singoli individui e gruppi hanno preso nelle proprie mani la giustizia,
incendiando le case e danneggiando in altri modi i beni altrui. Anche se
questi atti scaturiscono in gran parte da vendette personali, è dovere
dell’autorità statale proteggere le persone e i beni nei territori liberati».
Come si può vedere, una blanda denuncia nei confronti di crimini
ampiamente documentati e molto più duramente condannati nelle settimane
scorse da organizzazioni di pacifisti e di difensori dei diritti umani. Ma non
ci si poteva aspettare di più dal vertice di una chiesa cattolica, la croata,
tradizionalmente nazionalista e notoriamente alleata con i regimi più
reazionari:da quello del bano Jellacich, sotto l’impero austroungarico,allo
“Stato Indipendente Croato” ustascia durante la II guerra mondiale, fino a
Tudjman.
La voce di “protesta” dei vescovi (peraltro molto reticente) si leva dopo
che il regime di Zagabria ha preso tutti i provvedimenti possibili per
precludere un ritorno delle popolazioni serbe nella Krajina, e appena un
mese e mezzo dopo che tutti i crimini possibili sono stati commessi in
quella regione. Dall‘8 agosto in poi sono state celebrate centinaia di messe
sulle macerie delle 100 e più chiese distrutte nella Krajina; è mai possibile
che nessun prete abbia visto le fiamme e il fumo di interi villaggi incendiati
sotto i loro occhi da “singoli individui e gruppi” di vendicatori? I vescovi
ammettono a denti stretti e denunciano a malincuore quei crimini croati che
hanno reso furente lo stesso premier Valentie (sempre più inviso a
Tudjman) il quale, arrivando a Knin il 7
settembre, ha visto crollare tutte le quinte di un palcoscenico trionfale
dietro le quali si celavano le vergogne ed il sangue della “Tempesta”.
Tramite il Comitato di Helsinki per i diritti umani (Ivan Zvonimir
Cicak, Zagabria), mi perviene nel pomeriggio la seconda parte di un
rapporto della missione dell’Orni in Croazia. Si riferisce al periodo 22
agosto-5 settembre 1995 e, come il primo (sintetizzato all’inizio di questo
diario), annota i crimini commessi nelle regioni della Lika, del Kordun e
della Banija (ex Krajina), dopo la riconquista di quelle terre e la cacciata
della popolazione autoctona serba. Anche stavolta ne presento una sintesi
molto stringata.
22 agosto Altre 10 case incendiate a Vrginmost. Visti bruciare 23 case e
10 granai tra Vrginmost e Vojnic. A Vojnic stanno bruciando 35 case, fra cui
17 distrutte dal fuoco. Tre case stanno bruciando a Mandiga Draga, altre
due bruciano a Nateka.
A Stegnjajic una donna anziana è stata trovata morta in un pozzo. Pare
che si tratti di suicidio avvenuto dopo che due terroristi croati, armati di Ak-
47, si sono presentati nella sua casa, dove viveva col marito, minacciandola
di morte se non avesse abbandonato l’abitazione ed il podere entro
l’indomani. Del marito si è persa ogni traccia.
23 agosto Cinque case bruciano a Zaluznica. Intorno alle case
incendiate
sono stati visti numerosi soldati croati. Numerose case stanno bruciando
anche a Velika Popina. Una casa brucia a Stojanovici. A Slunj sono state
completamente distrutte o incendiate 20 case.
24 agosto A Vojnic una ragazza di 23 anni, ritardata mentale, è stata
violentata fisicamente e sessualmente da alcuni soldati croati che l’hanno
trascinata nel loro accampamento. Gli incendi appiccati alle case in varie
cittadine sono stati anche oggi numerosi: due edifici sono andati
completamente distrutti a Gracac, compreso quello che era stato scelto
come sede della polizia civile dell’Orni; alcune case bruciano nei villaggi di
Miocac, Biocic e Vukasin; quattro case bruciano a Doljani dove è stata
registrata la presenza di un contingente dell’esercito croato. Finora a
Doljani sono stati distrutti col fuoco 30 edifici di abitazioni. Nella zona
sono stati visti anche poliziotti croati, ma nessuno di essi è intervenuto per
fermare gli incendiari. Soldati 52agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
dell’esercito croato sono stati visti anche a Srb intenti a saccheggiare ed
a caricare su camion i mobili rubati da una casa.
25 agosto Nella borgata di Grubori, già più volte oggetto di saccheggi e
incendi, dalla mattinata stanno bruciando altre 20 case e alcune stalle; nel
paese si sono visti 10 militari della polizia speciale croata in tute mimetiche.
La squadra operativa del Hrat, che ha fornito queste informazioni, è
tornata nel pomeriggio nella medesima località, trovandovi i cadaveri di due
uomini anziani massacrati: uno di circa 70 anni è stato trovato sul
pavimento della camera da letto, in pigiama, ucciso con un colpo alla nuca;
l’altro, di circa 65 anni, è stato trovato nel campo con la gola tagliata.
A Glina quattro uomini di etnìa serba, abitanti del posto, sono stati
prelevati dalla polizia croata e portati alla sede della questura dove, durante
tutta la notte, sono stati selvaggiamente picchiati e torturati da sei poliziotti
in borghese.
Nuove case sono state bruciate nei villaggi di Mazin, Bi-skupija,
Vrhovine, Grubori. In quest’ultima località oggi ne bruciavano 15. Dieci
automobili della polizia croata erano parcheggiate a due chilometri dal
paese. Il cadavere di un uomo in abiti civili è stato trovato a Zorici, ai
margini di una strada selciata.
26 agosto Nei pressi della località di Prejiv è stato rinvenuto il corpo
di un uomo, età apparente circa 20 anni, in abiti civili.
A Grubori è stato rinvenuto un terzo cadavere, quello di una donna
dell’età approssimativa di 90 anni, carbonizzato, fra i resti della sua casa
incendiata ieri.
Nuove case sono state incendiate oggi a Gracac (una pattuglia della
polizia croata è stata vista passare accanto alle case in fiamme). Nella
medesima località è stato trovato il cadavere di un soldato della
“Repubblica serba di Krajina” ucciso con un colpo alla testa.
27 agosto A Grubori sono stati trovati altri due cadaveri: un uomo di 41
anni e una donna di 51. I corpi si trovavano nei campi. Ambedue sono stati
uccisi con colpi alla nuca e alla tempia. Nel villaggio di Hamlet, presso
Golubici, sono stati rinvenuti i cadaveri di quattro persone anziane in abiti
civili; alcune case in fiamme.
28 agosto Nei pressi di Plaski è stata incendiata una casa solitaria.
Tre case sono state incendiate tra Ozanic e Primislje. Una casa brucia
nella valle di Palanka. Presso Dverske viste delle persone in abiti militari ed
altre in borghese mentre caricavano su camion mobili ed altri oggetti portati
via dalle case saccheggiate.
29 agosto Gli osservatori militari del settore nord dell’ex Krajina
informano:
a Muzdeke gli incendiari hanno distrutto il 60%
delle case, due stanno ancora bruciando; a Kamanica è stata incendiata
la prima casa; a Bozici le case distrutte dagli incendiari sono il 70% del
paese; a Radasnica sono stati trovati i cadaveri di due civili, uno dei quali
decapitato.
Le squadre operative per i diritti umani informano dal settore sud: a
Borovici sei soldati croati hanno appiccato il fuoco ad alcune case dopo
averle saccheggiate. La loro opera è stata interrotta dall’arrivo degli
osservatori internazionali, alla vista dei quali si sono sparpagliati
rapidamente, abbandonando il villaggio.
30 agosto A Donja Zrvnica (Culibrki) due case sono state date alle
fiamme. Dalla borgata di Rebicka, nei pressi di Udbina, si levano dense
colonne di fumo: almeno quattro case stanno bruciando. È stato appiccato il
fuoco anche a quattro case di Stikada, presso Gracac. A Gracac sta
spegnendosi il fuoco in una casa, in un’altra è stato appena appiccato. Al
bivio di Donji Lapac-Gracac notata una colonna di fumo levarsi dal bosco
in direzione di Donji Lapac.
Quindici case sono in fiamme nei quattro-cinque villaggi lungo la strada
che da Gracac porta a Obrovac. In quest’area sono stati visti più volte nel
corso della giornata uomini in tuta mimetica dell’esercito croato caricare su
camion oggetti di vario genere (lavatrici, frigoriferi, lavapiatti, eccetera),
frutto di saccheggio. Saccheggi anche a Vrelo, Korenica e Gornje Vrhovine,
dove si sono ripetute le scene di soldati croati impegnati a caricare su auto e
camion gli oggetti più svariati.
31 agosto Tutte le case allineate lungo la strada fra Plavca Draga e Slunj
sono state sistematicamente saccheggiate. Notato un gran numero di bovini
ed altro bestiame morti. A Licka Jesenica le fiamme hanno distrutto 50
edifici, il 90% delle case del villaggio. A Cerovljani è stata distrutta una
chiesa.
53agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
A Donji Mekinjar, frazione Tolic, notate numerose persone che caricano
su camion mobili ed elettrodomestici rubati nelle case saccheggiate.
A Svrackovo Selo notato un gruppo di croati armati, alcuni in divisa
della polizia croata, intenti a caricare bestiame su un camion.
Dall’incrocio della strada per Otric con la strada per Donji Lapac,
l’intera area sul lato sinistro è vietata agli osservatori militari e civili
dell’Onu a causa di operazioni di “rastrellamento” in atto da parte
dell’esercito croato.
Da quella zona si vedono levarsi dense colonne di fumo.
10 settembre Case in fiamme a Majdan, Zivkovic Kosa. Cetingrad e
Deanovici nel settore nord. Tredici case in fiamme a Benkovac, altre ancora
a Strmica, presso Knin, a Gracac, Trljuge, Gornji Pulac, Debelo Brdo,
Polac, Vrhovine, Udbina, Otric, nel settore sud. Da Otric si vedono colonne
di fumo levarsi nel vicino bosco sul lato destro della strada per Donji
Lapac.
A Donji Mekinjar continuano i saccheggi.
A Cetina la chiesa ortodossa è stata interamente divorata dalle fiamme.
A Svrackovo Selo soldati e poliziotti croati sono stati visti caricare su
un camion il bestiame razziato nel villaggio.
Nella città di Knin una squadra Hrat per i diritti civili ha visitato 10
prigionieri dell’esercito della “Krajina” rinchiusi in una scuola: sono
apparsi chiaramente stremati e traumatizzati e portavano evidenti segni di
percosse sul viso. A Ivosevici è stato trovato il cadavere di un civile fra i 75
e gli 80
anni di età, decapitato. La testa è stata trovata nel porcile.
2 settembre Soldati dell’esercito croato osservano l’incendio di una casa
a Gruboronici. Case in fiamme a Preder, Kostajnica e Milankovici, tutte
località del distretto di Glina. Nel distretto di Knin gli osservatori della
polizia civile e militare dell’Orni e la squadra Hrat hanno annotato: due
case in fiamme a Biskupija, due case in fiamme sulla strada Knin-Drnis. Un
enorme incendio nei dintorni di Knin è scoppiato verso le 21.00; la polizia
speciale croata ha impedito al personale dell’ Onu di esaminare il caso;
cinque case sono state trovate poi distrutte fino alle fondamenta.
Nel villaggio di Cvijanovici due soldati croati della IV brigata di
Spalato sono stati visti riposare poco distante da una casa in fiamme;
un’altra casa bruciava sulla vicina collina.
3 settembre Nella notte del 3 settembre sono state date alle fiamme 18
case a Donja Mlinoga. Nel corso della giornata sono state bruciate: tre case
a Ladesici, due a Carevo Selo, altrettante a Zralje, ancora due a Potcetni e
quattro a Skorici. A Strmica visti un soldato e due poliziotti croati accanto
ad una casa in fiamme; a Cvijanovici altre due case sono state date alle
fiamme, visti soldati croati nelle vicinanze … Gli osservatori dell’Orni
presentano il bilancio del trascorso mese di agosto: in 140 villaggi sono
state in parte o totalmente distrutte 9.964, ovvero il 69% delle abitazioni.
Nel bilancio non sono incluse le città.
4 settembre Undici case bruciate oggi a Mrsiki. A Zafari incendiate e
distrutte la metà delle case, tutte sono state saccheggiate. A Plaski trovati in
una ghiacciaia i corpi di due uomini, uno in abiti civili e l’altro in uniforme.
A Babic, a nord di Kistanje, una donna di 65 anni è stata trovata morta
nell’automobile, uccisa con due colpi alla testa. Era stata vista viva dagli
osservatori militari dell’Orni il 1° settembre; uno di essi l’aveva anche
aiutata a mettere in moto l’auto riparando un guasto.
A Mala Polaca soldati croati sorpresi a saccheggiare.
5 settembre Cinque case sono state date alle fiamme a Josavica.
A Frkasic, nei pressi di Korenica, ogni casa è stata saccheggiata, alcune
anche più di una volta. Tutto ciò che non è stato asportato è stato distrutto.
Alcune case sono state date alle fiamme.
Visto che le autorità croate tacciono, dovremo attendere qualche altro
rapporto dei “ficcanasi” stranieri.
Torniamo alla data di oggi, 12 settembre.
Nella parte croata di Mostar, il Tribunale Superiore della cosiddetta
“Repubblica croata di Erzeg-Bosnia”, posto di fronte all’atto di accusa
spiccato dal Tribunale Internazionale dell’Aja contro il colonnello
dell’esercito croato-bosniaco Ivica Rajic (vedi la parte di questo diario
relativa al 6
settembre), ha dato il via ad un procedimento a carico del medesimo
ufficiale per crimini commessi nel 1993 ed all’inizio del 1994. Però, mentre
i giudici dell’Aja chiamano Rajic a rispondere del massacro della
popolazione di un villaggio musulmano nei pressi di Kiseljak, i giudici di
Mostar ignorano quel 54agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
crimine ed accusano Rajic e due suoi luogotenenti di aver ordinato,
ovvero eseguito,
l’uccisione di cinque soldati e sottufficiali bosniaco-croati, sempre
nell’area di Kiseljak. Il processo di Mostar, però, è stato subito sospeso e
rinviato sine die per una serie di incidenti formali sollevati dagli avvocati
difensori.
Uscendo dal palazzo di giustizia, informa l’agenzia ufficiale croata
Hina, Rajic e camerati sono stati lungamente applauditi dalla folla come «i
più puri eroi croati». Inoltre, l’agenzia informa che nella vallata del Lasva
c’è stata una manifestazione di «reduci di guerra, patrioti croati» i quali
hanno chiesto la liberazione di Rajic e degli altri «eroi, grazie ai quali la
Bosnia centrale è rimasta croata»; ed è stata ripulita dai musulmani. I reduci
hanno sollevato cartelloni con lo slogan: “Rajic e camerati, siamo tutti con
voi!”.
Di ciò si compiace l’agenzia di stampa croata che, sempre oggi e ancora
da Mostar, comunica che le milizie dello staterello croato di Erzeg-Bosnia
hanno strappato ai serbo-bosniaci nuovi territori, dopo quelli di Grahovo,
Glamoc e Kupres, «infrangendo e disperdendo il nemico, liberando la
regione che va da Drvar a Sipovo fino al fiume Vrbas, insieme ai monti
Demiro-vac e Vitorog strategicamente importanti, al passo di Muniste ed
alla camionabile che porta a Banja Luka ed a Sanski Most». In realtà a
combattere in quella regione bosniaca sono alcune brigate dell’esercito di
Zagabria appoggiate dall’Hvo, l’esercito croato-bosniaco.
Si attende per domani la risposta della Corte Costituzionale della
Croazia al ricorso presentato dall’Unione Italiana dell’Istria contro la
Circolare Vokic che impone l’esclusione dalle scuole italiane degli alunni di
nazionalità croata, indipendentemente dalla volontà dei loro genitori. La
Regione Istriana ha manifestato pieno appoggio alle posizioni della
minoranza italiana.
DAI SERBI AGLI ITALIANI
V SETTEMBRE
Come al solito anche oggi il quotidiano Novi List ospita nelle sue
pagine rabbiosi testi di sostenitori del regime accanto ad alcuni di rari
intellettuali che non hanno smarrito lo spirito critico e il senso della
democrazia. Nella sua rubrica settimanale intitolata “L’oroscopo croato”,
Drazen Vukov Colie scrive:
«I territori liberati sono stati “puliti e ripuliti” radicalmente prima
ancora che il governo potesse avviare un qualsiasi programma di
ricostruzione; a malapena è rimasta qualche abitazione libera per coloro che
dovrebbero ridare vita a queste regioni neo-liberate. Persone munite di
lettere e strani certificati si sono portati via da alcune fabbriche tutti i
macchinari… A Benkovac è stato rubato il 70% dei beni mobili che vi
erano stati lasciati. In tutta questa storia divampa sempre più la lite fra le
autorità civili e militari, mentre perfino giornalisti noti per la loro
sudditanza ai circoli dominanti vengono minacciati di morte per aver
cominciato a descrivere il saccheggio compiuto da coloro che hanno tradito
i loro intoccabili ideali politici». «Pochi riescono a liberarsi dal pensiero,
viaggiando [per l’ex Krajina], di trovarsi in una terra maledetta che punisce
tutti i suoi abitanti con l’immancabile esilio, come se questo carso e questa
pietraia insanguinata debbano essere nuovamente liberati dopo la
liberazione».
«Sono contento che Sisak, Karlovac, Zara, Sebenico e molte altre città
croate, in futuro saranno al riparo dai brutali attacchi delle artiglierie serbe.
Sono contento che sia finito il martirio di Bihac. Ma sull’Operazione
Tempesta resta impresso il timbro dell’ideologia e del regime. L’ideologia è
intollerante, esclusiva, il regime poggia sulla struttura monopartitica.
Inoltre, questa operazione militare ha portato a compimento la tragedia
umana di un’antica regione croata e dei nostri concittadini di etnìa serba».
È la prima risposta, questa, ad una serie di domande sulla riconquista
della Krajina e sulla politica del regime di Tudjman, data dallo scrittore
croato Ivo Banac, nativo di Ragusa (Dubrovnik), professore presso
l’Università statunitense di Yale, attualmente in Croazia per una serie di
convegni. È vero, l’Operazione Tempesta ha troncato una situazione
innaturale, ha affermato l’autore di alcune opere di saggistica storica e
politica, ma era soltanto o prevalentemente questo l’obiettivo che si voleva
raggiungere con l’operazione?
L’integrazione della Krajina nel corpo statuale della Croazia
comprendeva territorio ed abitanti insieme, oppure soltanto il territorio?
Tudjman e soci, risponde Banac, volevano riprendersi il territorio e
cacciarne la popolazione, ed hanno raggiunto questo risultato. «Se avessero
voluto l’integrazione dei serbi che abitavano la Krajina, Tudjman e i suoi
non 55agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
avrebbero adottato il loro modello di pulizia etnica anche nei territori
della Croazia non occupati». Ricorrendo ad esodi forzosi, ad attentati,
licenziamenti e ad altri atti di discriminazione, anche là, dal 1991 in poi, la
“ramazza”
della pulizia etnica ha spazzato via centinaia di migliaia di serbi.
Ora si dice che con la “liberazione” della Krajina potranno tornare a
casa i 2/3
dei croati che furono costretti ad abbandonarla nel ‘91. Questo significa
forse che la Croazia non considera come figli suoi i profughi dell’agosto
1995?
«Certo, e Tudjman non lo nasconde». In un intervista al settimanale
Focus (8
settembre), il presidente della Croazia ha affermato che «in ogni caso il
ritorno dei serbi non sarebbe nell’interesse dei rapporti serbo-croati». Ancor
prima, nel “discorso del treno” sul quale attraversò trionfalmente i territori
riconquistati, Tudjman augurò ironicamente ai profughi serbi un felice
viaggio senza ritorno, spiegando: «Questa è la condizione della sicurezza
dello stato croato». La “felicità della separazione” è una tesi tudjmaniana
che qualche giorno dopo fu elaborata da un commentatore della radio di
stato. Spiegò che era un bene sia per i serbi che per i croati vivere separati:
«Anche i fratelli siamesi — disse — vengono chirurgicamente separati per
farli vivere felici».
Quello stesso “gigante del giornalismo” del regime interpretò la
filosofia di Tudjman dicendo che «anche una minima presenza di
popolazione serba nella Krajina sarebbe fonte di nuovi conflitti. Certi
popoli, semplicemente, non possono vivere insieme».
Il presidente del Parlamento croato Mihanovic, l’uomo che in ogni
discorso esalta l’ideologia, la storia e gli “eroi” del movimento nazifascista
ustascia, l’uomo che osanna ad ogni istante il “capo supremo” Tudjman, ha
pronunciato le seguenti parole commentando la fuga dei serbi dalla Krajina
in un discorso ufficiale: «Vadano pure a vivere là dove si sentono felici.
Perché renderli infelici facendoli tornare?».
Lo scrittore Ivo Banac ricorda a sua volta una dichiarazione fatta da
Tudjman il 18 agosto («La sorte dei profughi serbi dalla Krajina è ora un
loro problema personale e di chi li guida»), commentandola così: «Cercate
di immaginarvi che domani i 3/4 della popolazione di Fiume, scappando per
raggiungere l’Italia, attraversassero su barche l’Adriatico, mentre il capo
dello stato del quale essi sono cittadini dichiara flemmaticamente che
questo è un problema personale di quegli esuli e di chi li guida. Ma in che
mondo viviamo?».
In realtà l’attuale regime croato, con una pluriennale, martellante
propaganda di odio anti-serbo, resa più efficace dalla propaganda anti-
croata dei nazionalisti serbi di Belgrado e dai crimini compiuti dai leader
serbo-bosniaci, è riuscito: primo, ad incutere un vero terrore nella
popolazione serba della Krajina al punto da indurla a rifiutare qualsiasi
autorità croata; secondo, a distruggere nella maggioranza della popolazione
croata la coscienza che i serbi sono (erano) parte integrante della Croazia.
«I dirigenti dell’ex Krajina —
sostiene Banac — odiavano perfino l’iniziale “C” del nome Croazia,
mentre il nostro presidente del Parlamento definisce i serbi di Croazia con il
termine di
“fuggiaschi curdo-valacco-anatolo-zingaro-bulgaro-greco-serbi”! Siamo
di fronte al più grande ciclo di trasmigrazioni forzose di popoli che si siano
mai avute dopo il XVIII secolo. Personalmente ritengo che si tratti di un
crimine. Un popolo sradicato è causa di sciagura per sé e per gli altri. Le
città di Fiume e di Zara ancora oggi, decenni dopo l’esodo degli italiani,
portano l’impronta della pulizia etnica. La mia Dubrovnik è piena di nuovi
arrivati che avranno bisogno di lunghi anni prima che si rendano conto
dell’importanza del nuovo ambiente in cui sono capitati. Nei territori neo-
integrati della Croazia e in gran parte della Bosnia il processo di
adattamento delle nuove popolazioni sradicate — ammesso che si compirà
— durerà generazioni. Questo significa che per parecchi decenni non si
avranno né continuità né stabilità. Ma c’è ancora qualcosa. Con lo
sradicamento dei serbi dalla Krajina e dalla Croazia se n’è andata via una
parte della nostra storia e della nostra cultura».
La semina dell’odio e la guerra hanno prodotto in Croazia (ma non solo)
anche
«un terribile autismo generale, un’insensibilità alle tragedie umane,
soprattutto se riguardano il nemico, i serbi, come quelli che scappano dalle
loro case». Come spiegare questo fenomeno? «Con l’odio ed il sospetto,
con la paura e il desiderio di vendetta, con il troppo dolore e la troppa
ingiustizia accumulati. In Croazia c’è poi una leadership che considera
queste energie distruttive come dei fattori positivi e stimolanti ai fini della
politica nazionale. Voglio dire che la Croazia è dominata da uomini che
ancora oggi all’ordine, alla legalità, al funzionamento della democrazia, a
tutto ciò che forma una moderna società civile antepongono l’odio. L’unica
persona autorevole 56agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
che in questi giorni ha levato la sua voce contro il caos e l’odio è stato il
vescovo di Sebenico, monsignor Badurina. Troppo poco».
Ivo Banac ha concluso il suo sfogo ricordando che un solo giornale
governativo croato, il Vecernji List di Zagabria riportò (7 agosto) la
condanna pronunciata dal Papa contro l’operazione militare croata in
Krajina e contro tutti coloro che cercano la soluzione dei problemi sui
campi di battaglia invece di scegliere il tavolo delle trattative. Persino
l’organo principale della chiesa cattolica croata, il Glas Koncila (“la voce
del Concilio”), ha censurato il Papa e, invece di riportarne le parole, ha
pubblicato (3 settembre) un fondo di don Zivko Kustic nel quale, secondo
Banac, «si fa a gara con i fogli del regime nel seminare altro odio. Vi si
affermano le seguenti tesi: noi croati siamo circondati da nemici che dai
secoli dei secoli non ci sopportano; alcuni dei nostri nemici si tengono
nascosti, ma molti nostri amici si vergognano di dimostrare l’amicizia;
anche i cattolici possono essere nemici; se i nostri nemici sono peggiori di
noi, perché pretendete da noi di essere migliori di loro? Esistono
l’ecumenismo vero e quello falso, come esistono il vero e il falso pacifismo:
a decidere nella scelta siamo noi. Infine, il presidente Tudjman non mente, è
la Federazione Internazionale di Helsinki che presenta falsi rapporti sugli
eccidi».
Un altro contributo alla politica della ghettizzazione in Croazia è stato
dato dalla Corte Costituzionale, chiamata a valutare la legittimità o meno
della circolare del Ministro all’Istruzione che vieta l’iscrizione dei bambini
del popolo maggioritario alle scuole della minoranza (vedi il diario al 24 e
26
agosto, 10 settembre). Respingendo il ricorso presentato dall’Unione
Italiana dell’Istria e di Fiume e dal Consiglio comunale di Rovigno d’Istria,
la Corte, pur dichiarandosi “non competente” a valutare, ha di fatto
convalidato la circolare dalle così nefaste conseguenze. Secondo la Corte, la
Circolare non può essere considerata una norma giuridica, è soltanto
un’informazione: informare le istituzioni scolastiche e prescolari che esiste
una legge da applicare sulle iscrizioni agli asili ed alle scuole delle
minoranze. La Corte ribadisce la validità delle leggi vigenti, affermando che
l’esistenza di scuole specifiche per le minoranze va intesa come un modo
per tutelarle (?!). I giudici della Corte fanno intendere che, pur
appartenendo al sistema d’istruzione pubblico, le scuole delle minoranze
etniche sono destinate esclusivamente agli alunni delle minoranze, sicché la
Circolare Vokic non limita in alcun modo i loro diritti.
Per quanto riguarda, invece, la libertà dei genitori di scegliere per i loro
figli la scuola da frequentare, i giudici costituzionali sottolineano che questa
libertà non è illimitata; essi non possono decidere autonomamente e
indipendentemente dall’appartenenza nazionale. I cittadini di etnìa croata
(popolo maggioritario) non hanno il diritto di essere trattati quali
appartenenti a etnìe minoritarie.
Competente o no, la Corte non ha fatto mistero delle sue convinzioni
politiche.
Perché qui di politica si tratta. Non c’è da essere sorpresi. La Circolare
Vokic e la posizione assunta dalla Corte sono parte integrante — come
direbbe il presidente dell’Unione Italiana, Giuseppe Rota — di «un
minestrone che bolliva già da tempo». Già due anni fa il ministero croato
chiese dati precisi sulla nazionalità degli alunni iscritti alle scuole della
minoranza italiana. Il provvedimento della Vokic si ricollega a una precisa
ideologia di etnocentrismo che si è andata sviluppando in Croazia negli
ultimi cinque anni. È un contributo, si può aggiungere con Maurizio
Tremul, altro esponente del vertice della comunità italiana in Croazia, a
quella politica tendente a porre steccati sempre più netti ed alti che
delimitano il
“popolo costitutivo dello stato nazionale” croato dagli altri cittadini che
a quel popolo eletto non appartengono. La posizione assunta dalla Corte,
apparentemente neutrale, è una foglia di fico che riesce malamente a coprire
la vergogna di una realtà politica che allontana le etnìe e i popoli, che crea
nuove barriere e divisioni, dalle quali scaturisce un pesante clima di fobìe e
paure nel quale è più facile alla maggioranza di assimilare le minoranze, nel
caso concreto ad allontanare dalle scuole italiane gli stessi connazionali che
non hanno la stoffa degli eroi. La paura fa fare questo ed altro. La Croazia,
anche questa volta, ha colto l’occasione per affermare l’ostilità alla
democrazia, alla convivenza e alla tolleranza.
ALTRE ONDATE DI PROFUGHI
14 SETTEMBRE
Per i serbi di Bosnia la situazione militare si fa sempre più drammatica
di ora 57agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
in ora, stretti come sono fra l’incudine dei raid aerei della Nato e il
martello di una forte offensiva sferrata dalle forze croato-bosniache e
musulmane (in corso da martedì), nonostante le fiacche e formali proteste
degli alleati occidentali e gli inviti del Dipartimento di Stato americano ai
musulmani ed ai croati ad astenersi da ulteriori azioni militari per non
mettere in pericolo l’iniziativa di pace di Washington. Anche il Consiglio di
Sicurezza dell’Orni ha espresso la propria “preoccupazione” per l’offensiva.
Netta Bosnia occidentale, tuttavia, le forze croate continuano la loro
avanzata.
Oggi l’agenzia Hina di Zagabria ha annunciato: «Dalle ore 15.00 del 13
settembre, le città croate di Jajce e Drvar sono sotto il controllo delle
forze croate e in mano croata. L’operazione che ha portato alla loro
liberazione è durata 92 ore. Sono stati liberati circa 2.000 chilometri
quadrati di territorio». Gli alleati bosniaco-musulmani, dunque, sono
avvertiti: le città bosniache di Drvar e Jajce (in quest’ultima, nel novembre
del 1943, Tito e il suo parlamento partigiano proclamarono la nascita della
Jugoslavia federativa) sono croate, appartengono ai croati, la Croazia
estende il proprio territorio nella Bosnia occidentale…
Le truppe croato-bosniache (Hvo) e le truppe di Zagabria (Hv) hanno
conquistato anche Sipovo. Il nuovo territorio conquistato è il
prolungamento della regione di Glamoc-Kupres-Grahovo nella quale i
croati dilagarono tra luglio e agosto.
Ai serbi sono state strappate anche le cittadine di Donji Vakuf e Kulen
Vakuf, ambedue conquistate dalle truppe bosniaco-musulmane: ieri Donji
Vakuf, oggi Kulen Vakuf. Questa seconda località si trova nella regione
nord occidentale della Bosnia, a circa 40 chilometri da Bihac. Ora le forze
bosniaco-musulmane avanzano dalla “sacca di Bihac” in direzione
sudest,sperando di conquistare anche Kljuc e Bosanski Petrovac,
collegandosi quindi con le forze croate a Jajce.
Nel corso di questa offensiva, sino ad oggi il territorio controllato dalle
milizie di Karadzic e Mladic si è ridotto del 6-8%. Considerando che i serbi
hanno già accettato in linea di massima una spartizione del 51% contro il
49% a favore dell’entità croato-bosniaco-musulmana, e quindi si
dimostrano disposti a cedere al tavolo delle trattative una consistente fetta
dell’attuale 68% del territorio da essi controllato, non si capisce perché i
croati e i musulmani abbiano deciso di prenderselo con le armi.
Per ripulire i territori conquistati dalla popolazione serba? Sembra
proprio di si. Ma sin d’ora — mentre esultano e brindano insieme per le
vittorie militari —
croati e musulmani bosniaci stanno creando in loco i presupposti per
scontrarsi tra di loro in un prossimo futuro. Pomo della discordia: la
presenza e/o il predominio delle rispettive etnìe. Il comandante delle truppe
croate che hanno conquistato Jajce ha scritto in un proclama: «Oggi siamo
tornati con orgoglio e facciamo sapere a tutti che noi siamo qui, a Jajce».
Ha quindi invitato tutti i croati oriundi di Jajce, ovunque si trovino, a
tornare «per vivere nei loro secolari focolari». Ha aggiunto che da Jajce è
aperta la strada per Banja Luka… Nello stesso momento il comandante del
7° corpo d’armata bosniaco-musulmano Mehmed Alagic ha dichiarato che,
continuando le operazioni in direzione di Mrkonjic Grad, le sue forze hanno
per obiettivo finale Banja Luka:
«A Banja Luka passeremo in rivista le forze bosniache». Chi ci arriverà
per primo: i croati o i musulmani?
In questa offensiva, croati e musulmani hanno approfittato
dell’indebolimento delle forze serbe, duramente martellate da parecchi
giorni in tutto il territorio della Bosnia da esse controllato, dalle forze aeree
della Nato che hanno completamente distrutto i principali obiettivi militari,
dalle batterie di Banja Luka colpite dai missili Tomawak alle posizioni sul
monte Oz-ren e nell’area di Doboj. Complessivamente gli aerei Nato hanno
effettuato sinora 3.500 missioni di combattimento, mentre la Forza di
Rapido Intervento attorno a Sarajevo ha sparato più di 1.350 volte. Ora gli
aerei Nato possono «volare impuniti nei cieli di Bosnia».
Entrando a Drvar, Jajce, Sipovo, Donji Vakuf e Kulen Vakuf, le truppe
croate e musulmane hanno trovato queste città e cittadine completamente
vuote. Già nei giorni scorsi migliaia di civili serbi, in preda al panico per
l’avvicinarsi delle milizie croato-bosniache e delle “Tigri” di Zagabria,
memori di quanto avvenuto con le popolazioni civili della Krajina e nei
territori di Glamoc-Grahovo, avevano abbandonato case e campi dandosi
alla fuga. Anche la grossa borgata di Mrkonjic Grad, direttamente
minacciata, si è svuotata. Oltre 40.000 profughi in queste ore si sono
riversati, e continuano a riversarsi, nella zona di Banja Luka e nella stessa
città, che si è trasformata 58agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
in un enorme campo profughi. Si è di fronte a una tragedia di enormi
dimensioni.
Sulle strade della Bosnia centrale che portano a Banja Luka si nota da
giorni un fitto movimento di automobili, camion e trattori carichi di
fuggiaschi. E una scena che ricorda da vicino la fuga delle centinaia di
migliaia di profughi dalla Croazia durante la prima metà dello scorso
agosto. A Banja Luka si trovavano già oltre 50.000 profughi serbi fuggiti
dalla Croazia ed alcune migliaia di civili costretti an’esodo dalla Bosnia
occidentale. Dove mettere gli altri 40.000? Si temono epidemie: le case ed
altri edifici sono stracolmi di profughi, le condizioni igieniche sono gravi.
Si è preoccupati anche per l’energia elettrica: la città è rimasta senza la sua
idro centrale, che si trova ora nelle mani dei croati, a Jajce, sul fiume Vrbas.
Ascoltando alla radio questi nomi — Jajce, Glamoc, Banja Luka, Gornji
e Donji Vakuf, Mrkonjic Grad ed altri — ricordo i battaglioni “Matteotti” e
“Garibaldi”
(che confluiranno poi nella brigata “Italia”) duramente impegnati, dopo
l’ottobre del 1943, nei combattimenti contro cetnici, ustascia e tedeschi, a
fianco dei partigiani, proprio in queste regioni.
Al Parlamento croato siede il romanziere e Accademico di Croazia Ivan
Aralica.
Egli è stato nominato senatore dal presidente Tudjman. Aralica è anche
consigliere per la cultura del capo dello Stato. Per ordine del presidente
Tudjman, Aralica ha guidato recentemente l’orchestra del Teatro nazionale
croato in Australia e Nuova Zelanda dove vivono alcune decine di migliaia
di oriundi croati e nutrite “colonie” di fuoriusciti ustascia. A Melbourne,
egli è stato ospite a pranzo di un croato proprietario di ristorante, tale Ive
Pajic, più noto come “Ive Ustascia”. Nei corridoi del Parlamento, Aralica si
è sganasciato dalle risa ripetendo frasi del tipo “dagliele al serbo”,
“ammazza il serbo, scanna il serbo”, con le quali Ive Ustascia condiva i suoi
colti colloqui con il senatore scrittore. Quest’ultimo, fattosi serio, è poi
intervenuto in aula al dibattito sulla Legge costituzionale sui diritti delle
minoranze, della quale il regime ha proposto l’abolizione. Bisogna abolirla,
ha affermato Aralica, perché quando fu varata («per volere dell’Unione
Europea») i serbi superavano il 12%
della popolazione in Croazia e fu necessario promettere loro una certa
autonomia. Ora, visto che «secondo la nostra valutazione, non superano
nemmeno il 4%», la legge va sospesa. «Il problema serbo — ha aggiunto —
ora si è ridotto ad un problema di minoranza; il popolo croato non deve più
ripartire la sovranità con altri popoli».
Spiegando le ragioni che hanno indotto le popolazioni serbe ad
abbandonare la Croazia, Aralica ha chiarito che «i serbi si
contraddistingono per una particolare struttura psicosociologica».Essi, per
cominciare, hanno sostenuto da sempre il ruolo di difensori
dell’imperialismo serbo sul territorio croato e, poiché questo imperialismo
ora sta battendo in ritirata, anch’essi se ne vanno».
I serbi, poi, non sopportano la separazione della famiglia e, poiché quasi
ciascuna famiglia serba in Croazia e in Bosnia ha/aveva le proprie
diramazioni in Vojvodina e in Serbia, non potendo tollerare i nuovi confini
sorti che separano le varie ramificazioni della famiglia, vanno via per
ricongiungersi».
Infine, sempre secondo Aralica, le popolazioni serbe sono fuggite dalla
Croazia non per sfuggire alle persecuzioni, (chi scrive ricorda i muri di
Fiume tappezzati di manifesti nei quali si leggevano gli slogan: “5ª colonna
serba, va fuori dalla Croazia” e “Impicchiamo i serbi agli alberi”), non
perché terrorizzati da migliaia di attentati, non perché cacciati dalla Krajina
con le armi, ma perché «non riescono a sopportare di essere stati degradati
da popolo costituente che partecipa alla sovranità dello stato a minoranza
etnica».
Ma sia ben chiaro: le persecuzioni in Croazia non risparmiano i croati
che la pensano diversamente dagli uomini del regime imposto da Tudjman.
Una delle vittime più illustri di questa persecuzione è Stipe Mesic, l’uomo
che fondò con Tudjman il partito nazionalista Hdz, l’uomo che fu l’ultimo
presidente della presidenza collettiva della Repubblica Federativa
jugoslava, imposto da Tudjman per affossarla, l’uomo che è stato per lungo
tempo presidente del Parlamento croato, l’uomo che l’anno scorso — non
potendone più del totalitarismo di Tudjman — ha spaccato in due il partito
al potere formando un nuovo partito di orientamento democratico. Il regime
lo ha punito, dapprima cacciandolo dalla carica di presidente del
Parlamento, poi da tutte le posizioni che erano legate a quella carica. Oggi,
infine, è stato anche cacciato da casa. Sì, è stato sloggiato
dall’appartamento assegnatogli come funzionario del Parlamento, e che era
poi la sua unica abitazione. «Il caso Mesic — si legge in un comunicato
diffuso da un partito dell’opposizione, non quello della vittima — dimostra
ancora una volta che in Croazia lo stato di diritto non funziona. Qui è in
59agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
vigore la prassi di diffondere la paura per tutelare l’arbitrio dello stato,
ovvero dei singoli e dei gruppi che si arrogano il diritto di agire in nome
dello stato. Siamo di fronte ad uno fra le migliaia di sfratti illegali e di altri
abusi nel disporre del patrimonio edilizio».
Calato da alcuni giorni il sipario sui crimini commessi nei territori
riconquistati della Krajina da “singoli e gruppi di civili travestiti da militari
croati”, i mass media di Zagabria hanno aperto a sorpresa il capitolo
“Milleno-vecentonovantuno”. Per distogliere l’attenzione dell’opinione
pubblica da saccheggi, assassini, incendi ed altre brutture che avvengono in
questi giorni, o quantomeno per portare allo stesso livello i piatti della
bilancia, l’agenzia ufficiale Hina ha diffuso oggi due macabre notizie. La
prima dice che è cominciata l’operazione per la localizzazione, nel territorio
dell’ex Krajina, delle fosse comuni nelle quali dovrebbero essere stati
sepolti senza nome i croati uccisi dai serbi durante la rivolta del 1991.
Questa è coordinata da
“uno speciale staff governativo” diretto dal vice premier Kostovic che
ha dichiarato: «Si ritiene che nella sola Banovina ci siano più di 50 fosse
comuni». La seconda notizia riporta che nei pressi della città di Petrinja,
nella Banovina, è stata individuata ed esplorata una foiba profonda parecchi
metri, dalla quale sono stati estratti i resti di 17 uomini appartenenti alla
polizia croata ed alla guardia nazionale croata, le unità che — in vista della
creazione del primo esercito della Croazia — furono mandate nei territori
della rivolta serba con l’intento, allora fallito, di soffocarla. I 17 «furono
catturati, fucilati e massacrati in quel posto o nelle sue vicinanze, quindi
legati insieme con il fil di ferro e gettati nella foiba». L’eccidio fu compiuto
il 16 settembre del 1991 dai cetnici.
A due mesi dalla caduta dell’enclave di Srebrenica, nella Bosnia
orientale in mano ai serbi ci sono ancora 8.000 musulmani dati per dispersi,
scomparsi nel nulla.
UN ESODO GIGANTESCO
15 SETTEMBRE
Sulla vicina isola di Pago, a Novalja, circa 5.000 persone —
praticamente l’intera popolazione della cittadina — hanno partecipato ai
funerali del colonnello della polizia militare Ivan Sanka, 32 anni, uno degli
eroi dei servizi segreti croati nel corso della guerra. È morto a Zagabria
esattamente una settimana fa in circostanze sospette. Nativo dell’isola
quarnerina, era amico personale di Tudjman e apparteneva allo zoccolo
duro del partito al potere. Si era distinto durante la battaglia di Vukovar
(1991) e aveva compiuto negli anni successivi missioni segrete a Gospic,
nella Lika e a Belgrado. Si era persino spinto nella “tana del lupo”, a Knin,
dove aveva preparato il terreno per l’offensiva croata di agosto, dopo essere
stato paracadutato, da solo, nella zona di Plitvice con il compito di
coordinare via radio il successivo assalto.
Secondo l’agenzia statale di stampa croata, il colonnello sarebbe morto
in un incidente stradale all’ottavo chilometro dell’autostrada Zagabria-
Karlovac.
Viaggiava insieme ad una non meglio identificata Irena O., rimasta
ferita.
Stranamente nella nota d’agenzia non è stato fatto alcun accenno alla
notorietà dello scomparso, la cui fine è stata liquidata come quella di un
anonimo anche nell’edizione del Novi List di Fiume. Ma i successivi
necrologi pubblicati da amici, parenti e commilitoni consentono di
ricostruire la figura dell’uomo. Come mai il silenzio ufficiale? A Fiume e
dintorni si pongono questa ed altre domande. Nessuno ha visto il corpo,
giunto in una cassa chiusa su un furgone dalla capitale croata. Dov’è questa
Irena O. che non risulta ricoverata in nessun ospedale di Zagabria? Dove
sono finite le montagne di documenti che l’uomo delle missioni
riservatissime aveva accumulato negli ultimi cruciali giorni dell’Operazione
Tempesta? Ai funerali è corsa voce che il colonnello Sanka sapesse troppo e
che fosse diventato scomodo.
Leggo sul Il Piccolo di Trieste una cronaca di Mauro Manzin da
Zagabria:
«In cielo il rombo dei cacciabombardieri della Nato che sganciano i loro
missili anche sull’area di Doboj, un centinaio di chilometri ad est di Banja
Luka. In terra il cupo sferragliare dei carri armati croati e musulmani che
continuano nella loro avanzata contro i capisaldi nella resistenza serbo-
bosniaca. E questa la colonna sonora delle ultime infuocate ore nella Bosnia
centro-settentrionale
! ».
Nelle mani dei musulmani è caduta anche Bosanski Petrovac, nella
quale i reparti del 5° corpo d’armata bosniaco sono entrati a stanarli
all’alba. La località si trova 50 chilometri a sud di Bihac, a metà strada fra
quella città e Banja Luka, 60agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
e 10 chilometri dopo Kulen Vakuf, conquistata ieri. Oggi, continuando
l’avanzata, le truppe del generale Atif Dudakovic sono arrivate alle porte
della cittadina di Kljuc, 20 chilometri ad est di Petrovac.
Contemporaneamente le truppe del 7° corpo d’armata bosniaco, quelle che
hanno conquistato Donji Vakuf, hanno continuato ad avanzare in direzione
nordovest,anch’esse dirette a Kljuc.
Altre forze bosniaco-musulmane si sono invece congiunte con le truppe
croate nella Bosnia occidentale, esattamente a Ostrelj, località posta tra
Bosanski Petrovac e Drvar.
Questa operazione croato-musulmana, denominata “Maestral” (chissà
poi perché è stato scelto questo vento refrigerante dopo tante “tempeste”),
ha innescato un gigantesco esodo della popolazione serba che in questa
regione era maggioritaria. Sono 90.000 ormai i profughi che convergono
verso Banja Luka e Doboj. Già, si è rinnovato il “tragico rituale” delle
bibliche colonne di disperati, sempre i soliti vecchi, donne e bambini, che
sotto le piogge torrenziali imperversanti sulla zona e un asfissiante caldo
umido, a bordo dei soliti trattori, ma anche su carri trainati da cavalli e da
buoi, cercano di mettersi in salvo puntando verso territori amici dopo aver
abbandonato in fretta le proprie abitazioni di fronte alla minaccia dei
cannoni e dei mitra croati e musulmani. Da Banja Luka, una città che ormai
è stracolma di profughi, 40.000
sono stati trasferiti verso Sanski Most e Prijedor. I bollettini dell’agenzia
Hina di Zagabria usano sempre il termine “liberatori” e il verbo “liberare”,
ma nessuno degli abitanti resta per accogliere ed applaudire questi
liberatori. In nessuna località, mai. I “liberati” scappano in preda al panico,
con la morte nel cuore. E le autorità civili serbo-bosniache (della regione di
Banja Luka) non sanno più dove sistemare questo popolo di profughi che
lasciano alle loro spalle vaste aree spopolate della Bosnia centrale e
occidentale.
Ai profughi arrivati o in arrivo da Bosanski Petrovac, Jajce, Donji
Vakuf, Sipovo, Drvar, Kulen Vakuf, Kljuc, si sono aggiunti circa 30.000
disgraziati in fuga dall’area del monte Ozren, martellato dagli attacchi degli
aerei della Nato che si riversano nell’area di Doboj. Portare aiuti a questi
profughi è molto difficile, peraltro, a causa dell’interruzione di molte strade
e dalla distruzione dei ponti causati dai pesanti bombardamenti aerei.
Il comandante del 5° corpo d’armata bosniaco, generale Dudakovic,
considerato dai musulmani il più grande eroe di questa guerra, è stato
intervistato presso Vakuf da tre giornalisti di Fiume: Snjezana Pavic, Sanja
Despot e Nenad Rabersak del Novi List che oggi pubblica:
«Voi vi aspettate da me una risposta alla domanda su quando finirà la
guerra, ma non ve la posso dare. Per me trattative, accordi e piani di pace
dell’Unione Europea, della Nato e dell’Onu, non hanno alcun valore. Fino a
quando non ripristineremo l’autorità del governo bosniaco sull’intero
territorio della Bosnia Erzegovina non si potrà dire che la guerra sia finita.
Io e i miei soldati non cesseremo di combattere fino a quando la
BosniaErzegovina,da un millennio unitaria, continuerà ad essere divisa e
spezzettata, né accetteremo la suddivisione della Bosnia […] Presto
libereremo anche Krupa e Novi, Prijedor e Sanski Most. Non ci fermeremo
fino al fiume Drina!».
Dunque, piani di pace internazionali e piani di guerra croati e bosniaco-
musulmani si scontrano in Bosnia Erzegovina.Croati e musulmani
ritengono, sembra, che per ottenere i territori ad essi assegnati sulla carta il
modo migliore sia quello di occuparli con le armi e ripulirli dalle
popolazioni serbe che, se restassero a casa loro, creerebbero “questioni” di
pluri-etnicità che in terra balcanica danno troppo fastidio ai nazionalisti di
ogni colore.
Il segretario generale della Nato, Claes, finge di essere furente, visto che
i raid compiuti dagli aerei del Patto Atlantico hanno di fatto assicurato la
copertura aerea alla fanteria e ai blindati dei croati e dei musulmani. Certo è
che la facilità con cui si è sviluppata l’avanzata dell’esercito croato e di
quello bosniaco lascia perplessi. Gli osservatori ritengono che i serbi,
consci di non poter ottenere più del 49% del territorio bosniaco, percentuale
loro assegnata dal piano del Gruppo di Contatto e dagli Usa, si sarebbero
ritirati dalle località da essi considerate meno interessanti o, in prospettiva,
più difficilmente difendibili. E già oggi il “governo” di Karadzic-Mladic
minimizza gli effetti delle sconfitte, parlando di ritirate strategiche per
ridurre la lunghezza del fronte. A scapito dei territori della Bosnia
occidentale, i serbi puntano a mantenere il controllo della Bosnia orientale e
del corridoio per Banja Luka nella Posavina, un corridoio che nel 1993,
all’epoca della guerra fra croati e musulmani, Tudjman cedette ai serbo-
bosniaci facendo ritirare dalla Posavina le truppe bosniaco-croate. A loro
volta, con la conquista di Bosanski Petrovac, i bosniaco-musulmani hanno
raggiunto uno dei loro principali 61agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
obiettivi: unire territorialmente la regione di Bihac (la “sacca”) al
rimanente territorio bosniaco da essi controllato. In quest’ottica le
operazioni militari potrebbero considerarsi concluse e tutte e tre le parti in
conflitto potrebbero accettare prima un cessate il fuoco e poi il piano
occidentale, peraltro sancito dalle conquiste sul campo. Ma si fa anche
un’altra ipotesi: sulle ali del successo, croati e musulmani potrebbero non
accontentarsi più del 51% della Bosnia. In tal caso Banja Luka e la sua
regione saranno il prossimo obiettivo delle armate di Sarajevo e Belgrado.
E potrebbe verificarsi persino quello che prospetta il generale Dudakovic: i
musulmani, soprattutto se riceveranno altre armi dai paesi islamici,
potrebbero chiedere l’intera Bosnia Erzegovina…Ma dopo? Il dopo
potrebbe essere già cominciato: la spartizione territoriale fra croati e
musulmani. Una spartizione difficile che potrebbe portare ad una nuova
guerra fra gli attuali alleati. Non si possono infatti dimenticare le terribili
parole pronunciate dal deputato croato Drago Krpina, uno dei luogotenenti
di Franjo Tudjman alla testa del partito al potere in Croazia e nella
“Repubblica croata di Erzeg-Bosnia”, il quale ha recentemente affermato:
«I serbi sono solo momentaneamente il pericolo numero uno per i croati; il
vero pericolo a lungo termine sono i musulmani». E da pericolo a nemico il
passo è breve.
