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A Madre Agata Carelli,

Suora Canossiana
“Vagabonda della Carità”

Alla Mamma Santina


che è salita in Cielo

Ai poveri e a coloro
che non hanno voce

stampato in proprio
“I poveri li avete sempre con voi”
giustizia, solidarietà , misericordia e Carità
Introduzione

Mi sono posto, all'inizio di questo lavoro, le seguenti domande :<< Chi è il


povero? >>, << Cos'è la povertà? >> E' intesa allo stesso modo dal mondo
biblico? Che significato ha nella nostra società post moderna?
Per il credente in Cristo chi sono i poveri? Che posto hanno nella gerarchia
dei valori? chi rapprentano?
Ma ci sono davvero i poveri? Ci sono, ma non li vediamo. Ci sono e non
lontano da noi. Dove sta di casa il povero, dove lo si può conoscere? Dove
soffre e attende che qualcuno gli si metta accanto? Dove?

<< I poveri li avete sempre con voi; ma non sempre avete Me >> (cfr Mt
26,11), dice il Signore, ed allora ci sono e li devo avvicinare, conoscere,
amare .
I credenti non possono non voler bene ai poveri; ai poveri vogliamo e
dobbiamo voler bene in nome del Signore.
I poveri sono una realtà concreta, non una finzione, anche se non è facile
capire ed accettare la realtà del povero.
Diceva Don Primo Mazzolari : << Dove il fratello è più “ povero “ là c'é
Gesù, e << senza una conoscenza umana del povero non si arriva alla
conoscenza fraterna >> 1.
E in altro passo dice che ha bisogno di una visione umana del povero
<< perché il povero non ha nazione, né classe, né partito: é l'uomo che
domanda a tutti pietà e amore....e per poterlo fare, bisogna che il fratello si
manifesti all'uomo, come in un ostensorio. Chi non sente l'amore
dell'uomo, non può avere fratelli, e chi non arriva al fratello rischia di
cancellare anche l'uomo >>. 2
Dobbiano uscire da noi stessi e con generosità e misericordia vedere i
poveri, gli amati da Dio.

l'autore

1
Cfr P. MAZZOLARI, La parola ai poveri, a cura di L.Sapienza, EDB, Bologna 2016, 51-52
2
Ibidem 52-53.
Premessa

ll tema degli ultimi nella Bibbia potrebbe essere formulato con una parola
più familiare: i poveri.
Però credo che il termine poveri, e peggio ancora povertà, sia ambivalente;
mentre la parola ultimi ci dice qualche cosa del luogo e delle persone nelle
quali e tra le quali si trova Dio, se teniamo presente il Vangelo, la buona
notizia di Dio che ha condiviso la nostra storia a partire dall'estremità della
forma umana: l'estremità del malato, del peccatore, della donna, del
bambino, e per ultimo del criminale crocifisso. Per secoli la Chiesa ha
annunciato il Vangelo ai poveri, e uomini e donne hanno scelto di vivere
con i poveri per annunciare questa buona Novella. Ma qui si pone subito
una domanda: chi sono i poveri? Sono gli umili? Sono i deboli? Sono gli
emarginati? Sono gli ultimi. Ma cosa vuoi dire ultimi?

Ho cercato nei dizionari di lingua italiana il significato attuale di povero


per enuclearne il senso più recondito del termine, ma le definizioni ricavate
non mi sembrano dal punto di vista religioso, etico-morale complete ed
esaustive.

Nel Dizionario “IL NUOVO ZINGARELLI”, Bologna, 1990., viene definito


Povero (lat.pauperu(m) la persona o gruppo che dispone di scarsi mezzi di
sussistenza, che non ha sufficienti risorse economiche (indigenza, miseria,
povertà);e Povertà (lat. Paupertate(m), qualità e condizione del povero,
miseria.
Nel Dizionario “SABATINI COLETTI”( https ://dizionari.corriere.it) : povero
è colui che ha pochi o insufficienti mezzi per vivere; è un misero o un
indigente.
Nel Dizionario “(il nuovo) DIZIONARIO ITALIANO GARZANTI”, 1991 :
povero è colui che non possiede mezzi per vivere o ne possiede
scarsamente; che possiede un reddito molto inferiore a quello medio della
collettività a cui appartiene; è colui che denota miseria.
Nel Dizionario “LA REPUBBLICA” (https://dizionari.repubblica.it)) : povero è
chi non ha denaro, chi dispone di scarsi mezzi di sussistenza, dello stretto
necessario.
Nel Dizionario “TRECCANI”(www. Treccani.it) : povero riferito a persona
che non dispone a sufficienza di quanto è essenziale per vivere, per
sostentarsi, che ha scarsi mezzi economici, che manca del denaro
necessario e di tutto quanto il denaro può procurare; nell'uso comune è un
mendicante, accattone.

Sinonimi di povero: disagiato, indigente, misero, modesto, deprivato,sven-


turato, umile, accattone, mendicante, nullatenente, spiantato, disgraziato, in-
felice, non abbiente, squattrinato, mendico, ecc.

Misero (dal lat. Miser -èri), persona che è afflitto da sciagure spirituali e
materiali tali da suscitare il compatimento.
Sinonimi di miseria: bisogno, stenti, privazioni, indigenza, miserabilità,
ristrettezza, angustia, insufficenza, scarsezza, scarsità, necessità,mancanza,
carenza, difetto, penuria, limitatezza.

Indigente (dal lat. Indigens -entis, part.pres.di indigere “avere bisogno”),


colui che si trova in assoluta miseria, in stato di estrema povertà, privo del
l'indispensabile per vivere.

Tuttavia ci sono dei 'significati 'che non vengono spiegati dai Dizionari di
Lingua, ci sono dei 'valori di senso' non epressi, 'valenze' nascoste che
voglio indagare, sul piano religioso e spirituale, oltre che esperenziale.
Voglio comprendere che significato hanno le parole povero, povertà, mise-
ria, indigenza nel testo biblico, cominciando dalle parole del Maestro Gesù,
raffrontandole con il testo biblico veterotestamentario.

Mi si potrebbe obiettare che ho posposto l'Antico testamento al Nuovo


Testamento. In realtà, la mia scelta è giustificata dalla comprensione che il
Nuovo è il compimento del Primo Testamento, e ciò che emerge nelle
parole di Cristo, la vera Torah, definitiva e ultima, comprende sensi e
significati che non potevano essere espressi in pienezza prima del Ministero
pubblico di Cristo, il Messia. La Giustizia di Gesù è superiore a quella
degli Scribi e dei Farisei, ad esempio .
Perchè affrontare le problematiche della povertà, dei poveri partendo dalla
Sacra Scrittura ?
Solo radicandosi alla Parola è possibile pervenire alla comprensione del
tema in oggetto, in quanto ci si apre al pensiero di Dio e alla sua volontà.
Pertanto inizerò a presentare le Beatitudini del povero proclamate da Gesù
per andare a ritroso nei libri biblici antecedenti.
Capitolo I

I.I. Il povero nelle Beatitudini

Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e messosi a sedere, gli si


avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo la parola, li ammaestrava dicendo:

Beati i poveri in spirito,


perchè di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti,
perchè saranno consolati.
Beati i miti,
perchè erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia,
perchè saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perchè troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perchè vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perchè saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perchè di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno
ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
Rallegratevi ed esultate, perchè grande è la vostra ricompensa nei cieli.
Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi. (Mt 5, 1-12).

Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù diceva :

Beati voi poveri,


perchè vostro è il regno di Dio.
Beati voi che ora avete fame,
perchè sarete saziati.
Beati voi che ora piangete,
perchè ridete.
Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando
e v'insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del
Figlio dell'uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perchè, ecco, la
vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo stesso modo infatti facevano i
loro padri con i profeti.(Lc 6, 20-23).

Le maledizioni

Ma guai a voi, ricchi,


perchè avete già la vostra consolazione.
Guai a voi che ora siete sazi,
perchè avrete fame.
Guai a voi che ora ridete,
perchè sarete afflitti e piangerete.
Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi.
Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi
profeti. (Lc 6, 24-26).

Le Beatitudini sono collocate all'inizio del grande discorso della montagna


dall'Evangelista Matteo, e del discorso della pianura dall'Evangelista Luca.
In Matteo sono poste all'inizio assoluto della predicazione di Gesù, subito
dopo l'esperienza delle tentazioni nel deserto e la chiamata dei primi quattro
suoi discepoli, mentre grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea,
dalla Decàpoli, da Gerusalemme, dalla giudea e da oltre il Giordano.
Luca, invece, riferisce poco dopo aver scelto i dodici suoi discepoli, mentre
una gran folla di discepoli e una gran moltitudine di gente lo seguiva anche
dal litorale di Tiro e di Sidone. Ma Luca , nella forma più breve di Matteo,
ai quattro “beati” fa corrispondere quattro “guai”. Questa contrapposizione
non è nuova nella Scrittura : Isaia scrive “

“Ecco, i miei servi mangeranno


e voi avrete fame;
ecco, i miei servi berranno
e voi avrete sete;
ecco, i miei servi gioiranno
e voi resterete delusi;
ecco, i miei servi giubileranno
per la gioia del cuore,
voi griderete per il dolore del cuore,
urlerete per la tortura dello spirito..” (Is 65,13-14)

Sorprende il credente nell'udire nelle beatitudini che i “poveri” sono beati,


cioè “felici”.Sembra paradossale che a coloro che sono poveri, oppressi, di-
sprezzati dagli uomini, viene promessa questa “beatitudine”, questa “felici-
tà”. Ma proprio a questi ultimi, secondo Lc 4,18s, Gesù porta il lieto mes-
saggio:

“Lo Spirito del Signore è sopra di me;


per questo mi ha consacrato con l'unzione,
e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio,
per proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
per rimettere in libertà gli oppressi,
e predicare un anno di grazia del Signore.”

L'evangelo della Signoria di Dio che ora, con Gesù il Messia, si è avvicinata
(Mc 1,15 :”Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete
al vangelo”) significa “sovvertimento di tutti i valori” , e << soltanto per amore
di questo unico assoluto “valore” (Mt 13,44-46 : le brevi similitudini del regno
dei cieli ad un tesoro del campo,che per averlo l'uomo vende tutti suoi averi, e ad
una perla preziosa, che per possederla si vende tutto) ciascuno può essere
dichiarato, in verità, beato 3>>.
Quando si parla di beatitudine, come nei passi scritturistici sopra evidenziati, si
fa riferimento non solo alla partecipazione a quella degli angeli e santi o alla
beatitudine dei grandi defunti, ma anche alla felicità terrena, qui e ora,
anticipazione di quella futura, di una futura salvezza, il regno di Dio compiuto,
che tuttavia viene promesso già ora , per il quale si può essere “iscritti in cielo”.

Le Beatitudini, per meglio comprenderne il loro significato teologico, non sono


e non costituiscono una novità nella Sacra Scrittura, soprattutto in quella
veterotestametaria (Salmi, Profeti, Sapienziali, ecc), ma nuovo è lo spirito che le
muove; esse sono parole di promessa e parole programmatiche per il cammino
spirituale del discepolo. Qui c'è un capovolgimento dei criteri valoriali: << I
criteri mondani vengono capovolti non appena la realtà è guardata nella giusta
prospettiva, ovvero dal punto di vista della scala dei valori di Dio, che è diversa
dalla scala dei valori del mondo >>.4
Sembra paradossale, se guardiamo la realtà con criteri mondani, umani, che
proprio coloro che il mondo considera persone sfortunate, povere e perdute
siano, dal punto di vista di Gesù, proprio soggetti destinatari delle promesse
escatologiche ( da éschaton, di ciò che deve venire, ma che è già presente, qui e
ora), soggetti privilegiati in quanto benedetti dal Padre, e nonostante le
sofferenze, le privazioni e le umiliazioni, possono rallegrarsi in Dio, giubilare in
Dio, nel tempo presente.

3
Cfr A. GRABNER – HAIDER, voce Beatitudine in Prontuario della Bibbia, EDB. Bologna 2000 , 67.
4
Cfr J.RATZINGER, BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano, 2007, 95.
Senza addentrami nello specifico, poichè molti hanno scritto e interpretato il
significato proprio delle Beatitudini, come i Padri della Chiesa, i Teologi di ogni
tempo, richiamo solo il senso, il carattere cristologico delle Beatitudini. Esse
sono state personificate da Cristo stesso, assunte da Cristo nella sua vita terrena
e costituiscono il riferimento criteriologico del discepolo che si mette alla sua
sequela. Esse sono “ una nascosta biografia interiore di Gesù”, come ha detto
papa Benedetto XVI. Infatti, Egli, Figlio di Dio, prima di noi, ha manifestato la
sua povertà (da ricco che era per la sua divinità si è spogliato per arricchire
l'uomo), la mitezza e l'umiltà di cuore, la sua condizione di operatore di pace, di
chi soffre per amore , obbediente al Padre fino a donare la sua vita e solidale con
la sofferenza degli uomini. In Lui, il discepolo è chiamato a vivere il mistero
delle Beatitudini. -

Nell'esortazione apostolica sulla chiamata alla santità nel mondo contempora-


neo “Gaudete et exsultate” di Papa Francesco ( 19 Marzo 2018) vi è contenuta,
nel capitolo terzo, una riflessione sul discorso delle Beatitudini.La parola
“felice” o “beato” diventa sinonimo di “santo”, perchè esprime che la persona
fedele a Dio e che vive la sua Parola raggiunge, nel dono di sé, la vera
beatitudine.

Chi sono, dunque, i poveri, cos'è la povertà nella prospettiva del Dio di Gesù? A
questa domanda cerco di dare qualche risposta, anche nei libri dall'Antico
Testamento.

