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Sguardi sulla disabilità e teologia

Laureanda: Maristella Bertino


Argomento: L’argomento riguarderà le esperienze e le difficoltà che ha la
cultura e la società nel riconoscere e vivere la disabilità; si passerà poi alla
visione della Chiesa circa la disabilità

Introduzione

La mia tesi cercherà di evidenziare quali esperienze e quali difficoltà


hanno avuto e hanno tuttora la cultura e la società in relazione alla
disabilità. In una prima parte il mio sguardo scaverà, servendomi di saperi
e metodi diversi,nella cultura del mondo antico. Cercherò di rinvenire
nell’epoca greca, romana e quella del primo cristianesimo le tracce lasciate
dalle persone con disabilità. Passerò successivamente alla visione della
disabilità nel mondo contemporaneo partendo dalla visione negativa che
ritroviamo nel paradigma di ogni totalitarismo che trova la più efferata
delle realizzazioni nel mondo fascista. La seconda parte cercherà di
analizzare la disabilità come condizione umana discussa in prospettiva
teologica. La teologia può guidare la comprensione della disabilità da parte
della società. La disabilità deve essere esplorata come fonte di riflessioni
teologiche sull’antropologia e l’immagine di Dio come Trinità. La
disabilità è una vera “provocazione”. La disabilità interpella la Chiesa. La
tesi sarà suddivisa in quattro capitoli.
• La disabilità nel mondo antico.

• La disabilità oggi.

• Disabilità come condizione umana discussa in prospettiva teologica.

• Difficoltà di integrazione delle persone con disabilità.

Conclusione:

Bibliografia

• Vedere la disabilità.Per una prospettiva umanistica. A cura di


Marianna Gensabella Furnari.

• M.Collini. Oltre il limjite. La Chiesa e l’handicap, Franco Angeli


2005.

• La comunità che accoglie i rifiutati. J.Vanier.

• Il loro sguardo buca le nostre ombre. Jean vanier e Giulia Kristeva.

• Documenti ufficiali della Chiesa.


• La spiritualità dell’arca, Jean Vanier.

• Il dolore innocente. L’handicap, la natura e Dio. Vito Mancuso,


Mondadori.
Capitolo 1
Paragrafo 1

Efesto, un disabile fra gli dei.

Come gli eroi di Francesco Guccini , gli dei greci non “son tutti giovani e
belli”. Nell’Iliade Efesto con altri dei prende parte alla guerra tra Greci e
troiani. Efesto è zoppo e si trascina a fatica su gambe sottili. Non è
specificato se la sua disabilità sia causata da una caduta o se sia congenita.
Nel canto diciottesimo dello stesso poema era Era a buttare giù
dall’olimpo Efesto, volendolo nascondere perché zoppo. Su un
bassorilievo del secondo secolo dopo Cristo proveniente da Ostia, sopra
Efesto che precipita sono raffigurati Zeus ed Era ma non è chiaro se a
buttarlo giù sia stato il padre o la madre. Anche Afrodite, la più bella fra le
dee tratta molto male Efesto, lo tradisce intrecciando una relazione con
Ares, che è il più veloce tra gli dei (vv. 266-366 Odissea). Avvertito dal
Sole Efesto che è un fabbro abilissimo prepara una trappola per i due
amanti e li intrappola con catene. Tutti gli dei accorrono a vedere la scena
e qualcuno dei presenti sentenzia: “Le azioni cattive non fruttano.” Il lento
prende il veloce: così anche ora Efesto che è lento ha catturato Ares, il più
veloce fra gli Dei che abitano l’Olimpo. Dagli esegeti dell’antichità “il
lento prende il veloce” è diventato proverbiale. Gli dei greci sono
accomunati all’umano. Efesto è accomunato nella disabilità, nel lavoro e
nel sudore. La disabilità non compromette il valore di un individuo.

Paragrafo 2

La disabilità nella Grecia antica.

La mitologia è ricca di personaggi deformi, mostruosi, inquietanti come i


Ciclopi, le Sirene, i Centauri, demoni come i Telchini . Il valore metaforico
di queste figure è ribadito da D. Musti, sulle tracce di “angosce antiche e
moderne”1Nelola vita reale che destino attendeva chi nasceva con vistose
imperfezioni? Per dirla con Marie Dèlcourt erano “nascite 2 malefiche”. Le
nascite malefiche venivano eliminate anche se alcune sopravvivevano
dall’accettazione del diverso e ciò è dimostrato da pitture su vasi etruschi
di immagini raffiguranti creature affette da sindrome di Down.

