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Suora Canossiana
“Vagabonda della Carità”
Ai poveri e a coloro
che non hanno voce
stampato in proprio
“I poveri li avete sempre con voi”
giustizia, solidarietà , misericordia e Carità
Introduzione
<< I poveri li avete sempre con voi; ma non sempre avete Me >> (cfr Mt
26,11), dice il Signore, ed allora ci sono e li devo avvicinare, conoscere,
amare .
I credenti non possono non voler bene ai poveri; ai poveri vogliamo e
dobbiamo voler bene in nome del Signore.
I poveri sono una realtà concreta, non una finzione, anche se non è facile
capire ed accettare la realtà del povero.
Diceva Don Primo Mazzolari : << Dove il fratello è più “ povero “ là c'é
Gesù, e << senza una conoscenza umana del povero non si arriva alla
conoscenza fraterna >> 1.
E in altro passo dice che ha bisogno di una visione umana del povero
<< perché il povero non ha nazione, né classe, né partito: é l'uomo che
domanda a tutti pietà e amore....e per poterlo fare, bisogna che il fratello si
manifesti all'uomo, come in un ostensorio. Chi non sente l'amore
dell'uomo, non può avere fratelli, e chi non arriva al fratello rischia di
cancellare anche l'uomo >>. 2
Dobbiano uscire da noi stessi e con generosità e misericordia vedere i
poveri, gli amati da Dio.
l'autore
1
Cfr P. MAZZOLARI, La parola ai poveri, a cura di L.Sapienza, EDB, Bologna 2016, 51-52
2
Ibidem 52-53.
Premessa
ll tema degli ultimi nella Bibbia potrebbe essere formulato con una parola
più familiare: i poveri.
Però credo che il termine poveri, e peggio ancora povertà, sia ambivalente;
mentre la parola ultimi ci dice qualche cosa del luogo e delle persone nelle
quali e tra le quali si trova Dio, se teniamo presente il Vangelo, la buona
notizia di Dio che ha condiviso la nostra storia a partire dall'estremità della
forma umana: l'estremità del malato, del peccatore, della donna, del
bambino, e per ultimo del criminale crocifisso. Per secoli la Chiesa ha
annunciato il Vangelo ai poveri, e uomini e donne hanno scelto di vivere
con i poveri per annunciare questa buona Novella. Ma qui si pone subito
una domanda: chi sono i poveri? Sono gli umili? Sono i deboli? Sono gli
emarginati? Sono gli ultimi. Ma cosa vuoi dire ultimi?
Misero (dal lat. Miser -èri), persona che è afflitto da sciagure spirituali e
materiali tali da suscitare il compatimento.
Sinonimi di miseria: bisogno, stenti, privazioni, indigenza, miserabilità,
ristrettezza, angustia, insufficenza, scarsezza, scarsità, necessità,mancanza,
carenza, difetto, penuria, limitatezza.
Tuttavia ci sono dei 'significati 'che non vengono spiegati dai Dizionari di
Lingua, ci sono dei 'valori di senso' non epressi, 'valenze' nascoste che
voglio indagare, sul piano religioso e spirituale, oltre che esperenziale.
Voglio comprendere che significato hanno le parole povero, povertà, mise-
ria, indigenza nel testo biblico, cominciando dalle parole del Maestro Gesù,
raffrontandole con il testo biblico veterotestamentario.
Le maledizioni
L'evangelo della Signoria di Dio che ora, con Gesù il Messia, si è avvicinata
(Mc 1,15 :”Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete
al vangelo”) significa “sovvertimento di tutti i valori” , e << soltanto per amore
di questo unico assoluto “valore” (Mt 13,44-46 : le brevi similitudini del regno
dei cieli ad un tesoro del campo,che per averlo l'uomo vende tutti suoi averi, e ad
una perla preziosa, che per possederla si vende tutto) ciascuno può essere
dichiarato, in verità, beato 3>>.
Quando si parla di beatitudine, come nei passi scritturistici sopra evidenziati, si
fa riferimento non solo alla partecipazione a quella degli angeli e santi o alla
beatitudine dei grandi defunti, ma anche alla felicità terrena, qui e ora,
anticipazione di quella futura, di una futura salvezza, il regno di Dio compiuto,
che tuttavia viene promesso già ora , per il quale si può essere “iscritti in cielo”.
3
Cfr A. GRABNER – HAIDER, voce Beatitudine in Prontuario della Bibbia, EDB. Bologna 2000 , 67.
4
Cfr J.RATZINGER, BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano, 2007, 95.
Senza addentrami nello specifico, poichè molti hanno scritto e interpretato il
significato proprio delle Beatitudini, come i Padri della Chiesa, i Teologi di ogni
tempo, richiamo solo il senso, il carattere cristologico delle Beatitudini. Esse
sono state personificate da Cristo stesso, assunte da Cristo nella sua vita terrena
e costituiscono il riferimento criteriologico del discepolo che si mette alla sua
sequela. Esse sono “ una nascosta biografia interiore di Gesù”, come ha detto
papa Benedetto XVI. Infatti, Egli, Figlio di Dio, prima di noi, ha manifestato la
sua povertà (da ricco che era per la sua divinità si è spogliato per arricchire
l'uomo), la mitezza e l'umiltà di cuore, la sua condizione di operatore di pace, di
chi soffre per amore , obbediente al Padre fino a donare la sua vita e solidale con
la sofferenza degli uomini. In Lui, il discepolo è chiamato a vivere il mistero
delle Beatitudini. -
Chi sono, dunque, i poveri, cos'è la povertà nella prospettiva del Dio di Gesù? A
questa domanda cerco di dare qualche risposta, anche nei libri dall'Antico
Testamento.
Israele in molti Salmi aveva espresso la pietà dei poveri, avendo sofferto la
condizione di povertà durante e dopo l'esilio, e aveva riconosciuto la vicinanza a
Dio dei poveri nella loro umiltà.
Dal salmo 46 :
Dal Salmo 55
Dal Salmo 85
Dal Salmo 34
Dal Salmo 40
Dal Salmo 33
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode:
Io mi glorio nel Signore,
ascoltino gli umili e si rallegrino:
Celebrate con me il Signore,
esultiamo insieme il suo nome.
….....
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo libera da tutte le sue angosce.
L'angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono e li salva.
Dal Salmo 67
Cantate a Dio, inneggiate al suo nome,
spianate la strada a chi cavalca le nubi:
<< Signore >> è il suo nome,
gioite davanti a lui.
Padre degli orfani e difensore delle vedove
è Dio nella sua santa dimora.
Ai derelitti Dio fa abitare una casa,
fa uscire con gioia i prigionieri;
solo i ribelli abbandona in arida terra.
Dal Salmo 9
Dal Salmo 24
Dal Salmo 74
…..............
Ricorda: il nemico ha insultato Dio,
un popolo stolto ha disprezzato
il tuo nome.
Non abbandonare alle fiere
la vita di chi ti loda,
non dimenticare mai
la vita dei tuoi poveri.
Sii fedele alla tua alleanza.
L'umile non torni confuso,
l'afflitto e il povero lodino il tuo nome.
Papa Benedetto XVI nel suo lavoro 5 scrive che nella pietà espressa nei Salmi
dai poveri, che si riconoscono come il vero Israele, << nel profondo rivolgersi
alla bontà di Dio, nella bontà e nell'umiltà umane, che così si venivano
formando, nell'attesa vigile dell'amore salvifico di Dio, si è sviluppata quel-
l'apertura di cuore che ha spalancato le porte a Cristo. >>
Maria e Giuseppe, i pastori di Betlemme, Simeone e Anna, Zaccaria ed
Elisabetta, i dodici apostoli esprimono quella fede di Israele di attesa, che con
Cristo trova il suo compimento. Essi sono i poveri che nella loro umiltà sono
vicini a Dio, persone interiormente povere e che amano Dio e in Lui pongono
fiducia pura e semplice. << In loro ha inizio il Nuovo Testamento, che si sa in
unione totale con la fede di Israele, la quale matura in direzione di una purezza
sempre maggiore >> 6
Nei Salmi, facendo in prevalenza una lettura spirituale della povertà e una
meditazione orante della figura del povero, si può considerare il povero come
<< l'umile che conduce un'esistenza moralmente sana, opposta a quella dei
potenti e degli arroganti; il sofferente che pone fiducia in Dio nonostante la
solitudine, l'ostilità, la miseria, le prove; il peccatore che sente bisogno del
perdono di Dio.>> 7 Il povero è fiducioso in Dio e confida nel suo aiuto e nella
sua misericordia, ed egli esprime al Signore canti di gratitudine.
I poveri pongono la loro speranza in Dio, percepito e proclamato come Dio
liberatore e salvatore del povero. Perciò essi attirano la sua benevolenza.
La condizione dei poveri non è, certo, ambita dagli uomini, anzi si cerca di
eliminarla dall'esistenza umana, ma spesso è inevitabile. Ciò induce il pio ebreo
a valorizzarla come stimolo di fede. Il povero provato invoca il Signore perchè
lo liberi dalla sua condizione. Il salmista è certo che il Signore, Dio fedele, esau-
dirà l'implorazione del misero. La liberazione del povero troverà la sua
realizzazione soprattutto dal Messia, come è detto nel Salmo 72:
Dal Salmo 72
Nel levitico (19, 9-10) : “ Quando mieterete la messe della vostra terra,
non mieterete fino ai margini del campo, né raccoglierete ciò che resta da
spigolare della messe; quanto alla tua vigna, non coglierai i racimoli e non
raccoglierai gli acini caduti; li lascerai per il povero e per il forestiero.Io
sono il Signore, vostro Dio”
Qui, come nei Salmi, il povero è unito anche al forestiero. Si tratta di
condizioni di indigenza e di insicurezza sociali che avevano necessità di
tutela.
Nel Deuteronomio ( 14, 28-29 e 15, 1-18) : “ Alla fine di ogni triennio
metterai da parte tutte le decime del tuo provento del terzo anno e le
deporrai entro le tue città ;il levita, che non ha parte né erdità con te,
l'orfano e la vedova che saranno entro le tue città, verranno, mangeranno e
si sazieranno, perchè il Signore tuo Dio ti benedica in ogni lavoro a cui
avrai messo mano.” E' la decima triennale.
Altra situazione meritevole di protezione e tutela è quella della vedova, che
si trova, nello stato esistenziale, senza sicurezza e sostentamento.
Geniale è la legge relativa all'anno sabbatico : “Alla fine di ogni sette anni
celebrerete l'anno di remissione. Ecco la norma di questa remissione: ogni
creditore che abbia diritto a una prestazione personale in pegno per un
prestito fatto al suo prossimo, lascerà cadere il suo diritto: non olo esigerà
dal suo prossimo, dal suo fratello, quando si sarà proclamato l'anno di
remissione per il Signore “
“ Se vi sarà in mezzo a te qualche tuo fratello che sia bisognoso in una
delle tue città del paese che il Signore tuo Dio ti dà, non indurirai il tuo
cuore e non chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso; anzi gli
aprirai la mano e gli presterai quanto occorre alla necessità in cui si trova.
….Poiché i bisognosi non mancheranno mai nel paese, io ti do questo
comando e ti dico : - Apri la mano al tuo fratello povero e bisognoso nel
tuo paese.(Dt.15, 11)
Si può dire, in sostanza, che i profeti stanno dalla parte dei poveri, fanno
una scelta di campo, prendendo le difese della classe dei poveri, che sono
vittime di ingiustizie, soprusi, prevaricarizioni e discriminazioni.
La Difesa dei poveri e dei giusti è lasciata a Dio, che non tollera lo
sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
Anche in questa pericope Dio punirà, a difesa degli indigenti, degli umili e
poveri d'Israele , i fraudolenti e gli sfruttatori, che pensano solo al profitto
illecito a danno della classe dei più poveri.
Non solo. Il Signore ama il povero, chiunque egli sia: la vedova, l'orfano, il
misero, il forestiero, lo schiavo. Il ricco ingiusto è punito da Dio, il quale,
attraverso i profeti, sceglie la difesa dell'indigente, del povero. I profeti
condannano l'abuso di potere e la prevaricazione della giustizia, soprattutto
del più debole:
Nei libri di Tobia, Ester e Giuditta si ravvisa l'immagine del povero nel
popolo d'Israele, vinto, deportato ed esiliato. Qui Israele è simbolo di
povertà. In quella situazione di captività egli comprende l'errore, il
riconoscimento della sua infedeltà a Dio e ravvedendosi, si riconosce di
fronte a Lui bisognoso dell'aiuto del Signore. Questa è la visione
sapienziale della storia, d'Israele.
