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Relazione di Costantinopoli (1682)


Pietro Civran

© Biblioteca Italiana

2005

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Relazione di Costantinopoli del Bailo Pietro Civrano 1682

Serenissimo Principe.

Sebbene alla Corte Ottomana tutti i maneggi dei Ministri del Principe riescano difficili,
e quasi impenetrabili gli arcani politici, per la fierezza e barbarie di chi regge e
amministra l'impero: l'autorità delle leggi non mi esenta dall'obbligo di riferire in
questo augustissimo luogo le più notabili osservazioni fatte dalla mia debolezza sopra
quel governo, fondato sopra le rovine di tanti regni e provincie, accresciuto per le
discordie de' Cristiani Principi, asceso a posto di così elevata grandezza, che qual altra
terrena Deità esige da' sudditi più adorazione che ossequio, e come monarca più
grande, che abbia sede in Europa, occupa sopra ogni altro potentato la maggioranza:
effetti tutti lagrimevoli delle fatali discordie dell'afflitta Cristianità, lacerata del
continuo da' propri figli, sempre più, esposta ai furori dall'empio voto, che con forze
non inferiori al disegno, stimola gli Ottomani alla distruzione totale del Cristianesimo.
La maturità di questo Eccellentissimo Senato, per fatale disavventura, dopo il corso
di due secoli e mezzo avezzo a sentire i morsi velenosi di così fiero mostro, e che mai
s'azzuffa seco, senza perdite deplorabili, obbliga ì suoi saggi cittadini a moderare la
generosità de' cuori tra la coltura di una ancorchè malsicura pace con quel fiero
irreconciliabile nemico del nome Cristiano, a mantenere con sì lodevole fine del
continuo a quella Porta un suo Ministro, ma con troppo duro svantaggio di chi è
destinato di tempo in tempo a servire in quel spinosissimo impiego.
Troppo è dura quella necessità che obbliga un cittadino a vestire la figura
dell'ambasciatore spogliato dell'immunità del carattere in ogni altro luogo, ma qui
inutilmente protetto dall'inviolabile ragione delle genti; aver obbligo di servire di vivo
legame del commercio, di animato istrumento della corrispondenza de' Principi, e
trovarsi poi trattato da ostaggio per render conto anche ad ogni più vile plebeo di
qualunque privata contesa, vittima del continuo esposta all'impeto di barbaro ed
inumano furore, vivere in paese ove il violare la fede a' Cristiani è costume legittimato
dalla religione, ove gli ufficii ed i trattati incontrano sempre ostacoli di venalissime
intenzioni presso un Monarca che, conoscendosi arbitro della guerra e della pace,
vuole essere assoluto interprete delle capitolazioni e paci medesime, a misura del
proprio genio o servigio, che non impose altra legge alla sua ambizione, nè altra meta
a' suoi desideri che d'estendere la dominazione, che le congiunture, o la speranza
delle più vicine o più utili conquiste e delle più certe vittorie.
In quella miserabile scuola ho pur troppo a mie spese imparato che è vero, ciò che
ha lasciato scritto cittadino qualificato, che tutte le altre legazioni ed ogni altro più
grave pubblico impiego, sono ombre o sogni in paragone del Bailaggio di
Costantinopoli. Devo io dunque riconoscere puro effetto dell'assistenza divina l'uscita
da quei stretti labirinti, la preservazione della Patria dalle più terribili ben note

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contingenze, ma sopratutto il sollievo decretato alle mie debolezze, mediante l'invio


dell'Eccellentissimo Donato soggetto di gran virtù, dotato di elevatezza d'ingegno, di
costumata esperienza acquistata tra i maneggi più gravi nel corso di tanti anni
dall'Eccellentissimo Collegio e ripieno di tante altre rare qualità che adornano la di lui
dignitosissima persona; fu egli servito da me col più divoto ossequio della più sincera
e piena partecipazione di quelle notizie, che ho creduto appartenere al riverito servizio
di Vostra Serenità. Nella soddisfazione adunque del debito della presente benchè
imperfetta Relazione, per minorare al possibile il tedio all'Eccellenze Vostre,
restringerò la vastità della materia a tre soli essenzialissimi capi:
Nel primo considererò brevemente l'intrinseca forma di quel governo, le persone
che lo reggono e amministrano, e con quali massime;
Nel secondo farò i dovuti riflessi sopra la qualità delle sue forze, genio e costumi
dei popoli;
Nella terza toccherò gli interessi che corrono fra gli altri principi e l'impero
ottomano, e specialmente di questa Serenissima Repubblica.
Mehemet quarto, regnante da 34 anni in qua, pervenuto oramai all'età di anni 42
incirca, è Principe di statura mediocre, di colore olivastro, di barba rossa, di placido
genio, alieno dalla crudeltà, di corpo mediocremente robusto, dedito al piacere del
senso e della crapula, con suo notabile nocumento manifestato nella debolezza degli
occhi e delle gambe; abborrisce l'uso del vino, e si mostra osservantissimo della sua
falsa credenza. Vani effendi suo cappellano fomenta li suoi scrupoli, suggerisce motivi
d'odio contro i Cristiani, e va il Re maggiormente nutrendo queste maligne impressioni
con la lettura continuata delle imprese de' suoi maggiori; l'avarizia lo tiene del
continuo immerso nell'applicazione d'accumular tesori, studio che lo rende più facile a
lasciar correre indistintamente avarie. La debolezza de' suoi talenti deturpa la regia
condizione facendola troppo familiare co' suoi domestici, troppo indulgente nel
lasciarsi usurpare dalla sagacità de' suoi ministri la totale dispotica amministrazione
dell'Impero.
La Validè, cioè maggior regina, come sotto tutti i Monarchi Ottomani, occupa gran
parte nel governo, sarà d'età d'anni 62. È donna di gran spirito ed esperienza per il
lungo maneggio degli affari politici; tra lei e la sposa del Re che è la Regina, passano
fiere gelosie, se ben simulate, aspirando ambedue di dominare il genio facile del
sultano; ed uniscono queste due regine le loro intenzioni nella bramata depressione
dell'attuale primo Visir; e sebbene la madre sempre ha esatto dal figlio ogni rispetto,
da due anni in qua prevagliono le arti della regina sposa, ajutata da secrete
insinuazioni del primo ministro per farla tener lontana dalla Corte in Adrianopoli, con
suo amarissimo sentimento. Al credito di questa donna, benchè matrigna di due
fratelli del Re, veniva attribuito l'esempio raro della loro sopravvivenza.
Solimano il maggiore, Principe che dicono abbia sortito dalla natura doti singolari di
altissimo spirito, amato e stimato da ogni ordine di persone, e particolarmente dalle
milizie.
Orcano il minore, tutto dedito alla crapula non merita alcun riflesso; sono odiati
dalla Regina sposa e dal primo Visir, per il timore che il gran spirito della Validè possa,
in deficienza del Re presente pretendere e conseguire di sollevare al trono Solimano,
ad esclusione della discendenza del regnante, con inevitabile conseguenza della
caduta di esso primo Visir. La Regina regnante trae l'origine da Rettimo, ed è opinione
che sia di sangue nobile fatta prigione nelle prime aggressioni di Candia. La di lei
vivacità di spirito scusa gran parte de' regii arbitrii, e viene amata e temuta dal Re per
il posto elevato che sostenta a distinzione di qualsivoglia altra sua pari, portata dalla
fortuna a tanto favore. Con gran finezza mostra rispetto e venerazione alla Regina
suocera, si finge aliena da ogni negozio; nel tempo medesimo usa tutte le possibili
maggiori arti, le ragioni e le lusinghe non solo per aver gran parte nelle deliberazioni,
ma per conservarsi in ogni caso con la posterità del Regnante sola nell'autorità del
comando.
Gran numero di schiave tiene il Re nel serraglio destinato al servizio della Regina,
con altre mille e cinquecento e più riservate alle sue regie compiacenze; sei sole

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destinate e sollevate al posto di Odalische, cioè favorite, soggette però a rimproveri