I.II. Significati di “povero “ nella Bibbia : Nei salmi

Israele in molti Salmi aveva espresso la pietà dei poveri, avendo sofferto la
condizione di povertà durante e dopo l'esilio, e aveva riconosciuto la vicinanza a
Dio dei poveri nella loro umiltà.

Dal salmo 46 :

Dio è per noi rifugio e forza,


aiuto sempre vicino nelle angosce.
…......
Il Signore degli eserciti è con noi,
nostro rifugio è il Dio di Giacobbe.

Dal Salmo 55

Porgi l'orecchio, Dio, alla mia preghiera,


non respingere la mia supplica;
dammi ascolto e rispondimi,
mi agito nel mio lamento
e sono sconvolto al grido del nemico,
al clamore dell'empio.
…......
Io invoco Dio
e il Signore mi salva:
Di sera, al mattino, a mezzogiorno
mi lamento e sospiro
ed egli ascolta la mia voce;
mi salva, mi dà pace da coloro
che mi combattono:
sono tanti i miei avversari:
Dio mi ascolta e li umilia,
egli che domina da sempre.
Getta sul Signore il tuo affanno
ed egli ti darà sostegno,
mai permetterà che il giusto vacilli.

Dal Salmo 123

A te levo i miei occhi,


a te che abiti nei cieli.
Ecco, come gli occhi dei servi
alla mano dei loro padroni;
come gli occhi della schiava
alla mano della sua padrona,
così i nostri occhi
sono rivolti al Signore nostro Dio,
finchè abbia pietà di noi.
Pietà di noi, Signore, pietà di noi,
già troppo ci hanno colmato di scherni,
noi siamo troppo sazi
degli scherni dei gaudenti,
del disprezzo dei superbi.

Dal Salmo 85

Signore, tendi l'orecchio,rispondimi,


perchè sono povero e infelice.
Custodiscimi perchè sono fedele;
tu, Dio mio, salva il tuo servo, che in te spera.
Pietà di me, Signore, a te grido tutto il giorno.
Rallegra la vita del tuo servo,
perchè a te, Signore, innalzo l'anima mia.
Tu sei buono, Signore, e perdoni,
sei pieno di misericordia con chi ti invoca.
Porgi l'orecchio, Signore, alla mia preghiera
e sii attento alla voce della mia supplica.
Nel giorno dell'angoscia alzo a te il mio grido
e tu mi esaudirai.

Dal Salmo 34

Benedirò il Signore in ogni tempo,


sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore,
ascoltino gli umili e si rallegrino.
Celebrate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore e mi ha risposto
e da ogni timore mi ha liberato.
Guardate a Lui e sarete raggianti,
non saranno confusi i vostri volti.
Questo povero grida
e il Signore lo ascolta,
lo libera da tutte le sue angosce.

Dal Salmo 145

Loda il Signore, anima mia:


loderò il Signore per tutta la mia vita,
finché vivo canterò inni al mio Dio.
Non confidate nei potenti,
in un uomo che non può salvare.
Esala lo spirito e ritorna alla terra;
in quel giorno svaniscono
tutti i suoi disegni.
Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe,
chi spera nel Signore suo Dio,
creatore del cielo e della terra,
del mare e di quanto contiene.
Egli è fedele per sempre,
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri,
il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge lo straniero,
egli sostiene l'orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie degli empi.
Dal Salmo 9

Il Signore sarà un riparo per l'oppresso,


in tempo di angoscia un rifugio sicuro.
Confidino in te quanti conoscono il tuo nome,
perchè non abbandoni chi ti cerca, Signore.
Sorgi, Signore, alza la tua mano,
non dimenticare i miseri.
Perchè l'empio disprezza Dio
e pensa <<non ne chiederà conto>>?
Eppure tu vedi l'affanno e il dolore,
tutto tu guardi e prendi nelle tue mani.
A te si abbandona il misero,
dell'orfano tu sei sostegno.
…....
Tu accogli, Signore, il desiderio dei miseri,
rafforzi i loro cuori, porgi l'orecchio
per far giustizia all'orfano e all'oppresso;
e non incuta più terrore
l'uomo fatto di terra.

Dal Salmo 40

Beato l'uomo che ha cura del debole,


nel giorno della sventura il Signore lo libera.
Veglierà su di lui il Signore,
lo farà vivere beato sulla terra,
non lo abandonerà alle brame dei nemici.
Il Signore lo sosterrà sul letto del dolore;
gli darai sollievo nella sua malattia.

Dal Salmo 137

Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:


hai ascoltato le parole della mia bocca.
A te voglio cantare davanti agli angeli,
mi prostro verso il tuo tempio santo.
…......
Canteranno le vie del Signore,
perchè grande è la gloria del Signore;
eccelso è il Signore e guarda verso l'umile,
ma al superbo volge lo sguardo da lontano.

Dal Salmo 33
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode:
Io mi glorio nel Signore,
ascoltino gli umili e si rallegrino:
Celebrate con me il Signore,
esultiamo insieme il suo nome.
….....
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo libera da tutte le sue angosce.
L'angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono e li salva.

Dal Salmo 67
Cantate a Dio, inneggiate al suo nome,
spianate la strada a chi cavalca le nubi:
<< Signore >> è il suo nome,
gioite davanti a lui.
Padre degli orfani e difensore delle vedove
è Dio nella sua santa dimora.
Ai derelitti Dio fa abitare una casa,
fa uscire con gioia i prigionieri;
solo i ribelli abbandona in arida terra.

Dal Salmo 9

Ti loderò, Signore, con tutto il cuore


e annunzierò tutte le tue meraviglie.
Gioisco in te ed esulto,
canto inni al tuo nome, o Altissimo.
….......
Il Signore sarà un riparo per l'oppresso,
in tempo di angoscia un rifugio sicuro.
Confidino in te quanti conoscono il tuo nome,
perchè non abbandoni chi ti cerca, Signore.

Dal Salmo 24

A te, Signore, elevo l'anima mia,


Dio mio, in te confido: non sia confuso!
Non trionfino su di me i miei nemici!
Chiunque spera in te non resti deluso,
sia confuso chi tradisce per nulla.
…......
Buono e retto è il Signore,
la via giusta addita ai peccatori;
guida gli umili secondo giustizia,
insegna ai poveri le sue vie.
Dal Salmo 69

Vieni a salvarmi, o Dio,


vieni presto, Signore, in mio aiuto.
Siano confusi e arrossiscano
quanti attentano alla mia vita.
…....
Gioia e allegrezza grande
per quelli che ti cercano;
dicano sempre :<<Dio è grande >>
quelli che amano la tua salvezza.
Ma io sono povero e infelice,
vieni presto, mio Dio;
tu sei mio aiuto e mio salvatore;
Signore, non tardare.

Dal salmo 101

I miei occhi sono come ombra


che declina,
e io come erba inaridisco.
Ma tu, Signore, rimani in eterno,
il tuo ricordo per ogni generazione.
…......
I popoli temeranno il nome del Signore
e tutti i re della terra la tua gloria,
quando il Signore avrà ricostruito Sion
e sarà apparso in tutto il suo splendore.
Egli si volge alla preghiera del misero
e non disprezza la sua supplica.
Questo si scriva per la generazione futura
e un popolo nuovo darà lode al Signore.

Dal Salmo 74

…..............
Ricorda: il nemico ha insultato Dio,
un popolo stolto ha disprezzato
il tuo nome.
Non abbandonare alle fiere
la vita di chi ti loda,
non dimenticare mai
la vita dei tuoi poveri.
Sii fedele alla tua alleanza.
L'umile non torni confuso,
l'afflitto e il povero lodino il tuo nome.
Papa Benedetto XVI nel suo lavoro 5 scrive che nella pietà espressa nei Salmi
dai poveri, che si riconoscono come il vero Israele, << nel profondo rivolgersi
alla bontà di Dio, nella bontà e nell'umiltà umane, che così si venivano
formando, nell'attesa vigile dell'amore salvifico di Dio, si è sviluppata quel-
l'apertura di cuore che ha spalancato le porte a Cristo. >>
Maria e Giuseppe, i pastori di Betlemme, Simeone e Anna, Zaccaria ed
Elisabetta, i dodici apostoli esprimono quella fede di Israele di attesa, che con
Cristo trova il suo compimento. Essi sono i poveri che nella loro umiltà sono
vicini a Dio, persone interiormente povere e che amano Dio e in Lui pongono
fiducia pura e semplice. << In loro ha inizio il Nuovo Testamento, che si sa in
unione totale con la fede di Israele, la quale matura in direzione di una purezza
sempre maggiore >> 6

Nei Salmi, facendo in prevalenza una lettura spirituale della povertà e una
meditazione orante della figura del povero, si può considerare il povero come
<< l'umile che conduce un'esistenza moralmente sana, opposta a quella dei
potenti e degli arroganti; il sofferente che pone fiducia in Dio nonostante la
solitudine, l'ostilità, la miseria, le prove; il peccatore che sente bisogno del
perdono di Dio.>> 7 Il povero è fiducioso in Dio e confida nel suo aiuto e nella
sua misericordia, ed egli esprime al Signore canti di gratitudine.
I poveri pongono la loro speranza in Dio, percepito e proclamato come Dio
liberatore e salvatore del povero. Perciò essi attirano la sua benevolenza.
La condizione dei poveri non è, certo, ambita dagli uomini, anzi si cerca di
eliminarla dall'esistenza umana, ma spesso è inevitabile. Ciò induce il pio ebreo
a valorizzarla come stimolo di fede. Il povero provato invoca il Signore perchè
lo liberi dalla sua condizione. Il salmista è certo che il Signore, Dio fedele, esau-
dirà l'implorazione del misero. La liberazione del povero troverà la sua
realizzazione soprattutto dal Messia, come è detto nel Salmo 72:

Dal Salmo 72

Dio dà al re il tuo giudizio,


al figlio del re la tua giustizia;
regga con giustizia il tuo popolo
e i tuoi poveri con rettitudine.
Le montagne portino pace al popolo
5
Cfr J.RATZINGER, BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli , Milano 2007,99.
6
Ibidem 99.
7
Cfr S.DE FIORES – T.GOFFI, ( a cura) NUOVO DIZIONARIO DI SPIRITUALITA', Paoline , Cinisello Balsamo
1989,1243.
e le colline giustizia.
Ai miseri del suo popolo renderà giustizia,
salverà i figli dei poveri
e abbatterà l'oppressore.
Il suo regno durerà quanto il sole,
quanto la luna, per tutti i secoli.
…......
Egli libererà il povero che grida
e il misero che non trova aiuto,
avrà pietà del debole e del povero
e salverà la vita dei suoi miseri.
Li riscatterà dalla violenza e dal sopruso,
sarà prezioso ai suoi occhi il loro sangue.
….....
Abbonderà il frumento nel paese,
ondeggerà sulle cime dei monti.

Ecco dunque un elemento importante di collegamento con il Nuovo


Testamento!

I.III. Nei libri storici

Gli autori veterotestamentari puntano frequentemente l'attenzione verso il


povero. Il riferimento è al complesso letterario basilare della cultura
veterotestamentaria qual è il Pentateuco. La ricchezza era considerata come
una benedizione del Signore.
In che cosa consisteva questa ricchezza? Essa si identificava principalmente
nell'abbondanza di beni, di averi, e nel periodo soprattutto del nomadismo ,
di bestiame. E poi la salute. La convinzione del primitivo popolo d'Israele
si esplicitava nel considerare l'abbondanza di beni come ricompensa da
parte di Dio al servitore fedele per il suo comportamento religioso retto.
Durante il lungo attraversamento del deserto per la conquista della terra
promessa, nel popolo d'Israele non c'era distinzione tra classi sociali di
ricchi e di poveri (solo tribù) : a tutti è assicurata la ricchezza come
benedizione del Cielo. La Terra promessa é quella “ dove scorre latte e
miele “, terra ricca fertile e ubertosa . E sarà così se il popolo si manterrà
fedele a Dio.
I poveri nel Pentateuco costituiscono un'accidentalità, una posizione
sfortunata. Pertanto, a protezione di questi sfortunati , si emanano leggi loro
favorevoli.

Nel levitico (19, 9-10) : “ Quando mieterete la messe della vostra terra,
non mieterete fino ai margini del campo, né raccoglierete ciò che resta da
spigolare della messe; quanto alla tua vigna, non coglierai i racimoli e non
raccoglierai gli acini caduti; li lascerai per il povero e per il forestiero.Io
sono il Signore, vostro Dio”
Qui, come nei Salmi, il povero è unito anche al forestiero. Si tratta di
condizioni di indigenza e di insicurezza sociali che avevano necessità di
tutela.

Nel Deuteronomio ( 14, 28-29 e 15, 1-18) : “ Alla fine di ogni triennio
metterai da parte tutte le decime del tuo provento del terzo anno e le
deporrai entro le tue città ;il levita, che non ha parte né erdità con te,
l'orfano e la vedova che saranno entro le tue città, verranno, mangeranno e
si sazieranno, perchè il Signore tuo Dio ti benedica in ogni lavoro a cui
avrai messo mano.” E' la decima triennale.
Altra situazione meritevole di protezione e tutela è quella della vedova, che
si trova, nello stato esistenziale, senza sicurezza e sostentamento.
Geniale è la legge relativa all'anno sabbatico : “Alla fine di ogni sette anni
celebrerete l'anno di remissione. Ecco la norma di questa remissione: ogni
creditore che abbia diritto a una prestazione personale in pegno per un
prestito fatto al suo prossimo, lascerà cadere il suo diritto: non olo esigerà
dal suo prossimo, dal suo fratello, quando si sarà proclamato l'anno di
remissione per il Signore “
“ Se vi sarà in mezzo a te qualche tuo fratello che sia bisognoso in una
delle tue città del paese che il Signore tuo Dio ti dà, non indurirai il tuo
cuore e non chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso; anzi gli
aprirai la mano e gli presterai quanto occorre alla necessità in cui si trova.
….Poiché i bisognosi non mancheranno mai nel paese, io ti do questo
comando e ti dico : - Apri la mano al tuo fratello povero e bisognoso nel
tuo paese.(Dt.15, 11)

Seguono norme a favore di un fratello ebreo o una ebrea che si vendono ad


un altro e lo serviranno per sei anni, essi hanno il diritto di essere rimandati
liberi il settimo anno, con doni dal gregge, dall'aia e dal torchio del
padrone,:“ ti ricorderai che sei stato schiavo nel paese di Egitto e che il
Signore tuo Dio ti ha riscattato; perciò io ti do oggi questo comando.” (Dt
15,15 ).
Altra categoria sociale che aveva bisogno di protezione e di aiuto era quella
degli Schiavi, che nell'anno sabbatico dovevano essere lasciati allo stato
libero, affrancati con parte delle sostanze del padrone presso cui hanno
svolto il loro servizio.