Sintesi
Nel leggere i testi dell'A.T., si resta colpiti nel costatare il posto importante
che occupano i poveri. Durante “la belle époque”, che costituisce l’ottavo
secolo precedente l’era corrente, il profeta Amos prende la loro difesa (Am
5,11-12). Un secolo più tardi, un altro profeta, Sofonia, fa dei “poveri del
paese”i promotori di un cambiamento positivo: essi sono definiti il “resto
d’Israele”(So 3, 11-13). Il Deuteronomio, libro legislativo, stipula: “Che
non ci siano poveri presso di te (Dt 15,14)”.I membri del popolo sono
invitati a considerarsi tutti fratelli. Sono prescritte un certo numero di
pratiche di solidarietà: il riscatto degli schiavi ebrei al termine del settimo
anno di servizio; un anno di riposo della terra, ogni sette anni, per la
condivisione con i poveri, ecc.
Il ritorno dall’esilio a Babilonia rappresenta una svolta decisiva. I poveri
non costituiscono più una categoria di persone del popolo che ritorna nella
sua terra, ma il popolo intero (leggi Isaia, capitoli 40-55), rappresentato
sotto i tratti del servo sofferente (capitoli 52 e 53). Israele è chiamata “la
mendicante” (51-21). Al capitolo 61 dello stesso Isaia, si fa allusione ad un
personaggio dall’identità misteriosa - si tratta del profeta? Del Messia? Di
Gerusalemme? - che dichiara:“Lo Spirito del Signore Dio è su di me,
perché il Signore mi ha consacrato: egli mi ha mandato a proclamare la
buona novella ai poveri”.La parola greca corrispondente è “evangelizzare”.
Questi poveri li si ritrova nei Salmi. Spesso sono essi che prendono la
parola; e Dio non resta sordo al loro grido: “Un povero grida e Dio lo
ascolta e lo salva da tutte le sue angosce (34,7, secondo la numerazione
ebraica).” Ai sapienti spetta il compito di superare la stretta visione di
Israele e di allargare la riflessione a tutta l’umanità.
Se arrivano a denunciare la povertà come un frutto possibile della pigrizia
(vedi il libro dei Proverbi 24, 30-34) la maggior parte del tempo essi
ricalcano la posizione dei profeti e prendono le difese dei poveri.
“Chi opprime il povero, dice uno di essi, offende il suo creatore (Pr
14,31)”.E’ dunque chiaro che Dio prende le parti dei poveri. Questi
costituiscono l’oggetto privilegiato della sua attenzione.
“Mio padre era un Arameo errante - dice il secondo passo - egli è disceso in
Egitto (…) ma gli Egiziani ci hanno maltrattati, essi ci hanno ridotto in
povertà, ci hanno imposto una dura schiavitù…” E’ proprio per il fatto che
Dio ha avuto pietà della miseria del popolo, che esso è chiamato a mostrare
la sua solidarietà verso i miserabili. La liberazione dall’Egitto è da mettere in
correlazione con l’elezione divina di cui beneficia Israele. Ora, per il profeta
Amos, opprimere il povero significa andare contro questa elezione. Il popolo
non è più tale quando opprime i poveri.
E ancora :
Gli disse Gesù : “ Se vuoi essere perfetto ,va', vendi quello che
possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e
seguimi”.(Mt 19,21)
Nel giudizio finale il Figlio dell'uomo dirà a quelli della sua destra:
<< Il Vangelo ci invita a riconoscere la verità del nostro cuore, per vedere
dove riponiamo la sicurezza della nostra vita.
Normalmente il ricco si sente sicuro con le sue ricchezze, e pensa che
quando esse sono in pericolo, tutto il senso della sua vita sulla terra si
sgretola. Gesù stesso ce l'ha detto nella parabola del ricco stolto (…...) Le
ricchezze non ti assicurano nulla. Anzi, quando il cuore si sente ricco, è
talmente soddisfatto di se stesso che non ha spazio per la Parola di Dio, per
amare i fratelli, né per godere delle cose più importanti della vita.Così si
priva dei beni più grandi. Per questo Gesù chiama beati i poveri in spirito,
che hanno il cuore povero, in cui può entrare il Signore con la sua costante
novità >> 11
Occorre precisare che Luca << non parla di una povertà “di spirito” ma di
essere << poveri >> e basta (cfr Lc 6,20), e così ci invita anche a
un'esistenza austera e spoglia. In questo modo ci chiama a condividere la
vita dei più bisognosi, la vita che hanno condotto gli Apostoli e in definitiva
a conformarci a Gesù, che “da ricco che era, si è fatto povero” (2Cor 8,9)
>> 12 Essere poveri nel cuore, questo, per papa Francesco, é santità.
Altra categoria sociologica di poveri sono gli afflitti, quelli che sono nel
pianto. Questi sono destinatari della beatitudine. << Il mondo non vuole
piangere: preferisce ignorare le situazioni dolorose, coprirle, nasconderle
(esorcizzarle)....La persona che vede le cose come sono realmente, si lascia
trafiggere dal dolore e piange nel suo cuore , è capace di raggiungere le
profondità della vita e di essere realmente felice. Quella persona è
consolata, ma con la consolazione di Gesù e non con quella del mondo.
Così può avere il coraggio di condividere la sofferenza altrui e smettere di
fuggire dalle situazioni dolorose.In tal modo scopre che la vita ha senso nel
soccorere un altro nel suo dolore (con la stessa consolazione con cui noi
siamo stati consolati da Dio in Cristo), nel comprendere l'angoscia altrui,
nel dare sollievo agli altri. Questa persona sente che l'altro è carne della sua
carne, non teme di avvicinarsi fino a toccare la sua ferita (come
S.Francesco con il fratello lebbroso), ha compassione fino a sperimentare
che le distanze si annullano. Così è possibile accogliere quell'esortazione di
S.Paolo :”Piangete con quelli che sono nel pianto” (Rm 12,15) >> 14
13
Cfr J.RATZINGER, BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli , Milano 2007,112.
14
Cfr FRANCESCO PAPA,Gaudete et exsultate – Esortazione apostolica sulla chiamata alla santità nel mondo
contemporaneo, 19.03.2018, n. 75-76 Paoline 2018, 62-63.
15
Cfr FRANCESCO PAPA,Gaudete et exsultate – n 90,69-70.
Altre due categorie enunciate nelle Beatitudini sono i “misericordiosi” e
“i puri di cuore “. Questi ultimi sono quelli che assumono in sé, nella
totalità dell'uomo, il cuore puro, intimamente aperto e libero. Dio si fa “
vedere” a coloro che sono in grado di vederlo, se cioè hanno gli occhi
dell'anima aperti all'infinito di Dio. Condizioni essenziali per accedere alla
visione del volto di Dio sono l'onestà, la sincerità, la giustizia nei confronti
del fratello, del prossimo e della società. E' il contenuto essenziale del
Decalogo, che trova il suo compimento nel Dio di Gesù.
<< Gesù propone un altro stile (di vita) :la mitezza. E' quello che lui
praticava con i suoi discepoli e che contempliamo nel suo ingresso in
Gerusalemme : ” Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un'asina e su un
puledro “ (Mt 21,5; cfr Zc 9,9). (Inotre) Egli disse: << Imparate da me che
sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita (Mt 11,29).
Se viviamo agitati, arroganti di fronte agli altri, finiamo stanchi e spossati.
(….) La mitezza è un'altra espressione della povertà interiore, di chi ripone
la propria fiducia solamente in Dio. Di fatto nella Bibbia si usa spesso la
medesima parola anawim per riferirsi ai poveri e ai miti.(...) E' meglio
essere sempre miti, e si realizzaranno le nostre grandi aspirazioni >>16
<< La misericordia ha due aspetti: é dare, aiutare, servire gli altri e anche
perdonare, comprendere.Matteo riassume questo in una regola d'oro: “Tutto
quanto vorrete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro
“(7,12).
Il Catechismo ci ricorda che questa legge si deve applicare “in ogni caso “
in modo speciale quando qualcuno “talvolta si trova ad affrontare situazioni
difficili che rendono incerto il giudizio morale (Catechismo della Chiesa
Cattolica,1789) >>18
E chi avrà dato anche solo un bichiere di acqua fresca a uno di questi
piccoli, perchè mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua
ricompensa. (Mt 10,42)
Gli umili e i poveri vengono, nel Magnificat della B.V. Maria, innalzati e
arricchiti, mentre Dio misericordioso salva i potenti e i ricchi umiliandoli
e facendo compiere loro l'esperienza della povertà. L'Onnipotente salva i
poveri facendo prender loro coscienza della loro dignità :
Cristo e la sua Chiesa esprimono ,come è stato, detto l'opzione per i poveri,
per la povertà; l'evangelo prende le distanze dalla ricchezza e dai ricchi,
finchè restano tali. Le ricchezze sovrabbondanti sono viste come un
pericolo per l'accoglienza della Parola e per la salvezza : “ Quello seminato
tra le spine è colui che ascolta la parola , ma la preoccupazione del
mondo e l'inganno della ricchezza soffocano la parola ed essa non dà
frutto.” (Mt 13,22)
Infine , essere poveri evangelicamente, significa essere inabitati dallo
Spirito Santo che come dono del Salvatore rende, nei poveri, possibile il
disinteresse per la ricchezza, per il possesso individuale, il potere
personale. Poveri, seguendo Cristo in libertà. Solo Lui ricolma il vuoto in
sé e attorno a sé, donando al credente la sicurezza .Significa, altresì, essere
operatori di pace, perchè “per coloro che fanno opera di pace viene
seminato nella pace un frutto di Giustizia .(Gc 3,18).
21
Cfr S.DE FIORES – T.GOFFI, ( a cura) NUOVO DIZIONARIO DI SPIRITUALITA', Paoline , Cinisello Balsamo
1989,1247.
cadono nella tentazione, nel laccio e in molte bramosie insensate e funeste,
che fanno affogare gli uomini in rovina e perdizione. L'attaccamento al
denaro infatti è la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni
hanno deviato dalla fede e si sono da se stessi tormentati con molti
dolori”. (1 Tm 6,9-10)
Sintesi
Nei vangeli Gesù è presentato come il povero per eccellenza. Nasce in una
mangiatoia, trascorre una vita itinerante da povero, senza casa né luogo. In
termini odierni lo si direbbe “senza domicilio fisso” (Lc 9,58). La sua
ignobile morte è quella propria degli schiavi. Il suo ministero si indirizza
dall’inizio agli esclusi del suo tempo: i poveri, i bambini, i peccatori. Egli è
il “destinatario insospettato” di ciò che viene fatto per i poveri. Tale è il
senso dell’episodio del giudizio finale, riportato da Matteo al capitolo 25
(11-34). Il “gregge” della fine dei tempi sorpassa il solo Israele; esso si
estende a tutte le nazioni.I “prescelti” sembrano perplessi; essi non
comprendono la fortuna di cui beneficiano. >>22
“In verità vi dico, ogni volta che avete fatto questo a uno solo dei miei
fratelli più piccoli, voi l’avete fatto a me ”. dice il Signore. Si può parlare
giustamente dell’”identità cristica dei poveri ”.
22
Cfr F.FERRARI, << I POVERI NELLA BIBBIA >>, in Formazione religiosa - BIBBIA, Aprile 2014.
<< Dio, scrive Paolo nella sua prima lettera ai Corinzi, (1, 26-31) ha
scelto i “senza”: senza saggezza, senza nascita, senza potenza......con l’idea
di onnipotenza… ora il Dio cristiano ha questo di paradossale, che la sua
onnipotenza è percepita nel modo più giusto proprio a partire dall’idea di
povertà piuttosto che da quella di forza >> 23
La Bibbia ci insegna che il grido dei poveri è liturgia che sale dritta al
cuore del Padre. E i nostri atti liturgici salgono a Dio? Che profumo hanno?
Sanno solo di incenso o anche di dono e condivisione di risorse, capacità e
tempo con i fratelli e le sorelle poveri? In loro difesa Dio si erge perché
fedele alle sue promesse e al suo amore che non fa preferenza di persone
(At 10,34).
<< I poveri sono quelli che mancano dei beni essenziali, come dice Luca
(beati quelli che hanno fame, beati quelli che sono afflitti), che mancano del
conforto, della gioia della salute? Oppure i poveri sono gli umili, i puri di
cuore, i misericordiosi, quelli che operano la pace, come dice Matteo? Cioè
la povertà è un'indigenza, una miseria, una mancanza di beni, e in quanto
tale apre a Dio? è il luogo dove si manifesta a Dio? Oppure i poveri sono
tali in quanto umili, misericordiosi, integri di cuore, più aperti a Dio e agli
altri? L'essere poveri è una mancanza o é una virtù ?
Già il termine italiano 'povero' deriva da una parola latina che significa
avere poco. Ma non è questo il senso biblico. Anche dire ultimi non ci aiuta
molto. Gli ultimi sarebbero quelli che mancano di salute, di dignità, e questo
li fa già clienti di Dio, sacramento e segno della manifestazione di Dio?
Oppure sono più disponibili e aperti all'azione di Dio, hanno meno pretese?