frequenti dalla gelosia della regina, non senza indizio della somma bontà del Sultano
che tollera nella regina li sfoghi di sì violenta passione. Da queste Odalische non aveva
il Re potuto allevare al mio tempo altro che femmine, una delle quali d'anni sei, si
diceva destinata in moglie al primo Visir, causatone però l'effetto dalla Regina, che
non ama veder altri generi del Re, che il suo Musaippo, marito di una sua propria
figlia. Non stimai mal impiegate le industrie mie nel procurar le possibili aperture per
farle arrivare grato il nome Veneto; mi fu ricercato il medico della Casa da un suo
domestico Eunuco, per consigliare il modo come potesse la Regina conseguire a
rendersi più grata al Re, feci pure a di lei richiesta espressa espedizione per via di
Spalato per la fabbrica di un drappo, che ha volato donare al Re medesimo. Si
pregiava molto di possedere la prerogativa tra tante donne di esser restata l'unica
radice della regia mascolina successione.
Due soli erano allora li figliuoli maschi di quel monarca, il primo denominato
Mustafà in età d'anni 20 circa, di nobilissima indole, di maniere dolci e soavi, gioviale
amato dal Re, che con tenerezza sopporta qualche sua giovanile, intemperanza, fa di
lui frequente mostra al popolo, conducendolo, seco alle moschee ed altri luoghi
pubblici, contro l'uso degli altri Sultani, per conciliargli forse applauso e benevolenza,
a scontro del concetto in che è tenuto il fratello Solimano.
Il secondogenito per esser cadetto, e per la sua minor età di soli anni otto, non è
per anco in considerazione veruna.
Nella seconda sfera di quel barbaro cielo risplende come luminare della maggior
grandezza l'autorità del primo Visir Carà, per l'altezza del posto già più soggetta ai
folgori ed ai precipizi, ma ora resa sicura dalle massime seminate dal vecchio
Chiupurlì. Protestò costui al Re presente che le frequenti sollevazioni delle milizie
procedevano per cotante e così improvvise mutazioni di primì Visiri, che in poco tempo
d'amministrazione non potevano apprendere le arti di ben governare; che ciò
procedeva per le maligne suggestioni portate al Re dagli Eunuchi del serraglio, ed altri
suoi domestici; che però se voleva regnar felicemente chiudesse affatto le orecchie
alle insinuazionì de' suoi famigliari, e lasciasse ai Visiri disporre il suo miglior servizio.
Queste massime ricevute e religiosamente custodite dal Monarca assicurano la
tirannia di Carà Mustafà attuale primario ministro di quel grande impero. Costui è nato
in Trebisonda, di bassissimo lignaggio, ha servito lungamente il vecchio primo Visir
Chiupurlì; introdotto dal suo favore nel serraglio, si è condotto per varii gradi all'apice
della presente elevata fortuna. Sarà d'età d'anni 55, è uomo di bell'aspetto, in
apparenza umano e religioso. Nell'interno ateista crudele, avaro e superbo, cupo ne'
suoi pensieri, di prima impressione, sagace e sopratutto implacabile nemico dei
Cristiani, sostiene con assoluto dominio tutto il peso ed il comando dell'Impero,
puntuale nelle proprie incumbenze, sbriga ogni negozio con dispotica autorità, più da
tiranno assoluto che da ministro subordinato. Nella politica ed economica direzione di
così vasto impero e nell'amministrazione della giustizia civile e criminale impiega
meno della terza parte della sua applicazione. Impiega tutto il suo spirito ed il residuo
del tempo nei raggiri del suo gabinetto per difendersi dall'insidie degli emuli, nello
studio di abbatterli e di sostenersi arbitro della volontà del Sovrano. Si mantiene in
riputazione presso dei popoli con ostentar lustro e famiglia non ordinaria, composta di
più di trenta mìla persone, e con stalle fornite di oltre mille cavalli. Si tiene fermo nella
grazia del Re a forza di regali, secondando il genio suo avidissimo; sà che le due
regine l'odiano, ma non cessa di cercar di rendersele benevole con preziosissimi doni;
estende quest' arte medesima col Muftì per tenerlo propizio e dipendente, e, sino per
raddolcire i suoi più fieri nemici, profonde con larga mano. Viene anco da essi
corrisposto colle maggiori finezze, ma non bastano a tanti dispendii le ordinarie
rendite della carica, tuttochè dicano ascendere ad un milione di Reali all'anno, meno le
suo private opulentissime facoltà, frutti di fierissime oppressioni, ed è forzato a
ricorrere a mezzi estraordinarii e più violenti, estorquere da tutti e particolarmente
dalle nazioni Cristiane le più copiose contribuzioni col mezzo delle più fiere avanie
nelle quali, come sprezzatore ardito delle maggiori Cristiane potenze, non accetta
ragioni nè risposte, nè servono ad altro le reticenze che ad accrescere le pretensioni e
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ragioni nè risposte, nè servono ad altro le reticenze che ad accrescere le pretensioni e


per esser veìcolo a più pericolosi precipizii.
L'esempio tanto recente di Francia, Principe così temuto e remoto, insegna
abbastanza quali sieno li veri ed unici mezzi per placare quella furia d'inferno. Gran
sventura dei Ministri destinati a trattare con sì avaro genio, ma gran vantaggio dei
Principi confinati, che avendo gravi interessi e molto da perdere, abbiano modo di
assicurar con denari il godimento degli Stati: essendo assai minor male in occasione di
rilievo perdere qualche migliajo di Reali, che con più grande ed infelice dispendio
soccombere alla perdita dei medesimi. Il suo Choja, che era quello che a raggirar le
più fiere avanie fu fatto strozzare dal Visir, allora che dai suoi furono fatti arrivar a
notizia del Re le sue praticate estorsioni, fu empia ed inumana la risoluzione, ma
molto accorta ed opportuna: adossò al defunto tutte le colpe, anzichè col di lui spoglio
che ripartito col Re medesimo placò i mai concertati furori, e fa il più efficace mezzo
per rimettere il Ministro con più radicata insistenza nella pristina grazia del Monarca.
Dopo questa burrasca, che in pochi momenti lo fece incanutire, si mostrò il Visir
tutto cangiato di massime e di costume; scelse per suo chaja soggetto più umano che
professa equità di maniere tali, che pareva la Corte tutta diversa da quello era prima e
da quel terribile aspetto che, per mia infelice sorte, a me toccò di sperimentare.
Li altri Bassà di Banca sono, si può dire, quasi senza autorità; non è per ordinario
sollevato a quel posto chi non è, o non si mostra di poco spirito, mai ardiscono
proferire sentimento diverso dalla palesata intenzione del primo Visir; cauta e
necessaria riserva per non fabbricar a se medesimi rovinosi precipizii. Per questo fu
sempre giudicato dover ogni Ministro in quella Corte impiegare tutto lo studio per
conciliarsi la buona disposizione del primo Visir, nelle cui mani stà la guerra e la pace,
che è quello che con autorità assoluta dispone di ogni cosa, particolarmente sotto
l'attuale primo Ministro, che è il promotore delle buone e rie inclinazioni del Monarca,
unico moderatore e fautore di quelle pur troppo frequenti doglianze, facili ad ogni
Momento a sturbare la pubblica quiete.
Fra gli altri più riputati Regi Ministri spicca per il favore e per la grazia del Re
Mustafà Bassà di Banca suo genero e favorito; aspira col favore anche della regnante
suocera al Visirato supremo, ma i suoi talenti sono inferiori al sapere ed alla fortuna di
Carà Mustafà dominante. La natura superba di costui mostra poco curarsi dei regali
dei Ministri de' Principi: gradì però molto due sedie di velluto con altre galanterie
fattegli da me capitare in congiuntura opportuna che attendeva il Re e la Regina nel
suo giardino.
Ibraim Caimacan del Re, è di quelli che parimenti aspirano al supremo comando,
sebbene si tiene amico del primo Visir, più per la conformità di genti e di costumi, che
per legge di vera amicizia essendo ambedue troppo amici del proprio interesse.
Gireguerliglia, fratello e figlio rispettivamente degli ultimi defunti primi Visir,
sollevato al grado di Pascià della Banca in tempo che era vacillante la fortuna del
primo Visir, viene da lui tenuto lontano in Adrianopoli, sotto specioso pretesto di
servire la madre Regina.
Apti pascià allora di Bossina e già del Cairo, è in concetto di buon soldato ma
inimico del Visir, a cui convenne sacrificare 3 Mila borse, che sono 150 mila Reali, per
sottrarsi da più fiera vessazione; lo tiene lontano e depresso perchè lo conosce capace
e bramoso d'intentar qualcosa di grande contro la sua fortuna.
Gli altri pascià non fanno gran figura.
Dopo li Pascià succedono li due ministri Ibraim cioè cavallerizzo maggiore del Re,
ed il Mostangì Pascià suo timoniere; il primo per terra, il secondo per mare, sempre
accanto della sua regia persona ne' suoi viaggi onde fanno giungere varie notizie ed
insinuazioni; la sola fama della loro amicizia opera qualche contegno anche nei Primi
Visir; con questi ho coltivato la più stretta e sontuosa confidenza che possa desiderarsi
con Turchi, e ne ho riportato corrispondenze civili ed utili vantaggi per la Patria.
Ministro confidente e domestico del Re è pure il Gislar Agà capo degli Eunuchi e
supremo direttore di tutte le entrate delle Moschee, ascendenti a molti milioni di Reali.
È difficile da coltivarsi, sprezzando quell'imperfetta condizione d'uomini ogn' altra
umanità, ed alle volte può essere più di danno che di utile il suo favore. Può bensì