Altre misure di protezione dei poveri e dei deboli sono prescritte in


Deuteronomio 24, 12-15 : “ Se quell'uomo è povero, non andrai a dormire
con il suo pegno. Dovrai assolutamente restituirgli il pegno al tramonto del
sole, perchè egli possa dormire con il suo mantello e benedirti; questo ti
sarà contato come una cosa giusta agli occhi del Signore tuo Dio”.

I.IV. Nei libri profetici

La povertà, come ci insegna la Scrittura, nasce da un disordine sociale,


dall’ingiustizia e dal sopruso perpetrato da chi, disponendo di molti mezzi,
tende a prevaricare sugli altri. Contro questo disordine si leva la parola
profetica che fa memoria degli impegni dell’alleanza per orientare i cuori
verso la via della vita e denuncia con forza tutto ciò che genera oppressione
e sfruttamento e lede la dignità dell’essere umano.
Nella vicenda storica di Israele ciò che ha provocato un’alterazione
drastica delle condizioni di vita delle persone è stato l’avvento della
monarchia con i suoi effetti, quali il lusso della corte (cf. 1Re 5,2-8), le
grandi opere pubbliche (cf. 1Re 5,27-32; 9,15), l’immissione nella rete del
commercio internazionale (cf. 1Re 10,14-15), le spese per il mantenimento
dell’esercito (cf. 1Sam 8,11-12).
Da tutto questo parte un processo che porta al costituirsi della classe degli
sfruttati, vittime del potere, cui i profeti danno voce, attraverso una parola
di fuoco che punta a estirpare le radici del male.

È soprattutto il profeta Amos che denuncia le ingiustizie che innescano il


processo di impoverimento del popolo che viene trascinato in una
condizione simile alla servitù. Questo popolo oppresso è in balìa di uomini
potenti che lo schiacciano, per cui il povero risulta essere un uomo
diminuito nelle sue capacità e nel suo valore. L’assenza di difese umane
pone il povero alla mercé di gente senza scrupoli, i ricchi, che «hanno
venduto il giusto per denaro e il povero per un paio di sandali, essi che
calpestano come la polvere della terra la testa dei poveri e fanno deviare il
cammino dei miseri» (Am 2,6-7). Accumulando ricchezze e costruendo
residenze lussuose, i ricchi hanno superato ogni misura di sfruttamento e
per questo su di loro si abbatte un giudizio impietoso.

La ricchezza è un veicolo dell'idolatria. Pertanto bisogna gaurdarsi dalla


sovrabbondanza di beni :

Il suo paese è pieno di argento e di oro,


senza fine sono i suoi tesori;
il suo paese è pieno di cavalli,
senza numero sono i suoi carri.
Il suo paese è pieno di idoli;
adorano l'opera delle proprie mani,
ciò che hanno fatto le loro dita.
Perciò l'uomo sarà umiliato,
il mortale sarà abbassato; (Is 2, 7-9)

Si può dire, in sostanza, che i profeti stanno dalla parte dei poveri, fanno
una scelta di campo, prendendo le difese della classe dei poveri, che sono
vittime di ingiustizie, soprusi, prevaricarizioni e discriminazioni.

Così dice il Signore:


<< per tre misfatti d'Israele
e per quattro non revocherò il mio decreto,
perchè hanno venduto il giusto per denaro
e il povero per un paio di sandali;
essi che calpestano come polvere della terra
la testa dei poveri e fanno deviare il cammino dei miseri;
e padre e figlio vanno dalla stessa ragazza,
profanando così il mio santo nome. (Am 2, 6-8)

La Difesa dei poveri e dei giusti è lasciata a Dio, che non tollera lo
sfruttamento dell'uomo sull'uomo.

Ascoltate queste parole,


o vacche di Basàn,
che siete sul monte di Samaria,
che opprimete i deboli, schiacciate i poveri
e dite ai vostri mariti :Porta qua, beviamo!
Il Signore Dio ha giurato per la sua santità:
ecco, verranno per voi giorni,
in cui sarete prese con ami
e le rimanenti di voi con arpioni da pesca.
Uscirete per le brecce, una dopo l'altra
e sarete cacciate oltre l'Ermon,
oracolo del Signore. (Am 4, 1-3)

Anche qui il profeta annuncia la protezione dei deboli e l'intervento di Dio


per i misfatti compiuti su di loro da parte delle donne (vacche) di Samaria.

Ascoltate questo, voi che calpestate il povero


e sterminate gli umili del paese,
voi che dite :<< Quando sarà passato il novilunio
e si potrà vendere il grano?
E il sabato, perchè si possa smerciare il frumento,
diminuendo le misure e aumentando il siclo
e usando bilance false,
per comprare con denaro gli indigenti
e il povero per un paio di sandali?
Venderemo anche lo scarto del grano >>.
Il signore lo giura per il vanto di Giacobbe:
certo non dimenticherò mai le loro opere.(Am 8,4-7)

Anche in questa pericope Dio punirà, a difesa degli indigenti, degli umili e
poveri d'Israele , i fraudolenti e gli sfruttatori, che pensano solo al profitto
illecito a danno della classe dei più poveri.

Spesso i profeti denunciano volenze, ingiustizie, rapine nei confronti degli


indigenti e dei miseri e annunciano l'intervento punitivo di Dio, che chiama
i colpevoli a giudizio:

Il Signore inizia il giudizio


con gli anziani e i capi del popolo:
<< Voi avete devastato la vigna;
le cose tolte ai poveri sono nelle vostre case:
Quale diritto avete di opprimere il mio popolo,
di pestare la faccia ai poveri? >>. (Is 3, 14-15)

“Gli abitanti della campagna commettono violenze e si danno alla


rapina, calpestano il povero e il bisognoso, maltrattano il forestiero,
contro ogni diritto.
Io rovescerò su di essi il mio sdegno: li consumerò con il fuoco della
mia collera: la loro condotta farò ricadere sulle loro teste >>.Oracolo
del Signore (Ez 22, 29-31)

Non solo. Il Signore ama il povero, chiunque egli sia: la vedova, l'orfano, il
misero, il forestiero, lo schiavo. Il ricco ingiusto è punito da Dio, il quale,
attraverso i profeti, sceglie la difesa dell'indigente, del povero. I profeti
condannano l'abuso di potere e la prevaricazione della giustizia, soprattutto
del più debole:

Essi trasformano il diritto in veleno


e gettano a terra la giustizia. (Am 5,7)

Guai a coloro che fanno decreti iniqui


e scrivono in fretta sentenze oppressive,
per negare la giustizia ai miseri
e per frodare del diritto i poveri del mio popolo,
per fare delle vedove la loro preda
e per spogliare gli orfani.
Ma che farete nel giorno del castigo,
quando da lontano sopraggiungerà la rovina? (Is 10,1-3)
Guai a chi costruisce la casa senza giustizia
e il piano di sopra senza equità,
che fa lavorare il suo prossimo per nulla,
senza dargli la paga.
…....
Forse tuo padre non mangiava e beveva?
Ma egli praticava il diritto e la giustizia
e tutto andava bene.
Egli tutelava la causa del povero e del misero
e tutto andava bene.
Questo non significa infatti conoscermi?
Oracolo del Signore.
I tuoi occhi e il tuo cuore,
invece, non badano che al tuo interesse,
a spargere sangue innocente,
a commettere violenza e angherie. (Ger 22,13-17)

I profeti inoltre combattono lo sfruttamento delle vedove e degli orfani,


altre categorie sociali indifese, e l'oppressione del forestiero :

sono grassi e pingui,


oltrepassano i limiti del male;
non difendono la giustizia,
non si curano della causa dell'orfano,
non fanno giustizia ai poveri.
Non dovrei forse punire queste colpe?
Oracolo del Signore. (Ger 5, 28-29)

poiché, se veramente emenderete la vostra condotta e le vostre azioni,


se realmente pronunzierete giuste sentenze fra un uomo e il suo av-
versario; se non opprimerete lo straniero, l'orfano e la vedova, se non
spargerete il sangue innocente in questo luogo e se non seguirete per
vostra disgrazia altri dei, io vi farò abitare questo luogo, nel paese che
diedi ai vostri padri....(Ger 7, 5-8)

Dice il Signore : Praticate il diritto e la giustizia, liberate l'oppresso


dalle mani dell'oppressore, non fate violenza e non opprimete il
forestiero, l'orfano e la vedova, e non spargete sangue innocente in
questo luogo (Ger 22, 3)

Non frodate la vedova, l'orfano, il pellegrino, il misero e nessuno nel


cuore trami il male contro il proprio fratello (Zc 7.10)

I tuoi capi sono ribelli


e complici di ladri;
tutti sono bramosi di regali,
ricercano mance,
non rendono giustizia all'orfano
e la causa della vedova fino a loro non giunge (Is. 1,23)

Anche nel rapporto padrone-servo si evidenziano l'abuso del rapporto e


l'ingiustizia:

Questa parola fu rivolta a Geremia dal Signore, dopo che il re Sedecia


ebbe concluso un'alleanza con tutto il popolo che si trovava a
Gerusalemme, di proclamare la libertà degli schiavi, rimandando
liberi ognuno il suo schiavo ebreo e la sua schiava ebrea, così che
nessuno costringesse più alla schiavitù un Giudeo suo fratello.
Tutti i capi e tutto il popolo, che avevano aderito all'alleanza,
acconsentirono dunque e li rimandarono effettivamente; ma dopo si
pentirono e ripresero gli schiavi e le schiave che avevano rimandati
liberi e li ridussero di nuovo schiavi e schiave.
…...Perciò dice il Signore:....ecco, io affiderò la vostra liberazione alla
spada, alla peste e alla fame e vi farò oggetto di terrore per tutti i regni
della terra.(Ger 34, 8- 17)

Anche altre azioni erano considerate peccaminose, perchè non solo si


commettono soprusi e prevaricazioni verso i poveri, ma soprattutto perchè
esse costituiscono una palese violazione all'alleanza e alla parola di Dio,
come ad esempio ogni azione di accaparramento e di speculazione
immobiliare e terriera. La terra é di tutti, é per tutti, è per la comunione:

Sono avidi di campi e li usurpano,


di case, e se le prendono.
Così opprimono l'uomo e la sua casa,
il proprietario e la sua eredità.
Perciò così dice il Signore:
<< ecco, io medito contro questa genìa
una sciagura da cui non potranno sottrarre il collo
e non andranno più a testa alta,
perchè sarà quello tempo di calamità...>>(Mic 2,2-3)

Guai a voi, che aggiungete casa a casa


e unite campo a campo,
finché non via sia più spazio,
e così restate soli ad abitare nel paese.
Ho udito con gli orecchi il Signore degli eserciti:
<< Certo, molti palazzi
diventeranno una desolazione,
grandi e belli
saranno senza abitanti...>> (Is 5,8-9)

I.V. Nei libri sapienziali


Anche nei libri sapienziali si può dire che sussistono le due classi, le due
categorie dei ricchi e dei poveri, che talvolta, come nei profeti , gli uni
opprimono gli altri:

spadroneggiamo sul giusto povero,


non risparmiamo le vedove,
nessun riguardo per la canizie ricca d'anni del vecchio.
La nostra forza sia regola di giustizia,
perché la debolezza risulta inutile. ( Sap 2,10-11)

Qui viene in evidenza una nuova categoria sociale: quella dell'anziano,


debole, indifeso come il povero e la vedova.
E' convinzione di alcuni studiosi che i libri sapienziali non siano univoci
nell'interpretare il binomio ricco-povero, e talvolta incoerenti. Ora si esalta
la ricchezza che procura vantaggi, preferenze, onori, felicità e sicurezza,
pace e amicizie, risultato di operosità, attività onesta e vigilanza; ora si
difende il povero e il misero, anche se la povertà può essere soppravvenuta
per causa propria o per pigrizia:

Va' dalla formica, o pigro,


guarda le sue abitudini e diventa saggio.
Essa non ha né capo,
né sorvegliante, né padrone,
eppure d'estate si provvede il vitto,
al tempo della mietitura accumula il cibo.
Fino a quando, pigro, te ne starai a dormire?
Quando ti scuoterai dal sonno?
Un po' dormire, un po' sonnecchiare,
un po' incrociare le braccia per riposare
e intanto giunge a te la miseria, come un vagabondo,
e l'indigenza, come un mendicante.( Pro 6,6-11)

E' palese, tuttavia, la dimensione preferenziale per il povero.