(foto fig.6 pag. 44 di “Veder la disabilità”)

1 In merito ai Telchini, Seutonio riferisce di creature indefinibili, partecipi della natura umana, di quella ittica e di
quella rettile; per alcuni essi erano sforniti di arti, per altri potevano dirsi palmipedi, insomma erano esseri fantastici
e plastici, innescati da realtà zoologiche come le foche, i siluri, il dugongo. D. Musti in “telchini e sirene” cita a
pagina 29 che “sulla scia di Detienne e Vernant ne enfatizza il legame come elementi primordiali della terra, cioè
del suolo e del sottosuolo, nonché il collegamento con il mare e con il sole, e perciò con le sirene, aloro volta a
lternanti varianti iconografiche, ittiomorfe o alate”.
2 M.Delcourt, Stèrilitè mystèrieuse et naissances malèfiques, cit., alla quale, oltre al citato studio su Efesto, si
debbono altri saggi significativi, come (Edipe ou la lègende du conquèrant, Bibliothèque de la Facultè de
Philosophie et Lettres de l’Universitè de Liège, Liège 1944, e Hermaphrodite, mythes et rites de la sexualitè dans
l’Antiquitè classique, Presses Universitaires de france, Paris 1958.
A Sparta, quando nasceva un bimbo, il padre doveva portarlo in un edificio
pubblico, la lesche, dove una commissione di anziani della tribù esaminava
attentamente il neonato e permetteva l’allattamento solo se totalmente sano
e vigoroso. Se il bimbo aveva qualche difetto veniva abbandonato in un
luogo chiamato Apothetai, sul monte Taigeto, vicino ad un dirupo. Questo
gesto era ritenuto buono, sia per il bimbo che non aveva ricevuto fin
dall’inizio quanto necessario per la vita, sia per la città stessa. Aristotele ,
delineando nel settimo libro della “Politica” la propria pilteia, o
costituzione ben temperata, affermava: “Quanto all’esposizione e
all’allevamento dei piccoli nati sia legge di non allevare nessun bambino
deforme, mentre le disposizioni consacrate dal costume impongono di non
esporre nessuno a causa dell’elevato numero dei figli; si deve però fissare
un limuite alla procreazione e se alcune coppie sono feconde oltre tale
limite bisogna procurare l’aborto prima che nel feto siano sviluppate la
sensibilità e la vita, perché è la sensibilità e la vita che determinano la
consapevolezza e la non consapevolezza dell’atto”.3

3 Da Politica, Costituzione degli Ateniesi, Aristotele, Laterza 1972 e traduzione di R.Laurent; in precedenza il
filosofo si sofferma sull’età, i requisiti della coppia e perfino la stagione ottimale per la procreazione 8ideale il
tempo dei venti da nord); indugia poi sul comportamento e la cura del corpo delle donne incinte (dieta equilibrata,
moto quotidiano accompagnato da visite di culto agli altari di Artemide e Ilizia,dee preposte alla nascita) e ,
rinviando ad altra opera sull’allevamento del bambino per altro non pervenuta delinea l’alimentazione più indicata
per i piccini, sconsigliando l’uso di vino, di fasce troppo costrittiveper i neonati (diversamente da Platone che ne
proponeva l’uso sino ai tre anni.
Paragrafo3

Nascere diversi nell’antica Roma.

Nell’antica Roma i parti deformi erano notevoli e fin dall’epoca regia


c’erano disposizioni specifiche sull’esposizione dei neonati con
malformazioni.. Il pater-familias poteva abbandonare un neonato deforme
dopo averlo mostrato a cinque vicini. Il bambino veniva lasciato in un
luogo poco frequentato dove era alta la possibilità che sopraggiungesse la
morte. Poteva accadere che un passante pietoso decidesse di prendere con
sé il neonato, o per allevarlo con amore o per avviarlo alla schiavitù. La
prima selezione, il primo test di validità fisica spettava all’osterìtrica la
quale non era particolarmente rigida e infatti cercava di correggere le
imperfezioni con manipolazioni e fasciature atte a modellare le parti
interessate come si fa con l’argilla. Ai medici romani competevano le
malattie, una volta insorte e nei confronti della disabilità si ponevano come
fonte di una malattia incurabile e quindi da non prendersi in carico. Gli
antichi romani interpretavano le stranezze anatomiche e le anomalie
anatomiche come manifestazioni di collera divina nei confronti della
condotta umana. La malattia invalidante è quindi correlata alle categorie
della colpa e del male: riguarda gli altri, la collettività prima dei diretti
interessati e metteva in causa la “pace degli dei”. Il diritto penale romano
arcaico aveva più la funzione di preservare la città e di ristabilire la “ pax
deorum” che quella di punire il colpevole. Le deformità impressionavano i
Romani e ciò si evince dalla terminologia utilizzata dalle fonti:
monstrum,sotentum, portentum, prodigium4.
In piena età imperiale il corpo del disabile , finalmente affrancato dal
vincolo religioso e superstizioso che ne imponeva l’eliminazione, recupera
appieno il valore visivo del monstrum e dell’ostentum, nel senso di una
sovrapposizione dai risvolti sempre meno negativi. A questo cambiamento
ha contribuito anche la diffusione sempre più ampia dei nuovi canoni
estetici diffusi dall’arte alessandrina, penetrata a Roma tra il II e il I secolo
avanti Cristo: il bello ideale dell’arte classica lascia il posto all’uomo della
strada e della sua quotidianità fatta anche di malattie e deformità. Plinio ci
fornisce molte informazioni circa il costume dei suoi tempi. L’androgino
non fa più paura e lo si trova tra i pueri formosi, che popolano le lussuose
dimore dei romani, pronti a soddisfare le perversioni dei padroni in cambio
di un’adozione o un’eredità.5
Tra i pueri deliciae del dominus rientrano anche i nani. Nel Satyricon di
Petronio, Creso è il puer vetulus (bambino con la faccia da vecchio),
deliciae (amoruccio) e cicaro (cocco).6Il nano è presente nella domus
imperiale, spesso molkto vicino al princeps e addentrato negli affari di
stato.7