LA MINACCIA DEL MILITARISMO
16 SETTEMBRE
I rimproveri della Nato, degli Usa e dell’Onu ai governi di Zagabria e di
Sarajevo non fermano l’avanzata delle ringalluzzite truppe croate e
musulmane nella Bosnia nordoccidentale,dove hanno incontrato finora una
scarsa o nessuna resistenza da parte delle forze serbo-bosniache, il cui
comandante Ratko Mladic è ricoverato in ospedale a Belgrado. Nelle mani
degli alleati che formano la Federazione croato-musulmana è caduta anche
Sanski Most, un capoluogo comunale nella regione di Banja Luka, una
borgata sparsa su ambedue le sponde del fiume Sana, distante 60 chilometri
da Banja Luka, 28 da Prijedor e 70 da Bihac. Gran parte della popolazione
di Sanski Most, circa 20.000 persone, è fuggita.
L’offensiva croato-musulmana ha fatto così, nel giro di una settimana,
altri 100.000 profughi.
Le notizie che arrivano da Banja Luka, dove si è riversata la gran parte
di questi derelitti, parlano di una città sull’orlo del collasso, di vie e piazze
invase dal fiume dei rifugiati accampati in edifici pubblici ed all’aperto, con
scarso cibo e poche coperte, privi di medicinali e di materiale igienico-
sanitario. Intasate sono anche le vie di accesso alla città; il disastro
umanitario ha, insomma, raggiunto livelli insostenibili. «Situazione
catastrofica», l’ha definita Hans Nyberg, portavoce dell’Alto
Commissariato dell’Onu per i rifugiati a Sarajevo. I profughi si muovono
con i più svariati mezzi di trasporto, dai carri trainati da cavalli ai trattori,
da camion squinternati a vecchie e scassate automobili Fiat-Zastava. Con la
perdita dei territori occupati dalle truppe croato-musulmane nell’ultima
settimana, per lo più aspri e pietrosi, ai serbo-bosniaci è rimasto meno del
55% della Bosnia, e difficilmente cederanno altro terreno. Si sono ritirati,
dicono, da zone indifendibili per concentrarsi su quel 49% di territorio che è
stato comunque assegnato loro dal piano di “pax americana”.
In occasione del primo anniversario della prima visita di un papa in
Croazia,lo scrittore cattolico croato Drago Pilsel pubblica oggi sul Novi List
alcune sue amarissime riflessioni sui «ciechi cavalieri dell’Apocalisse»,
come egli chiama
«gli arroganti, boriosi, tronfi, vanagloriosi, ambiziosi, volgari e nocivi»
leader del regime di Zagabria «che in questi giorni stanno portando a
termine il processo di “serbizzazione” della politica croata e introducono il
primitivismo politico nei manuali di politologia che saranno scritti il giorno
in cui ci saremo resi conto di essere entrati nelle dimensioni tuttora ignote
di una società totalitaria».
E più avanti:
«Il militarismo di marca croata porta indubbiamente in sé una nota di
vendetta.
Ma ciò non dovrebbe servire da alibi nella valutazione dell’Operazione
Tempesta.
Questo militarismo incomberà su di noi come una permanente
minaccia».
Proseguendo, lo scrittore si sofferma sullo spirito di vendetta che viene
nutrito dal nazionalismo e dal terrorismo nel paese e, ricordando il
messaggio di pace lanciato da papa Giovanni Paolo II a Zagabria, nel
settembre 1994, rimprovera i vescovi croati perché «non hanno levato la
loro voce di condanna contro la complessa problematica creatasi in Croazia
dopo l’azione militare e 62agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
poliziesca “Tempesta”, di fronte alla violazione dei diritti umani nei
territori riconquistati, di fronte ad un quadro sempre meno democratico e
alle ingiustizie sociali in tutto il paese». «La fuga in massa delle
popolazioni serbe dalla Croazia, che per il partito al potere rappresenta la
“soluzione definitiva del problema serbo”; le troppo frequenti dichiarazioni
sciovinistiche, nazionalistiche e profondamente degradanti delle più alte
autorità croate; la continuazione dei massacri di civili, degli incendi e delle
distruzioni dei beni: tutto questo richiederebbe una più impegnativa
risposta» delle autorità ecclesiastiche. Queste, aggiunge Pilsel, «dovrebbero
evitare di fornire anche il più piccolo alibi al terrorismo di stato e
parastatale». «Nello spirito dei discorsi del Papa è necessario spezzare una
volta per sempre la spirale dell’odio, respingendo la logica della vendetta».
Dopo la visita del pontefice in Croazia, nel corso di un anno sono stati
pubblicati in questo paese monografie fotografiche su quell’avvenimento,
libri con i discorsi del papa, raccolte di saggi sulla fedeltà della nazione
croata alla chiesa di Roma, sono state coniate medaglie, emessi francobolli;
Tudjman ha partecipato a un centinaio di messe, eppure… I cattolicissimi
governanti di Zagabria — constata Pilsel — hanno respinto nella prassi tutti
i messaggi papali: invece di una cultura della pace, della tolleranza, della
solidarietà e del dialogo tra uomini e gruppi di varie identità e convinzioni,
si è continuato a predicare e seminare l’odio; nulla si è fatto per instaurare
la giustizia, né è stato contrastato il crimine; non esiste ancora uno stato di
diritto. Invece di costruire legami fra i popoli con fedi religiose e culture
diverse, è stata condotta una sistematica politica di divisione, di
discriminazione e addirittura di liquidazione fisica dei diversi; si è soffiato
sul fuoco del più spinto nazionalismo. «Fino a quando il capo dello Stato si
comporterà come si è comportato durante la sua cavalcata attraverso la
Krajina riconquistata, rispondendo con lo slogan del Vecchio Testamento
“occhio per occhio, dente per dente” a coloro che in tutto il mondo ci
rimproverano l’incendio delle case serbe nei territori liberati della Croazia,
non si può pretendere che il cittadino qualunque trovi in sé la forza di
rompere i legami con siffatta Croazia, con siffatto patriottismo croato in
questo stato». Agli occhi delle autorità croate «significano ben poco la
giustizia e lo stato di diritto, ed è difficile credere, fino a quando sarà così,
che la maggioranza delle persone cesserà di aver paura di fronte ad una
farsa di democrazia qual è quella attuale e quella che si rispecchia nelle
preannunciate elezioni».
‘CI MANCA SOLO LA FASCIA GIALLA”
17 SETTEMBRE
In Bosnia, croati e musulmani sembra che si siano fermati o quasi, dopo
essersi impadroniti di vaste regioni nelle quali l’etnìa musulmana o croata
era minoritaria o inesistente. Il 5° corpo d’armata di Izetbegovic è arrivato
alle porte di Bosanska Krupa.
Sarajevo può respirare, forse è finito l’assedio che durava da tre anni e
mezzo: i cannoni serbi sono stati ritirati dalle alture dominanti la capitale
della Bosnia Erzegovina.
Continua intanto la fuga in massa delle popolazioni civili dalla Bosnia
centrale verso nord. I civili fuggiti da Jajce, Kljuc, Drvar, Prijedor, Sanski
Most e da altre cittadine conquistate dalle truppe croate e musulmane (una
vasta regione che si è praticamente svuotata dei suoi abitanti), ingolfano le
strade che portano a Banja Luka. Questa città, nella quale si sono già
riversati 75.000
profughi, non ne può accogliere altri; le colonne vengono perciò
dirottate verso est. Giungono anche notizie di atrocità commesse dai
“liberatori”. 6.000 civili serbi rimasti intrappolati a Donji Vakuf starebbero
subendo le conseguenze dell’euforia della vittoria dei soldati musulmani
scatenati.
In Croazia 34 dei circa 1.000 civili serbi della Krajina, rifugiatisi il 4
agosto nella caserma dei Caschi Blu a Knin, sono stati consegnati alle
autorità militari croate che, accusandoli di crimini di guerra, atti di
terrorismo, genocidio e insurrezione armata, li hanno portati nelle carceri di
Zara, Spalato e Sebenico. Altri 700 civili, caricati su 25 autobus, sono stati
avviati verso la Serbia. La Krajina è stata così ripulita anche dagli ultimi
resti della popolazione autoctona non croata.
In proposito, durante una cerimonia per la consegna di alte onorificenze
a benemeriti patrioti, il presidente Tudjman ha dichiarato oggi nella sua
residenza di Zagabria che «è stato coronato il sogno per il quale sono
vissuti, hanno sofferto e sono morti i croati durante la loro lunga storia».
Alcune delle 63agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
onorificenze sono state assegnate ad individui che nella II guerra
mondiale
«pensarono di lottare per qualche altro ideale, ma sempre per la
Croazia»nelle fila degli ustascia.
A Dignano d’Istria si sono riuniti i rappresentanti di una trentina di
Comunità degli Italiani della Croazia. Si è discusso di una situazione che
vede ancora una volta la minoranza nazionale italiana in Croazia
«attanagliata da decreti e provvedimenti» che tendono a indebolirla,
soprattutto nel sistema scolastico che, sin d’ora ne risulta sconvolto. In
quattro ore sono venute a galla la rabbia, la delusione e l’amarezza
provocate dalla Circolare Vokic e da tutta una serie di provvedimenti
governativi che hanno instaurato un clima avverso agli italiani, le cui scuole
rischiano di sparire. Il presidente dell’Unione Italiana, Giuseppe Rota, ha
denunciato un ennesimo decreto ministeriale abbattutosi nelle ultime ore
sulla scuola come una mannaia: la lingua italiana, finora insegnata come
seconda lingua o “lingua d’ambiente” nelle scuole croate sui territori
bilingui dell’Istria, è stata retrocessa a lingua straniera. Ad Albona le
educatrici che nello scorso anno scolastico insegnavano all’asilo italiano
hanno dovuto rinunciare a ciò quest’anno in seguito a forti pressioni del
partito al potere. I docenti di madrelingua italiana nelle scuole della
maggioranza di varie città sono terrorizzati al punto da non arrischiarsi a
mettere piede nelle sale insegnanti durante le refezioni. A Buie l’edificio
che ospita la scuola italiana è inagibile, l’anno scolastico non ha potuto
cominciare — e sono trascorse due settimane dall’inizio — ma il Ministero
dell’Istruzione se ne frega. «Stiamo per essere chiusi in gabbia», ha
affermato Rota. I recenti provvedimenti contro gli italiani in Croazia, ha
aggiunto, sono la conseguenza di una sterzata autoritaria del governo di
Zagabria verso l’estrema destra perciò «la nostra non è soltanto una
battaglia per i nostri diritti, ma anche per l’affermazione dei diritti
dell’uomo in questo paese».
Arrabbiatissimo anche l’anziano docente Pietro Nutrizio di Abbazia:
«Tudjman ci sta ghettizzando, ci manca solo la fascia gialla di
riconoscimento al braccio.
Ad ogni modo restiamo fieri di essere italiani».
In realtà tutti i provvedimenti governativi abbattutisi sulla scuola
italiana in Croazia, a cominciare da quello che vieta l’iscrizione a questa
scuola agli alunni di qualsiasi altra etnìa che non sia quella italiana, violano
i diritti dell’uomo, danno un duro colpo alla convivenza (di cui gli istriani
di ogni etnìa vanno fieri), aprono la strada all’intolleranza, creano nuove
tensioni.
Rota parla di ghettizzazione e addirittura di pulizia etnica. Il governo di
Zagabria ha giustificato i provvedimenti come una diga contro la
“snazionalizzazione” dei croati nelle aree pluri-etniche. Le cifre dicono
che, nonostante la presenza di una certa percentuale di bambini non italiani
nelle scuole
italiane dell’Istria e del Quarnero, il numero totale degli iscritti a queste
scuole è proporzionale alla presenza dei connazionali sul territorio. Ciò
significa che una certa percentuale di bambini italiani frequenta le scuole
croate. Chi rischia allora di essere “snazionalizzato”? Una popolazione
scolastica di 4.000-5.000 alunni, qual è quella delle scuole italiane in Istria
e nel Quarnero, non può certamente minacciare la maggioranza.
Un fatto è innegabile: la situazione della comunità italiana in Croazia —
dalle scuole alle istituzioni culturali, dai mass media all’uso della lingua
negli uffici pubblici — è seriamente andata deteriorandosi dal 1990 in poi
ed ora sta pericolosamente precipitando. Questa etnìa (come altre comunità
nazionali minoritarie) è sottoposta ad una serie di manipolazioni di carattere
giuridico che lasciano pensare a un futuro incerto; esiste una forte sordità da
parte del vertice croato a recepire le esigenze di carattere finanziario della
minoranza; tutte le istituzioni italiane in Istria ed a Fiume sono ai limiti
dell’esistenza; i diritti acquisiti vengono ridicolizzati.
CONTINUA LA GRANDE FUGA
18 SETTEMBRE
La Bosnia, adesso, è divisa a metà. Le truppe croate e musulmane
controllano il 50% del territorio bosniaco. I serbi, che ne controllavano il
70%, ne hanno perso il 20% in poche settimane, quindi ora tengono solo
qualcosa di più della fetta che gli è stata assegnata. Karadzic e Mladic
possono così giustificare le sconfitte di fronte alla propria opinione pubblica
dicendo di avere abbandonato per motivi strategici i territori occidentali più
lontani dalla Serbia, decisi però a non fare altri passi indietro.
Sembra inserirsi molto bene nel complesso mosaico di questi eventi
l’odierno ammonimento di Washington al governo di Sarajevo di
«sospendere immediatamente»
64agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
l’offensiva a nord ovest contro i serbi, «a non cercare di risolvere sul
campo di battaglia quei problemi che possono trovare una soluzione al
tavolo dei negoziati», anche perché la divisione territoriale della regione si
è ormai avvicinata al rapporto di 51 a 49 che sta alla base del piano
americano.
Ulteriori perdite di territorio da parte dei serbi renderebbero difficile un
accordo e spingerebbero Belgrado ad intervenire militarmente in appoggio
ai serbo-bosniaci.
Il Parlamento della Bosnia Erzegovina,sia pure a denti stretti, oggi ha
accettato il piano statunitense che prospetta la divisione del paese in due
entità: una repubblica serba ed una federazione croato-musulmana collegate
tra di loro da sottili legami che salvino le apparenze di uno stato unitario.
Tuttavia Izetbegovic rifiuta di fermare l’offensiva, deciso a presentarsi
al negoziato come trionfatore assediante di Banja Luka, la roccaforte
nemica, senza doverla conquistare. Anche a Zagabria le vittorie hanno dato
alla testa. Il vice premier Bosiljko Miseri — chiamato “la bocca di
Tudjman” — ha dichiarato davanti alle telecamere che l’obiettivo della
Croazia è la “liberazione” di tutta la Bosnia nordoccidentale,compresa
Banja Luka.
«È assolutamente nell’interesse della Croazia che la regione di Banja
Luka diventi parte della Federazione [croato-musulmana]. L’interesse
primario della Croazia in questo momento è quello di confinare con il
territorio della federazione». E questo, infatti, il vero motivo per il quale le
truppe di Zagabria partecipano all’offensiva.
Nelle ultime ore, tuttavia, le forze croate non hanno fatto passi in avanti,
mentre il 5° ed il 2° corpo d’armata musulmani, avanzando il primo da
ovest ed il secondo da est, hanno stretto un cerchio intorno alle cittadine di
Prijedor e di Bosanski Novi (5° corpo) e puntando verso la città di Doboj
(2° corpo).
Comunque nessun altro centro abitato di qualche rilievo è stato
conquistato; e questo rallentamento dell’offensiva coincide con
l’interruzione dei raid aerei della Nato sulle posizioni serbe.
Si aggrava invece la tragedia dei profughi. I mass media croati la
ignorano, o al massimo rilevano che «la sciagura colpisce ora quelli che
fino a ieri erano gli aguzzini». Parole impietose per gente innocente che è
stata ed è vittima della guerra. A loro volta le autorità serbo-bosniache,
impreparate o impossibilitate a fronteggiare l’emergenza, hanno chiuso le
porte di Banja Luka (che già è stracolma per i troppi rifugiati) e circa
20.000 persone, avendo trovato sbarrato l’accesso alla città, vagano ora
senza meta nell’estrema periferia di questa. All’interno della maggiore città
bosniaca controllata dai serbi, insieme alla popolazione residente che supera
le 200.000 persone, sono ammassati 80.000 profughi che «cercano di
sfuggire al loro destino tra bivacchi e falò improvvisati lungo le vie della
città assediata. Malati, vecchi e bambini, si appisolano fradici e sporchi sui
marciapiedi». Questa è la descrizione di un cronista che arriva da lontano.
«Fuori dal perimetro urbano altri disperati si aggirano senza meta, senza
cibo, senza più un destino».
Le medesime autorità, che hanno vietato l’ingresso a Banja Luka a
nuove ondate di fuggiaschi, cercano di indirizzarli verso altre regioni. Sulla
strada si è formata una colonna, lunga 70 chilometri, di piccoli trattori e
carri agricoli con sopra decine di migliaia di persone aggrappate alle poche
masserizie gettate alla rinfusa insieme al fieno per i cavalli ed a scarsi
viveri. La colonna si allunga sulla strada che collega Banja Luka a Derventa
e conduce verso est, in Serbia.
Le autorità cercano anche di sistemare una parte dei profughi a
Bosanski Brod, mentre alcuni gruppi sono stati dirottati addirittura verso
Prijedor e Sanski Most, la prima minacciata da presso dalle forze croato-
musulmane e la seconda già caduta nelle loro mani. Si spera nella pietà dei
vincitori.
Un’altra “strada dell’esodo” delle popolazioni serbo-bosniache è quella
che, scendendo dalle alture dell’Ozren ormai quasi completamente
accerchiate dall’armata musulmana, si snoda verso Doboj, anch’essa città a
rischio; la sua periferia è alla portata delle artiglierie delle truppe dei tre
gigli. A Doboj si sono riversati finora 14.000 profughi. I convogli umanitari
faticano a passare per le strade intasate. Varie testimonianze confermano
che l’ira della popolazione serba, soprattutto dei profughi, si rivolge in
questi giorni contro i capi politici che li hanno spinti in questa disperata
avventura.
Sul fronte opposto, le forze che hanno assunto il potere nei territori
strappati ai serbo-bosniaci non si pongono il problema dei profughi ma,
assecondando la volontà di Sarajevo e Zagabria, pensano unicamente a
consolidare le rispettive posizioni militari e politiche. I croati ed i
musulmani di Bosnia sono alleati 65agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
che sospettano l’uno dell’altro ed hanno politiche diverse.
Il Parlamento bosniaco ha dichiarato oggi, per fare subito un esempio,
che il censimento del 1991 rimarrà il fondamento sul quale dovrà
imperniarsi la struttura amministrativa in tutte le regioni del paese. La
Croazia, invece, parte dalla situazione venutasi a creare in seguito alle
pulizie etniche (come fa in casa propria: spazzata tutta la popolazione serba
dalla Krajina, si accinge ad attuare un censimento anticipato nell’aprile del
prossimo anno).
Tudjman ha dato asilo a Fikret Abdic, dichiarando che quello sconfitto
servitore di due padroni potrà liberamente fare l’uomo d’affari e in futuro,
volendo, anche l’uomo politico. Il Parlamento di Sarajevo (sempre oggi) ha
incaricato la Presidenza della Repubblica di chiedere alla Croazia
l’estradizione di Abdic accusato di crimini di guerra. Le divergenze non
finiscono qui.
L’alleanza croato-musulmana, già spezzatasi una volta, rischia
nuovamente la rottura ora che è stata imposta dalle circostanze (e dalla
comunità internazionale), per cui ciascuno dei partner conta soltanto sulla
propria forza, sapendo che è il più forte ad avere maggiore spazio di
manovra durante le trattative. Se i musulmani fossero andati a trattare con il
15% dei territori bosniaci (quanto ne controllavano fino allo scorso luglio)
sarebbero diventati
“il Bantustan della Croazia”, come direbbe il giornalista italiano Guido
Rampoldi. Ora invece sono già arrivati al 25%, pareggiando la quota dei
croati.
Stando all’agenzia di stampa di Zagabria, all’esercito regolare croato
andrebbe il 75% del merito delle vittorie conseguite negli ultimi due mesi, il
15% ai 20.000 uomini dell’esercito croato-bosniaco (Hvó) e soltanto «un
risicato 10% ai musulmani». Già questa valutazione è una sfida, la miccia
di una polemica che porterà quasi certamente a scontri più aspri nel
prossimo futuro. I croati hanno fatto capire che vogliono la fetta maggiore.
Alle suddette percentuali di merito dovrebbe corrispondere la suddivisione
del territorio da amministrare. I musulmani non nascondono il disappunto.
Gli uomini di Izetbegovic non digeriscono frasi come “Jajce e Drvar, città
croaticissime”, ricordando che la caduta di Jajce in mano serba nel 1992 fu
favorita dalle prime aggressioni dei croati contro i musulmani in Bosnia,
che sfociarono nella sanguinosa guerra fra di loro protrattasi per quasi tutto
il 1993. Che succederà ora con questa specie di marca militare di confine
che i croati hanno creato in Bosnia? La federazione croato-musulmana
bosniaca riuscirà a reggere al nuovo rebus della spartizione dei territori
conquistati? La Croazia insisterà ancora sull’aggregazione della
Federazione bosniaca alla Croazia sotto forma di Confederazione?
Al Parlamento di Zagabria, riunito da due giorni per varare 12 leggi, il
ministro degli Esteri Granic ha detto che «le posizioni croate — sia quelle
negoziabili che quelle sul piano militare — sono ora molto forti» (fragorosi
applausi). Ha glissato però sulla domanda di un deputato relativa a “frizioni
e scaramucce” avvenute tra le truppe croate e l’esercito musulmano nella
cittadina di Bosanski Petrovac appena liberata.
Il governo croato, Ministero della Pubblica Amministrazione, ha
bocciato lo stemma ed il gonfalone dell’Istria: la forma dello scudo non
sarebbe in armonia con le tradizioni araldiche; la corona e le mammelle
della capra istriane non piacciono; le sue corna sono troppo corte; non va
bene nemmeno la triplice zolla (simbolo delle tre etnìe autoctone della
penisola) sulla quale s’impenna la capra. Se si vuole che la zolla rimanga,
ammonisce il Ministero, allora la cima di mezzo deve essere più alta,
poiché simboleggia l’etnìa croata (pre)dominante!
MENZOGNE E MANGANELLO
19 SETTEMBRE
Vertice a Zagabria. I presidenti della Croazia e della Bosnia
Erzegovina,Tudjman e Izetbegovic, presente l’inviato di Clinton,
Holbrooke, hanno raggiunto l’intesa sulla «necessità di procedere senza
rinvii all’integrazione delle funzioni» della federazione a due in Bosnia
Erzegovina.E il primo passo verso la liquidazione della cosiddetta
“Repubblica Croata di Erzeg-Bosnia”? Non è detto che ciò avverrà. Per
quanto riguarda i territori conquistati dalle truppe croate e musulmane
durante le ultime settimane, nel corso dell’offensiva congiunta contro i
serbi, la discordia è totale quindi «si è concordato di rinviare alla fine del
conflitto la soluzione» che va trovata «con il dialogo politico» e comunque
non potrà essere pregiudicata dalla «identità delle forze liberatrici».
L’Onu continua a “deplorare” l’escalation militare croato-musulmana in
Bosnia.
Il Consiglio di Sicurezza ammonisce Zagabria e Sarajevo di non
sfruttare a proprio vantaggio la situazione, chiede un immediato cessate il
fuoco, esprime profonda «preoccupazione per le difficoltà della
popolazione civile». Le solite 66agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
parole sterili? Incontrandosi a Zagabria col ministro degli Esteri
britannico Malcolm Rifkind, l’omologo croato Mate Granic ha dichiarato
che «le forze croate hanno fermato l’ulteriore avanzata verso Banja Luka».
Rifkind è stato ricevuto anche dal presidente Tudjman, il quale gli ha
giurato che «le forze croate hanno cessato le operazioni belliche nella
Bosnia occidentale già da due giorni».
Rifkind ne ha preso atto, rilevando che «va evitata un’altra catastrofe
umanitaria, che potrebbe portare a 250.000 il numero dei profughi»
provocati finora dall’offensiva croato-musulmana.
Nel momento stesso in cui i mezzi elettronici di informazione in
Croazia trasmettono le assicurazioni date da Tudjman e Granic, il portavoce
dell’Onu a Zagabria Gunnes informa che ieri consistenti forze dell’esercito
croato hanno varcato i fiumi Una e Sava fra Dvor, Bosanska Kostajnica e
Bosanska Dubica, dilagando oltre il confine. Queste forze, ha detto Gunnes,
«potrebbero avere il compito di creare una zona cuscinetto lungo il confine
della Croazia, in territorio bosniaco, come già è stato fatto nella regione
occidentale della Bosnia». In questa operazione, le artiglierie croate hanno
martellato le città di Bosanski Novi, Bosanska Dubica, Knezica e Svodna,
mentre aerei con la scacchiera hanno bombardato le postazioni serbe a
Bosanski Novi e Sanski Most.
Stavolta però c’è stata una decisa reazione delle forze serbe che,
riorganizzatesi nelle ultime ore, sono riuscite a bloccare l’ulteriore avanzata
delle forze avversarie sia sul fronte di Banja Luka che su quello dell’Ozren
dove un nuovo attacco delle forze di Izetbegovic è stato respinto.
Il portavoce dell’Orni a Zagabria ha precisato che le forze croato-
bosniache, bosniaco-musulmane e l’esercito regolare croato, controllano
attualmente il 48%
del territorio della Bosnia Erzegovina.La linea del fronte si è più o meno
stabilizzata e corre da Dvor sul fiume Una, al confine fra Croazia e Bosnia,
a Sanski Most, Mrkonjic Grad e Jajce, per risalire lungo il fiume Vrbas fino
a Donji Vakuf.
Particolarmente attive sono le forze musulmane, ma anch’esse —
nonostante i toni trionfalistici dei bollettini — da qualche giorno fanno
pochi passi in avanti.
Da giorni si ripete che la cittadina di «Sanski Most è accerchiata e sta
per essere liberata» dalle forze del 5° corpo d’armata il cui obiettivo, dopo
la conquista di Bosanski Petrovac, Kljuc e Bosanska Krupa, è
l’occupazione di Prijedor a 25 Km da Banja Luka. Lo ha dichiarato il
comandante dell’unità, Atif Dudakovic, che non ha saputo però spiegare la
ragione per cui, dopo aver annunciato qualche giorno addietro l’imminente
caduta di Mrkonjic Grad, conquistata successivamente dalle truppe croato-
bosniache (Hvo), questa è stata restituita nel febbraio-marzo 1996 all’entità
serba di Bosnia (Repubblika Srpska) in attuazione delle correzioni della
linea di demarcazione stabilite dagli Accordi di Dayton. Prima di ritirarsi
dalla città, i croati l’hanno in gran parte distrutta. Inoltre, sono stati accertati
orrendi massacri compiuti dalle forze croate: nel cimitero ortodosso della
cittadina è venuta alla luce una grande fossa comune dalla quale, tra la fine
di marzo o l’inizio di aprile
‘96, sono stati recuperati, alla presenza di delegati del Tribunale
dell’Aja, i corpi di 181 civili e soldati serbi uccisi durante l’offensiva
croato-bosniaca dell’inizio di autunno 1995. Gran parte delle vittime
avevano il cranio fracassato. Al momento di dare alle stampe questo libro,
accertamenti e ricerche di altre fosse comuni sono in corso in 26 località
circostanti. Tra le località in cui sono stati accertati massacri compiuti da
croato-bosniaci e musulmani vi sono Celebic, Tarcin, Capljina e Lora, tutti
ex campi di prigionia. «Sul campo di Celebic, nella zona di
Kupres, Bosnia centrale, sventolava la bandiera nera con la “U” degli
ustascia», ha testimoniato Relja Mrkajic, medico, ex internato serbo.
«Fummo costretti ad entrare nel campo attraverso due file di soldati croati
che ci bastonarono fino a spezzarci le ossa». Per mesi questo medico si
prodigò per curare le ustioni provocate sui corpi dei suoi sventurati
compagni dalle scariche elettriche e dai ferri roventi usati dagli aguzzini. Ci
furono pure «innominabili violenze sulle donne» nel vicino campo di
Musala, un vecchio centro sportivo «trasformato in una palestra degli
orrori». I prigionieri erano «costretti a cantare gli inni croati mentre
venivano frustati a sangue». Per chi si rifiutava c’era la tortura. Chi entrava
in un campo croato o musulmano sapeva di dover pagare per i delitti e le
atrocità commesse altrove dai serbi bosniaci. Dudakovic non ha ancora
conquistato Mrkonjic Grad, né è riuscito a stabilire le comunicazioni sulla
camionabile fra Jajce e Kljuc, le città da tempo conquistate dalle forze
croato-bosniache e musulmane. Secondo Dudakovic, le sue forze hanno
finora infranto tre brigate serbe, uccidendo da 900 a 1.300 soldati nemici.
Infine, «è 67agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
stata insediata l’amministrazione civile nei centri abitati dai quali è
fuggita l’intera popolazione serba».
Un altro comunicato è stato diramato dal comando del 2° corpo
d’armata bosniaco-musulmano che, «dopo duri combattimenti, oggi ha
liberato altri 50
chilometri quadrati di territorio sulla montagna Ozren». Le forze
musulmane sono arrivate alle porte di Bosansko Petrovo Selo, “capitale”
dell’enclave serba dell’Ozren. Tra i villaggi montani raggiunti dalle forze
bosniaco-musulmane c’è anche Vrbak, dove è stato preso il cannone dal
quale sarebbe stato sparato il micidiale proiettile che il 25 maggio scorso
fece una strage a Tuzla uccidendo 12 persone, in gran parte giovani, e
ferendone altri 150.
Operazioni militari sono segnalate improvvisamente anche nell’area di
Mostar, dove da molti mesi non si sparava. Musulmani di Bosnia e croati
hanno attaccato a sorpresa le posizioni serbe, ma sono stati respinti. In
questo settore dell’Erzegovina le truppe musulmane sono concentrate lungo
la linea Mostar-Nevesinje, Nevesinje-Konjic e Konjic-Kalinovik, mentre i
croati sono impegnati lungo la direttrice Capljina-Stolac. Tra musulmani e
croati, però, non corre buon sangue. I croati non hanno mai celato, a Mostar
e neu’Erzegovina in genere, il loro odio viscerale verso i “turchi” o “bali”
come essi chiamano spregiativamente i bosniaci musulmani; e, ovunque
hanno messo piede, hanno issato le bandiere di Zagabria sulle chiese e sui
municipi. La città di Jajce, occupata dai croati, ma simbolo della statalità
bosniaca,si è trasformata in un pomo della discordia. Alcuni osservatori
ritengono che «se croati e bosniaci conquistassero Banja Luka, l’equilibrio
previsto dal piano di pace sottoscritto a Ginevra andrebbe in mille pezzi».
Poco da dire oggi sui profughi. Sempre la stessa miseria. Secondo le
fonti dell’Onu, quelli intrappolati nell’area settentrionale della Bosnia sono
87.000: 7.000 affluiti nell’area di Doboj e la maggior parte a Banja Luka e
nella sua provincia. Le autorità serbo-bosniache hanno creato 26 centri di
raccolta fra i quali quelli di Derventa, Bosanski Brod, Sanski Most e
Prijedor; queste ultime cittadine sono minacciate da vicino dalle forze
dell’esercito di Sarajevo. A Banja Luka sono intrappolati anche 15.000
croati che avevano chiesto e ottenuto di espatriare in Croazia (seguendo la
strada di altri 20.000 e più che vengono ora inviati dalle autorità di Zagabria
a colonizzare l’ex Krajina) e sono gli unici ai quali le autorità serbe hanno
concesso il permesso di allontanarsi dalla città a loro rischio e pericolo.
Molti di essi, cacciati dalle loro case, dormono ora all’aperto senza alcuna
assistenza. I profughi serbi arrivati in città nei giorni scorsi sono stati invece
sistemati in tre enormi “campi” ed in vari edifici scolastici. Sono già
migliaia gli ammalati, soprattutto persone anziane, spossati dalla
stanchezza, dal freddo e dalla fame.
A Banja Luka si trovano anche 35.000 musulmani, ai quali è vietato
qualsiasi movimento.
Massacrato di botte, un cittadino croato di etnìa musulmana è morto
nella sede della questura di Slavonski Brod: Sefik Mujkic, 46 anni. È morto
il 15
settembre, ma la notizia è stata data alla famiglia appena ieri. L’uomo,
ammanettato e legato ad una sedia perché ritenuto violento, — sostiene il
comunicato della polizia — durante l’interrogatorio «ha aggredito i pubblici
ufficiali» sicché questi, «per respingere l’aggressione, hanno reagito col
manganello». E, a forza di manganellate e di altre torture protrattesi dalle
ore 13.00 alle 20.00, l’uomo «è svenuto scivolando dalla sedia a terra senza
più riprendere conoscenza». Chiamati sul posto, «i sanitari hanno constatato
la morte» del Mujkic, che era indiziato di «attività spionistica per conto dei
serbo-bosniaci, contro la sicurezza della Croazia». Tutti i giornali hanno
pubblicato il comunicato della polizia, uno solo (il solito Novi List di
Fiume) ha reso noto anche un comunicato degli avvocati dell’uomo ucciso.
In esso si dice che in ogni parte del corpo del Mujkic erano visibili
gravissime lesioni: su ambedue le spalle, sul petto, sulle braccia, perfino
sulle piante dei piedi.
In più punti la carne era bruciata: i poliziotti spegnevano le loro
sigarette sulla pelle del disgraziato.
Il Parco nazionale dei Laghi di Plitvice è stato riaperto ai turisti. Gestito
per quattro anni dal governo della cosiddetta “repubblica serba” della
Krajina, era rimasto accessibile solo ai Caschi Blu dell’Orni. Entrando nella
zona all’inizio di agosto, le truppe croate hanno trovato tutto intatto:
alberghi, strade, i trenini, gli altri impianti turistici, le cascate, i laghi.
«Persino l’orso imbalsamato che si erge all’ingresso dell’albergo “Jezero”
non ha subito un graffio, ed è forse il simbolo più emblematico del miracolo
Plitvice, di questo gioiello che molti temevano fosse irrimediabilmente
compromesso 68agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
e che invece è riuscito a scampare alla furia distruttrice». Così scrive un
inviato dell’unico quotidiano italiano in Croazia, La Voce del Popolo, dopo
che per quattro anni i mass media croati hanno scritto di distruzioni,
devastazioni, saccheggi, compiuti dai serbi in quella regione. I primi
giornalisti tornati a Plitvice sono stati accompagnati da una fitta schiera di
funzionari governativi, di ufficiali della polizia e dell’esercito. L’inviato de
La Voce ha scritto ciò che quei funzionari e quegli uomini in divisa gli
hanno raccontato, ma non hanno potuto bendargli gli occhi. Da dove è
venuta fuori la “furia distruttrice”?
«Pochi si aspettavano di trovare tutto come prima. Il miracolo del Parco
nazionale, deserto ma intatto, si riallaccia alla singolarità della regione che
lo circonda, una singolarità che preoccupa le guide turistiche che fra
qualche mese dovranno organizzare le gite organizzate ai laghi. Come
faremo a spiegare, ad esempio ai turisti tedeschi, che dagli autobus
osserveranno mentre si recheranno al Parco di Plitvice, le rovine, le
macerie, i resti delle case, che tutto ciò è stato provocato dalla mano umana,
da un odio cieco e devastante? Una dietro l’altra si susseguono le tipiche
case, ma senza i tetti, senza le finestre; case di cui sono rimasti solo i muri
portanti, anch’essi spesso anneriti». La guerra ha seminato queste
distruzioni, ma molte case sono state deliberatamente distrutte dopo le
operazioni militari, sventrate dopo la fuga dei serbi. Perché? «È stato
necessario farlo perché gli abitanti dormivano sull’esplosivo, sulle granate,
erano dei veri e propri arsenali», spiegano le guide al giornalista.
Spiegazione sibillina che il giornalista non chiarisce.
Ammesso pure che in quelle case serbe furono trovate munizioni, era
necessario distruggerle? Per punire chi? Non mancano poi le novità portate
dai liberatori: il cambiamento forzato dei toponimi. Così la località di
Srpsko Polje (“Piana dei serbi”), è diventata Hrvatsko Polje (“Piana dei
croati”). Lo mostra la targa nuova di zecca. Si falsifica la storia come si fece
in Istria dal 1953 in poi, e ancor più si è fatto dopo il 1990.
Scrive l’inviato: «Insieme a quello impagliato, anche un altro orso, in
carne ed ossa, è sfuggito alla guerra e si aggira nella zona sano e salvo».
Ricordo di aver letto sul Vjesnik di 7,o%îi!dÛ3l, qualche anno fa, che «i
ribelli serbi hanno massacrato perfino gli orsi della zona dei laghi». Ora
leggo su La Voce del Popolo che la popolazione serba fuggita ha lasciato
decine di migliaia di cavalli, bovini, suini ed altro bestiame. Ma adesso di
quel bestiame «è rimasto poco. La maggior parte è stata radunata in centri
di raccolta, oppure — è il commento ironico dei ciceroni — è finita allo
spiedo. Per quanto riguarda il bottino di guerra, si dice che in una cantina i
soldati croati abbiano rinvenuto addirittura 700 litri di liquore di prugne, la
nota sljivovica. Dov’è finita?
Beh, ovviamente in quel giorno la truppa ha brindato… ». Non si dice
che cosa abbiano
fatto poi i soldati ubriachi. Nelle villette di Plitvice «alle finestre ci sono
ancora le tendine, sui davanzali i vasi di fiori, sui balconi qualche sedia a
sdraio. Ma non c’è anima viva». L’Operazione Tempesta dell’esercito
croato ha avuto l’effetto della bomba al neutrone, quella che distrugge gli
uomini e salva le cose. Ad eccezione di Plitvice-borgo, però, in tutta la
Krajina neanche le cose si sono salvate. Le distruzioni compiute dopo
l’operazione sono immani, e si sommano alla tragedia della scomparsa
dell’uomo.
I
UNO STATO DI CRIMINALI
20 SETTEMBRE
In Bosnia i serbi hanno ritirato più armi pesanti delle 350 che l’Onu
aveva previsto dalla zona di esclusione di 20 chilometri attorno a Sarajevo.
Lo hanno verificato tre generali-comandanti dei Caschi Blu che, invece,
duramente hanno condannato i bosniaco-musulmani per aver sparato due
colpi di mortaio su un quartiere periferico serbo di Sarajevo.
L’offensiva congiunta dei musulmani e dei croati bosniaci segna il
passo. Per dirla con l’agenzia di stampa croata Hina, «gradualmente la
situazione militare si sta stabilizzando». Nessuna avanzata nell’area di
Banja Luka, né in direzione di Bosanski Petrovac, né verso Doboj. Saziati
gli appetiti? Effetto dei duri ammonimenti dell’Onu e dei paesi della Nato?
Un’eccezione, tuttavia, va segnalata: unità dell’esercito regolare di
Zagabria, che ieri hanno attraversato il fiume Sava nei pressi della
confluenza con l’Una, là dove il corso d’acqua segna il confine tra la
Croazia e la Bosnia Erzegovina,si sono dirette su Prijedor. Il governo croato
si è così ancora una volta rivelato un mentitore: proprio ieri il vice premier
Granic aveva annunciato la sospensione di ogni azione militare.
Considerata la vicinanza a Prijedor delle forze del 5° corpo 69agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
d’armata bosniaco-musulmano, Tudjman si è affrettato a mandare
proprie truppe con l’ordine di avanzare dalla parte opposta nella medesima
direzione. Due cani intorno ad un osso, ma uno di essi è in casa propria,
l’altro ha sconfinato.
Secondo le ultime notizie, i profughi che affollano Banja Luka sono non
meno di 116.000. Si teme che altri 50.000 possano fuggire da Prijedor per
sottrarsi alla minaccia croata. Gli ospedali sono pieni di feriti e di ammalati
che mancano di ogni assistenza. A Banja Luka sono quasi scomparsi
medicinali, cibo e mezzi di trasporto.
Nuove nubi si addensano sul processo di pace a causa di “gravi
tensioni” tra Sarajevo e Zagabria, alleati più di nome che di fatto. Si
accumulano le questioni insolute interne alla Federazione, quelle vecchie e
quelle nuove. Ha detto un diplomatico occidentale: «La federazione croato-
musulmana in Bosnia non esiste ancora legalmente, è però chiaro che
Sarajevo è il partner più debole».
Il Ministero degli Esteri di Zagabria ha informato che è stata costituita
una commissione mista croato-musulmana per affrontare i problemi sorti
sulla questione dell’aeroporto di Bihac, “Zeljava”, conteso dall’una e
dall’altra parte. Si tratta di tracciare una linea di demarcazione fra i due
paesi cominciando dall’area dell’aeroporto che «si trova parzialmente in
territorio croato». Per ora, è stato deciso, sarà gestito in condominio, in
seguito si vedrà…
Il giornale Deh di Ljubljana, riferendo l’opinione corrente in Slovenia,
scrive che pochissimi credono alla conclusione della guerra in Bosnia a
breve termine.
La Camera dei Deputati del Parlamento croato è stata sciolta. I nuovi
rappresentanti popolari (finora 138, in futuro 127) usciranno dalle urne del
29
ottobre. Così aveva detto Tudjman e così è stato.
Nella sua ultima sessione, il Sabor ha approvato due leggi: quella
elettorale e quella sul censimento. Tutti gli emendamenti dell’opposizione
sono stati respinti dalla macchina dei voti del partito al potere che ha la
maggioranza assoluta nell’organo legislativo.
Il censimento della popolazione, il secondo in Croazia in questo
decennio e primo nella storia del paese dopo l’indipendenza, è stato
imposto perché — come spiegato — il quadro demografico tracciato dal
censimento del marzo 1991 è andato in frantumi. Ed è vero: centinaia di
migliaia di persone, per lo più di etnìa serba, hanno lasciato il paese o ne
sono state cacciate; grandi masse si sono spostate da una regione all’altra
(l’Istria ha subito una vera invasione ai fini di una più radicale
croatizzazione); è stata profondamente rivoluzionata la struttura etnica. Ma
non era opportuno attendere i risultati del censimento che si terrà nella
prima metà di aprile del 1996? No, il regime ha già stabilito quanti
rappresentanti potranno avere in parlamento le singole minoranze nazionali:
tre i serbi, uno a testa italiani e ungheresi, cechi e slovacchi insieme, uno
ancora altre quattro comunità etniche di qualche rilievo: rutena, austriaca,
ucraina e tedesca. Dodici seggi saranno riservati ai croati della diaspora
sparsi per il mondo, notoriamente riserva del partito del “Supremo”
che, nel 1990, san al potere per la prima volta soprattutto grazie agli
aiuti finanziari della diaspora vetero o neo-ustascia; questa continuò a
foraggiarlo anche nelle elezioni del 1992 e del 1993. Molto più forte sarà la
sua influenza sulla politica del paese.
Il ricorso alle elezioni anticipate, secondo la spiegazione data in
Parlamento dai gerarchi dell’Hife, è stato reso necessario non solo dai
“mutamenti demografici avvenuti nel paese” ma anche dal passaggio di ben
24 parlamentari di varie provenienze ad altri partiti. Passaggi che hanno
lievemente indebolito la maggioranza parlamentare del partito di Tudjman
(salito al potere con il 40% dei voti usciti dalle urne ed appena il 27% delle
preferenze degli aventi diritto al voto). Ora, volendo farla da padrone
assoluto e spazzare qualsiasi serio controllo democratico, l’autocrate di
Zagabria punta ad una maggioranza plebiscitaria, vuole ridurre
l’opposizione ad un puro e semplice ornamento, ad un paravento
“democratico” dietro al quale si cela una reale dittatura. E così questa volta
non sono state fatte elezioni amministrative che sono state sempre abbinate
alle parlamentari. Non servono al regime perché a livello locale, dai comuni
alle regioni, in Croazia non esistono autonomie, nessuna forma di serio
autogoverno; tutto è centralizzato, tutto dipende dal governo centrale, gli
enti locali possono deliberare unicamente su questioni di scarsa importanza
e, come se non bastasse, il potere di controllo è affidato a fiduciari e
commissari governativi che affiancano sindaci e presidenti.
Non a caso queste elezioni seguono a ruota cinque mesi di “strepitose
vittorie”
ottenute dall’esercito croato nelle operazioni militari nella Slavonia
70agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
occidentale, nell’ex Krajina e nella Bosnia — operazioni che sono state
accompagnate da una ossessionante campagna propagandistica, condotta
anche con toni intimidatori verso l’opposizione. In questa campagna il
partito al potere ha rivendicato a sé tutti i meriti della riconquista, coprendo
col rumore delle parate e dei comizi (si susseguono giornalmente dall’inizio
di maggio) le deboli voci dell’opposizione che pure denuncia le ruberie, i
saccheggi e altri crimini dei “ras” del regime. In questo stesso periodo gli
emissari di Tudjman hanno indotto centinaia e centinaia di persone
influenti, insieme a sindaci e consiglieri comunali eletti nelle liste
dell’opposizione, soprattutto del Partito liberale, a saltare il fosso e ad
entrare nel partito al potere. Costoro sono stati letteralmente comprati — a
Spalato, Osijek, Zagabria, Fiume e altrove
— con laute bustarelle, con promozioni, con la concessione di posti e
cariche importanti nella burocrazia statale, nella diplomazia, negli enti. Ma
non sono mancati i ricatti, le minacce e ogni sorta di pressioni.
Uno dei padri della “primavera croata” degli anni ‘70, Mika Tripalo, ha
affermato ieri in Parlamento:
«Oggi la Croazia è meno matura per le elezioni di quanto lo fosse nel
1992. Oggi le possibilità che le elezioni siano oneste sono di gran lunga
minori di allora.
Il partito al potere tende a restaurare il mono partitismo. A questo scopo
ha fatto di tutto per seminare negli elettori la paura. UHdz cerca in ogni
caso di conquistare la maggioranza dei due terzi al Parlamento per poter
modificare la Costituzione, instaurare il presidenzialismo, abolire la Camera
delle Regioni.
Questo è il preludio alla dittatura».
La nuova legge elettorale voluta da Tudjman riduce da 60 a 28 le
circoscrizioni elettorali, limitando notevolmente i margini di manovra dei
partiti minori. Se nelle elezioni del 1993 le opposizioni raccolsero il 60%
dei voti e ciononostante furono sconfitte, perché frantumate, stavolta
saranno praticamente spazzate dalla scena. I meccanismi della legge sono
tali che nell’intera Croazia l’opposizione non potrà avere più di 11 seggi,
anche se dovesse ottenere una percentuale di voti uguale a quella delle
passate elezioni. Queste elezioni dovrebbero essere boicottate per dare uno
schiaffo a Tudjman, ma la malattia del leaderismo in Croazia è cosi diffusa
nei partiti e partitini che tutti gli oppositori andranno come pecore al
macello. Con grande soddisfazione del
“Supremo” il quale, nell’intento di difendersi dagli attacchi di una
eventuale coalizione dell’opposizione o da altre presenze ingombranti, ha
fatto innalzare la soglia di accesso al Parlamento dal 3 al 5%, soglia che
sale all‘8% per le alleanze di due partiti e addirittura all‘11% per le
coalizioni di tre o più partiti. Il regime ha poi i soliti assi nella manica:
l’esercito e la polizia, tutti ed esclusivamente suoi; la stragrande
maggioranza dei mezzi di informazione, dalla radiotelevisione di stato ai
giornali e periodici. Ed ha i suoi strumenti di pressione nel 90% degli enti
ed organismi statali e parastatali del paese.
Tudjman e i potentati deWHdz — che a più riprese avevano detto di
non voler andare anticipatamente alle urne quando il loro partito subì la
frattura che portò al distacco dell’ala democratica, con alla testa Stjepan
Mesic, ed alla creazione del nuovo partito dei Democratici Indipendenti —
hanno dimostrato invece una fretta tremenda nelle ultime settimane,
riuscendo finalmente nell’intento di licenziare questa legislatura. Avevano
paura di veder svaniti gli inebrianti effetti delle vittorie militari
sull’elettorato. In tutti gli altri campi il bilancio del regime tudjmaniano è
stato catastrofico. Tudjman, ovvio, la pensa diversamente. L’uomo che si
presenta col titolo di Vrhovnik (“Supremo”) non si stanca mai di porre la
Croazia al primo posto in Europa per la «stabilità democratica», per il
«miracolo economico», per aver «cacciato definitivamente il comunismo»,
per essere diventata militarmente e politicamente una «potenza rispettabile
nella regione europea».
Sul quotidiano Novi List di oggi leggo un titolo che dice: “Lo stato di
Tudjman è diventato uno stato di criminali”. Sintetizza bene un lungo
scritto di Dragutin Hlad, vice presidente dei Democratici Indipendenti (ex
tudjmaniani).
Ricordando gli “enormi successi” vantati da Tudjman nei suoi discorsi
recenti, Hlad li enumera, cominciando dal «saccheggio del patrimonio del
popolo»
attraverso la privatizzazione; il partito al potere cerca di coprire questi
saccheggi solleticando nel popolo croato i più bassi istinti di nazional-
sciovinismo. «E non basta. L’Hdz è diventato il partito dell’oligarchia
fascista il cui unico ruolo, la cui unica funzione è la legalizzazione di questo
saccheggio e la tutela degli interessi dei saccheggiatori». «Nel momento in
cui uno stato ed un regime si trasformano in stato e regime di criminali,
71agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
funziona a beneficio dei criminali e vive nel crimine. I popolo croato
non ha combattuto per la libertà e l’indipendenza per trovarsi ora governato
da un pugno di criminali».
E più avanti: «Tudjman si vanta di aver inserito nel Ministero degli
Affari Esteri 200 croati della diaspora, ma dove sono finiti i 100.000 croati
fuggiti dalla Croazia da quando Tudjman è salito al potere e nel momento in
cui abbiamo bisogno di ridare vita a vaste regioni rimaste spopolate? È un
successo questo?». E ancora: «È forse un successo il fatto che la Croazia
stia diventando un Eldorado del contrabbando e del crimine internazionale
organizzato, un paese dove lo stato di diritto è assente, dove la Finanza
ricorre a metodi terroristici per stroncare i piccoli imprenditori
politicamente non graditi al regime?». «Si può parlare di uno stato di diritto
quando nella guardia pretoriana del presidente prestano servizio ordinari
delinquenti e personaggi sospettati di essere criminali di guerra?».