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umanità, ed alle volte può essere più di danno che di utile il suo favore. Può bensì
portare qualche buona insinuazione, scoprire le vere intenzioni del Monarca, e la
notizia può servire per regola di negoziati, motivo quindi che quando maneggio
d'importanza fosse scoperto dal Visir da lui protetto, rovinerebbe ogni negoziato,
troppo essendo geloso il Visir medesimo della sua autorità e troppo fiero nemico del
Moro, e sebbene reciprocamente si lusingano con ricchi doni non intermettono di
tendersi vicendevolmente insidie.
Il Cancellier grande è il vero Ministro di Stato, maneggia tutti i negozii. Ho pure
con lui trattato, e trovatolo di buon genio e pieghevole.
Nelle pubbliche udienze del Divano e nelle private ancora del Visir, il Giaus Pascià
fa la funzione di maestro di camera, ma con molta autorità introduce non solo, ma
parla ed informa alle volte il Visir; è di buona natura, fu assai mio amico, ed ogni
negozio, che gli ho raccomandato, ha sortito termine favorevole agli interessi di Vostra
Serenità.
Tra i più intimi famigliari del Re vi sono i suoi paggi divisi in 4 Camere, a 50 per
cadauna; passano graduatamente dall'una all'altra sino alla prima dalla quale per
ordinario non escono se non Pascià, e però da non mettersi nell'ultima,
considerazione. Con questi pure ho nudrite utilissime confidenze.
Ma quell'imperio che è composto di rapine e di desolazioni non può nutrirsi di cibo
differente dalla sua composizione, nè sostentarsi con massime diverse. Un tiranno
intento tutto al proprio interesse niente è applicato al bene dei suoi sudditi.
Acquistato, un paese subito lo vuol devastato e desolato, le cariche tutte annue e
veniali, i popoli umiliati col mezzo di una falsa credenza, depressi coll'ignoranza, e
finalmente oppressi con l'avanie e soggetti sempre alla forza delle sue armi del
continuo agguerite. Con la desolazione si assicura il tiranno dalle sollevazioni, difende
molti regni e provincie con poca milizia, la sterilità del paese non invoglia gli stranieri
ad acquisti di deserti. Con la vendita e mutazione frequente delle cariche, riempie gli
erarj; li ministri impiegati con le vive sostanze dei sudditi o volontarj coll'acquisto di
nuovo comando le depositano al Sovrano, o, violentati, le sacrificano per esimersi
dalle avanie, empie invenzioni per ridurre nelle rapine del tiranno tutto il più prezioso
delle fortune, de' sudori e degli averi di quei miserabili sudditi. Con l'ignoranza dei
popoli dispone più cieco il tributo dell'obbedienza; questa dà maggior vigore alla
volontà del Sovrano. Per convalidar nel tiranno la monarchia, per reprimere gli spiriti
che non arrivino a distinguere gl'insani di quella non men falsa che politica credenza,
gli animi meno amolliti più ritengono di quella antica ferocia, che tra l'armi ha stabilita
sì vasta dominazione. La religione, in ogni luogo fondamento dei governi, forte legame
dell'umana società, quì è serva della politica, e come tale sostenuta dai Monarchi
ottomani perchè assogetta il libero arbitrio alla volontà del principe, fa creder
predestinazione la cieca obbedienza, martirio la morte in suo servizio. Tendono i suoi
precetti alla guerra ed all'armi, per maggiormente assicurare le redini della
dominazione e dilatarla con nuovi acquisti. Moltiplicano perciò le Moschee,
Costantinopoli solo ne avrà 5 mila e più con grosse rendite e con buon numero di
ministri e serventi, cinquecento sono le più cospicue con altrettante opere loro
congiunte, cioè ospitali alloggi per pellegrini e scuole per erudire giovani studenti della
legge, dalle quali escono poi Cadì, cioè Giudici delle terre in numero considerabile, con
li due Cadileschieri superiori a tutti, uno di Grecia e l' altro di Natolia.
Le ridicole superstizioni dell'Alcorano sono con tale e così accolta coltura venerate
che in cinque volte tengono per 4 ore del giorno divertiti quei popoli in orazione,
lontani da altre unioni o conventicole dal Governo, con somma cura abborrite e
proibite.
Non moltiplicano i Turchi in nuove leggi, perchè con la trasgressione di quelle di
poca conseguenza non s'avezzino li sudditi a violare le più Importanti, meno
ammettono distinzioni di leggi civili e canoniche il tutto consiste nell'interpretazione
dell'Alcorano.
Il Muftì che è il capo supremo della Religione, l'unico interprete della legge, decide
con i suoi responsi che diconsi Teftà li punti di ragione; i fatti si dilucidano non con
scritture ma con testimonj, escono tutti li giudizìi sommarj e definitivi.

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Nelle materie grandi però il Muftì è bene spesso obbligato a rispondere a


compiacenza del Re e del suo primo ministro. Necessità di conservarsi e la carica e la
vita tiene in tal soggezione anco quel supremo sacerdote. Il più forte e tenace vincolo
maneggiato da' Turchi, per incatenar la fede e devozione dei sudditi e per tenere in
apprensione i confinanti, è il loro costume di tenersi sempre armati senza aggiungere
nuovi aggravj agli erarj.
Sono quelle milizie di due condizioni: cavallerie e infanterie cioè Spahi e
Giannizzeri.
Ventimila Spahi tirano paga dal Gran Signore, la più debole è d'aspri 20 e la
maggiore di 150 al giorno. Gli altri si raccolgono dai Timari, ossiano fedeli, a spese dei
feudatari obbligati a servire in guerra con quel numero d'uomini a cavallo che è
prescritto dalle loro investiture, il minore è d'un uomo a cavallo, il maggiore è di venti
al più; alcuni sono investiti con prerogative di militare sotto il re solamente altri con
obbligo di servire sotto ogni altro comandante. Quando fosse raccolta tutta questa
milizia potrebbe arrivare al numero di 100,000 cavalli, oltre li seguaci e venturieri che
in numero considerabile concorrono, tirati dalla speranza di subentrare ne' feudi in
occasione di vacanza o deficienza degli investiti.
Li Giannizzeri, istituiti ad esempio delle legioni romane, erano già due mila
solamente e tutti estratti dalli sudditi cristiani, furono accresciuti fino a 40,000,
numero che venne però indebolito dalle morti dei vecchi e graziati. Sono la maggior
parte turchi nativi, sostituiti con donativi fatti dai cristiani ai ministri e ai padri loro,
che volentieri li contribuiscono colla speranza di vederli un giorno avanzati nei gradi di
quella riputata milizia. Si dividono in 160 Camere sotto i loro capi e colonnelli eletti, ai
quali loro capi spetta di castigare gli eccessi dei soldati medesimi, non ingerendosi
nemmeno il Visir supremo nella loro giudicatura, ma sono rimessi al Giannizzero Agà e
da esso ai capi subordinati. Servono con stipendio di aspri 3 al giorno, che col merito e
tempo del servizio può accrescersi fino ai nove aspri. Contribuiscono alli loro capi 5
reali, e con essi sono provveduti poi tutta la campagna del vitto, essendo anco
privilegiati nella comprita delle carni. Generale di questa milizia è il Giannizzero Agà,
che tiene un suo luogotenente chiamato Chiaia Bej. Quel gran comando è sospetto al
governo per le ben note e funeste prove dei monarchi ottomani; non lo conferiscono
se non a persone del serraglio e del tutto confidenti; nè le lasciano durare molto in
esso con sommo sentimento delle milizie medesime prive di speranza di giungere a
quel supremo grado, e avvilite sotto capi per lo più inesperti e male informati del
merito e valore dei soldati.
Quello dei Bombardieri detti Jupici è di dodicimila, quello degli armaroli è di seimila
con tremille acquaroli, tutti con con capi riguardevoli che hanno autorità di premiare e
castigare i loro soggetti. Il Tupicì bassà, in particolare, sopraintende al getto
dell'artiglieria, di che abbondano quegli infedeli fatti pratici dai rinnegati Cristiani. Li
guastatori si raccolgono a misura del bisogno dalle più vicine provincie. Vi sono poi
Chiaia e Capigì cioè messaggeri, lancie spezzate, dette Muteferagà, che col seguito
grande dei bascià rendono più numerosi gli eserciti, ma però più d'apparenza che
d'essenza. L'estensione dei padiglioni e dei tanti vivandieri e bottegari fa bene spesso
credere che ove saranno accampati ventimila soldati ve ne siano cinquantamila, ogni
corpo è soggetto alle sue indisposizioni, tanto più pericolose quanto più ha grande la
sua mole. Le marcie dei passivolanti restano fuor di modo diminuite, ma molto più la
disciplina militare, e sopratutto è notabile la deficienza dei capi: diffetti molto
accresciuti negli ultimi tre anni di pace, ma dai Turchi più conosciuti e deplorati che
riparati. Li bascià ed altri obbligati a comparire al Campo con numero determinato,
fomentano il disordine per risparmiare le paghe, assicurate da rarissimo esame di
rassegna e dalla totale disapplicazione del Re presente e del defunto, che hanno
lungamente regnato con genio diverso dagli antecessori feroci e guerrieri.
L'armata di mare per ordinario è composta di 50 galere, la metà incirca Beilere, più
ben all'ordine delle altre, più particolarmente 4 ovvero 5 diconsi ben ciurmate di
schiavi, mentre le altre lo sono di ciurme collettizie. Dieci passano per ordinario in mar
Nero a portare soccorsi e provvigioni a quelle fortezze; con le restanti esce il Capitan