4 Cfr Cicerone “Poiche fanno vedere (ostendunt), prognosticano (portendunt),mostrano (monstrant),predicono


(praedicunt), vengono chiamati apparizioni miracolose (ostenta), portenti (portenta), mostri (monstra), prodigi
(prodigia)”. L’occorrenza più frequente è registrata da prodigium; ostentum e portentum indicano tout court un
fenomeno straordinario, inanimato per natura; monstrum e miraculum si riferiscono spesso a un
particolarespaventoso in un essere umano.
5 Petronio, Satyricon e F. Dupont, Rome:des enfants pur le plaisir, “Raison presente” 59 (1981), pp. 73ss.
6 Petronio, 28,4;64,5;71,11. Questi strani rapporti con esseri destinati a non crescere mai, caricature di bambini, quasi
succedanei di figli, sono stati spiegati come un modo perverso e incestuoso di esercitare la paternità.
7 Svetonio, Tib.,61 e Dom.,4,2 :Domiziano per tutta la durata dei combattimenti gladiatori si teneva ai piedi un
puerulus coccinatus, “un nano dalla veste scarlatta”, dalla testa piccola e mostruosa, a cui dover dar conto persino
degli incarichi che affidava. Il colore rosso della veste, indica che il puerulus godeva di un certo prestigio
all’interno della corte.
Con Severo Alessandro (222-235 d.C.) si assiste ad una sferzata di
sobrietà: l’immagine del disabile subisce una svolta. Termina il periodo
della spettacolarizzazione dei deformi e si guarda finalmente ai loro
bisogni. Severo Alessandro fa il primo passo verso l’assistenza statale a
favore dei nati malformati, stanziando spese pubbliche in favore degli
invalidi per evitare l’accattonaggio. L’essere deforme comincia ad esistere
come persona.
Paragrafo 4

La cura dell’infirmitas nel Cristianesimo antico

Con la diffusione del Cristianesimo la Chiesa e alcuni privati


cominciarono a portare avanti iniziative caritatevoli in favore di quei
soggetti sfortunati ma si trattava di azioni rivolte soprattutto a poveri e
bisognosi. Presso le basiliche e le chiese c’erano spesso ospedali dove si
curavano le malattie ma quando si trattava di disturbi mentali la guarigione
poteva avvenire solo con la preghiera o la suggestione del potere
miracoloso delle reliquie di un santo. In età cristiana si hanno
testimonianze di malati o disabili accuditi con amore dai genitori, parenti o
servi. La disabilità e l’infermità nel disegno cristiano non è più la
punizione divina per una colpa commessa ma diventa strumento percheè la
potenza di Dio si manifesti perché solo da Dio potrà avvenire la guarigione
dalla malattia. <<“Chi ha peccato? Lui o i suoi genitori, per essere nato
cieco ?” Rispose Gesù: “Non hanno peccato né lui né i suoi genitori”
>>(Gv 9.2-3).
Dal mondo greco-romano a quello cristiano avviene una svolta nei
confronti della disabilità. I disabili vengono accolti e guariti nel corpo e
nell’anima dal Christus -medicus. Cristo guarisce e i Santi continuano la
sua Opera.
Nei primi secoli del Cristianesimo si intravvede il rapporto diretto tra
salute dell’anima e guarigione dell’infirmitas, infirmitas che si esprime in
forme diverse (ciechi, paralitici, zoppi). La guarigione è connessa al
perdono delle colpe ed al cammino di conversione.

A Gerusalemme guarigione di un paralitico (Gv 5,1-9)

“Dopo questi fatti, ricorreva una festa dei Giudei e Gesù salì a
Gerusalemme. A Gerusalemme, presso la porta delle pecore vi è una
piscina chiamata in ebraico betzatà, con cinque portici, sotto i quali
giaceva un grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. Si trovava
lì un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo giacere e
sapendo che da molto tempo era così gli disse: “Vuoi guarire ?” gli rispose
il malato: “ Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando
l’acqua si agita. Mentre infatti sto per entrarvi, un altro scende prima di me
“. Gesù gli disse: “ Alzati, prendi la tua barella e cammina” e all’istante
quell’uomo guarì: prese la sua barella e cominciò a camminare.

La guarigione è avvenuta ma richiede convalida. (Gv, 5,14)

“Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: <<Ecco, sei guarito ! Non
peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio>>”.