Dopo aver definito Tudjman un “Saddam Hussein made in Croazia”,
Dragutin Hlad elenca una serie di fatti a dimostrazione della mancanza di
libertà e di democrazia nel paese che egli definisce “Tudjmanistan” e
“Brigantistan”. Ci limitiamo a pochi esempi: «Non è forse un’anomalia che
il presidente della repubblica, nella sua qualità di presidente di tutti i
cittadini, continui ad essere presidente del partito e capo lista dei candidati
dell’Hife alle elezioni?». E come la mettiamo con il voto concesso alla
diaspora? A parte il fatto che cittadini dell’Australia e dell’Erzegovina
potranno decidere il destino dei cittadini croati in Croazia, resta la questione
del numero: il regime dice che i croati all’estero sono 420.000 ed avranno
12 deputati. Da quale censimento ha tratto quel numero? E perché
concedere un deputato ogni 40.000 emigrati mentre per gli elettori in patria
il rapporto è di un deputato ogni 80.000? E chi da il diritto a Tudjman di
dividere i croati tra chi è militante deWHdz e chi no, di definire i primi
come patrioti e gli altri… Gli altri sono forse traditori? Come se non
bastasse, attraverso vari canali, in primo luogo giornali e periodici, il partito
al potere cerca tenacemente di far passare la tesi secondo la quale la
sopravvivenza della Croazia sarebbe legata alla guida di un uomo forte, con
pieni poteri, e questi dovrebbe essere Tudjman, che già da qualche parte è
stato proposto come presidente a vita. Lui stesso, motivando la sua
decisione presa un mese addietro di andare alle elezioni anticipate, sostenne
che gli serviva un governo compattamente schierato sulla linea del suo
partito, «in altre parole un governo suddito, a lui ciecamente obbediente, da
permettergli di governare indisturbato in prima persona. È
democrazia questa?».
Concludendo, Dragutin Hlad scrive che la libertà della Croazia «è
minacciata dall’interno da coloro che hanno creato un sistema di anti-valori,
intollerante verso le diversità… ». «Stiamo diventando rane in letargo nel
regno del Tudjmanistan, viviamo in un paese nel quale anche l’élite
intellettuale ha cominciato a leccare i piedi dei detentori del potere,
applaudendo a Tudjman e alla sua coorte di saccheggiatori».
Nell’intervento di questo leader dell’opposizione si rispecchia
indubbiamente il clima della campagna elettorale. La stessa cosa non si può
dire per il giornale Deh di Lubiana che pubblica i risultati di un’indagine
demoscopica dai quali risulta che in Slovenia, dove pure è forte il
risentimento contro la Serbia di Milosevic, definito “il carnefice dei
Balcani”, e notevoli sono le simpatie per la Croazia cattolica, Tudjman
piace a poche persone. Addirittura c’è chi lo considera un criminale di
guerra (il 4,3%). La maggioranza degli sloveni considerano l’ex generale
comunista croato «una pallidissima fotocopia del presidente Tito, del quale
per una trentina d’anni è stato soltanto un fedelissimo e umile servitore».
Inoltre gli sloveni sono rimasti scioccati dal fatto che il “generalissimo”
cerca di autoproclamarsi presidente a vita del nuovo stato croato, dove la
stragrande maggioranza degli abitanti, grazie proprio alla sua
“lungimirante” politica, è ridotta alla miseria.
Prima che venisse sciolto, il Parlamento croato ha sospeso le
disposizioni della Legge costituzionale sulle minoranze relative
all’autonomia dei territori prevalentemente abitati dai serbi. Inoltre ai serbi
che sono fuggiti dalla Croazia sotto la spinta delle operazioni militari
“Lampo” e “Tempesta”, che hanno reso la Slavonia occidentale e la Krajina
territori deserti, sono stati concessi 90 giorni di tempo per rientrare se
vogliono conservare la proprietà dei beni che, nel frattempo, sono stati
sequestrati dallo stato croato. D’altra parte, al momento attuale nessuna
autorità in Serbia, Bosnia, Ungheria o in altri paesi in cui i profughi si sono
rifugiati, ha la facoltà di rilasciare a quei disgraziati un passaporto o qualche
altro documento che permetta loro di 72agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
ritornare… Sono prigionieri di un circolo chiuso, di un malvagio
marchingegno.
A questo proposito il leader dei serbi in Croazia, Milan Djukic,
intervenendo oggi al dibattito al Parlamento prima del voto, ha detto che le
leggi imposte dal regime tendono ad impedire il ritorno dei profughi serbi
fuggiti dalla Krajina. Perfino le leggi dello stato ustascia durante la II guerra
mondiale, ha aggiunto, erano più permissive e tolleranti verso i serbi di
quelle ora varate per volere di Tudjman…
LA REVISIONE DELLA STORIA: USTASCIA E PARTIGIANI 21
SETTEMBRE
Su Banja Luka continua a riversarsi il fiume dei profughi serbi. Si
muovono su carri coperti da cerate simili a quelli dei pionieri americani,
altri vanno a piedi con piccoli greggi di pecore e capre. Secondo fonti
serbo-bosniache, un comando di soldati croati avrebbe aperto il fuoco su
una colonna di fuggiaschi uccidendo 12 fra donne e bambini. Il Comitato
Internazionale della Croce Rossa informa che negli ultimi quattro mesi i
civili costretti ad abbandonare le loro case nella Bosnia già controllata dai
serbi sono 380.000. A questi vanno aggiunti 200.000 e più serbi fuggiti
dalla Krajina croata.
L’offensiva contro i serbo-bosniaci delle forze musulmane, croato-
bosniache e delle truppe regolari di Zagabria, sarebbe “virtualmente
cessata”. A loro volta i serbi hanno ritirato 250 pezzi di artiglieria e carri
armati dall’area attorno a Sarajevo, che viene considerata ora “fuori
pericolo”. Ma la guerra può dirsi veramente prossima alla fine? Non so fino
a che punto si possa prestar fede a dichiarazioni come questa rilasciata oggi
a Zagabria: «Il governo della Repubblica di Croazia, d’intesa con il governo
della Federazione di Bosnia Erzegovina,ha deciso di non intraprendere
ulteriori azioni di alcun genere nella regione occidentale della
BosniaErzegovinache potrebbero portare a scontri a Banja Luka. L’esercito
croato operante sul territorio della BosniaErzegovina[…] porrà fine alle sue
limitate operazioni militari in quell’area nel più breve tempo possibile».
C’è da sperare che la Croazia, l’unica ad aver tratto vantaggi da questa
guerra in atto da oltre quattro anni, si ritenga soddisfatta dei territori
conquistati in Bosnia e che consideri molto più importante la pace che non
qualche chilometro quadrato in più o in meno in direzione di Banja Luka, a
sinistra o a destra di quella città.
A Mostar, dove in quattro mesi e mezzo l’amministrazione europea non
è riuscita a mettere insieme le due parti della città divise dalla Neretva e
dall’ostilità tra musulmani e croati, le autorità di Mostar Est si sono rifiutate
di firmare un documento importantissimo per la sopravvivenza della
Federazione croato-bosniaco-musulmana. Un documento relativo al
potenziamento ed allo sfruttamento di due idrocentrali ed al rifornimento di
energia elettrica ed acqua alla città ed alla regione della vallata solcata dal
fiume. E un nuovo elemento di tensione che si aggiunge alle tante discordie,
complicazioni e motivi di reciproco sospetto.
Ad aggravare queste tensioni giungono le proposte annessionistiche
dell’estrema destra croata, coalizzata con il partito di Tudjman. Il “Partito
patriottico croato” chiede la spartizione della Bosnia, vale a dire
l’annessione alla Croazia di ampie regioni bosniache, richiamandosi al
diritto storico laddove l’etnìa croata non fosse prevalente, in modo da
inglobare nei confini croati gran parte del paese confinante: «La cosiddetta
Croazia turca, e cioè la Bosnia occidentale fino al fiume Vrbas, va annessa
alla Repubblica di Croazia quale territorio storicamente croato, insieme alle
regioni della Bosnia Erzegovina fino alla linea: fiume Vrbas, Banja Luka,
Jajce, Travnik, Bugojno, Prozor, Konjic, Stolac, Bileca, quali regioni croate
in senso geopolitico».
Il capo degli osservatori dell’Unione Europea in Croazia, il danese Len-
nart Leschly, incontrando oggi a Spalato il sindaco del capoluogo dalmate
non è stato eccessivamente diplomatico nell’ esprimere il suo pensiero a lui
e, tramite lui, al vertice di Zagabria. La Croazia, ha sostenuto, non potrà
contare così presto sugli aiuti dell’Europa dopo quanto è successo nella
Krajina nei giorni e settimane successivi alla rioccupazione. Quello che gli
osservatori europei hanno visto in quella regione, soprattutto nella zona di
Knin e in tutte le località del retroterra di Zara, getta una fosca ombra sul
governo croato. Ha aggiunto: «All’Europa non interessano i partiti politici
croati e le prossime elezioni in Croazia, è invece molto interessata ai
processi democratici; e tutto fa temere che la Croazia si stia avviando verso
un sistema monopartitico».
Una denuncia dei crimini commessi in Krajina dopo l’Operazione
Tempesta è venuta anche dalla presidenza della Lega dei combattenti
antifascisti della Croazia, 73agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
l’organizzazione degli ex partigiani sospinta ormai ai margini della vita
politico-sociale. Questa ha chiesto al governo zagabrese di «prendere
energici provvedimenti contro coloro che si sono lasciati andare a incendi e
saccheggi»
ed ha condannato con indignazione «la continuazione della prassi degli
attentati contro i monumenti alla lotta antifascista». Per inciso è stato
constatato che, mentre ai raduni di coloro che nella II guerra mondiale
combatterono nelle fila ustascia e collaborazioniste intervengono
regolarmente rappresentanti del governo, questi ultimi non si sono fatti
vedere a nessuna delle 350 manifestazioni degli antifascisti nel corso di
quest’anno.
Questa discriminazione è oltre tutto in contraddizione con quei discorsi
nei quali Tudjman esalta la «conciliazione e l’unità di tutti i croati in patria
e nel mondo», l’ultimo dei quali, pronunciato cinque giorni addietro, viene
commentato da La Voce del Popolo di Fiume: «Le divisioni che
sussistevano all’interno — scrive il direttore del quotidiano in lingua
italiana — appaiono ora superabili grazie alle revisioni storiche che stanno
ponendo segni di uguaglianza fra fascismo e comunismo». Tudjman può
«constatare soddisfatto che alfine si trovano di nuovo insieme i croati che
oltre 50 anni fa si sparavano addosso, gli uni partigiani, gli altri ustascia».
Sarà proprio vero? Se veramente fosse stato tracciato questo “segno di
uguaglianza”, perché le autorità avrebbero rimosso finora oltre 3.000 lapidi
e lasciato distruggere almeno 2.000 monumenti che ricordavano la lotta
partigiana? È innegabile, al di là dei simboli, dei monumenti e delle
celebrazioni filo-fasciste o anti-partigiane, che la Croazia di Tudjman ha
promosso a principale punto di riferimento il nazionalismo più sfrenato,
tollerando fenomeni macroscopici di fascismo «come l’esodo in massa dei
serbi della ex Krajina», chiudendo «uno o due occhi di fronte a episodi di
eccezionale gravità, come la distruzione e il saccheggio dei beni dei serbi,
sempre nell’ex Krajina, da parte di militari croati. Episodi che le autorità di
Zagefoûa hanno prima negato, per poi ammetterli, attribuendoli però a civili
in uniforme. Che invece Helsinski Watch ha dato per certi». Leggere queste
affermazioni su un giornale che si è allineato sulle posizioni governative e
viene finanziato da Zagabria, può significare una sola cosa: i crimini non
possono essere più nascosti, offendono la coscienza anche dei più induriti.
Il direttore de La Voce Ezio Mestrovich scrive che a testimoniare la verità
sui crimini commessi in Krajina sono gli stessi soldati dell’esercito croato,
in particolare alcune centinaia di giovani di etnìa italiana dell’Istria e di
Fiume, e quindi «non certamente quelli che sotto l’ala della subcultura
nazionale hanno commesso i misfatti, ma loro commilitoni che vi hanno
assistito» indignati. In realtà, ad essere indignati sono la maggioranza dei
soldati che, però, sono costretti al silenzio, compresi due giornalisti-soldati
de La Voce del Popolo reduci dalla Krajina: «Ufficiali e massime autorità
dello stato avrebbero dovuto rendere impossibile il loro silenzio. Non
permettere un clima in cui fosse possibile il passaggio dal nazionale al
criminale e diventasse difficile, se non rischiosa, la sua denuncia».
UN SACCHEGGIO SENZA FINE
22 SETTEMBRE
I leader serbi di Bosnia, quegli stessi che hanno respinto innumerevoli
offerte di pace presentate in tre anni dalla comunità internazionale,
spingono in queste ore affinché venga raggiunta al più presto la cessazione
delle ostilità. Al tempo stesso, però, danno ad intendere che non
permetteranno ulteriori avanzate delle forze croate e musulmane. Nel
settore di Doboj le forze di Mladic, reduce dall’ospedale, hanno respinto un
forte attacco del 3° corpo d’armata di Izetbegovic, la cui avanzata si è
fermata lungo la sponda destra del fiume Bosna e l’unica “novità” che
arriva da quell’area riguarda la fuga di un gran numero di civili da Doboj in
direzione di Bijelina.
Si può dire che la “battaglia per Banja Luka” non ci sarà: sia perché il
Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha oggi ribadito un severissimo “no” ad
ulteriori operazioni militari, sia perché la “Sarajevo serba” è decisa a
difendersi assalendo. Aerei serbo-bosniaci, partiti dall’aeroporto di Banja
Luka, hanno attaccato le forze croate che avevano attraversato il fiume Sava
durante la notte del 19 settembre, costringendole a tornare indietro, oltre
confine. Oggi Zagabria ammette che le sue truppe «si ritirano dal territorio
delle città di Dvor, Kostajnica e Dubica», mentre gli osservatori dei Caschi
Blu registrano un debole scambio di fuoco tra la sponda sinistra (croata) e
quella destra del fiume Una, quest’ultima controllata dai serbi.
I serbi hanno anche attaccato con lanciarazzi multipli l’area di Maglaj.
Inoltre 74agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
hanno bloccato le forze bosniaco-croate e musulmane negli altri settori.
Unità di comando, infine, hanno riconquistato i villaggi di Popovici e
Povodi, nell’area di Kljuc, 30 chilometri a sud di Sanski Most, dove anche
oggi ci sono stati violenti combattimenti. I militari serbi avrebbero trovato
cinque civili morti con la gola tagliata.
Sanski Most, data per conquistata e superata dai bollettini diffusi dalla
radiotelevisione di Sarajevo, è ancora in mano ai serbi. L’ingresso a
Prijedor, dato più volte per imminente da parte delle truppe musulmane, non
c’è stato. È
il giornale governativo croato Viesnik a rinfacciare all’alleato bosniaco-
musulmano queste “inesattezze”, annotando pure che le medesime fonti di
Izetbegovic avevano comunicato l’entrata delle truppe musulmane a
Sipovo, mentendo; quella località è stata conquistata dalle truppe croate.
Ad Ostrelj, la località nella quale la settimana scorsa si sono congiunte
le truppe croate e musulmane, i soldati dei due eserciti alleati si sono
combattuti ferocemente; nello scontro, durato un’ora, sono morti otto
soldati, di cui sei croati.
In Erzegovina è stato insediato oggi il parlamento regionale del Cantone
di Zepa-Bobovac, assenti i rappresentanti croati. Dario Kordic, il capo del
partito unico croato in Bosnia Erzegovina ed emissario di Tudjman nella
cosiddetta
“Federazione croato-musulmana”, ha duramente protestato con una
lettera indirizzata a Izetbegovic accusando i musulmani di violazione della
Costituzione federale per aver escluso dal parlamento cantonale i delegati di
due comuni a maggioranza croata, Vares e Teslic.
Sempre oggi si è riunito il governo della cosiddetta “Repubblica croata
di Erzeg-Bosnia”. La seduta è stata tenuta a Jajce, recentemente conquistata
dai croati che l’hanno subito definita “croaticissima” anche se fino al 1991
la struttura etnica vedeva musulmani e serbi in stragrande maggioranza. Tra
le decisioni prese c’è quella di chiedere al governo della Croazia di inviare
al più presto nella regione di Jajce 40.000 croato-bosniaci, profughi in
Croazia, per popolare la città e la sua area rimaste vuote dopo la fuga della
popolazione serba.
Che dire? Certe euforie degli alleati croato-musulmani si sono rivelate
eccessive; l’amore tra i due alleati non è proprio idilliaco. Lo stesso
Izetbegovic, durante una sua breve sosta a Vienna al ritorno da Londra, ha
ammesso che sulla via della pace si trovano numerose difficoltà
«specialmente in relazione alle mappe», ovvero alla spartizione delle aree
della Bosnia “unita”
tra musulmani, serbi e croati a guerra conclusa. Ciascuno degli alleati,
ora impegnati contro i serbi, cerca di gonfiare il proprio contributo alle
conquiste territoriali per poter avanzare poi maggiori pretese all’atto della
divisione della torta o, se vogliamo, delle spoglie dello sconfitto.
Quest’ultimo è però ben lungi dall’essere stato vinto.
Un intervento militare della Croazia nella Slavonia orientale e a
Baranja, l’ultima fetta di territorio ancora in mano ai serbi locali insorti
contro il potere di Zagabria nel 1991, va impedito ad ogni costo. Esso si
concluderebbe invariabilmente con la fuga in massa delle popolazioni, cioè
con la pulizia etnica, come avvenuto durante e dopo l’Operazione Lampo
nella Slavonia occidentale del 1 e 2 maggio e l’Operazione Tempesta nella
Krajina (Lika, Kordun e Banja) della prima settimana di agosto: parole di
Gavin Hewitt, ambasciatore britannico a Zagabria. Non basta far tornare in
quelle regioni profughi croati, bisogna creare le condizioni affinché essi
possano convivere con i serbi che hanno eguale diritto a vivere sulla propria
terra in Croazia.
Parole, anche queste, del diplomatico britannico che sostanzialmente ha
rimproverato ai governanti croati di aver compiuto ai danni della
popolazione serba quella “pulizia” che a gran voce condannano quando a
subirla è il loro popolo.
Nelle regioni croate riconquistate ai primi di maggio e nella prima
decade di agosto di quest’anno sono rimaste 2-3.000 persone, per lo più
anziane. Oggi il governo croato comunica che dopo l’Operazione Lampo
nella Slavonia occidentale sono stati arrestati 64 serbi e dopo l’Operazione
Tempesta nella Krajina altri 851 serbi, tutti accusati di insurrezione armata
contro la Croazia e di crimini di guerra. Praticamente tutti i maschi atti alle
armi, catturati o arrestati in combattimento, sono stati dichiarati criminali. A
nessuno è stata applicata l’amnistia che Tudjman aveva promesso a
beneficio di chi avesse consegnato le armi.
La sezione croata del Comitato di Helsinki per i diritti umani ha inviato
una lettera aperta al governo di Zagabria nella quale denuncia due
circostanze: da 75agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
una parte il regime di Tudjman spinge i profughi croati, fuggiti o
cacciati dalla Krajina nel 1991, a tornare in quella regione e vi insedia
forzosamente anche profughi croati fuggiti o cacciati dalla Bosnia
controllata dai serbi; dall’altra ricorre ad ogni possibile artificio per
impedire il rientro in Croazia ed alle loro terre ai serbi cacciati o fuggiti in
massa dalla Krajina e dalla Slavonia occidentale. Viene anche rivelato un
episodio sconcertante: quattro famiglie di cittadini croati, serbi della
Krajina fuggiti insieme ai compaesani in Serbia durante l’Operazione
Tempesta, hanno deciso di tornare a casa. Le autorità serbe le hanno lasciate
partire, le autorità ungheresi le hanno lasciate passare il confine serbo-
magiaro e hanno permesso di attraversare il loro territorio fino al confine
della Croazia, valico di Barcs-Teresino Polje, ma le autorità croate non le
lasciano entrare. Chiedono loro i “nuovi documenti croati” che né l’ufficio
di rappresentanza croata a Belgrado né l’Ambasciata croata a Budapest
hanno voluto loro rilasciare. Così, da giorni, persone delle classi fra il 1915
e il 1925, dunque fra i 70 e gli 80 anni, per di più malate, vengono respinte,
invitate a tornarsene in Serbia per morire.
Questa è l’umanità del cattolicissimo Tudjman, il bugiardo che, pressato
dalle potenze occidentali, aveva finto di lanciare un appello ai serbi della
Krajina, cittadini croati, a tornare nel loro paese. Quell’invito si è
dimostrato un gioco malvagio. In realtà Tudjman non vuole che i serbi
fuggiti o cacciati tornino e quindi creino di nuovo una “questione serba” in
Croazia che egli, come ha avuto modo di dire in alcuni discorsi, ritiene di
aver risolto per sempre
“estirpando un cancro secolare” dal corpo croato.
Un collega croato non troppo ligio al regime, Damir Maricic, rievoca in
un suo scritto un episodio annotato a Zara nel novembre del 1944, qualche
giorno dopo l’entrata in quella città delle truppe iugoslave. Un tale Bepi,
cittadino di Zara che di li a qualche mese se ne sarebbe andato in Italia,
esule fra gli esuli, si guardò intorno e lesse sulle porte di numerose case
— quelle risparmiate dai bombardamenti angloamericani— la scritta
“Zau-zeto”
(“occupato”). Ritenendo che quella espressione fosse un cognome
slavo, Bepi esclamò: «Ma che grande famiglia sono questi Zauzeto!». Gli
slavi che si riversavano in quel periodo nella città conquistata,
appropriandosi abusivamente degli appartamenti e case abbandonate dalla
popolazione italiana, scrivevano sulla porta o sui muri la parola “Zauzeto”,
oppure il loro cognome. La stessa cosa avviene ora nell’ex Krajina ripulita
dai serbi, a cominciare dall’area nell’immediato retroterra di Zara. I
conquistatori si sono affrettati a scrivere la parola “Zauzeto” con l’aggiunta
di “Hrvat” (“Croato”) sulle case di cui si sono impossessati. Quelle
risparmiate dalla furia distruttrice dei “liberatori”.
Stando a quanto detto dal premier croato Valentie durante la sessione
dell’esecutivo svoltasi a Knin dopo la conquista della città, nei territori
della Krajina erano rimaste libere 123.000 abitazioni nelle quali il governo
di Zagabria intendeva insediare 120.000 profughi croati. Di essi finora circa
30.000 hanno raggiunto quei territori. Ora, pur dando per scontato che la
popolazione serba fuggita non tornerà — perché non verrà fatta tornare
— sembra che per altri profughi o coloni croati non ci sarà posto tanto
presto.
Non ci sono abitazioni! Avventurieri di ogni specie, i soliti “eroi della
guerra patriottica” e veri e propri criminali, cacciano fuori i rarissimi
proprietari rimasti, cacciando gli stessi profughi croati rientrati a casa,
seminando il terrore, impossessandosi di case, di appartamenti, negozi,
officine, terreni.
Lo stesso governo, dopo aver dato carta bianca ai “patrioti”-criminali
per settimane, si accorge ora di non disporre nemmeno delle abitazioni che
dovrebbero essere assegnate ai medici ed altri sanitari (nella sola Knin per
questi ne servono 150), ai maestri elementari, agli insegnanti delle scuole
medie, ai poliziotti, agli ufficiali dell’esercito, ai funzionari dei vari uffici
governativi e comunali. La situazione è caotica non solo a Knin, ma anche a
Benkovac, ad Obrovac e nelle altre aree della Lika, ma basta restare a Knin
per avere il quadro di un disastro che è generale. A Knin e nelle altre
cittadine dell’ex Krajina, sulle terre e nelle case dei serbi, Tudjman e il suo
regime vorrebbero insediare i croati della diaspora fatti affluire
principalmente dall’Australia e dall’America Latina (Cile e Argentina in
primo luogo), dove trovarono rifugio gli ustascia fuggiti dalla Jugoslavia
alla fine della II guerra mondiale; i croati fuggiti dalla Bosnia Erzegovina e
dalla Vojvodina; i veterani delle vittoriose battaglie di riconquista, ma anche
i numerosi suoi emissari ai quali — avendolo ciecamente servito in svariate
“missioni” — Tudjman ha promesso una casa e una carica nelle regioni
“liberate”.
Il ministro della Sanità, Andrija Hebrang, si lamenta del fatto che dei
600
76agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
salutari, fuggiti dalla Krajina nel 1991 e sistematisi altrove, pochissimi
vogliono tornare. La cosa si ripete con i lavoratori della scuola e persino
con i profughi che erano occupati in alcuni settori industriali. In qualità di
profughi e di patrioti croati, hanno avuto la precedenza nelle assunzioni in
Istria, a Fiume e in altre città della Croazia non investite dalla guerra, ed ora
hanno poca voglia di tornare nella Krajina. Ma se i vecchi abitanti autoctoni
non vogliono tornare — anche perché si sentono a disagio accanto ai
colonizzatori arrivati o fatti arrivare da regioni e paesi lontani, ad essi
estranei anche se connazionali — c’è invece un afflusso incontrollato e una
sfrenata corsa all’occupazione di case ed abitazioni da parte di avventurieri
e criminali d’ogni sorta. Come se non bastasse, «le abitazioni e le case
continuano ad essere saccheggiate e bruciate», scrive Damir Maricic. E
questo non avviene soltanto nelle città, ma anche nei villaggi. «Nelle aree
rurali, purtroppo, l’intero patrimonio abitativo è andato distrutto — ha
riferito il presidente della provincia di Zara-Knin, Sime Prtenjaca, al
ministro per l’Immigrazione Marijan Petrovic — e non è mia intenzione
esaminare modalità e cause di queste distruzioni». Le une e le altre sono
peraltro arcinote. Le autorità serbe della Krajina avevano permesso la
distruzione delle case dei croati fuggiti, le autorità croate non hanno mosso
un dito per impedire che, dopo la rioccupazione della regione, fossero
distrutti i beni dei serbi.
In un territorio sul quale nell’aprile del 1991 vivevano 400.000 persone,
oggi non c’è posto neppure per 100.000. Le distruzioni, autorizzate o meno
non importa, sono cominciate sin dall‘8 agosto per impedire ai serbi in fuga
di tornare; oggi Zagabria si accorge di non poter fermare gli incendiari e i
saccheggiatori, e constata amaramente di non poter dare una sistemazione
nemmeno ai propri funzionari in quella regione trattata come preda di
guerra secondo tipici sistemi medievali. «Per molti i territori neoliberati —
scrive Maricic —
sono diventati un Eldorado». C’è gente che ha messo le mani su intere
fabbriche dopo averle saccheggiate con il beneplacito di potenti gerarchi
zagabresi. «Si nota poi uno strano fenomeno: i beni e i mezzi senza i quali è
impossibile ridare vita a questi territori, vengono portati altrove. Sono
ormai classiche le storie di mobili, elettrodomestici, trattori,
motocoltivatrici e di enormi quantitativi di animali portati via dalla regione.
Ma vengono asportati anche macchinari da fabbriche e da impianti
indispensabili per una normale attività dei servizi comunali».
Non pochi profughi croati, testimoni di saccheggi e rapine, rinviano sine
die il loro ritorno. Fra di loro sono ormai numerosi coloro che, decisi a
riportare la famiglia nei luoghi di nascita in Krajina, hanno voluto prima
compiere alcuni sopralluoghi: la prima volta hanno trovato la casa intera, la
seconda volta l’hanno trovata saccheggiata, la terza incendiata o
gravemente danneggiata, e perciò inabitabile. La colpa viene ora addossata
ai sindaci ed ai commissari che, nominati a queste cariche “in esilio” per
“meriti” politici verso il regime, si sono dimostrati incapaci, comportandosi
per di più come dei piccoli “ras” che per primi hanno cercato di arraffare
tutto quel che si poteva nel “proprio” territorio comunale, urbano o rurale.
Indubbiamente ci sono anche funzionari che agiscono così, ma essi non
potevano impedire saccheggi, incendi ed altri crimini al cospetto dei quali
esercito e polizia sono rimasti indifferenti dopo aver dato essi stessi il
segnale di inizio.
Nel suo settimanale commento sul Novi List, il pubblicista cattolico
Drago Pilsel scrive tra l’altro: «Il Dipartimento per la criminalità del
Ministero dell’Interno (croato) ha confermato che i riciclatori di denaro
sporco non si trovano più alle soglie della Croazia, ma sono profondamente
radicati in Croazia. Avrebbe però dovuto aggiungere che i riciclatorì di
denaro sporco governano in Croazia». E più avanti: «La Chiesa croata,
purtroppo, non sempre ha levato la voce contro coloro che seminano odio e
vendetta, e si fanno propagandisti del Male. Costoro si trovano anche nelle
strutture dello stato e nelle forze armate».
LA CROAZIA FINO ALLA DRINA
2} SETTEMBRE
Le forze croate e bosniaco-musulmane «controllano più della metà del
territorio della Bosnia Erzegovina»e precisamente: il 29,4% è nelle mani
delle truppe musulmane e il 20,9 in quelle delle truppe croate. I serbo-
bosniaci controllano il rimanente 49,7%. Sono le valutazioni odierne dei
comandanti delle forze dell’Onu. Non si segnalano operazioni militari di
rilievo, ma da Sarajevo giungono pericolose dichiarazioni: il premier
Silajdzic sostiene che il suo governo «non può fermare la guerra» e «se
saremo costretti a combattere senza 77agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
l’aiuto della Croazia, lo faremo». Nell’interesse della Bosnia, ha
aggiunto,
«attaccheremo anche Banja Luka». Gli ha fatto eco il comandante del 5°
corpo d’armata, Dudakovic: «Le mie truppe e quelle del 7° corpo
s’incontreranno a Banja Luka». Nel frattempo avrebbe liberato altri 350
chilometri quadrati di territorio negli ultimi due giorni, nell’area del
distretto di Bosanski Novi, arrivando oggi alle porte di questa città (Bosnia
settentrionale).
I territori occupati dalle singole parti in lotta corrispondono esattamente
0 quasi al piano americano di spartizione, ma dubito che la pace sia vicina.
I serbi possono accontentarsi, i croati hanno ottenuto più del dovuto, ma
l’appetito dei musulmani si sta appena svegliando. Alla fine nemmeno la
conquista di territori basterà più. Perché se la pace è la soluzione migliore,
la meno costosa, una vera pace non potrà esserci se non sarà una giusta
pace. E
giusta pace non ci sarà fino a quando non sarà concesso il rientro alle
loro terre di tutti i profughi ed esuli indipendentemente dall’etnìa e dalla
religione.
Il presidente croato Franjo Tudjman ha rimosso dal comando il generale
Vinko Verbanac (oriundo istriano) deferendolo alla commissione
disciplinare
«per le conseguenze di un’azione militare intrapresa di propria
iniziativa».
Sotto ci dev’essere del marcio, ma l’odierno comunicato del “Supremo”
non fornisce spiegazioni. Sembra che l’indesiderata azione militare sia
avvenuta in Bosnia.
I rapporti fra croati e musulmani in Bosnia e fra Sarajevo e Zagabria si
sono fatti molto tesi; sono quelli di due rivali. Scontri sanguinosi fra reparti
dei due eserciti alleati si sono avuti non soltanto presso Bosanski Petrovac
(“per errore”, dicono) ma anche a sud della città di Jajce. I morti sono
decine. Unità del 7° corpo bosniaco avrebbero tentato di entrare nella città
occupata dai croati, e questi hanno risposto aprendo il fuoco. Di Jajce, già a
maggioranza musulmana, i croati vorrebbero fare la capitale della
“Repubblica croata di Erzeg-Bosnia”. Inoltre essi, pur costituendo soltanto
il 14% della popolazione, vorrebbero mantenere il possesso di tutto il
territorio (21% circa) finora conquistato per appoggiare l’offensiva degli
alleati contro i serbi, ingrossando così la pancia non della federazione a due,
ma della loro “repubblica”. E, indirettamente, la pancia della “madrepatria”
Croazia.
Non a caso le truppe croate, penetrando in Bosnia per aiutare i
bosniaco-musulmani, hanno dichiarato le regioni di Glamoc e Grahovo
«territori storicamente croati» innalzando dappertutto le sole bandiere
croate e addirittura a Jajce, definita «antica città regia croata», hanno
piantato una bandiera più grande di quella che sventola a Knin, che è lunga
20 metri. Con l’arrivo dei croati in Bosnia, spariscono ovunque le bandiere
con i tre gigli di Izetbegovic; ogni territorio “liberato” dalle forze croate in
Bosnia viene immediatamente annesso alla «Repubblica croata di Erzeg-
Bosnia», mentre dovrebbe esservi insediata quantomeno l’amministrazione
della Federazione croato-musulmana. A Mostar Ovest, il governo della
“Repubblica croata di Erzeg-Bosnia” si è affrettato a varare leggi in virtù
delle quali quella
“repubblica”, secessionista alla pari di quella serba di Karadzic, ha
esteso le proprie competenze su tutti i territori “liberati” dalle truppe croate.
Nella città di Glamoc — etnicamente serba da sempre, come lo sono
sempre state Grahovo, Drvar, Popovo Polje e tutte le località abitate di
quella regione fino a Trebinje — vengono ora insediati coloni croati per
dare alla Dalmazia un retroterra d’ora in poi etnicamente croato, e quindi
sicuro, anche se si tratta per lo più di pietraia carsica. Nella musulmana
Jajce, le case lasciate vuote dalla popolazione fuggita non vengono restituite
ai musulmani ma assegnate ai croati arrivati da Banja Luka. Potevano allora
mancare le tensioni?
Degli appetiti croati in Bosnia il governo di Zagabria tace, ma parlano i
suoi giornali. In essi si susseguono commenti in cui si vuol mostrare che la
liberazione della Bosnia è merito dell’esercito croato e che i generali di
Izetbegovic si adornano di piume croate. Fuor di metafora, la verità è che
Tudjman conquista la Bosnia per sé, non per Izetbegovic. I progetti di quei
due signori si escludono a vicenda. C’è un solo punto d’incontro: il
desiderio dell’uno e dell’altro di strappare ai serbi determinati territori.
D’altra parte Tudjman ha un punto d’incontro con il “nemico comune”, il
serbo Milosevic: spartirsi la Bosnia a danno dei musulmani.
I veri obiettivi della politica croata si sono rivelati a proposito di Banja
Luka. Ancor prima che l’esercito croato e quello bosniaco si avvicinassero
a quella città, Tudjman ha fatto parlare i suoi portavoce: il segretario
politico del partito governativo croato, Zlatko Canjuga, ha urlato che
«Banja Luka è 78agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
stata da sempre croata e tale resterà» aggiungendo, per inciso, che
Tudjman e il suo partito hanno superato in grandezza le imprese dei re
croati Tomislav e Zvonimir, sotto i quali la Croazia medievale raggiunse
l’apice dello splendore.
Quindi ha preannunciato «il ritorno della Croazia a Banja Luka e, se
possibile, al fiume Drina» perché «le terre croate in Bosnia Erzegovina
hanno un interesse fondamentale per la creazione dello stato nazionale
croato».
Le carte geografiche della Bosnia, pubblicate in questi giorni dalla
stampa di Zagabria, trattano la Federazione croato-bosniaca come una zona
cuscinetto fra la Croazia e la Serbia, e comunque uno stato cuscinetto sotto
il protettorato croato.
Sugli appetiti croati in Bosnia nessuno ha più dubbi, ma le varianti
possono essere due: a) divisione in tre fette secondo il principio etnico,
seguita dall’annessione dell’entità serba alla Serbia, di quella croata alla
Croazia e dalla creazione di una “piccola Bosnia” in stato autonomo
musulmano sotto il protettorato croato; b) ricostruzione di una Bosnia
formalmente unitaria ma composta da due entità: Repubblica serba e
Federazione croato-musulmana, quest’ultima interamente inserita nella
sfera d’interesse della Croazia, ovvero confederata alla Croazia. All’interno
della Federazione croato-musulmana, ovvero della “Grande Croazia”
confederale, ai musulmani (di Bosnia) verrebbe concesso uno status di
autonomia. In un modo o nell’altro, fra “Grande Serbia” e “Grande
Croazia”, i musulmani di Bosnia dovrebbero finire rinchiusi in una riserva
indiana.
In un’intervista concessa all’austriaco Focus, il presidente croato
Tudjman afferma che «soltanto attraverso la Federazione (a due) i
musulmani possono continuare ad appoggiarsi alla Croazia», altrimenti
anche questa via d’uscita sarà loro preclusa. Di quale “appoggio” si tratti lo
si capisce dal prosieguo dell’intervista, nella quale Tudjman sostiene che
«nella storia, gran parte della Bosnia è appartenuta geopoliticamente alla
Croazia» e che «per origine, per lingua, storicamente e politicamente, i
musulmani sono prevalentemente croati». Dunque, gran parte della Bosnia
è croata, gran parte dei musulmani di Bosnia sono croati. I serbi alla
Karadzic e Mladic hanno cercato di sterminare i musulmani, Tudjman ed i
suoi vorrebbero assimilarli e farli scomparire come etnìa. È una posizione
identica a quella che Tudjman manifestò nel “lontano”
1977 in una lettera ad un amico cospiratore all’estero, Bruno Busic. La
lettera è apparsa appena in questi giorni sulla rivista zagabrese Obzor,
vicina al presidente. Vi si legge: «Per quanto riguarda i musulmani va
riconosciuta la loro specificità culturale-religiosa, ma va sottolineata però
con forza la loro origine e lingua croata; essi sono croati divenuti
musulmani in seguito all’occupazione [ottomana] di territori
prevalentemente croati. La Repubblica di Bosnia Erzegovina e la
Repubblica di Croazia sono indissolubilmente unite geopoliticamente
(strategicamente, economicamente e per la rete di comunicazioni), sicché
sarebbe esiziale per la comunità musulmana se si separassero». Dunque, la
tesi di Tudjman era e rimane questa: gran parte della Bosnia è stata e rimane
territorio croato che in passato fu occupato; perciò oggi la sua liberazione
ne rende legittima la restituzione alla Croazia. Con il corollario della
croatizzazione dei musulmani di Bosnia e della croatizzazione dei territori
serbo-bosniaci conquistati ed etnicamente ripuliti. È un ritorno alla politica
di Ante Pavelic, il poglavnik ustascia dello Stato Indipendente Croato
voluto da Hitler e da Mussolini.
Al tempo del “duce” Pavelic, la Croazia era formalmente un regno la
cui corona —
la corona del grande re Zvonimir — venne offerta ad un principe di casa
Savoia, Aimone, ma non fu mai cinta da costui. In realtà fu un vicere
annesso sottto il protettorato nominale dell’Italia fascista, colonia di fatto
del Terzo Reich tedesco. La Croazia è oggi una repubblica presidenziale
nella quale la maggioranza del Parlamento, il governo e tutte le istituzioni
dello stato sono manovrate da un uomo, Franjo Tudjman, che è presidente
del partito al potere, capo dello Stato, comandante supremo delle forze
armate, e che agisce da autocrate avviandosi a diventare — come ha titolato
un giornale di opposizione —
il “Baño Franjo Zvonimir II”.
Il discorso sul Bano (titolo che si dava ai governatori dei regni di
Croazia, Dalmazia e Slavonia nel contesto dell’impero
austroungarico)prende il via dallo scioglimento del Parlamento croato,
ovvero dai motivi per cui, pur disponendo della maggioranza assoluta nel
Sabor, Tudjman ha deciso di andare alle urne il 29 ottobre. Uno dei suoi
luogotenenti, Vladimir Seks, ha apertamente affermato che il partito al
potere punta a conquistare una maggioranza dei 2/3 che gli consentirà di
modificare la Costituzione senza chiedere nulla all’opposizione.
La modifica della Costituzione dovrebbe portare all’ampliamento dei
poteri del presidente. Quali poteri visto che li ha già tutti? Stando al
settimanale Globus 79agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
di Zagabria, che si richiama a fonti riservate, non soltanto verrebbero
ampliati i poteri del capo dello Stato, ma la Croazia da repubblica verrebbe
trasformata in Banovina, sotto lo scettro del “baño” Franjo Tudjman. Questi
già si comporta da sovrano con i titoli di “Vrhovnik” (“Supremo”) e “Padre
della patria”. Ad ogni passo
manifesta la propria ossessione o predilezione per le alte uniformi, i
gradi di generalissimo, le parate: per tutte le manifestazioni esteriori del
potere personale. Insomma, già ora Tudjman si ispira a modelli imperiali.
La sua stessa residenza presidenziale nei comunicati ufficiali viene indicata,
invece di
“Palazzo”, con il nome di “Corte Presidenziale”. In questa “Corte”,
quando convoca i giornalisti, possono mettere piede soltanto i redattori e
commentatori a lui favorevoli e quelli dell’organo del suo partito,
Drzavnost (“lo stato”).
Quando in un settore mancano giornali, settimanali o riviste che
s’inquadrino nei suoi criteri, li crea e risolve il problema. Così,
recentemente, ha fondato il giornale di “cultura patriottica” Hwatsko Slovo
(“lettera croata”) e un giornale cosiddetto umoristico che se la prende con la
già maltrattata opposizione.
Recentemente, prima che il Parlamento venisse sciolto, il suo presidente
Nedjeljko Mihanovic, ex critico letterario e accademico, ha avanzato una
proposta che in un paese democratico avrebbe suscitato l’indignazione
dell’interessato, ma Tudjman l’ha gradita: quella di nominarlo presidente a
vita. Secondo Mihanovic «dai tempi di re Zvonimir la Croazia non ha avuto
uno statista più meritevole di Franjo Tudjman, padre della patria».
CONDANNATI ALL’ESILIO
24 SETTEMBRE
Tra due giorni dovrebbero riunirsi a New York i ministri degli Esteri
della Serbia, della Croazia e della Bosnia Erzegovina,ma il governo di
Sarajevo (Izetbegovic) si rifiuta di partecipare. La guerra, intanto, registra
una nuova improvvisa fiammata: nel “corridoio di Brcko”, che unisce la
Serbia alla parte della Bosnia controllata dai serbi, lungo la frontiera con la
Croazia orientale, le truppe musulmane hanno sferrato una massiccia
offensiva che, però, non ha avuto successo. I musulmani di Bosnia puntano
ad isolare Banja Luka e Doboj, ma l’avversario si sta dimostrando tenace;
non intende cedere altri territori.
Anzi, i bollettini parlano di intensi attacchi serbi contro la “sacca di
Orasje”
e contro il territorio di Ravne-Brcko. Quest’ultima città è stata
bombardata dalle artiglierie croate e musulmane causando morti e feriti fra
la popolazione.
La pace è messa a rischio anche dalle minacce del generalissimo-
presidente croato. In un discorso altamente euforico pronunciato a
Vinkovci, 17 chilometri a sud ovest di Vukovar, attorniato da una vera folla
di ministri e generali, con l’occhio rivolto e il braccio teso in direzione di
quella fetta di terra (4,5%
della Croazia) ancora in mano ai ribelli serbi della Slavonia orientale e
Baranja, Tudjman ha detto: «L’anno scorso avevo promesso che sarei
venuto a trovarvi in treno da Zagabria. Ho mantenuto la promessa. [In realtà
vi è andato in elicottero.] Avevo anche promesso alla cittadinanza di
Spalato che avrei raggiunto quella città in treno, passando per Knin. Su quel
treno c’era tutta la Croazia. Ora, di fronte a tutta la Croazia vi prometto che
presto saremo a Ilok, a Vukovar ed anche in Baranja. Questo è il
giuramento della Croazia, di quella in patria e della diaspora; questa è la
garanzia che il futuro dello stato croato è anche sul Danubio. Viviamo
per quel momento e ci prepariamo». Enfasi e stile tipicamente
tudjmaniani, di un uomo al quale non è ancora passata la sbornia di gloria
per le recenti vittorie militari. Con la differenza che in Krajina aveva di
fronte un piccolo e immotivato esercito di secessionisti, abbandonati alla
loro sorte da Belgrado, mentre sul Danubio è schierato l’esercito
dell’Armata Federale jugoslava (serbo-montenegrina). Il minaccioso
proclama del Vrhovnik e il rifiuto di Sarajevo di andare alle trattative
potrebbe vanificare ogni sforzo di pace. Ma fino a quando il gioco resterà
nelle loro mani? Già troppi giorni sono passati dall‘8 settembre di Ginevra.
Il premier bosniaco-musulmano Silajdzic ha dichiarato che nell’area
della cittadina di Kljuc, rimasta per tre anni sotto il controllo serbo, le
truppe dei tre gigli hanno scoperto una fossa comune con i resti mortali di
540 persone. Si tratta di civili musulmani uccisi probabilmente nel 1992. In
Bosnia, purtroppo, le fosse comuni sono parecchie. Alcune contengono
civili musulmani trucidati dai croati nel 1993, altre civili serbi massacrati
dalle milizie croate nelle ultime settimane.
80agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
Oggi il direttore dell’Usaid, l’agenzia americana per lo sviluppo
internazionale, J. Brian Atwood, accompagnato dall’ambasciatore
statunitense a Zagabria Galbraith, ha visitato Vojnic, Glina, Petrinja ed altre
località della provincia settentrionale dell’ex Krajina. Le autorità croate
hanno scelto quella zona perché i casi di saccheggio, di incendi e di
massacri sono stati meno frequenti che nella provincia meridionale della
regione riconquistata. Quello che si è visto, tuttavia, è stato sufficiente per
far dire a Galbraith che, se la Croazia vuol riprendersi l’ultimo suo lembo
ancora in mano ai serbi, — la Slavonia orientale e la Baranja — deve
guardarsi bene dal ripetere i crimini commessi nella Krajina e che «il
problema serbo in Croazia non si riduce soltanto alla sfera dei diritti umani,
ma è il problema chiave per la reintegrazione della Slavonia orientale, della
Baranja e del Sirmio occidentale Gli Usa chiedono che in questo territorio
sia trovata una soluzione tale da permettere il rientro dei profughi croati e
ungheresi [fuggiti dopo la secessione dei serbi] e al tempo stesso ai serbi di
svolgere il loro ruolo», impedendo la pulizia etnica a loro danno come è
avvenuto in Krajina. Qui i serbi rimasti sono mosche bianche, ed anche a
queste viene data la caccia.
In Croazia uno degli esercizi intellettuali più frequenti è quello di
leggere fra le righe, leggere qualche giornale portato dall’estero o seguire i
programmi delle televisioni straniere, per appurare certe sgradevoli verità
del paese che il regime nasconde. Come quella che si cela dietro il
comunicato del Vrhovnik Tudjman, diffuso ieri, sulT «allontanamento del
generale Vinko Verbanac dalla sua carica e l’inizio di un procedimento
disciplinare a suo carico» per le conseguenze di un’azione militare
intrapresa arbitrariamente. In qualsiasi paese democratico una notizia come
questa, di un generale che ha provocato una catastrofe politica o militare
(solo di questo può trattarsi), apparirebbe sulle prime pagine dei giornali ed
a caratteri cubitali, con tutti i dettagli possibili. Qui è stata relegata nelle
ultime righe di un comunicato sulle promozioni di una falange di ufficiali,
sotto un titolo che annuncia solamente queste e non parla di quella
retrocessione. D quotidiano fiumano Novi List è l’unico ad avere in
proposito un suo commento: «C’è il pericolo che nella ricerca della verità
su questa storia i giornali stranieri arrivino prima dei nostri giornali,
esattamente come è già avvenuto con la scoperta di verità relative ai
comportamenti briganteschi in Krajina dopo la “Tempesta”».
All’inizio del 1990, nel primo congresso dell’Hife, il partito nazionalista
fondato e guidato da Franjo Tudjman, i serbi in Croazia (all’epoca circa
800.000, ovvero il 1296 della popolazione complessiva di quattro milioni e
mezzo) furono indicati come il problema numero uno da risolvere, accusati
di essere divenuti i padroni della Croazia, di aver accentrato nelle proprie
mani fino al 90% dell’apparato repressivo dello stato, di occupare gran
parte dei posti dirigenziali nelle aziende, nella diplomazia e
nell’amministrazione, e infine di occupare un posto immeritato nella
Costituzione condividendo con il popolo croato la sovranità del paese.
Dopo le prime elezioni pluri partitiche e la vittoria dell’Ha, questo partito
affermò che avrebbe subito attuato il programma elettorale di esclusione dei
serbi dal governo del paese e dalla Costituzione. Infatti, i cittadini croati di
etnìa serba furono cacciati dall’esercito, dalla polizia, dai posti di
responsabilità nell’amministrazione, negli enti, nelle scuole, nelle
fabbriche; furono anche cacciati dalla Costituzione e retrocessi a
“minoranza nazionale”. Contemporaneamente contro di loro venne
promossa una violenta campagna denigratoria di stampo razzista (ma non
furono risparmiate altre minoranze etniche) fino alla demonizzazione. Sulle
mura di Fiume, lo ricordo bene, apparvero scritte (ed anche manifesti) che
indicavano nei serbi la 5ª colonna da cacciare con ogni mezzo dalla
Croazia.
La reazione dei serbi nelle regioni in cui costituivano la maggioranza
della popolazione, ma anche nelle città, non si fece attendere: denunciando
il regime di Tudjman come filo-ustascia (anche perché erano stati rimessi in
circolazione simboli e spettri di quel movimento fascista che durante la II
guerra mondiale sterminò centinaia di migliaia di serbi, di ebrei e di
partigiani croati), chiesero l’autonomia culturale e, al tempo stesso, si
armarono nel timore di una repressione militare che fu peraltro minacciata.
Quando infatti Tudjman inviò le forze di polizia per occupare militarmente
la Krajina, i serbi di quella regione innalzarono barricate con tronchi di
alberi sulle strade di accesso ed impugnarono i fucili dietro le barricate.
I fitti eventi politici che contrassegnarono il periodo della tormentata
secessione della Croazia (e Slovenia) dalla Jugoslavia (il 25 giugno del
1991 fu proclamata l’indipendenza), e il complicato processo di passaggio
dal mono 81agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
partitismo al pluralismo politico, contribuirono a complicare la
ribellione dei serbi in Croazia. Incoraggiati anche dai “fratelli” di Belgrado,
essi pretesero anche per loro stessi il diritto all’autodeterminazione fino alla
secessione e proclamarono dapprima la “Regione autonoma della Krajina”
e, successivamente, la
“Repubblica serba di Krajina”. Nella Krajina e nella Slavonia erano
insediati circa 400.000 serbi. Gli altri erano sparsi per le maggiori città della
Croazia.
In quell’epoca, impegnatissimo nella campagna di promozione
nazionalistica dell’etnocentrismo croato e di demonizzazione dei serbi,
Tudjman non pensò a recarsi in treno o in auto a Knin o in altre zone abitate
dalla maggioranza serba; attraverso la radio, la televisione o i giornali
avrebbe potuto dir loro che li considerava cittadini di pari dignità e diritti,
ma non lo fece; non li invitò a creare insieme ai croati ed alle altre
minoranze etniche il nuovo stato democratico croato. Ebbe invece per essi
parole di disprezzo, di ostilità, di odio. Al referendum popolare, con il quale
i serbi della Krajina avevano votato plebiscitariamente l’autonomia
nell’ambito dello stato croato, Tudjman reagì tentando di soffocare la
rivolta nel sangue. Dopo aver rapidamente importato armi da vari paesi,
soprattutto dall’Ungheria, mise in piedi un esercito composto da una polizia
preventivamente epurata e da una Guardia Nazionale di nuova creazione.