Sono cercati da Dio perché non hanno l'egocentrismo del ricco, del potente,
dell'acculturato, dell'onesto, del religioso? Ecco dunque il problema: chi
sono i poveri? E perché Dio cerca i poveri? In quanto sono più virtuosi, o
perché hanno bisogno? E perché il vangelo li chiama felici, fortunati? Credo
che Gesù amasse troppo queste persone per le quali ha lasciato l'attività di
falegname, ha rischiato la vita e si è giocato tutta la sua esistenza, per dire al
malato: “Fortunato te che sei malato!”. Con i gesti di Gesù poi non si può
giustificare questa interpretazione: beato il povero perché è povero. Il
vangelo spiega subito: perché vostro è il regno di Dio, perché sarete
consolati, perché sarete saziati, perché sarete figli di Dio… Cioè i poveri
sono beati perché Dio interviene. Il motivo della beatitudine non è una
privazione, ma neppure una qualità morale che i poveri avrebbero in quanto
poveri.>> 24
23
Cfr F.FERRARI, << I POVERI NELLA BIBBIA >>, in Formazione religiosa- BIBBIA, Aprile 2W.KASPER,
24
. - R.FABRIS, GLI ULTIMI NELLA BIBBIA – Un Dio che si commuove, 7.Sett.2013.
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I.VIII. Nella pastorale Patristica
27
Cfr D.ANNUNZIATA, Cristianesimo, Chiesa, ricchezza – Alle origini della proprietà ecclesiastica.,Tesi di
Dottorato – Università di Foggia, 2013-2014, 54-59.
alla luce della volontà divina. Comincia a delinearsi il principio della “
funzione sociale della proprietà”.
Questi principi sono entrati e affermatti nella Dottrina Sociale della Chiesa.
Tuttavia, gli interventi letterari dei Padri della Chiesa sul povero e sulla
povertà/ricchezza sono per la maggior parte di tonalità pastorali, i commen-
ti esaltano la povertà quando si imbattono in testi che stimolano riflessioni e
suggerimenti. La beatitudine della povertà è variamente intepretata. << Essa
è la prima beatitudine perché è madre e generatrice di tutte le virtù >> dice
S.Ambrogio.
S.Leone Papa (fine secolo IV), nel sermone 95, “Scala della beatitudine,
interiorizza la povertà affermando che essa è “umiltà d'animo piuttosto che
indigenza di beni”.
“L'evangelo dà una qualifica originale alla figura del povero, anche perchè
Cristo ha scelto la povertà. Anche Maria di Nazaret è povera perchè di
cuore umile e fiduciosa non in ricchezze transitorie,ma nella preghiera dei
poveri” come si esprime nel “De virginibus” S.Ambrogio.
28
Cfr S.DE FIORES – T.GOFFI, ( a cura) NUOVO DIZIONARIO DI SPIRITUALITA', Paoline , Cinisello Balsamo
1989,1249..
per essi. I credenti devono dare sollievo e conforto ai meno fortunati, anche
con azioni concrete di prossimità. Non è facile però , dal punto di vista del
bisognoso comprendere, come viene espresso nelle Omelie dei Padri della
Chiesa, che Dio lo ama e che lui, nella sua condizione di povertà condivide
la povertà solidale di Cristo.
Una via necessaria per ritirarsi alla ricerca di Dio è quella della povertà
volontaria. Essa è presente in molte religioni e nel Cristianesimo.E' la vita
consacrata, vita religiosa, è definita apotaxis, cioè abbandono dello stato di
vita attuale per stare con Dio. L'iniziatore del monachesimo organizzato è
S.Antonio abate, che si converte, ritirandosi dal mondo, donando i suoi
averi ai poveri. Seguiranno S. Basilio, S.Agostino, S.Benedetto.
Qualche secolo dopo sarà S.Francesco d'Assisi (ne parlo in un apposito
capitolo) che abbraccia 'sorella povertà' con S.Chiara, e S.Domenico, e altri
29
Cfr S.DE FIORES – T.GOFFI, ( a cura) NUOVO DIZIONARIO DI SPIRITUALITA', Paoline , Cinisello Balsamo
1989,1250-1251.
ancora.
Le caratteristiche , i segni della povertà, nelle diverse forme di
monachesimo si possono riassumere così: austerità, mendicità, comunione
dei beni, lavoro e celibato.30
30
Cfr S.DE FIORES – T.GOFFI, ( a cura) NUOVO DIZIONARIO DI SPIRITUALITA', Paoline , Cinisello Balsamo
1989,1251-52.
Capitolo II
Noi siamo stati generati da un contesto (ciò non significa ,però, che
dobbiamo assumere i valori di questo contesto); non nasciamo in una
campana di vetro. Il contesto sociale, in quanto genera, ci influenza
(contesto vitale generante).
Tuttavia, noi agiamo con la nostra coscienza : l'unità del soggetto agente,
con consapevolezza, libertà, razionalità e responsabilità. Noi siamo nel
contesto sociale con la nostra libetà, con la nostra coscienza e rsponsabilità,
hic et nunc (qui e ora).32
32
Cfr Don G.LODIGIANI, Appunti di Morale Sociale,Corso di Morale Sociale,ISSR. Pavia, 2018-2019.
33
Cfr S. BASTIANEL, Moralità personale nella storia – Temi di morale sociale, il pozzo di Giacobbe 2011, 107.
viviamo in un contesto in cui prevale l'individualismo, il solipsi- smo, che
rendono difficile la socialità.
Cosa intendiamo per vita politica, per partecipazione alla vita politica?
E' il tessuto, la forma dei rapporti sociali di un determinato ambiente,
contesto; non intendiamo qui la tecnica politica, la dimensione
amministrativo-penale-civile, ma dimensione della convivenza, della
struttura, delle funzioni del contesto in cui si svolgono i rapporti delle
persone. Sono i luoghi della convivenza, luoghi implicitamente della
coscienza, che implicano l'agire umano.
In alcuni contesti sociali esistono le “strutture di peccato”, cioè situazioni
ingannevoli e corrotte, in quanto si viene a creare una cultura corrotta nelle
Istituzioni corrotte ed ingannevoli. E se mi lascio determinare da questo,
assimilo questa cultura e mi corrompo.
La Chiesa è chiamata ad essere trasparente, ad indicare il contesto corretto
per evitare la dimensione ingannevole e corrotta.
Oggi si parla spesso di Agenzie educative, come la Scuola, i Social, i , i
mezzi di informazione e di comunicazione, ecc. La Chiesa istituzionale è
chiamata a formare le coscienze, direttamente o indirettamente. Da
credenti cristiano dobbiamo vivere la partecipazione politica con
consapevolezza, libertà e responsabilità.
Essa deve essere contemporaneamente costituita da parole e azioni! La
parola non è sufficiente. In modo costruttivo – generativo, positivo, la mia
parola deve essere creante, generante , e condurre all'azione.
<< Temete, dunque il Signore >>, in forza del fatto che Dio ti ha liberato;
stai dalla parte del Signore, perché il Lui hai trovato la liberazione.Dove
trova il suo compimento l'Allenza? In Gesù. E' Gesù il vertice dell'Allenza.
Tutto ciò che la dimensione della 'promessa' nel V.T., Yahweh fa trovare in
Gesù il suo compimento, come sigillo! Noi abbiamo il sì definitivo di Dio
in Gesù di Nazaret, ad esempio, nell'Eucaristia e in altre forme, nella Parola
e nei Sacramenti (Costituzione 'Sacrosactum Concilium').
Quando noi ci allontaniamo dal Signore, noi ci troviamo in una terra
straniera, inospitale, ostile, e ,dunque, mettiamo in moto delle dinamiche di
difesa.
Ritorniamo alla terra, ad abitare la terra, riprendendo la nsotra esperienza
diventiamo suoi discepoli, interlocutori di Dio.
Ora, come ascolto la Parola? E' una presenza che interpella la mia
coscienza. Io sono interpellato dalla sua presenza, dall'intenzionalità di
Gesù; sono chiamato a farmi interpellare dalla intenzionalità di Gesù.
In che cosa consiste questa intenzionalità? Come Yahweh che vuole entrare
35
Cfr Don G.LODIGIANI, Appunti di Morale Sociale,Corso di Morale Sociale, ISSR.Pavia, 2018-2019.
in comunione con l'uomo, Gesù di Nazaret , che rivela il volto di Dio, vuole
entrare in comunione con me, con te. La sua è un'intenzionalità di
comunione,perché riconosca la terra come dono. In Cristo Gesù tutto ciò è
definitivo. E Dio non torna indietro nelle sue promesse.
Il credente assume questa intenzionalità e con essa intyepreta la storia.
Dunque, qual é il criterio interpretante la storia, la storia sociale? E'
l'intenzionalità irrevocabile di Dio.
Criterio interpretante la socialità, la storia sociale, nell'agire storico e
interpretativo della storia, è l'assumere l'agire definitivo di Dio nella storia
in Gesù Cristo. Dio però ha creato l'uomo libero. Egli è una libertà . Il
senso del vivere comunitario, e, quindi, del vivere sociale (socialità) è
lasciato, affidato alla libertà delle persone
Il segno massimo di questa intenzionalità di comunione è il segno
eucaristico. Gesù si è fatto comunione. Condividere il pane eucaristico
significa vivere una dimensione relazionale con Lui. Le parole di
consacrazione, l'azione consacratoria diventano un'esperienza
totalizzante :”Fate questo in memeoria di me “; il ricordo del Signore è
destinato ad essere il criterio interpretante del suo agire, nella storia, sul
piano sociale. L'uomo deve assumere come criterio del suo agire nel sociale
l'agire di Cristo.36
Tutta la dimensione di socialità diventa una dimensione totalizzante. Come
Dio si è consegnato all'uomo, così l'uomo è chiamato a consegnarsi al
Signore. E' una questione di vita, di esistenza. Attorno a chi faccio la mia
esperienza di vita? Il credente fa un'esperienza di comunione, capace di
solidarietà e di giustizia.
Cristo non obbliga l'uomo. Egli fa appello alla libertà dll'uomo e invita a
collaborare. Cristo è vita donata, “Corpo e Sangue” donato. L'uomo,
socialmente parlando, è dono, è servizio del'uomo e dell'umanità.
II.VI. La Giustizia
Pertanto, e in forza del fatto che Cristo è unito a tutti gli uomini e che tutti
gli uomini appartengono a Cristo, e in tutti gli uomini è presente Cristo,
discende che tutti gli uomini sono “cristici”. Il credente cristiano riconosce
in tutti gli uomini una dimensione cristica.
40
Cfr Don G.LODIGIANI, Appunti di Morale Sociale,Corso di Morale Sociale, ISSR.Pavia, 2018-2019.
Cristo dona il suo Spirito con i Sacramenti del Battesimo e della
Confermazione.
Cos'è il Bene Comune ? Noi tutti apparteniamo alla natura umana: stiamo
parlando di qualcosa che ci appartiene costitutivamente, appartiene
all'uomo primariamente. Non coincide con i beni patrimoniali, né con i
diritti soggettivi, ma appartiene all'uomo, agli uomini, per la dimensione
ontologica dell'essere, che è comune; appartiene ontologicamente e
strutturalmente all'uomo in quanto uomo.
<< Il Bene Comune è un principio che svolge un ruolo unificante e
centrale nell'etica sociale.41 “E' l'insieme di quelle condizioni della vita
sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di
raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente.”42
Il Bene Comune presuppone il rispetto della persona umana in quanto tale,
con diritti fondamentali e inalienabili ordinati al suo sviluppo integrale.
dal Salmo :
Negli Atti degli Apostoli , come mabbiamo sopra riferito, i discepoli erano
assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli Apostoli, nella frazione del pane
e nelle preghiere e stavano insieme. Mettevano tutto in comune. Tuttavia
non tutti erano coerenti (o convertiti), come viene ricordato nell'episodio
della frode di Ananìa e Saffira, che mentendo moriranno davanti a Pietro.
(At 5, 1-10)
41
Cfr Lettera enciclica sulla cura della casa comune “Laudato sì '”-n.156
42
Cfr Conc.Ecum. Vat.II, Cost.past. Gaudium et spes sulla Chiesa e il mondo contemporaneo,26.
Il Bene Comune è una tensione continua; è tendenzialmente un percorso
non raggiunto una volta per tutte, perchè passa attraverso la libertà delle
persone.
E' uno degli aspetti fondamentali della Dottrina Sociale. Cap. IV : “Primo
principio della Dottrina Sociale nella Rerum Novarum (1891).E' presente in
tutte le encicliche successive.Ma le questioni relative alla dottrina sociale
erano già presenti negli scritti della Chiesa (vedi i Padri della Chiesa).
E' una categoria centrale nell'Etica sociale: indica una relazione con gli altri
( il prossimo, fino ai nemici); e una categoria non solo sociale, politico-
economico; ma è una categoria teologica, che mette in gioco la dimensione
trascendente, la comprensione adeguata della dimensione di Dio. Il
cristiano deve avere un'immagine adeguata di Dio. Gesù rivela il volto del
Padre; Lui annuncia il Regno di Dio, Lui è il regno. Egli annuncia le
Beatitudini dei poveri (di spirito).