La concezione del Cristo medico dell’anima e del corpo, e il suo invito a


continuare la sua opera di carità portava all’accoglimento del malato fosse
egli affetto da disabilità fisica o mentale o sociale nella sua totalità e
interezza.
Massimo il Confessore (662d.C.) dice: “ La carità non può essere divisa in
“carità verso Dio e carità verso il prossimo”: la carità è unica, tutta intera,
è dovuta a Dio ma unisce gli uomini gli uni agli altri. L’azione della
perfetta carità verso Dio, e la sua evidente dimostrazione, risiedono in una
sincera disposizione di volontaria benevolenza nei confronti del prossimo,
perché, dice il divino apostolo Giovanni, “ colui che non ama il fratello
che vede, non può amare Dio che non vede”8

8 Massimo il Confessore, Epistola seconda sulla carità a Giovanni Cubiculario.


Capitolo 2

Paragrafo 1

La disabilità nel mondo contemporaneo

Nel mondo contemporaneo si apre la visione negativa dei totalitarismi che


trovano la più grave realizzazione nel regime nazista. L’ideale dell’uomo,
il più possibile perfetto procede all’eliminazione della persona disabile. A
partire dagli anni Sessanta la cultura avanza verso il riconoscimento dei
diritti di persone con disabilità, ma rimangono ancora fattori di resistenza
di contesto culturale. La nascita di un bambino con handicap è vissuta
dalle famiglie in modo drammatico. Le società occidentali sono
competitive e spingono all’individualismo; conta una buona posizione
sociale, il successo e la carriera.
Le persone disabili incarnano il dolore, evocano la fragilità umana. Il
disabile rappresenta il limite umano, suscita inquietudine e desiderio di
fuggire anche solo con lo sguardo. Molto spesso è difficile fissare il nostro
sguardo nel suo. La filosofa Julia Kristeva e il pensatore Jean Vanier nel
loro libro “Il loro sguardo buca le nostre ombre” vanno alla ricerca di un
nuovo umanesimo che dia fondamento alla cultura della disabilità. E’
possibile cambiare lo sguardo della società? Nella corrente mentalità il
disabile è una persona da aiutare. C’è bisogno di liberarsi dalla “tirannia
della normalità”. Non si tratta di avere compassione ma di riconoscere
l’unicità di ogni essere umano voluto da Dio e prezioso ai Suoi occhi. Il
portatore di handicap, figlio di Dio è membro attivo del Suo corpo.
Spesso abbiamo nel profondo del nostro essere paure nascoste che
governano più o meno consciamente le nostre azioni e i nostri pensieri,
abbiamo blocchi che ci impediscono di amare alcuni per attaccarci ad altri.
La vita cristiana è una continua crescita nell’amore e ciò implica di
accettare continua potatura da parte di Dio, potatura che ci porta a
purificare i nostri sistemi di difesa perché il nostro cuore sia docile allo
Spirito Santo e all’amore divino.
Paragrafo 2

I disabili e i totalitarismi

I tre maggiori regimi del Novecento (fascismo italiano, nazismo tedesco e


comunismo sovietico) con la teorizzazione e la messa in pratica di
politiche eugenetiche finalizzate al miglioramento della razza , portano
avanti politiche finalizzate all’eliminazione dei disabili e ai portatori di
malattie ereditarie (il nazismo ha il tragico primato). L’ideologia
dell’eliminazione dei disabili era già presente in Germania ben prima
dell’avvento di Hitler al potere. Infatti è del “.1920 la pubblicazione del
volume dello psichiatra Alfred Hoche e del giurista Karl Binding dal titolo
“L’autorizzazione all’eliminazione delle vite non più degne di essere
vissute”, opera solo di recente tradotta in italiano 9e sintetizzata così da
Lucetta Scaraffia :” Non si può considerare vita in senso pieno quella di
chi, a causa della malattia è esposto ad un’agonia dolorosa o senza
speranza o a quella degli idioti incurabili che trascinano esistenze senza
scopo e utilità, imponendo alla comunità oneri di sostegno pesanti e
inutili” 10
. Con l’avvento di Hitler al potere si passerà dalla teoria alla
pratica. Grazie all’opera di Henry Friedlander “The origin of Nazi