Nell’agosto dello stesso anno, il nuovo esercito di Tudjman, composto in
gran parte da militanti dell’Hai e da volontari neo-ustascia (reparti Hos),
attaccarono le regioni croate abitate dai serbi, incontrando una fortissima
resistenza.
L’esercito federale, completamente controllato da generali serbi e
montenegrini, attaccò a sua volta la Croazia col pretesto di impedire il
genocidio delle popolazioni serbe. E fu la guerra… Un incendio che,
spostatosi nell’aprile 1992 alla Bosnia, ancora oggi non si è spento del tutto;
una guerra che ha causato circa 300.000 morti, un numero doppio di feriti,
distruzioni senza fine e tre milioni di profughi.
Se Tudjman non avesse cavalcato il cavallo dell’odio nazionalistico
verso tutto ciò che non è croato, se avesse concesso ai serbi di Croazia la
richiesta autonomia culturale, difficilmente si sarebbe arrivati alla loro
ribellione ed alla strumentalizzazione di quella rivolta da parte del satrapo
di Belgrado, Milosevic. Appena nella primavera del 1992, cedendo alle
pressioni occidentali, Tudjman accettò di far varare dal Parlamento croato la
Legge costituzionale sui diritti dell’etnìa serba, diritti di gran lunga più
ampi di quelli che i serbi di Croazia avevano chiesto nel 1990. Con essa,
infatti, fu garantita ai serbi la rappresentanza proporzionale negli organi
dello stato e una vasta autonomia politico-amministrativa nella Krajina.
I
In realtà il “cedimento” di Tudjman fu una delle sue tante menzogne.
Quella legge fu imposta dall’Europa e dall’Onu come condizione
indispensabile per il riconoscimento internazionale della Croazia quale stato
sovrano e indipendente e quale condizione, altresì, per l’ammissione di
questo nuovo stato nel consesso delle Nazioni Unite. Ma, nel momento
stesso in cui Tudjman ordinava ai parlamentari del suo partito (e cioè alla
maggioranza del Parlamento) di varare la legge, spiegò loro che essa era
una pillola amara da non inghiottire, da tenere sotto il palato per poterla
risputare alla prima occasione; come è puntualmente avvenuto alcuni giorni
addietro, dopo la cacciata totale dei serbi dalla Krajina riconquistata.
Nell’intermezzo, tra la primavera del 1992 e l’agosto 1995 della
“Tempesta”, quella legge non è stata applicata.
E qui sia permesso al cronista di ricordare agli smemorati quanto segue:
ostili a qualsiasi concessione sul fronte della democrazia, arroccati al loro
esclusivismo nazionalistico croato, Tudjman e i suoi si erano tenacemente
opposti ai tutori occidentali sicché, dopo lunghe ed estenuanti trattative con
una delegazione del governo zagabrese, l’Unione Europea fu costretta a
dettare la legge stessa, articolo per articolo, agli emissari di Tudjman. Al
momento del voto in Parlamento il deputato Bosiljko Miserie, all’epoca
ministro di Grazia e Giustizia, salito alla tribuna per respingere la proposta
di legge, la definì
«un tranello per il popolo croato». Accorse allora il braccio destro di
Tudjman, l’allora vice premier Vladimir Seks, e gli tappò la bocca. Miserie
diede le dimissioni, la legge fu approvata. (Oggi Miserie è vice premier e
braccio destro di Tudjman…)
Tuttavia, nei raduni organizzati successivamente nel paese, i gerarchi
del partito tudjmaniano si preoccuparono di spiegare che quella legge era un
male necessario, indispensabile per presentare un’immagine rispettabile
della Croazia all’estero. Il regime di Zagabria poté così vantarsi di fronte
alle delegazioni, agli ambasciatori, agli statisti, agli osservatori stranieri di
avere «la 82agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
migliore legge del mondo sulla tutela dei diritti delle minoranze», ben
sapendo che quella legge era carta straccia. Infatti rimasta inapplicata in
Krajina, perché regione sottratta alla sovranità croata, non fu applicata
nemmeno nelle altre regioni della Croazia libera. Quando qualche deputato
dell’opposizione lo faceva notare, il Vrhovnik, o chi per lui, rispondeva con
indignazione e sorpresa: ma come ci si permette di cercare il pelo nell’uovo
sui diritti delle minoranze, quando la quarta parte della Croazia è occupata
dai serbi? Lo stato croato ha cose molto più importanti da fare che
verificare se nei tribunali c’è o meno anche qualche giudice di etnìa serba,
se ci sono anche serbi negli organi esecutivi dello stato. E poi, che possiamo
fare se nessuno vuole i serbi fra i piedi? Ci vuole pazienza, aspettate che la
Croazia sia completamente libera, che la ribelle Krajina sia reintegrata sotto
la sovranità croata, ed allora la legge sui diritti delle minoranze sarà
applicata su tutto il territorio della Croazia, Krajina compresa. Oggi, arrivati
alla
“liberazione totale” della Croazia, per prima cosa quella legge è stata
abolita!
Carta straccia, appunto.
A più riprese, nei trascorsi tre anni, i deputati dei partiti di opposizione
nel Parlamento croato hanno chiesto l’apertura di un dibattito sulla
questione dei serbi in Croazia. Il regime l’ha sempre respinta sostenendo
che non c’era nulla da chiarire, tutto era già evidente: i serbi, anche quelli
della Krajina, sono cittadini della Croazia; una volta che i loro capi
secessionisti saranno stati allontanati, una volta che la Krajina sarà rientrata
nel grembo della Croazia, anche i serbi di quella regione godranno
pienamente di tutti i diritti assicurati ai cittadini croati e quelli specifici
garantiti alle minoranze nazionali. Più di una volta Tudjman ha sostenuto
che, secondo lui, il 90% dei serbi dei territori occupati desideravano tornare
sotto la sovranità croata, ma erano ostaggi di un 10% di estremisti che li
terrorizzava. Al tempo stesso, però, i suoi gerarchi e i giornali del suo
partito hanno continuato la velenosa campagna di demonizzazione della
minoranza serba in Croazia (spesso hanno additato all’odio dei patrioti
anche gli “irredentisti” italiani dell’Istria), diffondendo sistematicamente
sentimenti di intolleranza, di sciovinismo, di odio. Alla fine i cittadini croati
di etnìa serba sono diventati tutti assassini e ladri, nemici cui dare la caccia,
morbo da estirpare. Essere serbo in Croazia è come essere un cane rognoso.
«I serbi in Croazia non potranno mai essere dei cittadini leali. Verso di loro
bisogna stare sempre in guardia». «I serbi sono tutti criminali». «Essi sono
degli estranei in Croazia; la cosa migliore è che se ne vadano tutti in
Serbia». «I serbi sono pericolosi». «Con i serbi non potremo mai più vivere
insieme». Sono alcune delle frasi più ricorrenti sulla bocca dei gerarchi del
regime tudjmaniano. Ormai fanno parte della terminologia politica corrente.
Risultato: da un’indagine del giornale Bumerang di Osijek, risulta che il
70% dei croati dubita della lealtà dei serbi in Croazia nei confronti dello
stato di Zagabria. Chi tenta soltanto di respingere queste asserzioni
sciovinistiche viene considerato nemico e traditore della patria.
Su questi argomenti leggo una lunga riflessione della giornalista Sanja
Modric che sarà pubblicata nell’edizione di domani del quotidiano Novi
List. È un dossier nel quale si mette in risalto il cinismo della politica
tudjmaniana. Il titolo è: “Come è stata risolta la questione serba in Croazia”.
A un certo punto l’autrice porta un esempio della doppia faccia del regime
tudjmaniano costruito sulle menzogne: da una parte stanno le frasi roboanti,
destinate all’esportazione, sulla democrazia, la libertà, i diritti civili e
umani, dall’altra stanno i fatti. «Restano tuttora ignoti e impuniti coloro che
hanno fatto saltare in aria 10.000 case e botteghe di cittadini di etnìa serba
sul territorio libero della Croazia» (fonte dei dati: il ministro degli Esteri
Mate Granic), lasciando senza tetto e senza lavoro almeno 30.000 cittadini
di etnìa serba. A numerosi serbi nati in Croazia, o da decenni residenti in
Croazia, è stata negata la cittadinanza croata dopo la secessione della
Croazia dalla Jugoslavia; alcune migliaia di serbi sono stati cacciati dalle
loro abitazioni con la violenza, sotto la minaccia delle armi di terroristi
croati in uniforme: è successo in tutte le città, da Fiume a Spalato, da Osijek
a Pola, da Zagabria a Zara e altrove. Nessun organo dello stato li ha difesi,
nessun tribunale ha mai punito i terroristi. Tudjman e i suoi ministri
sventolano la Costituzione croata quando vanno all’estero, nei congressi
internazionali o quando ricevono in visita statisti stranieri; quella
Costituzione viene calpestata quotidianamente.
Durante e dopo l’operazione di riconquista della Krajina, è accaduto che
tutti i serbi di quella regione, l’intera popolazione, si sia “trasferita” fuori
dei 83agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
confini della Croazia. Le stime di Zagabria sull’esodo variano ora da
120.000 a 180.000 persone. Perché se ne sono andati? Perché non sono
fuggiti soltanto quegli estremisti che, secondo Tudjman, formavano il 10%
della popolazione?
Perché anche gli altri hanno abbandonato i secolari focolari, tutti i loro
beni immobili, terre e case? Le risposte sono molteplici: alcuni sono andati
via per i crimini commessi in passato; altri perché non desideravano vivere
in una Croazia matrigna; alcuni perché hanno obbedito agli ordini di partire,
altri perché avevano paura della ferocia dei “liberatori”, tutti gli altri sono
semplicemente fuggiti da un teatro di guerra, davanti alle distruzioni e alla
morte seminate dalle cannonate, dalle mitragliatrici… I più, forse,
speravano di tornare, ma la via del ritorno è rimasta chiusa. E se fosse per
Tudjman resterebbe chiusa per sempre. Stando alla Costituzione croata (e al
diritto internazionale) i profughi hanno diritto a tornare, a vivere in Croazia
ma, trattandosi di serbi, e fino a quando non interverrà la comunità
internazionale, le autorità croate si serviranno della loro stessa Costituzione
come della carta igienica.
La metamorfosi è avvenuta nel giro di poche settimane, scrive Sanja
Modric.
All’inizio dell’Operazione Tempesta, Tudjman credette di salvare la
faccia di fronte al mondo lanciando ai serbi della Krajina un messaggio (da
pochi di essi ricevuto, considerando che la Tv croata era oscurata nella
regione secessionista) nel quale li invitò a restare in Croazia, nelle loro
case, quali cittadini croati a cui venivano garantiti tutti i diritti civili e
politici, e il diritto di proprietà in un paese democratico. A conquista
conclusa, si constatò che gli unici ad essere rimasti erano poco più di 3.000
individui, quasi tutti anziani, inabili, ammalati. Ma Tudjman si guardò bene
da ll’invitare le popolazioni fuggite a tornare. Più nessun messaggio uscì
dalla sua bocca. Si è affrettato invece a ripetere che quello dei profughi è
ormai un problema della Serbia. La Croazia, ha detto inoltre, non prenderà
in considerazione un rientro collettivo dei suoi profughi di etnìa serba,
verranno esaminati soltanto “singoli casi”. E tutti a rallegrarsi, da Tudjman
fino all’ultimo gerarca, perché «la questione serba in Croazia è stata
finalmente risolta». La Costituzione croata recita: «Nessun cittadino può
essere privato della cittadinanza croata, nessun cittadino croato può essere
esiliato dalla sua patria». Evidentemente questi principi costituzionali non
valgono per i cittadini di etnìa serba. A violarli per primo è il capo dello
Stato, custode della Costituzione. Egli viola, a un tempo, il Patto
internazionale sui diritti civili e politici che anche la Croazia ha firmato.
Quella Croazia che, subito dopo la rioccupazione della Krajina, ha
sequestrato le case dei serbi, le poche rimaste in piedi, per insediare i croati
fuggiti dalla Bosnia e dalla Serbia, creando così una situazione tale che i
profughi di etnìa serba, anche se tornassero nella loro terra, non avrebbero
dove vivere in quanto le loro case sono state date ad altri o sono state
incendiate o fatte saltare in aria con la dinamite. Andiamoci a rileggere
quanto sostenne Tudjman il 26 agosto sul “treno della libertà” a proposito
delle espulsioni “umanitarie” considerate “positive”.
Bosiljko Misetic, vice premier, quello stesso giorno dichiarò che «non è
nell’interesse della Croazia che in essa vivano persone appartenenti a etnìe
diverse dalla croata». Vladimir Seks, vicepresidente del Parlamento, colui
che tappò la bocca a Misetic nel 1992, ha annunciato a sua volta che la
questione dei beni abbandonati dai serbi nella Krajina sarà «risolta con la
successione»
(!?). Per Ivica Kostovic, secondo vice premier, il rientro in Croazia dei
profughi di etnìa serba è un problema non risolvibile, perché «la Croazia
non ha firmato alcun accordo con le autorità della Federazione iugoslava sul
rientro dei profughi serbi». Il ministro per i Profughi e Rifugiati Adalbert
Rebic, sacerdote, sostiene che per i cittadini croati di etnìa serba «è stato
facile andarsene ma sarà difficile tornare» perché «ci saranno molti
problemi amministrativi».
Nel frattempo soldati e ufficiali dell’esercito croato (i giornali croati
riportano «singoli individui in uniforme») e civili non identificati,
continuano a saccheggiare, a distruggere e a incendiare le case dei serbi
fuggiti, Tudjman fa stracciare la legge costituzionale sui diritti delle
minoranze e il suo governo emana un decreto sul censimento straordinario
della popolazione (aprile 1996) che «dimostrerà la vera situazione» della
nuova geografia demografica croata. Comunque, prima ancora di conoscere
i dati, decide che i serbi hanno diritto soltanto a tre rappresentanti in
Parlamento. Ciò significa — ammesso che qualcuno non lo avesse ancora
capito — che il vertice del regime croato non desidera più accogliere in
Croazia i profughi di etnìa serba e farà di tutto per tenerli fuori dai confini,
calpestando anche la Costituzione, ricorrendo anche 84agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
ad uno scambio di popolazioni con la Serbia (peraltro già in corso). La
canzone composta dal leader fascista serbo Slobodan Milosevic sul «sogno
di vedere tutti i serbi in uno stato» e sui territori etnicamente puliti, ora la
cantano in coro Tudjman e i suoi gerarchi cambiando unicamente una
parola.
Recentemente un giornalista del giornale austriaco Focus ha chiesto a
Tudjman:
«Permetterete ai 150.000 serbi della Krajina di tornare in Croazia?». Il
“Supremo” ha risposto: «Non credo che tornino, altrimenti non se ne
sarebbero andati. Il ritorno di tutti è impensabile. In ogni caso non è
nell’interesse della normalizzazione dei rapporti serbo-croati. Comunque
permetteremo il ritorno a singoli casi affinché non si dica che violiamo i
diritti umani».
Purtroppo gli intellettuali croati restano zitti. Dov’è l’umanismo dei
poeti? Si affonda nel baratro dell’illegalità e nessuno alza la voce. Una
signora di Zagabria, i cui parenti sono fuggiti in Serbia da Knin, si è recata
nell’ex capitale della Krajina per farsi rilasciare dalle autorità croate i
certificati di cittadinanza di quei parenti. Devono venire personalmente, le è
stato risposto, perché così ha disposto il governo. Ma come possono venire
se privi di passaporto croato? «Non so che dirvi». La signora si è rivolta alla
questura, dove le è stato detto: «Per quel che ne sappiamo, non è previsto
nessun ritorno». In realtà anche il ritorno di singole persone è possibile solo
teoricamente: le procedure amministrative sono così complicate che è
assolutamente impossibile raggiungere lo scopo. Per tornare ci vuole il
passaporto, che nessun profugo possiede. Per ottenerlo ci vogliono vari
certificati che le autorità croate rilasciano solo ai diretti interessati che, per
richiederli e ritirarli, dovrebbero venire in Croazia, ma ciò non è possibile
senza avere un passaporto. Un circolo vizioso. Qualcuno ha detto: i cittadini
croati di etnìa serba fuggiti dalla Croazia «sono un dono di Tudjman a
Milosevic», ovvero «un servizio reso da Milosevic a Tudjman» nella pulizia
etnica o «scambio umanitario di popolazioni».
TUDJMAN IL CIVILIZZATORE
25 SETTEMBRE
I vertici bosniaco-musulmani hanno ceduto. Il ministro degli Esteri del
governo di Sarajevo partecipa all’incontro di domani a New York con i capi
delle diplomazie di Zagabria e Belgrado. Gli Stati Uniti avrebbero concesso
delle garanzie sull’integrità della Bosnia che, a pace raggiunta, continuerà
ad esistere con tutti gli attributi di stato, formato da due entità (Repubblica
serba e Federazione croato-bosniaca) che avranno diritto a intrattenere
“rapporti specifici” con la Serbia e la Croazia senza tuttavia il diritto
alla secessione.
Sui campi di battaglia sono proseguiti gli scontri, ma senza spostamenti
di rilievo. Con un contrattacco i serbi hanno riconquistato la cittadina di
Mrkonjic Grad (gli italiani della brigata “Garibaldi” la ricordano per averla
strappata ai cetnici, combattendo al fianco dei partigiani di Tito durante la II
guerra mondiale) e sono riusciti anche a fermare le truppe musulmane alle
porte di Sanski Most. I combattimenti in questo settore sono stati molto
violenti durante tutta la settimana. C’è un motivo: prima che a New York
venga raggiunto un accordo sul cessate il fuoco, le forze del governo di
Sarajevo (5° e 7° corpo d’armata) vorrebbero congiungersi
I partigiani “garibaldini”, ex soldati della Divisione Bergamo di stanza a
Spalato e nell’entroterra dalmato, per metà carabinieri, dopo l‘8 settembre
decisero di affiancarsi ai partigiani di Tito, formando due battaglioni
completamente italiani che operarono ambedue in BosniaErzegovina.Il
primo battaglione si chiamava “Garibaldi”, il secondo “Matteotti”.
proprio nel settore di Mrkonjic Grad, che ha un’importanza strategica di
prim’ordine per completare l’accerchiamento di Banja Luka.
Anche nel “corridoio della Posavina”, all’altezza di Brcko, si è
combattuto (duelli di artiglieria) ma è fallito il tentativo dei croati e dei
musulmani di fermare il passaggio dei convogli militari serbi in direzione di
Banja Luka. Le artiglierie croato-bosniache hanno martellato la città di
Brcko. E chiaro che anche quel “corridoio” ha acquistato una particolare
importanza: qualora le forze croate e musulmane riuscissero a bloccarlo, la
“Repubblica serba” di Bosnia finirebbe soffocata.
Da Sarajevo, il collega Zija Dizdarevic informa che in quella città è
comparsa una carta geografica (ne sarebbe autore l’inviato speciale di
Clinton, Richard Holbrooke, ma avrebbe avuto il benestare del “duce”
serbo Milosevic) secondo la 85agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
quale appena il 25% del territorio bosniaco verrebbe lasciato all’entità
serba.
Sarebbe però un territorio compatto lungo il fiume Drina da Bijelina
fino a Trebinje, quindi interamente contiguo alla Serbia e al Montenegro. Il
precedente piano, è arcinoto, assegnava ai serbo-bosniaci il 49% del
territorio ma frantumato in quattro parti. Si può credere all’esistenza di
questa “nuova”
carta geografica? E c’è da credere a un’altra informazione, presentata
dal medesimo giornalista bosniaco, secondo cui in questo momento
l’armata del governo di Sarajevo e l’esercito croato-bosniaco {Hvó)
controllerebbero «più del 60% del territorio» della Bosnia Erzegovina?
L’unica cosa certa è che «rimane aperto il problema dei rapporti fra i due
eserciti alleati e fra le due politiche, quella bosniaca e quella croata.
All’orizzonte si intravedono nuove tensioni».
Izetbegovic insiste nella richiesta che, anche dopo l’auspicata intesa
sulla fine della guerra, continuino a rimanere in piedi gli organismi centrali
dell’attuale governo bosniaco (fino alle nuove elezioni), facendo capire di
ritenere la “Repubblica serba” e la “Repubblica croata di Erzeg-Bosnia” dei
parastati transitori e senza prospettive. I vertici della “Repubblica croata”,
appoggiati dal governo di Zagabria, la pensano diversamente.
In un’intervista al giornale Oslobodjenje di Sarajevo il presidente del
Parlamento della “Erzeg-Bosnia” croata, Ivan Bender, respinge qualsiasi
possibilità che questa “repubblichetta” venga liquidata in futuro. Addirittura
condiziona l’esistenza della federazione bosniaco-croata della Bosnia
Erzegovina alla sua confederazione con la Croazia. A tutto questo va
aggiunto che l’esercito croato-bosniaco {Hvó), ovunque riesce a stabilire il
proprio controllo, instaura l’autorità della “Repubblica croata”, creando così
nuovi motivi di scontri politici e militari.
A piantare nuove grane ci ha già pensato il “Supremo” che ha rimesso
in circolazione quel Mate Boban, ex presidente della “Repubblica croata di
Erzeg-Bosnia”, che nel 1993 rivolse le armi del suo esercito contro i
musulmani.
Qualche giorno addietro Boban ha presenziato, accanto a Tudjman, alla
consegna di alte onorificenze dello stato croato avvenuta nella Corte
Presidenziale a Zagabria ed è stato l’ospite d’onore all’incontro dei veterani
volontari di guerra dell’Erzeg-Bosnia, al quale hanno preso parte gli
esponenti più radicali dell’estrema destra del partito di Tudjman, irriducibili
sostenitori della politica di spartizione della Bosnia e fautori, altresì, dello
sterminio dei musulmani in Bosnia.
C’è anche un’intervista concessa da Tudjman — attualmente in visita
ufficiale a Parigi — al giornale Figaro. Il leader croato comincia
sottolineando che sul territorio della ex Jugoslavia esisteranno due sole
potenze: la Croazia e la Serbia. Gli altri territori, Slovenia esclusa, rientrano
nelle sfere di influenza di questi due stati, in quanto «queste due entità
storiche sono i più importanti soggetti nazionali di quest’area».
In particolare, spiega, la Croazia considera gran parte della Bosnia
Erzegovina propria zona di interesse e di influenza. A questo proposito,
facendo un passo indietro nella storia recente, ricorda una sua dichiarazione
del marzo del 1991, quando sostenne che «la soluzione del problema della
Bosnia Erzegovina consisteva] nella spartizione etnica» di quel paese e cioè
nell’annessione dell’entità croata alla Croazia e serba alla Serbia, creando
per i musulmani un mini-stato nella Bosnia centrale. Quella proposta,
precisa Tudjman, fallì perché l’Occidente non permette che in Europa venga
creato uno staterello musulmano che potrebbe diventare «la testa di ponte
della penetrazione dell’integralismo islamico». Per evitare il rischio del
fondamentalismo, l’Occidente ha insistito per la creazione della
Federazione croato-musulmana e la Croazia — è sempre Tudjman a
sostenerlo nell’intervista al Figaro — ha accettato, anche per motivi geo
strategici, di «assumersi il compito di europeizzare i musulmani di Bosnia»,
«facendosi garante, cioè, di un’opera che porti i musulmani bosniaci a
divenire parte integrante della civiltà europea e non strumento del
fondamentalismo in Europa. In questo senso anche gli interessi strategici
della Croazia combaciano con tale soluzione, in considerazione dei confini.
Inoltre resta la verità storica che la maggioranza dei musulmani bosniaci è
di origine croata; in passato vissero nell’ambito di stati croati e persino
parlano uno dei dialetti più croati che ci siano, quello “ikavo”. In ogni caso
tale soluzione [la federazione] rappresenta per la Croazia anche una sfida
che può essere vinta solo con l’aiuto dell’Europa e del mondo occidentale
in quanto nella federazione, e nei rapporti tra questa e la Croazia,
continueranno a permanere i problemi legati alle differenze di civiltà».
Per quanto concerne la delimitazione interna della Bosnia, Tudjman
sottolinea 86agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
che questa non si riduce ad una linea di demarcazione fra croati, serbi e
musulmani, ma va considerata alla stregua di una vera e propria linea di
separazione fra l’Europa occidentale e quella orientale.
«Per motivi geopolitici e strategici, la Croazia dev’essere interessata al
legame con la Bosnia Erzegovina,ma la preponderanza numerica dei
musulmani sulla popolazione croata in seno alla Federazione in ogni caso
rappresenterà un peso, un problema anche dal punto di vista delle differenze
di civiltà, ma questo è appunto quello che ho detto a proposito del compito
di portare i musulmani nella civiltà europea… Questo è per i musulmani
l’unico, o quasi l’unico, modo per sopravvivere in questo territorio:
accettare questa idea di essere parte integrante della civiltà europea».
Mi sembra di leggere i discorsi di Mussolini quando esaltava il compito
dell’Italia fascista di civilizzare gli abissini, gli eritrei ed i somali. Come
minimo Tudjman ritiene di essere un missionario.
IL MASSACRO DEI FRANCESCANI
26 SETTEMBRE
Zagabria e Belgrado appaiono in sintonia sul nodo bosniaco (che
dovrebbe essere sciolto a New York), mentre i musulmani si sono trincerati
su posizioni intransigenti nel timore che eventuali concessioni possano
portare alla lunga ad uno smembramento della Bosnia Erzegovina a
beneficio della “Grande Serbia” e della “Grande Croazia”. Ciononostante il
presidente americano Clinton stasera annuncia che è stato raggiunto un
accordo che stabilisce che «la Bosnia rimarrà unita». La suddivisione
territoriale fra le entità che costituiranno lo stato unitario sarà oggetto di
futuri negoziati. Prima di passare a una nuova fase delle trattative
sull’assetto costituzionale, si punta a una cessazione degli scontri armati in
tutta la regione a cominciare dal 10 ottobre.
Oggi c’è stata una relativa calma su tutti i fronti, ma la commissione
internazionale della Croce Rossa ha risollevato il sipario su un drammatico
palcoscenico: decine di migliaia di profughi serbi sono costretti a dormire
per terra ad una temperatura che di notte diventa sempre più rigida, mentre
mancano generi alimentari per i bambini e per gli oltre 120.000 profughi
che assediano Banja Luka. Non sono migliori le condizioni degli altri
profughi sparsi a migliaia nella regione settentrionale della Bosnia. A Doboj
e dintorni ve ne sono 16.000, la maggior parte dei quali dorme per terra alla
periferia della città o nei boschi del vicino monte Ozren. Come se non
bastasse, i civili vengono anche massacrati dai bombardamenti. Stando alle
fonti serbo-bosniache di Banja Luka, gli aerei della Nato, che hanno
fiancheggiato con le loro incursioni l’offensiva croato-musulmana in Bosnia
durante le ultime due settimane, hanno lanciato non meno di 10.000
tonnellate di esplosivo su obiettivi civili, causando la morte di 152 civili e il
ferimento di altri 263.
Le autorità sanitarie hanno segnalato tra i profughi numerosi casi di
epatite virale. «In tutta la storia della Croce Rossa Internazionale — ha
detto a Belgrado il capo della commissione François Bellon — non
abbiamo mai visto una cosa simile, il Cicr non era mai stato testimone
prima d’ora di una così dolorosa catastrofe umana in così breve tempo».
Lo stesso dramma umano si vive in Croazia dopo che il governo di
Zagabria ha deciso di negare la qualifica di profughi a 100.000 dei 200.000
croati e musulmani originari della Bosnia occidentale per poterli costringere
a tornare nei loro territori “liberati”. L’Alto Commissariato dell’Orni per i
rifugiati ha fatto sentire la sua voce, ammonendo il governo croato che non
può disfarsi dell‘“incomodo” calpestando le convenzioni internazionali: la
Bosnia occidentale
«è ancora illuminata dai bagliori di guerra».
È stato strappato il velo del mistero sul caso del generale Verbanac
cacciato dall’esercito per ordine di Tudjman. L’alto ufficiale era uno degli
uomini chiave del Quartiere Generale dell’esercito croato, e forse è stato il
più importante comandante operativo dell’Operazione Tempesta.
Dopo la sua caduta in disgrazia è diventato finalmente chiaro il
fallimento dell’azione croata finalizzata a creare una testa di ponte oltre il
fiume Una, ovvero una zona cuscinetto immediatamente al di là del confine
tra la Croazia e la Bosnia nel settore Bosanska Dubica-Bosanski Novi. Il
fallimento militare, evidentemente, è stato di tale gravità che qualcuno
doveva subirne le conseguenze. Le forze croate, che credevano di andarsi a
fare una passeggiata oltre confine, hanno battuto la testa contro le
solidissime posizioni avversarie ed hanno pagato questa leggerezza con
pesanti perdite inflitte loro dai serbo-bosniaci. I bombardamenti di
rappresaglia compiuti da aerei croati 87agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
sull’area di Banja Luka non sono riusciti a sminuire la sconfitta.
Tudjman sperava di ingrandire anche nella Slavonia bosniaca, sul tratto
Sava-Una, quella
“pancia” della Croazia che si è enormemente ingrossata in gran parte
del retroterra dalmato. Ora si spiegano anche le ritorsioni: i bombardamenti
serbi delle città croate da Kutina a Zupanja. Fino a quando Tudjman tenterà
avventure, l’intero territorio di frontiera in Slavonia subirà la minaccia dei
missili
“Luna”.
Miralem Cengic, ufficiale dell’armata bosniaco-musulmana, è l’autore
del massacro di due francescani, fra’ Mate Migic e fra’ Nicola Milicevic,
rispettivamente vicario e padre guardiano del convento di Fojnica in
Bosnia, uccisi due anni fa durante la guerra fra croati e musulmani. Il
criminale è stato condannato a 15 anni di carcere dal tribunale militare di
Sarajevo. C’è da chiedersi la ragione per cui i giornali croati rendono nota
appena in questi giorni una sentenza che risale al 23 settembre dello scorso
anno, come si viene ora a sapere. I fatti, in breve: il Cengic entrò nel
convento la mattina del 13 novembre 1993 per snidarvi, sostenne, gli
ustascia croati che vi si erano nascosti. Vi trovò i due frati che aggredì
subito verbalmente definendoli
“ustascia” anche perché, avendoli perquisiti, dalla tasca dei pantaloni
del padre guardiano estrasse una medaglia con la scacchiera, stemma croato
di oggi ma anche vecchio simbolo ustascia. Ordinò pertanto ai due di alzare
le braccia, di voltargli le spalle e di avviarsi… Mentre i due facevano i
primi passi, l’ufficiale fece partire una raffica, falciandoli.
Non c’è più nessuno, nelle tre parti che si sono combattute e si
combattono nell’ex Jugoslavia, che non abbia le mani sporche di sangue: né
serbo-ortodossi, né croato-cattolici, né bosniaco-musulmani. Mi riferisco ai
capi.
PER I SERBI NON CE ritorno
27 SETTEMBRE
Siamo alla parata degli ipocriti e dei farisei. Zarko Domljan, uno dei
falchi del regime croato, vicepresidente del Parlamento ed alto gerarca del
partito di Tudjman, partecipa a Strasburgo alla sessione autunnale
dell’assemblea del Consiglio d’Europa. Sommerso dai rimproveri per la
radicale pulizia etnica compiuta in Croazia ai danni delle popolazioni serbe
della Krajina e della Slavonia occidentale, si è difeso ripetendo fino
all’ossessione una frase che in Croazia è ormai diventata uno slogan, dopo
che per primo l’ha pronunciata il
“Supremo”: i serbi hanno abbandonato la Croazia di propria spontanea
volontà, nessuno li ha cacciati. Di suo Domljan ha aggiunto: «Il popolo
serbo fuori della Serbia è la principale vittima della filosofia politica del
oan-serbismo». Un altro membro della delegazione parlamentare croata, Ivo
Skrabalo è riuscito a spremere una lacrima dicendo: «Alla maggior parte di
noi, in Croazia, dispiace profondamente che i serbi se ne siano andati
dall’ex Krajina dove sono vissuti per 300 anni, ma non sono stati cacciati
dañe autorità croate, sono fuggiti prima di qualsiasi contatto con l’esercito e
con la polizia croati e nonostante reiterati inviti del presidente e del premier
della Croazia a rimanere in Croazia, dove gli erano stati garantiti i diritti
civili e tutti gli altri diritti».
Si può essere più sfacciati, più cinici e più menzogneri di così? Quali
diritti sono stati garantiti a quelle 2-3.000 persone che non sono fuggite, che
hanno atteso l’arrivo dell’esercito croato? Ne vengono uccise cinque-sei al
giorno (e sono tutti anziani), le loro case vengono incendiate; chi è sfuggito
al massacro viene cacciato dal territorio…
«L’Onu continua a ricevere informazioni su saccheggi e incendi di case
nell’ex Settore sud (della Krajina) compiuti da individui con l’uniforme
dell’esercito croato». Lo ha dichiarato oggi a Zagabria il portavoce delle
forze di pace, Chris Gunnes. I militari dell’Onu hanno riferito: il 25
settembre alcuni soldati croati, giunti con un camion, si sono dati al
saccheggio delle abitazioni nel villaggio di Koncarev Kraj; lungo la strada
fra Strmica e Sepine Poljane tutti i villaggi sono stati saccheggiati e dati alle
fiamme.
Prosegue intanto la colonizzazione della Krajina. Le case dei serbi in
alcuni villaggi intorno a Petrinja sono state oggi consegnate a 300 croati
cacciati da Banja Luka e da Doboj. Nella regione regna il caos. «Le autorità
sono impreparate ad organizzare il controesodo»,hanno sottolineato i
dirigenti della Comunità dei profughi della Croazia nella loro odierna
assemblea a Zagabria.
Anche i ferrovieri denunciano l’intollerabile situazione creatasi nei
trasporti su rotaia nella Krajina: mancano locomotive e vagoni, sulla linea
da Ogulin a Knin 40 passaggi a livello sono incustoditi, i macchinisti non
possono 88agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
comunicare con le stazioni, i treni viaggiano allo sbaraglio. Nell’area
dei laghi di Plitvice, il parco nazionale riaperto al turismo, sono ancora
chiuse la scuola elementare e l’ambulatorio, solo un negozio ha riaperto i
battenti…
Un’indagine condotta dall’organizzazione umanitaria “Veritas” ha
accertato che nelle prigioni civili e militari della Croazia si trovano 880
serbi della Krajina, praticamente tutti coloro che, avendo un’età fra i 18 e i
60 anni, sono stati catturati in abiti civili o militari durante l’Operazione
Tempesta. Altri 3-4.000 civili, tutti al di sopra dei 60 anni, sono stati
rinchiusi invece in campi di raccolta. I primi sono sottoposti a procedimento
inquisitorio con l’accusa di aver compiuto crimini di guerra, gli altri sono
sparsi da Kutina a Sebenico senza alcuna prospettiva di poter uscire dai
lagher in tempi brevi. I pochissimi rimasti sul territorio della Krajina sono
malati o incapaci a provvedere da soli ai propri più elementari bisogni, sono
rimasti senza alcun congiunto, senza beni, senza mezzi per vivere, privi di
documenti personali, e vivono nel continuo timore di essere massacrati.
Ancora un documento: Petar Mrkalj, impegnato a nome dei pacifisti
croati nel Comitato di Helsinki per i diritti umani, ha dichiarato tre giorni fa
a Zagabria: «Tutti i provvedimenti e procedimenti delle autorità croate
dimostrano che per i serbi, fatte pochissime eccezioni, non c’è ritorno in
Croazia. Essi sono stati cacciati proprio per ripulire la Croazia della loro
presenza, per risolvere radicalmente la secolare questione serba in Croazia.
Le case abbandonate dai serbi nei territori liberati vengono date alle fiamme
dopo essere state saccheggiate, e nessuno fa cessare questi crimini. Tutto
ciò fa parte di un piano». Nei villaggi liberati — e Mrkali ne è testimone,
avendo visitato più volte la Krajina negli ultimi giorni — «camion senza
registrazione e targa vanno e vengono, trasportando tutto quello che si può
ancora saccheggiare, rubare e caricare». I pochi contadini serbi rimasti
vengono privati del bestiame, dei gruppi elettrogeni che fornivano loro
l’energia elettrica, dei trattori, di tutto. I loro diritti? Non esistono: qualsiasi
delinquente,
in uniforme o meno, può ucciderli come cani. Il villaggio di Sjenicak,
nei pressi di Karlovac, contava circa 800 case al momento della liberazione.
Da circa due mesi ogni giorno ne vengono incendiate alcune, fra qualche
giorno non ne resterà nessuna. Alcuni poliziotti hanno confessato che, se
non fosse per lo stipendio, si spoglierebbero immediatamente
dell’uniforme, si vergognano.
Nessuno di loro riesce a fermare gli incendiari, temono le vendette.
Nelle case serbe non ancora distrutte si sono installati i croati cacciati
dalla Bosnia e dalla Serbia. Le cittadine di Vrginmost, Vojnic, Krnjak,
Tusilovic ed altre sono già interamente occupate da una nuova popolazione;
ai nuovi coloni le case dei serbi vengono concesse per la durata di 10 anni,
dopo di che potranno chiederne la proprietà. Stando così le cose, si chiede
Mrkalj, è chiaro come sono considerati i veri proprietari serbi cacciati o
fuggiti. Ammesso che qualcuno riuscirà a tornare, dove andrà ad abitare?
Non c’è da meravigliarsi, quindi — conclude Mrkalj — che anche quelle
famiglie serbe che erano intenzionate a rientrare nelle loro case dopo essere
sfuggite ai pericoli dei combattimenti durante l’Operazione Tempesta, e
pare che i primi elenchi dei candidati al rientro contengano più di 10.000
nominativi, vi abbiano dovuto rinunciare. E questo era e resta lo scopo
perseguito da Tudjman, che non li rivuole. Dice Mrkalj: «Io non faccio altro
che scrivere lettere a Tudjman, al governo ed alle altre autorità croate, ma
non ottengo risposta».
A Strasburgo, invece di Domljan e Skrabalo, dovevano mandarci
quest’uomo giusto e impotente. Ma anche senza di lui, e nonostante
Domljan e Skrabalo, il Parlamento del Consiglio d’Europa ha egualmente
preso una posizione giusta. Nel documento conclusivo sulla situazione
nell’ex Jugoslavia si chiede al governo croato di «rispettare l’accordo
raggiunto con l’Onu il 6 agosto, fornendo informazioni ed accettando la
presenza di osservatori internazionali, garantendo i diritti elementari a
coloro che vivono nel suo territorio». Si chiede inoltre che «nel più breve
tempo possibile vengano presi provvedimenti che permettano il rientro delle
persone divenute profughi in seguito all’Operazione Tempesta, e di
rispettare la piena realizzazione del loro diritto alla proprietà dei beni». La
reazione del governo croato a tali richieste «sarà molto importante ai fini
dell’esame della domanda di ammissione al Consiglio d’Europa presentata
dalla Croazia».
«La guerra in Bosnia non è finita!», ha dichiarato oggi il comandante
dell’armata bosniaca, generale Rasim delle, gettando acqua sul fuoco delle
«eccessive euforie di pace». «La guerra finirà quando sarà instaurata
una pace giusta sull’intero territorio della Bosnia Erzegovina e quando i
profughi 89agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
torneranno alle loro case. Fino a quel momento per l’armata bosniaca la
guerra continua». E una delle poche voci dissonanti nella generale
soddisfazione espressa per l’accordo raggiunto a New York che dovrebbe
fare da battistrada a una “pax americana” in Bosnia dopo tre anni di guerra.
L’accordo siglato dai tre ministri degli Esteri della Croazia, della nuova
Jugoslavia (Serbia-Montenegro) e della Bosnia, disegna a grandi linee le
istituzioni del futuro stato bosniaco, uno strano “animale istituzionale” con
due teste: la Federazione croato-musulmana e la Repubblica serba.
L’accordo completa con nuove clausole l’intesa di Ginevra dell‘8 settembre,
lasciando aperte questioni — come quelle dello status di Sarajevo, l’enclave
di Gorazde, il corridoio di Brcko, lo sbocco al mare — che rischiano di
azzerare tutti i progressi. Resta anche da chiarire il nodo delle mappe, punto
sul quale nulla è stato stabilito. Anzi, quello della delimitazione territoriale,
nodo nemmeno affrontato a New York, è il più intricato. La pace, quindi,
esiste solo sulla carta. La guerra vera continua.
“FUORI O TI SGOZZO!”
28 SETTEMBRE
I serbo-bosniaci hanno lanciato un missile “Orkan” sul centro abitato di
Travnik, uccidendo tre persone e ferendone 35. Contro Sarajevo, invece, i
cannoni tacciono. Tra due giorni dovrebbero essere aperte le vie di accesso
alla capitale bosniaca, per la prima volta dagli inizi della guerra.
Oggi è giunto a Sarajevo Richard Holbrooke, l’emissario di Clinton: si
iniziano, dunque, i colloqui sull’accordo di tregua.
Per come stanno ora le cose, né i serbi né i croati potrebbero avere
interesse a prolungare l’avventura militare; dopo quattro inverni di guerra,
la pace dovrebbe “premiarli” con le conquiste territoriali ottenute a spese
della Bosnia. I musulmani invece sollevano molti ostacoli; la debolezza
serba sembra invitarli a chiedere alle armi nuove “fortune”; la minaccia
politica rappresentata dall’alleato croato potrebbe indurli pure a pensare di
ottenere di più con le armi che con i negoziati.
Oggi Izetbegovic ha risposto per le rime alla dichiarazione rilasciata da
Tudjman al Figaro parigino («Alla Croazia è stato affidato il compito di
europeizzare i musulmani bosniaci»): si è detto «preoccupato e costernato»
ma,
«conoscendo Tudjman, non ne sono sorpreso».
Fra gli alleati stanno scoppiando liti anche sul rientro dei profughi croati
e musulmani dalla Croazia nei territori “liberati” della Bosnia. L’Alto
Commissariato dell’Orni per i rifugiati ha accusato il governo di Zagabria
di voler cacciare dalla Croazia 100.000 profughi bosniaci senza tener conto
del fatto che nei territori di destinazione non si sono create ancora le
condizioni per una vita normale. Zagabria ha accusato il capo degli
osservatori dell’Onu Chris Gunnes di essere «un bugiardo anti-croato» e
che per ora intende dare lo sfratto soltanto a 10-15.000 profughi. Quelli che
si rifiuteranno di andarsene
«non saranno deportati» ma perderanno lo status di profughi e potranno
restare
«come turisti» senza diritto all’assistenza. Il ministro croato per i
rifugiati, Adalbert Rebic, ha dichiarato in proposito: «Noi non facciamo
altro che attuare la politica dello stato». Alla domanda se i profughi
torneranno alle loro case oppure saranno mandati a colonizzare altri territori
della Bosnia Erzegovina ripuliti etnicamente, come avvenuto a Glamoc,
dove i croati hanno preso il posto dei serbi e dei musulmani nelle case da
essi abbandonate, il ministro ha risposto che «si troverà un accordo con le
autorità bosniaco-erzegovesi», ma di non capire perché dovrebbe essere
vietata la colonizzazione «di tutti i territori ora spopolati della Bosnia
Erzegovina».
Ma dove andranno i croati e dove i musulmani? «Quando i profughi
croati potranno rientrare a Bugojno, sarà possibile anche il rientro dei
profughi musulmani a Capljina e Stolac», è stata la risposta emblematica.
Spieghiamo: a Bugojno, rioccupata dai musulmani, i serbi avevano cacciato
la maggioranza musulmana e la minoranza croata; a Stolac e Capljina,
riconquistate dai croati, prima della guerra la popolazione era formata anche
da una maggioranza musulmana e da una minoranza croata, ma sono i
croati ad aver riconquistato quelle città instaurando il loro potere. Ora i
vincitori/alleati pongono condizioni l’uno all’altro. Il ministro croato ha
detto, in proposito, che Zagabria non cederà ai musulmani «fino a quando
tutti i 140.000 croati non potranno tornare nei territori attualmente sotto il
controllo dell’armata bosniaco-musulmana».
Immediata la risposta del governo di Sarajevo: innanzitutto si oppone al
rientro dei profughi nelle regioni della Bosnia occidentale e settentrionale
«fino a quando non saranno state create le condizioni di sicurezza,
assicurati gli alloggi, ripristinate le infrastrutture»; in secondo luogo, il
governo bosniaco chiede che venga permesso il rientro dei profughi
musulmani nelle città di 90agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
Stolac e di Kiseljak dove comandano i croati, quegli stessi che a suo
tempo cacciarono i musulmani dalle loro case. E il rientro dei profughi serbi
nella Slavonia occidentale e nella Krajina, ma anche nei territori della
Bosnia Erzegovina controllati dai musulmani e dai croati? No, quelli no. Gli
sconfitti non possono tornare.
Stando alle informazioni dell’Alto Commissariato dell’Onu per i
rifugiati, fornite oggi a Zagabria, negli ultimi due mesi la guerra nell’ex
Jugoslavia ha trasformato in profughi più di 300.000 persone, delle quali
170.000 sono i serbi cacciati dalla Krajina croata, circa 40.000 i musulmani
cacciati dalle enclave di Zepa e Srebrenica, altri 80.000 i serbi fuggiti dai
territori della Bosnia occidentale conquistati da croati e musulmani, 20.000
i croati e musulmani cacciati da Banja Luka.
Si va intanto accelerando la colonizzazione della Krajina, nella quale il
governo di Zagabria va insediando anche i profughi croati fuggiti da Banja
Luka.
Altri vengono mandati a Mostar e nei territori della “Repubblica croata
di Erzeg-Bosnia”. Complessivamente, finora, sono state trasferite nell’uno e
nell’altro territorio 6.826 persone alle quali sono state cedute in
“usufrutto” le case abbandonate dai serbi.
Nella stessa Croazia il tema degli alloggi è in primo piano: per
concedere case ed appartamenti a persone distintesi in questa guerra per
patriottismo, vengono sfrattate con la violenza famiglie colpevoli di non
essere di etnìa croata o di non essere in sintonia col regime. È di oggi un
documento del Comitato croato di Helsinki per i diritti umani che denuncia
«una nuova ondata di sfratti abusivi»
e riferisce, a titolo esemplificativo, alcuni episodi. Come quello della
signora L. M. la quale, dopo numerose visite di “ammonimento” di gruppi
di soldati armati, si vede arrivare degli “ospiti” un po’ più educati: due
ufficiali e una donna, Tatjana Ulri, avvocatessa del Ministero della Difesa
della Croazia.
Subito dopo essere entrati, uno degli ufficiali strappa i fili del telefono,
mentre l’altro fa entrare nell’abitazione 15 soldati. Seguono altre violenze e
maltrattamenti. La storia si conclude così: la signora L.M. finisce sulla
strada, cacciata da casa sua senza nemmeno poter prendere la borsetta…
Il documento elenca una ventina di casi, uno più drammatico dell’altro,
concludendo col dire che lo scenario è sempre lo stesso: gruppi di soldati
armati, ubriachi o no, sfondano le porte degli appartamenti, solitamente
quando da essi sono assenti gli inquilini, e ne prendono possesso. Quando
invece sorprendono i legittimi proprietari in casa, li cacciano fuori
brutalmente, minacciandoli con le armi da fuoco o con i pugnali sotto la
gola. La polizia, se e quando interviene, si limita a verbalizzare l’avvenuta
occupazione dell’alloggio da parte dei terroristi in uniforme, senza
permettere alla famiglia cacciata di rientrare nella propria abitazione. In
alcuni casi, invece di coloro che sono entrati con la violenza nelle
abitazioni, prendendone possesso, la polizia arresta e sottopone a
interrogatorio le vittime della violenza, terrorizzandole affinché ritirino la
denuncia. Questi episodi, numerosissimi, sono avvenuti e avvengono in
quasi tutte le città della Croazia, ma soprattutto a Spalato ed a Zagabria.
NEL GIRONE DEI NEGLETTI
29 SETTEMBRE
Croati e sloveni sono ai ferri corti. E non soltanto per il contenzioso sui
confini territoriali e anche su quelli marini del Golfo di Pirano. Igor Bacvar,
ex ministro degli Esteri di Lubiana ed influente personalità della coalizione
governativa, ha dichiarato che «il presidente croato Tudjman vuole
diventare un secondo Tito», specificando che «croati e serbi semplicemente
hanno bisogno di un nuovo dittatore. Quello serbo potrebbe essere
Milosevic, in Croazia… si sa». Gli ha fatto eco l’ex presidente del
Parlamento sloveno France Bucar, che non ha dubbi: «Tudjman ci procurerà
un sacco di fastidi. I nazionalisti croati vorrebbero annetterci. Accusano i
serbi di crimini di guerra, ma quanto hanno fatto al popolo serbo nella
Krajina è allo stesso livello. I croati sono nevrotici, i serbi bizantini».
Holbrooke, l’inviato americano, è a Sarajevo. Ha ribadito «l’unitarietà
della Bosnia composta da due entità» tracciata dai documenti di Ginevra e
di New York e ha definito la giornata come «la più fruttuosa» dall’inizio dei
negoziati di pace. Si è parlato delle modalità per giungere ad un armistizio
definitivo. Ma per il momento non si profila la possibilità di una cessazione
dei combattimenti. I bosniaco-musulmani pongono come condizioni: il
ripristino dei servizi essenziali a Sarajevo (acqua, luce e gas, che dipendono
dai serbi), la libera circolazione intorno a Sarajevo, l’apertura di un
corridoio per Gorazde, 91agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
la smilitarizzazione di Banja Luka. Anche oggi si è combattuto, ma non
si registrano spostamenti di posizioni. Ad alcune cannonate serbe contro
Zenica, contro l’area di Gorazde e su Konjic hanno fatto da contrappunto
cannoneggiamenti dei musulmani su Mrkonjic Grad, una cittadina che è già
passata alcune volte di mano in mano.
Il ministro degli Esteri croato, Mate Granic, intervenendo all’Assemblea
Generale dell’Orni ha detto che «dopo la liberazione della Krajina, vi sono
stati singoli casi di violazione dei diritti umani». Crimini di guerra come la
pulizia etnica totale, stragi del tipo nazista, saccheggi e distruzioni immani
sarebbero “casi di violazione dei diritti umani”? Nell‘“Anno mondiale della
tolleranza” trionfa la barbarie.
Nei pressi di Kulen Vakuf, gli osservatori militari dell’ Unprofor hanno
scoperto i cadaveri di 15 persone massacrate. Kulen Vakuf è stata
riconquistata recentemente dalle truppe bosniaco-musulmane. Otto delle
vittime erano soldati, due di essi sono stati decapitati. Gli altri sette erano
civili, di cui tre donne. L’avanzato stato di decomposizione dei corpi fa
ritenere che la morte risalga all’epoca in cui le truppe di Izetbegovic sono
arrivate nell’area.
In Croazia episodi come questi vengono alla luce un poco ovunque sul
territorio dell’ex Krajina. È atteso a giorni un importante documento, in
corso di redazione da parte del Comitato croato di Helsinki, che, a quanto
mi comunica un amico di Zagabria, presenterà un quadro allucinante dei
crimini commessi. Oggi, intanto, nella capitale croata si è riunito il
Comitato civile per i diritti umani. Ho registrato alcune dichiarazioni: «In
Croazia non accade nulla che non sia già avvenuto nei regimi totalitari. E
stata creata una situazione di totale insicurezza nella quale tutto è permesso.