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bascià nel mese di maggio in mar Bianco col motivo d'inseguire i corsari Cristiani, ma
in effetto per esercitare le più avide rapine sopra quei miserabili sudditi.
Gli arsenali sono sparsi in varii luoghi nel mar Nero, nel golfo di Marmara; ma il più
ragguardevole è quello di Costantinopoli con 127 volti aperti dalla parte di mare, cinti
di muraglia da quella di terra, quasi tutti diroccati con poca applicazione a rimetterli,
ed i suoi depositi sono tutti o vuoti o deboli.
Il bagno del gran Sultano già fornito di sei in settemila schiavi, ora sterile appena
ne capisce 800, da che procede la scarsezza delle ciurme. Alcuni pochi Cristiani schiavi
servono di timonieri, gli ufficiali sono pochi, inesperti e timorosi, li migliori sono i presi
dalle isole dell'Arcipelago. Questa è quella parte che in occasione di rottura, che Dio
tenga lontana, bisogna invadere con risoluzione, impossessarsene, distruggerla
affatto, non solo per levar ai Turchi questo comodo, privi del quale le loro galere senza
i Greci sariano inabili alla navigazione, ma per ferirli nelle parti più vive o più interne
degli Stati.
Ho veduto più di una volta uscire l'armata sotto l'occhio del Gran Signore, con
navigazione disordinata e confusa, indicante le debolezze de' suoi comandanti, e de'
legni che spiccano più nell'apparenza esterna, che nella sostanza dell'armamento.
Tutte di legnami mai stagionati, con poca e debole fattura, con egual resistenza e
durata.
Alla loro uscita li corsari Cristiani mai si ritirano, cercano anzi d'incontrar
quell'armata, e questa fugge i cimenti de' bastimenti, che non siano piccoli o deboli. Li
Maltesi, dopo che la loro squadra è comandata dal generale francese nipote del Signor
di Colbert, pensavano di unire alle loro galere qualche bastimento ben armato, ed
attaccare in luogo opportuno tutta l'armata ottomana, con speranza di felice riuscita.
Il Signor di Ghilierghe ambasciatore di Francia alla Porta, famigliare alla casa Colbert,
teneva con pratiche e con avvisi animato quest' attentato.
Non è però da far gran fondamento sopra le debolezze apparenti in mare, o sopra
la declinazione benchè considerabile delle sue forze in terra. Se il Signore Iddio, per
castigo delle colpe de' Cristiani, suscitasse, come è facile e forse prossimo, un re
guerriero, non vi sarebbe altro rifugio che il pentimento di aver perduto l'occasione e
le congiunture di vincere quel formidabile mostro. Può questo facilmente rimettere nel
suo vigore l'antica ferocia, che non è morta, ma addormentata, l'abbondanza de'
boschi, la comodità dei trasporti dei legnami e d'ogni altro materiale dai siti e luoghi
ben noti di quel vastissimo imperio, ha ben più volte fatto conoscere quella potenza
abile in pochi mesi ad allestire numerosissima armata anco in mare; vastità d'impero
e violenza di comando può operare gran cose in momenti.
Basta ai Turchi che i loro legni servano per sbarchi, non si azzardano ai
combattimenti, ma soccorrono con frequenti e copiosi trasporti di milizie e provvisioni.
Il Capitan bascià è al presente uno dei paggi del Re, che portava la sua spada; senza
esperienza, si lascia regolare dal suo Chiaià e dal Provveditor dell'Armata, che è poi
Chiaia dell'arsenal e seconda persona dopo il Capitan bascià; non sarà se non fortuna
pubblica che la debolezza di quest' uomo sussista nel supremo comando del mare,
essendo non men veneratore degli ordini regii, che osservante delle capitolazioni coi
Principi.
Dell'ampiezza dell'impero Ottomano tralascierò di riferire ciò che scrivono gli storici
e descrivono le carte geografiche; basta solo sapere che è diviso al presente in sopra
40 bascialaggi, ognuno dei quali costituirebbe un regno della più stimabile e reputata
potenza, oltre le provincie tributarie di Valacchia, Moldavia, Transilvania ed altre di
dipendenza dei Tartari, tanto infesti ai principi cristiani confinanti e parati ad ogni
cenno della Porta.
La popolazione non corrisponde alla immensità degli Stati; gli uomini sono più
quelli che si ritirano nelle città che quelli che abitino le campagne. Costantinopoli solo
capirà 800,000 anime incirca, numero considerabile ma non è adequato all'ampiezza
del circuito che colle sue dipendenze. In Europa ed in Asia forma al di fuori uno
spettacolo il più maraviglioso di ogni altra città del mondo. Chi considera le parti
dell'imperio le trova poco popolate, tanto più che alla coltura del terreno quasi li soli

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dell'imperio le trova poco popolate, tanto più che alla coltura del terreno quasi li soli
Cristiani sudditi restano applicati, li traffici sono per la maggior parte in mano di Ebrei,
e servono negli esercizii bassi gli schiavi; li Turchi tutti applicati alla milizia, li giovani e
piu vigorosi al giuoco della zagaglia e zarit o tirar sassi; ogni turco vigoroso, è soldato;
quante sono le abitazioni tanti sono li quartieri del Gran Signore; li vecchi e men
vigorosi se la passano sedendo a fumar tabacco; tutti sono predominati dal senso a
cui si danno in preda con maggiore rilassatezza, perchè la legge lo permette e la
politica lo fomenta; sono quei barbari per natura superbi ed indomabili, ma nelle
avversità pieghevoli e mansueti. Chi è debole di forze sappia pur conservarsi in
concetto da poter resistere, e si maneggi poi con mano più liberale che armata, che
frenerà facilmente con i trattati i furori di quei barbari non meno vili che superbi, e
perciò più atti ad essere guadagnatì dall'interesse che superati dalla forza.
Considerata la forma intrinseca del Governo, le massime, i costumi e le forze dei
Turchi, possiamo fare qualche breve tocco anche delle regie rendite.
Esse si dividono in due ragioni, una è maneggiata dal Tefterdar grande ossia
tesoriere, l'altra entra nel Casnà di dentro nel serraglio.
Le entrate, maneggiate dal Tefterdar grande, derivano dai Carazzi pagati dai
forestieri e dai sudditi d'aliena credenza, e dai dazii.
Pubblicano che da queste fonti derivino 20 milioni di reali all'anno, ma la voce più
comune li riduce al terzo, tanto più che eccedono di gran lunga le spese; e bene,
spesso il Re è sforzato per supplire agli ordìnari trimestri delle milizie, o per spedire le
sue armate, di mare, a fare delle prestanze che non vengono sempre restituite.
Le rendite più floride sono quelle dei dazii pel commercio degli stranieri; ma molto
più per le estorsioni sopra di essi in più maniere esercitate, se questi desistessero di
confluire nella Turchia, l'erario regio si renderebbe, puossi dire, quasi che esausto.
Sono le suddette rendite, assegnate al mantenimento della casa reale, in che molto si
spende in fabbriche ed in altre compiacenze dei Sultano; si cavano da quelli gli
ordinarii trimestri delle milizie e se ne impiega qualche porzione nel provvedimento
delle galere Zaccali, ed in altre più minute occorrenze, che per brevità tralascio. La
gravezza straordinaria del Suzat, che porta ai popoli, in aggravio di 10 in 12 milioni di
reali, è introdotta in luogo dell'obbligo della condotta nel campo dei foraggi, ma
nonostante li popoli più vicini agli eserciti, convengono forzatamente contribuire anco
le vittuarie.
Nel Casnà, ossia tesoro di dentro del Gran Signore, passano le rendite dei feudi,
delle pensioni e dei tributi, con altre rendite che non sono di molto rilievo, le rapine,
che in oppressione dei grandi si frequentano, lo riempiono più copiosarnente. Rare
volte sotto questo re si sono vedute spogliazioni di sostanze funestate colla morte dei
Grandi; frequenta il Re la visita dei loro Chioschi, mai parte senza reali proporzionati
alla sua grandezza, e, con apparenza di affabile benignità, minora li mali umori più
sospetti dei sudditi e riempie il suo tesoro di ricche e continuate spoglie, a segno che
si calcola che dal solo primo Visir esiga più di 120,000 reali al mese, poco meno dal
gran doganiere, e il più che puote da tutti i più ricchi benestanti.
È incerta la notizia del fondo di questo Casnà di dentro, maneggiato dal solo
Casnadar e d'altro ministro che ne tengono il conto assai confuso, ma, dalle maniere
avide del monarca e dal suo studio d'accumulare e dalla riserva nel dare, si calcola
che in tant' anni di regno potrà aver riposto da parte gran somma d'oro, oltre la molta
quantità di gioie d'inestimabile valore, che ogn' anno si ripongono e si conservano, col
contante, in stanza terrena e ben forte nel gran serraglio.
Dei tesori lasciati dagli altri Sultani, la fama poco ne discorre, perchè in effetto
furon di poco momento, o consumati nelle occorrenze dei sussurri dai loro antecessori
con le loro rendite e tesori del presente Monarca, la di cui grandezza non è però da
misurarsi con le suo rendite e tesori, ma dalla facilità di unire le più valide forze,
sempre pagate e sempre pronte dalla sicurezza sin che vive, di non esser mai da
qualsivoglia potentato attaccato e dal suo antico costume di non lasciar mai le sue
armi senza impiego, per non alterare, l'interna sua civile tranquillità, e per godere
delle frequenti opportunità, che la fortuna e la Cristianità disunita gli porge
d'aggrandire l'imperio, e finalmente dalla notizia che ognuno ha che egli, purchè abbi