E' il compimento delle legge ebraica (pienezza della legge) e richiama le
categorie della Misericordia , del Perdono, e della Comunione.sono
dimensioni essenziali.
La nozione del Bene Comune ha un ruolo nella dimensione della
socialità: modalità con cui sono utilizzati i beni (proprietà privata, proprietà
della Società, delle Istituzioni,ecc. La proprietà privata non è un
affidamento assoluto della persona, ma è un affidamento di beni per averne
cura e deve riferirsi alla relazionalità con Dio e con il prossimo. La
proprietà è insita nella categoria di bene Comune.
43
Cfr Don G.LODIGIANI, Appunti di Morale Sociale,Corso di Morale Sociale, ISSR.Pavia, 2018-2019.
Qual è il punto di riferimento, il punto di partenza ? Il riferimento è Dio
Padre, rivelato dal Figlio, che per primo crea comunione con l'uomo;
pertanto, anche gli uomini devono creare relazione, comunione.
Nel dialogo etico non siamo nella logica in cui vige il più forte. Anche il
concetto di negoziato non è nel dialogo etico.
Il Bene Comune si costruisce nel dialogo etico, come è stato detto, e
richiede che vengano vissute le Virtù teologali della Fede e della Speranza.
50
Cfr S. BASTIANEL, Moralità personale nella storia – Temi di morale sociale, il pozzo di Giacobbe 2011, 98.
51
Ibidem98.
La preghiera decisa e ordinata è necessaria, avendo cura di discernere e
mettere a fuoco chi desidero essere.
Noi siamo dei soggetti agenti, in cammino verso una meta (salmo 15/16),
che nonostante le insidie, come dice il salmista, riconosciamo che il
Signore è la nostra eredità. Il cammino del credente è orientato al Signore;
egli riconosce la presenza del Signore nella sua vita. Il Signore è il
principio, ma è anche telos, scopo, fine della vita. Ciò richiede senso di
gratitudine e senso di responsabilità nei confronti del Signore.52
II.XV. La Sussidarietà
Altro principio cardine della Dottrina sociale della Chiesa , dal quale non si
può prescindere, è quello della sussidarietà.
E' una tema , un'area di discussione, non solo nell'ambito della Chiesa,
nell'abito religioso, ma anche nella società civile. La Chiesa è stata la prima
a formulare il principio di sussidarietà.
In che cosa consiste questo principio ?
La definizione sistematica è formulata an. 80 dell'Enciclica sociale
“Quadragesimo anno”, di Pio XI (1931). In essa il riconoscimento della
centralità dell'uomo e la valorizzazione della sua libertà sono fondamentali.
La Chiesa cattolica ha ripetutamente sottolineato l'importanza della
sussidarietà come strumento che impedisce allo Stato di soffocare la
priorità logica e assiologica dell'uomo e la sua dimensione morale.
<< Siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere
58
Cfr Don G.LODIGIANI, Appunti di Morale Sociale,Corso di Morale Sociale, ISSR.Pavia, 2018-2019.
con le loro forze (azioni e inziative) e l'industria propria per affidarlo alla
comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello
che dalle minori e inferiori comunità possono fare. L'oggetto naturale di
qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera
suppletiva le membra del corpo sociale, non già a distruggerle e assorbirle.
E' necessario che lo Stato rimetta ad associazioni minori ed inferiori il di-
sbrigo di affari e delle cure di minor momento per poter eseguire con più
libertà, con più forza ed efficacia che a lei spettano (direzione, vigilanza,
incitamento, promozione, repressione, ecc.) >>
59
Cfr Enciclica sociale Quadragesimo anno, di papa Pio XI ,1931 (n .8o)
attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidarietà >>.
I cristiani non devono solo condividere l'annuncio del Regno e fare opere
di attrazione di nuovi fratelli, ma hanno l'obbligo di “perfezione” , come
dono di sé, dono della persona. Tutti abbiamo l'obbligo comune di
perfezione cristiana.
Il punto fondamentale per noi cristiani è il modo di vivere la Giustizia, che
è la Carità. La Carità non è qualcosa distinta dalla Giustizia.
Come vive il giusto la giustizia nella Carità (domanda morale)? Come io
cristiano interpreto e vivo la giustizia nel sociale, la dimensione caritativa
nella forma della giustizia? Non ci sono soluzioni predefinite (lo dice la
storia). Si tratta di interpretare e discernere, di volta in volta, ed agire.Si
tratta di interpretare e vivere il giusto. Non esiste un'univocità di soluzioni.
Esiste una possibilità di confronto nell'individuazione di possibili soluzioni.
60
Cfr S.DE FIORES – T.GOFFI, ( a cura) NUOVO DIZIONARIO DI SPIRITUALITA', Paoline , Cinisello Balsamo
1989,143.
Ciascuno ha una propria risposta, dentro la pienezza della Carità.
La Carità non ha dei gradi : essa é il vertice e riguarda il cammino di vita
e di perfezione del credente ed è costantemente generativa.
La Carità (”siate perfetti cone è perfetto il Padre vostro che é nei cieli”)
resta il criterio fondamentale della Giustizia.Il mio criterio di credente di
Giustizia é la Carità.
Gesù ha fatto l'esperienza della Giustizia come Carità, come gratuità.La
carità nella forma di Giustizia è la forma più alta, nella gratuità!
Come vivo io crednete, come mi relazione con l'altro?
Tutto questo però non si costrisce spontaneamente e non è lasciato al livello
emozionale. Noi non siamo solo emozioni, solo sentimenti. E' necessario
vivere una vita di formazione, formare una coscienza capace di vivere da
cristiano nella comunità sociale (una coscienza ben costruita). Questo
compito di formazione si manifesta come un dovere (vedi G.S., n.16). 61 La
formazione della coscienza cristiana è un compito; si forma negli ambiti
teologici e anche in una dimensione condivisa (anche negli altri uomini
non credenti). Il criterio d'interpretazione é la comunione, la condivisione
con gli altri.
A volte la coscienza è erronea per ignoranza invincibile, senza che per
questo essa perde la sua dignità. Essa perde la sua dignità quando l'uomo
poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa
quasi cieca in seguito all'abitudine del peccato.
Secondo una visione cristiana, i beni della terra sono donati,, dati per la
Comunione.La terra non è un elemento di profitto, ma un elemento di
condivisione.
Da almeno trent'anni nell'uso delle risorse entra il concetto di sviluppo
sostenibile. Necessariamente dobbiamo considerare che i beni della terra
non sono solo per noi. Diversamente non abbiamo una visione cristiana,
ma egoistica. Se si tratta di risorse naturali non rinnovabili, dobbiamo tener
presente anche le generazioni future, altrimenti l'uso delle risorse è un uso
iniquo. Si tratta anche di distribuire le risorse tra tutti gli uomini del pianeta.
Si parla dunque di “solidarietà intergenerazionale” e di “solidarietà
intragenerazionale”.
61
G.S.,n 16 . <<Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale deve obbedire
e la cui voce lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male. L'uomo ha una legge scritta nel cuore da
Dio..... Obbedire alla legge di Dio...La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli solo si
trova con Dio, la cui voce risuona nell'intimità propria...Attraverso la coscienza conosce questa legge, che trova il
suo compimento nell'amore di Dio e del prossimo... Esercitando una coscienza retta, le persone e i gruppi sociali si
allontano dall'arbitrio e si conformano alle norme oggettive morali.
E' necessario dare una dimensione regolativa al principio dell'uso delle
risorse (G.S. n.69): << Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa
contiene all'uso di tutti gli uomini e popoli ; i beni (creati) devono essere
equamente dati a tutti secondo secondo la regola della Giustizia, che è
inseparabile dalla Carità.>> I beni sono stati affidati: non sono cose proprie
in senso assoluto, ma sono destinati alla comunione con gli altri.Essi
devono giovare sia a chi li ha in custodia, sia agli altri (condivisione). A tutti
gli uomini spetta il diritto di avere una parte di beni sufficienti per loro e per
le loro famiglie.I beni della terra hanno una destinazione universale! Questo
è un principio cardine della dottrina sociale della Chiesa; l'uso delle risorse
è destinato a tutti gli uomini (destinazione universale delle risorse), secondo
Giustizia e Carità.
Perchè? Per l'origine comune degli uomini; esso è un diritto naturale. E per
Rivelazione, nella dimensione escatologica nella prospettiva della Carità.
Siamo giudicati sulla Carità (avevo fame,..avevo sete,..ero ignudo, ecc ;
ogni volta che l'avete fatto ad uno dei più piccoli nel mio nome, l'avete fatto
a Me).
III.I. La Misericordia.
Dice Kasper 65 che noi possiamo riconoscere di volta in volta solo aspetti
dell'unica essenza divina, le singole proprietà,per la nostra limitata capacità
umana di comprensione di Dio.
Se la misericordia è la proprietà fondamentale di Dio, allora essa non può
essere un'attenuazione della giustizia, ma bisogna piuttosto concepire la
giustizia di Dio partendo dalla sua misericordia. La misericordia è allora la
giustizia specifica di Dio.
62
Cfr TOMMASO D'Aquino, Summa theologiae I, q.21 a.3
63
Cfr W.KASPER, Misericordia – Concetto fondamenale del vangelo – Chiave della vita cristiana, Gdt 361,
Queriniana Brescia 2015, 135-136.
64
Cfr M.J. SCHEEBEN, Handbuch der katholischen Dogmatik II, Freiburg i. Br. 1948, 265.
65
Cfr W.KASPER, Misericordia – Concetto fondamenale del vangelo – Chiave della vita cristiana, Gdt 361,
Queriniana Brescia 2015, 137.
Secondo la testimonianza della Bibbia, Dio sovrano e onnipotente, è
misericordiosamente il Dio per e con i poveri e gli oppressi; in loro
dimostra la propria divinità e la propria onnipotenza. L'onnipotenza di Dio,
si manifesta soprattutto nella misericordia e nel perdono. Essa é
l'onnipotenza del suo amore e della sua misericordia.
Gesù insegna ad essere misericordiosi sul modello di Dio (Lc 6,36) e nel
discorso della montagna dice beati i misericordiosi (Mt 5,7). Il messaggio
della misericordia di Dio ha delle conseguenze per la vita di ogni cristiano e
per la prassi pastorale della Chiesa, e per il contributo che i credenti
possono dare alla società. Soltanto l'amore, la carità, la misericordia sono il
distintivo del cristiano. S.Paolo fa un encomio alla Carità. La via
dell'amore ci è stata insegnata da Gesù Cristo; alla fine rimarrà solo l'amore
. Essa è la cosa più grande di tutte (1 Cor 13,13). E questo amore si esprime
nel modo perdonante e misericordioso di agire di Dio in Gesù Cristo. Il
cristiani devono imitare nel loro agire il modo di Cristo : << Siate...benevoli
gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha
perdonato a voi in Cristo >>( Ef 4,32; Col 3,12).
Se rimarrà soltanto l'amore, rimarranno anche le opere; esse sono l'unica
cosa che ci rimane nel giudizio escatologico e che noi, potremo esibire.
<< Dio è amore >>: tutto viene di lì, deriva da lì, ma l'amore di Dio è,
come è stato detto, un amore miericordioso e nella misura che veniamo resi
partecipi di questo amore, dobbiamo renderci conto che entriamo nella
dimensione della misericordia. “E' una grande verità, la più grande
rivelazione che Cristo abbia fatto”.66
Tutte le volte che parliamo di Carità, pensiamo alla Carità e viviamo la
carità, non possiamo prescindere dalla Misericordia che caratterizza l'amore
di Dio. “ la Carità cristiana non nasce dalle filosofie filantropiche, ma dono
gratuito di un Dio che, essendo amore, ama per primo, per primo perdona e
per primo mette nella vita dell'uomo le ragioni per cui l'uomo merita stima,
merita rispetto, amore, perdono, benevolenza, amicizia.”67
66
A.BALLESTRERO, CARD.,Le opere di miseriocrdia – una proposta biblico-pastorale, Paoline, Milano 1990, 9.
67
Ibidem 10.
tuo Dio >>, ma il secondo è simile al primo : <<Amerai il prossimo tuo
come te stesso >>. Cristo ,prima della sua passione ha invitato gli Apostoli
ad osservare un comandamento nuovo , nuovo nella modalità dell'agire di
Cristo , <<Amatevi gli uni gli altri come Io ho amato voi. Da questo
conosceranno che siete miei discepoli >>.
<< Una terza forma di povertà é quella in fatto di relazioni : essa prende in
considerazione l'uomo come essere sociale: solitudine e isolamento, perdita
68
Cfr W.KASPER, Misericordia – Concetto fondamenale del vangelo – Chiave della vita cristiana, Gdt 361,
Queriniana Brescia 2015, 216-217.
del partner, perdita di familiari e di amici, difficoltà nel comunicare,
esclusione colpevole o imposta dalla comunicazione sociale, discri-
minazione ed emarginazione fino all'isolamento in una cella carceraria o a
motivo di un bando.>> 69
69
Ibidem 217.