Esiste il diritto al saccheggio e alla rapina, condannati dallo stato solo a
parole, ma in realtà da questo incoraggiati. La cosa più tragica è che il
regime croato accetta formalmente tutte le norme europee, ma la realtà è
terribile. In questo paese sono sicuri coloro che fanno a gara ad osannare il
regime». Sono parole di Stjepan Mesic, membro del Comitato, ex
presidente del Parlamento croato. Mesic ha affermato che
«in Croazia abbiamo una grande penuria di abitazioni e fin troppe case
incendiate». Ed ha aggiunto che «la Croazia è l’unico paese al mondo nel
quale, a guerra conclusa, si permette la distruzione dei beni risparmiati dalle
distruzioni belliche. E per tali crimini nessuno è stato arrestato».
Zoran Pusic, presidente del Comitato, ha reso noto che l‘85% dei serbi
fuggiti dalla Slavonia occidentale e il 70% di quelli che hanno abbandonato
la Krajina, travolti dalle operazioni militari, hanno espresso il desiderio di
tornare. Ma in quei territori «le case dei serbi sono state in gran parte
distrutte» e, come se non bastasse, «il regime si oppone al rientro dei
profughi». Questa è un’ulteriore violazione dei diritti umani, i quali
comprendono il ritorno dei profughi alle terre in cui sono nati, un ritorno
che, a dirla con Sagato Ogata, fiduciaria dell’Orni per i rifugiati nell’ex
Jugoslavia, «è un elemento determinante per una pace duratura nella
regione».
Gli unici profughi che, secondo il regime di Zagabria, hanno diritto a
tornare ai paesi nativi sono i musulmani, dei quali Tudjman intende
sbarazzarsi al più presto. Al primo posto fra gli indesiderabili sono quelli
che un giornalista italiano, Massimo Nava, sul Corriere della Sera incontrò
durante un suo “Viaggio nel girone dei negletti”. Allego la sua
testimonianza a queste note desunte da un’informazione dell’agenzia
ufficiale croata Hina: «I musulmani di Velika Kladusâ, sistemati a
Kuplensko, rappresentano un grave problema per la Croazia, un problema
per la cui soluzione prenderà una decisione il Consiglio nazionale per la
difesa e la sicurezza nazionale nella sua prossima riunione». Si tratta di
35.000 bosniaci di Velika Kladusâ che temono, se tornassero, le
rappresaglie del governo bosniaco contro il quale hanno combattuto fino a
due mesi addietro.
Gli osservatori europei definiscono drammatica la loro situazione: nelle
condizioni in cui li ha lasciati il governo croato «non riusciranno a
sopravvivere al prossimo inverno». Il vice premier croato Ivica Kostovic ha
sostenuto in proposito: «Non possiamo tenerli sul nostro territorio, un loro
insediamento permanente è inaccettabile: non li vogliamo in quel territorio
né intendiamo insediarli altrove nel nostro paese». D’altra parte il governo
di Izetbegovic li considera traditori e non intende concedergli alcuna
amnistia.
Ed ecco la testimonianza di Massimo Nava, che risale al 18 settembre;
11 giorni dopo la situazione è peggiorata:
«Vojnic. Nermin Basic’ è un bambino biondo con due grandi occhi
azzurri che hanno imparato a non piangere più. Solleva il lenzuolo e, quasi
con pudore, si copre con due calze da uomo le cicatrici ancora fresche sotto
le ginocchia. E
forte Nermin. Dal materasso sul pavimento, riesce a trascinarsi sulle
braccia, 92agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
verso il materasso di altri feriti. Lo fa anche di notte, quando i suoi
incubi ritornano.
Ha imparato presto a cavarsela da solo. La mamma lo ha abbandonato
che aveva 9
mesi. La donna che lo ha cresciuto è stata uccisa dalla granata che gli ha
portato via le gambe. Nermin è arrivato da solo all’ospedale e ha potuto
soltanto chiudere gli occhi quando gli hanno rammendato la pelle e le ossa,
senza anestesia.
Nermin non deve aspettarsi gare internazionali di solidarietà e viaggi
della speranza come i bambini di Srebrenica. Lui appartiene al popolo dei
negletti, a una categoria di profughi ai quali è persino negato lo status di
vittime.
C’è anche questo girone, nell’inferno dei Balcani. Ci sono finiti i
musulmani di Fikret Abdic, coinvolti dal loro capo in uno sporco doppio
gioco e adesso rifiutati da tutti. Sono più di 30.000, ammassati come bestie
nella terra di nessuno, 30 chilometri a sud di Karlovac, al confine fra la
Bosnia e la Croazia.
È un angolo di Ruanda, un “modello” di campo profughi che la guerra
ci aveva risparmiato. Migliaia di bambini e ragazzi, miliziani ancora armati,
centinaia di feriti e mutilati, donne e vecchi sopravvivono dall’inizio di
agosto fra tende e capanne di frasche, latrine a cielo aperto e rifiuti, furgoni
trasformati in case. Auto sgangherate e carretti a cavallo vanno su e giù
portando i pacchi dei parenti bloccati all’ingresso del campo. Qualche
donna spinge una carrozzina verso l’infermeria. Altre preparano caffè e
patate lesse, sui fornelli da campo che fumano fra mosche e rifiuti.
Qualcuno ha montato un banchetto di sigarette e alcoolici e copre i lamenti
con la musica del suk.
I primi arrivati si sono rinchiusi nelle villette distrutte dalle battaglie e
abbandonate. Soltanto l’acqua abbonda: quella che manda il cielo,
trasformando il campo in un’immensa pozza melmosa. Mancano cibo e
farmaci, medicamenti per le amputazioni, antibiotici per i bambini stremati
dalla dissenteria. Anche la solidarietà internazionale qui si muove a fatica.
Altri profughi, più rispettabili, hanno la priorità. Soltanto in questi giorni è
arrivato un primo convoglio della Cooperazione italiana. Ci sono un medico
croato, un giovane medico italiano, Gianluca Quagli, un pediatra norvegese
e qualche infermiere musulmano. “C’è pericolo di epidemie. In questi
boschi ci sono cadaveri ancora da seppellire, mangiati da maiali randagi che
la gente ammazza per sfamarsi”.
I profughi maledetti dovrebbero tornare in Bosnia nell’area di Velika
Kladusa, ai loro campi ed alle loro case, da dove sono fuggiti quando i
croati hanno liberato la Krajina e rotto l’assedio di Bihac. Ma temono la
vendetta dei fratelli musulmani di Bosnia, contro i quali hanno sparato per
mesi. Una guerra selvaggia che ha diviso le famiglie e le comunità. Per
distinguersi dai soldati del 5° corpo bosniaco, i miliziani di Abdic si
legavano un nastrino giallo alla stessa divisa.
“Mia moglie ha tre fratelli. Due combattevano con i bosniaci e uno con
Abdic. Si telefonavano dalle loro postazioni per non tirarsi addosso”,
ricorda Nihad Puric, infermiere. “Io ho sparato contro tutti per difendere la
casa e la famiglia”.
Vorrebbero restare in Croazia ma Zagabria, già invasa da profughi
croati, non può tollerare sul proprio territorio questa gente che è stata prima
alleata e poi nemica.
E allora, i maledetti aspettano gli ordini del loro capo, “Babo” il papà
Abdic, il gran cortigiano di Velika Kladusa, al quale devono tutto: il lavoro
e il benessere prima della guerra, le sofferenze e i massacri di questi anni.
Abdic, dalla sua casa-castello di Velika Kladusa, dirigeva la Agro-
Kommerc, colosso alimentare della ex Jugoslavia, e faceva affari con tutti.
Avversario di Izetbegovic nella corsa alla presidenza di Bosnia, Abdic ha
coltivato il folle sogno di un regno nella sacca di Bihac dove poter
continuare i suoi traffici.
Per questo si è alleato con i croati contro i bosniaci e poi con i serbi
contro i musulmani. I suoi miliziani hanno bloccato i convogli umanitari
diretti ai fratelli assediati a Bihac. Già l’estate scorsa erano stati costretti ad
una fuga disperata di fronte all’avanzare dell’esercito di Sarajevo e avevano
trovato rifugio nella Krajina occupata dai serbi. Per loro, il gioco di queste
tragiche alleanze era diventato un obbligo: con i serbi, avevano
riconquistato Velika Kladusa.
“Eravamo circondati”, si giustificano alcuni capi famiglia, intenti a
costruire baracche di legno che forse dovranno durare l’inverno. “Noi
volevamo vivere in pace con tutti, noi non abbiamo mai accettato il
fondamentalismo di Izetbegovic che ci ha portato alla rovina”.
Le cose stanno diversamente, ma la dedizione al capo di questi operai e
contadini (in 15.000 lavoravano per la Agro-Komerc) è totale: “Se Babo
vuole, noi torniamo. Se Babo non vuole, rimaniamo”.
93agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
Babo non può dare ordini. È agli arresti in un albergo di Zagabria. La
moglie Fasila, una bella signora bruna, forse memore della ricchezza
svanita, se ne sta appartata all’ingresso del campo profughi. Una grande
Mercedes è parcheggiata nel fango. Fasila ripete quello che tutti dicono:
“Non torniamo perché abbiamo paura. Vogliamo vivere in pace, ma devono
proteggerci”. Per lei e per la sua famiglia non ci saranno problemi: tre figli
studiano a Fiume, un altro fa il servizio militare a Zagabria, la cittadinanza
croata è una garanzia.
Gli altri aspettano, come prigionieri. Si dice che Abdic avrebbe offerto
due milioni di dollari per rioccupare Velika Kladusa. Il campo è circondato.
A sud i bosniaci. A nord i check-point croati. Attorno le pattuglie di
Zagabria alla caccia di sbandati. Chi tenta di andarsene, rischia la vita. “Due
giorni fa, sette ragazzi sono tornati con le mani e le gambe sforacchiate dai
proiettili”, racconta il medico italiano.
I feriti e gli amputati sono allineati sui materassi. Altri fanno la fila,
davanti a una tenda. Il piccolo Nermin ha ricevuto un pezzo di cioccolata.
Tu non sei un povero croato, serbo, musulmano. Non sei più niente».
“IL SERBO: BUONO SOLO SE È MORTO”
30 SETTEMBRE
Oggi in Bosnia non si è combattuto. Si va verso un’intesa per la
cessazione del fuoco o si tratta di una quiete prima della tempesta?
Il “Supremo” della Croazia ha ricevuto nella sua residenza i direttori e
commentatori politici della radiotelevisione di stato, dei principali giornali e
settimanali del paese. Dimostrando ancora una volta di essere il presidente
di tutti i cittadini, Tudjman ha escluso i giornali dell’opposizione. Ai
presenti ha impartito le direttive sul come esprimere la politica dello stato e
gli
“interessi nazionali”, in nome dei quali si può anche stuprare la verità, o
tacerla se è il caso.
Il vice premier croato Ivica Kostovic, incontrandosi a Zagabria con il
vice segretario di Stato americano per i diritti civili, John Stattuck, ha
affermato:
«Abbiamo discusso dei singoli casi di incendi e saccheggi e di uccisioni
di alcuni civili, del ritorno dei serbi che hanno lasciato la Croazia dopo
l’Operazione Tempesta e dei casi di violazione dei diritti umani nei territori
liberati». Queste invece, secondo l’agenzia Hitia, sono state le dichiarazioni
di Stattuck: «Abbiamo avuto colloqui molto importanti sul diritto al ritorno
in patria dei cittadini croati di nazionalità serba che hanno abbandonato la
Croazia». Sullo stesso argomento l’alto funzionario statunitense ha avuto un
colloquio anche con il ministro dell’Interno Ivan Jarnjak.
Dei suoi incontri l’americano non è rimasto soddisfatto. Lo si è capito
da quanto ha detto ai giornalisti in una conferenza stampa convocata anche
per fare il punto sui viaggi da lui compiuti, nel corso degli ultimi tre giorni,
attraverso i territori riconquistati dalle forze di Tudjman in Croazia e nella
Bosnia settentrionale. Le sue tappe sono state: Petrinja, Glina, Vojnic,
Vrginmost, Velika Kladusa, Bihac, Kljuc, Bosanski Petrovac, Kulen Vakuf,
Knin ed altre località.
«Il rispetto dei fondamentali diritti umani, la tutela dei beni e le garanzie
per il sicuro ritorno di tutti i cittadini della Croazia sono le basi per la
continuazione delle trattative di pace. Le garanzie date dal governo croato
per il ritorno degli esuli serbi non soddisfano, dovrebbero essere di gran
lunga più solide. Ci siamo poi resi conto che negli ex settori nord e sud
[Banja, Kordun, Lika ovvero ex Krajina e Slavonia occidentale] la
situazione è drammatica.
Insistiamo nel chiedere al governo croato di far cessare subito questo
stato di cose». Nei villaggi isolati della regione “liberata” le distruzioni
delle case e le uccisioni dei civili non sono cessate neppure durante e dopo
la visita di Shattuck. I commissari inviati da Zagabria nella regione gli
hanno detto di aver preso «tutti i provvedimenti necessari per impedire
l’ulteriore distruzione dei poderi e delle case serbe e le violenze fisiche» ma
sono promesse fatte già troppe volte. Il funzionario statunitense perciò si
dice preoccupato e teme che con questa politica si vogliano “convincere” i
serbi fuggiti dell’impossibilità di tornare, cancellare in essi ogni speranza o
voglia di fare ritorno, tanto più che le case finora risparmiate dagli incendi
sono state sequestrate dal governo croato e vengono concesse ai nuovi
coloni croati mandati nella regione.
L’inviato americano ha affermato inoltre di aver raccolto le prove
dell’esistenza di fosse comuni e di altre stragi di grandi dimensioni
commesse anche nella Bosnia settentrionale dopo la “liberazione” di
quell’area.
A due mesi circa dalla conclusione dell’Operazione Tempesta nella
Krajina, la 94agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
televisione di stato croata continua a portarci nelle case il panorama
della maestosa fortezza di Knin, dall’alto della quale sventola una bandiera
lunga 20
metri, le scene dei volti sorridenti dei liberatori in uniforme, a
ritrasmettere brani del discorso euforico pronunciato da Tudjman, le scene
del corteo dei ministri e gerarchi, degli operai che cominciano a ricostruire
questo e quell’altro impianto, di rari bambini che giocano, di treni che
tornano a correre lungo la strada ferrata della Lika: tutto è allegria e
ottimismo televisivo nella ex Krajina ora che è stata ripulita dall’antica
popolazione e spalancata ai colonizzatoti (ma anche ai ladri, ai
saccheggiatori, agli incendiari, agli assassini). L’ex capitale della Krajina,
scrivono in un servizio su Knin gli inviati del Novi List Sanja Modric e
Nenad Rebersak, «è in realtà una città fantasma, città delle ombre». Vi si
vedono: arredi domestici degli ex abitanti sparsi per le strade, vi si sente
ancora il puzzo della guerra; è stata registrata un’esplosione demografica di
mosche; i negozi restano sventrati e vuoti dopo i saccheggi; una bianca
coperta da bambini con orsetti colorati viene calpestata dagli scarponi
militari. Le finestre delle case distrutte sono chiuse, le persiane abbassate.
Le scritte sulle mura delle case sono messaggi e ammonimenti lanciati dai
nuovi occupanti: “Questa è ora una casa croata”, “Qui abita un profugo
croato”, “Qui un invalido di guerra patriottica, croato”…
I
Knin è deserta, ma non manca l’ufficio della Lotteria croata che invita a
tentare la fortuna, ad arricchirsi. Lo hanno già fatto in molti, dandosi al
saccheggio. «E Iddio dal cielo sta a guardare, tace e annota nel suo libro.
Parlerà al momento opportuno», scrivono gli inviati da Fiume.
Il commissario governativo di Knin, Petar Pasic, dice che «scrivere di
incendi e di altre cose non ci fa onore, non è bello». I due giornalisti gli
fanno notare di aver visto con i propri occhi le case serbe bruciare. «Ecco
là, guardate: in direzione di Drnis, nel villaggio di Kalanji stanno bruciando
le ultime tre case». «Sì, ma non va bene scriverlo». Sanja e Nenad devono
promettere alla fine che non scriveranno più di queste cose, «anche perché
ormai nel territorio liberato non è rimasto più niente da bruciare o
saccheggiare». Donji Lapac, per esempio, è bruciata interamente, le frazioni
e i villaggi sono stati trasformati in carboni neri. Ma il commissario insiste:
«No, no, le cose vanno viste e giudicate nel contesto… tutto il resto è
propaganda anti-croata!».
Secondo il censimento del 1991, il comune di Knin contava poco meno
di 43.000
abitanti: 38.888 di nazionalità serba, 3.886 di nazionalità croata.
Durante la secessione serba, sono rimasti soltanto 258 croati, altri 3.500
furono cacciati.
Durante l’Operazione Tempesta, quasi tutti i croati che erano rimasti a
Knin sono fuggiti in Serbia insieme al 97% dei loro conterranei di etnìa
serba. Come mai? Il vice commissario di Knin, Veljko Djakovic, risponde
che non c’è nulla di strano: «Erano dei traditori». Al servizio dei Caschi
Blu, come interprete a Knin, c’era un croato. Anche lui si è rifiutato di
restare quando sono arrivati i soldati e i funzionari di Tudjman.
Sanja e Nenad tentano di intervistare un soldato croato, nativo proprio
di Knin, ex profugo rientrato a casa in uniforme ma non con lo spirito del
vendicatore.
Dapprima rifiuta di rilasciare una qualsiasi dichiarazione, poi prega di
non essere fotografato e dice: «Potrei raccontarvi un sacco di cose,
porcherie, ma non posso, non mi è permesso di parlare. Vi prego, non
rovinatemi… ». Alla fine sbotta: «Insomma, qui non si può più vivere,
questa non è più la città che conoscevo io… Io, di Knin, come posso vivere
senza il popolo di Knin? Eravamo abituati a vivere con i nostri serbi, ora se
ne sono andati. Che cosa ho da spartire io con questi che sono venuti dalla
Vojvodina e da Banja Luka? Chi li conosce? I criminali serbi vanno
condannati, ma che male ha fatto la povera gente serba? È gente come noi,
bisogna lasciarli tornare a vivere con noi. Che ci manca se viviamo
insieme?».
Diversamente la pensa una donna, Milka Granic, che ha occupato un
negozietto installandovi un’osteria per i militari. È venuta da Spalato per
arraffare qualcosa. Di chi era prima questo locale? «E che ne so io?
Chiunque fosse, se ne è andato, grazie a Dio. E adesso ci sto io. Io sono una
grande cattolica [nel dirlo si fa il segno della croce] però l’ho detto anche al
mio parroco a Spalato: saprei sgozzare un serbo, se fosse necessario. Perché
quelli vanno sgozzati». Un pranzo da Milka costa caro. Fa pagare 24 kune
una porzione di “cevapcici” che a Zagabria o a Fiume ne costa 10. È
patriottismo il suo. Il soldato di prima, che non vuole dire il proprio nome,
rivela che Milka in realtà non è padrona del locale, si limita a gestirlo per
conto di un 95agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
ufficiale dell’esercito croato.
Nella concessione dei beni immobili abbandonati dai serbi c’è una scala
di priorità: al primo posto vengono i “difensori della patria”, reduci, invalidi
di guerra e le loro famiglie. Solo quando i loro appetiti sono stati
soddisfatti, vengono gli abitanti di Knin. Al vice comandante della
guarnigione, maggiore Gojevic, viene chiesto se sono cessati gli incendi
delle case serbe nell’area del comune di Knin. «Certo, sono cessati». Si fa
qualcosa per accertare gli autori dei crimini commessi finora? «È una
faccenda della polizia, chiedete a loro». Non ci sono stati militari fra gli
incendiari? «In proporzione i militari hanno appiccato il fuoco a poche
case». E questi pochi militari incendiari sono stati arrestati? «No, contro
nessun militare è stata mossa una qualche accusa, ma… — solleva il dito
indice della mano destra in alto — questo non dovete scriverlo. Mi
ricorderò di voi se verrete ancora una volta a Knin!».
Ancora un incontro con il commissario governativo di Knin, Petar
Padic. Gli viene chiesto come potranno rientrare nelle loro case i cittadini
croati di nazionalità serba fuggiti da Knin e dalla Krajina. «In nessun
modo», risponde.
«Essi sono ora cittadini di un altro stato». Gli si fa notare che non è
vero, restano cittadini croati profughi in un altro stato. «E va bene, ma dove
hanno il certificato di cittadinanza? Da questo municipio non gli verrà mai
rilasciato». Se la ride. La donna di prima, che ascolta il colloquio nella sua
osteria, vuol dire ancora la sua: «Io ti dico che solo un serbo morto è un
buon serbo. Solo morto è buono!». Grande cattolica e grande patriota questa
signora venuta dalla Dalmazia, per arraffare.
UN COLPO ALLA NUCA
Io OTTOBRE
Chiamato dal governo di Izetbegovic a intervenire in Bosnia per
sostenere l’armata musulmana nelle operazioni contro i serbi, l’esercito di
Tudjman ha occupato finora un territorio di 4.166 chilometri quadrati sul
quale nel 1991
vivevano soltanto 30.075 croati, una media di 7,3 croati per chilometro
quadrato. Tutto questo territorio è stato annesso alla “Repubblica croata di
Erzeg-Bosnia”.
Nel momento in cui Izetbegovic sperava di poter conquistare la regione
di Banja Luka con l’aiuto delle forze croate, queste hanno cessato ogni
ulteriore operazione in quel settore della Bosnia. Scontri armati fra croati e
musulmani nei territori strappati ai serbi, ma contesi dai due alleati, hanno
incoraggiato Mladic e Karadzic.
Nel settore del fiume Una i croati hanno subito la prima sconfitta e sono
stati ricacciati oltre il corso d’acqua, mentre i musulmani — privi
dell’appoggio dei croati — subiscono intensificati attacchi delle forze serbe
che hanno riconquistato parte dei territori perduti nelle ultime settimane,
rafforzando altrove le linee di difesa.
Alla già alta tensione sul piano militare e politico fra croati e
musulmani, si è aggiunta la malfamata intervista di Tudjman al Figaro. Il
capo supremo dei croati, dunque, si è assunto il compito di europeizzare i
musulmani di Bosnia, di portarli verso la civiltà europea. Sono in molti,
invece, a sperare che i croati e gli altri cittadini della Croazia riescano
democraticamente a sbarazzarsi di quest’uomo che sta trascinando il paese
fuori dall’Europa. Il
“Supremo” non ha capito che se Sarajevo è riuscita a resistere per tre
anni all’assedio lo deve soprattutto alla sua cultura, a quella superiore
civiltà della convivenza inter etnicache Tudjman ha cercato di distruggere
in Croazia seminando con la sua politica/cultura il fondamentalismo
nazionalistico, lo sciovinismo, l’intolleranza e l’odio razziale. Quell’odio
che ha provocato stragi nella Krajina e nei territori della Bosnia “liberati”
dagli eserciti croato e croato-bosniaco. Al punto che proprio in questi
giorni, ed è la terza volta,
il Consiglio d’Europa ha sbattuto la porta in faccia alla Croazia.
Gli eurodeputati hanno posto a Tudjman e al suo regime pesanti
condizioni. Gli si chiede di prendere “senza rinvii” misure che permettano il
rientro in patria delle 150-170.000 persone che sono state costrette a
lasciare la Croazia in seguito ai “lampi” e alle “tempeste” di fuoco. Si
chiede a quel regime di trascinare davanti ai tribunali coloro che prima,
durante e dopo le operazioni militari, hanno brutalmente calpestato i diritti
umani. Il governo di Zagabria ha tenacemente ripetuto per settimane e mesi
che non ci sono state violazioni.
Alla fine ha ammesso qualcosa: sono stati crimini sporadici. Ora
comunica all’Onu che sono state processate 370 persone sorprese a
saccheggiare, rapinare, incendiare ed ammazzare: 266 civili, 75 poliziotti e
35 soldati. Ma di questi 96agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
processi nessuno sa nulla, nessuno ha sentito parlare, probabilmente non
ci sono mai stati. Per il Novi List di Fiume si tratta di una bugia bella e
buona. Il quotidiano aggiunge: «Se il capo dello Stato, che conduce anche
la politica estera, ritiene che lo svuotamento della Krajina dai serbi è la
condizione per la sicurezza e la stabilità della Croazia, come ha più volte
detto e ripetuto Tudjman, allora c’è poco da sperare che la Croazia si
affretterà ad assicurare ai profughi serbi le condizioni del loro ritorno per la
bella faccia di un qualche Consiglio d’Europa». La commentatrice Jelena
Lovric scrive che «dopo tutti gli schiaffi che ha ricevuto dall’Europa e
dall’America» per la pulizia etnica attuata in Croazia e per gli innumerevoli
crimini di guerra compiuti in questi ultimi mesi, soprattutto nella
primavera-estate 1995, «c’è da dubitare che il regime di Zagabria desideri
portare la Croazia nella società europea».
Molti gerarchi del regime tudjmaniano preferiscono star lontani
dall’Europa piuttosto che essere costretti da questa «a correggere il proprio
modo di agire ed a frenare il proprio arbitrio». «Invece di sforzarsi di
mettere ordine in casa, la Croazia sta precipitando verso il disordine e il
caos».
Con la liberazione della Krajina ci si attendeva che lo stato di diritto
arrivasse a Knin e si stabilisse in tutto il territorio della Croazia. È
accaduto invece che Knin ha continuato ad essere territorio di rapina e
saccheggio, con la differenza che a rapinare e saccheggiare sono ora i croati
ai danni di sé stessi; l’anarchia e il diritto del più forte stanno dilagando
come un mucchio selvaggio da un capo all’altro del paese. Se una cosa può
essere fatta impunemente a Knin, perché non farla anche a Zagabria? Così
gruppi armati nelle uniformi dell’esercito croato scorrazzano in questi
ultimi giorni anche nel centro di Zagabria, penetrando nelle abitazioni e
cacciando la gente dalle loro case.
Nel pomeriggio di oggi, a Marija Bistrica, si è concluso il terzo
pellegrinaggio dell’esercito croato al Santuario della Madre di Dio, il più
celebre tempio nazionale dei croati. Il primate della chiesa cattolica croata,
arcivescovo e cardinale Franjo Kuharic, ha tenuto un discorso altamente
patriottico, nel quale non ha però mancato di denunciare, alla presenza di
3.500 soldati ufficiali e commissari politici, quei crimini commessi nei
territori recentemente liberati della Krajina che hanno inchiodato la Croazia
alla colonna internazionale della vergogna. Avrebbe potuto levare la sua
voce sin dalla fine della prima decade di agosto, prima che gli eccidi e le
distruzioni dilagassero, ma va apprezzato anche quel poco che ha detto oggi
contro «i saccheggiatori e gli incendiari che hanno seminato distruzioni e
devastazioni di tali dimensioni che certamente non fanno onore all’esercito
croato», contro quei criminali che «hanno offeso l’intera Croazia, l’intero
popolo croato».
Molto probabilmente anche nelle mani del porporato croato è capitato
un primo rapporto sulla missione compiuta in Krajina da un gruppo di
osservatori dell’Unione Europea. Nel documento si afferma che, fino al 18
settembre, essi hanno visitato 240 villaggi serbi che prima della
“liberazione” contavano 18.232
case. Di queste più di 13.000, ovvero il 73%, sono state totalmente o in
gran parte distrutte con l’esplosivo o con il fuoco nei giorni e nelle
settimane successive all’ingresso nella regione dell’esercito croato. Da
notare che le distruzioni sono continuate dopo la data indicata dal
documento, nel quale si legge pure che ogni giorno in media vengono
rinvenuti i cadaveri di sei persone sgozzate o uccise con colpi di pistola alla
nuca. Si tratta prevalentemente di uomini anziani.
A proposito di queste esecuzioni sommarie, il Comitato croato di
Helsinki per i diritti umani informa che i cadaveri delle vittime, a bordo di
elicotteri e altri mezzi di trasporto dell’esercito e del Ministero degli Interni,
vengono trasportati nei cimiteri di Gracac e di Knin e sepolti. Nel
comunicato del Comitato, firmato dal presidente Ivan Zvonimir Cicak, si
smentisce pure la notizia secondo cui in Croazia sarebbero state arrestate e
processate circa 300
persone per crimini commessi nei territori recentemente liberati. Queste
persone, si precisa, sono state soltanto interrogate, e tuttora sono in libertà.
Stando alle testimonianze fornite dalle rarissime persone presenti nei
villaggi, altri compaesani che, insieme a loro, si erano rifiutati di unirsi alle
colonne dei fuggiaschi, sono semplicemente scomparsi nel nulla o sono stati
arrestati e portati chissà dove dopo la “liberazione”. Alla data del 20
settembre i serbi rimasti nella Krajina erano 3.500; oggi sono molti di
meno.
Il rappresentante dell’Orna a Knin, Alun Roberts, ha affermato che, a
cominciare dall’offensiva di agosto, l’esercito croato «non ha mai cessato di
condurre una sistematica operazione di saccheggi, di distruzione col fuoco e
di liquidazione fisica dei civili serbi rimasti»; indistintamente tutti i villaggi
serbi sono 97agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
stati distrutti interamente o in gran parte, sicché è impossibile che in essi
ritornino gli abitanti che ne sono fuggiti. «Nonostante i reiterati inviti rivolti
alle autorità croate di intervenire, poco o nulla è stato fatto per far cessare
tutto questo», ha aggiunto Roberts. Gli osservatori dell’Onu e dell’Unione
Europea traggono la conclusione che «si tratta di una campagna troppo ben
coordinata e organizzata per poter essere casuale, volta invece a cacciare da
questa parte della Croazia anche la superstite popolazione serba e impedire
il ritorno degli esuli».
In Bosnia sono ripresi i combattimenti nell’area nordoccidentale.Le
forze serbo-bosniache sono passate alla controffensiva con l’obiettivo di
riprendersi la cittadina di Bosanska Kupa, conquistata due settimane fa dal
5° corpo d’armata bosniaco-musulmano, appoggiato dai croato-bosniaci e
dalle truppe di Zagabria. I serbi sono avanzati verso Bosanski Novi e Otoka
a nord est di Bihac e verso sud alla volta di Bosanska Krupa, appunto,
bombardando la città con l’artiglieria pesante. Un alto dirigente della
cosiddetta “Repubblica serba” di Bosnia ha detto che i musulmani hanno
già ottenuto troppo nelle trattative di New York e nuovi appetiti non
saranno soddisfatti. A sua volta il mediatore inviato da Clinton giudica che
sia ancora “profondo” il fossato fra le parti in conflitto, e una tregua non si
presenta molto vicina.
Si riparla del massacro provocato il 28 agosto al mercato di Sarajevo.
Secondo esperti militari britannici, le bombe non furono sparate da mortai
serbo-bosniaci ma, sembra, dai musulmani nel quadro di una strategia tesa
ad influenzare i negoziati di pace e provocare un clima anti-serbo. Ora si
dubita anche della paternità del bombardamento contro la sede della Tv di
Sarajevo, avvenuto il 29 giugno, e dei precedenti massacri al mercato.
In tempi brevi, con le trattative o con la guerra, la Croazia vuole
riannettersi la Slavonia orientale, la Baranja e lo Srijem occidentale, ultime
fette di territorio tuttora sotto il controllo dei secessionisti serbi. Lo hanno
affermato il presidente Tudjman e il suo ministro degli Esteri Mate Granic.
Il primo, durante un incontro con Holbrooke, l’inviato di Clinton, è stato
irremovibile: entro un mese l’esercito croato invaderà il territorio al cui
centro si trova la città di Vukovar. Granic ha spiegato che, una volta liberata
la regione, il regime di Zagabria «non accetterà che in quei territori venga
indetto alcun referendum, né concederà alcun statuto speciale di
autonomia». Una nuova miccia accesa sotto la bomba balcanica.
IL MASSACRO DI VARIVODE
2 OTTOBRE
Da una decina di giorni in Bosnia non si segnalano operazioni militari
di rilievo, ma non ci sono nemmeno progressi verso un accordo sulla
cessazione del fuoco. I serbi sono riusciti a consolidare la linea del fronte
nell’area centro-occidentale, bloccando l’avanzata dell’armata musulmana e
dell’esercito croato-bosniaco a una trentina di chilometri da Banja Luka. Si
combatte con una certa vivacità, poi, nella zona del nord ovest che va da
Bosanska Otoka a Bosanska Krupa: le forze serbe sono a soli due
chilometri da quest’ultima cittadina ed a quattro chilometri da Kljuc, mentre
si sono quasi spente le scaramucce nel “corridoio di Brcko”. «I croati non
vogliono continuare a combattere in Bosnia — si è lamentato il presidente
bosniaco Izetbegovic — e perciò sarà difficile continuare ad avanzare sui
fronti». In effetti i musulmani sono arretrati a sud e ad est dell’area di
Bihac.
Intanto in Croazia «continuano i saccheggi e gli incendi delle
abitazioni» sul territorio della Krajina. Vi è il pericolo di assuefarsi anche a
questi orrori quotidiani dato il loro ossessivo ripetersi. Durante l’odierna
conferenza stampa a Zagabria, il capo degli osservatori dell’Onu Chris
Gunnes ha precisato che
«gli autori di questi misfatti sono persone che indossano uniformi
militari» e che «il fenomeno dei saccheggi delle case abbandonate negli ex
settori nord e sud sta entrando in una nuova fase, diventando sempre più
preoccupante». Nel senso che non vengono risparmiate nemmeno le case
ancora abitate, i cui proprietari — serbi naturalmente — vengono
semplicemente liquidati dai saccheggiatori.
Ormai le denuncie di uccisioni, saccheggi e incendi, cadono addosso
alla Croazia da più parti ma Tudjman, che va in giro festante e trionfante,
continua ad ignorarle. Dal suo menefreghismo non lo ha scosso nemmeno
un orrendo massacro, avvenuto lo scorso 28 settembre, del quale si è avuto
notizia appena oggi, ma a lui ben noto: «Dodici anziani serbi sono stati
uccisi con un colpo alla nuca e i loro corpi mutilati sono stati prelevati da
un elicottero militare e sepolti in un luogo segreto», come si è espresso
Chris Gunnes, con 98agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
qualche imprecisione.
Un documento circostanziato sul misfatto è stato invece fornito dal
Comitato croato di Helsinki per i diritti umani. Il massacro porterà il nome
di
“Varivode”, il villaggio nel quale è avvenuto, non lontano dalla cittadina
di Kistanje.
Il documento comincia con il denunciare il colpevole silenzio finora
mantenuto dal regime (e non soltanto su questo episodio): «Ormai si tratta
di alcune centinaia di persone massacrate, per lo più anziani, mentre di
numerose altre si ignora la fine che abbiano fatto dopo che sono state
portate via dai loro villaggi da persone in uniforme, facendo perdere di loro
le tracce». Per quanto riguarda il massacro di Varivode, si fanno i nomi
delle persone massacrate — si precisa — verso le ore 17.30 di giovedì
passato: Jovan Beric e sua moglie Milka, l’uno di 75 e l’altra di 71 anni;
Ljubo Dujo Dukic e sua moglie Mara, di anni 75
e 70; Mirko Pokrajac e Milan Pokrajac, rispettivamente di 85 e 70 anni;
Mara Beric di 70 anni e Rajko Beric di 69; Spiro Beric di 69; Jovan Beric di
60; Marko Beric e Vukica Beric ottantenni.
Nel villaggio viveva anche Bojanka Milosevic, nata Beric, che secondo
la polizia si troverebbe ricoverata nell’ospedale di Knin sotto la sua
protezione. La casa della donna a Varivode è stata incendiata. Nel villaggio
era rimasta inoltre Soka Dobrijevic, che è riuscita a salvarsi ed ora si trova a
Sebenico presso alcuni parenti. Al momento del massacro, nel villaggio si
trovavano pure Mirko Dobrijevic e Spiro Dobrijevic la cui sorte non è nota.
Due giorni dopo la strage, sabato 30 settembre, funzionari di polizia
hanno compiuto un sopralluogo a Varivode, presenti sei poliziotti in
uniforme ed uno in abiti civili, comandati da Adem Mehmedovic della
Questura di Zara. Sui muri delle case nelle quali sono stati ammazzati i 12
anziani c’erano tracce di sangue e pezzi di carne umana spiaccicati. Ai
parenti delle vittime, residenti in varie città della Croazia, non è stata fornita
alcuna notizia sulla sorte dei congiunti, né è stato loro possibile presenziare
alla sepoltura, avvenuta in una fossa comune nel cimitero di Knin.
Il Comitato croato di Helsinki per i diritti umani ha tentato più volte di
contattare i responsabili del Ministero degli Interni a Zagabria, ma si sono
trovati di fronte a un muro di silenzio. (I servizi speciali della polizia civile
e di quella militare sono sotto il comando del generale Miroslav Tudjman,
figlio del “Supremo”.) Il Comitato rileva pure l’esistenza di numerosi indizi
dai quali si deduce che massacri come quello di Varivode sono avvenuti
anche in altre località, e promette di informarne l’opinione pubblica dopo
aver verificato le informazioni.
«Dopo aver massacrato la Krajina — ha dichiarato il deputato fiumano
Vladimir Bebic in un discorso elettorale — ora Tudjman sta trasformando
in Krajina l’intera Croazia». Forse questo è il suo merito maggiore, e bene
ha fatto il presidente del Parlamento croato, Nedjeljko Mihanovic a
proporre la nomina di Tudjman a presidente a vita «Perché dopo il re
Zvonimir non c’è stato in Croazia uno statista più meritevole di lui».
SULLA SOGLIA DI CASA
3 OTTOBRE
La suddivisione territoriale della Bosnia Erzegovina nel rapporto di 51 a
49
resta la base permanente dell’attuale iniziativa di pace, ha detto il
presidente bosniaco Izetbegovic. «Le proporzioni potrebbero però cambiare
nel caso in cui l’iniziativa americana fallisse per colpa dei serbi e se
l’armata bosniaca continuasse a liberare nuovi territori».
Continua il lavoro dei mediatori internazionali alla ricerca di un’intesa
che faccia cessare le ostilità, ma la situazione militare si è aggravata:
l’esercito musulmano ha sferrato starnarli un attacco contro i serbi a sud di
Sarajevo, ammassando migliaia di uomini ai piedi del monte Igman. I
musulmani hanno anche violato la zona di esclusione (20 Km intorno alla
capitale) aprendo il fuoco delle artiglierie pesanti da quattro postazioni. I
serbi, che hanno ritirato le loro artiglierie una settimana fa, minacciano di
riportarle sulle precedenti posizioni.
Nella Bosnia nordoccidentale,invece, le forze musulmane e croato-
bosniache continuano ad arretrare sotto l’urto di una controffensiva serba.
Gli uomini di Mladic sono arrivati ad un chilometro da Otoka e controllano
un punto strategico, ad est della città, dal fiume Una al villaggio di Drenova
Glavica.
Obiettivi dei serbi sembrano essere Kljuc e Bosanska Krupa.
Jasushi Akashi, inviato del segretario generale dell’Orni nell’ex
Jugoslavia, ha preso lo spunto dal massacro di Varivode (25 Km a sud ovest
di Knin, Krajina) 99agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
per dire oggi a Zagabria:
«Questo ennesimo crimine contro i serbi rimasti in Croazia dopo
l’offensiva nella Krajina dimostra la necessità di instaurare un controllo
internazionale a tutela della popolazione serba superstite che oggi vive nel
terrore della persecuzione». «Esisteva la speranza — ha aggiunto — che
una parte dei profughi serbi tornassero nel territorio della Krajina, ma le
continue notizie di violazioni dei diritti umani, di saccheggi e di incendi di
case, hanno creato un’atmosfera che non contribuisce al rientro dei profughi
serbi. Anzi anche i pochi rimasti, costretti a vivere in un clima di ostilità e
di terrore, chiedono ora di andar via».
È quello che vuole il governo croato. Questo, per bocca del suo
rappresentante al Palazzo di Vetro, Mario Nobilo, ha respinto con cinica
spudoratezza una
“dichiarazione” di condanna del Consiglio di Sicurezza nella quale: a)
«si chiede al governo croato di rispettare pienamente i diritti della
popolazione serba locale, compreso il diritto a restare e/o tornare in
sicurezza sulla propria terra»; b) di «promuovere un’inchiesta su tutti gli
episodi di violazione dei diritti umani»; e) di «prendere i provvedimenti per
far cessare tali crimini». Il Consiglio di Sicurezza «invita inoltre il governo
croato ad abolire qualsiasi limitazione posta al ritorno dei profughi ed alla
restituzione dei loro beni». Che cosa ha detto, a proposito di questo
documento, il signor Nobilo? Ha ripetuto, come in una recita teatrale,
parole e frasi che da due mesi ricorrono sulla bocca dei gerarchi del regime
croato: «I serbi che hanno abbandonato la Croazia possono essere
considerati tutti profughi; la maggior parte dei 120.000 serbi che hanno
abbandonato la Croazia lo hanno fatto spontaneamente, nonostante gli
appelli delle autorità croate a rimanere. Essi non sono stati costretti ad
andarsene, né sono stati cacciati. La loro partenza è stata volontaria e,
secondo le convenzioni internazionali, le persone che abbandonano
volontariamente un paese non vengono considerate profughi».
A parte le menzogne sul numero dei serbi fuggiti dalla Croazia, sulla
sincerità degli appelli loro rivolti dalle autorità croate a restare, sulle
modalità e le circostanze della loro fuga, non una parola viene detta sul
regime di terrore instaurato in Krajina. Chiara è soltanto la malvagia
volontà di ripulire la Croazia da un’etnìa indesiderata, di ritenere risolto con
la cacciata di quelle popolazioni il secolare “problema serbo” in Croazia.
Intanto si apprendono alcuni nuovi particolari sul massacro di Varivode.
Gli osservatori dell’Orni hanno acquisito le prove dirette che la strage è
stata compiuta da una pattuglia di tre-quattro soldati. Tracce di sangue e
brandelli di carne delle vittime sono stati trovati all’interno e intorno ad otto
case; le persone massacrate, anziani fra i 66 e gli 84 anni, sono state uccise
sulla soglia delle loro abitazioni. Lo ha detto nell’odierna conferenza
stampa il portavoce dell’Orni Chris Gunnes.
Contemporaneamente il Comitato croato di Helsinki per i diritti umani
ha diffuso il testo di un documento nel quale si precisa che le vittime
accertate sono nove, altre tre persone sono scomparse. Quattro superstiti
sono stati rintracciati: l’ottantenne Vukica Beric e Mirko Dobrijevic sono
ricoverati dal 26 settembre all’ospedale di Knin dove si trova anche Milka
Beric, che ha riportato gravi ustioni nell’incendio della sua casa appiccato
dagli autori del massacro; è vivo pure il settantasettenne Milan Pokrajac
ritrovato fuori di senno, smemorato, nel cortile della sua casa anch’essa data
alle fiamme. Uno dei testimoni della strage, la quarantaduenne Bojanka
Milosevic, nata Beric, è stata trattenuta dalla polizia per due giorni nella
camera di sicurezza a Knin, sottoposta a incessanti interrogatori, dopo di
che di lei si è persa ogni traccia. Prima della “liberazione” Varivode contava
600 abitanti; prima del massacro, alla data dell‘11 settembre, ne contava
ancora 17; ora, sottratti i morti, gli scomparsi e i ricoverati in ospedale, in
paese non è rimasto più nessuno.
Il documento del Comitato croato per i diritti umani si conclude con la
notizia della scoperta di fosse comuni recentissime nel cimitero di Gracac:
sono in permanenza vigilate da poliziotti che non lasciano avvicinare
nessuno.
Ho anch’io in mano un documento che riunisce rapporti presentati dalle
squadre operative dell’U»cro per i diritti umani (in sigla “Hrat”), dall’Alto
Commissariato dell’Orni contro la violazione dei diritti umani e dagli
osservatori dell’Unione Europea, tutti in Croazia. Nel preambolo di questo,
che d’ora in avanti chiameremo “Rapporto Uncro”, si precisa che esso è
incompleto, si tratta di appunti per un documento che sarà completato entro
un mese. Si riferisce al territorio della Krajina investita dall’Operazione
Tempesta all’inizio dell’agosto 1995; gli episodi descritti risalgono al
periodo 100agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
successivo alla conclusione dell’operazione militare.
Anche qui, diciamolo subito, si parla di assassinii, di rapine, di
saccheggi, di incendi e di altri orrendi crimini commessi contro le
popolazioni serbe, ed anche da questo documento si riesce a dedurre che
l’operazione militare nella Krajina fu condotta principalmente per attuarvi
una radicale pulizia etnica, cacciando definitivamente la popolazione serba
da quell’area.
Il documento ricapitola, ma soprattutto amplia e completa, la cronologia
dei crimini (già presentata in questo diario in due occasioni: 5-21 agosto e
22
agosto-5 settembre). Qui mi limiterò ai casi più salienti in precedenza
ignorati o solo parzialmente conosciuti e ad alcune considerazioni.
Il 6 agosto di quest’anno, fra il governo croato e Xasushi Akashi a nome
dell’Onu, fu stipulato un accordo grazie al quale fu permesso agli
osservatori dell’ Uncro, il controllo sul rispetto dei diritti umani nella
Krajina appena
“liberata”. Già l’indomani squadre operative di funzionari dell’Orna
(Hrat e Pha) e gruppi di collegamento con la polizia civile croata e con gli
osservatori militari (Caschi Blu) cominciarono a muoversi sul territorio,
incontrando subito mille ostacoli e divieti frapposti dalle autorità militari
croate. Da allora non passò giorno senza che venissero registrati crimini di
ogni genere commessi per ordine, con il consenso o sotto la protezione,
dell’esercito e della polizia croati. Nel documento, come nell’indice di un
libro, i crimini vengono telegraficamente registrati con l’indicazione della
data, del luogo e della fonte d’informazione. Si va dal 7 agosto al 12
settembre, quindi manca ancora il periodo nel quale — anche per
l’irruzione nella Krajina di vere e proprie bande di criminali contro le quali
le autorità non hanno mosso un dito —
i saccheggi, gli incendi delle case ed i massacri della superstite
popolazione serba sono diventati un fenomeno dilagante.
I compilatori del Rapporto Uncro premettono alla cronologia poche
righe per dire che le autorità croate imposero forti limitazioni alla libertà di
movimento degli osservatori internazionali, ai quali per molti giorni fu
impedito l’accesso a vasti territori nei quali, successivamente, sono stati
registrati i crimini più numerosi (evidentemente compiuti quando era
vietato l’accesso ai ficcanaso). Appena dopo il 10 agosto i rapporti
diventano più precisi, più dettagliati e, purtroppo, abbondano sempre più di
cadaveri, di case bruciate e di saccheggi. Così il 16 agosto, il Hrat annota:
«Le autorità [croate] di Knin hanno finalmente permesso all’Orni di
visitare il cimitero. Novantasei croci sono state piantate su quattro fosse
comuni, una delle quali molto grande. Le croci sono vicinissime (circa 70
cm di distanza Tuna dall’altra). I nomi dei morti sono scritti su meno di 20
fosse. […] Un funzionario croato presente ha dichiarato che si tratta in
maggioranza di civili di Knin rimasti uccisi sotto il cannoneggiamenti
dell’esercito croato del 4 e 5
agosto 1995. […] Quando la squadra della polizia civile dell’Orni ha
tentato di scavare in un punto diverso, che sembrava una fossa comune
senza croci, contro di loro è stato aperto il fuoco. Non ci sono stati feriti. La
nostra squadra ha contato 22 tombe recenti, delle quali solo una piccola
parte indicate con le croci e soltanto cinque portavano i nomi. Sono state
notate nuove case bruciate il 15 agosto nei dintorni di Benkovac, Orric e
Drnis… ».
Un’altra annotazione del Rapporto, sempre alla data del 16 agosto, si
riferisce al massacro di quattro persone in località Zagrovici (già segnalato
in questo diario alla data del 31 agosto) ed al rinvenimento di tre cadaveri a
Zverinac e Golubici…
L’indomani, il 17 agosto, fu annotato:
«Il Centro regionale degli osservatori Ec a Zagabria informa che gli
incendi delle case nel settore sud continuano. Trattandosi di un fenomeno di
vaste dimensioni, che colpisce i beni dei non croati, si ritiene che l’opera di
distruzione sia coordinata, ordinata ed sostenuta dalle più alte autorità. E
impossibile valutare le esatte dimensioni delle distruzioni, ma si ritiene
che il 60-80% dei beni nell’ex settore sud sia stato parzialmente o
interamente distrutto.
Una squadra di osservatori ha visitato il centro di raccolta e il carcere
per prigionieri di guerra a Gospic. Nel Centro sono rinchiusi 74 prigionieri
di guerra e circa 80 vecchi. Sono state notate altre case in fiamme, in alcuni
casi erano presenti anche soldati croati. Una casa in fiamme è stata vista nel
villaggio di Padjeni, tre sulla strada tra Padjeni e Gracac, tre a Komalic, due
a Bakarija, tre a Kistanje, tre a Otocac, una presso Drnis.
Una squadra televisiva della Wtn, accreditata presso le forze dell’Orni,
ha tentato di riprendere l’incendio della casa presso Drnis; sette soldati
croati 101agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
trovatisi sul posto hanno catturato gli operatori, li hanno trascinati in
una casa, hanno confiscato le videocassette, col pretesto di controllare i
documenti, si sono appropriati di 1.000 marchi presi dal portafoglio di un
cameraman. Successivamente li hanno consegnati ai poliziotti, i quali hanno
minacciato i tele-operatori di privarli dei passaporti se non avessero
interrotto il loro lavoro».
E così, giorno dopo giorno, un susseguirsi interminabile di civili
barbaramente massacrati un po’ ovunque, case incendiate, soldati e civili
sorpresi a saccheggiare e incendiare, di nuovo cadaveri di civili uccisi da
poche ore o da qualche giorno, nuove fosse scavate nei cimiteri di Knin,
Gospic, Gracac e altrove. Cifre di delitti che aumentano continuamente ad
ogni nuovo sopralluogo degli osservatori internazionali. Emblematico è il
caso del villaggio di Grubori descritto nel Rapporto alla data del 28 agosto:
«La squadra del Hrat ha rinvenuto i cadaveri di cinque persone
recentemente massacrate nel villaggio di Grubori. L’intero villaggio, una
ventina di case e le altre strutture, è stato dato alle fiamme tre giorni
addietro. Dalle testimonianze raccolte risulta che il mattino del 25 agosto
una decina di poliziotti delle unità speciali sono penetrati a Grubori
costringendo gli abitanti ad allontanarsi, dopo di che hanno appiccato il
fuoco alle case. Quando i nostri osservatori sono arrivati sul posto, quello
stesso giorno, vi hanno trovato alcune donne in preda al panico, mentre altri
contadini ci attendevano in prossimità del loro villaggio distrutto. Quel
giorno, da noi informato, il generale croato Ivan Cermak ha assicurato che
avrebbe fatto cessare questo stato di cose, ma nessun rappresentante delle
autorità si è degnato di visitare il villaggio distrutto. La sera del 25 agosto la
nostra squadra è tornata sul posto e vi ha trovato altri due cadaveri: il corpo
di un anziano di circa 70 anni sul pavimento della sua stanza da letto, in
pigiama, ucciso con un colpo alla nuca, e un altro uomo sui 65 anni trovato
nel campo presso la sua casa con la gola tagliata. Quando la squadra ha
lasciato il paese, in questo sono rimasti un uomo e sei donne, tutti anziani,
che hanno rifiutato la nostra offerta di trasferirsi in città. Le donne
piangevano, chiaramente traumatizzate. L’indomani, tornata sul posto, la
squadra Hrat ha trovato i resti carbonizzati di un uomo di 90 anni fra le
rovine della sua casa incendiata. Il 27 agosto, nella medesima località, in un
campo, sono stati trovati i cadaveri di un uomo e di una donna, l’uno di ‘
41 e l’altra di 51 anni. Erano stati uccisi con un colpo alla testa. Le
autorità
croate affermano che gli incendi di Grubori sono stati provocati da un
incontrollato bombardamento nel corso di una operazione antiterroristica in
atto per snidare i gruppi superstiti dell’esercito della “Rsk” nel territorio».