Essere povero non significa una punizione divina, un castigo del cielo, ma
può essere considerata una situazione, anche se sgradevole, di prova di
fedeltà dell'uomo a Dio. Vedi il racconto dell'esperienza di Giobbe, provato
in tutto, negli affetti, nei beni, nella malattia, e si mantiene fedele a Dio.
La preferenza degli autori sapienziali per i poveri è esplicita in alcuni passi
e Dio si prende cura di loro; la loro preghierà verrà esaudita :

La preghiera del povero va dalla sua bocca agli orecchi di Dio,


il giudizio di lui verrà a suo favore. (Eccl 21,5)

Dio difende il povero, quasi ad identificarsi in lui :


Non depredare il povero, perchè egli è povero,
e non affliggere il misero in tribunale,
perchè il Signore difenderà la loro causa. (Pro 22,22-23)

Chi fa la carità al povero


fa un prestito al Signore
che gli ripagherà la buona azione (Pro 19,17)

Chi deride il povero


offende il suo creatore ( Pro 17,5)

<< Queste dichiarazioni mettono le basi dell'interpretazione sacramentale


del povero. La visione spirituale della figura del povero e l'interpretazione
ascetica della povertà sono embrionali in questi testi. Maggiore spessore
morale ha l'atteggiamento che si assume verso di loro. Non si giunge a
proclamare “beati “ i poveri, ma si dichiara “beato chi ha pietà degli umili”
>> 8 L'elemosina può manifestare un animo religioso :

Tuttavia sii longanime con il misero,


e non fargli attender troppo l'elemosina.
Per il comandamento soccorri il povero,
secondo la sua necessità non rimandarlo a mani vuote (Eccli 29, 8-9)

Per tutti quelli che la compiono,


l'elemosina è dono prezioso davanti all'Altissimo (Tb 4,11)

Nei libri di Tobia, Ester e Giuditta si ravvisa l'immagine del povero nel
popolo d'Israele, vinto, deportato ed esiliato. Qui Israele è simbolo di
povertà. In quella situazione di captività egli comprende l'errore, il
riconoscimento della sua infedeltà a Dio e ravvedendosi, si riconosce di
fronte a Lui bisognoso dell'aiuto del Signore. Questa è la visione
sapienziale della storia, d'Israele.

Sintesi

I poveri occupano un posto importante nella Bibbia, dal profeta Amos a


Matteo: Dio ha per essi uno sguardo particolare. Egli ha con loro una
relazione privilegiata. E, secondo san Paolo, bisogna scoprire in essi
l’immagine di Cristo che si è fatto povero.
Nella lingua ebraica per dire povero si usa un vocabolo anaw, che verrà
ripreso da Gesù, e significa stare sotto, essere curvato, essere sottoposto,
essere dipendente. Perciò nella lingua ebraica il povero non è colui che
8
Cfr S.DE FIORES – T.GOFFI, ( a cura) NUOVO DIZIONARIO DI SPIRITUALITA', Paoline , Cinisello Balsamo
1989,1245.
manca di cibo, di vestito, di casa, ma l'uomo che è privo di libertà e di
dignità. Mancando di cibo, di casa, di vestito... gli mancano quegli elementi
per avere libertà e dignità. Ma prima di tutto interessa l'aspetto umano:
questo fa di lui il povero, l'oppresso, il dipendente, il curvato, come sotto la
schiavitù in Egitto.

Nel leggere i testi dell'A.T., si resta colpiti nel costatare il posto importante
che occupano i poveri. Durante “la belle époque”, che costituisce l’ottavo
secolo precedente l’era corrente, il profeta Amos prende la loro difesa (Am
5,11-12). Un secolo più tardi, un altro profeta, Sofonia, fa dei “poveri del
paese”i promotori di un cambiamento positivo: essi sono definiti il “resto
d’Israele”(So 3, 11-13). Il Deuteronomio, libro legislativo, stipula: “Che
non ci siano poveri presso di te (Dt 15,14)”.I membri del popolo sono
invitati a considerarsi tutti fratelli. Sono prescritte un certo numero di
pratiche di solidarietà: il riscatto degli schiavi ebrei al termine del settimo
anno di servizio; un anno di riposo della terra, ogni sette anni, per la
condivisione con i poveri, ecc.
Il ritorno dall’esilio a Babilonia rappresenta una svolta decisiva. I poveri
non costituiscono più una categoria di persone del popolo che ritorna nella
sua terra, ma il popolo intero (leggi Isaia, capitoli 40-55), rappresentato
sotto i tratti del servo sofferente (capitoli 52 e 53). Israele è chiamata “la
mendicante” (51-21). Al capitolo 61 dello stesso Isaia, si fa allusione ad un
personaggio dall’identità misteriosa - si tratta del profeta? Del Messia? Di
Gerusalemme? - che dichiara:“Lo Spirito del Signore Dio è su di me,
perché il Signore mi ha consacrato: egli mi ha mandato a proclamare la
buona novella ai poveri”.La parola greca corrispondente è “evangelizzare”.

Questi poveri li si ritrova nei Salmi. Spesso sono essi che prendono la
parola; e Dio non resta sordo al loro grido: “Un povero grida e Dio lo
ascolta e lo salva da tutte le sue angosce (34,7, secondo la numerazione
ebraica).” Ai sapienti spetta il compito di superare la stretta visione di
Israele e di allargare la riflessione a tutta l’umanità.
Se arrivano a denunciare la povertà come un frutto possibile della pigrizia
(vedi il libro dei Proverbi 24, 30-34) la maggior parte del tempo essi
ricalcano la posizione dei profeti e prendono le difese dei poveri.
“Chi opprime il povero, dice uno di essi, offende il suo creatore (Pr
14,31)”.E’ dunque chiaro che Dio prende le parti dei poveri. Questi
costituiscono l’oggetto privilegiato della sua attenzione.

Ma cosa si intende esattamente per “poveri”? E come mai questa “scelta


preferenziale” di Dio nei loro confronti?
<< Il povero è colui che possiede poche cose. Ma “il Semita” è più
sensibile all’inferiorità sociale che rende le persone di modesta condizione
le prede dei potenti e dei violenti… Il povero appare come uno
sprovveduto, i Giudei lo guardano come un uomo indifeso. I due principali
termini ebraici per designare i poveri –‘ani' e ‘anaw', usati prevalentemente
al plurale ‘anawim' - fanno riferimento ad una situazione di miseria sociale.
Tuttavia in alcuni testi il secondo esprime ugualmente una sfumatura
religiosa.
“Cercate l’anawah”, dice Dio per bocca del profeta Sofonia (So 2,3).Il
motto ebreo è generalmente tradotto col termine “umiltà”.
La preoccupazione biblica dei poveri si esprime in molti modi.
L’esperienza fondante di Israele e “il filo conduttore” della sua storia, è - ci
ricorda Alain Durand – “la liberazione dall’oppressione subita dal popolo
in Egitto” (4). Tutte le prescrizioni del libro del Deuteronomio, di cui
alcune riguardano il comportamento nei riguardi dei poveri, sono
inquadrate da alcune narrazioni che fanno memoria dell’Esodo (Es 6,20-24
e 26, 1-11). >> 9

“Mio padre era un Arameo errante - dice il secondo passo - egli è disceso in
Egitto (…) ma gli Egiziani ci hanno maltrattati, essi ci hanno ridotto in
povertà, ci hanno imposto una dura schiavitù…” E’ proprio per il fatto che
Dio ha avuto pietà della miseria del popolo, che esso è chiamato a mostrare
la sua solidarietà verso i miserabili. La liberazione dall’Egitto è da mettere in
correlazione con l’elezione divina di cui beneficia Israele. Ora, per il profeta
Amos, opprimere il povero significa andare contro questa elezione. Il popolo
non è più tale quando opprime i poveri.

Ma il Dio d’Israele, afferma la Bibbia, è lo stesso Dio di tutti gli uomini.


Creati “a sua immagine” (Genesi 1, 27), noi abbiamo la stessa dignità . “E’
per questo l’esclusione del povero è un attentato all’immagine stessa di
Dio”, allora che la pratica della solidarietà “renda testimonianza al-
l’universalità dell’atto creatore”.

I.VI. Nel Nuovo Testamento : i Vangeli

Come ho sopra evidenziato, trattando delle beatitudini, Gesù condivide i


sentimenti dei poveri, assume la loro ansia, li inonda di attenzioni e
promesse, li chiama “beati”.
La sua vicinanza ai poveri si esprime nella solidarietà verso di loro; << una
9
Cfr F.FERRARI, << I POVERI NELLA BIBBIA >>, in Formazione religiosa - BIBBIA, Aprile 2014.
solidarietà che non si ferma all'impegno sociale, ma che lo assume e lo
supera, diventando azione nel campo dello spirito soprattutto perchè
povertà è obbedienza all'evangelo di salvezza. La carica rivoluzionaria del-
l'annuncio messianico sta in questa idea-forza. >> 10

Vi è un passo nel Vangelo che ha un riscontro nel Deuteronomio


(Dt,15,11) : “ Poichè i bisognosi non mancheranno mai nel paese; perciò io
ti do questo comando e ti dico : Apri generosamente generosamente la
mano al tuo fratello povero e bisognoso nel tuo paese “, ed è quello in
Matteo (Mt 26,11) : “I poveri infatti li avete sempre con voi, Me, invece,
non sempre mi avete “.Gesù non è venuto per “ istituzionalizzare” la
situazione precaria dei poveri, ma sollecita i discepoli di ogni tempo ad
eliminare od alleviare con impegno e con sacrificio i disagi, le sofferenze,
le privazioni, le indigenze dei fratelli di ogni epoca, attraverso
l'adempimento della giustizia sociale.
Si pone qui evidentemente un problema di redistribuzione delle ricchezze,
dei beni, che Dio ha donato a tutta l'umanità, di un aiuto concreto, realistico
e tangibile :
Guai a voi , scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta,
dellanéto e del cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della
legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava
praticare, senza omettere quelle .(Mt 23,23)

E ancora :

Gli disse Gesù : “ Se vuoi essere perfetto ,va', vendi quello che
possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e
seguimi”.(Mt 19,21)

Nel giudizio finale il Figlio dell'uomo dirà a quelli della sua destra:

<<Venite benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno


preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perchè io ho avuto
fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da
bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato
e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi.........In verità vi
dico : ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei
fratelli più piccoli, l'avete fatto a me (Mt 25, 34-40)>>.

Ecco cosa deve compiere il credente e senza interruzione. Così i poveri


diventano gli alleati preferenziali dei discepoli di Gesù. La Chiesa, sull'e-
sempio del Maestro, ha sempre espresso la predilezione per i poveri, per
10
Cfr S.DE FIORES – T.GOFFI, ( a cura) NUOVO DIZIONARIO DI SPIRITUALITA', Paoline , Cinisello Balsamo
1989,1246.
gli ultimi, l'opzione per i poveri, che viene definita anche “il privilegio del
povero”.
Ai discepoli Gesù dona loro una carta d'identità: gli otto modi di possedere
già in questo mondo il cuore del povero .(Mt 5,3-10)

Nei macarismi la povertà di cui si parla non è mai una situazionee


puramente materiale, anche se gli svantaggiati di questo mondo hanno
l'accondiscendenza e la benevolenza del Signore. Neppure un
atteggiamento puramente spirituale. Così, la Chiesa deve essere la comunità
dei poveri di Dio, anawim in ebraico, dei “poveri in ispirito”, e
riconoscibile.
I poveri delle Beatitudini sono anche i miti (mansueti ) di cuore, nella
Bibbia greca la parola praeis (al singolare : prays). Cristo è il prototipo, il
modello dell'uomo-re povero; la sua natura più intima è l'umiltà, la
mansuetudine di fronte a Dio e agli uomini.
Il mondo appartiene ai “mansueti “, ai “pacifici” ci dice il Signore , cioè ai
poveri che vivono la povertà a partire da Dio e nella prospettiva di Dio.

<< Il Vangelo ci invita a riconoscere la verità del nostro cuore, per vedere
dove riponiamo la sicurezza della nostra vita.
Normalmente il ricco si sente sicuro con le sue ricchezze, e pensa che
quando esse sono in pericolo, tutto il senso della sua vita sulla terra si
sgretola. Gesù stesso ce l'ha detto nella parabola del ricco stolto (…...) Le
ricchezze non ti assicurano nulla. Anzi, quando il cuore si sente ricco, è
talmente soddisfatto di se stesso che non ha spazio per la Parola di Dio, per
amare i fratelli, né per godere delle cose più importanti della vita.Così si
priva dei beni più grandi. Per questo Gesù chiama beati i poveri in spirito,
che hanno il cuore povero, in cui può entrare il Signore con la sua costante
novità >> 11

Occorre precisare che Luca << non parla di una povertà “di spirito” ma di
essere << poveri >> e basta (cfr Lc 6,20), e così ci invita anche a
un'esistenza austera e spoglia. In questo modo ci chiama a condividere la
vita dei più bisognosi, la vita che hanno condotto gli Apostoli e in definitiva
a conformarci a Gesù, che “da ricco che era, si è fatto povero” (2Cor 8,9)
>> 12 Essere poveri nel cuore, questo, per papa Francesco, é santità.

Altra categoria di poveri è quella degli ”afflitti”. Papa benedetto XVI


11
Cfr FRANCESCO PAPA,Gaudete et exsultate – Esortazione apostolica sulla chiamata alla santità nel mondo
contemporaneo, 19.03.2018, n.67 -68 , Paoline 2018, 58-59.
12
Ibidem n70,59-60.
definisce molto bene questo genere di poveri : << Colui che non indurisce
il cuore di fronte al dolore, al bisogno dell'altro, che non apre l'anima al
male, ma soffre sotto il suo potere dando così ragione alla verità, a Dio,
costui spalanca la finestra del mondo per far entrare la luce.>> 13Inoltre è
colui che non vuole conformarsi al male, con un modo oppositivo a ciò che
fanno molti. Pertanto gli afflitti sono consapevoli di essere protetti
dall'amore e benevolenza del Signore.