70
Cfr W.KASPER, Misericordia – Concetto fondamenale del vangelo – Chiave della vita cristiana, Gdt 361,
Queriniana Brescia 2015, 217.
Capitolo IV
Nella storia del cristianesimo ci sono stati numerosi Santi e Beati che si
sono contraddistinti dal carisma della Carità e dall'Amore verso i poveri.
Direi che tutti i Santi e i Beati hanno amato i poveri: ciò è insito nella
dimensione della Santità.
Ricordiamo gli Apostoli e discepoli delle prime Comunità cristiane, i loro
Pastori, i martiri della fede; San'Antonio Abate, i Santi eremiti, i Padri della
Chiesa e via via Sant'Agostino, Sant'Ambrogio,ecc. Più di tutti San
Francesco con Madonna Povertà e Santa Chiara, e Sant'Omobono, per
ricordarne solo alcuni. San Vincenzo De' Paoli, San Godrigo, Beato
federico Ozanam, San Germano e San Randoaldo, Beato Giuliano
Cesarello, S.Madre Teresa di Calcutta, Padre Pio, don Primo Mazzolari e
don Lorenzo Milani.
Mi voglio limitare a San Francesco, essendo un terziario francescano
dell'OFS, e a Sant'Omobono, patrono della mia Diocesi e agli scritti
(omelie) di Don Primo Mazzolari sui poveri. .
71
Cfr http:// www. sanfrancescopatronoditalia - Rivista della Basilica di San Francesco di Assisi, ,redazione on line.
72
Cfr.C. PEDRETTI, OMOBONO vivo, N.E.C ed. Cremona, sett.2007.
E' un mercante di stoffe, ma uomo devoto e pieno di Carità,misericordioso,
soccorreva gli afflitti con i suoi mezzi e con il suo consiglio; donava atutti
le sue cose e se stesso : << beni ai poveri, conforto agli afflitti, correzione
agli erranti, insegnamenti senza superbia agli ignoranti, perdono ai nemici,
un consiglio fidato agli indecisi, ai morti una preghiera, tanto da sembrar
fosse nato più per il bene degli altri che per se stesso >>.73
Cercò come operatore di pace di dirimere le contese fra le due fazioni che
si fronteggiavano con propri statuti e rappresentanti : la Societas militum
nella città vecchia, la Societas populi nella città nuova.
Aveva una particolare devozione per la Madonna ,e per il Crocifisso. La
Carità è stato il suo segno distintivo, il sigillo autentico della sua piena
conversione, avvenuta in età più che matura. << si dimenticò della sua
famiglia ; fu padre misericordioso dei poveri e al punto sollecito verso di
essi, da sottrarre il necessario a sé e ai suoi per distribuirlo ai poveri,
famiglia del Salvatore....Misurato con se stesso, giusto con il prossimo,
devoto con Dio, uomo di grande preghiera e di grande umiltà.>>74
Era solito andare nella sua chiesa ogni notte per partecipare al Mattutino.
Nella bolla di canonizzazione si legge che Omobono arrivava in anticipo
alla liturgia delle ore << a meno che lo trattenesse la preoccupazione di
riportare la pace in città, per la quale si adoperava da vero uomo di pace.>>
<< Fu un uomo di grande preghiera in chiesa e fuori chiesa, camminando,
seduto, vegliando o dormendo. Infatti, camminando pregava così
intensamente che spesso la sua preghiera gli impediva di sentire il saluto
della gente.E anche dormendo pregava, come spesso sentivano i presenti,
(moglie e figli)>>..
Muore a Cremona il 13 Novembre 1197, all'alba , durante la S.Messa nella
Chiesa di Sant Egidio, al canto del Gloria, davanti al Crocifisso.
Nell'inverno del 1198, il Vescovo Sicardo partì per Roma con una eletta
schiera di concives per impetrare dal nuovo Papa, Innocenzo III, appena
eletto (gennaio 11198), l'iscrizione di Omobono Tucenghi nel catalogo dei
santi, primo santo laico canonizzato. Fu traslato in un primo tempo nella
sua stessa chiesa di S.Egidio, che assunse il suo nome; successivamente
nella cripta della nostra Cattedrale e dichiarato Patrono della città di
Cremona e protettore dei sarti. E' raffigurato con una borsa di monete,
mentre pratica l'elemosina ai suoi concittadini poveri.
73
Cfr.C. PEDRETTI, OMOBONO vivo, N.E.C ed. Cremona, sett.2007,84.
74
Ibidem 66.
Capitolo V
<< Se voi pensaste che il povero sia colui cui manca qualche cosa per
essere felice, chi più povero di un miliardario? Siamo tutti poveri, tanto
poveri. Cosa vi manca per essere felici'?..Non è il fatto che ci siano dei
poveri che fa paura; ma che esistano uomini che non li vogliono vedere,
dopo averli messi al mondo: fratelli che non si accorgono delle sofferenze
che hanno messe sulle spalle dei fratelli. La parola ai poveri è soprattutto
un saper vedere.Il nostro egoismo fabbrica il povero, poi non lo vede:
75
Cfr P. MAZZOLARI, La parola ai poveri, a cura di L.Sapienza, EDB, Bologna 2016.
76
Ibidem 27-28.
mentre l'amore che non lo vuole, lo vede.... Chi non ha cuore vede nessun
povero: chi ha poco cuore vede pochi poveri; chi ha molto cuore vede tanti
poveri e, ciò che è ancora più grande, dà loro la parola, la quale é un diritto
che sta prima del pane, del vestito e della casa.....Conoscere è lasciar
parlare: è come se il povero parlasse.>>77
<< La più brutta ingiustizia è trascurare coloro che soffrono forse per colpa
nostra, col pretesto farisaico che noi siamo migliori....Molti hanno paura
del povero, come molti farisei avevano paura di Cristo, non soltanto quando
predicava, ma pur quando, condannato a morte, saliva il Calvario.Anche
morto avevano così paura di Lui che misero le guardie al Sepolcro.
Non fa paura il povero, non fa paura la voce di giustizia che Dio fa sua, ma
il numero dei poveri. Io non li ho mai contati i poveri, perché non si posso-
no contare i poveri si abbracciano, non si contano....Perché teniamo chiuso
il cuore con i poveri? Crediamo forse ch'essi abbaino bisogno di aumenti?
La povertà non si paga: la povertà si ama.78
<< Diteci allora dove si può conoscere il povero. Dove sta di casa? Dove
soffre e attende che qualcuno gli si metta vicino? Dove si prepara le
redenzione o il perdimento dell'uomo. I destini del mondo si maturano alla
periferia, l'umanità si degrada o si eleva alla periferia, ove molti vanno a
far questua di voti e di peggio, come se il dolore potesse essere sfruttato al
pari della fatica senza che gridi vendetta a Dio. Federico Ozanam diceva
che il Vangelo viveva perché vivevano i poveri, e che lui andava a cercarli.
77
Ibidem 31-32
78
Cfr P. MAZZOLARI, La parola ai poveri, a cura di L.Sapienza, EDB, Bologna 2016, 31-41.
79
Ibidem 47-49.
Bisogna andare dai poveri. E' più facile andare in Chiesa; forse anche più
comodo. I poveri non s'incontrano lungo il corso o sulle piazze, molto meno
nei comizi...Bisogna andar là dove il povero nasconde la sua sofferenza e la
nostra ingiustizia...Chi parla male del povero, parla male di Cristo.Diven-
tiamo buoni e vedremo giusto; purifichiamoci il cuore e vedremo Cristo
anche nel tabernacolo più profanato.>>80
<< I poveri sono sempre con noi, proprio perchè il Signore vuole che li
teniamo presenti per primi (“gli ultimi saranni i primi” Cfr. Mt 19,30) ogni
volta che vogliamo sistemare e la convivenza dell'uomo...... Se uno aspetta
che glielo portino via il di più, egli é un seminatore di discordie e di guerre.
Guai a chi mette il povero in tentazione di dover prendere di forza la parte
destinatagli dal Padre.....Solo chi dà tutto per non perdere nulla nel giorno
del “rendiconto” é un cristiano....I poveri vanno amati (“figliuoli miei, non
amate a parole, ma a fatti” (cfr 1 Gv 3, 18), come poveri , come sono,
senza far calcoli sulla loro povertà, senza pretesa o diritto di ipoteca,
neanche quella di farli cittadini del Regno dei Cieli, molto meno dei
proseliti. Cittadini del regno dei Cieli i poveri lo sono già per diritto di
chiamata evangelica : <<Beati i poveri in ispirito perché di loro è il regno
dei cieli >>(Mt. 5,3).>>81
<<Questa è una delle “agonie” della Chiesa: nella “ Casa del Padre”,
fondata dal loro fratello Gesù Cristo, i poveri non si sentono più a casa loro.
La Chiesa “è la Casa dei poveri” ?.... Quando si avrà finalmente il coraggio
di vedere la contraddizione che c'é tra il cristianesimo e noi cristiani ? Si
lasciano i poveri in condizioni disumane, disperate e spoglie! Si pensa a
tutto, oggi, fuorché ad organizzarsi, sul serio e concretamente, a servizio dei
poveri....>>82
80
Ibidem 55-57.
81
Cfr P. MAZZOLARI, La parola ai poveri, a cura di L.Sapienza, EDB, Bologna 2016, 106-114.
82
Ibidem 118- 130.
Conclusione
Pietra di carità
E quando
scenderà
dei rischi che verranno
la paura, stringiTi in noi
e stringi noi in Te;
facci realtà santa,
realtà paziente,
realtà sicura;
e fa' che noi
si sia
pietra di carità
che oltre morte
dura.
GIOVANNI TESTORI
Post- Hamlet, atto II,Rizzoli, Milano 1983,59.
BIBLIOGRAFIA
COSTITUZIONE PASTORALE << GAUDIUM ET SPES >>sulla Chiesa nel mondo contemporaneo.
LETTERA ENCICLICA << CENTESIMUS ANNUS >> Giovanni Paolo II, 1991.
ESORTAZIONE APOSTOLICA << GAUDETE ET EXSULTATE >> sullla chiamata alla santità nel
mondo conteporaneo , Francesco, 2018.
LETTERA ENCICLICA << LAUDATO SI' >> sulla cura della casa comune, Francesco, 2015.
LETTERA ENCICLICA <<POPULORUM PROGRESSIO >> sullo sviluppo dei popoli, PaoloVI,
1967.
LETTERA ENCICLICA << QUADRAGESIMO ANNO >>Pio XI, 1931.
LETTERA ENCICLICA << SOLLICITUDO REI SOCIALIS >> Giovanni Paolo II, 1987.
STUDI E OPERE
FABRIS, R., GLI ULTIMI NELLA BIBBIA – Un Dio che si commuove, 7.Sett.2013.
Https://www.sermig.org
GRABNER, A.,– HAIDER, voce Beatitudine in Prontuario della Bibbia, EDB. Bologna 2000,
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LODIGIANI, G., don, Appunti di Morale Sociale,Corso di Morale Sociale, ISSR. Pavia,
2018-2019.
SCHEEBEN, M.,J., Handbuch der katholischen Dogmatik II, Freiburg i. Br. 1948, 265.
INDICE GENERALE
Introduzione ….................................................................................
Premessa …..................................................................................
..................................................................................................
…...........................................................................................
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Conclusione …........................................................................................ .
BIBLIOGRAFIA......................................................................................
INDICE....................................................................................................
APPENDICE …........................................................................................
Appendice
PAPA FRANCESCO:
1. «Questo povero grida e il Signore lo ascolta» (Sal 34,7). Le parole del Salmista
diventano anche le nostre nel momento in cui siamo chiamati a incontrare le
diverse condizioni di sofferenza ed emarginazione in cui vivono tanti fratelli e
sorelle che siamo abituati a designare con il termine generico di “poveri”. Chi
scrive quelle parole non è estraneo a questa condizione, al contrario. Egli fa esperienza
diretta della povertà e, tuttavia, la trasforma in un canto di lode e di ringraziamento al
Signore. Questo Salmo permette oggi anche a noi, immersi in tante forme di povertà, di
comprendere chi sono i veri poveri verso cui siamo chiamati a rivolgere lo sguardo per
ascoltare il loro grido e riconoscere le loro necessità.
Ci viene detto, anzitutto, che il Signore ascolta i poveri che gridano a Lui ed è
buono con quelli che cercano rifugio in Lui con il cuore spezzato dalla tristezza,
dalla solitudine e dall’ esclusione. Ascolta quanti vengono calpestati nella loro dignità
e, nonostante questo, hanno la forza di innalzare lo sguardo verso l’ alto per ricevere
luce e conforto. Ascolta coloro che vengono perseguitati in nome di una falsa giustizia,
oppressi da politiche indegne di questo nome e intimoriti dalla violenza; eppure sanno
di avere in Dio il loro Salvatore. Ciò che emerge da questa preghiera è anzitutto il
sentimento di abbandono e fiducia in un Padre che ascolta e accoglie. Sulla lunghezza
d’ onda di queste parole possiamo comprendere più a fondo quanto Gesù ha proclamato
con la beatitudine «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3).