Il 4 settembre, l’équipe del Hrat annota nel proprio diario un episodio
accaduto a Ivosevici. Il 23 agosto gli osservatori militari dell’Orni
rinvengono il cadavere di un uomo ucciso da poco. Ritornano sul posto
l’indomani e notano che il cadavere è stato coperto con un lenzuolo; si tratta
di un uomo sui 75-80
anni. Tornati ancora una volta nel villaggio il 2 settembre, notano che il
cadavere è ancora là, anche se spostato di tre metri, ora coperto con due
coperte sulle quali è stato adagiato un videoregistratore. Rimosse le coperte,
si scopre che il cadavere è stato decapitato. La testa, dopo alcune ricerche,
viene trovata in un porcile…
Di queste e di altre macabre scoperte, gli osservatori militari e civili
continuano a informare tempestivamente le autorità croate, chiedendo loro
di fermare i saccheggiatori, gli assassini, gli incendiari, di far cessare questi
crimini orrendi, ma senza alcun risultato.
A questo proposito troviamo un’annotazione del 25 agosto:
«Ieri, nell’incontro avuto con il generale Cermak, è stata richiamata
l’attenzione della parte croata su questo fenomeno di ininterrotti saccheggi
e incendi delle case. Sulle prime il generale ha attribuito tali atti a
delinquenti travestiti con le uniformi dell’esercito croato, ma poi ha
riconosciuto che le sue competenze si estendono ad un territorio enorme per
cui non è in grado di tenere sotto controllo ogni area. Ha dichiarato che
sinceramente condanna questi fenomeni, che sono contrari alla politica del
governo croato».
Alla data del 1° settembre leggiamo:
«L’Onu continua a protestare contro le limitazioni alla libertà di
movimento poste dalle autorità croate ai nostri osservatori nel territorio a
nord est di Knin. In una lettera spedita ieri al generale Cermak, il
comandante [dei Caschi Blu] del settore sud ammonisce che le squadre Hrat
hanno notato dense colonne di fumo levarsi sopra i boschi all’interno
dell’area vietata alle nostre ispezioni.
102agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
Ha chiesto alle autorità di abolire le limitazioni di movimento e di
metter fine all’incendio delle case. Ha posto infine la domanda: come mai le
autorità croate, che si sono dimostrate capaci di controllare efficacemente
qualsiasi movimento delle nostre squadre in questo territorio, si dimostrano
incapaci di far cessare questa ininterrotta opera di distruzione in massa dei
beni?… ».
Rispondendo il 5 settembre alle lamentele degli osservatori dell’Orni
per le limitazioni imposte ai loro movimenti e per la continuazione
dell’opera di saccheggio e distruzione delle case della popolazione serba
nella regione, il generale Cermak afferma di essere «rimasto sbigottito dalle
vostre dichiarazioni sulla cacciata dei poveri e miseri abitanti dalla loro
terra». Per Cermak sono
«espressioni troppo forti» e «accuse infondate», per cui chiede agli
osservatori dell’Orni di «dimostrare almeno uno dei casi di espulsione delle
persone dalle loro case e di incendio delle loro abitazioni». Nello stesso
giorno in cui arriva questa lettera del comandante croato della guarnigione
di Knin, alcuni osservatori dell’Onu assistono all’incendio di due edifici in
località Cvijanovici e notano due soldati croati che, armi in pugno, tengono
lontano gli intrusi dai loro commilitoni incendiari. Invitato per telefono a
venire sul posto per rendersi conto dei fatti, il generale Cermak fa
rispondere di non essere in sede…
Ai documenti presentati a sua volta dall’Alto Commissariato dell’Orni
contro la violazione dei diritti umani, dall’ Uncro, sempre su stragi,
saccheggi e incendi nella Krajina, fatti pervenire anche alle redazioni dei
giornali croati sulla sistematica violazione dei diritti umani dopo la
“liberazione” della Krajina portata dalla “Tempesta”, le autorità civili
croate, trionfanti per aver
«risolto la questione serba in Croazia», reagiscono alla stessa maniera
del generale Cermak: «Non è vero», «Si tratta di sporadici casi» e, in ogni
caso,
«Si esagera per screditare la Croazia», oppure «Si tratta di intollerabili
pressioni politiche» sulla Croazia.
Per i mass media croati, fatte pochissime eccezioni (Feral Tribune di
Spalato e Novi List - Glas Istre di Fiume), i delitti compiuti nella Krajina ed
altrove dai croati sono un argomento tabù. Dovrebbero esserlo anche per
l’opinione pubblica straniera. Infatti, pochi giornalisti ne hanno scritto, e
molto parzialmente, negli altri paesi dell’Europa. Qualche collega, tuttavia,
ha almeno denunciato l’ostruzionismo degli informatori ufficiali croati. È il
caso di Tomas Miglierina, corrispondente da Zagabria della
Radiotelevisione Svizzera che il 18 settembre del 1995 ha diffuso questo
suo servizio:
«Zagabria. La reintegrazione dell’autoproclamato stato serbo di Krajina,
che per quattro anni ha sottratto alla Croazia un terzo del proprio territorio,
ha segnalato la fine della luna di miele tra la giovane repubblica e i mass
media internazionali. Nel 1991, quando la difesa territoriale croata subiva
l’impari peso dell’esercito federale e delle milizie serbe, i rapporti tra la
stampa estera e i croati erano pressoché idilliaci; ora, a quattro anni di
distanza e con mutati rapporti di forza tra i protagonisti del conflitto
balcanico, un diffuso sospetto e un malcelato disprezzo sembra
contraddistinguere il pensiero di molti editoriali croati e probabilmente dei
loro lettori. L’evoluzione è stata lunga, ha coinciso con il mutare (in peggio)
dell’immagine mondiale della Croazia ma, dalla campagna militare
d’agosto, è peggiorata notevolmente, fino a rasentare la paranoia».
«Non c’è dubbio, la maggior parte dei giornalisti stranieri ha cattive
intenzioni», ha scritto sulla rivista culturale filo-governativa Hrvatsko slovo
lo scrittore e saggista Dubravko Jelcic. E più volte sui principali quotidiani
sono apparsi strali contro la stampa estera, accusata di «orchestrare una à
campagna di spartizione equanime delle responsabilità» tra serbi e
croati (Nenad Ivankovic, sul Vjesnik del 23 agosto 1995).
Gli editorialisti croati hanno tirato fuori dai cassetti della scrivania
improbabili congiure internazionali per controbattere alle accuse di
saccheggi e violenze ad opera dell’esercito croato durante l’Operazione
Tempesta, ma hanno esordito contemporaneamente all’inizio delle ostilità,
ovvero ben prima che l’Onu e le organizzazioni per i diritti umani
cominciassero a “far le pulci”
alle forze di Zagabria.
In certi casi i toni da piagnisteo degli editoriali hanno ricordato quelli di
certa stampa serba di regime che, per quattro anni, ha dipinto l’Occidente
come un sordido manipolo di potenti coalizzati per distruggere l’indifeso
popolo serbo. Cambiavano solo i sostantivi.
Alla Lucie della “Nuova Destra Croata” (i nazionalisti sono sempre in
prima 103agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
fila) durante una conferenza stampa ha chiesto al ministro degli Interni
Ivan Jarnjak se il governo «avesse il dovere di rispondere alle domande dei
giornalisti stranieri, visto che molti si comportano da agenti provocatori».
Associazioni patriottiche hanno scritto telegrammi di protesta agli
inviati che seguivano la guerra di agosto invitandoli ad andare a fare le
stesse domande a Radovan Karadzic.
L’insistenza nel cercare di avere risposte nelle conferenze stampa
(risposte che comunque non venivano date) è stata interpretata come
pregiudizio anti-croato e volontà di infangare la riscossa croata. La
mancanza di pathos di molti stranieri verso tale riscossa e l’attenzione
prestata verso i serbi in fuga sono state liquidate con fastidio: «C’è una
differenza tra i profughi croati e i fuggiaschi serbi, che scappano perché
hanno almeno un croato a testa sulla coscienza o quanto meno fuggono
sopra un trattore che non è il loro», ha scritto indignata una “pasionaria” del
giornalismo croato, Maja Freundlich.
E sono solo note prese a caso da un concerto che ha visto i giornalisti
d’oltre frontiera bollati nel migliore dei casi come superficiali, arroganti e
ignoranti, (accusa a volte veritiera, ma formulata qui in modo del tutto
pretestuoso).
Invece di prendersela con i giornalisti, Zagabria farebbe meglio a
riflettere sulla strategia perseguita durante la guerra, molto simile a quella
degli Alleati durante la guerra del Golfo, e forse proprio da quelli copiata,
che non ha di certo giovato all’immagine dei soldati con la scacchiera,
come la medesima strategia nel 1991 non giovò allora alle forze occidentali.
Prima ancora che il conflitto scoppiasse, la macchina della propaganda
militare si era messa in moto con l’obiettivo di bloccare ogni “iniziativa
privata” dei giornalisti anche quando non pregiudizievole per la sicurezza
delle operazioni: i cameraman della Reuters, déü‘Aptv e della Tv Svizzera,
ad esempio, sono stati fermati dalla polizia militare di Zagabria (e hanno
avuto il materiale confiscato) perché filmavano soldati in un centro di
reclutamento visibile dalla strada a centinaia di passanti. L’intera zona di
guerra è stata naturalmente tagliata fuori all’inizio della battaglia, ma per
giorni e giorni dopo la vittoria è rimasta off limits agli stranieri: ben presto è
diventato più facile visitarla come privati cittadini che come giornalisti.
«Lo facciamo per la vostra sicurezza personale», ha ripetuto più volte il
portavoce dell’esercito croato, generale Ivan Tolj, ed il suo sorriso
sprezzante dimostrava a tutti che non riusciva a crederci nemmeno lui. Ai
tempi della guerra d’indipendenza questo genere di scrupoli li avevano i
generali dell’armata iugoslava, dall’altro lato del fronte. Mladen Lackovic,
portavoce del ministro degli Interni ed ex notabile comunista a Radio
Zagabria è stato anche più esplicito: al telefono ha definito i cameraman
dell’ Associated Press, che chiedevano un lasciapassare, «mercenari al
lavoro per il proprio salario e non per l’interesse della Croazia».
Dopo la vittoria croata, l’unico modo di visitare i territori è stato per
vari giorni il quotidiano tour collettivo su autobus gran turismo del
Ministero della Difesa, con itinerari prefissati e guide in grigioverde.La
stampa estera ha così garantito per giorni la trasmissione di innocui servizi
“fotocopia”. Durante una di queste gite un giornalista locale ha spiegato a
un fotografo della Reuters:
«Fanno bene a farvi girare in autobus, a voi altri. Ci sono anche cose
poco belle qui intorno, e uno potrebbe farsi idee sbagliate. Noi invece
abbiamo la necessaria capacità di autocensura».
L’intero sistema dei rapporti con la stampa è stato centralizzato nelle
mani di due persone, sia per la concessione di informazioni sia per i
lasciapassare. Nei rapporti con polizia e soldati era spesso evidente come da
Zagabria fossero giunti per tempo precisi, forse minacciosi, inviti a tenere la
bocca chiusa con la stampa.
Ancora oggi i soldati non parlano, un po’ per paura, un po’ per effetto
dell’idea ingenerata nell’opinione pubblica che parlare con loro significa
“fare la spia”, tradire il paese. Ciò è più che logico in uno stato come la
Croazia dove, spesso, privati cittadini accusano i propri giornali di rovinare
la reputazione del paese quando questi osano (badate bene alla differenza)
attaccare il governo o il partito che lo esprime.
ORGIA DI SANGUE
4 OTTOBRE
Col pretesto dell“‘autodifesa” cacciabombardieri della Nato hanno
compiuto oggi tre incursioni contro le postazioni antiaeree dei serbo-
bosniaci nella Bosnia centrale e meridionale. I raid sono scattati dopo che
alcuni velivoli 104agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
dell’Alleanza Atlantica erano stati “illuminati” dai radar serbi.
Aspri combattimenti si sono svolti oggi sulle alture dell’Ozren.
Dopo aver riconquistato la località di Otoka nella Bosnia occidentale,
strappandola al 5° corpo d’armata musulmano, le forze serbo-bosniache
hanno cessato i combattimenti fermandosi presso Bosanska Krupa.
Presso Bihac, invece, si sono scontrati duramente soldati “alleati”
dell’Hoc croato-bosniaco e dell’armata musulmana. Sarebbero morti sette
soldati.
Holbrooke continua la sua missione negoziale facendo la spola tra
Sarajevo e Belgrado.
In località Suho Polje, sull’altipiano di Kupres conquistato l’estate
scorsa dalle truppe croate, è stata scoperta una fossa comune risalente
all’aprile del 1992. Qui i serbi massacrarono 34 persone i cui resti mortali
sono stati ora esumati.
Il Ministero degli Interni della Croazia ha smentito oggi
categoricamente le asserzioni del Comitato croato di Helsinki per i diritti
umani sulla scoperta di fosse comuni nel cimitero di Gracac fosse comuni
alle quali la polizia non avrebbe permesso l’accesso. Il Ministero afferma
che si tratta di una sola fossa nella quale sono stati sepolti «tutti i corpi
recuperati dopo i combattimenti nell’area di Gracac». Essa si trova fuori dal
cimitero, vicino alla chiesa ortodossa; la polizia «protegge questa zona» per
impedire la distruzione da parte di eventuali incendiari della chiesa stessa e
degli altri luoghi di culto ortodosso. w.f . ¦ «n .
Per quanto riguarda le varie stragi e le immani distruzioni avvenute
dopo la liberazione della Krajina, il Ministero definisce «completamente
infondate, inesatte e non veritiere» le informazioni contenute nei vari
documenti degli osservatori, contraddicendosi però subito laddove aggiunge
che «le autorità croate hanno già provveduto a far luce su tutte le
circostanze che hanno portato a questi tragici avvenimenti. I risultati delle
inchieste condotte dalle forze dell’ordine verranno posti a disposizione della
magistratura e poi resi di pubblico dominio». Nel medesimo comunicato si
afferma che le denuncie sulle violazioni dei diritti umani «tendono, e non è
la prima volta, a screditare senza alcuna prova valida la polizia croata»; si
tratta di un ennesimo
«tentativo di infangare e screditare le autorità civili e militari croate, al
fine di dare al mondo un’immagine della Croazia quale paese in cui non si
rispettano i diritti umani e le leggi».
Il comunicato, si noti, è una reazione alla denuncia del massacro
scoperto a Varivode ed ammesso, sia pure a denti stretti e dopo molte
reticenze, dalle stesse autorità croate. Le scene di quel massacro, annoto per
inciso, sono state mostrate dalla Cnn con un documentatissimo commento
di Christianne Amanpour. A questo mio diario, invece, affido la
testimonianza fornita da due parenti delle vittime di Varivode che, giunti il
29 settembre nella località, cioè all’indomani del massacro, si sono trovati
davanti i poliziotti croati che hanno impedito loro di entrare nel villaggio
dicendo che in esso era in corso
«un’esercitazione militare», per cui gli è stato “consigliato” di tornare
immediatamente indietro. Ha dichiarato J.B.:
«Finalmente, mi sono detto, a Varivode è arrivata la polizia. Finalmente,
ho pensato, cesseranno i saccheggi e gli incendi. Ma la faccenda delle
esercitazioni militari non mi convinceva. Sono risalito sull’auto e, facendo
un lungo giro, ho cercato di entrare nel villaggio dalla parte opposta, dove
non c’era la polizia. Già presso la prima casa ho visto un corpo umano
parzialmente coperto da un lenzuolo; un po’ più avanti c’era un folto
gruppo di poliziotti e in mezzo a loro una contadina che se ne stava seduta
con lo sguardo assente.
Mentre stavo per decidere se avvicinarmi o allontanarmi, sono stato
sorpreso alle spalle da un poliziotto che ha preso a urlare contro di me. Mi
ha chiesto, sempre urlando, se ero entrato nella casa accanto alla quale stava
disteso quel corpo, se lo avessi toccato. Alla fine sono stato cacciato via».
Un altro testimone, S.Z., era arrivato con alcuni pacchi di viveri che
intendeva consegnare a certe persone anziane del villaggio. Gli è stato
detto, dai poliziotti, che non poteva consegnarli a nessuno, «né ora, né
domani, né mai».
Gli hanno poi consigliato di andarsene via, perché lì non aveva niente
da cercare.
«Vedendo che in mezzo ai poliziotti stava una contadina, che sette
giorni prima i saccheggiatori avevano ferito con una coltellata, ho pensato
al peggio il ed anch’io sono risalito sulla macchina allontanandomi
immediatamente da Varivode. Sono andato a Spalato a casa di Tonci Majic
del Comitato dalmato per la tutela dei diritti civili e gli ho dato un elenco
completo di tutte le 105agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
persone che erano vissute a Varivode fino alla loro ultima presenza in
quel paese».
Lo stesso giorno quell’elenco è stato trasmesso via fax al Comitato
croato per i diritti civili con sede a Zagabria. Il 30 settembre è stato chiesto
l’intervento del ministro degli Interni Ivan Jarnjak, ed appena la sera del 2
ottobre quel Ministero ha diffuso il suo primo comunicato sulla strage. Non
l’avrebbe mai fatto, probabilmente, se non fosse stato preceduto dai
documenti del Comitato croato di Helsinki e degli osservatori dell’Onu. Il
signor Jarnjak, evidentemente, si è reso conto che a quel punto non era più
possibile mettere a tacere la cosa. Ciononostante nel comunicato diffuso dal
Ministero viene riportato il minimo. Non si dice, ad esempio, che nella
settimana precedente il massacro il villaggio è stato sistematicamente
saccheggiato, che i pochi abitanti rimasti (in seguito sterminati) si erano
salvati fuggendo nei boschi.
Tornati in paese con la speranza di essere protetti dalla polizia, sono
stati massacrati — dice la superstite Bojanka Milosevic — da una banda di
soldati in camicie nere arrivati a bordo di un camion. Erano formazioni
dell’esercito croato o mercenari?
Purtroppo Varivode non è un caso isolato. Oggi, a Zagabria, è stato
diffuso da Josè Ayala Lasso, dell’Alto Commissariato dell’Orni per i
rifugiati, un comunicato in cui si legge che nei territori della Krajina «si
continua a saccheggiare e ad incendiare intenzionalmente le case che
appartenevano ai serbi». Il perpetuarsi del fenomeno «desta
preoccupazione». E aggiunge che in quei territori «sono stati scoperti i
corpi di molte persone uccise nei due mesi successivi alla conclusione delle
operazioni militari». Sui corpi di alcune delle vittime «sono stati riscontrati
segni di torture».
Dopo il 30 novembre, data nella quale gli ultimi Caschi Blu dell’Orni
lasceranno la Croazia, ci saranno ancora osservatori internazionali a tenere
gli occhi aperti sulle violazioni dei diritti umani in Croazia?
CESSATE IL FUOCO ?
5 OTTOBRE
E il giorno della pace? Clinton annuncia l’avvenuto accordo sul cessate
il fuoco in Bosnia Erzegovina che dovrebbe mettere fine a una guerra
protrattasi per tre anni e mezzo. La tregua scatterà alla mezzanotte tra il 9
ed il 10 ottobre, ma è condizionata dall’erogazione di acqua, gas ed energia
elettrica a Sarajevo e dal libero transito tra questa città e l’enclave
musulmana di Gorazde. Le armi taceranno per 60 giorni fino al momento di
una vera e propria pace che porterà —
ahimè — alla spartizione della Bosnia (formalmente unitaria): l’entità
serba da una parte e la Federazione croato-musulmana dall’altra. In
quest’ultima, però, musulmani e croati non si fonderanno; gli interessi del
momento lasceranno il posto alle ostilità di sempre. In una lettera al
mediatore europeo Carl Bildt, il ministro degli Esteri bosniacoMuhamed
Sacirbey ha espresso seri dubbi sulla possibilità che si possa giungere ad un
«quadro costituzionale razionale e democratico per il futuro della Bosnia».
L’annuncio di Clinton arriva nel momento in cui i contendenti
continuano a combattere sui diversi fronti. Le truppe serbo-bosniache, nella
loro controffensiva nell’area del nordovest,sono arrivate a due chilometri
dalla città di Kljuc. Le forze musulmane, da una settimana prive
dell’appoggio dell’esercito regolare di Zagabria, hanno già perso una parte
dei 4.000
chilometri quadrati di territorio conquistato nell’offensiva scattata ai
primi di settembre. Violenti combattimenti sono tuttora in corso intorno a
Bosanska Krupa e presso Sanski Most. Si combatte anche nella parte
orientale, sulle alture dell’Ozren attorno al caposaldo serbo di Bosansko
Petrovo Selo. Nei dintorni di Sarajevo, invece, l’iniziativa è nelle mani
delle forze musulmane che tentano di avanzare verso Gorazde, che ora dista
una trentina di chilometri dalle loro linee.
Le hanno messo il coltello sotto la gola, minacciando di ucciderla se
non avesse abbandonato alla svelta il proprio appartamento. Per D.C., di
Zagabria, non è rimasto nient’altro da fare che raccogliere in fretta gli
effetti personali e andarsene, seguita dagli sguardi cupi e minacciosi di
diversi uomini in uniforme mimetica dell’esercito croato. Identico destino è
toccato, negli ultimi giorni, a parecchie persone in Croazia (fanno eccezione
l’ istria e il Quarnero), dove gli sfratti a mano armata si sono nuovamente
moltiplicatisulla scia degli atti terroristici che dilagano nella Krajina. Circa
due anni fa gli sfratti abusivi avevano avuto una specie di boom, soprattutto
a Spalato.
Le autorità croate di Zara, la cui competenza amministrativa è stata
estesa all’area di Knin e dell’ex Krajina, continuano a tacere sulla strage di
Varivode 106agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
dove nove anziani serbi sono stati trucidati dai soliti “ignoti” il 28
settembre scorso. Si rifiutano perfino di dire dove sono finiti gli unici tre
abitanti superstiti che, restando nel loro villaggio, avevano manifestato in
tal modo la volontà di concludere i loro giorni nella propria casa. Ma non
massacrati.
Sulla scia di questo crimine, rappresentanti di Amnesty International a
Zagabria hanno reso noto che «più di 120 persone, tutte al di sopra dei
sessantanni, sono state massacrate negli ultimi due mesi nella Krajina dove
anche i poco più di 3.000 abitanti, rimasti dopo la fuga dei 170.000 loro
conterranei, vengono ora costretti ad andarsene piegati dalle continue
minacce di morte, mentre le loro case vengono saccheggiate e incendiate.
Amnesty International porta ad esempio il caso di una donna di 82 anni
rimasta nel villaggio di Mrko Polje: il 18
settembre, quattro soldati sono entrati nella sua abitazione, le hanno
cacciato in bocca la canna del fucile ed hanno minacciato di ucciderla se
non avesse consegnato il denaro che nascondeva in casa. Si parla anche del
recente caso del villaggio di Grubori dove sono state uccise quattro persone,
delle quali un vecchio di 80 e una vecchia di 90 anni. Per ciò che riguarda
l’incendio delle case serbe nella regione, l’organizzazione internazionale
afferma che «la sistematica distruzione delle case rappresenta una punizione
collettiva inflitta alla popolazione superstite per impedire il ritorno di coloro
che, fuggiti all’inizio di agosto, ora vorrebbero tornare».
Un documento del Comitato croato di Helsinki per i diritti umani,
diffuso oggi, rivela che nei territori “liberati” all’inizio di agosto in Croazia
«sono stati distrutti con il fuoco o con l’esplosivo circa 14.000 fabbricati:
case, scuole, fabbriche, sedi sociali, chiese, impianti agroindustriali.Finora è
stata registrata ufficialmente la morte di alcune centinaia di persone»,
mentre gli osservatori dell’Onu hanno trovato e segnalato «numerose fosse
comuni» senza nomi e senza croci, «sparse nei campi e nei boschi, scavate a
mano o con scavatrici». Finora le autorità croate non hanno autorizzato
l’esumazione.
«Numerose sono pure le persone che sono state portate via da uomini in
divisa e delle quali si è persa ogni traccia». Il Comitato croato di Helsinki
definisce inoltre false le notizie diffuse dai giornali croati secondo le quali
alcune centinaia di persone sarebbero state arrestate per i crimini commessi
nella Krajina. Finora, invece, nessuno è stato chiamato alle sue
responsabilità e
«nessuna misura è stata presa per far cessare queste bestialità».
Sempre oggi, il Comitato croato di Helsinki ha messo a disposizione
dell’opinione pubblica nazionale ed internazionale altri quattro documenti:
la cronologia delle violazioni dei diritti umani nella Krajina; la cronologia
delle violazioni dei diritti umani nella Slavonia occidentale; un rapporto
dell’Alto Commissariato dell’Orni contro la violazione dei diritti umani;
uno speciale rapporto degli osservatori dell’Unione Europea sulla
violazione dei diritti umani a danno dei serbi e dei loro beni in seguito
all’operazione militare croata del 4-8 agosto.
Essendone venuto in possesso nei giorni scorsi, mi sono già
parzialmente servito di questi documenti nel presente diario. Posso soltanto
aggiungere alcune considerazioni contenute nel rapporto degli osservatori
europei (in sigla
“Ecmm”) che “fotografa” la situazione solo fino al 18 settembre.
Uccisioni. Le prime numerose uccisioni di civili sono avvenute già nel
corso dei combattimenti, senza alcuna giustificazione di carattere militare.
Gli osservatori sono stati testimoni, ad esempio, di un cannoneggiamento
contro un convoglio di profughi serbi nelle vicinanze di Glina. Venti giorni
dopo, il 27
agosto, si potevano ancora vedere sparsi su ambedue i lati della strada
Glina-Dvor grandi quantitativi di oggetti personali abbandonati dai
fuggiaschi per sottrarsi alla pioggia delle granate. Più di una volta gli
osservatori hanno avuto modo di trovare cadaveri di civili la cui morte non
è stata causata da azioni belliche: sono stati uccisi a sangue freddo, sgozzati
o fucilati. Queste uccisioni erano finalizzate al successo della campagna di
“pulizia etnica”, poiché i loro esecutori intendevano terrorizzare i pochi
serbi rimasti nel territorio e indurli a prendere la via dell’esilio. Non a caso
le uccisioni sono state particolarmente numerose {al ritmo di sei al giorno)
nell’area di Knin dove «i più frequenti metodi di liquidazione sono il colpo
di pistola alla nuca e lo sgozzamento». Così, sono state fucilate due anziane
donne di Knin l‘11
settembre; un serbo, ucciso il 12 settembre nella stessa area, è stato
prima torturato dai soldati e poi sgozzato; il 17 agosto è stato dilaniato da
una granata lanciata nella sua abitazione un serbo a Daruvar; il 23 agosto
all’alba è stata uccisa con un colpo alla nuca una donna serba nella
medesima località.
Secondo la polizia croata di Daruvar la morte dell’uomo sarebbe dovuta
a suicidio e quella della donna ad un arresto cardiaco.
Il rapporto si dilunga in considerazioni su altri casi di omicidio,
passando 107agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
poi ad elencare e descrivere innumerevoli casi di torture e inenarrabili
maltrattamenti subiti dai civili serbi rimasti ed alla fine costretti a lasciare
anch’essi i territori “liberati” (capitoli 87 e 98 del rapporto).
Saccheggi e incendi. Il punto 9 tratta dei saccheggi. Vi si spiega subito
che «è difficile separare i saccheggi dagli incendi perché solitamente
avvenivano e avvengono quasi contemporaneamente». Nel corso, e
soprattutto dopo, l’Operazione Tempesta il principio “arraffa tutto ciò che
puoi” è stato adottato «sull’intero territorio riconquistato con il tacito
consenso delle massime strutture del potere in Croazia. Quasi tutte le case
sono state perquisite alla ricerca di oggetti di valore di qualsiasi genere».
Non è stato risparmiato nemmeno il bestiame che è stato portato via, vivo o
macellato.
Gli osservatori Ecmm hanno constatato tuttavia una specie di selezione
nei saccheggi: oggetti di minor valore sono stati lasciati quasi ovunque,
specialmente se pesanti. Autori dei saccheggi sono stati reparti e singoli
soldati dell’esercito croato e, nei territori di Topusko, Dvor e Donji Lapac,
anche del 5° corpo d’ armata bosniaco.
Quanto agli incendi, il rapporto sostiene: «Le case sono state date alle
fiamme neü‘intera Krajina e perfino oggi, dopo più di cinque settimane
dagli ultimi combattimenti, continuano ad essere incendiate». La vasta
dimensione del fenomeno della distruzione delle proprietà dei non-croati fa
pensare che ad appiccare il fuoco «non sono state soltanto bande di
saccheggiatori, e comunque gli incendi sono stati toüerati dalle autorità
croate». E più avanti: «La vastità delle distruzioni è allarmante, soprattutto
nella maggioranza dei piccoli villaggi. Il risultato sarà l’efficace
impedimento di un ritorno dei serbi alle loro case; ma sarà anche difficile
ripopolare questo territorio». Nel rapporto si calcola che siano state distrutte
il 60% delle case nella Krajina e il 30% nella Slavonia occidentale.
Risultano distrutti tutti i villaggi. Tra le città interamente devastate dagli
incendi c’è Kistanje, ad ovest di Knin.
Invece, tra le città quasi interamente risparmiate c’è Drnis che, prima
del 1991, aveva una popolazione in maggioranza croata. Città con minori
distruzioni sono pure Knin, Benkovac e Obrovac, nelle quali vengono
accompagnate le delegazioni straniere.
Il quadro si è però aggravato e le percentuali delle distruzioni sono
aumentate col trascorrere dei giorni dopo la seconda metà di settembre in
quanto saccheggi e incendi non sono mai cessati fino a questi primi giorni
di ottobre. A tale proposito, nel rapporto si legge questa considerazione:
«Sullo sfondo di queste insensate distruzioni col fuoco c’è un principio
incardinato nella tradizione culturale dei Balcani per cui la casa-famiglia è,
più di qualsiasi altra cosa, simbolo di proprietà. La distruzione della casa
del nemico è la più grave offesa che si può fargli, poiché si coniugano il
desiderio di distruzione e il desiderio di allontanare per sempre il
proprietario dai suoi beni».
Qui, però, non si tratta di offese o di vendette, ma di una vera e propria
linea politica attuata dal regime di Zagabria ricorrendo al crimine. Gli
obiettivi perseguiti da quel regime erano due, ed ambedue sono stati
raggiunti:
«Riconquistare il territorio perduto con la secessione delle Krajine» e
«far sparire una minoranza etnica numerosa e indesiderata», come si legge
nel documento Ecmm che, giunto alle conclusioni, constata e commenta:
«L’esercito croato indicò e aprì la strada alla fuga di questa popolazione
la quale, a sua volta, si era convinta dell’impossibilità di avere un futuro
nello stato croato. I pochi serbi rimasti nella Krajina dopo l’Operazione
Tempesta sono stati esposti a una politica ostile che si è tradotta in
uccisioni, saccheggi di case, incendi dei beni… ».
Nell’edizione odierna del giornale Novi List è stata pubblicata una
brevissima lettera di Darko Paravic, ex presidente del Tribunale Militare di
Fiume ed eroe della “guerra patriottica” (campagna 1991-1992). Questi tra
l’altro scrive:
«Quale giurista e umanista sento il bisogno di rispondere al richiamo
della mia coscienza urlando la mia indignazione per le quotidiane uccisioni
di civili nei territori liberati. Stato di Croazia, ridestati! Non ritrarre gli
occhi dalle vittime innocenti, vecchi e impotenti! Non sfidare Iddio!
Liberami da questo senso di colpa e di vergogna! Grido la mia protesta
perché è l’unica cosa che possa fare».
MAPPA DI UN DISASTRO
A conclusione di questa parte del diario voglio presentare la mappa di
un disastro di enormi dimensioni che ha colpito l’ex Jugoslavia con la
guerra fratricida e la criminale politica della “pulizia etnica” che pare sia
stato lo 108agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
scopo che si erano prefissati coloro che hanno scatenato quella guerra.
Questa mappa fotografa la situazione esistente a metà del settembre del
1995.
La riconquista della Krajina da parte delle truppe croate ha provocato la
fuga di 250.000 serbi da quella regione, che si aggiungono ad altri 300.000
cittadini della Croazia di etnìa serba costretti a lasciare le regioni di quel
paese non toccate dalla guerra, in seguito ad una sistematica campagna di
persecuzioni, intimidazioni e attentati. Dopo la fuga dell’intera popolazione
serba dalla Krajina, “elementi fuori controllo” delle forze croate hanno
letteralmente saccheggiato tutte le case (e perfino le fabbriche) di quella
regione, incendiandone migliaia per impedire il ritorno dei profughi alle
loro case e alle loro terre. (Saccheggiatori e incendiari si sono macchiati
anche di crimini contro l’umanità: alcune fonti parlano di circa 60.000 civili
massacrati durante la fuga o dopo essere stati scovati nei boschi e sui monti,
dove si erano rifugiati per sfuggire ai combattimenti.)
La tragedia delle popolazioni del Kordun, della Banija, della Lika e
della Slavonia occidentale (che formavano la cosiddetta Krajina) ha
provocato, in risposta, nuove epurazioni etniche da parte dei serbo-bosniaci
e perfino in Serbia, dove i profughi della Krajina hanno trovato accoglienza.
Infatti dalla regione di Banja Luka, controllata dai serbo-bosniaci, sono stati
cacciati circa 20.000 tra croati e musulmani che hanno trovato rifugio in
Croazia, dove le autorità hanno sistemato questi profughi nei territori
abbandonati dai serbi nella Krajina e nella Bosnia occidentale (zona di
Bihac).
In uno stretto corridoio fra la Krajina (Croazia) e l’ex “Regione
autonoma della Bosnia occidentale”, vicino a Vojnic, sono ammassati circa
40.000 profughi musulmani cacciati da Velika Kladusa dall’offensiva delle
truppe di Zagabria.
Molti di questi profughi si rifiutano di rientrare nella regione di Bihac
perché temono di esporsi alla vendetta dei “governativi”, avendo loro
sostenuto per circa due anni la secessione di Fikret Abdic, l’uomo che,
ribellatosi al governo bosniaco di Sarajevo, cercò di rimanere amico sia dei
croati che dei serbi.
Abdic si trova attualmente a Zagabria, sotto la protezione di Tudjman.
Nella Bosnia orientale è particolarmente drammatica la situazione di
circa 40.000 profughi musulmani fuggiti da Srebrenica, la zona di sicurezza
dell’Onu conquistata dai serbi durante il mese di luglio. Molti di essi si
sono rifugiati a Tuzla, dove occupano le piste dell’aeroporto «per paura di
non ricevere le razioni alimentari se si spostassero altrove». A questi va
aggiunto un numero imprecisato, sui 30.000, di profughi fuggiti
dall’enclave di Zepa, anche questa conquistata dai serbi dopo la conquista
di Srebrenica.
Dalle altre regioni della Bosnia, occupate dai serbi, dai croati o dai
musulmani, nel corso di questa guerra sono fuggiti circa tre milioni di
persone rifugiatesi in parte in Serbia, parte in Croazia e gran parte in diversi
paesi dell’Europa e in America.
La Serbia, oltre a circa 700.000 profughi serbo-bosniaci (ma anche
musulmani e perfino croati), ha accolto quest’estate 152.000 profughi dalla
Krajina croata che sono stati dirottati a sud nell’area di Nis (vicino al
Kosovo) e a nord in Vojvodina. D 70% di questi nuovi profughi ha trovato
una precaria sistemazione presso familiari, amici, conoscenti, comunque in
case di privati. Più di 2.000
rifugiati sono stati inviati nel Kosovo per “migliorare” la struttura
etnica, dato che nella regione gli albanesi rappresentano il 90% della
popolazione.
f
QUASI UN’APPENDICE
Impegni assillanti e viaggi quasi quotidiani in vari paesi mi hanno
impedito di tenere un diario regolare dopo il 5 ottobre del 1995. Ma ho
ritenuto necessario ricostruire la cronaca di alcune giornate salienti
nell’evoluzione della situazione in Croazia e Bosnia, con particolare
riguardo alla tematica dei diritti umani che è quella che maggiormente mi
sta a cuore. Quasi un’appendice che potrebbe essere un capitolo di un
nuovo volume, perché so bene che alla tragedia di quelle popolazioni non è
ancora stata messa la parola “fine”.
LA MICCIA DI MOSTAR
8 NOVEMBRE
Al Consiglio di Sicurezza dell’Orni è cominciato il dibattito su uno
schema di risoluzione nel quale vengono posti sullo stesso piano le
«gravissime violazioni del diritto umanitario internazionale» ovvero i
crimini commessi a Srebrenica, Zepa, Banja Luka e Sanski Most dai serbi
bosniaci e quelli perpetrati dai croati (saccheggi, incendi di case, stragi di
vecchi, pulizia etnica) nei territori da essi “liberati” in Bosnia Erzegovina e
nella stessa Croazia dopo le operazioni
“Lampo” e “Tempesta” contro le minoranze etniche serbe. La Croazia
era già stata 109agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
condannata per analoghi crimini con le risoluzioni del 10 agosto, del 7
settembre e del 3 ottobre, tutte ignorate dal regime di Tudjman.
A Zagabria i tre deputati della minoranza serba al Parlamento croato
(Mi-lorad Pupovac, Veselin Pejnovic e Milan Djukic) hanno tenuto una
conferenza stampa sulle questioni umanitarie e la posizione dei civili serbi
costretti a fuggire dalla Croazia durante le operazioni militari di maggio e di
agosto. Nei territori investiti da quelle offensive sono rimasti meno di 5.500
serbi, sparsi in villaggi isolati e sui monti. Che fine faranno nell’inverno che
avanza e dopo la partenza dei Caschi Blu? Qual è lo status dei cittadini
croati di etnìa serba fuggiti dalle loro case e rifugiatisi in Serbia, Ungheria,
Bosnia e Germania?
Chi garantirà la loro incolumità se dovessero tornare in Croazia? E dove
potranno sistemarsi, visto che le loro case sono state distrutte e le poche
risparmiate dagli incendi e saccheggi sono state occupate dai coloni croati?
Tra le poche migliaia di serbi rimasti nel deserto della Krajina e della
Slavonia occidentale c’erano alcune centinaia di uomini al di sotto dei 70
anni; tutti costoro sono stati arrestati. Dopo i lunghi processi inquisitori, i
pochi rilasciati si ritrovano senza documenti, senza soldi, senza casa, senza
alcuna assistenza, e finiscono per espatriare. È proprio quello che vogliono
le autorità croate che, non soltanto negano le carte d’identità ed altri
documenti ai vivi, ma rifiutano perfino di rilasciare i certificati di morte per
i serbi che giorno dopo giorno vengono rinvenuti cadaveri, scannati o
trucidati in altra maniera, nei territori cosiddetti liberati. Le autorità
costringono i parenti di questi morti a seguire lunghe e impossibili
procedure, avendo come obiettivo quello di celare il numero reale delle
vittime dei criminali che hanno scorrazzato, e continuano a scorrazzare,
nella Krajina.
La settimana scorsa, insieme a sei-sette ragazzi padovani, con un
furgoncino carico di aiuti umanitari ho attraversato i territori della
Federazione croato-musulmana sotto il controllo della cosiddetta
“Repubblica croata di Erzeg-Bosnia”. Ci siamo subito resi conto che Mostar
è la miccia che potrebbe far esplodere una nuova guerra; la Federazione
esiste soltanto sulla carta. Ad ogni passo si indovinano gli appetiti
territoriali nei confronti della Bosnia di Tudjman e dei suoi accoliti
erzegovesi. Nella “Repubblica croata di Erzeg-Bosnia” circolano
esclusivamente le “kune” croate e i marchi tedeschi; qui riconoscono il
passaporto croato ma non quello bosniaco; qui sventolano soltanto le
bandiere della Croazia, e non quelle bosniache. Recentemente i croati della
Bosnia si sono recati alle urne come cittadini della Croazia per eleggere i
propri deputati al Parlamento di Zagabria. I ministri della “repubblica
croata”
dichiarano apertamente alla Tv ed ai giornali che questo staterello
conserverà la propria autonomia nell’ambito della Bosnia oppure chiederà
l’unificazione con la Croazia. Durante l’ultima conferenza stampa, Tudjman
ha difeso “lo status giuridico” della “repubblica” contestando l’aggettivo
“cosiddetto” perché secondo lui, «questa Repubblica è uno stato
riconosciuto sia all’interno della Federazione croato-musulmana che dai
documenti internazionali». Che dire quando un capo di Stato spara bugie di
questo calibro?
Sono tornato da Mostar con un documento di Hans Koschnick,
l’amministratore europeo di questa città. Egli ha stilato il bilancio di un
anno e più del suo operato, cominciato il 23 luglio del 1994. Quando
Koschnick vi giunse, solo qualche mese prima la città era stata teatro di
feroci scontri. Quegli scontri ebbero come conseguenza non soltanto
«l’odio, la diffidenza e la conflittualità politica»; essi «hanno distrutto in
maniera incredibile la città». Tuttora la popolazione, soprattutto a Mostar
Est, vive in condizioni spaventose: distrutto fino al 70% degli appartamenti,
si vive per lo più nelle cantine… Sul piano politico, nulla è stato possibile
in direzione della riunificazione della città e della riappacificazione fra
croati e musulmani «a causa del rifiuto e dell’ostracismo della parte
croata». Koschnick ha operato durante tutti questi mesi in «un continuo
scontro politico, soprattutto con i croato-bosniaci». E più avanti: «In ogni
tempo e luogo i croati hanno posto un freno quando si proponeva di dare
inizio al processo di unificazione». «La storia del primo anno deWEuam è
la storia di infinite discussioni con le autorità croate», una storia che
continua perché queste «hanno mantenuto l’idea fondamentale di
conservare la vecchia linea di divisione del fronte, che si trova nel centro
della città, come linea di confine fra due parti indipendenti di Mostar». Non
bisogna fidarsi: «I croati erzegovesi hanno imparato ben presto a firmare
accordi senza rispettarli». Le autorità locali dell’Hdz, il partito di Tudjman
nella sua versione erzegovese, «sono in maggioranza nazionaliste e tra
l’altro sono molto legate ai comandanti militari e addirittura ad alcuni
110agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
capibanda… Essi giocano con successo la carta della paura croata della
penetrazione della maggioranza musulmana e del pericolo per l’identità
croata.
Una Mostar unita non è nei loro interessi né politici né personali, anche
perché alcuni di loro sono considerati criminali di guerra».
TUDJMAN PREMIA I CRIMINALI DI GUERRA
16 NOVEMBRE
Avendo puntato il dito accusatorio contro i crimini compiuti da vari
leader politici e militari serbi dapprima a Vukovar e nelle Krajine, e
successivamente in Bosnia, la leadership e i mass media croati esultarono
quando venne costituito il Tribunale Internazionale dell’Aja per i crimini di
guerra nell’ex Jugoslavia. Tudjman e i suoi offrirono la “massima
collaborazione”. Da oltre una settimana, invece, il tamtam dell’assillante
propaganda è ben diverso; l’atteggiamento croato verso quel tribunale è
cambiato da quando (12 novembre) è stata diffusa la notizia che i giudici
dell’Aja hanno firmato (2 novembre) gli atti d’accusa contro sei croati, tra i
quali due dei massimi leader della cosiddetta “Repubblica croata di Erzeg-
Bosnia”: Dario Kordic, ex vice presidente e poi leader massimo del partito
nazionalista croato di Bosnia (Hdz), e Tihomir Blaskic, comandante
dell’esercito croato-bosniaco, Hvo.
I crimini addebitati ai sei risalgono al periodo che va dal maggio del
1992 al maggio del 1993. In quei 13 mesi le milizie croato-bosniache
rivolsero le armi contro i conterranei musulmani per cacciarli dai territori
della loro
“repubblica” e da Mostar Ovest. Oltre a Kordic e Blaskic, sono imputati
l’ex comandante di Vitez, Mario Cerkez, il sindaco della stessa città Ivan
Santic, un ex comandante dei campi di prigionia nei quali furono ammassati
e torturati migliaia di musulmani.
In Croazia le forze di destra e i più influenti circoli del partito al potere
Hdz esaltano Kordic, Blaskic e camerati come “eroi della guerra
patriottica”.
Nel numero odierno, il quotidiano Novi List di Fiume riporta una
dichiarazione di Ivo Lozancic, vice ministro della Difesa della “Repubblica
croata di Erzeg-Bosnia” e recentemente eletto deputato al Parlamento della
Repubblica di Croazia quale “croato all’estero”. Egli sostiene che Kordic,
Blaskic e gli altri «sono uomini d’onore, e questo lo sa anche il presidente
Tudjman che fa bene a prendere le loro difese, dimostrando cosi di rifiutare
le accuse del Tribunale dell’Aja». Il giornale ricorda in proposito che tutti i
massimi funzionari della “Repubblica croata di Erzeg-Bosnia” sono saliti a
quei vertici su diretta indicazione di Tudjman o su sua autorizzazione. Nel
maggio scorso, in occasione della “Giornata dello stato croato”, l’imputato
Kordic è stato insignito da Tudjman con tre altissime decorazioni. Lui e gli
altri erzegovesi indicati come criminali dal Tribunale Internazionale «non
hanno fatto altro che eseguire sempre gli ordini di Tudjman».
Lo stesso giornale sostiene che, molto probabilmente, il Tribunale
dell’Aja metterà presto nella lista dei criminali anche l’attuale ministro
della Difesa della Croazia, Gojko Susak, braccio destro di Tudjman,
originario erzegovese anche lui. Susak faceva parte della leadership della
“Repubblica croata di BosniaErzegovina”nel 1992, quando venne sferrata
l’offensiva contro i musulmani di Bosnia e furono commessi quei crimini di
guerra indicati nell’atto d’accusa contro Blaskic, Kordic ed altri, all’epoca e
in seguito stipendiati dal governo di Zagabria.
Un altro “eroe della guerra patriottica” macchiatosi di sangue è
Tomislav Mercep: fu comandante di “unità speciali” di polizia ed alto
funzionario del Ministero degli Interni della Croazia. Le sue “unità speciali”
furono impegnate per due anni nella «lotta preventiva contro la5ª colonna».
Molte organizzazioni umanitarie internazionali accusano Mercep di aver
massacrato o fatto massacrare numerosi civili in varie città della Croazia,
tutti serbi e tutti colpevoli di essere “potenziali nemici”. È stata accertata la
responsabilità diretta di Mercep nel massacro di una famiglia di Zagabria
comprendente anche una bambina di 9 anni, ma questo generale di Tudjman
è stato prosciolto per un errore procedurale commesso dal giudice per le
indagini preliminari. In seguito non è stato più chiamato in tribunale, è
diventato senatore, presidente dell’associazione dei reduci di guerra ed
importante esponente del vertice del partito di Tudjman. Un altro
collaboratore di Mercep nelle “unità speciali”, anch’egli riconosciuto come
un assassino, e oggi ufficiale superiore dell’esercito croato, insegna
all’Accademia militare ed è stato decorato da Tudjman per “eroiche azioni
di guerra”.
Ma torniamo a Blakic, Kordic e camerati che fino a ieri hanno operato
nella Bosnia Erzegovina.L’atto di accusa rivela che i più orrendi crimini
avvennero 111agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
nella vallata del Lasva, nella parte centrale della Bosnia, e furono
compiuti su base politica, razziale e religiosa, «sistematicamente e in una
vasta area, tanto che la popolazione civile musulmana è praticamente
scomparsa dalla zona».
Il comunicato del Tribunale prosegue con una dettagliata descrizione
dei crimini specificando che, tra l’aprile e il maggio del 1993, nel corso
degli attacchi compiuti dall’esercito croato nell’area di Vitez e Busovaca,
furono massacrati oltre 700 civili, i superstiti furono deportati o inviati in
campi di concentramento. I prigionieri furono costretti a scavare trincee
lungo la prima linea di combattimento con l’armata bosniaca e molti furono
usati come scudi umani nel corso di scontri cruenti. Circa 200 persone tra
donne e bambini furono sistemate attorno all’edificio del comando dell’Hvo
di Vitez. In un secondo tempo la stragrande maggioranza dei musulmani fu
costretta ad abbandonare la vallata del Lasva. Si calcola che in questo modo
dal solo comune di Vitez furono cacciati da 4.000 a 5.000 abitanti. I sei
imputati sono stati incriminati di: bombardamenti e attacchi su città e
villaggi indifesi (un bombardamento sul mercato di Zenica, il 19 aprile
1993, provocò la morte di 18 persone e il ferimento di altre 30) e della
morte di almeno 100 civili bosniaci nella vallata del Lasva e nella città di
Zenica; di arresto, deportazione e maltrattamento di civili musulmani
costretti ai lavori forzati; di attacchi, bombardamenti e distruzioni di
impianti civili con il fermo intento di uccidere e di seminare il panico fra la
popolazione locale. Inoltre, centinaia di civili sono stati uccisi a sangue
freddo in svariate località fra cui Ahmici e Vitez.
L’incartamento, con l’ordine di arresto, è stato inviato alle autorità di
Sarajevo, di Mostar e di Zagabria, ma finora nessuno dei sei imputati è stato
arrestato. Anzi, il ministro della Difesa della cosiddetta “Repubblica croata
di Erzeg-Bosnia”, Petar Soljic, uno dei beniamini di Tudjman, ha affermato
(il 14
novembre) che «i croati bosniaco-erzegovesi sono turbati» e,
difendendo l’operato dell’imputato, ha aggiunto che il Blaskic «ha soltanto
eseguito degli ordini, difendendo con successo le terre croate». A sua volta
il portavoce dell’
Unprofor a Sarajevo, Aleksandar Ivanko, ha comunicato che Dario
Kordic e Tihomir Blaskic «collaboreranno anche in futuro con l’Onu visto
che il loro ruolo è importante per il prosieguo della missione dei Caschi Blu
in Bosnia». E, poiché nessuno tocca i criminali croati, restano in libertà
anche i 45 criminali di guerra serbi con alla testa il generale Ratko Mladic e
il “presidente” Radovan Karadzic (sul cui capo pesano i massacri compiuti
quest’anno a Srebrenica ed a Zepa), insieme al comandante dell’armata
bosniaco-musulmana Nasser Oric, accusato di aver ordinato lo sterminio di
numerosi civili serbi nel corso del 1993 nell’area di Srebrenica.