Altra categoria sociologica di poveri sono gli afflitti, quelli che sono nel
pianto. Questi sono destinatari della beatitudine. << Il mondo non vuole
piangere: preferisce ignorare le situazioni dolorose, coprirle, nasconderle
(esorcizzarle)....La persona che vede le cose come sono realmente, si lascia
trafiggere dal dolore e piange nel suo cuore , è capace di raggiungere le
profondità della vita e di essere realmente felice. Quella persona è
consolata, ma con la consolazione di Gesù e non con quella del mondo.
Così può avere il coraggio di condividere la sofferenza altrui e smettere di
fuggire dalle situazioni dolorose.In tal modo scopre che la vita ha senso nel
soccorere un altro nel suo dolore (con la stessa consolazione con cui noi
siamo stati consolati da Dio in Cristo), nel comprendere l'angoscia altrui,
nel dare sollievo agli altri. Questa persona sente che l'altro è carne della sua
carne, non teme di avvicinarsi fino a toccare la sua ferita (come
S.Francesco con il fratello lebbroso), ha compassione fino a sperimentare
che le distanze si annullano. Così è possibile accogliere quell'esortazione di
S.Paolo :”Piangete con quelli che sono nel pianto” (Rm 12,15) >> 14

Altri poveri delle Beatitudini sono i 'perseguitati a causa della giustizia',


coloro “che hanno fame e sete di giustizia”.Chi sono? Sono i credenti,
coloro che percorrono le vie del Signore, coloro che hanno fede,
camminando insieme a Cristo Gesù , coloro che vivono della giustizia di
Dio, della fede. I “giusti” sono i poveri che hanno come punto di
riferimento della retta via Cristo, fine e centro della propria esistenza.
<< Gesù stesso sottolinea che (il cammino del credente) va controcorrente
fino al punto da farci diventare persone che con la propria vita mettono in
discussione la società, persone che danno fastidio. Gesù ricorda quanta
gente è perseguitata ed è stata perseguitata semplicemente per aver lottato
per la giustizia, per aver vissuto i propri impegni con Dio e con gli altri
>>.15

13
Cfr J.RATZINGER, BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli , Milano 2007,112.
14
Cfr FRANCESCO PAPA,Gaudete et exsultate – Esortazione apostolica sulla chiamata alla santità nel mondo
contemporaneo, 19.03.2018, n. 75-76 Paoline 2018, 62-63.
15
Cfr FRANCESCO PAPA,Gaudete et exsultate – n 90,69-70.
Altre due categorie enunciate nelle Beatitudini sono i “misericordiosi” e
“i puri di cuore “. Questi ultimi sono quelli che assumono in sé, nella
totalità dell'uomo, il cuore puro, intimamente aperto e libero. Dio si fa “
vedere” a coloro che sono in grado di vederlo, se cioè hanno gli occhi
dell'anima aperti all'infinito di Dio. Condizioni essenziali per accedere alla
visione del volto di Dio sono l'onestà, la sincerità, la giustizia nei confronti
del fratello, del prossimo e della società. E' il contenuto essenziale del
Decalogo, che trova il suo compimento nel Dio di Gesù.

<< Gesù propone un altro stile (di vita) :la mitezza. E' quello che lui
praticava con i suoi discepoli e che contempliamo nel suo ingresso in
Gerusalemme : ” Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un'asina e su un
puledro “ (Mt 21,5; cfr Zc 9,9). (Inotre) Egli disse: << Imparate da me che
sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita (Mt 11,29).
Se viviamo agitati, arroganti di fronte agli altri, finiamo stanchi e spossati.
(….) La mitezza è un'altra espressione della povertà interiore, di chi ripone
la propria fiducia solamente in Dio. Di fatto nella Bibbia si usa spesso la
medesima parola anawim per riferirsi ai poveri e ai miti.(...) E' meglio
essere sempre miti, e si realizzaranno le nostre grandi aspirazioni >>16

I misericordiosi sono i poveri di Dio che hanno bisogno dell'amore


salvifico di Dio per poter diventare persone che a loro volta amano i
fratelli. Sono quelli che hanno necessità di un Dio che si fa nostro
prossimo, per poter diventare a nostra volta prossimi, persone che amano,
con il cuore aperto per lasciarsi intercettare dal bisogno del fratello o
cercare di intercettarlo. Allora troviamo il nostro prossimo, anzi, è lui a
trovarci.
L'Essere di Dio di Dio, anche nell'Antico Testamento si manifesta nella sua
misericordia. La misericordia è espressione della sua essenza divina.
<< Dio non è il Dio dell'ira e della giustizia, ma il Dio della mise-
ricordia....La sua misericordia è la sublimità e sovranità, la sua essenza. La
sovranità di Dio si manifesta soprattutto nel rimettere e nel perdonare.
Rimettere e perdonare è cosa che può fare solo colui che non sta sot-
to.....Perdonare lo può solo Dio e il perdono fa parte della sua essenza.....
Nella sua misericordia Dio si rivela come il totalmente altro e
paradossalmente, nello stesso tempo, come il totalmente a noi vicino. La
sua trascendenza non è lontananza infinita e la sua vicinanza non è
familiarità priva di distanze >>.17
16
Cfr FRANCESCO PAPA,Gaudete et exsultate – Esortazione apostolica sulla chiamata alla santità nel mondo
contemporaneo, 19.03.2018, n. 71-72 e 74 , Paoline 2018, 60-61.
17
Cfr W.KASPER, MISERICORDIA Concetto fondamentale del Vangelo – Chiave della vita cristiana,Queriniana,
Brescia 2013,82-83.
Così, nell'evangelo di Gesù, il credente viene invitato ad essere misericor-
dioso, come lo è il Padre. L'apice e il punto culminante della misericordia e
dell'amore richiesti ai discepoli sono costituiti per Gesù, proprio nel
discorso della montagna e nel comandamento dell'amore dei nemici :
<<Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano >>.

<< La misericordia ha due aspetti: é dare, aiutare, servire gli altri e anche
perdonare, comprendere.Matteo riassume questo in una regola d'oro: “Tutto
quanto vorrete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro
“(7,12).
Il Catechismo ci ricorda che questa legge si deve applicare “in ogni caso “
in modo speciale quando qualcuno “talvolta si trova ad affrontare situazioni
difficili che rendono incerto il giudizio morale (Catechismo della Chiesa
Cattolica,1789) >>18

Nel vangelo i poveri esprimono una realtà sacramentale, sono sacramento


nel senso che in loro si cela o si serve lo stesso Gesù :

E chi avrà dato anche solo un bichiere di acqua fresca a uno di questi
piccoli, perchè mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua
ricompensa. (Mt 10,42)

Rispondendo, il re dirà loro : In verità vi dico : ogni volta che avete


fatto queste cose a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a
me. (Mt 25, 40)

Gli umili e i poveri vengono, nel Magnificat della B.V. Maria, innalzati e
arricchiti, mentre Dio misericordioso salva i potenti e i ricchi umiliandoli
e facendo compiere loro l'esperienza della povertà. L'Onnipotente salva i
poveri facendo prender loro coscienza della loro dignità :

Di generazione in generazione la sua misericordia


si stende su quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nel pensiero del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato a mani vuote i ricchi. (Lc 1, 50-53)

Maria è il modello di umiltà e di povertà sull'archetipo del Figlio suo Gesù-


Dio, e la sua storia personale è caratterizzata dalla “tapeinosis” (o
humilitas), che si riscontra nei suoi atteggiamenti fondamentali di serva del
18
Cfr FRANCESCO PAPA,Gaudete et exsultate – n.80 , Paoline 2018, 64-65.
Signore, umile, docile, dolce, fiduciosa, nell'accettazione dell'ultimo posto,
e la povertà di Maria è definita “una povertà teologale interiorizzata”.19
<< Per meritare la sua misericordiosa alleanza di Dio non è sufficiente
nutrire generici sentimenti di religiosità, ma bisogna essere umili e poveri
teologalmente, cioè d'una povertà e umiltà qualificate dalla fede e dalla
speranza >>.20

Cristo e la sua Chiesa esprimono ,come è stato, detto l'opzione per i poveri,
per la povertà; l'evangelo prende le distanze dalla ricchezza e dai ricchi,
finchè restano tali. Le ricchezze sovrabbondanti sono viste come un
pericolo per l'accoglienza della Parola e per la salvezza : “ Quello seminato
tra le spine è colui che ascolta la parola , ma la preoccupazione del
mondo e l'inganno della ricchezza soffocano la parola ed essa non dà
frutto.” (Mt 13,22)
Infine , essere poveri evangelicamente, significa essere inabitati dallo
Spirito Santo che come dono del Salvatore rende, nei poveri, possibile il
disinteresse per la ricchezza, per il possesso individuale, il potere
personale. Poveri, seguendo Cristo in libertà. Solo Lui ricolma il vuoto in
sé e attorno a sé, donando al credente la sicurezza .Significa, altresì, essere
operatori di pace, perchè “per coloro che fanno opera di pace viene
seminato nella pace un frutto di Giustizia .(Gc 3,18).

I.VII. Negli scritti apostolici

I cristiani della primitiva comunità di Gerusalemme “ erano assidui


nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella
frazione del pane e nelle preghiere....Tutti coloro che erano diventati
credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva
proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno
di ciascuno.” (At 2,42-45)
Pertanto, i discepoli prendono alla lettera l'evangelo di Gesù. La Chiesa
primitiva s'impianta sul tessuto culturale della povertà e della comunione,
per i bisogni di tutti.
<< La Comunità post-pentecostale di Gerusalemme visibilizza la
l'evangelo della povertà tramite la Koinonia: comunione profonda nel
cammino della fede e nelle soluzioni organizzative. I discepoli di Gesù si
denominano e sono “fratelli”. La comunione dei beni che volontariamente
realizzano ne viene come conseguenza . I cristiani della comunità non sono
19
Cfr S.DE FIORES – T.GOFFI, ( a cura) NUOVO DIZIONARIO DI SPIRITUALITA', Paoline , Cinisello Balsamo
1989,1246.
20
Ibidem 1246.
poveri, perchè tra loro non vi era nessuno bisognoso; la loro povertà si
interiorizza e diviene motivazione efficace per liberarsi dall'individualismo,
mettendo ogni cosa a servizio della comunità e oltrepassando nei rapporti
interpersonali il criterio gelido della giustizia, preferendo il dinamico ma
più difficile principio del distribuire a ciascuno secondo la necessità (At
4,32. 34-35) >> 21
Ma ciò che li contrassegna è la gioia, dono dello Spirito Santo, con cui
vivono la povertà, come qualità evangelica.

Quali sono allora le ricchezze che i discepoli ricevono e desiderano?


Certo, non sono né argento né oro, ma la potenza taumaturgica del nome di
Gesù : “Ma Pietro gli disse (allo storpio): << Non possiedo né argento né
oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Naza-
reno,cammina! >> (At 3, 6); i discepoli ricevono tutti di doni dello Spirito
Santo : Sapienza, Intelletto, Consiglio, Fortezza, Scienza, Pietà e Timore di
Dio; alcuni sono costituiti apostoli, altri profeti, maestri di fede, altri hanno
il dono delle guarigioni e quello delle lingue, del discernimento dello
spirito.... Dono dello Spirito del Signore sono le tre virtù teologali : Fede,
Speranza e Carità, e le virtù cardinali : Prudenza, Giustizia, Fortezza e
Temperanza. Inoltre essi ricevono il dono della forza della parola
evangelica : “ perchè in lui (Cristo Gesù) siete stati arricchiti di tutti doni,
quelli della parola e quelli della scienza “(1Cor 1,5); donate sono la grazia
e la bontà del Signore : “..per mostrare nei secoli futuri la straordinaria
ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo
Gesù “ .(Ef 2,7)
I discepoli possono accogliere questi doni e in essi fruttificano per il Regno
di Dio perchè si sono conformati a Cristo e al suo Spirito, datore di tutti i
doni, e hanno un'apertura di cuore alla salvezza.

Il ricco nella Chiesa – fraternità, che si è convertito allo spirito delle


beatitudini, all'evangelo, dovrebbe, se la sua conversione è autenticamente
cristiana, “espropriarsi” delle ricchezze, nel senso di non attaccarvi il cuo-
re e di non esserne condizionato e di dare il superfluo ai bisognosi,
sollevandone la loro sorte e dignità, e “spogliarsi” delle proprie sicurezze in
un abbandono fiducioso a Dio, e seguire, come un nomade dello spirito, la
voce del Signore che lo guida. Così è stato nelle primitive comunità
cristiane.
La ricchezza materiale induce ad un sospetto, in quanto rappresenta in sé
un pericolo per la salvezza: “al contrario coloro che vogliono arricchire,

21
Cfr S.DE FIORES – T.GOFFI, ( a cura) NUOVO DIZIONARIO DI SPIRITUALITA', Paoline , Cinisello Balsamo
1989,1247.
cadono nella tentazione, nel laccio e in molte bramosie insensate e funeste,
che fanno affogare gli uomini in rovina e perdizione. L'attaccamento al
denaro infatti è la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni
hanno deviato dalla fede e si sono da se stessi tormentati con molti
dolori”. (1 Tm 6,9-10)

Tuttavia, anche nelle comunità cristiane primitive potevano nascere


confusione e tensioni nell'uso delle ricchezze e nel non considerare la
dignità degli indigenti della comunità : “ Ascoltate, fratelli miei carissimi:
Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed
eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano? Voi invece avete
disprezzato il povero! Non sono forse i ricchi che vi tiranneggiano e vi
trascinano davanti ai tribunali? Non sono essi che bestemmiano il bel
nome che è stato invocato sopra di voi?” (Gc 2,5-7)

e ancora : “ E ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi


sovrastano! Le vostre ricchezze sono imputridite, le vostre vesti sono state
divorate dalle tarme; il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla
ruggine, la loro ruggine si leverà a testimonianza contro di voi e divorerà
le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi
giorni! Ecco, il salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto
le vostre terre grida; e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del
Signore degli eserciti. Avete gozzovigliato sulla terra e vi siete saziati di
piaceri, vi siete ingrassati per il giorno della strage. Avete condannato e
ucciso il giusto ed egli non può opporre resistenza.(Gc 5,1-6).