9 E.DE CRISTOFARO,C. SALETTI (a cura di)Precursori dello sterminio, binding e Hoche all’origine
dell’”eutanasia” dei malati di mente in Germania, Ombre Corte, Verona 2012
10 L. SCARAFFIA, Se la vita è “indegna di essere vissuta”, <<L’osservatore Romano>>, 5 maggio 2012.
genocide: From Euthanasia to the Final Solution” 11 possiamo ricostruire le
tappe attraverso le quali è stata portata avanti l’eliminazione dei disabili,
degli Ebrei e degli zingari. L’autore ricostruisce una delle più orrende
tragedie del Novecento e dimostra come l’eutanasia “dei disabili e dei
malati di mente” fornì il modello all’assassinio di massa degli Ebrei: i
centri nei quali i disabili venivano eliminati con il sistema delle camere a
gas divennero successivamente i campi di sterminio. All’indomani
dell’ascesa di Hitler al potere una legge del 1933, “Legge sulla
prevenzione della nascita di persone affette da malattie ereditarie”,
prevedeva la sterilizzazione forzata di persone affette da malattie ereditarie
(i documenti ufficiali parlano di 375000 persone tra Tedeschi e Austriaci).
Nel 1935 la legge per “la salvaguardia ereditaria del popolo tedesco”
legalizzava l’aborto nel caso in cui uno dei due genitori fosse sospettato di
essere portatore di malattie ereditarie. Il Reich propagandava , attraverso
manifesti, opuscoli e filmati, quanto costasse allo stato una persona affetta
da disabilità. Si evidenziava il grande peso economico che la comunità
tedesca era condannata a sopportare. Furono istituiti “centri di consulenza
per la protezione del patrimonio genetico della razza”. Nel 1939 una legge
obbligava i reparti di ostetricia degli ospedali e le levatrici ad informare i
medici dei centri di consulenza della nascita di bambini con malformazioni
o malattie psichiche e o fisiche. I medici informati convocavano i genitori
dei disabili e, magnificando i progressi della medicina tedesca, li
inducevano al ricovero dei propri figli in centri specializzati, cliniche che
in realtà provvedevano alla soppressione di quei neonati. Tale sorte
spettava spesso anche a fanciulli ebrei, indipendentemente dalle loro

11 H. FRIEDLANDER , The Origi8ns of Nazi Genocide: From Euthanasia to theFinal Solution, The North Carolina
University Press, Chapel Hill, NC 1995.
condizioni psico-fisiche e perfino a ragazzi “ariani” ritenuti disadattati”.
Sul finire del 1939 vennero inviati agli ospedali psichiatrici questionari che
intendevano censire le capacità lavorative dei ricoverati al fine di eliminare
i soggetti “improduttivi”. Le schede frettolosamente compilate portarono a
morte parecchie migliaia di ricoverati. I malati venivano portati, con
grandi pulman dai finestrini oscurati, in centri di eliminazione con camere
a gas camuffate da docce e i cadaveri venivano eliminati in forni
crematori. l’operazione detta “Aktion T4” era segretissima ma avolte
qualcosa trapelava e suscitava le proteste dei settori sia della Chiesa
protestante che di quella cattolica, ma tali proteste non potevano essere di
impedimento alla tristissima e tragica operazione. Il fascismo non presenta
inizialmente connotazione razzista e per tutto il corso degli anni Venti non
si intravvede svolta anti-semitica. Successivamente il colonialismo
cominciò ad alimentare il razzismo con il divieto delle unioni miste
introdotta dalla legislazione italiana. La svolta decisiva avviene nel 1938
con l’imitazione del potere alleato tedesco, frutto della logica del
totalitarismo che vede l’idea della razza pura con l’emarginazione e
l’eliminazione del diverso. La collaborazione con i nazisti vede l’invio nei
campi di concentramento di cittadini italiani di origine ebraica. Con la
sconfitta del nazi-fascismo si mette fine alla persecuzione antiebraica e alla
purificazione della razza attraverso l’eliminazione di portatori di malattie
ereditarie e dei disabili.
Nella Russia sovietica, a partire dal 1919, all’interno del sistema
concentrazionario, non è stato ancora accertato se siano esistiti campi di
lavoro per i disabili ma all’interno della grande massa di cittadini inviati
nei campi di lavoro vi sono un gran numero di ribelli a”asociali” e un
considerevole numero di disabili, i primi a soccombere nell’impossibile
vita dei campi. Nella costruzione del socialismo non c’è posto per il
disabile. Nella logica dei totalitarismi non c’è posto per il “diverso”. Il
progetto di una società perfetta prevede l’emarginazione, l’occultamento e
l’eliminazione del disabile. E’ doveroso ricordare sempre alle giovani
generazioni quanta ingiusta e grande sofferenza hanno vissuto “gli ultimi”
durante quel terribile periodo di storia.
Capitolo 3