Ieri i brani salienti dell’atto di accusa contro Kordic, Blaskic e gli altri,
sono stati pubblicati da alcuni giornali di Zagabria, Fiume e Spalato; invece
tutti, senza eccezione, oggi danno risalto a un decreto firmato dal presidente
Tudjman che ha lanciato un salvagente al principale criminale, Blaskic,
trasferendolo da Mostar a Zagabria. Sintetizzo, traducendo:
«Con decreto del Capo dello Stato, dottor Franjo Tudjman (datato
martedì 14
novembre) il generale Tihomir Blaskic, capo di Stato Maggiore
dell’esercito croato-bosniaco (Hvó) è stato nominato Ispettore capo
dell’Ispettorato generale dell’esercito della Repubblica di Croazia».
Finora Blaskic non aveva alcun grado nell’esercito (Hv), per cui non si
capisce come faccia Tudjman a riconoscergli il grado di generale acquisito
da quel criminale nelle fila dell’esercito di un paese straniero. Dunque, il
presidente croato nomina come ispettore generale del suo esercito un uomo
ricercato dal Tribunale Internazionale per i crimini di guerra, che dovrebbe
perciò essere arrestato e consegnato ai giudici dell’Aja come stabilito dagli
accordi sponsorizzati dall’Onu; Tudjman dispone del comandante di un
esercito straniero come se fosse un suo subordinato, considerando come
esercito dello Stato di Croazia e come territorio croato l’esercito e il
territorio di una fazione bosniaca, della “Repubblica croata di Erzeg-
Bosnia” che è parte integrante della Federazione bosniaco-erzegovese
ovvero della Repubblica di Bosnia Erzegovina riconosciuta dalle Nazioni
Unite. Ma Tudjman, evidentemente, non riconosce l’indipendenza e l’unità
di quel paese.
Che l’esercito croato-bosniaco sia considerato da Tudjman parte del
proprio esercito (e lo è) e che Tudjman consideri come parte della Croazia
una bella fetta di Bosnia lo dimostra quel medesimo decreto, nel quale (al
punto 2) si ordina al generale Zivko Budimir, finora comandante del settore
sud del fronte croato, di trasferirsi in Erzegovina e mettersi a disposizione
della presidenza della “Repubblica croata di Erzeg-Bosnia” quale capo di
Stato Maggiore dell’Hvo.
112agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
Uno passa dall’Erz egovina in Croazia, l’altro dalla Croazia in
Erzegovina. È
come se il presidente della Repubblica Italiana mandasse generali
italiani a comandare l’esercito del Canton Ticino in Svizzera e ordinasse a
generali ticinesi (elvetici) di occupare posti di comando nell’esercito
italiano.
Ieri sera, 15 novembre, nella trasmissione “Immagine su immagine”
della Tv di stato croata è apparso il ministro della “Repubblica croata di
Erzeg-Bosnia”
Bender, affermando: «Non permetteremo l’unificazione di Mostar.
Ricorreremo anche alle armi per impedirlo».
BOTTINO DI GUERRA
4 DICEMBRE
«Tutto il potere in Croazia è concentrato nelle mani di un ristretto
numero di persone raccolte attorno al presidente Tudjman. Le decisioni più
importanti vengono prese da Tudjman, ignorando il Parlamento; il governo
è ridotto ad una funzione decorativa». Questo, nell’odierna conferenza
stampa, ha sostenuto il deputato del Partito popolare serbo in Croazia,
Veselin Pejnovic. È stato anche riferito che nei territori dell’ex Krajina
finora sono stati arrestati (e vengono trascinati rapidamente davanti ai
tribunali militari) 1.300 cittadini croati di etnìa serba accusati di
insurrezione contro lo stato. Praticamente è stata trascinata in tribunale
l’intera ex popolazione autoctona della Krajina accusata di insurrezione,
perché quei 1.300 sono tutti i serbi di sesso maschile fra i 16 ed i 70 anni
rimasti nella regione. Il loro arresto, che sarà seguito dalla (immancabile)
condanna o dall’espulsione dalla Croazia, come è già successo per la
Slavonia orientale, vuol essere un chiaro messaggio intimidatorio alle
decine di migliaia di serbi fuggiti dalla Krajina all’inizio di agosto per
convincerli a rinunciare a qualsiasi progetto di ritorno; sappiano che li
attende la repressione. È l’arma più convincente per ottenere la pulizia
etnica. E questo dimostra che, purtroppo, in Croazia è sempre ancora in
vigore il criterio dell’appartenenza etnica al fine di creare uno stato
uninazionale (croato) al più alto grado possibile.
All’arresto dei 1.300 serbi nella Krajina fa da contrappunto la
privazione della libertà per 24 croati accusati di omicidi.
Si è inoltre appreso che nella sola cittadina di Knin 700 persone, croate
anche queste, sono state denunciate a piede libero per saccheggi, incendi e
stupri compiuti ai danni della popolazione serba dopo la “liberazione” della
regione.
Nel commentare queste cifre, i giornali governativi croati sottolineano
che
«ecco, esse smentiscono concretamente e senza grande chiasso le
accuse dei nostri oppositori, e soprattutto degli osservatori internazionali,
relative all’assenza in Croazia di uno stato di diritto». L’unico giornale
indipendente, il Novi List di Fiume, richiama invece l’attenzione sul fatto
che
«queste cifre smentiscono le affermazioni fatte innumerevoli volte
anche dai massimi vertici dello stato dopo l’Operazione Tempesta, secondo
le quali uccisioni, incendi, saccheggi ed altri crimini sarebbero episodi
sporadici.
Settecento crimini compiuti nella sola città di Knin è una cifra che parla
da sola». Lo stesso giornale mette a confronto la rapidità con la quale sono
stati arrestati gli imputati serbi, la rapidità con la quale si sono invece
concluse le istruttorie nei loro confronti e la lentezza con la quale vengono
perseguiti i reati compiuti dai croati e la lontana, improbabile prospettiva
che essi vengano processati e condannati. Sì, è vero, hanno saccheggiato,
hanno dato alle fiamme case e stalle, si sono impossessati di macchine
agricole, di vacche, di cavalli, hanno svuotato le abitazioni prima di
incendiarle o distruggerle in altro modo, ma «esiste tutta una serie di
ostacoli psicologici nell’organizzazione dei processi; si deve tener conto dei
crimini compiuti dai serbi verso i civili croati prima della liberazione, delle
sofferenze dei croati che hanno perso i loro beni ed hanno sopportato
quattro anni di sacrifici». «Ma tutto questo — scrive il Novi List — è una
faccenda che riguarda la politica e non la magistratura. Gli indugi ed i
temporeggiamenti della magistratura, tuttavia, dimostrano che nemmeno i
giudici sono immuni dai criteri dell’opportunità politica».
D’altra parte risulta che nella stragrande maggioranza, le persone
denunciate per saccheggi, incendi eccetera non hanno l’attenuante di aver
subito offese di alcun genere da parte dei serbi della Krajina; non hanno
neppure subito danni di guerra in genere, non si tratta di esuli, di profughi,
di persone mosse da sentimenti di vendetta; sono semplicemente dei
delinquenti, comuni malfattori venuti a Knin dalle zone di Sebenico, di
Spalato, di Zara, perfino da Zagabria, addirittura dalle confinanti zone della
Bosnia Erzegovina.Che la Krajina, svuotata dalla popolazione autoctona
serba sia stata considerata terra di 113agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
conquista e di libera rapina, nella quale era permesso compiere
impunemente tutti i crimini possibili, lo dimostra il fatto — rivelato ad
alcuni giornalisti dal presidente del tribunale comunale di Knin, Milorad
Curko — che alcuni degli autori dei saccheggi erano “armati” di attestati
rilasciati dai sindaci dei comuni di residenza confermanti che gli oggetti
saccheggiati erano riconosciuti come loro proprietà in quanto bottino di
guerra!
MACERIE INVECE DI CITTA’
11 DICEMBRE
Costrette a ritirarsi da alcune località da esse conquistate lo scorso
settembre in Bosnia — perché quelle località devono essere restituite ai
serbi in base agli Accordi di Dayton per la rettifica della linea di
demarcazione con l‘“entità serba”, alla quale è stato assegnato il 49% del
territorio della Bosnia Erzegovina— le truppe croate stanno
sistematicamente saccheggiando, incendiando e distruggendo con
l’esplosivo le città di Mrkonjic Grad e Sipovo.
Il saccheggio, informano gli ufficiali dell’Unpmfor impossibilitati a
intervenire, è sistematico e dura da alcuni giorni; pare che gli uomini di
Tudjman non se ne andranno fino a quando non avranno lasciato dietro di
loro soltanto macerie.
La notte scorsa, a Mrkonjic Grad, cinque veicoli britannici dell’Onu,
incaricati di preparare il terreno per l’arrivo delle truppe Nato, sono stati
bloccati dai miliziani croato-bosniaci che non li hanno lasciati transitare in
un’area dove stavano bruciando e saccheggiando case.
Come se non bastassero gli atti vandalici dei soldati dell’esercito croato
(Hv) e dell’esercito croato-bosniaco (Hvo), le autorità croate della
Federazione bosniaca hanno liberato dal carcere il brigadiere Ivica Rajic,
accusato di crimini di guerra dal Tribunale dell’Aja.
Le distruzioni a Sipovo e Mrkonjic Grad continuano nonostante il
Consiglio di Sicurezza dell’Onu stia esaminando una Dichiarazione
presidenziale che condanna espressamente i miliziani déll’Hvo e
indirettamente il governo croato, sotto il cui controllo si trovano quelle
milizie; nello stesso modo in cui è controllato da Zagabria, anzi
personalmente da Tudjman, il governo della cosiddetta
“Repubblica croata di Erzeg-Bosnia” alla quale erano stati annessi
Sipovo, Mrkonjic Grad ed altri territori strappati ai serbo-bosniaci durante
l’offensiva della scorsa estate.
Alcuni tentativi compiuti dai Caschi Blu, ancora presenti nella zona, per
far cessare gli incendi e le distruzioni a Mrkonjic Grad e dintorni sono stati
sventati da reparti dell’esercito regolare croato. Un capitano britannico ha
raccontato di essere riuscito a raggiungere la zona insieme ad un gruppo di
genieri dell’ Unprofor e di aver visto i soldati croati scorrazzare su camion
da una zona all’altra saccheggiando prima ed appiccando poi il fuoco alle
case dei serbi bosniaci. Ha anche mostrato la fotografia, da lui scattata, di
una casa in fiamme nel villaggio di Podbrdo.
Dal punto di vista dell’applicazione degli Accordi di Dayton, il caso del
brigadiere Rajic non è meno grave. Questo ufficiale è il primo croato il cui
arresto era stato ordinato dai giudici dell’Aja, e si trovava in carcere per
crimini di guerra commessi contro i musulmani bosniaci.
Ivo Komsic, croato-bosniaco membro della presidenza della Repubblica
di Bosnia Erzegovina,in un’intervista ha duramente criticato la politica di
Tudjman.
L’accordo sulla Federazione musulmano-croata in Bosnia, ha detto,
parla di
“Cantoni”. Ciononostante Tudjman mantiene in vita la “Repubblica
croata di Erzeg-Bosnia” come arma puntata contro i musulmani. La prova
che la Croazia di Tudjman intende rispettare gli Accordi di Dayton può
essere una sola: liquidare quella “repubblica”.
BOSNIA DIVINA: UNA E TRINA
14 DICEMBRE
Dopo 43 mesi di guerra, quattro anni di massacri con 250.000 morti e
oltre tre milioni di profughi, a Parigi è stato firmato oggi l’accordo di pace
sulla Bosnia. Queste le ultime tappe sulla via del traguardo:
— 5 ottobre: il presidente americano Clinton annuncia che dal 10
ottobre sarà tregua in Bosnia;
— 28 ottobre: elezioni politiche in Croazia. Il partito egemone del
presidente Tudjman vince, ma non raggiunge i 2/3 dei voti necessari per
poter modificare la Costituzione e imporre un sistema totalitario. Ottima
affermazione dell’opposizione nella capitale Zagabria e grande vittoria in
Istria della Dieta, partito pacifista e interetnico;
114agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
— Io novembre: iniziano a Dayton, nell’Ohio, i negoziati di pace sulla
Bosnia, presenti i leader politici delle tre parti in causa: Izetbegovic
(musulmano-bosniaco), Milosevic (serbo) e Tudjman (croato);
— 12 novembre: entra in vigore l’accordo di tregua in Bosnia della
durata di 60 giorni;
— 21 novembre: Clinton annuncia al mondo che è stato raggiunto
l’accordo per la pace in Bosnia. Resterà uno stato unitario, ma diviso in due
entità. Saranno inviati 60.000 uomini della Nato che sorveglieranno i
confini fra le etnìe;
— 3 dicembre: sbarcati in Bosnia i primi soldati della forza Nato (Ifor);
— 10 dicembre: arrivano a Sarajevo i primi soldati italiani, avanguardia
di una forza di 3.000 uomini.
Con la firma odierna, avvenuta alla presenza dei rappresentanti delle
grandi potenze, i tre leader balcanici hanno ribadito quanto già siglato a
Dayton il mese scorso: 165 pagine di documenti confermano le divisioni
territoriali e suggellano la pulizia etnica compiuta con la guerra. Sulla carta
la Bosnia rimane intera, sovrana e indipendente, formata però da due
repubbliche: una serba con il 49% del territorio e una Federazione croato-
musulmana con il restante 51%. Due entità distinte e autonome, una delle
quali, la Federazione, è a sua volta suddivisa in due parti sia dal punto di
vista territoriale che etnico, ciascuna con un proprio esercito. Una Bosnia
così dilaniata potrà sopravvivere? Siamo al mistero del Dio uno e trino.
Sarà vera pace?
Qualcuno ritiene che, con queste divisioni, ponendo una delle due
“entità” sotto la sfera d’influenza della Serbia e l’altra della Croazia, ed
ambedue sotto il cappello straniero (Russia e Stati Uniti), le prospettive
possono essere soltanto due: la sparizione della Bosnia come stato e la sua
spartizione fra Belgrado e Zagabria, oppure una nuova guerra fra cinque-sei
anni. Tutto ciò a meno che in tutti gli stati sorti dallo sfacelo della
Jugoslavia non vengano istituiti regimi veramente democratici, cessi la
semina dell’odio e siano eliminate le cause che hanno portato alla guerra.
La guerra iniziò innegabilmente con l’aggressione serba sia in Croazia
(luglio 1991) che in Bosnia (aprile 1992), ma in seguito tutti si sono
sporcati le mani di sangue innocente, commettendo innumerevoli crimini
per conseguire l’obiettivo della pulizia etnica; e questi genocidi sono la
conseguenza di un’ideologia nazionalistica, sciovinistica, nazista presente
sin dalle origini nei partiti politici saliti al potere in Serbia e nella Croazia
nel 1990. Ideologia che si è diffusa successivamente anche fra i musulmani
nelle cui fila, durante questa guerra, sono penetrati i bacilli del
fondamentalismo, al quale hanno dato nutrimento i molto più accentuati
fondamentalismi cattolico-croati e serbo-ortodossi che hanno raggiunto
livelli di parossismo.
Sir David Owen, ex ministro degli Esteri britannico laburista che fu
negoziatore europeo per l’ex Jugoslavia, in un recentissimo libro di
memorie (Balkan Odyssey) racconta che all’inizio, nell’estate del 1992,
considerava i musulmani
«decenti e afflitti», ma si dovette ricredere dopo un loro mortale attacco
contro i Caschi Blu francesi: «Si comportavano — scrive — meno peggio
dei croati e molto meglio dei serbi, ma erano anch’essi capaci di uccidere a
sangue freddo quelle truppe dell’Orni mandate ad aiutare, a sfamare e a
dare un tetto alla loro gente». Nei primi mesi del 1993 ogni illusione si era
dissolta: Sir David si convinse che tutte le fazioni in lotta si equivalevano
moralmente e prese atto, lavorando con il negoziatore dell’Orni Cyrius
Vance, poi sostituito da Thorvald Stoltenberg, che stava contribuendo ad un
complicato e controverso piano di spartizione della Bosnia su base etnica.
Nel suo libro Owen ammonisce a non fidarsi dei leader bosniaci, siano essi
musulmani, serbi o croati: «Sono tutti maestri di disinformazione, di
propaganda e di inganno», negando con forza che si possa distinguere
tra vittime e aggressori. I leader bosniaci hanno imparato la loro
maestria da Zagabria e Belgrado. Con la pace, le belve feroci si sono
travestite da agnelli.
Clinton, il presidente Usa che ha imposto questa “pax americana” per
ben chiari interessi propri e del suo paese, non ha portato giustizia ai serbi,
croati e musulmani.
Egli, come è noto, fece sentire le prime pressioni nella primavera del
1994, quando impose la fine della guerra tra croati e musulmani bosniaci,
convocò a Washington Tudjman e Izetbegovic e li indusse a firmare il
documento della formale costituzione della Federazione croato-musulmana
in Bosnia Erzegovina.Tenendo a battesimo la Federazione, gli Usa hanno
creduto di tutelare i musulmani nei loro cantoni e, al tempo stesso, di
soddisfare gli appetiti di 115agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
croati e serbi. In realtà hanno tradito l’idea della Bosnia unitaria e
multietnica,sanzionando l’avvenuta separazione dei “greggi”. Infatti i
documenti di questa “pax americana”, le cui linee essenziali furono
tracciate nei documenti firmati l‘8 settembre del 1995 a Ginevra e il 26
dello stesso mese a New York, si basano sull’evidente contraddizione tra la
conservazione di uno stato unitario e la spartizione del medesimo in due
entità etnicamente diverse.
Viene delineata una Repubblica bosniaco-erzegovese «unitaria e
sovrana»,
«soggetto internazionale unico», composta dalla Repubblica serba
(bosniaca) e dalla Federazione (croato-musulmana) della Bosnia
Erzegovina.A ciascuna delle due entità si riconosce: una propria
costituzione, confini ben delimitati e de facto impermeabili, un esercito e
una polizia che in nessun caso possono metter piede fuori dai confini della
propria entità. Quanto all’autorità dello stato unitario, gli organi centrali
sono quattro: il parlamento, la presidenza, il governo e la corte
costituzionale. Le due entità saranno rappresentate nel governo, nel
parlamento e nella presidenza nella misura di 1/3 la Repubblica serba e dei
2/3 la Federazione croato-musulmana. La presidenza avrà nove membri con
un presidente che si alternerà ogni sei mesi, mentre la Corte Costituzionale
avrà quattro giudici della Federazione croato-musulmana, due serbi e tre
europei.
L’elezione dei parlamenti centrali e delle due entità, l’ambito dei poteri
dei governi delle due entità ed altre questioni relative al funzionamento del
nuovo stato uno e trino, metteranno a dura prova le forze interne e
internazionali.
D’altra parte tutti i documenti — da Ginevra a Dayton, da New York a
Parigi —
precisano che ciascuna delle due entità avrà diritto a realizzare «rapporti
speciali e paralleli con i paesi confinanti», e cioè con la Croazia e la Serbia.
Questa formulazione insidia di fatto la sovranità e l’unità dello stato
bosniaco, ponendolo sul piano inclinato della transizione verso la totale
spartizione del suo territorio fra Zagabria e Belgrado. Una soluzione da
tempo prospettata da Milosevic e Tudjman che vogliono i serbi da una
parte, croati dall’altra, e musulmani sudditi degli uni e degli altri.
Sul Feral Tribune di Spalato la croata Branka Magas ha scritto:
«Sarebbe un vero miracolo trovare il modo di conciliare la sovranità e
l’integrità dello stato bosniaco con la spartizione in due entità sovrane e
integrali… [Ma] prima o poi gli americani saranno costretti a scegliere tra
la Bosnia Erzegovina da una parte e la “Grande Serbia” e la “Grande
Croazia” dall’altra».
La Bosnia Erzegovina,immaginata da Clinton e dai suoi consiglieri, è in
verità una creatura mostruosa, un corpo con due teste che non potrà mai
sopravvivere.
Sarà uno stato fantomatico i cui confini sono sì disegnati sugli atlanti
geografici, ma saranno prima o poi violati da coloro che da tempo, a
Belgrado ed a Zagabria, sostengono gli appetiti della Grande Serbia e della
Grande Croazia.
Gli accordi di Washington del 1994 già indicavano questa strada. Ora,
non a caso, nella “pax americana” la Repubblica serba di Bosnia, con il suo
49% di territorio, viene riconosciuta come entità statale autonoma inclusa
solo formalmente nell’unitario stato bosniaco-erzegovese, con la facoltà di
confederarsi alla Repubblica di Serbia. D’altra parte l’esistenza della
Federazione bosniaca croato-musulmana è condizionata, come si legge nei
documenti di Washington, dalla sua confederazione con la Croazia.
Insomma, la Croazia inghiottirà questa entità della Bosnia cosiddetta
unitaria oppure, se la Federazione bosniaca croato-musulmana dovesse
sfasciarsi, si annetterà quella sua parte che forma oggi la Repubblica croata
di Erzeg-Bosnia. Questa annessione, ovvero lo sfacelo della Federazione
bosniaca croato-musulmana, avverrà certamente perché quell’entità, per ora
esistente solo sulla carta, contiene in sé tutti i fattori di instabilità e fragilità
che possono portare alla disgregazione: è una finzione, manca di qualsiasi
compattezza e nasce in un clima di ostilità fra croati e musulmani.
PROMESSE NON MANTENUTE
18 DICEMBRE
La politica del regime di Tudjman sul problema dei serbi in Croazia e il
trattamento che le autorità croate riservano ai serbi catturati durante le
operazioni “Lampo” e “Tempesta” nella Slavonia occidentale e nella
Krajina sono un chiaro messaggio agli esuli rifugiatisi in Serbia: sappiate
quel che vi capiterà se deciderete di tornare in Croazia.
Si può sintetizzare così quanto detto oggi in una conferenza stampa a
Zagabria dagli esponenti del “Foro Democratico Serbo” presieduto da
Veljko Dzakula, l’uomo che firmò la resa della Slavonia occidentale
all’esercito croato il 2
maggio scorso, evitando ulteriori spargimenti di sangue.
116agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
Dzakula ha informato i giornalisti che in 10 prigioni della Croazia si
trovano ancora più di 900 serbi, tre sono morti in prigione in seguito a
torture, solo 263 sono stati rimessi in libertà, otto mesi dopo la cattura! E
dire che nel documento di resa era scritto che sarebbero stati restituiti alle
famiglie nel giro di pochi giorni.
Riferendo le testimonianze di alcuni di questi reduci dalle prigioni
militari, Dzakula ha detto che molti sono stati torturati. Le percosse erano
una “norma”
nel carcere di Varazdin, meno frequenti nel carcere di Slavonska
Pozega, quasi inesistenti in quello di Osijek. Ora, per tutti, seguiranno i
processi per
“insurrezione armata” presso i tribunali di Sisak, Karlovac, Spalato e
Zara.
Nella Slavonia occidentale, dalla quale in maggio fuggì l’intera
popolazione serba (i rimasti non superano le 800 unità) sono tornati nel
frattempo 10 degli abitanti andati via. Ciascuno di essi, comprese due
bambine, è stato chiamato per ben sette volte presso i commissariati di
polizia per essere sottoposto a lunghi interrogatori “informativi”. Alle
ragazze sono state poste domande
“intime” da farle arrossire fino alla radice dei capelli.
No, i serbi in Croazia non hanno la vita facile. Dzakula ha raccontato il
caso di una profuga serba che, dopo aver ricevuto dal governo di Zagabria il
permesso di rientrare nel luogo nativo, è stata prelevata in casa e rinchiusa
nel carcere di Osijek dove le è stato consegnato l’atto di accusa per
partecipazione a rivolta armata. Tra i 900 uomini tuttora in carcere, vi sono
persone che superano i 60 anni di età; uno di quelli recentemente rilasciati
dopo sette mesi, ne aveva 85! Tutti questi cittadini croati di etnìa serba, si
erano spontaneamente arresi, consegnando anche le armi (chi le aveva),
credendo alle promesse di amnistia. Invece, sono stati separati dalle
famiglie e trascinati dapprima nei campi di prigionia e poi nelle galere. I
pochissimi serbi rimasti nelle loro case dopo la riconquista delle Krajine (la
Krajina di Knin e la Slavonia occidentale) da parte dell’esercito croato
«vivono in condizioni terribili, la loro situazione esistenziale è
catastrofica!». Dzakula ha raccontato che «persone armate continuano a
girare in quella regione, continuano a saccheggiare e in certi casi
costringono con le armi le vittime dei saccheggi a caricare sui loro
automezzi i mobili ed altri beni saccheggiati». Ha riferito il caso di
un’aggressione subita giorni fa nel villaggio di Mala Vukovija, nel comune
di Garesnica, dal contadino Nikola Malesevic. Dopo averlo duramente
picchiato, uomini armati sono entrati nella sua casa e, mentre uno lo teneva
fermo sotto la minaccia della pistola, gli altri si sono dati al saccheggio
svuotandogli l’abitazione.
Finora sono circa 20.000 i serbi che, dopo la fuga dalla Croazia, hanno
chiesto di rientrare, ma le procedure imposte dal governo croato
impediscono ogni soluzione. Fra i richiedenti ci sono 6.000 persone che
sono riuscite a procurarsi dopo mesi tutti i documenti richiesti da Zagabria,
e ciononostante pochissimi di loro ha ottenuto una risposta.
Tudjman e i suoi ministri finora hanno fatto un sacco di promesse, ma
nessuna è stata mantenuta, osservano a loro volta i funzionari delle forze di
pace dell’Orni in Croazia, che si accingono ormai a lasciare questo paese.
Tra l’altro il governo aveva promesso di istituire presso l’ospedale di Knin
un ricovero per 100 anziani ammalati cronici, e invece questi disgraziati di
vecchi sono abbandonati a sé stessi, soli, negli sperduti villaggi della
Krajina, esposti a ogni pericolo. Dopo la fuga di 150.000 serbi da quella
regione, centinaia di anziani, per lo più donne, sono stati uccisi dopo aver
subito aggressioni, rapine e saccheggi. Là dove le case non sono state
incendiate, in esse si sono insediate famiglie croate. Quando questi episodi
vengono denunciati dagli osservatori internazionali, le reazioni del governo
di Zagabria sono due:
“Non è vero niente”, oppure si getta la colpa dei crimini su “singoli
elementi irresponsabili”.
PAKRACKA POLJANA, MEDAK ED ALTRI MASSACRI
IGNORATI 2 GENNAIO 1996
Il settimanale zagabrese Globus pubblica un’intervista col ministro di
Grazia e Giustizia della Croazia, Miroslav Separovic. Fatte poche
eccezioni, l’intervistato fornisce risposte evasive, vuote, sicché i brani più
interessanti dell’intero testo restano le domande poste dalla giornalista
Djurdjica Klan-dir.
Una di queste solleva un vecchio tabù: «Siete informati che il Tribunale
Internazionale per i crimini di guerra nell’ex Jugoslavia sta indagando sugli
eccidi compiuti in Croazia a Pakracka Poljana, a Gospic ed altrove? Visto
che finora le autorità croate non si sono mosse per fare luce, si è mossa
l’Aja…
».
117agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
Si tratta di crimini poco conosciuti compiuti nella tarda estate e
nell’autunno del 1991 (quando la Croazia era vittima dell’aggressione
serba, quando l’onorevole Pannella venne in Croazia per indossare
l’uniforme dell’esercito croato), ma anche dopo. Sul massacro di Pakracka
Poljana (Piana di Pakrac) trovo fra le mie carte alcuni ritagli di giornali
croati dell’aprile 1995. Un settimanale “nazionale” di Zagabria titolò
all’epoca sull’intera pagina: “A Pakracka Poljana uccisi soltanto 19 serbi”.
Nel testo si respingeva con sdegno le accuse rivolte da fonti serbe alla
Croazia, secondo cui a Pakracka erano stati massacrati «circa 1.700 civili
serbi», mentre la Commissione internazionale, presieduta dall’inviato
dell’Orni Bassiouni, affermava che erano stati rinvenuti “soltanto” 19
cadaveri. Commentando l’avverbio “soltanto”, la giornalista del quotidiano
di Fiume Novi List, Jelena Lovric, pubblicò il 23
aprile un lungo testo dal titolo: “Massacro morbido a Pakracka Polja-
Possiamo essere felici, scrisse, che non siano stati massacrati 1.700
serbi, ma non si può dire “soltanto” 19. E come se si dicesse: è stato un
massacro morbido, un massacro “umanitario”. I morti, invece, sono sempre
troppi, anche quando si tratta di serbi.
Non va nascosto, d’altra parte, che quella fu la prima fossa comune
venuta alla luce. E se ce ne fossero altre ancora da scoprire?
Non va dimenticato neppure che nel rapporto Bassiouni sta anche scritto
che le forze dell’esercito croato impegnate in quell’operazione «distrussero
volutamente col fuoco e con l’esplosivo tutte le case di abitazione e le
attività economiche nei villaggi serbi, evidentemente su ordine dei
comandanti».
Al caso di Pakracka Poljana si aggiungono, nel medesimo rapporto, i
massacri e le distruzioni compiute dall’esercito croato nel corso
dell’operazione “Sacca di Medak” (settembre 1993) nella regione della
Lika, distretto di Gospic. Per i crimini commessi in quella zona la
commissione Bassiouni accusò «una persona che occupa un alta carica
statale» in Croazia.
Conservo un tagliando del Glas htre di Pola del 20 settembre 1993, nel
quale si legge:
«Due corpi bruciati, uno di donna e l’altro carbonizzato al punto da
risultare impossibile accertarne il sesso: sono queste le prime testimonianze
della presenza dell’esercito croato nel settore di Gospic trovate dai soldati
dell’Onu giovedì sera, mentre stavano prendendo posizione nelle aree dalle
quali è iniziato il ripiegamento delle truppe croate».
Il massacro si riferisce all’Operazione Medak, ovvero alla temporanea
“liberazione” di 11 villaggi della Krajina (nel settore di Gospic appunto)
da parte dell’esercito di Tudjman che, dal 9 al 16 settembre — ripetendo il
blitz compiuto nel gennaio dello stesso anno nel settore di Maslenica, sulla
costa adriatica — cercarono di riconquistare un pezzo di territorio in cui
vivevano popolazioni serbe sottrattesi all’autorità di 7iZ%dotv&. in seguito
a un referendum sull’autonomia. Costretti a ritirarsi in seguito alle minacce
dell’Onu, i comandanti delle truppe croate lasciarono dietro di loro la terra
bruciata; fu solo un assaggio di quello che avrebbero fatto nell’agosto di
due anni dopo.
«Tra l’annuncio del ritiro delle milizie croate dai villaggi serbi intorno a
Gospic e la smobilitazione vera e propria — scrisse in quei giorni Il Piccolo
di Trieste — c’è stato tutto il tempo di portare a termine l’ultimo massacro.
Ai soldati croati sono bastati quei due giorni, mercoledì e giovedì scorsi,
per dare alle fiamme e devastare 11 villaggi, massacrarne gli abitanti serbi e
possibilmente scavare fosse per nascondere i cadaveri».
L’episodio fu così descritto dagli ufficiali dei Caschi Blu. E
successivamente in un comunicato firmato dal portavoce dell’Onu a
Zagabria, Shannon Boyd: «Corpi carbonizzati, case sventrate e poi date alle
fiamme, senza alcun segno di vita in ben 11 villaggi nella regione di
Medak, che contavano centinaia di abitanti.
Una distruzione organizzata nei dettagli, sistematica e spietata». Il
comunicato proseguiva dicendo: «Le case sono state trasformate in macerie
con l’impiego di esplosivo. Intorno vi era il bestiame ucciso». Si precisava
che molti cadaveri presentavano ferite di arma da fuoco alla schiena, prova
che quegli uomini e donne erano stati uccisi mentre cercavano di fuggire.
Dopo quel comunicato — non smentito dal governo di Tudjman che
però si guardò bene dal deplorare i crimini commessi dai suoi — giornali,
radio e televisione, insieme a tutti gli oratori del regime, attraverso comizi
orchestrati nelle maggiori città, mossero pesanti attacchi all’Onu chiedendo
il ritiro dalla Croazia di quei Caschi Blu che lo stesso Tudjman e i suoi
avevano 118agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
insistentemente chiesto qualche anno prima per “internazionalizzare”,
dicevano allora, la questione serbo-croata e interporre un cuscinetto che
proteggesse la Croazia da ulteriori aggressioni serbe. Ora i Caschi Blu non
servivano più, erano pericolosi testimoni delle stragi croate.
In un mio quaderno di appunti scrissi all’epoca questa riflessione:
«Così, ecco, un popolo altamente civile come quello della Croazia, si vede
messo sullo stesso livello degli stragisti di Milosevic e Seselj per colpa di
Tudjman e delle sue vendette, dei suoi sfoghi di rabbia impotente che si
traducono in massacri compiuti per ordine suo. Quello che è successo a
metà settembre nella regione di Medak non è un episodio isolato. Nella
vicina Bosnia, ufficiali croati di Mate Boban hanno fatto di peggio contro i
musulmani». Pochi giorni dopo quel Boban, all’epoca presidente della
“Repubblica croata di Erzeg-Bosnia”, fu richiamato in Croazia, gli fu
concessa una lussuosa villa a Zagabria e venne nominato vicedirettore della
maggiore azienda statale croata, Vina, un industria petrolifera.
Da numerose fonti, compresi i rapporti di Tadeusz Mazowiecki, del
Comitato di Helsinki per i diritti umani, e di varie organizzazioni umanitarie
internazionali si apprende, quindi, che nel corso dell’intera guerra — nel
1991, 1992, 1993 e in seguito, e non soltanto nelle due “operazioni”
dell’inizio di maggio e dell’inizio di agosto del 1995 — da parte croata
sono stati commessi aberranti crimini di guerra ed atti di terrorismo contro
civili, cittadini della Croazia, colpevoli unicamente di essere di etnìa
diversa o avversari del regime: l’assassinio del leader sindacale Krivokuca e
della famiglia Zec a Zagabria; il massacro di otto serbi a Spalato nel ‘91; la
scoperta della fossa comune a Pakracka Poljana con le 19 vittime che
furono torturate sadicamente prima di essere uccise; altri massacri a
Karlobag ed a Gospic, dove furono liquidati e infoibati numerosi
intellettuali “nemici”, eccetera. «Per nessuno di questi casi si è giunti ad un
processo imparziale e rigoroso», scriveva Jelena Lovric riferendo il
rimprovero rivolto alle autorità croate da Edward Flynn del Centro
zagabrese dell’Orni per i diritti umani, facendo ricadere la responsabilità
non tanto sulla magistratura, «che subisce la forte influenza del potere
esecutivo» croato, quanto sul vertice politico che, oltre tutto, ha approvato i
crimini con il suo silenzio.
Recentemente, l’ex primo presidente del Tribunale Supremo della
Croazia,Vjekoslav Vidovic, rimosso poi per volere di Tudjman, ha
dichiarato in un’intervista che nel settembre del 1991 i giudici del tribunale
di Sisak gli confidarono che nel loro territorio era successa «una cosa
terribüe»: in un braccio del fiume Kupa la corrente aveva ammucchiato una
decina di cadaveri. Si trattava di civili di etnìa serba che, pochi giorni prima
di essere massacrati e gettati nel fiume, erano stati indicati per nome e
cognome dal settimanale nazionalista croato Slobodni Tjednik come agenti
del Kos (ex servizio segreto dell’esercito jugoslavo) e quindi «nemici della
Croazia da eliminare». In quell’epoca Vidovic insistette perché sul caso
venisse aperta un’inchiesta, sollecitò anche la Chiesa, ma dall’alto venne
l’ordine di mettere la cosa a tacere e lo stesso Vidovic fu rimosso dalla
carica.
NON FUMANO I CAMINI
4 GENNAIO
La linea che divide la parte orientale di Mostar, musulmana, da quella
occidentale, croata, è il Boulevard. Sul selciato del Boulevard, nelle prime
ore del mattino di Capodanno, è stato sparso nuovo sangue. Rispettando
ciecamente l’ordine di non lasciar passare nessun abitante di sesso maschile
che venga dalla parte Est, i poliziotti della parte Ovest hanno ucciso con
una raffica un giovane musulmano minorenne, ferendone altri due. Dopo
ventiquattr’ore,i musulmani si sono vendicati aprendo il fuoco sugli
avversari ed uccidendo un poliziotto croato-erzegovese, forse proprio
l’assassino del giovane. Ora sono tre giorni che si spara dall’una e dall’altra
sponda del fiume Neretva. Due poliziotti musulmani, fatti bersaglio di colpi
d’arma da fuoco, sono rimasti gravemente feriti, uno alla schiena e l’altro
alle gambe. Un sacerdote islamico, l’imam, è stato bastonato dai croati. La
situazione è incandescente. Lungo il Boulevard vanno e vengono i mezzi
corazzati dell’J/br. E imminente una visita di Tudjman a Sarajevo per
incontrarsi con Izetbegovic.
6 GENNAIO
Il Novi List pubblica una lettera firmata da tale Stjepan Horvat
indirizzata al
“Forum croato per il Tribunale dell’Aja” di Zagabria. Dice che lui,
croato, ama la patria ma non i criminali di guerra croati, siano essi della
Croazia o della Bosnia Erzegovina,e non tollera che il sangue di cui si sono
macchiati i 119agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
criminali suoi connazionali ricada sulla sua testa. Perciò essi devono
essere consegnati al Tribunale Internazionale e processati.
«Voglio dire chiaramente — scrive — che io e molti altri croati non
possiamo stare dalla parte dei vari Kordic, Blaskic, di un Mercep e di molti,
moltissimi altri come loro, comprendendo fra questi gli autori del massacro
di Varivode e in genere delle stragi nella Krajina. Noi croati non
possiamo identificarci con coloro i quali hanno perpetrato i crimini durante
e dopo le operazioni “Lampo” e “Tempesta”. Ed è inutile dire che non è
vero; il mondo, questi crimini, non se h è inventati. Come giustificare gli
incendi
, e i saccheggi, le uccisioni dei vecchi rimasti nelle loro case, trucidati
sulla
soglia delle loro abitazioni? Chi ha distrutto col fuoco 22.000 case nella
Krajina dopo la “Tempesta”? Viaggiando col treno “Marjan” da Spalato a
Zagabria verso la metà di dicembre scorso, mi sono messo a contare le
nuvolette di fumo che uscivano dai camini delle case nel tratt otra Drnis e
Karlovac, cioè nel territorio della Krajina, per accertare in quante case
fossero rimasti gli abitanti, quanti focolari non si erano spenti. Ebbene, il
„ fumo della vita usciva soltanto da cinque case! Questo significa che in
quel
tratto lungo 250 chilometri, non è rimasto quasi più nessuno: se ne sono
andate tutte le famiglie, o sono state massacrate. E come si fa ora a spiegare
all’Europa e al mondo perché quasi tutte le case sono state incendiate o
distrutte con la dinamite?».
Ancor prima, nel settembre scorso, l’autore della lettera compì un
viaggio in auto da Zagabria a Spalato attraverso il monte Bukovica, visto
che la ferrovia non era stata riattivata, e vide: «A Kistanje non c’era una
sola casa che non fosse stata distrutta; in piedi era soltanto la chiesa
ortodossa; alcune case stavano ancora bruciando». Chi ha distrutto Kistanje
lasciando intatta solo la chiesa, ha creduto che il mondo sia così stupido da
credere che siano stati gli stessi abitanti serbi a distruggere la loro cittadina
prima di fuggire. Ma essi sono fuggiti all’inizio di agosto, mentre in
settembre le case bruciavano ancora.
7 GENNAIO
A Sarajevo si sono incontrati Tudjman e Izetbegovic. I rispettivi
portavoce hanno rivelato che i colloqui sono stati polemici: i contrasti sul
progetto di convivenza nel quadro della Federazione e degli Accordi di
Dayton sono molto profondi. Sull’incontro hanno pesato anche gli scontri di
Mostar. Il governo di Sarajevo accusa i croati erzegovesi e i leader della
“Repubblica croata di Erzeg-Bosnia” di estremismo, radicalismo e
atteggiamento fascistoide. A loro volta gli esponenti croati in seno alla
Federazione croato-musulmana in un comunicato accusano i musulmani di
provocazione, ricordando l’uccisione avvenuta durante la notte di Natale a
Usora, nella Bosnia centrale, di due soldati dell’Hvo, l’esercito croato-
bosniaco. L’amministratore europeo di Mostar, Koschnick, ha minacciato:
un fallimento del processo di unificazione di Mostar significherebbe la fine
della Federazione. Egli ha riversato la responsabilità primaria sui croati.
A Zagabria il settimanale Globus ha scoperto e messo in piazza un altro
scandalo: durante il 1994 il governo croato avrebbe fornito 14.000
tonnellate di carburante ai serbo-bosniaci, considerati ufficialmente nemici
sia da Zagabria che da Sarajevo, e in barba all’embargo internazionale. Il
combustibile fu venduto dall’I«tf, l’azienda petrolifera statale croata della
quale era direttore commerciale l’ex presidente della “Repubblica croata di
Erzeg-Bosnia”
Mate Boban che, anche dopo il trasferimento a Zagabria, ha mantenuto
stretti legami con gli affaristi connazionali erzegovesi. Secondo il Globus i
serbi spedivano le loro autobotti a Dretelj, località nella zona di Mostar,
dove i croati applicavano le targhe dell’Hvo e poi, sotto scorta militare, gli
automezzi partivano per la Croazia dove venivano riforniti, per
intraprendere il viaggio verso le zone controllate dai serbi. Il carburante
finiva nei carri armati che assediavano Sarajevo.
8 GENNAIO
Sul Novi List di Fiume, il giornalista musulmano Zija Dizdarevic,
corrispondente da Sarajevo, pubblica un articolo dal titolo “Si scherza con
la bomba Erzegovina”. Lo staterello di “Erzeg-Bosnia”, creato dai croati, «è
il principale pomo della discordia nei rapporti fra bosgnacchi e croati.
Finché esisterà questa Erzeg-Bosnia non ci sarà la Federazione. Ammesso
poi che un 120agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
giorno questa federazione ci sarà, difficilmente potrà funzionare
normalmente».
«Per il governo legale di Sarajevo e per i musulmani, l’esistenza della
cosiddetta “Repubblica croata di Erzeg-Bosnia” è la prova delle cattive
intenzioni di coloro che sognano la Grande Croazia, ed è una macchina di
continuo ricatto. Oltre tutto, la “Erzeg-Bosnia” è «un ottimo business di
guerra».
E Mostar? «Mostar è la madre di tutti i problemi quando si tratta dei
rapporti fra croati e musulmani».
Leggo anche Il Piccolo triestino. Mauro Manzin dedica un poetico
commento a Mostar dove un tempo, fino a quattro anni addietro, «il suk
islamico andava a incontrare il caffè mitteleuropeo» e dove l’antico ponte,
lo Stari Most, che diede il nome alla città, teneva insieme due mondi, due
culture, tre religioni, un ponte che è stato abbattuto dalle cannonate dei
croati per distruggere
«l’unicità di un popolo», quel cosmopolitismo e l’eterogeneità che
«erano la struttura semiotica di un codice culturale che si è voluto
cancellare». Al posto del ponte distrutto «oggi si vorrebbe erigere un muro,
lo vorrebbe il sindaco della città, Mijo Brajkovic, che ha chiesto la netta
divisione di Mostar… ».
Quello che era il miracolo di Mostar sta diventando la sua maledizione.
Succede sempre così, ovunque si mettono all’opera quelli che Manzin
chiama «gli architetti del nazionalismo etnico».
GOVERNI E LOBBY CRIMINALI
9 GENNAIO
Sebbene ammorbidito nei toni, grazie agli interventi della Germania e
degli Stati Uniti, è stato approvato all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza
dell’Onuun ennesimo documento che “condanna duramente” il governo
della Croazia per la violazione in quel paese dei diritti umani dei cittadini di
etnìa serba e la violazione del diritto internazionale nei territori riconquistati
della Krajina. Per non andar troppo indietro nel tempo, ricordiamo la
risoluzione votata dal Consiglio di Sicurezza il 3 ottobre dello scorso anno.
Anche allora fu denunciata la “situazione umanitaria in Croazia” e i
provvedimenti presi dal governo croato per impedire il rientro dei profughi
serbi nei territori della Krajina messi a ferro e fuoco dalle forze croate. Quel
documento imponeva al regime di Tudjman di «rispettare in pieno i diritti
della popolazione autoctona serba, compreso il diritto a rimanere e/o a
ritornare in sicurezza sulla propria terra», di promuovere procedimenti
penali per ogni caso di violazione dei diritti umani, di prendere misure per
far cessare queste violazioni, infine di abolire qualsiasi limitazione al
rientro dei profughi.
Zagabria ha fatto orecchie da mercante, continuando sulla strada della
violenza.
Nel documento di questa prima decade di gennaio ‘96 vengono
esplicitamente ricordate le uccisioni di «alcune centinaia di civili», e
denunciati i «diffusi e sistematici saccheggi e incendi che continuano a
verificarsi negli ex settori nord e sud»; si esprime inoltre «profonda
preoccupazione per l’enorme sproporzione fra il numero delle persone
finora denunciate alla giustizia e il numero dei reati accertati contro i diritti
umani e il diritto internazionale».
In particolare si esprime «turbamento» per i pericoli ai quali sono
esposti gli anziani serbi rimasti nelle regioni della Croazia non più protette
dal!’
Unprofor. il Consiglio di Sicurezza «è profondamente preoccupato» per
la loro incolumità visto che «continuano le intimidazioni, i saccheggi ed
altre forme di minaccia contro la vita «ed i beni della popolazione serba
superstite».
Il 6 novembre del 1995, il direttore dell’Ufficio governativo croato per i
profughi, Boris Cepin, informò i rappresentanti delle organizzazioni
umanitarie in Croazia che a quella data 13.700 dei 150.000 cittadini croati
di nazionalità serba fuggiti dalla Krajina avevano presentato domanda per il
rientro, aggiungendo: «Il nostro governo è interessato al ritorno dei
profughi serbi che sono stati costretti ad abbandonare la Krajina, ma ci sono
delle difficoltà…
». Tre giorni dopo, il 9 novembre, dopo un incontro con Ivica Kostovic,
vicepremier croato incaricato per le questioni umanitarie, l’ambasciatore
statunitense a Zagabria Peter Galbraig dichiarò: «Abbiamo detto ai leader
croati che, per quanto riguarda il rientro dei profughi serbi nei territori della
Croazia, non bisogna porre alcun limite di tempo né mettere in atto alcun
genere di confisca dei beni abbandonati». Kostovic invece spostò il discorso
sui serbi rimasti, affermando che «i ministeri croati hanno sviluppato un
progetto di tutela delle persone anziane di nazionalità serba rimaste nei
territori liberati dall’esercito croato», giurando che «durante l’Operazione
Tempesta sono state tutelate oltre 3.000 persone». Oggi, due mesi dopo, si
viene a sapere che oltre 700 persone di quei 3.000 anziani serbi “protetti”
sono stati scannati o fucilati dopo la “liberazione” e che nulla è stato fatto
dal governo croato per 121agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
facilitare il ritorno alle loro case dei profughi serbi andati via da quelle
stesse terre “liberate”.
Nella sua Dichiarazione, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ribadisce il
diritto dei profughi serbi a tornare nelle loro terre da cui fuggirono durante
l’operazione del 4-8 agosto ed afferma che tale diritto finora è stato negato
loro. Esprimendo “profonda preoccupazione per la loro situazione” e
sostenendo il loro diritto al rientro “in sicurezza e con dignità”, l’Onu
constata infatti che questo diritto «è stato seriamente limitato dall’assenza
di provvedimenti costruttivi che permettano il loro ritorno».
Infine, «con rammarico si constata che finora il governo croato ha
mancato di consegnare al Tribunale Internazionale dell’Aja quei suoi
cittadini che sono stati accusati di crimini di guerra» e si «esprime
preoccupazione per la recente nomina di uno di questi ad un’alta carica
nell’esercito croato». Si tratta del generale Blaskic, già capo di Stato
Maggiore dell’esercito croato-bosniaco, nominato da Tudjman ispettore
generale dell’esercito croato.
11 GENNAIO
A Mostar le ostilità fra croati e musulmani delle due parti della città
divisa continuano, e restano in piedi tutti i fattori che le determinano. Il
ministro degli Esteri tedesco Kinkel, in visita a Sarajevo, dopo aver
ascoltato le pesanti accuse rivolte da Izetbegovic ai croati, ha detto che «la
situazione a Mostar è resa insicura dalle strutture mafiose. Bisogna far di
tutto per sconfiggerle». Da tempo lo aveva constatato Koschnick, facendo
capire che il problema di Mostar non è unicamente etnico, ma anche di
criminalità organizzata ai massimi livelli.
Su Il Piccolo di Trieste, Mauro Manzin scrive oggi: «Le bande armate
che sono state fin qui usate dalle fazioni in lotta per svolgere le mansioni
più sporche della guerra si stanno scannando per evitare che la pace renda i
suoi appartenenti dei potenziali disoccupati». La chiave della vicenda sta
«nella forza degli intrecci che queste lobby criminali hanno instaurato con
gli uomini che hanno accesso alle stanze dei bottoni».
12 GENNAIO
Accompagnata da alti ufficiali bosniaci musulmani, una delegazione
della
“Repubblica croata di Erzeg-Bosnia” ha visitato dal 6 al 9 gennaio i
campi militari della Legione straniera islamica (mujahedin) situati ad
Orasac, Pod-brezje (presso Zenica) e Donja Bacina (presso Zavidovici), per
conoscere la sorte toccata ai miliziani croati catturati dai musulmani nella
Bosnia centrale nel corso del 1993 e 1994 e dei quali non si è avuta più
notizia. Con la massima indifferenza il comandante dei legionari, il
palestinese Abu Ajman, ha informato che nei loro campi non ci sono
prigionieri per la semplice ragione che essi venivano immediatamente
uccisi al momento della cattura.
Nel diffondere questa notizia, l’agenzia croata Hina precisa che a molti
dei mujahedin dei paesi arabi, qui con le loro mogli, il governo di Alija
Izetbegovic ha concesso la cittadinanza bosniaca sicché, contrariamente agli
Accordi di Dayton, solo pochi lasceranno la Bosnia. Si calcola che oltre
2.000
volontari arabi abbiano combattuto nelle fila dell’armata bosniaco-
musulmana.