L'interpretazione paolina dei passi evangelici e del significato della


ricchezza è strettamente legata all'insegnamento di Gesù. Paolo insiste sul
carattere volontario dell'elemosina, che non è sufficiente di per sé, perchè
necessario si faccia con spirito di carità. L'apostolo, invece, condanna
l'avarizia, considerata come “idolatria”, e pone insistentemente l'accento sul
fatto che la ricchezza non è di per sé condannata, in quanto dono di Dio, ma
è necessario “non essere orgogliosi e non confidare nella ricchezza
precaria”.

Sintesi

Sulla questione della povertà, il Nuovo Testamento assume l’insegnamento


dell’Antico. Nel Magnificat (Vangelo di Luca 1,46-56), Maria celebra un
Dio che viene a sconvolgere le gerarchie sociali: “Abbatte i potenti dai loro
troni e innalza i gli umili” idea già espressa da alcuni salmi (107,40-41;
113,7-9). Gesù è presentato come il Messia dei poveri. Agli inviati di
Giovanni Battista che lo interrogano sulla sua identità (Matteo 11,3 – “Sei
tu colui che deve venire?” ) Gesù risponde citando la frase di Isaia al cap.
61: “I poveri ricevono la buona novella “.

Lo stesso testo di Isaia serve di supporto al discorso programmatico nella


sinagoga di Nazaret (vedi Luca 4,16,22) ed egli aggiunge una citazione ad
Isaia “per rimandare in libertà gli oppressi” (Esodo 58,6 ), “cosa che accen-
tua la dimensione sociale della liberazione” realizzata da Lui.

<< Tutto il Vangelo è dello stesso genere. La prima delle beatitudini si


presenta così: “Beati voi, poveri…” secondo la versione di Luca (6,20) di
carattere sociale; “Beati voi, poveri di spirito …”, secondo la versione di
Matteo (5,3) di carattere più religioso. Se i poveri sono definiti “beati”, non
è in virtù di una qualsiasi superiorità ontologica, ma perché essi saranno
liberati e in loro si manifesterà la potenza divina.

Nei vangeli Gesù è presentato come il povero per eccellenza. Nasce in una
mangiatoia, trascorre una vita itinerante da povero, senza casa né luogo. In
termini odierni lo si direbbe “senza domicilio fisso” (Lc 9,58). La sua
ignobile morte è quella propria degli schiavi. Il suo ministero si indirizza
dall’inizio agli esclusi del suo tempo: i poveri, i bambini, i peccatori. Egli è
il “destinatario insospettato” di ciò che viene fatto per i poveri. Tale è il
senso dell’episodio del giudizio finale, riportato da Matteo al capitolo 25
(11-34). Il “gregge” della fine dei tempi sorpassa il solo Israele; esso si
estende a tutte le nazioni.I “prescelti” sembrano perplessi; essi non
comprendono la fortuna di cui beneficiano. >>22
“In verità vi dico, ogni volta che avete fatto questo a uno solo dei miei
fratelli più piccoli, voi l’avete fatto a me ”. dice il Signore. Si può parlare
giustamente dell’”identità cristica dei poveri ”.

La prima comunità cristiana si è ricordata di questo insegnamento. La


messa in comune dei beni, costituisce, una pratica economica nuova : “non
c’erano indigenti fra loro (Atti 4,3-4)” E quando Paolo e Pietro si dividono
la predicazione “noi verso i pagani, voi verso i circoncisi “, cioè i Giudei,
c’è una cosa che non è divisa: il ricordo per i poveri” (Gal 2-10),
che deve continuare ,nell' amare ciascuno.

22
Cfr F.FERRARI, << I POVERI NELLA BIBBIA >>, in Formazione religiosa - BIBBIA, Aprile 2014.
<< Dio, scrive Paolo nella sua prima lettera ai Corinzi, (1, 26-31) ha
scelto i “senza”: senza saggezza, senza nascita, senza potenza......con l’idea
di onnipotenza… ora il Dio cristiano ha questo di paradossale, che la sua
onnipotenza è percepita nel modo più giusto proprio a partire dall’idea di
povertà piuttosto che da quella di forza >> 23
La Bibbia ci insegna che il grido dei poveri è liturgia che sale dritta al
cuore del Padre. E i nostri atti liturgici salgono a Dio? Che profumo hanno?
Sanno solo di incenso o anche di dono e condivisione di risorse, capacità e
tempo con i fratelli e le sorelle poveri? In loro difesa Dio si erge perché
fedele alle sue promesse e al suo amore che non fa preferenza di persone
(At 10,34).

<< I poveri sono quelli che mancano dei beni essenziali, come dice Luca
(beati quelli che hanno fame, beati quelli che sono afflitti), che mancano del
conforto, della gioia della salute? Oppure i poveri sono gli umili, i puri di
cuore, i misericordiosi, quelli che operano la pace, come dice Matteo? Cioè
la povertà è un'indigenza, una miseria, una mancanza di beni, e in quanto
tale apre a Dio? è il luogo dove si manifesta a Dio? Oppure i poveri sono
tali in quanto umili, misericordiosi, integri di cuore, più aperti a Dio e agli
altri? L'essere poveri è una mancanza o é una virtù ?
Già il termine italiano 'povero' deriva da una parola latina che significa
avere poco. Ma non è questo il senso biblico. Anche dire ultimi non ci aiuta
molto. Gli ultimi sarebbero quelli che mancano di salute, di dignità, e questo
li fa già clienti di Dio, sacramento e segno della manifestazione di Dio?
Oppure sono più disponibili e aperti all'azione di Dio, hanno meno pretese?
Sono cercati da Dio perché non hanno l'egocentrismo del ricco, del potente,
dell'acculturato, dell'onesto, del religioso? Ecco dunque il problema: chi
sono i poveri? E perché Dio cerca i poveri? In quanto sono più virtuosi, o
perché hanno bisogno? E perché il vangelo li chiama felici, fortunati? Credo
che Gesù amasse troppo queste persone per le quali ha lasciato l'attività di
falegname, ha rischiato la vita e si è giocato tutta la sua esistenza, per dire al
malato: “Fortunato te che sei malato!”. Con i gesti di Gesù poi non si può
giustificare questa interpretazione: beato il povero perché è povero. Il
vangelo spiega subito: perché vostro è il regno di Dio, perché sarete
consolati, perché sarete saziati, perché sarete figli di Dio… Cioè i poveri
sono beati perché Dio interviene. Il motivo della beatitudine non è una
privazione, ma neppure una qualità morale che i poveri avrebbero in quanto
poveri.>> 24
23
Cfr F.FERRARI, << I POVERI NELLA BIBBIA >>, in Formazione religiosa- BIBBIA, Aprile 2W.KASPER,
24
. - R.FABRIS, GLI ULTIMI NELLA BIBBIA – Un Dio che si commuove, 7.Sett.2013.
Https://www.sermig.org
I.VIII. Nella pastorale Patristica

Più che dissertazioni speculative e teoriche sulla ricchezza , più che


astrazioni sulla povertà, i Padri della Chiesa guardano alle situazioni
concrete della vita, alla concretezza del povero. Questi è una persona , un
soggetto, un “altro”, un fratello nella necessità, in una situazione anomala,
verso il quale il credente è invitato, perfino “obbligato” moralmente ad
intervenire per soccorerlo, esprimendogli sincera solidarietà.
I Padri apostolici, primi scrittori dopo gli agiografi, fanno le loro riflessioni
per sostenere e corroborare i comportamenti dei fratelli di fede verso il
povero con una visione “cristocentrica”. Il cristiano deve comportarsi come
Lui , il Cristo, ha vissuto. Gesù ispira al fedele scelte di povertà (“(Gesù)
non ha dove posare il capo”) e di condotta verso l'indigente.
Siamo nella fase delle comunità subapostoliche, successive alla chiesa
post-pentecostale.

La letteratura subapostolica fa riferimento alla Didaché,(1,5-6) dalla quale


si evince che si è raccomandato ricorrere all'elemosina solo quando è
strettamente necessario, e si invitano i fedeli a condividere i propri beni con
i fratelli bisognosi, in quanto viene detto :” se partecipate in comune ai beni
dell'immortalità, quanto più non dovete farlo per quelli caduchi?”, concetto
che è riproposto negli stessi termini nell'epistola di Barnaba.(19.8)

S.Ignazio di Antiochia, elogiando il martirio, afferma .” è bello per me


morire in Gesù Cristo più che regnare sino ai confini della terra”, (Ad Rom.
6,1) soffermandosi sulla precarietà delle ricchezze e sui beni terreni,
effimeri.

S. Policarpo di Smirne, discepolo di Giovanni, insiste sulla moderazione,


esortando i fedeli a vincere l'avarizia e l'amore per il denaro, rinvenendo
nella carità e nell'amore per le vedove, gli orfani e i bisognosi, la vera
opportunità di salvezza.(ad Pilip. 3, 2-4)

Anche il Pastore di Erma (prima metà del II secolo) insegna ai fedeli


come comportarsi nei confronti dei beni terreni, sottolineando che la
ricchezza è stolta, inutile, e il ricco che non se ne disfa non può diventare
utile per il Signore, se non praticando la misericordia e la carità.(12, 2.1) e
considera peccato grave disinteressarsi di colui che si trova nell'angustia.
Erma interpreta la povertà come un sentirsi stranieri sulla terra e quindi
alieni dalla preoccupazione di acquistare beni e ricchezze.

S.Clemente Alessandrino è il primo autore ristiano che nel II secolo, nella


sua opera “Quis dives salvetur?” affronta il rapporto e la problematica,
direttamente ed ampliamente, tra i beni terreni e l'annuncio evangelico. Egli
si rivolge ai cristiani ricchi che si interrogano circa la possibilità di
conciliare le lro ricchezze con il loro essere cristiani. La risposta di
Clemente è che l'alienazione di tutti i propri beni non è l'unica via possibile
da pratica dal cristiano ricco per pervenire alla salvezza. L'altra possibilità è
rappresntata dall'uso corretto, dal buon uso che di queste ricchezze fa il
cristiano. Ciò che va evitato è il superfluo, perchè tutte le cose sono in
comune, ed è cosa indegna che uno solo viva nell'agiatezza, mentre i più
sono nel bisogno.
<< Non costituisce nulla di grande né di ammirevole l'essere del tutto privi
di ricchezze senza pensare alla vita eterna (sermone sulla salvezza del
ricco)>>.

L'apologeta greco Aristide (prima metà del II secolo) rende questa


testimonianza: i cristiani << si amano tra loro, non disprezzano la vedova,
salvano l'orfano, colui che possiede dà senza mormorare a colui che non ha
…...; se uno è schiavo o povero, digiunano due o tre giorni e il nutrimento
che avevano preparato per sé glielo inviano, pensando che si rallegrino essi
stessi allo stesso modo che loro erano stati chiamati alla gioia >> 25

In sintesi , nelle comunità subapostoliche perdura la soluzione ecclesiale


della comunione dei beni, come rappresentato dalla comunità primitiva di
Gerusalemme. Si hanno testimonianze antiche di questa prassi nella
Didaché (I secolo),già citato, nella Lettera a Diogneto (prima metà del II
secolo) e nella Lettera dello Pseudo-Barnaba (ca. 96/98), in Tertulliano
(ca.155- 220), che nella sua Apologia considera la libera comunione dei
beni il “deposito della pietà”, che serve per sfamare i poveri,e dar loro
sepoltura, per soccorrere i giovani che non hanno mezzi di famiglia, i servi
diventati vecchi, i naufraghi e i prigionieri, cioè i derelitti, e senza
discriminazioni.26

Nel 246 Origene, nel “Commento al Vangelo di Matteo”ad Alessandria,


offre un'acuta esegesi del testo evangelico relativo al giovane ricco. Origene
25
Cfr S.DE FIORES – T.GOFFI, ( a cura) NUOVO DIZIONARIO DI SPIRITUALITA', Paoline , Cinisello Balsamo
1989,1250.
26
Cfr ibidem 1249.
ritiene che sia umanamente possibile spogliarsi delle proprie ricchezze , per
accumulare quelle celesti (tesoro in cielo) : “ chi dà è perfetto , perchè dà ai
poveri, e questi se lo sono materilmente, non lo sono spiritualmente. I
poveri, ricevendo dai ricchi, pregano per i propri benefattori, e poiché Dio
esaudisce la preghiera del povero, i ricchi riceveranno ricchezze spirituali.