In forza di questa esperienza unica e, per molti versi, immeritata e impossibile da
esprimere appieno, si sente comunque il desiderio di comunicarla ad altri, prima di
tutto a quanti sono, come il Salmista, poveri, rifiutati ed emarginati. Nessuno, infatti,
può sentirsi escluso dall’ amore del Padre, specialmente in un mondo che eleva spesso
la ricchezza a primo obiettivo e rende chiusi in sé stessi.
2. Il Salmo caratterizza con tre verbi l’ atteggiamento del povero e il suo rapporto
con Dio. Anzitutto, “gridare”.La condizione di povertà non si esaurisce in una parola,
ma diventa un grido che attraversa i cieli e raggiunge Dio. Che cosa esprime il grido del
povero se non la sua sofferenza e solitudine, la sua delusione e speranza? Possiamo
chiederci: come mai questo grido, che sale fino al cospetto di Dio, non riesce ad
arrivare alle nostre orecchie e ci lascia indifferenti e impassibili? In una Giornata come
questa, siamo chiamati a un serio esame di coscienza per capire se siamo davvero
capaci di ascoltare i poveri.
E’ il silenzio dell’ ascolto ciò di cui abbiamo bisogno per riconoscere la loro voce. Se
parliamo troppo noi, non riusciremo ad ascoltare loro. Spesso, ho timore che tante
iniziative pur meritevoli e necessarie, siano rivolte più a compiacere noi stessi che a
recepire davvero il grido del povero. In tal caso, nel momento in cui i poveri fanno
udire il loro grido, la reazione non è coerente, non è in grado di entrare in sintonia con
la loro condizione. Si è talmente intrappolati in una cultura che obbliga a guardarsi allo
specchio e ad accudire oltremisura sé stessi, da ritenere che un gesto di altruismo possa
bastare a rendere soddisfatti, senza lasciarsi compromettere direttamente.
3. Un secondo verbo è “rispondere”. Il Signore, dice il Salmista, non solo ascolta il
grido del povero, ma risponde. La sua risposta, come viene attestato in tutta la storia
della salvezza, è una partecipazione piena d’ amore alla condizione del povero. E’ stato
così quando Abramo esprimeva a Dio il suo desiderio di avere una discendenza,
nonostante lui e la moglie Sara, ormai anziani, non avessero figli (cfr Gen 15,1-6). E’
accaduto quando Mosè, attraverso il fuoco di un roveto che bruciava intatto, ha ricevuto
la rivelazione del nome divino e la missione di far uscire il popolo dall’ Egitto (cfr Es
3,1-15). E questa risposta si è confermata lungo tutto il cammino del popolo nel deserto:
quando sentiva i morsi della fame e della sete (cfr Es 16,1-16; 17,1-7), e quando cadeva
nella miseria peggiore, cioè l’ infedeltà all’ alleanza e l’ idolatria (cfr Es 32,1-14).
La risposta di Dio al povero è sempre un intervento di salvezza per curare le ferite
dell’ anima e del corpo, per restituire giustizia e per aiutare a riprendere la vita con
dignità. La risposta di Dio è anche un appello affinché chiunque crede in Lui possa fare
altrettanto nei limiti dell’ umano. La Giornata Mondiale dei Poveri intende essere una
piccola risposta che dalla Chiesa intera, sparsa per tutto il mondo, si rivolge ai poveri di
ogni tipo e di ogni terra perché non pensino che il loro grido sia caduto nel vuoto.
Probabilmente, è come una goccia d’ acqua nel deserto della povertà; e tuttavia può
essere un segno di condivisione per quanti sono nel bisogno, per sentire la presenza attiva
di un fratello e di una sorella. Non è un atto di delega ciò di cui i poveri hanno bisogno,
ma il coinvolgimento personale di quanti ascoltano il loro grido. La sollecitudine dei
credenti non può limitarsi a una forma di assistenza – pur necessaria e provvidenziale in
un primo momento –, ma richiede quella «attenzione d’ amore» (Esort. ap. Evangelii
gaudium, 199) che onora l’ altro in quanto persona e cerca il suo bene.
4. Un terzo verbo è “liberare”. Il povero della Bibbia vive con la certezza che Dio
interviene a suo favore per restituirgli dignità. La povertà non è cercata, ma creata
dall’ egoismo, dalla superbia, dall’ avidità e dall’ ingiustizia. Mali antichi quanto l’ uomo,
ma pur sempre peccati che coinvolgono tanti innocenti, portando a conseguenze sociali
drammatiche. L’ azione con la quale il Signore libera è un atto di salvezza per quanti
hanno manifestato a Lui la propria tristezza e angoscia. La prigionia della povertà viene
spezzata dalla potenza dell’ intervento di Dio. Tanti Salmi narrano e celebrano questa
storia della salvezza che trova riscontro nella vita personale del povero: «Egli non ha
disprezzato né disdegnato l’ afflizione del povero, il proprio volto non gli ha nascosto ma
ha ascoltato il suo grido di aiuto» (Sal 22,25). Poter contemplare il volto di Dio è segno
della sua amicizia, della sua vicinanza, della sua salvezza. «Hai guardato alla mia
miseria, hai conosciute le angosce della mia vita; […] hai posto i miei piedi in un luogo
spazioso» (Sal 31,8-9). Offrire al povero un “luogo spazioso” equivale a liberarlo dal
“laccio del predatore” (cfr Sal 1,3), a toglierlo dalla trappola tesa sul suo cammino,
perché possa camminare spedito e guardare la vita con occhi sereni. La salvezza di Dio
prende la forma di una mano tesa verso il povero, che offre accoglienza, protegge e
permette di sentire l’ amicizia di cui ha bisogno. E’ a partire da questa vicinanza concreta
e tangibile che prende avvio un genuino percorso di liberazione: «Ogni cristiano e ogni
comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei
poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società; questo suppone che
siamo docili e attenti ad ascoltare il grido del povero e soccorrerlo» (Esort. ap.Evangelii
gaudium, 187).
5. E’ per me motivo di commozione sapere che tanti poveri si sono identificati con
Bartimeo, del quale parla l’ evangelista Marco (cfr 10,46-52). Il cieco Bartimeo «sedeva
lungo la strada a mendicare» (v. 46), e avendo sentito che passava Gesù «cominciò a
gridare» e a invocare il «Figlio di Davide» perché avesse pietà di lui (cfr v. 47). «Molti lo
rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte» (v. 48). Il Figlio di Dio
ascoltò il suo grido: «“Che cosa vuoi che io faccia per te?”. E il cieco gli rispose:
“Rabbunì, che io veda di nuovo!”» (v. 51). Questa pagina del Vangelo rende visibile
quanto il Salmo annunciava come promessa. Bartimeo è un povero che si ritrova privo di
capacità fondamentali, quali il vedere e il lavorare. Quanti percorsi anche oggi
conducono a forme di precarietà! La mancanza di mezzi basilari di sussistenza, la
marginalità quando non si è più nel pieno delle proprie forze lavorative, le diverse forme
di schiavitù sociale, malgrado i progressi compiuti dall’ umanità… Come Bartimeo,
quanti poveri sono oggi al bordo della strada e cercano un senso alla loro
condizione! Quanti si interrogano sul perché sono arrivati in fondo a questo abisso e su
come ne possono uscire! Attendono che qualcuno si avvicini loro e dica: «Coraggio!
Alzati, ti chiama!» (v. 49).
Purtroppo si verifica spesso che, al contrario, le voci che si sentono sono quelle del
rimprovero e dell’ invito a tacere e a subire. Sono voci stonate, spesso determinate da
una fobia per i poveri, considerati non solo come persone indigenti, ma anche come gente
portatrice di insicurezza, instabilità, disorientamento dalle abitudini quotidiane e,
pertanto, da respingere e tenere lontani. Si tende a creare distanza tra sé e loro e non ci si
rende conto che in questo modo ci si rende distanti dal Signore Gesù, che non li respinge
ma li chiama a sé e li consola. Come risuonano appropriate in questo caso le parole del
profeta sullo stile di vita del credente: «sciogliere le catene inique, togliere i legami del
giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo […] dividere il pane con l’
affamato, […] introdurre in casa i miseri, senza tetto, […] vestire uno che vedi nudo» (Is
58,6-7). Questo modo di agire permette che il peccato sia perdonato (cfr 1 Pt 4,8), che la
giustizia percorra la sua strada e che, quando saremo noi a gridare verso il Signore, allora
Egli risponderà e dirà: eccomi! (cfr Is 58,9).
6. I poveri sono i primi abilitati a riconoscere la presenza di Dio e a dare
testimonianza della sua vicinanza nella loro vita. Dio rimane fedele alla sua promessa,
e anche nel buio della notte non fa mancare il calore del suo amore e della sua
consolazione. Tuttavia, per superare l’ opprimente condizione di povertà, è necessario che
essi percepiscano la presenza dei fratelli e delle sorelle che si preoccupano di loro e che,
aprendo la porta del cuore e della vita, li fanno sentire amici e famigliari. Solo in questo
modo possiamo scoprire «la forza salvifica delle loro esistenze» e «porle al centro della
vita della Chiesa» (Esort. Ap Evangelii gaudium, 198).
In questa Giornata Mondiale siamo invitati a dare concretezza alle parole del Salmo: «I
poveri mangeranno e saranno saziati» (Sal 22,27). Sappiamo che nel tempio di
Gerusalemme, dopo il rito del sacrificio, avveniva il banchetto. In molte Diocesi, questa è
stata un’ esperienza che, lo scorso anno, ha arricchito la celebrazione della prima
Giornata Mondiale dei Poveri. Molti hanno trovato il calore di una casa, la gioia di un
pasto festivo e la solidarietà di quanti hanno voluto condividere la mensa in maniera
semplice e fraterna. Vorrei che anche quest’ anno e in avvenire questa Giornata fosse
celebrata all’ insegna della gioia per la ritrovata capacità di stare insieme. Pregare
insieme in comunità e condividere il pasto nel giorno della domenica. Un’ esperienza che
ci riporta alla prima comunità cristiana, che l’ evangelista Luca descrive in tutta la sua
originalità e semplicità: «Erano perseveranti nell’ insegnamento degli apostoli e nella
comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. […] Tutti i credenti stavano
insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le
dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno» (At 2,42.44-45).
7. Sono innumerevoli le iniziative che ogni giorno la comunità cristiana intraprende
per dare un segno di vicinanza e di sollievo alle tante forme di povertà che sono sotto
i nostri occhi. Spesso la collaborazione con altre realtà, che sono mosse non dalla
fede ma dalla solidarietà umana, riesce a portare un aiuto che da soli non potremmo
realizzare.Riconoscere che, nell’ immenso mondo della povertà, anche il nostro
intervento è limitato, debole e insufficiente conduce a tendere le mani verso altri,
perché la collaborazione reciproca possa raggiungere l’ obiettivo in maniera più efficace.
Siamo mossi dalla fede e dall’ imperativo della carità, ma sappiamo riconoscere altre
forme di aiuto e solidarietà che si prefiggono in parte gli stessi obiettivi; purché non
trascuriamo quello che ci è proprio, cioè condurre tutti a Dio e alla santità. Il dialogo tra
le diverse esperienze e l’ umiltà di prestare la nostra collaborazione, senza protagonismi
di sorta, è una risposta adeguata e pienamente evangelica che possiamo realizzare.
Davanti ai poveri non si tratta di giocare per avere il primato di intervento, ma
possiamo riconoscere umilmente che è lo Spirito a suscitare gesti che siano segno
della risposta e della vicinanza di Dio. Quando troviamo il modo per avvicinarci ai
poveri, sappiamo che il primato spetta a Lui, che ha aperto i nostri occhi e il nostro cuore
alla conversione. Non è di protagonismo che i poveri hanno bisogno, ma di amore che sa
nascondersi e dimenticare il bene fatto. I veri protagonisti sono il Signore e i poveri. Chi
si pone al servizio è strumento nelle mani di Dio per far riconoscere la sua presenza e la
sua salvezza. Lo ricorda San Paolo scrivendo ai cristiani di Corinto, che gareggiavano tra
loro nei carismi ricercando i più prestigiosi: «Non può l’ occhio dire alla mano: “Non ho
bisogno di te”; oppure la testa ai piedi: “Non ho bisogno di voi”» (1 Cor 12,21). L’
Apostolo fa una considerazione importante osservando che le membra del corpo che
sembrano più deboli sono le più necessarie (cfr v. 22); e che quelle che «riteniamo meno
onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con
maggiore decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno» (vv. 23-24). Mentre dà
un insegnamento fondamentale sui carismi, Paolo educa anche la comunità all’
atteggiamento evangelico nei confronti dei suoi membri più deboli e bisognosi. Lungi dai
discepoli di Cristo sentimenti di disprezzo e di pietismo verso di essi; piuttosto sono
chiamati a rendere loro onore, a dare loro la precedenza, convinti che sono una presenza
reale di Gesù in mezzo a noi. «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei
fratelli più piccoli, l’ avete fatto a me» (Mt 25,40).