AGUZZINI E VITTIME
15 GENNAIO
Al Parlamento croato, oggi, Tudjman ha letto il suo “Messaggio sullo
stato della Nazione”. Un inno a sé stesso ed al suo regime per i «grandiosi
successi conseguiti nel 1995», a cominciare dalle vittorie militari: «La
Slavonia occidentale è stata liberata in 36 ore il 1° e 2 maggio». Ed ora è
pressoché spopolata. «Subito dopo fu sbloccata Bihac, le forze croate
entrarono a Bosansko Grahovo e Glamoc», ripulendole fin dall’ultimo
abitante serbo e musulmano. «Poi venne la “Tempesta” e in sole 84 ore
furono liberate Knin, la Banija, il Kordun, le rimanenti parti della Lika e
della Zagora dalmata», regioni già note come Krajina, successivamente
devastate e rese deserte. «In queste operazioni […]
90.000 appartenenti alla popolazione serba lasciarono la Croazia
nonostante gli inviti ad attendere pacificamente l’arrivo delle autorità
croate». A fuggire furono invece 150.000 persone prese dal panico dopo le
prove di ferocia date dalle truppe croate in precedenti operazioni. Tudjman
ha così proseguito: «I successi dell’esercito croato sono continuati in agosto
e settembre con l’Operazione Maestral in BosniaErzegovina,dove sono stati
liberati vasti territori con le città di Bosansko Grahovo, Bosanski Petrovac,
Glamoc, Drvar, Kljuc, Mrkonjic Grad, Sipovo e Jajce», città che furono
immediatamente annesse alla “Repubblica croata di Erzeg-Bosnia” dopo
che ne furono cacciate le popolazioni serbe e/o musulmane. Ma questo
Tudjman si è guardato bene dal dirlo.
122agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
Secondo il “Supremo” le truppe croate «erano in grado di continuare le
operazioni per la liberazione di Banja Luka e del Podunavlje [Slavonia
orientale] ma si opposero i fattori internazionali, calcolando che si
sarebbero avuti da 300.000 a 500.000 nuovi profughi, e per il timore di un
allargamento del conflitto».
Tudjman ha detto pure: «In Croazia vengono rispettati in pieno i diritti
umani
[!]», criticando perciò «i combattenti di turno per la democrazia, che
anche nei momenti più difficili per le sorti dello stato croato, hanno
sistematicamente gettato fango sull’ordinamento democratico croato,
calunniandoci nella maniera più vergognosa su alcuni giornali del paese e
all’estero».
A proposito del “sistema democratico croato”, Tudjman ha paragonato
sé stesso a De Gaulle e, citando un discorso dell’ex presidente francese
risalente al 1946, ha affermato: «Il capo dello Stato deve disporre di tutti i
poteri che gli permettano di essere l’arbitro nazionale».
L’ultima perla del discorso tudjmaniano riguarda il campo di sterminio
di Jasenovac, dove gli ustascia (nazisti croati portati al potere dalle truppe
tedesche e italiane che invasero la Jugoslavia durante la II guerra mondiale)
sterminarono circa 600.000 serbi, comunisti croati, ebrei e zingari dal luglio
del 1941 all’aprile del 1945.
«Ritengo che, per ragioni storiche ma anche per motivi politici attuali,
bisogna risistemare il Parco della Rimembranza di Jasenovac,
trasformandolo in “Parco memoriale dei Caduti croati in guerra”. In esso,
accanto al museo ed ai monumenti esistenti, eretti alla memoria delle
vittime del fascismo, dovranno essere ricordate tutte le vittime del
comunismo, i cui resti
, mortali dovranno esservi trasferiti, e in particolare i caduti della guerra
patriottica [1991-1995]. Per ogni caduto per la libertà sarà eretto un
cippo o una croce con il nome. In tal modo, onoreremo la memoria di tutte
le vittime e sul loro esempio testimonieremo la riconciliazione dei croati e
la verità su tutti i caduti per la creazione dello stato croato indipendente
e sovrano».
Gli stessi onori, dunque, per gli ustascia dello “Stato Indipendente
Croato” del duce Ante Pavelic e per i partigiani, per gli aguzzini e per le
vittime.
16 GENNAIO
Mi è pervenuto, con qualche settimana di anticipo sull’uscita del
periodico,l’editoriale del numero 2/1995 del mensile politico zagabrese
Hrvatska Ijevica (“La sinistra croata”) diretto dall’amico Stipe Suvar, già
membro della Presidenza della Jugoslavia. È intitolato “La statistica del
Presidente” e si riferisce al messaggio letto ieri da Tudjman al Sabor croato.
«Dovrebbe essere scritto un intero libro per evidenziare la falsità delle
statistiche tudj-maniane»: è la prima di alcune ferme critiche a quel
discorso. «Così, per esempio, se si vuole ottenere il numero esatto dei serbi
fuggiti davanti alle offensive “Lampo” e “Tempesta”, dovrebbe essere più
volte moltiplicato quello fatto» da Tudjman che «non ha pronunciato una
sola parola per ricordare i crimini commessi contro la popolazione serba nei
territori devastati dalla
“Tempesta”, né ha parlato dei saccheggi, incendi e devastazioni di beni
che, prima definiti come sociali, oggi sono statali; distruzioni che tuttora
continuano». L’autore dell’editoriale ricorda poi che nelle prigioni croate
sono finiti 1.500 serbi accusati di crimini di guerra, ma anche su questo
Tudjman ha taciuto, così come ha taciuto le cifre dei 2.000-4.000 serbi
trucidati nelle suddette operazioni, e delle case serbe (l‘85% dell’intero
patrimonio abitativo di una regione vasta quanto l’Umbria) demolite dopo
la
“liberazione”. Ancora una considerazione dell’editorialista: «Tudjman
ha visto soltanto quello che ha voluto vedere e non ha voluto vedere molte
delle cose che sono state invece viste non solo dai croati e dalle croate, ma
anche da molti stranieri».
L’uomo che negli ultimi cinque anni, da quando è salito al potere in
Croazia,ha permesso la distruzione di migliaia di monumenti, lapidi e cippi
eretti alla memoria della Resistenza antifascista; che ha fatto demolire l’ex
campo di sterminio ustascia di Jadovno e semidemolire lo stesso lager di
Jasenovac durante l’operazione “Lampo” del 1-2 maggio 1995; l’uomo che
nell’ultimo quinquennio ha riportato in auge molti simboli ustascia, a
cominciare dal nome della moneta nazionale; l’autore di un libro anti
ebraico e filofascista,uscito nel 1990, nel quale definiva Jasenovac un
semplice campo di lavoro nel quale 123agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
sarebbero morte non più di 3.000-4.000 persone; l’uomo che ha
nominato non pochi simpatizzanti dell’ideologia ustascia a cariche di
ministri e di ambasciatori, —
parliamo di Tudjman ovviamente — è il medesimo che, recentemente,
in un’intervista ha prospettato la croatizzazione dei musulmani bosniaci e
della Federazione croato-musulmana di Bosnia attraverso l’assorbimento
dei musulmani che, secondo lui, sarebbero discendenti dei croati ai quali
Tito avrebbe appiccicato una diversa etichetta di entità nazionale scrivendo
in maiuscolo la iniziale lettera “emme” di “musulmani”.
Non meraviglia, perciò, che si assista a Mostar e altrove ad un rigurgito
di odi e vendette nei rapporti fra croati e musulmani bosniaci. Si incrina
sempre più la convivenza nella Federazione. D leader del popolo
musulmano di Bosnia, Alija Izetbegovic, in un discorso pronunciato appena
ieri, ha denunciato «le violenze ed i crimini compiuti contro i musulmani in
Bosnia dalle milizie croato-bosniache e dall’esercito regolare croato»
mandato da Zagabria ad aiutare gli alleati contro i serbi. Questi crimini sono
stati commessi, ha detto Izetbegovic, nel periodo agosto-settembre 1995,
operazione “Maestral” nei territori “liberati”. Il leader musulmano ha detto
pure che gli autori di quei crimini «non hanno nulla da invidiare a Radovan
Karadzic».
A spingere Izetbegovic a questi sfoghi polemici, ed a rinvangare un
doloroso recente passato, è Mostar. È in quella città che gli odi etnici sono
più profondi e minacciano di far franare la Federazione. H ministro degli
Esteri tedesco Kinkel, incontratosi proprio a Mostar con i colleghi Mate
Granic, croato, e Muhamed Sacirbey, musulmano-bosniaco, ha incolpato i
croati per le rinnovate tensioni che hanno causato morti e feriti nel
capoluogo dell’Erzegovina dall’inizio dell’anno. Kinkel, che assieme ai
colleghi ha attraversato il ponte di fortuna costruito sulla Neretva dopo che
le artiglierie croate avevano distrutto quello antico costruito dagli ottomani
nel XVI secolo, ha escluso qualsiasi compromesso contrario alla
riunificazione della città:
«Dayton va rispettato fino all’ultima virgola». Tudjman, vassallo della
Germania, è avvertito. Un’altra dura critica ai croato-bosniaci è venuta dal
premier musulmano Haris Silajdzic. Ha constatato: «Arrivando a Mostar
non sembra di stare in Bosnia ma proprio in Croazia… Tutto, dalle uniformi
alle bandiere e ai soldi, tutto è croato e sembra difficile poter ricostruire la
Bosnia insieme a gente che ha fatto di tutto per dividerla».
Fino a quando Tudjman, il burattinaio che da Zagabria muove i fili della
“Repubblica croata di Erzeg-Bosnia”, non si deciderà ad abolire lo
staterello da operetta, i profittatori e i criminali di guerra che la governano
continueranno a rinfocolare odi e vendette seminati da quattro anni.
LA BANDA DI BOBAN
17 GENNAIO
Oggi si è appreso che nella notte fra il 12 e il 13 gennaio ignoti ladri
sono penetrati negli uffici del Centro per i diritti umani dell’Orni a Zagabria
in Selska ulica rubando varie apparecchiature elettroniche, compresi quattro
computer con i dischetti sui quali erano memorizzate le testimonianze sui
crimini di guerra commessi da croati negli ultimi quattro anni, informazioni
sui testimoni (la cui vita è perciò in pericolo) ed altri documenti sulle
violazioni dei diritti umani in Croazia, insieme ai risultati delle indagini
compiute dai gruppi di ricerca del Centro nel corso delle operazioni militari
croate “Lampo”
(Slavonia occidentale) e “Tempesta” (Krajina). Tra l’altro erano
registrati i risultati delle indagini sulle stragi compiute a Pakracka Poljana, a
Gospic, a Daruvar e altrove negli anni 1991-92, stragi di cui si è spesso
“mormorato” ma che erano rimaste avvolte nel mistero.
Il Centro cominciò ad operare nell’aprile del 1993, un anno dopo
l’arrivo in Croazia dei Caschi Blu. Le informazioni di questo centro sono
servite a Tadeusz Mazowiecki prima e servono ora ad Elisabeth Rehn,
attuale relatrice dell’Onu per i diritti umani, nella compilazione dei rapporti
al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ed al Tribunale dell’Aja.
Si suppone che i “ladri” si nascondano fra gli stessi impiegati del
Centro, alcuni dei quali sono cittadini croati.
Breve sosta di Bill Clinton a Zagabria, dove si è incontrato all’aeroporto
con Tudjman. Gli ha chiesto di intervenire presso i suoi croati a Mostar
affinché la smettano di attentare alla pace e di ostacolare l’unificazione di
quella città.
Clinton è andato in Bosnia a salutare i suoi soldati. In quel paese sta
pericolosamente crescendo la tensione fra croati e musulmani.
Per quanto riguarda i croato-bosniaci, sembra che il potere assoluto su
di essi 124agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
sia stato nuovamente assunto dall’ex “presidente della repubblica
erzegovese”
Mate Boban che fa la spola tra Zagabria e Mostar. Pare che possegga
documenti compromettenti per Tudjman e riesca a ricattarlo. Lo scrive il
Washington Post citato dal corrispondente del Novi List da New York,
Vjekoslav Krsnik, in una corrispondenza pubblicata sul quotidiano di
Fiume. «Criminalità e nazionalismo sono stati il binomio della guerra in
Bosnia», leggo. Si paragona l’operato di Mate Boban a quello di Zeljko
Raznatovic-Arkan, «il capo belgradese dei gangster» in Serbia. «A Mostar
nazionalismo e crimine sono strettamente intrecciati nei quartieri sulla
sponda occidentale del fiume Neretva sotto il controllo di un gruppo
mafioso croato che già prima della guerra si era specializzato in furti di
automobili, spaccio di droga e truffe nel commercio».
Secondo la medesima fonte «alla testa di questa banda di gangster si
trova Mate Boban» che, pur essendo stato destituito dalla sua carica di
presidente della
“Repubblica croata di Erzeg-Bosnia” nella primavera del 1994, ha
mantenuto la sua forte influenza in quel territorio. «La banda di Boban tiene
sotto il proprio controllo i valichi di frontiera tra la Bosnia e la Croazia,
intascando giornalmente tributi per 60.000 dollari».
Teoricamente, questi soldi dovrebbero andare al governo di Sarajevo,
ma gli uomini di Boban li spendono a Mostar e in altre regioni del loro
staterello,compresa la zona del santuario di Medjugorje, per acquistare e
arredare caffetterie, ristoranti, bar notturni e bordelli.
Pur essendo un collettivo di giornalisti coraggiosi e indipendenti, il
Novi List non può dire apertamente certe cose che gettano fango sul regime
croato; le fa dire ai giornalisti stranieri. Sul caso Boban questo giornale
ospitò già l‘11
gennaio un articolo ripreso da The Washington Post, il cui
corrispondente da Mostar commentava a sua volta alcuni sanguinosi episodi
avvenuti in quella città: «Ricade sui nazionalisti croato-bosniaci la
responsabilità delle recenti sparatorie che hanno causato la morte di due
persone». E più avanti: «La Federazione croato-musulmana è seriamente in
pericolo, essa viene minata dagli ultranazionalisti croati che vedono nella
federazione una minaccia per il loro potere locale». «Se la Federazione
dovesse sfasciarsi, gli Accordi di Dayton saranno annullati». E ancora: «Un
alto funzionario occidentale ha dichiarato che i recenti conflitti tra croati e
musulmani sono stati attizzati dai seguaci di Mate Boban, ex leader del
partito nazionalista croato in Bosnia W’Hdz di Tudjman]. Boban fu rimosso
dalla sua carica su suggerimento di Washington dopo la firma dell’accordo
fra musulmani e croati nel 1994, ma egli ha continuato a sfruttare la propria
influenza».
Mostar è divisa in due dal maggio del 1993, quando le milizie dei croati
bosniaci guidate da Boban tentarono di cacciare dalla città tutti i
musulmani, proclamando Mostar capitale del loro staterello secessionista e
ripulito da ogni “alieno”. Riuscirono in parte a realizzare il loro intento: i
musulmani si ritirarono nella parte orientale divisa dal fiume. Recentemente
l’amministratore europeo di Mostar, Koschnick, ha dichiarato: «La lotta per
Mostar fu una lotta per una forma speciale di identità. I croati si sono battuti
per una città croata etnicamente pulita, i musulmani per una Mostar multi
etnica qual è stata per 500 anni». Da circa due anni, dopo l’accordo sulla
federazione croato-musulmana, i leader croati impediscono ai musulmani di
attraversare il ponte sul fiume e di raggiungere la parte occidentale della
città. Hanno inoltre tagliato i rifornimenti di acqua e di elettricità alla parte
musulmana, da essi ridotta in macerie nel corso di un lungo assedio e con
incessanti bombardamenti.
Ora che gli Accordi di Dayton impongono la riunificazione di Mostar, i
croati rischiano di riaccendere la guerra pur di impedirla. Mostar dovrebbe
essere strutturata in sei comuni, tre croati e tre musulmani, più un “distretto
centrale” multietnico.Anche questa soluzione, che comunque lascerebbe a
ciascuna etnìa le proprie scuole, i propri enti culturali, le proprie chiese e
moschee, non soddisfa i croati. Essi vogliono rinchiudere i musulmani in un
ghetto e dividere la città come una volta era divisa Berlino, ciascuna parte
con una sua stazione ferroviaria, un suo centro commerciale, un suo
aeroporto e con valichi severamente controllati sulla linea di demarcazione.
Questa è la situazione odierna. Il futuro è buio.
LA GUERRA DELL’USORA
18 GENNAIO
Nel corso della guerra in Bosnia (1992-1995), i serbi hanno mantenuto
incessantemente il controllo sulla città di Doboj, cacciandone la
popolazione musulmana e quella croata. Tutto il circondario, nel quale sono
disseminate decine di borgate e villaggi, è in mano alle forze musulmane
che hanno creato i 125agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
nuovi comuni di Usora, di Doboj Est e Doboj Ovest, questi ultimi privi
di un vero e proprio centro. Sul territorio del comune di Usora vi sono due
villaggi con popolazione croata: Ularice e Alibegovici, i più prossimi alla
città di Doboj: ne sono in realtà i sobborghi, posti anche in posizione
strategicamente importante, alla confluenza del fiume Usora nel fiume
Bosnia e all’incrocio delle strade Doboj-Banja Luka, Doboj-Sarajevo, e
Sarajevo-Doboj-Zagabria. In quella zona sono stato dal 25 al 21 dicembre
scorso, passando per Brijestica e Gracanica.
Da quando hanno perso Doboj, le massime autorità musulmane hanno
progettato di creare una Nuova Doboj nelle immediate vicinanze della
vecchia Doboj serba.
L’unico ostacolo alla realizzazione di questo progetto sono i due villaggi
croati; soltanto la loro inclusione nel territorio etnicamente musulmano
renderebbe possibile l’unificazione dei comuni di Usora, di Doboj Est ed
Ovest, la creazione di una nuova Doboj ai confini della vecchia (come la
Nuova Gorizia costruita dagli sloveni al posto di Salkan a ridosso della
vecchia Gorizia italiana). Bisognava, dunque, spazzare via la popolazione
croata da quei villaggi. All’uopo «è stata condotta la più vasta operazione
bellica in Bosnia dopo la firma della pace e prima dell’arrivo delle truppe
della Nato», come si esprimono le fonti croate che appena oggi, a cose fatte,
ne danno notizia.
L’operazione si è protratta dal 7 al 15 gennaio con l’impiego di circa
5.000
soldati: cinque brigate della 37° divisione dell’armata musulmana, lo
speciale distaccamento di polizia “Bosna 04”, formato da musulmani di
Doboj e Tesanj, e dalle forze della polizia civile “Csb Doboj” strutturate in
due battaglioni, ed è cominciata con l’instaurazione di un forte controllo
sull’intero territorio a nord di Zepce e con una dimostrazione di forza «allo
scopo di incutere paura e seminare il panico tra le fila delle popolazioni
croate e dell’esercito croato-bosniaco». Le fonti croate aggiungono che,
giorno dopo giorno, in gruppi di 50-100 soldati e poliziotti, «le forze
musulmane sono penetrate da varie direzioni nella zona di responsabilità
della 110° brigata croato-bosniaca». A questo punto, i croati hanno
mobilitato tutte le loro forze militari e l’intera popolazione per fronteggiare
i musulmani, che sono penetrati nelle frazioni musulmane dei villaggi di
Ularica e Alibe-govci, occupandole e inalberando la bandiera con i gigli
della Bosnia Erzegovinasulle quote eminenti.
Da un momento all’altro poteva cominciare lo scontro, che per fortuna
non c’è stato. Di fronte alle forze preponderanti del “nemico” i croati hanno
deciso di addivenire a trattative così che il 15 gennaio le forze musulmane
si sono ritirate sulla sponda destra del fiume Usora, da dove erano partite
otto giorni prima.
«La determinatezza dei croati nel difendere il proprio territorio ha fatto
sì che i musulmani abbiano subito la più grave sconfitta politica e militare»,
si legge in un comunicato firmato da Ivan Bender, presidente della
Presidenza della
“Repubblica croata di Erzeg-Bosnia”.
Secondo le fonti del governo di Sarajevo, invece, è stato solo grazie allo
spirito di tolleranza della parte musulmana se non c’è stato spargimento di
sangue. Le forze dell’armata bosniaca avrebbero potuto spazzare facilmente
le scarse forze militari croate in un territorio ristretto qual è quello dei due
villaggi sulla sponda sinistra dell’Usora e invece non hanno toccato una
sola casa croata. Sono invece i comandanti della brigata dell’esercito
croato-bosniaco ad aver trasformato quei due villaggi in un ghetto,
tenendoli separati dal resto del territorio dell’Usora. Preferiscono
l’isolamento pur di sventolare la bandiera croata, dichiarandosi parte del
territorio della
“Repubblica croata di Erzeg-Bosnia” (territorialmente lontana) piuttosto
che riconoscere l’esistenza della Repubblica di Bosnia. L’armata di
Izetbegovic, stando a quanto dichiarato dal premier Haris Silajdzic, voleva
solo far rispettare l’unità e la sovranità della Repubblica di Bosnia e la sua
bandiera, quella che sventola davanti al palazzo dell’Orni a New York.
Da un capo all’altro della “Federazione croato-musulmana” si
moltiplicano le Mostar.
UNA BIBBIA E GOLDSTONE
25 GENNAIO
Accompagno una decina di giovani Veneti per una missione in Bosnia.
Ieri l’altro siamo passati per Knin, l’ex capitale della Krajina. Ho raccolto
sul posto alcune informazioni. Prima della riconquista croata contava
50.000 e più abitanti, dei quali circa 1.700 di etnìa croata. A sei mesi dalla
“liberazione”
e dalla fuga della popolazione serba gli abitanti sono 7.000, per lo più
croati esuli da Banja Luka trapiantati qui per colonizzare il territorio. Di
questi 126agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
7.000, meno di 500 lavorano, e di questi 200 sono funzionari
governativi.
Continuano i saccheggi. Da Zara arrivano ogni giorno loschi figuri che
si appropriano delle poche case ancora agibili, apponendo sulla porta la
scritta:
“Occupato”. Dei 1.681 croati che abitavano a Knin nel 1991 ne sono
tornati circa 1.500, tutti gli altri sono venuti dalla Bosnia e dalla Vojvodina.
Dei serbi autoctoni ne sono rimasti soltanto 420, ai quali se ne sono
aggiunti 200 tornati dalla Serbia dove erano fuggiti. Il commissario del
governo di Zagabria, signor Petar Pasic dice chiaramente che non gradisce
altri rientri di serbi: «Noi stiamo attenti, tutti i serbi che abbandonarono la
città il 4 agosto ed ora ritornano saranno processati per il reato di
insurrezione armata contro lo stato croato. Lo sappiano, cosi ci penseranno
tre volte prima di tornare, meditando se è meglio andare in galera o
restarsene in Serbia». Leggo questa dichiarazione sul giornale Slobodna
Dalmacija di oggi. Non è certo questa la dimostrazione della “buona
volontà” richiesta dall’Onual governo di Zagabria per favorire il rientro
degli esuli alle loro case.
i 27 GENNAIO
In un istituto medio superiore di Zagabria, l’insegnante di religione
cattolica ha invitato gli studenti a portare a scuola la Bibbia, qualsiasi
edizione avessero trovato in casa. Fatta una sola eccezione, nessuno ha
trovato una Bibbia nella biblioteca di famiglia. L’eccezione è stato un
ragazzo che ha preso dalla piccola biblioteca paterna una vecchia
traduzione croato-serba, edizione 1968 in due volumi, Vecchio e Nuovo
Testamento: una celebre edizione Danicic-Karadzic in circolazione
dall’inizio di questo secolo e che è servita a milioni di cattolici croati prima
che apparisse in Croazia, qualche anno addietro, una Bibbia edita da una
casa éditrice cattolica nella traduzione croata “pura”, cioè in una variante
epurata dai serbismi.
L’insegnante di religione, invece di dire “bravo” allo zelante ragazzo per
aver portato a scuola i due volumi, li ha sollevati in alto e, con gesto
plateale, li ha gettati nel cestino della carta straccia accanto alla lavagna.
Poi, rivolto al ragazzo avvilito, gli ha urlato: «E non permetterti più di
portare in classe questa spazzatura serba!». Il ragazzo, a questo punto, ha
riacquistato il proprio orgoglio: si è chinato sul cestino, ha ripescato i due
volumi della Bibbia, li ha riposti nello zainetto di scuola ed ha detto: «Io
sono croato e cattolico, questi sono i libri di Dio e lei non ha il diritto di
togliermeli».
L’episodio è raccontato da Drago Pilsel in un articolo apparso sul Novi
List di oggi.
28 GENNAIO
Richard Goldstone, procuratore capo del Tribunale Internazionale
dell’Aja per i crimini di guerra nell’ex Jugoslavia, rispondendo a domande
di giornalisti dopo un incontro avuto con il segretario generale dell’ Onu a
New York, ha detto tra l’altro che il furto del materiale probatorio contro i
criminali di guerra croati, avvenuto a Zagabria, non ha portato alla
distruzione delle prove da lui finora raccolte. Riferendosi poi al caso del
generale Tihomir Blaskic, ha sottolineato il dovere delle autorità croate di
arrestarlo. Tudjman, invece, continua a tenerlo nella carica di ispettore
generale del suo esercito, alla quale lo ha promosso con decreto del 14
novembre scorso.
La Croazia è stata respinta per l’ennesima volta dalle istituzioni
europee, ancora una volta il Consiglio d’Europa le ha sbattuto la porta in
faccia. E questo perché è «accusata di aver partecipato attivamente ai
crimini di guerra, alla pulizia etnica, alla violazione dei diritti civili e per
aver instaurato una democrazia limitata e guidata che assomiglia molto a un
totalitarismo autoritario. Lo dimostra anche il continuo soffocamento della
libertà dei massmedia».Lo scrive Vilko Luncer sull’odierno Novi List in un
lungo testo dal titolo “I media al servizio di un regime populista”.
MOSTAR
30 GENNAIO
Molti poeti, in varie epoche, hanno cantato la luminosità di Mostar. «Io
la ricordo per la sua luce», ha scritto Ivo Andric. Innumerevoli pittori hanno
sottolineato la purezza del fiume che la attraversa e la snellezza del prezioso
Ponte Antico che congiungeva le due sponde. Mostar era una città unica e
irripetibile. Oggi è uno scheletro di città, e solo apparentemente, vista da
lontano, è luminosa. La sponda destra si spande in una vasta piana, e da
questa parte la città è molto estesa; la sponda sinistra è sovrastata dalle
pendici meridionali del monte Prenj e dagli sproni occidentali del monte
Velez, sicché da questa parte la città è più ristretta e più ripida. Ma non è
l’unica differenza. Quando si attraversa la città, passando dall’una all’altra
parte, si 127agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
nota immediatamente il contrasto: da una parte immani distruzioni e
miseria; dall’altra distruzioni molto meno accentuate e apparente benessere.
Ci fu un periodo, durato quasi un anno, che su Mostar Ovest, dove sono
stati rinserrati i musulmani, piovvero contemporaneamente le granate dei
mortai croati e serbi. Un giovane incontrato nella parte ovest, croato
naturalmente, spiega che certi segni di lusso e il benessere che
contraddistinguono la parte croata sono di pochi ricchi, profittatori di
guerra, mafiosi e capibanda che hanno in mano lo scettro del comando. Ed è
vero.
Si chiama Mustafa Kajtaz, è un vecchio ottantenne, semiparalizzato,
due volte ferito da schegge di granate, vive con la moglie settantunenne in
un’antica casa turca nella parte est di Mostar, una casa che dopo aver
resistito all’usura di cinque secoli è rimasta miracolosamente intatta anche
dopo tre anni di guerra che hanno trasformato il fiume Neretva in un abisso
difficilmente superabile. La
“casa turca” che accoglie Mustafà e sua moglie era una volta il Museo
Civico di Mostar. Una volta significa: prima della
guerra cominciata nel 1992. In quell’epoca i Kajtaz abitavano nella
parte occidentale della città, che i croati hanno reso etnicamente “pulita”.
Abitavano in una casa di loro proprietà; questa per secoli è stata dei Kajtaz
ed è conosciuta come “Palazzo Kajtaz”, uno dei più belli della città.
Disponevano di sontuosi appartamenti, vivevano nel benessere, rispettati e
lasciati in pace anche dal regime “bolscevico” come oggi viene definito il
roseo socialismo di Tito. Sul finire del 1993 i croati cacciarono brutalmente
i Kajtaz dal loro palazzo. Mustafà e sua moglie, con poche cose raccolte in
una valigia, attraversarono lo Stari Most, l’antico ponte, e ripararono nella
parte orientale, dove hanno vissuto e tuttora vivono grazie agli aiuti
umanitari.Le autorità croate hanno confiscato il Palazzo Kajtaz,
insediandovi il Ministero della Difesa della loro “Repubblica” e il Quartier
Generale deWHvo, l’esercito croato-bosniaco.
«Morirò di dolore per la mia casa», piange il vecchio Mustafà. «E per i
miei due figli fuggiti in Svezia per non dover indossare l’uniforme
militare». Per non essere costretti a sparare contro i croati che hanno
cacciato i loro genitori dalla casa degli avi.
Oltre all’Antico, lo Stari Most, Mostar aveva il Ponte Tito. I croati
sbriciolarono a cannonate il primo, i serbi distrussero il secondo, sempre a
cannonate. Quei ponti collegavano le sponde del fiume e i due quartieri di
Mostar. Ora, al posto dell’Antico c’è un ponte sospeso e al posto del Ponte
Tito è stato costruito un ponte in ferro; ambedue sono dono del popolo
britannico.
Sui due ponti possono passare soltanto automezzi e blindati delle forze
internazionali e… poche centinaia di abitanti di Mostar ogni giorno: donne,
bambini e uomini di età avanzata.
A porre dei limiti sono le autorità locali croate per impedire 1’
“invasione”
dei musulmani nella loro parte della città, per tutelare la pulizia etnica.
La polizia croata è meticolosa e severa nei controlli; la polizia musulmana è
come se non ci fosse, fa finta di controllare. Le donne musulmane si recano
nella parte occidentale per fare acquisti: cambiano in “kune” croate i pochi
marchi che riescono a racimolare per acquistare generi alimentari; nella
parte est c’è penuria di tutto.
Mostar Ovest ha mantenuto il suo aspetto di città, a differenza di Mostar
Est, il nucleo storico, barbaramente devastata. Anche Mostar Ovest,
tuttavia, ha la sua zona distrutta: il Boulevard, che fu la prima linea del
fronte durante il conflitto tra croati e musulmani.
Il giovane croato che ci ha parlato all’inizio dei suoi connazionali
mafiosi arricchitisi con la guerra, è un artigiano. E tutt’altro che ricco, ma
sbarca bene il lunario vendendo i prodotti del suo negozietto alle donne
musulmane che passano il ponte arrivando dalla parte orientale. Qui il
piccolo commercio fiorisce bene, e la presenza dei “turisti” di Mostar Est è
tollerata solo perché devono tornare prima di notte da dove sono venuti,
dopo aver speso qui gli ultimi marchi delle rimesse dall’estero o della
pensione. Al mercato di Mostar Ovest per un marco e mezzo si compra un
chilogrammo di mandarini erzegovesi di Opuzen. Un venditore di
mandarini si esprime ad alta voce: «Non sputo sui soldi che spendono, ma
qui in casa non ce li vogliamo. Se dovessi decidere io, alzerei un muro
altissimo lungo il fiume lasciando aperto solo un ponte per i pedoni». Fa
seguire alcune frasi che ho più volte letto sui giornali croati, che ho sentito
alla televisione croata, che i leader croati ripetono spesso nei loro discorsi
politici. Frasi e concetti che, rilanciati come slogan con martellante
ripetizione, sono penetrati nel vocabolario quotidiano della 128agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
gente comune.
La settantaduenne Mersìa, musulmana di Mostar Est (incontrata nella
parte Ovest) racconta la sua amara storia. Suo fratello, un medico, fu ucciso
presso la Casa del Pensionato, oggi sede della rappresentanza dell’Unione
Europea. Poco dopo, negli scontri con i croati, questi catturarono suo
genero, che è morto in un campo di concentramento, forse sotto le torture.
La figlia vedova di Mersìa, con un bambino di due anni, fu cacciata da
Mostar Ovest; dopo molte peripezie, ha trovato rifugio oltre oceano, a
Chicago. Durante la notte di Natale un proiettile sparato dai croati ha
colpito la finestra della casa di Mersìa che vive col marito con una pensione
di 26 marchi. Ma Mersìa non odia i croati: «Fra gli uomini ci sono anche i
malvagi, come ci sono i buoni», dice.
In un chiosco di Mostar Est ho trovato anche dei giornali croati. Ad
Ovest non fanno entrare alcun giornale che venga dalla parte Est. Ho letto
in una dichiarazione di Alija Izetbegovic: «Mostar Ovest è l’unico punto
dell’Europa dove è proibita la religione che non sia quella cattolica».
LA COLPA DI VIVERE CON I SERBI»
2 FEBBRAIO
Dopo innumerevoli smentite, reticenze, silenzi, menzogne e mezze
verità, susseguitesi per sette lunghi mesi, le autorità croate si sono rese
conto che gli ulteriori tentativi di celare agli occhi del mondo gli “eccessi”
accaduti nei territori “liberati dall’occupazione serba” in Croazia erano
destinati a fallire. Stasera, per bocca del ministro degli Esteri, hanno
ammesso — sia pure indirettamente — le atrocità perpetrate. Vi sono state
costrette dalla condanna pronunciata all’inizio dello scorso mese dal
Consiglio di Sicurezza dell’Orni contro il potere politico e quello
giudiziario di Zagabria rimasti inerti, passivi (e complici) di fronte alle
nefandezze compiute nell’ex Krajina (e altrove). Alla finlandese Elisabeth
Rehn, relatrice dell’Onu per i diritti umani, fermatasi in Croazia per due
giorni, il capo della diplomazia croata Mate Granic ha cinicamente detto:
«Noi non nascondiamo nulla». Ci si aspettava che poi fornisse informazioni
sulle razzie, le “spedizioni punitive” ed altre efferatezze, e invece si è
limitato a una sola cifra: «Sono in corso procedimenti inquisitori o penali
contro 1.005 persone accusate di azioni criminose» compiute dopo il
congiungimento dell’ex Krajina al resto del territorio nazionale. «Sono
imputati di saccheggi, incendi, stupri, uccisioni».
Meno di tanto non poteva dire, visto che questi dati sono già noti da
cinque giorni, pubblicati e commentati dal settimanale zagabrese Globus.
Manca tuttora un quadro, risultato di indagini ufficiali, che stabilisca
quanto è successo in tutti questi mesi; e difficilmente sarà mai stilato un
inventario esatto delle nequizie commesse perché a dare il via alle
“vendette” furono le stesse autorità politiche e militari croate.
Dell’aberrante campionario sono trapelati finora soltanto pochi capitoli,
quelli tragicamente più eclatanti, e non certamente per merito delle autorità
costituite e del partito al potere.
Troppi pochi sono gli inquisiti ed imputati di fronte all’altissimo
numero di azioni criminose commesse (decine di migliaia di saccheggi e
incendi, centinaia di stupri e di assassinii) ed alla distruzione sistematica e
quasi totale del patrimonio abitativo di una vasta regione; siamo comunque
pur sempre di fronte a una cifra imponente rispetto alle precedenti
indicazioni di “casi sporadici”.
Solo una decina di questi 1.000 e più imputati di gravissimi reati si
trovano agli arresti, tutti gli altri restano a piede libero con i passaporti in
tasca.
Appena 25 di essi sono accusati di omicidio, mentre le persone
assassinate sono 30 volte di più: circa 800 sui poco più di 3.000 abitanti
rimasti nella (ormai deserta) regione.
Dei 1.005 imputati, 208 sono militari e poliziotti.
Non sono certamente queste aberrazioni ad esaltare il prestigio della
Croazia, né fa onore alla Croazia il fatto che i responsabili del genocidio
siano stati raggiunti solo dopo che per mesi hanno potuto liberamente
uccidere, stuprare, saccheggiare, devastare davanti agli occhi delle “forze
dell’ordine” croate, e solo dopo che le denuncie delle organizzazioni
nazionali e internazionali per la tutela dei diritti umani si sono moltiplicate.
Qualche esempio: il cadavere di una vecchia serba è stato “scoperto”
dalla polizia due mesi dopo l’assassinio avvenuto nella casa della vittima;
nel caso dell’eccidio dei nove civili serbi nel villaggio di Varivode la polizia
e gli inquirenti reagirono solo dopo che i giornali ne avevano dato notizia e
dopo una conferenza stampa di Yasushi Akashi, all’epoca inviato in ex
Jugoslavia dal segretario generale dell’Orni.
Ivan e Milka Markovic vivevano nel villaggio di Letovanci, nei dintorni
ai 129agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
Sisak. Nella tarda estate del 1991 il villaggio venne a trovarsi entro i
confini della Krajina ribelle alle autorità di Zagabria, ma i Markovic,
seppure di etnìa croata, preferirono continuare a vivere insieme ai
compaesani serbi. Nessuno toccò loro un capello nei quattro anni di
esistenza della “Repubblica serba di Krajina”. Il 5 agosto del 1995, nel
corso dell’Operazione Tempesta, le truppe croate entrarono senza
combattere nel villaggio trovandolo vuoto: i reparti serbi si erano ritirati da
tempo, dietro di loro se ne erano andati tutti gli abitanti. Ad accogliere le
truppe di Tudjman erano rimaste due sole persone, i coniugi Ivan e Milka
Markovic, gli unici di etnìa croata. Avevano la coscienza tranquilla. Ma per
gli ideologi di Tudjman una famiglia croata che ha vissuto con i “nemici”
serbi per quattro anni senza subire da essi alcun torto poteva essere soltanto
una famiglia di traditori. Andava perciò punita con la morte.
Il 6 agosto, era domenica, i Markovic furono visitati da quattro “amici”,
loro compaesani, che in quegli anni erano vissuti a Sisak come profughi.
Erano venuti per vedere se la loro casa era ancora in piedi, dissero,
preparandosi a tornare a Letovanci. Il lunedì vennero a trovare i Markovic
anche alcuni rappresentanti della Croce Rossa, ma li trovarono morti.
Uccisi da colpi di arma da fuoco, nella loro casa. Fu immediatamente
avvertita la polizia.
Gli inquirenti, arrivati sul posto appena l‘8 agosto, si limitarono ad
accertare la morte dei due coniugi senza raccogliere alcuna prova; i
cadaveri furono sepolti senza che fosse prima eseguita l’autopsia; fino ad
oggi i corpi delle vittime non sono stati riesumati, gli assassini restano
ignoti. Non esiste neppure una denuncia del crimine alla magistratura da
parte della polizia! Si sa soltanto che una delle quattro persone che
visitarono i Markovic la domenica, minacciò gli ospiti di ammazzarli per
essere rimasti a vivere con i serbi. Ciò risulta dalla testimonianza degli altri
tre, ma neppure questa testimonianza è stata raccolta dalla magistratura. A
sollevare lo scandalo è stato un avvocato, Ranko Radovic, incaricato dal
Comitato di Helsinki per i diritti umani.
3 FEBBRAIO
Dalla sede del Comando di Zona dell’Hvo nella cittadina di Mrkonjic
Grad, oggi è stata ammainata la bandiera della cosiddetta “Repubblica
croata di Erzeg-Bosnia”. Con questo atto simbolico le milizie croato-
bosniache e le truppe regolari croate si sono ritirate, consegnandole ai
serbo-bosniaci, dalle città e dai territori di Mrkonjic Grad, Sipovo e Bocac
che, in base agli Accordi di Dayton sulla correzione delle linee di
demarcazione fra l’entità serba e l’entità croato-musulmana in Bosnia,
appartengono alla “Repubblica serba della Bosnia Erzegovina”.La consegna
è avvenuta nelle mani del brigadiere Richard Dannet dell’J/br che il 15
marzo consegnerà il territorio all’esercito serbo-bosniaco. I croati hanno
restituito, in realtà, due cittadine ridotte in macerie; sin dalla fine della
prima decade di dicembre dello scorso anno, avevano cominciato l’opera di
distruzione (vedi il 13 dicembre).
4 FEBBRAIO
Sembrava che si fosse conclusa, e invece continua, l’allucinante serie
degli assassinii. Oggi, domenica, è arrivata da Zara la notizia che bande
criminali sono riapparse nella Krajina. Starnarli, in due diverse località
dell’entroterra di Zara, e precisamente nel territorio di Gracac e Obrovac
(parte meridionale della regione “liberata” e ripulita dalla popolazione
serba) sono stati trovati i cadaveri di due anziane donne massacrate dai
soliti ignoti vendicatori: la cinquantottenne Marija Zutic e la
ottantacinquenne Milica Olujic, ambedue di etnìa serba. Vivevano da sole,
l’assassino o gli assassini non hanno avuto difficoltà ad averne ragione. Il
cadavere della prima vittima è stato scoperto nella sua casa nel villaggio di
Tomin Gaj: freddata a colpi d’arma da fuoco. Il cadavere della seconda è
stato rinvenuto in una casetta nella frazione di Biljane. Questo secondo
delitto risalirebbe a diversi giorni prima del ritrovamento del cadavere,
mentre il primo risalirebbe a ieri.
Considerate le non poche analogie fra i due delitti, si può supporre che
ambedue le donne siano state uccise dagli stessi assassini e per il medesimo
motivo: erano serbe. Milica Olujic era, per di più, l’unica abitante superstite
del suo villaggio. Questo ora potrà essere “colonizzato” con nuovi abitanti
di puro sangue croato.
Le autorità croate non hanno fatto nulla o quasi per impedire che per
mesi continuassero questi crimini nei territori restituiti al potere dello stato,
pur disponendo di enormi forze di polizia e dell’esercito, quelle stesse
impiegate per la “liberazione”. Saccheggi, incendi e massacri si sono
protratti troppo a lungo per essere ignorati. Se non si fossero mosse le
organizzazioni internazionali, il regime di Tudjman avrebbe radicalmente
“estirpato il secolare 130agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
cancro serbo dalla Krajina” fino alle sue ultime radici, mettendo tutto a
tacere o, quanto meno, minimizzando l’entità dei crimini. In ogni caso oggi
la Krajina è un deserto: in quella regione sono rimasti appena 5.500 serbi,
esclusivamente anziani, dispersi in villaggi isolati e sulle montagne.
Il regime di Zagabria ha cercato perfino di dare una copertura politica ai
crimini ed alle bande di criminali, giustificandoli come “comprensibili
vendette”.
La medesima copertura è stata data ad eminenti personaggi croati
ricercati dal Tribunale dell’Aja quali criminali di guerra. I più noti fra essi
restano Dario Kordic e Tihomir Blaskic. Il primo, per “alti meriti” acquisiti
nell’eccidio delle popolazioni musulmane durante la guerra fra croati e
bosgnacchi nel 1992-93 e per aver contribuito alla secessione della Bosnia e
della cosiddetta
“Repubblica croata di Erzeg-Bosnia”, fu nominato da Tudjman leader
del partito Hdz, che è l’emanazione in Bosnia del movimento nazionalista
tudjmaniano al potere in Croazia dal 1990; l’altro è stato il comandante
dell’esercito croato-bosniaco, quello che — dall’abbattimento del ponte di
Mostar alle stragi dell’Usora ed alle pulizie etniche attuate ricorrendo al
terrore — ha eguagliato e superato le nefandezze serbe in Bosnia: è arrivato
poi a difendere con i carri armati le piantagioni di marijuana
nell’Erzegovina,una regione dove viene ripulito anche il denaro sporco
della mafia europea che si serve dei servizi dei narco trafficanti di Croazia.
Essi guadagnano in questo business 200 milioni di marchi tedeschi all’anno.
Quell’Hvo
che, conquistando città da sempre etnicamente serbe in Bosnia quali
Glamoc, Drvar, Sipovo, Grahovo, Mrkonjic Grad, ne hanno cacciato tutti
gli abitanti e, invece di consegnarle al legittimo governo di Sarajevo, vi
hanno insediato amministrazioni civili e militari croate, con tanto di stemmi
a scacchiera, annettendole alla “Repubblica croata di Erzeg-Bosnia”. Per
circa due anni Kordic e Blaskic hanno deciso della vita e della morte di
centinaia di migliaia di uomini nel territorio dell‘“Erzeg-Bosnia”.
L’amministratore europeo di Mostar, Hans Koschnick, che ha avuto in quei
due uomini i suoi più rabbiosi nemici, in un rapporto all’Orni ha scritto:
«Le autorità locali deü‘Hdz sono legate ai comandanti militari e ad alcuni
capibanda. I loro mezzi finanziari, il loro dominio sulla polizia, i loro
legami con la criminalità organizzata e il loro controllo dei mass media
locali li trasformano in terribili signori della guerra!». In altre parole, il
governo croato di Mostar (Erzeg-Bosnia) è stato per anni e tuttora rimane
nelle mani di criminali di guerra direttamente dipendenti da Zagabria e da
Tudjman; alcuni gerarchi erzegovesi (Gojko Susak, Ivica Mudrinic) sono
presenti e potenti nel governo di Croazia. Gojko Susak, ministro della
Difesa ed amico intimo di Tudjman, saluta i suoi soldati col saluto fascista.
L’EUROPA NON ABITA PIÙ QUI
7 FEBBRAIO
Contro Pamministratore europeo di Mostar, Koschnick, sono stati
sparati 11 colpi di arma da fuoco. A salvarlo dalla morte è stata la
carrozzeria blindata della sua automobile, proteggendolo anche da un
tentativo di linciaggio ad opera di una moltitudine di croati. La gazzarra è
stata commentata dalla radio di Mostar Ovest con lo slogan, ripetuto a brevi
intervalli per tutta la giornata:
«L’Europa non abita più qui».
Per circa un’ora, a cominciare da mezzogiorno, Hans Koschnick è
rimasto circondato nell’auto da una folla di esaltati, circa 2.000 persone, a
una cinquantina di metri dall’albergo che ospita l’amministrazione europea.
Poco prima, da quella sede, il sindaco europeo aveva annunciato la sua
decisione sulla ristrutturazione della città con un distretto centrale in
comune per croati e musulmani, onde cancellare almeno in quel punto una
divisione che si protrae dal 1993. La folla ha dapprima tentato di rovesciare
l’auto, poi alcuni scalmanati hanno sparato sulla macchina, producendo
soltanto qualche scalfittura. Fallito ogni tentativo di provocare morte e
distruzione, alcuni dei più “coraggiosi” sono saliti sul tetto del veicolo
blindato mettendosi a danzare il ballo della vittoria. Infine l’auto è stata
coperta dalla bandiera croata.
L’unico ferito è stato uno dei dimostranti croati, colpito da una
pallottola di rimbalzo dopo l’impatto con il cristallo anti proiettile dell’auto
di Koschnick.
Ma la folla, sempre più incontrollata e «in preda alla collera», come
riporta la televisione di Zagabria, ha fatto irruzione negli uffici dell’Unione
Europea nell’albergo “Ero”, dove ha devastato tutto quel che poteva essere
demolito, passando infine a distruggere anche le auto targate “Europa”.
Diciannove macchine hanno fatto una brutta fine. Incolume, nonostante la
paura, 131agina p
Giacomo Scotti Croazia Operazione Tempesta
Koschnick è stato portato in
salvo nella sede del comando della polizia europea. La polizia croata è
rimasta a guardare, senza fare niente.
Due settimane fa Koschnick aveva promesso di ripristinare entro l‘8
febbraio la piena libertà di movimento fra i due settori della città, senza
riuscirvi per l’opposizione della parte croata, «se non mi ammazzano dopo
l’annuncio della mia decisione» sulla ristrutturazione della città, aveva
detto. Non sono riusciti ad ammazzarlo (ci hanno provato) ma sono riusciti
a bloccare il movimento tra le due sponde del fiume. Particolare
interessante: le dimostrazioni odierne, anche nei dettagli, sono risultate una
fedele ripetizione dell’aggressione di cui rimase vittima lo scorso anno il
vescovo cattolico di Mostar, monsignor Ratko Peric, bloccato per la strada
da scalmanati e per ore maltrattato ed offeso per aver predicato la
convivenza con i musulmani. C’è una sola differenza fra i due episodi.
Allora l’aggressione al vescovo fu condannata dalle autorità croate; stavolta
è stato lo stesso sindaco di Mostar Ovest, il “moderato” Mijo Brajkovic, a
invitare gli abitanti di Mostar croati a un prossimo appuntamento: sarà egli
in persona, ha detto, a porre la prima pietra di una chiesa cattolica che
sorgerà nel centro del “distretto” che, secondo Koschnick, dovrebbe riunire
croati e musulmani.
9 FEBBRAIO
«Finora ha vinto la mafia. Quella criminalità organizzata che trova nella
nomenclatura politica la propria cupola dirigente. Il risultato è omertà e
impunità per delinquenti incalliti che portano alla sistematica
destabilizzazione del sistema sociale. Per il clan degli erzegovesi, lobby
estremamente potenti all’interno del partito del presidente croato Tudjman,
tali e tanti sono gli interessi che li legano alla malavita che la presenza nel
capoluogo dell’Erzegovina dell’Unione Europea nella persona dell’energico
“sindaco” Koschnick è sempre stata un boccone indigeribile».
È il commento del triestino Il Piccolo ai gravi incidenti a Mostar
dell’altro ieri. La lobby politico-criminale croata di Mostar ce l’ha con
Koschnick perché fu lui a denunciare il connubio fra le autorità locali del
partito di Tudjman, i comandanti militari e i capibanda che hanno instaurato
il pieno controllo e dominio sulla polizia e sui media, trasformandosi in
“terribili signori della guerra”. La pace è il loro principale nemico, perciò
cercano di vanificare gli Accordi di Dayton. Scrive Il Piccolo: «La mafia di
Mostar mira al cuore di quei documenti», e l’Europa rischia di uscire
sconfitta dalla “guerra di Mostar”.
14 FEBBRAIO
Il quotidiano in lingua italiana La Voce del Popolo di Fiume, riporta dal
settimanale Dan un commento di Zeljko Zutelja sui fatti di Mostar. Vi si
legge:
«La recente esplosione di rabbia a Mostar, con il tentativo di linciaggio
nei confronti dell’amministratore europeo Hans Koschnick, non potrà che
accrescere il prestigio della Croazia in Europa. Bisogna proprio dirlo, non
vi è modo migliore di esprimere il proprio malcontento per determinate
scelte politiche che aprire il fuoco contro l’automobile blindata del
fiduciario europeo e demolire i veicoli con la targa dell’Unione Europea.
I croati primeggiano nella scelta dei modi raffinati con cui protestare e
nel dare sfogo alle proprie incontenibili passioni. Tutto questo richiama un
po’
alla memoria le operazioni “Lampo” e “Tempesta”: azioni militari
eseguite in modo esemplare alle quali hanno poi fatto seguito episodi di
barbarie di vario tipo, incendi e assassini, saccheggi e atti persecutori nei
confronti di persone innocenti, ciò che ci ha permesso di segnare nuovi
punti a nostro vantaggio, da Strasburgo a New York, nella corsa per
accrescere il prestigio nazionale e garantirci la giusta stima delle nazioni
civili. Se un giorno dovesse venir creato il Consiglio europeo dei
manganellatori, noi saremmo sicuramente tra i primi candidati».
FINE
***
Stampato per conto della
Gamberetti Editrice s r l
nel settembre 1996
presso la tipografia GER di Roma
132agina p

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