<< La concezione del Vescovo S. Cipriano di Cartagine (nelle tre opere:


De Lapsis, De Dominica oratione e De opere et eleemosynis) circa i beni
materiali e l'uso delle ricchezze, è fare riferimento ancora alla primitiva
comunità di Gerusalemme, dove tutto era in comune e non esisteva alcuna
differenza di classe. Fa pure riferimento alla povertà volontaria per il
raggiungimento dell'uguaglianza, come pure tratta il monaco S.Basilio nelle
Omelie e nelle Regole, contro le ingiustizie sociali dell'epoca.
Basilio afferma che nel rispetto dell'ideale della carità, nessuno dovrebbe
essere nell'abbondanza di beni e nel superfluo. Pertanto i cristiani ricchi
hanno l'obbligo a donare ai poveri, per la loro sopravvivenza (omelia 8,1)

S. Gregorio di Nazianzo, nelle omelie morali ( De pauperibus amandis ) ,


in continuità con il Padre della Cappadocia , ritiene , a proposito del
“consiglio” che Gesù dà al giovane ricco, che sia un obbligo, non un
consiglio, per raggiungere la salvezza. E' un dovere di misericordia nei
confronti del prossimo, soprattutto se ricollegato al tema della dannazione
eterna, che è riservata non a chi ha posseduto, ma a chi non ha dato da bere
all'assetato, da mangiare all'affamato(si veda anche la parabola del ricco
epulone e Lazzaro), o vestire l'ignudo.(14,39).>> 27

S. Ambrogio di Milano, pur essendo convinto che ogni povertà è santa, è


altrettanto convinto che le ricchezze non sono di per sé delittuose (Exp.
ev.ec.sec. Luc., 8,85) e che i beni appartengono a Dio e sono destinati per
l'uso di tutti. Perciò, quando vi è una forte disuguaglianza sociale, tale che
vi sono poveri che non sopravvivono, e ricchi, al contrario che vivono
nell'abbondanza, questi ultimi mangiano il pane dei poveri, vivono di rapine
ed esercitano un diritto di proprietà che è illegittimo, anche dal punto di
vista delle leggi umane.Dio ha attribuito agli uomini il possesso della terra,
affinchè tutti ne amministrassero i frutti, ma l'avidità ha diviso i diritti dai
possessi. Al fine di ristabilire la volontà di Dio, è necessario che i ricchi
restituiscano ai poveri ciò che è loro dovuto.
In sostanza, Ambrogio sottolinea l'imperativo della solidarietà quale
presupposto per una ridistribuzione della ricchezza, che risulta necessaria

27
Cfr D.ANNUNZIATA, Cristianesimo, Chiesa, ricchezza – Alle origini della proprietà ecclesiastica.,Tesi di
Dottorato – Università di Foggia, 2013-2014, 54-59.
alla luce della volontà divina. Comincia a delinearsi il principio della “
funzione sociale della proprietà”.
Questi principi sono entrati e affermatti nella Dottrina Sociale della Chiesa.

Tuttavia, gli interventi letterari dei Padri della Chiesa sul povero e sulla
povertà/ricchezza sono per la maggior parte di tonalità pastorali, i commen-
ti esaltano la povertà quando si imbattono in testi che stimolano riflessioni e
suggerimenti. La beatitudine della povertà è variamente intepretata. << Essa
è la prima beatitudine perché è madre e generatrice di tutte le virtù >> dice
S.Ambrogio.

S.Leone Papa (fine secolo IV), nel sermone 95, “Scala della beatitudine,
interiorizza la povertà affermando che essa è “umiltà d'animo piuttosto che
indigenza di beni”.

Analogamente S.Giovanni Crisostomo ( 350- 407), spiegando Mt 5,3 ritiene


che i poveri di spirito “sono gli umili e coloro che hanno un cuore
contrito”. E aggiunge un'annotazione nuova definendo come poveri “coloro
che sono tremanti e timorosi davanti a Dio e che ascoltano con timore
quanto egli dice”. 28

“L'evangelo dà una qualifica originale alla figura del povero, anche perchè
Cristo ha scelto la povertà. Anche Maria di Nazaret è povera perchè di
cuore umile e fiduciosa non in ricchezze transitorie,ma nella preghiera dei
poveri” come si esprime nel “De virginibus” S.Ambrogio.

L'amore per il povero, per la persona bisognosa è un argomento morale e


pastorale frequentissimo nella lettura patristica, come è stato sopra
dimostrato. Aiutare il povero non è solo un'esigenza sociologica : è molto di
più, è obbedienza al comandamento dell'Amore di Gesù, obbedienza al
vangelo, perchè i poveri sono fratelli di Gesù e nostri fratelli, e devono
essere soccorsi, principalmente con le elemosine e nella condivisone dei
propri beni . << L'elemosina è un impegno di carità generalizzato e deve
procedere dal senso di giustizia e secondo il realismo del povero e non già
da vanagloria >> (S.Ambrogio – Doveri dei ministri); non solo << Bisogna
soccorrere anche coloro che, allontanati dalla Chiesa, sono privi del
necessario >>.

La Carità dei fratelli verso l'indigente è segno tangibile dell'Amore di Dio

28
Cfr S.DE FIORES – T.GOFFI, ( a cura) NUOVO DIZIONARIO DI SPIRITUALITA', Paoline , Cinisello Balsamo
1989,1249..
per essi. I credenti devono dare sollievo e conforto ai meno fortunati, anche
con azioni concrete di prossimità. Non è facile però , dal punto di vista del
bisognoso comprendere, come viene espresso nelle Omelie dei Padri della
Chiesa, che Dio lo ama e che lui, nella sua condizione di povertà condivide
la povertà solidale di Cristo.

Ovviamente, i Padri della Chiesa trattano anche della povertà interiore (o


interiorizzazione della povertà).
La povertà volontaria, (penso a S.Antonio abate, 250-365 d.C), oltre
l'astinenza, è il fondamento del regno di Dio. Ma per possedere la povertà
interiore è necessario vivere la dimensione dell'umiltà, poiché Cristo
appartiene agli umili. L'umiltà si identifica con la giustizia, la temperanza,
la fortezza e la sapienza. La vera povertà è una dimensione, secondo
Origene (185-253), che scaturisce dallo spirito, e secondo Clemente
alessandrino (ca. 150- 215/216), è denudare l'anima stessa e la volontà da
tutte le passioni che sono radicate nell'uomo, liberando lo spirito da ciò che
non gli appartiene.
E' accontentarsi di poco, del 'pane quotidiano' : è uno stile di vita
morigerato, essenziale.L'uomo dovrebbe liberarsi dalle ricchezze e dalle
loro seduzioni : è una rinuncia al possesso delle cose terrene, che dona la
libertà, la quale dona la pace all'anima. In alcuni asceti questa è una
beatitudine, che raggiunge il vertice nel liberarsi dalle aspirazioni per
rivolgersi a Dio, al desiderio di Dio.
<< Lo spirito rivolto a Dio qualifica il proprio rapporto con la ricchezza o la
povertà e dà alle realtà dell'esistenza una dimensione escatologica. “unica
ricchezza è la sapienza”, cioè la visione teologica delle cose, ricorda sul
finire del secolo II l'epitaffio di Pettorio.>> 29

I.IX. Nella Prassi Monastica

Una via necessaria per ritirarsi alla ricerca di Dio è quella della povertà
volontaria. Essa è presente in molte religioni e nel Cristianesimo.E' la vita
consacrata, vita religiosa, è definita apotaxis, cioè abbandono dello stato di
vita attuale per stare con Dio. L'iniziatore del monachesimo organizzato è
S.Antonio abate, che si converte, ritirandosi dal mondo, donando i suoi
averi ai poveri. Seguiranno S. Basilio, S.Agostino, S.Benedetto.
Qualche secolo dopo sarà S.Francesco d'Assisi (ne parlo in un apposito
capitolo) che abbraccia 'sorella povertà' con S.Chiara, e S.Domenico, e altri

29
Cfr S.DE FIORES – T.GOFFI, ( a cura) NUOVO DIZIONARIO DI SPIRITUALITA', Paoline , Cinisello Balsamo
1989,1250-1251.
ancora.
Le caratteristiche , i segni della povertà, nelle diverse forme di
monachesimo si possono riassumere così: austerità, mendicità, comunione
dei beni, lavoro e celibato.30

a) austerità :è considerata una forma di povertà, una rinuncia al mondo ,per


al “sequela Christi.“ Rinuncia significa 'disprezzare' tutte le ricchezze e i
beni del mondo, ritrarre la mente dalle realtà presenti e visibili, ancorché
dono di Dio, per concentrarsi sulle realta eterne, vincere i vizi e dominare le
passioni della carne.

b) mendicità : essa è presente soprattutto negli Ordini mendicanti, ma è


presente anche nel monachesimo antico; significa vivere della provvidenza,
affidarsi oranti a Dio, che provvede a tutto, atraverso la Carità dei fratelli,
chiedendo l'elemosina.
La questua assume valore di povertà e di umiltà perchè solo chi è povero
deve essere aiutato, secondo l'invito di Gesù (Mt 19,21 “Se vuoi essere
perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel
cielo; poi vieni e seguimi “). Per Francesco la questua è “la mensa del
Signore”.

c) comunione dei beni : tale forma di povertà realizza il modello della


primitiva comunità cristiana di gerusalemme (At 4,32), e si concretizza alla
rinuncia della proprietà privata e una vita di fraternità, cioè abdicazione al
possesso individuale, comunione dei beni, che significa mettere insieme
anche i doni personali, affetto, aspirazioni, carismi, personalità,ecc.

d) lavoro : ad esso viene conferito una dignità, un'intepretazione spirituale .


Anche il lavoro è una testimonianza di povertà, testimonianza comunitaria,
come realizzazione personale. Certo, non si tratta solo di lavoro manuale o
intellettuale, ma servizio apostolico (missioni, predicazione, attività mini-
steriale, parrocchie,ecc) come servizio per la realizzazione del Regno di
Dio.

e) celibato: forma di povertà in quanto presuppone un 'vuoto' che viene


ricolmato dall'amore di Dio e dalla salvezza.

30
Cfr S.DE FIORES – T.GOFFI, ( a cura) NUOVO DIZIONARIO DI SPIRITUALITA', Paoline , Cinisello Balsamo
1989,1251-52.
Capitolo II

Appunti di Teologia Morale - Morale Sociale cristiana

Ora, i principi evangelici, l'evangelo delle Beatitudini, della Carità,


dell'Amore verso Dio e verso il Prossimo, la Giustizia, la Solidarietà,
l'equità trovano traduzione operativa, concreta nella Morale Sociale
cristiana. La teologia morale è la disciplina di studi cristiana, la scienza
procedente dalla divina rivelazione che ordina gli atti umani alla
beatitudine umana. Si propone di delineare i tratti fondamentali della
responsabilità dei credenti nei riguardi del sociale e di prospettare loro dei
criteri per l'instaurazione di un ordine nuovo fondato sulla giustizia e sulla
solidarietà universale.
Pertanto in questo capitolo cercherò di approfondire i concetti fondamentali
della Morale Sociale e i pilastri della Dottrina Sociale della Chiesa, gli
aspetti fondanti della morale sociale per il credente. Verrà sottolineato che
la dimensione della morale sociale si rifà al duplice comandamento di Gesù
: Amore per Dio e Amore per il prossimo.
L'amore per Dio, sotto il profilo ontologico e nella dimensione axiologica,
l'amore per il prossimo sotto il profilo fenomenologico-esistenziale.
In questo lavoro utilizzerò in parte gli appunti che ho trascritto dal Corso
di Teologia Morale Sociale dell'ISSR Crema-Cremona-Lodi-Vigevano e
Pavia, tenuto dal Prof. Don Giovanni Angelo Lodigiani nell'a.a. 2018/2019,
i documenti del Concilio Vativano II, e le encicliche della Chiesa inerenti
la Dottrina Sociale.

II.I. L'esperienza morale personale

L'esperienza morale personale è costitutivamente relazione (alterità):


l'uomo è costitutivamente e ontologicamente, sul piano dell'essere, un
soggetto in relazione: è l'incontro con il “tu” umano, è l'essere in rapporto
con l'altro diverso da te, con gli altri. L'altro non è mai un oggetto, ma una
persona, centro di senso, che va riconosciuto come tale.
Noi umani troviamo la nostra realizzazione nel politico, (inteso come
gestione e partecipazione alla cosa pubblica), nell'impegno e promozione
sociale. E' la vita nella 'Polis', di un gruppo sociale. La vita della Polis è più
ampia della sua dimensione istituzionale, ma è relativa al gruppo sociale :
cioè all'insieme multiforme delle relazioni, dei rapporti quotidiani, di ciò
che crea sensibilità, mentalità, stili di vita, giudizi di valore,tutto ciò che
forma le coscienze personali.
Il termine politico riguarda l'aspetto del vivere sociale e del vivere umano
dell'essere umano, che è ,in definitiva , 'un animale sociale?, come definito
da Aristotele. 31

Il vivere personale ha sempre una dimensione pubblica : ciò che tocca le


coscienze tocca il vivere della Polis.
Come credente devo farmi prossimo a coloro con i quali vivo,
testimoniando la prossimità di Dio che salva. E la risposta dell'uomo a Dio
all'Alleanza è nell'umano interpersonale (nel sociale, nel politico), con
l'intenzionalità di creare un rapporto fraterno, una famiglia di uomini, verso
una reale terra di comunione ; noi siamo fratelli ,responsabili gli uni gli
altri. (“Dov'é Abele tuo fratello ? Gn.4,9).
Questa è una domanda sulla relazione : la vita morale personale è
costitutivamente aperta all'altro, non è una questione individuale privata. La
responsabilità morale riguarda le decisioni e la vita della persona nel
contesto concreto storico delle sue relazioni; essa è inserita in una storia.
L'uomo ha una responsabilità nel rapporto con l'altro. Ma la relazionalità si
deve qualificare come gratuita, accogliente, fraterna. Valori importanti
nell'ambito relazionale e sociale sono ,dunque, la gratuità, l'accoglienza e la
fraternità. L'uomo è fatto ed è capace di riconoscersi soggetto costituivo
della fraternità, come figura e paradigma di comunione.