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d'aggrandire l'imperio, e finalmente dalla notizia che ognuno ha che egli, purchè abbi
modo di acquistar una pare, pretende anco esser munito di sufficiente ragione, avendo
per nulla la divisione dell'Imperio e ogni donazione fatta in suo pregiudizio, e, sebbene
sono ingiusti questi pretesti, con tante e più valide forze va tirando avanti il disegno
della monarchia universale.
Dopo questi riflessi parmi che cada opportuno un brevissimo esame degli interessi
che corrono tra l'Ottomana potenza e gli altri principi del nostro conosciuto mondo,
ultima ma più essenziale parte di questo mio imperfetto ragionamento. A studio di
brevità ommetterò quegli stati che vivono sotto aperta soggezione, come tributarii alla
Porta e mi ridurrò a due soli capi. Parlerò nel primo dei principi più remoti così
Monsulmani che Cristiani, d'ogni rito, che non hanno confine colla Porta; nel secondo
dei confinanti e particolarmente di Vostra Serenità.
L'unico potentato maomettano che non confina cogli Ottomani è il Gran Mogol,
dell'India, che apportò nei tempi passati qualche diversione ai Persiani, nel resto non
vi corrono altri interessi che di semplice traffico, esercitato dalle carovane dì telami,
indaco, diamanti grezzi ed altro, la maggior parte anco divertito dalle navi di
Inghilterra e di Olanda, senza che i Turchi vi pensino.
Fra' principi Cristiani che non confinano, non è posto nell'infima considerazione il
Pontefice, lo credono atto a componere qualche lega tra' Principi Cristiani, unico più
temuto freno degli infedeli; attribuiscono a' fomenti del Papa gli insulti frequenti dei
corsari ponentini, maltesi, maiorchini, provenzati e livornesi; nelle osservazioni dei
Visir sopra gli atlanti che fa tradurre non sono piccoli i riflessi, sebbene non per anco
maturi i disegni che va facendo sopra lo stato Ecclesiastico il sito d'Ancona e le riviere
di Puglia.
I Genovesi ritengono un debolissimo traffico con un residente pagato dai
negozianti, impegnato dalla violenza dei Turchi, che senza sostituirne non lo lasciano
partire, per avere un pegno indeficiente delle continuate apprensioni ed avarie con le
quali tengono soggetto anche quel debole traffico, che perciò hanno risolto di
abbandonarlo. In tal caso li Francesi aspirano a tirarne il residuo sotto la loro
protezione.
Gli Inglesi e gli Olandesi sono pure senza interesse di confine, ma sebbene cessano
i negoziati di stato, moltiplicano le occorrenze del commercio. Tutti con gara reciproca
si trovano impegnati con grossi capitali, in particolare di pannina di lana, gli Inglesi
assai più degli Olandesi, calcolandosi di ragione dei primi in diverse scale del Levante
sparsi più di cinque milioni di effetti; ricavono grossi emolumenti anco dal negozio
delle monete mediante l'introduzione delle isolette e leoni fabbricati in Olanda, moneta
di assai bassa lega, ma la più usuale in Turchia, non praticandosi altro stampo di
moneta d'argento, che minuta, e qualche sultanina d'oro che chiamano scriffo.
Il ministro d'Inghilterra è proposto dalla compagnia di Levante eletto dal re,
decorato da lui coi titolo di Cavaliere, soggetto di prima riga della camera alta, gode il
titolo ed il posto d'ambasciatore.
Ebbi occasione di trattare col signor Cavaliere Tinch, il quale per essere stato
lungamente in Padova e Venezia, riteneva una affezione particolare per Vostra
Serenità; la nostra buona corrispondenza fu di comune consenso degli altri ministri dei
Principi gradita molto, nell'insorgenza di qualche sconcerto nato tra lui ed il ministro di
Francia, il ministro di Vostra Serenità vi fu di mezzo, con sommo concetto e
soddisfazione di amendue, e con professato particolare gradimento del pubblico rese
composte le controversie. La verità è, Serenissimo Principe, che i ministri della
Repubblica, per quanto han potuto debolmente praticare, se hanno avuto la fortuna di
maneggiarsi con soavità e desterità, godono gran privilegio nelle mediazioni a
Costantinopoli, ove concorrono ministri di tante nazioni, e riportano confidenze
giovevoli, per le notizie essenziali che essi ricavano non solo dalle corti dei Turchi, ma
dalle altre corti d'Europa, necessarie a chi serve in ministerio grande, potendo
illuminare assai una parola combinata con qualche altro lume.
Spreme il Visir o dell'una o dell'altra di queste due nazioni, somme
considerabilissinie di danaro.
Nel solo tempo breve, che io mi fermai a quella parte, gli Inglesi furono obbligati a
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Nel solo tempo breve, che io mi fermai a quella parte, gli Inglesi furono obbligati a
pagare poco meno di 300,000 reali, oltra le altre avarie trovate sotto i bascià o
ministri ottomani in tante scale della Turchia; soccombono in proporzione anco gli
Olandesi, ma sempre con sprezzo e discredito della nazione, niente giovandoli il
riferire alla Porta le novità tutte d'Europa, niente li frequenti regali, sino degli Atlanti,
nè li continuati avvertimenti e provvisioni che somministrano a' Turchi in pregiudizio
dei Cristiani.
Giornalmente protestano ambedue le suddette nazioni di voler abbandonare quel
traffico, ma non sanno risolversi per le loro gare, per gli impegni di grossissimi effetti
e per la gelosia che i traffici loro sieno da altri intrapresi. Così, per fatale disavventura
di tutti, ogni nazione, ogni potentato soccombe, se è confinante esposto anco alla
invasione, o se remoto soggetto allo spoglio delle più preziose sostanze; ognuno
geme, ma niuno se ne pente o ardisce di risentirsene.
La nazione francese è più considerata che amata in Costantinopoli, la moltitudine
dei suoi nazionali, applicati al corso, le concita odio e può avere scemato il suo
concetto, per le insistenze senza conclusioni, e per le minaccie senza effetto del Signor
di Duchen sopra la materia del Sofì.
Il traffico dei Francesi in quella imperiale metropoli non è di molta considerazione,
consiste in zucchero, droghe e carta che conducono, pelami e poche lane che
estraggono. In Aleppo in sete ed altro, in Cipro e Smirne levano quasi tutto e con
effettivo contante, sul quale spesse volte molto profittano colle monete adulterate. Nel
Cairo sono restati quasi soli nel traffico, essendosi levati gli Inglesi e gli Olandesi pelle
frequenti avarie, ed essendo quasi distrutto il commercio di questa piazza, di modo
che tengono appaltate le principali droghe e dicono di far buoni negozii non esenti
però anche essi dalle avarie.
Tengono altro più recondito interesse alla corte i Francesi, gli affari d'Ungheria loro
stanno del continuo a cuore; quel ministro Achia, di condizione ordinaria ma di abilità
grande, come avvisai nei miei umilissimi dispacci, passato in Transilvania, ha operato
gran cose coi suoi raggiri per tenere vivo il filo delle corrispondenze coi ribelli, nel
somministrargli fomenti ed aiuti.
Stuzzicano la Porta in favore dei ribelli medesimi; li Turchi ricevono ciò che loro
comple senza mostrare di muoversi per l'altrui consiglio o servizio, ma solo a misura
del proprio comodo e vantaggio. Quel Signor di Guiglieraghe ambasciatore del
Cristianissimo alla Porta ha di buone amicizie, le maneggia con grande arte, con la sua
abilità e sapere serve bene il suo sovrano.
Pretende quella nazione che il suo re aver debba la generale protezione sopra tutte
le chiese latine del Levante, e perciò alla predetta generalità siano subordinate anco
quelle che sono concesse e protette particolarmente da Vostra Serenità, in che hanno
avuto comodo di estendersi nel tempo dei passati disordini della guerra.
Molti scabrosi incontri sono accaduti nei tempi passati, simulati o scansati con
desterità dell'Eccellentissimi Baili precessori a me pure è accaduto quello dell'ordine di
San Francesco, ma la buona sorta anco d'aggiustarlo con tanto pubblico decoro e
soddisfazione; s'avanzò di più nel tempo di mia permanenza a quel ministro il rispetto
del pubblico nome, essendosi introdotto di pregare per Vostra Serenità pubblicamente
nelle chiese dei Cappuccini e Gesuiti francesi, nel tempo che ci assisteva il suo
ministro, cosa mai più praticata prima; esigendosi con soavità e con destrezza anco
dalle nazioni più elate cortesie e riputazione al ministero, decoro e vantaggi ai pubblici
riguardi, essendomi pure riuscita la ricupera delle scritture pubbliche, riposte in salvo
dall'Eccellentissimo Soranzo nella casa di Francia nei primi moti della passata guerra
di Candia, e allora sino al mio tempo tenute occulte, anzi sempre negato dai
precessori di questo Signor di Guiglieraghe che candidamente me le ha restituite.
Le commissioni particolari di quel ministro sono di tentare non solo la ricupera dei
Santi luoghi di Gerusalemme, ma in forma tale, che apparisca sola l'interposizione
della corona di Francia, a esclusione dell'ingerenza e del nome di ogni altro principe
cristiano. Il zelo di quei buoni padri di San Francesco ne ha promesso a tutti i trattati,
nonostante il solo ministro di Vostra Serenità ebbe la sorte di essere a parte di ogni
negoziato, anzi fu nelle sole sue mani ogni più secreto maneggio; e se a Dio avesse
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negoziato, anzi fu nelle sole sue mani ogni più secreto maneggio; e se a Dio avesse
piaciuto di consolare tutta la cristianità, Vostra Serenità vi avrebbe avuto quel posto
che degnamente merita, senza indegnazione del suddetto ambasciatore.
Questo punto geloso merita riflesso ogni volta che si credessero avanzati quei
passi che pensavano quei religiosi di rinnovare, abbenchè le loro attenzioni incontrano
sempre insuperabili difficoltà.
Dopo li principi che non confinano, succedono li confinanti e per seguitarvi l'ordine
principiato dirò prima del persiano ancor lui della setta di Maometto, benchè discorde
nell'interpretazione della sua legge. Quel Re sarà di età di anni 33 in circa, di spirito
debole e pacifico, poco considerato da' Turchi, e per la debolezza de' suoi talenti, e per
la distanza del suo stato terminato da vastissime campagne deserte, che
s'intrapongono tra i loro confini, cosicchè al presente da quella parte sono sicuri da
qualunque altravolta temuta e provata diversione.
Tra i principi Cristiani che confinano con il Turco è il Re di Spagna, benchè con
rimoto confine e debole in Africa, e perciò non tiene suo ministro particolarmente alla
Porta; ma per gli avvisi ed altre occorrenze si vale di quello di Cesare. Successe al mio
tempo l'arrivo di quel marchese messinese, capitato a mercantare la schiavitù della
sua patria: suscitò l'attenzione di tutti, invaghì il Re di elevati progetti, ma il Visir con
più sodo intendimento giudicò tutta vanità per ora, ed io ciò seppi con fondamento,
che pressato un giorno il Visir medesimo sopra questa materia da un gran ministro a
considerare le regie inclinazioni, francamente rispose, che prima di applicare
all'acquisto di Messina e della Sicilia bisognava acquistare Corfù, e che allora non era
tempo. Tengono intanto colà quel disperato con lievi assegnamenti, per servirsene un
giorno se lo giudicheranno opportuno.
Il Moscovito, principe assai potente per ragione di Stati e di sudditi, altre volte ha
dato assai da pensare ai Turchi; ma in quest' ultima guerra con eserciti numerosissimi
ha fatto spiccare un debolissimo talento; gode della fortuna che i Turchi mal volentieri
militano in quella remota parte, sotto clima diverso ed in paese sterile, ove dicono che
non apprendono arte militare, nè trovano paese grato per acquistare. Al mio partire
da Costantinopoli pareva che le cose dovessero restare senza positiva pace, e senza
fazioni di guerra, ma ora si sente negata la ratificazione della pace dal Moscovita,
punito con la perdita della testa il suo ambasciatore per preteso eccesso di
commissione, e rinnovate dal canto suo le ostilità ai confini contenziosi. Il tempo
scoprirà le disposizioni del Cielo.
I Polacchi erano già più considerati dai Turchi di quello sieno al presente; furono
dalle ultime guerre, ma più dalle paci spogliati delle due più vaste provincie Podolia ed
Ucrania, già fertili e ben munite, ora deserte e desolate, senza che servano si può dire
ad altro che di vasto limite tra' Turchi e Moscoviti; li primati palatini ed altri soldati
senza stati e senza rendite, discreditano molto il corpo riguardevole di quella nobiltà.
Il Re per le aderenze della moglie è rimasto lungamente dipendente dagli arbitri della
Francia, invaghito con questo appoggio di spuntare la successione del figlio alla
corona, pare ora mutato di massime e più confidente negli Austriaci, accortosi che a
troppo caro prezzo vendeva le maggiori conseguenze della sua patria. Intanto le arti
del Signor di Bethune hanno causata la caduta dei trattati, tanto tempo dibattuti,
dell'unione tra Polacchi e Moscoviti, affinchè i Turchi restino già liberi per apportare
gelosie nell'Ungheria, punto dai Francesi di continuo studiato e coltivato, per quei fini
che ora si scoprono; l'internunzio di quel Re a Repubblica è il Signor Samuel Proski
cavaliere di nascita, inclinatissimo al nome di Vostra Serenità: si gloria di aver servito
capitano di una compagnia nella piazza di Candia; la sua più sincera e cordiale
confidenza mi ha fatto arrivare a lumi e notizie di sommo rilievo nelle più importanti
direzioni dei pubblici maneggi.
Cesare finalmente si trova insidiato assai nell'Ungheria. Corrono tre anni che il Visir
attentamente considera quell'impresa, come avvisai negli ultimi miei dispacci Vostra
Serenità. Ora pare che egli la vada mettendo in esecuzione, e li ribelli guidati dal
Tekely con notabilissimi progressi s'avanzano. I Turchi grandemente li fomentano e si
interessano nell'impresa. Il fuoco è acceso, arde, e distrugge le reliquie di quel vasto
infelice regno. Li negoziati della rinnovazione di tregue, maneggiate con tanto calore