8.Qui si comprende quanto sia distante il nostro modo di vivere da quello del
mondo, che loda, insegue e imita coloro che hanno potere e ricchezza, mentre
emargina i poveri e li considera uno scarto e una vergogna. Le parole dell’ Apostolo
sono un invito a dare pienezza evangelica alla solidarietà con le membra più deboli e
meno dotate del corpo di Cristo: «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono
insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui» (1 Cor 12,26).
Alla stessa stregua, nella Lettera ai Romani ci esorta: «Rallegratevi con quelli che sono
nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli
uni verso gli altri; non nutrite desideri di grandezza; volgetevi piuttosto a ciò che è
umile» (12,15-16). Questa è la vocazione del discepolo di Cristo; l’ ideale a cui tendere
con costanza è assimilare sempre più in noi i «sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5).
9. Una parola di speranza diventa l’ epilogo naturale a cui la fede indirizza Spesso
sono proprio i poveri a mettere in crisi la nostra indifferenza, figlia di una visione della
vita troppo immanente e legata al presente. Il grido del povero è anche un grido di
speranza con cui manifesta la certezza di essere liberato. La speranza fondata sull’
amore di Dio che non abbandona chi si affida a Lui (cfr Rm 8,31-39). Scriveva santa
Teresa d’ Avila nel suo Cammino di perfezione: «La povertà è un bene che racchiude in
sé tutti i beni del mondo; ci assicura un gran dominio, intendo dire che ci rende padroni
di tutti i beni terreni, dal momento che ce li fa disprezzare» (2, 5). E’ nella misura in cui
siamo capaci di discernere il vero bene che diventiamo ricchi davanti a Dio e saggi
davanti a noi stessi e agli altri. E’ proprio così: nella misura in cui si riesce a dare il
giusto e vero senso alla ricchezza, si cresce in umanità e si diventa capaci di
condivisione.
10. Invito i confratelli vescovi, i sacerdoti e in particolare i diaconi, a cui sono state
imposte le mani per il servizio ai poveri (cfr At 6,1-7), insieme alle persone consacrate
e ai tanti laici e laiche che nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti rendono
tangibile la risposta della Chiesa al grido dei poveri, a vivere questa Giornata Mondiale
come un momento privilegiato di nuova evangelizzazione. I poveri ci evangelizzano,
aiutandoci a scoprire ogni giorno la bellezza del Vangelo. Non lasciamo cadere nel
vuoto questa opportunità di grazia. Sentiamoci tutti, in questo giorno, debitori nei loro
confronti, perché tendendo reciprocamente le mani l’ uno verso l’ altro, si realizzi l’
incontro salvifico che sostiene la fede, rende fattiva la carità e abilita la speranza a
proseguire sicura nel cammino verso il Signore che viene.
Dal Vaticano, 13 giugno 2018
Memoria liturgica di S. Antonio da Padova
Francesco
1. «Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità» (1 Gv 3,18).
Queste parole dell’apostolo Giovanni esprimono un imperativo da cui nessun cristiano può
prescindere. La serietà con cui il “discepolo amato” trasmette fino ai nostri giorni il comando di
Gesù è resa ancora più accentuata per l’opposizione che rileva tra le parole vuote che spesso
sono sulla nostra bocca e i fatti concreti con i quali siamo invece chiamati a misurarci. L’amore
non ammette alibi: chi intende amare come Gesù ha amato, deve fare proprio il suo esempio;
soprattutto quando si è chiamati ad amare i poveri. Il modo di amare del Figlio di Dio,
d’altronde, è ben conosciuto, e Giovanni lo ricorda a chiare lettere. Esso si fonda su due colonne
portanti: Dio ha amato per primo (cfr 1 Gv 4,10.19); e ha amato dando tutto sé stesso, anche la
propria vita (cf 1 Gv 3,16).
Un tale amore non può rimanere senza risposta. Pur essendo donato in maniera unilaterale,
senza richiedere cioè nulla in cambio, esso tuttavia accende talmente il cuore che chiunque si
sente portato a ricambiarlo nonostante i propri limiti e peccati. E questo è possibile se la grazia
di Dio, la sua carità misericordiosa viene accolta, per quanto possibile, nel nostro cuore, così da
muovere la nostra volontà e anche i nostri affetti all’amore per Dio stesso e per il prossimo. In
tal modo la misericordia che sgorga, per così dire, dal cuore della Trinità può arrivare a mettere
in movimento la nostra vita e generare compassione e opere di misericordia per i fratelli e le
sorelle che si trovano in necessità.
2. «Questo povero grida e il Signore lo ascolta» (Sal 34,7). Da sempre la Chiesa ha compreso
l’importanza di un tale grido. Possediamo una grande testimonianza fin dalle prime pagine degli
Atti degli Apostoli, là dove Pietro chiede di scegliere sette uomini «pieni di Spirito e di
sapienza» (6,3) perché assumessero il servizio dell’assistenza ai poveri. È certamente questo
uno dei primi segni con i quali la comunità cristiana si presentò sulla scena del mondo: il
servizio ai più poveri. Tutto ciò le era possibile perché aveva compreso che la vita dei discepoli
di Gesù doveva esprimersi in una fraternità e solidarietà tali, da corrispondere all’insegnamento
principale del Maestro che aveva proclamato i poveri beati ed eredi del Regno dei cieli (cfr Mt
5,3).
«Vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di
ciascuno» (At 2,45). Questa espressione mostra con evidenza la viva preoccupazione dei primi
cristiani. L’evangelista Luca, l’autore sacro che più di ogni altro ha dato spazio alla
misericordia, non fa nessuna retorica quando descrive la prassi di condivisione della prima
comunità. Al contrario, raccontandola intende parlare ai credenti di ogni generazione, e quindi
anche a noi, per sostenerci nella testimonianza e provocare la nostra azione a favore dei più
bisognosi. Lo stesso insegnamento viene dato con altrettanta convinzione dall’apostolo
Giacomo, che, nella sua Lettera, usa espressioni forti ed incisive: «Ascoltate, fratelli miei
carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed
eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano? Voi invece avete disonorato il povero! Non
sono forse i ricchi che vi opprimono e vi trascinano davanti ai tribunali? [...] A che serve, fratelli
miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un
fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro:
“Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo, a che
cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta» (2,5-6.14-17).
3. Ci sono stati momenti, tuttavia, in cui i cristiani non hanno ascoltato fino in fondo questo
appello, lasciandosi contagiare dalla mentalità mondana. Ma lo Spirito Santo non ha mancato di
richiamarli a tenere fisso lo sguardo sull’essenziale. Ha fatto sorgere, infatti, uomini e donne che
in diversi modi hanno offerto la loro vita a servizio dei poveri. Quante pagine di storia, in questi
duemila anni, sono state scritte da cristiani che, in tutta semplicità e umiltà, e con la generosa
fantasia della carità, hanno servito i loro fratelli più poveri!
Tra tutti spicca l’esempio di Francesco d’Assisi, che è stato seguito da numerosi altri uomini e
donne santi nel corso dei secoli. Egli non si accontentò di abbracciare e dare l’elemosina ai
lebbrosi, ma decise di andare a Gubbio per stare insieme con loro. Lui stesso vide in questo
incontro la svolta della sua conversione: «Quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo
amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E
allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di
corpo» (Test 1-3: FF 110). Questa testimonianza manifesta la forza trasformatrice della carità e
lo stile di vita dei cristiani.
Non pensiamo ai poveri solo come destinatari di una buona pratica di volontariato da fare una
volta alla settimana, o tanto meno di gesti estemporanei di buona volontà per mettere in pace la
coscienza. Queste esperienze, pur valide e utili a sensibilizzare alle necessità di tanti fratelli e
alle ingiustizie che spesso ne sono causa, dovrebbero introdurre ad un vero incontro con i poveri
e dare luogo ad una condivisione che diventi stile di vita. Infatti, la preghiera, il cammino del
discepolato e la conversione trovano nella carità che si fa condivisione la verifica della loro
autenticità evangelica. E da questo modo di vivere derivano gioia e serenità d’animo, perché si
tocca con mano la carne di Cristo. Se vogliamo incontrare realmente Cristo, è necessario che ne
tocchiamo il corpo in quello piagato dei poveri, come riscontro della comunione sacramentale
ricevuta nell’Eucaristia. Il Corpo di Cristo, spezzato nella sacra liturgia, si lascia ritrovare dalla
carità condivisa nei volti e nelle persone dei fratelli e delle sorelle più deboli. Sempre attuali
risuonano le parole del santo vescovo Crisostomo: «Se volete onorare il corpo di Cristo, non
disdegnatelo quando è nudo; non onorate il Cristo eucaristico con paramenti di seta, mentre
fuori del tempio trascurate quest’altro Cristo che è afflitto dal freddo e dalla nudità»(Hom. in
Matthaeum, 50, 3: PG 58).
Siamo chiamati, pertanto, a tendere la mano ai poveri, a incontrarli, guardarli negli occhi,
abbracciarli, per far sentire loro il calore dell’amore che spezza il cerchio della solitudine. La
loro mano tesa verso di noi è anche un invito ad uscire dalle nostre certezze e comodità, e a
riconoscere il valore che la povertà in sé stessa costituisce.
4. Non dimentichiamo che per i discepoli di Cristo la povertà è anzitutto una vocazione a
seguire Gesù povero. È un cammino dietro a Lui e con Lui, un cammino che conduce alla
beatitudine del Regno dei cieli (cfr Mt 5,3; Lc 6,20). Povertà significa un cuore umile che sa
accogliere la propria condizione di creatura limitata e peccatrice per superare la tentazione di
onnipotenza, che illude di essere immortali. La povertà è un atteggiamento del cuore che
impedisce di pensare al denaro, alla carriera, al lusso come obiettivo di vita e condizione per la
felicità. E’ la povertà, piuttosto, che crea le condizioni per assumere liberamente le
responsabilità personali e sociali, nonostante i propri limiti, confidando nella vicinanza di Dio e
sostenuti dalla sua grazia. La povertà, così intesa, è il metro che permette di valutare l’uso
corretto dei beni materiali, e anche di vivere in modo non egoistico e possessivo i legami e gli
affetti (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 25-45).
Facciamo nostro, pertanto, l’esempio di san Francesco, testimone della genuina povertà. Egli,
proprio perché teneva fissi gli occhi su Cristo, seppe riconoscerlo e servirlo nei poveri. Se,
pertanto, desideriamo offrire il nostro contributo efficace per il cambiamento della storia,
generando vero sviluppo, è necessario che ascoltiamo il grido dei poveri e ci impegniamo a
sollevarli dalla loro condizione di emarginazione. Nello stesso tempo, ai poveri che vivono nelle
nostre città e nelle nostre comunità ricordo di non perdere il senso della povertà evangelica che
portano impresso nella loro vita.
5. Conosciamo la grande difficoltà che emerge nel mondo contemporaneo di poter identificare in
maniera chiara la povertà. Eppure, essa ci interpella ogni giorno con i suoi mille volti segnati dal
dolore, dall’emarginazione, dal sopruso, dalla violenza, dalle torture e dalla prigionia, dalla
guerra, dalla privazione della libertà e della dignità, dall’ignoranza e dall’analfabetismo,
dall’emergenza sanitaria e dalla mancanza di lavoro, dalle tratte e dalle schiavitù, dall’esilio e
dalla miseria, dalla migrazione forzata. La povertà ha il volto di donne, di uomini e di bambini
sfruttati per vili interessi, calpestati dalle logiche perverse del potere e del denaro. Quale elenco
impietoso e mai completo si è costretti a comporre dinanzi alla povertà frutto dell’ingiustizia
sociale, della miseria morale, dell’avidità di pochi e dell’indifferenza generalizzata!
Ai nostri giorni, purtroppo, mentre emerge sempre più la ricchezza sfacciata che si accumula
nelle mani di pochi privilegiati, e spesso si accompagna all’illegalità e allo sfruttamento
offensivo della dignità umana, fa scandalo l’estendersi della povertà a grandi settori della società
in tutto il mondo. Dinanzi a questo scenario, non si può restare inerti e tanto meno rassegnati.
Alla povertà che inibisce lo spirito di iniziativa di tanti giovani, impedendo loro di trovare un
lavoro; alla povertà che anestetizza il senso di responsabilità inducendo a preferire la delega e la
ricerca di favoritismi; alla povertà che avvelena i pozzi della partecipazione e restringe gli spazi
della professionalità umiliando così il merito di chi lavora e produce; a tutto questo occorre
rispondere con una nuova visione della vita e della società.