Paragrafo 1

Il valore della vita e la dignità della persone

Giovanni Paolo II nell’enciclica Evangelium Vitae ricorda che l’uomo è


chiamato ad una pienezza di vita che va ben oltre le dimensioni della sua
esistenza terrena poiché consiste nella partecipazione alla vita stessa di
Dio. La vita dunque è un dono prezioso anche nel suo momento terreno.
Dio ci fa promessa della vita divina che raggiungerà il suo pieno
compimento nell’eternità (Gv 3,1-2 “Vedete quale grande amore ci ha dato
il padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente ! Per questo
il mondo non ci conosce:perchè non ha conosciuto Lui. Carissimi,noi fin
d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato.
Sappiamo però che quando Egli si sarà manifestato noi saremo simili a Lui
perché lo vedremo come Egli è”).
La vita è una realtà che ci viene affidata perché ne siamo custodi e la
portiamo a perfezione nell’amore e nel dono di noi stessi a Dio e ai fratelli.
Ogni uomo aperto alla verità e al bene può riconoscere nella legge naturale
scritta nel cuore (cf Romani 2,14-15) il valore della vita dal concepimento
al termine. Il Concilio Vaticano II ci ricorda che nell’Incarnazione il Figlio
di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo e sottolinea quindi il valore
incomparabile di ogni persona umana “Prima di formarti nel grembo
materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce ti avevo consacrato “
Gm. 1,5 ). L’esistenza di ogni individuo fin dalle sue origini è nel disegno
di Dio.
La madre dei sette fratelli (2Mc 7,22-23) professa la sua fede in Dio,
principio e garanzia della vita e fondamento della speranza della nuova
vita oltre la morte : “ Non so come siete apparsi nel mio seno; non io vi ho
dato il respiro e la vita, né io ho dato forma alle membra di ciascuno di voi.
Senza dubbio il Creatore dell’Universo, che ha plasmato all’origine
l’uomo e ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi
restituirà di nuovo il respiro e la vita, poiché voi ora per le sue leggi non vi
preoccupati di voi stessi “.
La vita è spesso segnata dalla malattia e dalla sofferenza e il suo declino dà
tristezza e a volte dà disperazione ma il credente sa che la sua vita sta nelle
mani di Dio. Anche nel momento della malattia l’uomo è chiamato a
vivere lo stesso affidamento al signore e a rimuovere la sua fondamentale
fiducia in Lui che guarisce tutte le malattie “ Ho creduto anche quando
dicevo:” Sono troppo infelice” (Sm 116 [115,10]; “ Signore Dio mio a te
ho gridato e mi hai guarito. Signore mi hai fatto risalire dagli inferi, mi hai
dato vita perché non scendessi nella tomba” (Sm 30 [29], 3-4. Le
guarigioni operate da Gesù ci dicono quanto Dio abbia a cuore anche la
vita corporale dell’uomo. Oggi la nostra società ci presenta uno spettacolo
allarmante: ogni giorno sentiamo notizie di attentati alla vita che vanno
dall’abbandono di neonati, suicidi, omicidi, massacri di innocenti, guerre.
In nome del progresso si fa ricorso all’aborto, alla selezione embrionale,
all’eutanasia. La nostra epoca da un lato sembra voler affermare una
sensibilità attenta a voler riconoscere il valore della dignità umana, in
effetti poi c’è una tragica negazione di quanto proclamato. Nella nostra
società sembra non esserci posto per il concepito non desiderato, per il più
debole, per colui che non realizza il modello di vita ideale, per chi è
anziano ed è visto come ingombro al ritmo frenetico nella corsa al
raggiungimento di una vita tranquilla e felice. Gli esclusi sono un gran
numero maggiore rispetto a chi detiene potere e ricchezza. Nel tentativo di
dominare nascita e morte l’uomo chiuso nello stretto orizzonte della sua
fisicità non coglie più il “ Trascendente”, del suo “ Esistere come uomo”.
La vita non è più vista come splendido dono di Dio da custodire e
venerare. Il corpo diventa complesso di organi, fusioni di energie da usare
secondo criteri di godibilità ed efficienza. Benedetto XVI in occasione
della giornata della Pace del 2007 ci ha invitati a soffermarci sul valore
dell’individuo e sulla sua dignità. Egli parla di una dignità trascendente.
Ciò che noi siamo non è determinato solo da fattori di ordine naturale,
biologico o sociale, ma anche in relazione al vincolo misterioso che ci lega
al creatore. L’uomo non discende solo da Adamo, ma anzitutto da Cristo,
primo uomo nel disegno divino. Papa Francesco dice che quando l’uomo
perde il proprio fondamento divino la sua intera esistenza comincia a
svanire, a diluirsi, a diventare “insignificante” scompare ciò che rende
l’uomo unico e irripetibile nonché tutto quello che fa della sua dignità un
bene inviolabile e un uomo insignificante sarà nient’altro che una pedina
sulla scacchiera, un semplice meccanismo nella catena di montaggio. Egli
non sarà più trascendente, ma soltanto più uno fra i tanti. La concezione
efficientistica della nostra società porta ad una guerra dei potenti contro i
più deboli. La vita che richiede più accoglienza, amore e cura diventa un
problema. Chi con il suo handicap, la sua malattia e la vecchiaia mette in
discussione il benessere di chi è sano ed efficiente diventa un peso.
Giovanni Paolo II, nella sua lettera enciclica “ Evangelium Vitae” parla di
“ congiura contro la vita”. Questa congiura non riguarda solo i rapporti in
molti ambiti del quotidiano ma anche quello fra i popoli e gli stati.
Attentati alla vita sono portati avanti dalle varie tecniche di riproduzione
artificiale, diagnosi prenatale che possono essere occasione per procurare
l’aborto. nell’opinione pubblica nasce l’idea di accogliere la vita solo in
determinate occasioni rifiutando l’handicap. La vita umana viene ridotta a
“ materiale biologico” di cui poter liberamente disporre. In nome del
progresso si segue una cultura di morte che arriva persino a negare
l’alimentazione a bambini nati con gravi handicap. E’ come voler toglier
e,la sofferenza, inevi8tabile peso dell’esistenza umana e fattore di possibile
crescita personale, che va a disturbare il perseguimento della “qualità di
vita”. I potenti della terra avvertono come un incubo lo sviluppo della
terra, temono che i popoli più prolifici e poveri rappresentino una minaccia
per il loro paese e invece di risolvere i problemi nel rispetto della dignità
delle persone preferiscono promuovere la pianificazione delle nascite.
L’uomo contemporaneo, nel contesto sociale dominato dal secolarismo,
vive spesso come se Dio non esistesse. L’eclissi del senso di Dio porta
all’eclissi del senso dell’uomo, della sua dignità e della sua vita. Il
Concilio Vaticano II ci rammenta : “La creatura senza ikl creatore
svanisce...anzi l’oblio di Dio priva di luce la creatura stessa”. L’uomo non
riesce più a percepirsi come “misteriosamente altro” rispetto alle diverse
creature terrene; egli si considera come uno dei tanti esseri viventi, non
coglie più il carattere “trascendente del vivere come uomo”. La vita
diventa “una cosa” che egli pensa di dominare e manipolare. Si arriva così
al materialismo pratico, all’individualismo, all’utilitarismo e all’edonismo.
Viviamo in una società dove c’è ricerca di efficienza e di elitismo. Si ha
paura di perdere i benefici sociali, le relazioni, il posto di lavoro, di essere
sottratti dal mondo degli esseri viventi. Tutto ciò che ci ricorda la nostra
umanità, la nostra fragilità risveglia in noi paure nascoste. L’essere umano
è programmato si per nascere, vivere e crescere ma anche per declinare. Ci
spaventa forse la nostra mortalità ? Si fa fatica ad accogliere ed accettare le
proprie fragilità, si fa fatica insomma a vivere umanamente. Essere umani
è accogliere pienamente se stessi per aprirsi e donarsi agli altri. Accogliere
la persona diversa implica un cambiamento, l’accettazione delle proprie
fragilità. Essere vulnerabili è la condizione degli esseri umani e quindi non
è possibile sentirci estranei e relegare la vulnerabilità solo ad una
determinata categoria di persone. Scrive Jean Vanier: “Un nuovo
umanesimo implica un duro lavoro su se stessi. Come diceva Martin
Luther King, per evitare di disprezzare gli altri, così differenti da noi, è
indispensabile accettare se stessi con le proprie debolezze e i propri
handicap”.Risponde Julia Kristeva: “La convivenza con la nostra mortalità
mi pare la condizione essenziale per incontrare la vulnerabilità altrui”.
Continua Jean: “Per integrare la nostra mortalità occorre aver osato
l’incontro con l’altro più debole”.
Paragrafo 2