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infelice regno. Li negoziati della rinnovazione di tregue, maneggiate con tanto calore

da Caprara e sommamente desiderate da Cesare, piuttosto invogliano che


diminuiscano le brame, e mostrano fine poco plausibile. Io conobbi li ministri di Cesare
di genio adattato alla nazione, facili a persuadersi, mal serviti dai Dragomanni ed
ingannati dai Turchi; la carità cristiana ed il pubblico interesse più volte mi indusse ad
avvertirli di particolari molto essenziali, e ne riportai gradimento, confidenza e stima
non ordinaria al ministerio. Dubito che se Cesare non armerà con più potenti eserciti i
suoi Stati, da quella parte, ogni negoziazione di Caprara sarà languida, tanto più che
si deve dubitare insidiata. Soffiano troppo i venti dell'altrui interesse, e la congiuntura
è troppo favorevole pei Turchi. Se il maneggio intavolato d'unione tra Cesare e i
Polacchi riuscisse, si potrebbe sperare più fortificato l'argine a questo torrente. Ma
parmi di vedere inclinato l'imperatore a comprare a troppo caro prezzo la quiete
momentanea a quella parte, punto di gran riflesso anche per gli interessi di Vostra
Serenità. Non mancano parti ai Turchi per far progressi, sa Dio ciò che sarà il fine del
Tekely e dei suoi seguaci, è credibile che dall'appoggio dei barbari non sia che per
cadere ìn eredità di miseria. Nella Transilvania il Visir studia altre macchine, tiene con
sommo artificio vive le speranze dell'Abbaffy, ascolta, non abbandona, e sostiene li
malcontenti di quella provincia; stà però sempre apparecchiato per atterrarli tutti, non
avendo altra legge di amicizia e di gratitudine che la più confacente al proprio
interegse, Il Re non inclinerebbe a rottura, ma il Visir continuando le suggestioni
adopera ogni mezzo anco d'altri per indurvelo fino per capo di religione. Vede che
l'ozio presente notabilmente pregiudica alla disciplina delle milizie, le tiene allestite da
due anni in qua con le provvisioni necessarie per la guerra, ed ora arriva pur troppo
vera la voce strepitosa del più considerabile armamento che da più anni in quà
abbiano ammassato i Turchi. Dio sa dove anderà a cadere sì gran turbine, solito a
colpire la meno minacciata parte.
Tra i pochi principi cristiani condotti da sorte maligna a confinare con così vasta e
barbara potenza, questa Serenissima Repubblica rimane la più esposta, come la più
debole a resistere e la più prossima alle invasioni, la più facile a soccombere, e perciò
la più obbligata ad invigilare sopra ogni accidente che risvegliar possa la pur troppo
inclinata attenzione de' Turchi, per ricavare vantaggio.
Viene da quelli infedeli risguardata questa patria con quell'odio comune che
conservano a tutta la Cristiana Religione; considerata per il confine assai temuta in
mare per il valore delle sue armate, ma nel resto sbilanciata collo scandaglio dei suoi
stati tanto eliminati, e dalla fortuna iniquamente aggregati a quella fiera tirannide
quattrocento miglia di confine disteso fra la Dalmazia e la Albania, con tante piazze
ancora da Vostra Serenità colà possedute; produce per necessità varietà d'accidenti,
più facilmente promossi dalla fierezza dei confinanti fra di loro inimicissimi, onde non
possono non essere frequenti e fastidiose le inevitabili molestie dei Baili, per il ricorso
alla parte sempre con pena ed aggravio dei bailaggio. A me ne sono toccati di gravi,
felicemente superati senza pubblico aggravio, per essere avvenuti in congiuntura
d'altri precedenti considerabili esborsi che avevano, come è ben noto, guadagnata la
buona disposizione del Visir, come pare per essere sempre stati con ammirabile
prevenzione difesi quei confini dagli Eccellentissimi Signori Generali di quelle provincie
Pietro Valier e Gerolamo Cornaro Cavalier le di cui zelanti applicazioni e fama de' loro
giusti e prudenti governi, valsero a superare ogni più fastidio se emergente.
Le tre isole del Levante e le fortezze del regno, come quelle che sono o circondate
dal paese nemico o restate tra le fauci de' Turchi, non portano minori conseguenze,
massime Corfù per la fama delle sue vecchie e nuove fortificazioni riputata antemurale
d'Italia e dell'Europa Cristiana.
Tine e Cerigo sono in qualche buona opinione per la resistenza opposta nella
passata guerra, ma sono due gran pesi pelli Eccellentissimi Baili e per i pubblici
riguardi atti a somministar sempre materie per nuovi disturbi, attesa la permanenza
continuata nell'Arcipelago de' corsari cristiani odiosissimi dei Turchi pelle continue
rappresaglie dei loro legni ed averi; non possono li Turchi batterli e cercano di
addossare il male a quelle isole, come seguì di Tine nel mio soggiorno a
Costantinopoli, allora che Capiam bassà per difendersi dalle accuse di non aver