Tutti questi poveri – come amava dire il Santo Paolo VI– appartengono alla Chiesa per «diritto
evangelico» (Discorso di apertura della II sessione del Concilio Ecumenico Vaticano II, 29
settembre 1963) e obbligano all’opzione fondamentale per loro. Benedette, pertanto, le mani che
si aprono ad accogliere i poveri e a soccorrerli: sono mani che portano speranza. Benedette le
mani che superano ogni barriera di cultura, di religione e di nazionalità versando olio di
consolazione sulle piaghe dell’umanità. Benedette le mani che si aprono senza chiedere nulla in
cambio, senza “se”, senza “però” e senza “forse”: sono mani che fanno scendere sui fratelli la
benedizione di Dio.
6. Al termine del Giubileo della Misericordia ho voluto offrire alla Chiesa la Giornata Mondiale
dei Poveri, perché in tutto il mondo le comunità cristiane diventino sempre più e meglio segno
concreto della carità di Cristo per gli ultimi e i più bisognosi. Alle altre Giornate mondiali
istituite dai miei Predecessori, che sono ormai una tradizione nella vita delle nostre comunità,
desidero che si aggiunga questa, che apporta al loro insieme un elemento di completamento
squisitamente evangelico, cioè la predilezione di Gesù per i poveri.
Invito la Chiesa intera e gli uomini e le donne di buona volontà a tenere fisso lo sguardo, in
questo giorno, su quanti tendono le loro mani gridando aiuto e chiedendo la nostra solidarietà.
Sono nostri fratelli e sorelle, creati e amati dall’unico Padre celeste. QuestaGiornata intende
stimolare in primo luogo i credenti perché reagiscano alla cultura dello scarto e dello spreco,
facendo propria la cultura dell’incontro. Al tempo stesso l’invito è rivolto a tutti,
indipendentemente dall’appartenenza religiosa, perché si aprano alla condivisione con i poveri
in ogni forma di solidarietà, come segno concreto di fratellanza. Dio ha creato il cielo e la terra
per tutti; sono gli uomini, purtroppo, che hanno innalzato confini, mura e recinti, tradendo il
dono originario destinato all’umanità senza alcuna esclusione.
7. Desidero che le comunità cristiane, nella settimana precedente la Giornata Mondiale dei
Poveri, che quest’anno sarà il 19 novembre, XXXIII domenica del Tempo Ordinario, si
impegnino a creare tanti momenti di incontro e di amicizia, di solidarietà e di aiuto concreto.
Potranno poi invitare i poveri e i volontari a partecipare insieme all’Eucaristia di questa
domenica, in modo tale che risulti ancora più autentica la celebrazione della Solennità di Nostro
Signore Gesù Cristo Re dell’universo, la domenica successiva. La regalità di Cristo, infatti,
emerge in tutto il suo significato proprio sul Golgota, quando l’Innocente inchiodato sulla croce,
povero, nudo e privo di tutto, incarna e rivela la pienezza dell’amore di Dio. Il suo abbandonarsi
completamente al Padre, mentre esprime la sua povertà totale, rende evidente la potenza di
questo Amore, che lo risuscita a vita nuova nel giorno di Pasqua.
In questa domenica, se nel nostro quartiere vivono dei poveri che cercano protezione e aiuto,
avviciniamoci a loro: sarà un momento propizio per incontrare il Dio che cerchiamo. Secondo
l’insegnamento delle Scritture (cfr Gen 18,3-5; Eb 13,2), accogliamoli come ospiti privilegiati
alla nostra mensa; potranno essere dei maestri che ci aiutano a vivere la fede in maniera più
coerente. Con la loro fiducia e disponibilità ad accettare aiuto, ci mostrano in modo sobrio, e
spesso gioioso, quanto sia decisivo vivere dell’essenziale e abbandonarci alla provvidenza del
Padre.
8. A fondamento delle tante iniziative concrete che si potranno realizzare in questa Giornata ci
sia sempre la preghiera. Non dimentichiamo che il Padre nostro è la preghiera dei poveri. La
richiesta del pane, infatti, esprime l’affidamento a Dio per i bisogni primari della nostra vita.
Quanto Gesù ci ha insegnato con questa preghiera esprime e raccoglie il grido di chi soffre per la
precarietà dell’esistenza e per la mancanza del necessario. Ai discepoli che chiedevano a Gesù di
insegnare loro a pregare, Egli ha risposto con le parole dei poveri che si rivolgono all’unico
Padre in cui tutti si riconoscono come fratelli. Il Padre nostro è una preghiera che si esprime al
plurale: il pane che si chiede è “nostro”, e ciò comporta condivisione, partecipazione e
responsabilità comune. In questa preghiera tutti riconosciamo l’esigenza di superare ogni forma
di egoismo per accedere alla gioia dell’accoglienza reciproca.
9. Chiedo ai confratelli vescovi, ai sacerdoti, ai diaconi – che per vocazione hanno la missione
del sostegno ai poveri –, alle persone consacrate, alle associazioni, ai movimenti e al vasto
mondo del volontariato di impegnarsi perché con questa Giornata Mondiale dei Poveri si
instauri una tradizione che sia contributo concreto all’evangelizzazione nel mondo
contemporaneo.
Questa nuova Giornata Mondiale, pertanto, diventi un richiamo forte alla nostra coscienza
credente affinché siamo sempre più convinti che condividere con i poveri ci permette di
comprendere il Vangelo nella sua verità più profonda. I poveri non sono un problema: sono una
risorsa a cui attingere per accogliere e vivere l’essenza del Vangelo.
Dal Vaticano, 13 giugno 2017
Memoria di Sant’Antonio di Padova
Francesco
«Nel povero Gesù bussa al nostro cuore e, assetato, ci domanda amore, l’omissione è
il grande peccato nei confronti dei poveri e assume un nome preciso: indifferenza -
afferma Francesco - Chi accumula tesori per sé non si arricchisce presso Dio». E
aggiunge: «Tutti siamo mendicanti dell’essenziale, dell’amore di Dio, che ci dà il senso
della vita e una vita senza fine. Il cielo non vale ciò che si ha, ma ciò che si dà».Perciò
«nessuno può ritenersi inutile, nessuno può dirsi così povero da non poter donare
qualcosa agli altri». Nell’omelia della Messa celebrata in occasione della prima
Giornata mondiale dei Poveri, il Papa prende spunto dalle Sacre Scritture per lanciare
un appello ai fedeli arrivati da tutto il mondo a piazza San Pietro: «Non cerchiamo il
superfluo per noi, ma il bene per gli altri, e nulla di prezioso ci mancherà. Amare il
povero significa lottare contro tutte le povertà, spirituali e materiali». E, avverte,
«non fare nulla di male non basta, perché Dio non è un controllore in cerca di
biglietti non timbrati, è un Padre alla ricerca di figli, cui affidare i suoi beni e i suoi
progetti». Ed è «triste quando il Padre dell’amore non riceve una risposta generosa
di amore dai figli, che si limitano a rispettare le regole, ad adempiere i
comandamenti, come salariati nella casa del Padre».
Nelle sua meditazione il Papa mette in guarda dalla tentazione di ritenersi estranei al
prossimo in difficoltà pensando «non mi riguarda, non è affar mio, è colpa della
società». Un atteggiamento che consiste nel «girarsi dall’altra parte quando il fratello è
nel bisogno», nel «cambiare canale appena una questione seria ci infastidisce», e anche
nello «sdegnarsi di fronte al male senza far nulla».
Ma, precisa Francesco, «Dio non ci chiederà se avremo avuto giusto sdegno, ma se
avremo fatto del bene». Perciò «come, concretamente, possiamo allora piacere a
Dio?», si interroga Francesco. «Quando si vuole far piacere a una persona cara, ad
esempio facendole un regalo, bisogna prima conoscerne i gusti, per evitare che il dono
sia più gradito a chi lo fa che a chi lo riceve - sostiene - Quando vogliamo offrire
qualcosa al Signore, troviamo i suoi gusti nel Vangelo».
Dunque, invoca il Pontefice,«il Signore, che ha compassione delle nostre povertà e ci
riveste dei suoi talenti, ci doni la sapienza di cercare ciò che conta e il coraggio di
amare, non a parole ma coi fatti».
Dopo la lettura del Vangelo, Jorge Mario Bergoglio sottolinea che «abbiamo la gioia di
spezzare il pane della Parola, e tra poco di spezzare e ricevere il Pane eucaristico,
nutrimenti per il cammino della vita: ne abbiamo bisogno tutti, nessuno escluso».
Perciò «anche oggi tendiamo la mano a Lui per ricevere i suoi doni», esorta Francesco.
E, proprio di doni parla la parabola del Vangelo: «Ci dice che noi siamo destinatari dei
talenti di Dio, secondo le capacità di ciascuno».
Quindi, raccomanda il Papa, «prima di tutto riconosciamo questo: abbiamo dei
talenti, siamo talentuosi agli occhi di Dio, siamo eletti e benedetti da Dio, che desidera
colmarci dei suoi doni, più di quanto un papà e una mamma desiderino dare ai loro
figli». E Dio, «ai cui occhi nessun figlio può essere scartato», affida a ciascuno «una
missione». Secondo Jorge Mario Bergoglio, «Dio, da Padre amorevole ed esigente
qual è, ci responsabilizza». Infatti, «vediamo che, nella parabola, a ogni servo vengono
dati dei talenti da moltiplicare». Ma, «mentre i primi due realizzano la missione, il terzo
servo non fa fruttare i talenti, restituisce solo quello che aveva ricevuto». E dice: «Ho
avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo».
Questo servo riceve in cambio parole dure: «Malvagio e pigro». Il Pontefice si chiede
che cosa non è piaciuto al Signore di lui. «In una parola, forse andata un po’ in disuso
eppure molto attuale, direi: l’omissione - puntualizza - Il suo male è stato quello di non
fare il bene. Anche noi spesso siamo dell’idea di non aver fatto nulla di male e per
questo ci accontentiamo, presumendo di essere buoni e giusti».
Così, però, «rischiamo di comportarci come il servo malvagio: anche lui non ha fatto
nulla di male, non ha rovinato il talento, anzi l’ha ben conservato sotto terra».
Infatti, «il servo malvagio, nonostante il talento ricevuto dal Signore, che ama
condividere e moltiplicare i doni, l’ha custodito gelosamente, si è accontentato di
preservarlo».
Ma, avverte Francesco, «non è fedele a Dio chi si preoccupa solo di conservare, di
mantenere i tesori del passato, invece, dice la parabola, colui che aggiunge talenti nuovi
è veramente fedele perché ha la stessa mentalità di Dio e non sta immobile: rischia per
amore, mette in gioco la vita per gli altri, non accetta di lasciare tutto com’è». E «solo
una cosa tralascia: il proprio utile. Questa è l’unica omissione giusta». Il Papa cita «il
brano che abbiamo ascoltato oggi nel quale Gesù dice: “Tutto quello che avete fatto a
uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”». E, spiega il Pontefice,
«questi fratelli più piccoli, da Lui prediletti, sono l’affamato e l’ammalato, il forestiero e
il carcerato, il povero e l’abbandonato, il sofferente senza aiuto e il bisognoso scartato».
Quindi «sui loro volti possiamo immaginare impresso il suo volto; sulle loro labbra,
anche se chiuse dal dolore, le sue parole: questo è il mio corpo».
Perciò «quando vinciamo l’indifferenza e nel nome di Gesù ci spendiamo per i suoi
fratelli più piccoli, siamo suoi amici buoni e fedeli, con cui Egli ama intrattenersi». E
«Dio lo apprezza tanto, apprezza l’atteggiamento che abbiamo ascoltato nella prima
Lettura, quello della donna forte che apre le sue palme al misero, stende la mano al
povero». Questa è «la vera fortezza: non pugni chiusi e braccia conserte, ma mani
operose e tese verso i poveri, verso la carne ferita del Signore». Nei poveri, «si
manifesta la presenza di Gesù, che da ricco si è fatto povero». Per questo «in loro,
nella loro debolezza, c’è una forza salvifica e se agli occhi del mondo hanno poco
valore, sono loro che ci aprono la via al cielo, sono il nostro passaporto per il
paradiso». E «per noi è dovere evangelico prenderci cura di loro, che sono la nostra
vera ricchezza, e farlo non solo dando pane, ma anche spezzando con loro il pane
della Parola, di cui essi sono i più naturali destinatari. Amare il povero significa
lottare contro tutte le povertà, spirituali e materiali». E, prosegue Francesco, «ciò ci
farà bene».
Infatti «accostare chi è più povero di noi toccherà la nostra vita, ci ricorderà quel
che veramente conta: amare Dio e il prossimo». E «solo questo dura per sempre,
tutto il resto passa; perciò quel che investiamo in amore rimane, il resto svanisce».
Inoltre, «oggi possiamo chiederci: che cosa conta per me nella vita, dove investo? Nella
ricchezza che passa, di cui il mondo non è mai sazio, o nella ricchezza di Dio, che dà la
vita eterna? Questa scelta è davanti a noi: vivere per avere in terra oppure dare per
guadagnare il cielo. Perché per il cielo non vale ciò che si ha, ma ciò che si dà».
19.11.2017