Disabilità come condizione umana discussa in


prospettiva teologica

C’è una prospettiva specificamente cristiana sulla disabilità ? E, se questa


prospettiva esiste, quale significato e importanza potrebbe assumere
riguardo a come la disabilità è considerata in una società pluralistica ? Dal
punto di vista storico il contributo della teologia al modo fondamentale di
intendere la disabilità e la malattia da parte della società è stato
principalmente legato alla sanità e alle opere di carità. Attraverso la propria
pratica la Chiesa ha mostrato che le persone affette da malattia o disabilità
non vanno penalizzate ma curate. Ciò si applica a tutte le forme di
discriminazione e, in anni recenti, ha assunto maggior significato per il
modo in cui le persone affette da HIV o AIDS sono state trattate. Ma c’è
anche ragione di chiedersi se la teologia abbia trascurato la disabilità come
argomento teologico o se essa non vada criticata per nona vere abbracciato
una visione dell’umanità che considera le differenze nelle abilità funzionali
come un elemento proprio della diversità umana. Ha sostenuto la teologia
una comprensione delle persone con disabilità come destinatarie e
bisognose di cura o piuttosto una visione che parta da una sostanziale
uguaglianza ? La disabilità è vista come una conseguenza della caduta
dell’uomo o come qualcosa che è parte della vita umana così come è stata
creata ? Molte Chiese, Università e College non riesono a garantire pari
accesso ai disabili; tali condizioni possono influenzare la teologia , dal
momento che importanti prospettive rischiano di essere trascurate o
negate.
Una visione teologica cristiana dell’umanità considera il genere umano
come socialmente, culturalmente, storicamente e biologicamente parte
della creazione. Questo ha importanza per capire la disabilità. Il punto
fondamentale non è che gli esseri umani dovrebbero essere in salute, forti
e indipendenti, ma , piuttosto, dovrebbero essere in grado di vivere ed
essere definiti attraverso le loro relazioni con gli altri e nella mutua
dipendenza. La disabilità, la malattia cronica, il disordine mentale,
psichico e fisico, appartengono alla vita umana così come è stata creata. Il
disagio e l’inabilità funzionale provocano qualche volta un malessere che
può essere curato o alleviato. In altri casi bisogna conviverci. Una visione
teologica dell’umanità che vede gli individui in una muta relazione
possiede implicazioni sia etiche che politiche; comprendere gli umani
come esseri vulnerabili e dipendenti può avere implicazioni per
un’interpretazione della disabilità come condizione fondamentale della vita
umana. La disabilità ha sempre fatto parte della vita umana ed è stata
interpretato in modi diversi in diverse culture e periodi storici. Alcuni
modelli recenti sulla disabilità sono spesso descritti sia come modello
medico, in cui la disabilità è vista come un problema di natura medica e
individuale, sia come modello sociale, che sottolinea le cause sociali e
politiche della disabilità.
In generale il termine disabilità riguarda sia le esperienze individuali che le
condizioni che si vengono a creare nell’interazione dell’individuo con il
proprio ambiente, condizioni che possono condurre alla disabilità. Questa
si rivela nelle situazioni concrete e nelle relazioni tra le persone e il loro
ambiente sociale: intervengono sia fattori legati strettamente all’individuo
che aspetti legati alla struttura dell’ambiente in cui essi vivono. L’essere
umano è considerato come entità comprendente corpo fisico e mente.
Barriere architettoniche e altri impedimenti influenzano questi due aspetti.
Paragrafo 3