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battuto i corsari, ma atteso a scorticare li sudditi isolani, discreditò tanto l'isola


suddetta appresso il Re, mandò a Costantinopoli corsari schiavi acciò disponessero un
pieno e libero ricovero nell'isola stessa de' corsari e robe predate. Allora riconobbi che
la sola misericordia del Signor Iddio, decreta alla patria un fierissimo turbine, perchè
non fu certo opera umana, che io avessi modo con attentissima prevenzione di
preoccupare la mente, muovere gli affetti del Visir, e che mi trovassi in possesso di
confidente tale che valesse ad insinuare, che le introduzioni di Capiam, trovassero
disposto il Visir a ricevere le studiate impressioni che il confidente medesimo
diversificasse le disposizioni de' corsari schiavi, che il Nisir per battere il Caplam bascià
sostentasse questa pubblica causa avanti il Re medesimo, il tutto con divino favore
senza veruna pubblica spesa felicemente conseguito. Sopra sì gravi materie e sopra
ogni altra pubblica occorrenza ho portato la dovuta partecipazione all'Eccellentissimo
Cavalier Gerolamo Grimani procurator generale da mar, e spedindogli anco
espressamente comandamenti della Porta contro i corsari, avendo praticato il
medesimo anco per il poco tempo che ebbi la sorte di corrispondere coll'Ecellentissimo
Signor Andrea Corner procurator favorito pure dalla loro benigna e zelante attenzione
di reciproche notizie con opportune espedizioni nelle premure del pubblico riverito
servizio.
La stima maggiore che resta appresso ai Turchi delle forze marittime di Vostra
Serenità durerà fino che sia proscritta la memoria delle gloriose resistenze della
passata guerra, a segno che ardirci dire che conservandosi il vigore di queste forze
senza violenta necessità d'insorgenza di accidenti, possa la prudenza
dell'Eccellentissimo Senato, e la desterità di chi in quella gran corte maneggia gli
interessi della patria, andarsi schernendo per ora da nuove rotture. A questo fine sarà
sempre applicazione propria delle Eccellenze Vostre il promuovere la disciplina e il
vigore dell'armata di mare, e con esse guadagnar tempo e sperar dal Signore Iddio
che qualche interna risoluzione o mossa esterna alteri la complessione di quel corpo
gigante, disponga il precipizio di quel gran colosso, e sotto le sue rovine apra la via
alla ricupera del perduto. Ma nel mentre non bisognerebbe che i legni guidati da
ciurme perdessero affatto, col disuso, la pratica della navigazione dell'Arcipelago,
come costumano le navi, e se non si volessero far inoltrare in quelle acque le galere
sottili, si potrebbe farlo con le galeazze, o nell'occasione dei trasporti a Suda e Tine di
milizie o nella condotta degli Eccellentissimi Baili fino ai Castelli, come si praticava per
il passato, altrimenti per le future, pur troppo un giorno inevitabili occasioni, non
avranno quei legni ufficiali pratichi dei siti, dei fondi e di mille altre circostanze a
quella difficile navigazione congiunte, massime per condurre quei legni da porto a
porto, a differenza delle navi che si tengono per lo più in mare nei porti; oltrechè due
di quei poderosi legni tanto temuti da' Turchi, ben armati e guidati da prudente
condotta, i quali possono mantenere vivo il nome pubblico, la riputazione delle sue
armi, ed esigere ogni maggior vantaggio in quella parte alla patria.
La materia dei corsari turchi porta gravi agitazioni al bailaggio di Costantinopoli,
per le frequenti commissioni di ricercare restituzioni di prede, d'impetrare
comandamenti contro i corsari medesimi. Ho trattato più volte, con più reputati
ministri della Porta sopra sì fastidiosa materia, e sempre dalla loro viva voce ho
riportato aperte dichiarazioni, che si battessero pure sopra il mare i corsari, che il
Gran Signore l'aveva accordato e comandato nelle sue capitolazioni della pace, che
non si doveva aver riguardo a farlo; onde per mio debolissimo senso crederei che si
potessero animare li capi di mar, tanto con le loro navi quanto con le galere, in
occasione di bonaccia, a rinnovare gli antichi instituti di batterli nei nostri mari, e
liberarli da tali e tante infestazioni; lo stesso osservando pure con le fuste di Santa
Maura, Lepanto e Dulciano; tanto più che il presente Visir si mostra tanto acceso a
concedere comandamenti per l'incendio di quei legni, come praticò il defunto Visir con
l'Eccellentissimo Signor Cavalier Querini, nel tempo che io serviva Vostra Serenità
debolmente in Dalmazia, e che mi toccò quella scabrosa e difficile esecuzione
dell'incendio dato a 13 fuste di Dulcigno.
Con qualche altra industria crederei pure proprio di farle incendiare nei loro porti,
massime per causa dell'odio che ben spesso conservano i Turchi.
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massime per causa dell'odio che ben spesso conservano i Turchi.


Abbracciai io e praticai in Dalmazia, con frutto, anco qualche simile incontro, che
sento pure ora esibito e maneggiato della virtù dell'Eccellentissimo Capitano in Golfo;
per altro li comandamenti poco o niente vengono obbediti, nè servono che per
autenticare e corroborare con profitto la loro disubbidienza.
Il concambio de' schiavi è una delle incombenze da Vostre Serenità strettamente
comandata agli ecellentissimi Baili; ma è anco materia odiatissima dai Turchi,
stimando essi più uno schiavo cristiano che cento musulmani. Superai io di far
decretare il concambio di diciotto schiavi cristiani con altrettanti turchi che esistevano
sopra le nostre galere, ma per gli officii del Bey ed altri ufficiali Turchi ora vedo la
pratica ridotta a soli otto: ciò deriva per lo scarsissimo numero delle ciurme e perchè
essi vogliono dei nostri schiavi nei servizii dai marinari, scrivani e sino timonieri.
In prima di mia partenza in vece di cavallo inutile o d'altro solito dono, impetrai il
riscatto libero di dodici miserabili sudditi caduti in schiavitù nella passata guerra, e
tenuti nel bagno del gran Signore e come tali a di lui sola disposizione soggetti; per il
chè ci fu necessario il di lui imperiale assenso e sottoscrizione di proprio pugno, che è
stato l'unico bene che a gloria del Signore Iddio e decoro di Vostra serenità ho
riportato da quel barbaro paese.
Le confidenze in quella barbara corte sono difficili per la diversità della lingua e per
non esservi la libertà della pratica, ma sono utili; le insinuazioni sogliono essere
sempre sospette: ad ogni modo quando i Turchi piegano alla confidenza non sono
infedeli. Di quelle che ho procurate e coltivate, ne ho ricavate prove forse mai più
praticate; spesse volte con la penna fui avvisato dei più interni importanti affari di
Stato, ed in luogo supremo ho rassegnato gli originali per prove della mia attenzione e
della venerazione alle leggi. Dovrei soggiungere qualche motivo dei disturbi che seco
porta quel difficilissimo ministero, nell'obbligo d'accudire sopra le tante occorrenze de'
mercanti ed altri che servono colà sotto la pubblica protezione, della famiglia e dei
giovani di lingua e Dragomanni, ma per maggior brevità tralascio, tanto più che circa i
Dragomanni con altra scrittura a parte, ho soddisfatto al debito che mi correva con
Vostra Serenità in sì gelosa materia. Le spese del bailaggio non sono da porsi
nell'infima considerazione atteso massime la ristretteza de' cottimi; ho di tempo in
tempo rassegnato sotto i pubblici riflessi i miei trimestri, e sebbene mi è toccato in
meno di due anni soccombere al pagamento di tre pensioni del Zante, ad ogni modo la
pubblica maturità può accertarsi e conoscere con quanta carità e distinzione sia stata
anco in sì grave materia della mia fede e del mio zelo servita.
L'illustrissimo Signor Alessandro Bon, negli impieghi appoggiatigli dall'autorità
dell'eccellentissimo provveditor generale da mar, ha fatto tra que' barbari spiccare la
generosità del suo cuore.
Il nobil uomo ser Nicolò Erizzo, venuto ad aggiungere lustro alla rappresentanza,
ha fatto conoscere la sua grande abilità, il suo zelo e la devozione che conserva alla
patria, dimostrata in più occasioni di vari ed ardui cimenti come degno erede de' suoi
gloriosi antenati. Il nobil uomo Signor Tommaso Marcello si è trattenuto meco tutto il
tempo di quella mia agitatissima permanenza: ha il merito di essersi con patimenti e
disagi aggiunto alla propria virtù con esperienza e cognizione, le quali possono
rendere più fruttuosa alla patria la sua devozione, e mi fu compagno con tre miei figli
nelle afflizioni.
Fui pure onorato dalli nobili uomini Signori Gasparo Bragadin, Tranquillo Bollani,
Ser Manne Pizzamano che tutti diedero saggi di modestia e di zelo verso il pubblico
servizio.
Ha servito la carica per segretario il fedelissimo Martin Imberti, e per coadjutore il
Fedelissimo Iseppo suo figlio. Io non mi estenderò nel rappresentare
all'Eccellentissimo Senato il merito, l'abilità e le degnissime condizioni del soggetto, la
sua età consumata nel generalato di Dalmazia, in tante segreterie di questi
eccellentissimi magistrati, i suoi talenti ed i frutti tante volte goduti della Pubblica
Maturità più assai ne parlano di quanto potessi dire, che pure dovrebbe essere assai
se io volessi soddisfar con la verità la mia coscienza.
Quanto grande sia il suo ingegno e la sua fede, altrettanto ristretto di fortuna,
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Quanto grande sia il suo ingegno e la sua fede, altrettanto ristretto di fortuna,
nella molteplicità in particolare di numerosa figliaria, che coltiva con esemplarità per
renderli capaci del riverito servizio di Vostra Serenità, merita l'amore e le grazie
dell'Eccellentissimo Senato, anco per l'esemplare abilità del figlio suddetto, che oltre
l'andarsi incamminando nel sentiero modesto e virtuoso del padre, ritiene merito
particolare ed impegno della pubblica gratitudine, per il faticoso Indice da lui
principalmente formato, sotto la direzione paterna di più di trecento Volumi di
Scritture, Mazzi, Filze e Libri, parte ricuperati da me dalle Case di Francia, e parte che
esistevano nel Bailaggio, che presento in obbedienza delle loro riverite Ducali 21
Decembre 1680.
Di me, Serenissimo Principe Eccellentissimi Signori, dirò se forse quel silenzio nel
quale or ora mi resero attonito le mie disavventure si potrà svogliere, neppure al
cimento presente, di aver servito con zelo ereditario, palesato da' maggiori, da'
fratelli, da' figliuolì sacrificati alla pubblica grandezza, contribuito da me in altri
impieghi dalla Serenità Vostra benignamente aggraditi, attenzione de' maneggi coi
Turchi, diligenza nell'indagare gli arcani, desterità nel divertire i pregiudizii e le insidie,
applicazione a coltivare buona corrispondenza coi ministri delle altre Corone, e studio
di apportare reputazione al veneto nome, anco nelle mediazioni degli altrui interessi,
economia e risparmio del pubblico danaro, disciplina nel contegno de' sudditi e di
numerosa famiglia, furono gli oggetti fervorosi e perpetui della mia mente divota. Non
vi fu, Serenissimo Principe, ombra che denigrasse il candore della mia fede, e che
oscurasse la limpidezza di un ossequio inalterato, ancorchè destino fatale mediante
positivo decreto dell'Eccellentissimo Senato mi costringesse a, viaggiare in due navi di
pubblica ragione, che erano state in simile occasione altre volte a quella Metropoli, e
provveduto di quelli Ufficiali capitani e milizie istesse, che seppero nelle precedenti
occasioni rapire gli schiavi in quella città e che imprudentemente ne conducevano
alcuni alla vista di quella Reggia, delle quali appoggiato il comando dello
Eccellentisimo Signor Provveditor generale ad altro cittadino che nelle antecedenti
congiunture ne fu parimenti il Direttore, io vi fui in condizione di semplice passeggiero.
Destino fatale che sebbene dopo lo sbarco ed il mio ritiro alla residenza tre miglia
distante dalle navi, mi fece risentire l'afflizione della loro recidiva, con nuovo ricovero
dato a quei fuggitivi, in tempo che ignaro di quanto sopra le medesime si operasse ed
escluso da ogni partecipazione, era intento al riposo ed alla quiete dell'individuo
pregiudicato non solo dai disagi della navigazione ma da notabile infermità che mi
aggravava, la ferocia degli interessati, le pretese della restituzione, le richieste di
considerabili capitali che si asserivano trafugati, i tumulti, le commozioni e disprezzi,
gli assedj, le invettive, le indignazioni dei comandanti e dei ministri del Gran Signore,
li pericoli delle nostre persone, della pubblica dignità, dei legni, delle insegne della
patria, la sicurezza perduta, il decoro oltraggiato furono tormenti che lacerarono il mio
cuore, e quello dell'Eccellentissimo Procurator Morosini a cui ebbi l'onore di succedere,
ora defunto, che mi fu conforto e compagno nelle sciagure.
Nè carceri, nè ceppi, nè le catene, nè l'imminente spada del manigoldo, non sono
martirj che valgono di riscontro alle nostre angosciose ferite e riportate infelicità;
siamo usciti dalla voragine che minacciava di assorbire non solo noi, la
rappresentanza, i congiunti, ma questo glorioso Governo, con la tolleranza ed ajuto di
Dio che sempre protegge la pubblica necessità; la prosperità dell'esito ci fa infausta in
questo solo che questo Eccellentissimo Senato non abbia comandato o comandi con
rigorosa investigazione che si penetri nei minuti accidenti dell'accaduto, perchè, come
io faccio con riverenza, avressimo maggiormente adorati i flagelli anco nella perdita
delle sostanze e rischio della riputazione, se ella non trionfasse illibata, nel bel seno
della verità.
Perchè avrebbero Vostra Serenità e Vostre Eccellenze ricavato e ricaverebbero con
certezza se noi siamo stati gli autori delle agitazioni, se, nell'età e nel ministerio nel
quale eravamo costituiti, abbiamo voluto senza alcun fine esporre ad evidente
precipizio la vita, i figli, il credito, la Repubblica; oppure se con maraviglia e
commiserazione degli Esteri, abbiamo esercitato costanza tale, che meritò dai
Rappresentanti degli altri Principi innumerabili commendazioni. Se li schiavi siano stati
prima conosciuti e scoperti dai Turchi che da noi, e se noi avvisati dello sconcerto ne
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prima conosciuti e scoperti dai Turchi che da noi, e se noi avvisati dello sconcerto ne
abbiamo ricercato la certezza dai Capitani delle navi che ci fa dolosamente occultata.
So dopo la prima visita delle navi fatte dai Turchi, riuscita per noi felicemente alle
replicate istanze di quei comandanti abbiamo ancora replicato severissime
perquisizioni. Se resi certi dopo molto intervallo della nascosta scelleraggine abbiamo
pensato per ricoprirla, e abbiamo sospeso il castigo dei delinquenti per questo solo di
non confessare colla punizione la colpa, ed esporsi ad irreparabile eccessivo
risarcimento. Se ritrovato nella seconda visita dei legni, fatta da' Turchi lo schiavo
Napoletano, l'abbiamo allettato con le speranze, atterrito con le minaccie, munito coi
sacramenti, perchè negasse al Visir con fermezza l'errore e i compagni. Se dopo che
l'indegno confessò ai Turchi la raccolta degli altri, mentre colla scorta di lui si
accinsero ad indagar de' restanti, ci siamo disperatamente portati sopra le navi dove
divertimmo lo scempio che era per nascere, essendo già i soldati preparati ad ostile
resistenza.
Avrebbero veduto e vedrebbero Vostre Eccellenze se noi abbiamo con i rimproveri
e con l'efficacia delle parole e dei fatti reso il Napoletano così stordito che non seppe
additare ai Turchi quel luogo nelle venete navi nel quale era stato più volte ricevuto e
nascosto. Se in occasione così avventurosa abbiamo superato e depresso l'orgoglio e
l'ira del Chiaus pascià, abbiamo procurata la custodia in quei cimenti delle navi,
proibendo a chi si sia il dipartirsi dalle medesime, obbligando i figli e quei nobili nostri
che ivi si ritrovavano a guardarle con esattezza come fecero, senza mai abbandonarle,
vegliando cadauno di loro conforme al comparto del tempo, per sentinelle, anco
nell'oscurità della notte. Se allora che l'equivoco dei cadaveri galleggianti intorno alle
navi suscitò di nuovo l'inconveniente già dalla nostra sofferenza assopito, che fu
convertito ingiustamente in nostra reità, udendosi le imprecazioni comuni, che
presagivano la condotta delle navi in Arsenale ed il loro incendio, e lo sterminio della
nazione, la morte dei Baili, dei nobili, dei ministri, guerra alla nostra patria, fin serrati
nelle stanze nostre dal concorso della plebe furibonda, vilipesi con dileggi ed ingiurie,
abbiamo agonizzato più nel vicino periglio del pubblico decoro, che nella profusione
nel nostro sangue. Se abbiamo vegliate intere le notti, consumati i giorni fra penose
angoscie, temuto sovrastante l'eccidio, paventato il furore d'una gran città concitata, e
dubitato più mesi degli strazii d'una barbara interessata risoluzione, se siamo stati
esposti a tutti gli azzardi, e senza risparmio di noi medesimi abbiamo raddoppiata la
diligenza, prevertiti i disegni, e tentate tutte le strade anco più disastrose per la
preservazione de' capitali pubblici e della pubblica dignità; avrebbero distinto e
distinguerebbero Vostre Eccellenze se gli Schiavi dopo l'uscita dal porto delle navi
sieno restati a noi o a disposizione d'altri e a loro profitto, e finalmente se il redimere
a contanti la patria, la quiete pubblica e i sudditi e l'armi nostre gloriose, sia stata
mancanza o esuberanza di fede.
Non anderebbero fastosi i rei baldanzosi della colpa, nè deriderebbero l'innocenza
oppressa ed avvilita. Non avrebbe perduta la patria un cittadino benemerito, qual fu il
Cavalier Procurator Giovanni Morosini, il quale da fato immaturo nel fiore degli anni fu
di giorno in giorno sensibilmente condotto alla tomba, da quella tormentosa passione
che corrodeva il di lui cuor generoso, che superiore a tutti gli incontri della fortuna, ha
convenuto cedere a questo sopra ogni altro orribile avvenimento. E sebbene mancò
grave di onori non d'anni, e accolto nel cielo gode del giusto applauso dell'Europa
tutta, dove in tante Corti ha fatto spiccare la magnificenza di questa Serenissima
Repubblica; ad ogni modo egli è morto, spettacolo lagrimevole del mondo e de' regni;
ed io resto superstite alle sventure, osservato da quelle provincie, dove aggradito da
Vostra Serenità una volta il ministero mio, ho procurato lasciare nell'animo de' sudditi
e degli stranieri, memoria non vile della mia ossequiosa rassegnazione.
Mi basta però in ogni tempo il compatimento magnanimo di Vostra Serenità e di
Vostre Eccellenze, per compenso a tante jatture, e siccome non dispero, mi fo lecito di
impetrarlo; sarò contento in mezzo alle tribolazioni non ostante che l'abbattuta mia
casa risenta la perdita si può dire d'un intero patrimonio, resterà alla posterità per
eredità più stimabile, il documento infallibile del mondo, come vanno sagrificate le vite
e le sostanze in servizio della patria adorata.

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