Basare il valore morale sulla relazione con Dio

Basil Mitchel è uno studioso che ha affermato che coloro che vorrebbero
asserire la tesi tradizionale secondo cui tutti gli esseri umani hanno un
valore intrinseco e di conseguenza vanno protetti contro il pregiudizio e lo
sfruttamento, sarebbero intellettualmente imbarazzati da tale asserzione se
non abbracciassero una metafisica teistica. Egli nota che il nostro intenso
sentimento circa il valore della personalità individuale non ha avuto lo
stesso sviluppo in altre tradizioni. Questo non ci deve sorprendere,
continua nella tradizione cristiana si può dar ragione del perché l’individuo
sia così degno di valore morale. La tradizione offre un’antropologia
metafisica per cui ogni essere umano, senza distinzione di qualità
personale e status sociale, gode di un’unica relazione con Dio. Ciascun
essere umano ha un destino eterno in virtù di questa relazione. Dio offre la
salvezza a ogni essere umano in quanto tale e in quanto tale ogni persona
ha un valore incondizionato. Non siamo amati da Dio in virtù di qualità o
meriti che possediamo, dal momento che questi renderebbero l’amore
divino condizionato. Se esso fosse tale, verrebbe meno qualora perdessimo
queste qualità o meriti. Al contrario solo un valore e un amore
incondizionati possono essere universali. Nessuno di noi merita un amore
incondizionato più di un altro. Molti autori secolari vorrebbero conservare
un senso dell’universalità e incondizionatezza del valore dell’essere
umano. Una via seguita per realizzare questo è espressa da Kant. Si legge
negli scritti etici di Kant, secondo Mitchell, un tentativo di sostituire la tesi
cristiana della relazione umano-divina con la dignità di ciascun essere
umano come creatura razionale, in possesso della consapevolezza della
legge morale e della conseguente abilità di perseguire la felicità tramite la
virtù. La nostra relazione con la legge morale e il destino si troverebbe al
posto del disegno religioso della nostra relazione con Dio e della nostra
vita ulteriore con Dio. Secondo Mitchell ci sono due problemi con la
ricostruzione kantiana del disegno teologico: per prima cosa Mitchell nota
che la sua enfasi sul possesso universale della ragione dà un ritratto della
natura umana che è troppo dualistico e intellettuale; secondo osserviamo
che il possesso di una ragione pratica come Kant la definisce non è una
proprietà universale e invariante delle specie e non costituisce perciò un
supporto alla credenza nella santità incondizionata e universale della vita
umana. La linea di ragionamento sopra esposta dà origine a ciò che
Mitchell chiama “il dilemma della coscienza tradizionale”. Questo è il
dilemma formato dai desideri congiunti di mantenersi attaccati a una
tradizionale credenza nella santità della vita umana e contemporaneamente
di rigettare il fondamento religioso di tale credenza. I due desideri non
possono essere mantenuti assieme in modo consistente. I secolaristi
consistenti sono coloro i quali non cercano di sostenere la dignità di
ciascun essere umano. Mitchell avvalora la propria tesi adducendo il
tentativo cristiano di sostenere che ogni essere umano va amato in sé. Egli
nota che molti hanno trovato questo tentativo molto strano da mettere in
pratica. Al di fuori della cristianità o della religione teistica, è sempre
sembrato più naturale che le persone vanno amate per i loro meriti. Egli
cita Freud nel senso che se io amo qualcuno lui o lei devono essere degni
di tale amore, o per meriti intrinseci o per qualche stretta relazione con me.
Al contrario il comandamento cristiano di amare tutti gli uomini si basa
non sul distinguere i meriti individuali ma sul fatto che tutti gli esseri
umani sono amati da Dio. Ciò si accompagna ad altre conseguenze: gli
uomini sono redenti dall’opera salvifica di Dio, sono portatori
dell’Immagine di Dio e così via. Siamo tutti sotto il comandamento divino
di amare il nostro prossimo come noi stessi e questo comandamento si
appoggia sul fatto che tutti sono oggetto di una considerazione divina che è
propria della condizione umana.

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