La fraternità è presentata dalla Bibbia come dono di Dio (alterità).Insisto


nel ribadire che la libertà personale è per l'incontro con l'altro, poiché
nella realtà ci sono anche gli altri esseri umani con cui ci si deve
relazionare. Diversamente si ha la pretesa di una soggettività arbitraria, una
pretesa di un'individualità che esclude l'altro: In questo caso l'altro é
percepito come un concorrente anche da eliminare (una logica in cui
prevale quella della difesa, del possesso e della morte ); l'altro è
tendezialmente un nemico da cui difendersi, sia nella relazione diretta, sia
nell'uso dei beni della terra (interpretazione individualistica della
soggettività).

L'esperienza dell'incontro con l'altro pone il problema della della libertà,


chiamata a farsi responsabilità : cioè io mi consegno all'altro, come vera
accoglienza dell'altro in quanto persona; ciò rende la propria vita possibile
alla vita dell'altro.
La persona ha una dignità, dotata di coscienza, libertà e responsabilità; è
un valore moralmente rilevante e normativo per l'agire dell'uomo.
31
Cfr Don GIOVANNI LODIGIANI, Appunti di Morale Sociale,Corso di Morale Sociale,ISSR. Pavia, 2018-2019.
Le tradizioni di fede, sia nell'Antico Testamento, sia nel Nuovo
Testamento, richiedono all'uomo di assumere la fraternità come
compimento della propria esistenza personale della storia, che esprime la
Comunione con Dio e con la Comunione fraterna. Come si interpella
l'umano sotto il profilo dell'umanità nei confronti dell'altro?

Come noi credenti possiamo essere presenti nella società? Come


scegliere? Scegliere è una scelta morale, e la moralità è l'esercizio
cosciente,libero e responsabile dell'uomo; implica la mia libertà,
responsabilità e consapevolezza. Essendo l'uomo una libertà in relazione,
l'esperienza mia morale personale , come ricordato, è strutturalmente ,
costitutivamente sociale, e qualsiasi scelta che io pongo ha una sua
ricaduta, un riflesso sulla dimensione della società (anche se la mia
intenzionalità era diversa o può essere interpretata in modo diverso).
L'agire nell'umano intersoggettivo, l'intersoggettività del vivere umano
sono strutturalmente e costitutivamente interagenti.

Noi siamo stati generati da un contesto (ciò non significa ,però, che
dobbiamo assumere i valori di questo contesto); non nasciamo in una
campana di vetro. Il contesto sociale, in quanto genera, ci influenza
(contesto vitale generante).
Tuttavia, noi agiamo con la nostra coscienza : l'unità del soggetto agente,
con consapevolezza, libertà, razionalità e responsabilità. Noi siamo nel
contesto sociale con la nostra libetà, con la nostra coscienza e rsponsabilità,
hic et nunc (qui e ora).32

La dimensione di moralità scaturisce dall'incontro con l'altro; la dinamica


della vita morale personale si esprime nell'ambito della socialità, avendo
conto dello strutturarsi del vivere sociale. Si tratta della moralità delle
persone, della loro responsabilità per i valori umani da attuare. << Si tratta,
insieme, del rapporto che intercorre tra il livello interiore della moralità e il
costituirsi di relazioni strutturate nella visibilità e concretezza delle
istituzioni sociali.>> 33

Qual è il contenuto dell'esigenza morale ? Non il profitto. Io sono tenuto a


conoscere l'altro come altro, nella dimensione della gratuità. Lui è il fine e
non un deve essere usato o percepito mai come mezzo. Come?Vivere la
dimensione di moralità cedendo se stesso all'altro, consegnandosi. Purtroppo

32
Cfr Don G.LODIGIANI, Appunti di Morale Sociale,Corso di Morale Sociale,ISSR. Pavia, 2018-2019.
33
Cfr S. BASTIANEL, Moralità personale nella storia – Temi di morale sociale, il pozzo di Giacobbe 2011, 107.
viviamo in un contesto in cui prevale l'individualismo, il solipsi- smo, che
rendono difficile la socialità.

II.II. La vita politica

Cosa intendiamo per vita politica, per partecipazione alla vita politica?
E' il tessuto, la forma dei rapporti sociali di un determinato ambiente,
contesto; non intendiamo qui la tecnica politica, la dimensione
amministrativo-penale-civile, ma dimensione della convivenza, della
struttura, delle funzioni del contesto in cui si svolgono i rapporti delle
persone. Sono i luoghi della convivenza, luoghi implicitamente della
coscienza, che implicano l'agire umano.
In alcuni contesti sociali esistono le “strutture di peccato”, cioè situazioni
ingannevoli e corrotte, in quanto si viene a creare una cultura corrotta nelle
Istituzioni corrotte ed ingannevoli. E se mi lascio determinare da questo,
assimilo questa cultura e mi corrompo.
La Chiesa è chiamata ad essere trasparente, ad indicare il contesto corretto
per evitare la dimensione ingannevole e corrotta.
Oggi si parla spesso di Agenzie educative, come la Scuola, i Social, i , i
mezzi di informazione e di comunicazione, ecc. La Chiesa istituzionale è
chiamata a formare le coscienze, direttamente o indirettamente. Da
credenti cristiano dobbiamo vivere la partecipazione politica con
consapevolezza, libertà e responsabilità.
Essa deve essere contemporaneamente costituita da parole e azioni! La
parola non è sufficiente. In modo costruttivo – generativo, positivo, la mia
parola deve essere creante, generante , e condurre all'azione.

II.III. Le due dimensioni fondamentali

Quale figura di coscienza?


Quale immagine di Dio?
Come credente devo riferimi sempre al pensiero di Dio e interrogarmi : <<
Come vede Dio l'azione degli uomini ? >>
Nel V.T. E il N.T. come Dio entra nel rapporto con gli uomini? Secondo
una modalità di prossimità. Dio si fa prossimo agli uomini. Dio si fa
prossimo, ha un'intenzionalità di prossimità. L'immagine di Dio adeguata è
la sua prossimità verso l'uomo, che sollecita a sua volta nell'uomo una
coscienza adeguata : anch'io devo farmi prossimo verso l'altro (prossimità
verso l'altro), e sono chiamato ad aver cura della sua storia, guardando il
prossimo con lo stesso sguardo che Dio ha verso di me.
Quando diciamo di agire moralmente nella fede, è tutta la persona che
agisce moralmente; sono io che agisco : c'é unità nell'esperienza personale
verso l'esperienza sociale.
A livello morale, tutto si svolge alla luce della Rivelazione nella coscienza;
si parla infatti di coscienza morale , che è l'unità del soggetto agente, della
persona, la quale agisce in modo consapevole,libero e responsabile. La
coscienza morale é il soggetto agente, inteso come unità della persona.
Tutto questo incrocia la dimensione della Sacra Scrittura. La Rivelazione
cristiana avviene nella storia (elemento storico), ha un linguaggio
progressivo . Si manifesta liberamente e incrocia la libertà della persona.
Questa Rivelazione si pone come Relazione gratuita . Dio si rivela
gratuitamente, si rivela ad un gruppo (dimensione comunitaria), pur
rivelandosi anche al singolo (vedi il profeta Elia, ad esempio) per la
comunità. Dio si rivel in modo solidale; si rivela come una liberazione per
la persona che incontra (esperienza dell'Esodo, passaggio del mar
Rosso...).34
Dio si manifesta e manifestandosi si autopresenta :”Dice il Signore Dio
d'Israele...”, Egli comunica se stesso.

II.IV. Il dono dell'Alleanza

La Rivelazione dell'Alleanza é nell'ordine del dono: é un'esperienza che la


comunità, l'uomo fa, ed è un esperienza di liberazione.
L'uomo non fa un'esperienza di libero arbitrio assoluto: egli è chiamato a
usare e impegnare la sua libertà. E Dio sollecita un modo di vivere la sua
Alleanza..Dio compie gesti e atti di liberazione per il popolo
Giosué (Gs 24) , nella grande assemblea di Sichem, in cui sono convocati i
capi, i giudici e gli scribi , insieme al popolo, ricorda ciò che Dio ha fatto ,
narrando le sue azioni compiute per il suo popolo, agendo e liberandolo, e
compiendo gesti e atti di liberazione per il popolo.
“Temete dunque il Signore e servitelo con integrità e fedeltà” (è un
imperativo!) (Gs 24,14)
Temere il Signore : cioè mettete al primo posto Dio; Lui è fedele per primo.
Dio si offre in modo gratuito e per primo, con fedeltà. Giosué risponde : “
Quanto a me e alla mia casa, vogliamo servire il Signore”.E' un'esperienza
totalizzante, che riguarda tutta la propria vita. Il popolo risponde :”Lungi da
noi l'abbandonare il Signore per servire altri dei! Poiché il Signore nostro
Dio ha fatto uscire noi e i nostri padri dal paese d'Egitto, dalla condizione
servile..”.Il popolo riconosce ciò che Dio ha compiuto per lui.E' un
adesione che viene da un'esperienza : il popolo ha esperenzialmente
34
Cfr Don G.LODIGIANI, Appunti di Morale Sociale,Corso di Morale Sociale, ISSR.Pavia, 2018-2019.
provato la schiavitù ed esperenzialmente la liberazione.
Per tre volte Giosuè ribadisce di voler servire il Signore, e per tre volte il
popolo conferma la sua adesione all'Alleanza con Dio.
Certo, il popolo talvolta ,nella sua storia itinerante, non rimane fedele, ma
Dio non viene mai meno alla sua Allaenza. Se l'uomo pone delle azioni
contro l'Alleanza , si autopunisce, entra in un corto circuito. Se egli ritorna
agli altri dei, questi avranno l'effetto di alienarlo.

La triplice domanda di adesione all'Alleanza posta da Giosué al popolo


manifesta una dimensione analogica con il N.T. : la triplice domanda di
fedeltà a Pietro: “Simone, mi ami?” dice Gesù risorto.

Giosuè in quel giorno concluse un'Alleanza con il popolo , e prese una


grande pietra e la rizzò, come testimonio dell'Alleanza.
Dunque, Dio pone con il suo popolo una Relazione di Alleanza. Anche
noi siamo chiamati a fare un'esperienza personale con il Signore (vedi
l'esperienza di Giobbe :”io ti conoscevo per sentito dire”, ora ne ho fatto
un'esperienza personale con Dio).35
L'Alleanza che Dio pone è un'Alleanza esperenziale, che poggia su
un'esperienza personale. Dio viene a me come dono, libero e gratuito.

<< Temete, dunque il Signore >>, in forza del fatto che Dio ti ha liberato;
stai dalla parte del Signore, perché il Lui hai trovato la liberazione.Dove
trova il suo compimento l'Allenza? In Gesù. E' Gesù il vertice dell'Allenza.
Tutto ciò che la dimensione della 'promessa' nel V.T., Yahweh fa trovare in
Gesù il suo compimento, come sigillo! Noi abbiamo il sì definitivo di Dio
in Gesù di Nazaret, ad esempio, nell'Eucaristia e in altre forme, nella Parola
e nei Sacramenti (Costituzione 'Sacrosactum Concilium').
Quando noi ci allontaniamo dal Signore, noi ci troviamo in una terra
straniera, inospitale, ostile, e ,dunque, mettiamo in moto delle dinamiche di
difesa.
Ritorniamo alla terra, ad abitare la terra, riprendendo la nsotra esperienza
diventiamo suoi discepoli, interlocutori di Dio.

II.V. L'intenzionalità di Cristo

Ora, come ascolto la Parola? E' una presenza che interpella la mia
coscienza. Io sono interpellato dalla sua presenza, dall'intenzionalità di
Gesù; sono chiamato a farmi interpellare dalla intenzionalità di Gesù.
In che cosa consiste questa intenzionalità? Come Yahweh che vuole entrare
35
Cfr Don G.LODIGIANI, Appunti di Morale Sociale,Corso di Morale Sociale, ISSR.Pavia, 2018-2019.
in comunione con l'uomo, Gesù di Nazaret , che rivela il volto di Dio, vuole
entrare in comunione con me, con te. La sua è un'intenzionalità di
comunione,perché riconosca la terra come dono. In Cristo Gesù tutto ciò è
definitivo. E Dio non torna indietro nelle sue promesse.
Il credente assume questa intenzionalità e con essa intyepreta la storia.
Dunque, qual é il criterio interpretante la storia, la storia sociale? E'
l'intenzionalità irrevocabile di Dio.
Criterio interpretante la socialità, la storia sociale, nell'agire storico e
interpretativo della storia, è l'assumere l'agire definitivo di Dio nella storia
in Gesù Cristo. Dio però ha creato l'uomo libero. Egli è una libertà . Il
senso del vivere comunitario, e, quindi, del vivere sociale (socialità) è
lasciato, affidato alla libertà delle persone
Il segno massimo di questa intenzionalità di comunione è il segno
eucaristico. Gesù si è fatto comunione. Condividere il pane eucaristico
significa vivere una dimensione relazionale con Lui. Le parole di
consacrazione, l'azione consacratoria diventano un'esperienza
totalizzante :”Fate questo in memeoria di me “; il ricordo del Signore è
destinato ad essere il criterio interpretante del suo agire, nella storia, sul
piano sociale. L'uomo deve assumere come criterio del suo agire nel sociale
l'agire di Cristo.36
Tutta la dimensione di socialità diventa una dimensione totalizzante. Come
Dio si è consegnato all'uomo, così l'uomo è chiamato a consegnarsi al
Signore. E' una questione di vita, di esistenza. Attorno a chi faccio la mia
esperienza di vita? Il credente fa un'esperienza di comunione, capace di
solidarietà e di giustizia.
Cristo non obbliga l'uomo. Egli fa appello alla libertà dll'uomo e invita a
collaborare. Cristo è vita donata, “Corpo e Sangue” donato. L'uomo,
socialmente parlando, è dono, è servizio del'uomo e dell'umanità.

II.VI. La Giustizia

Cos'è la Giustizia?, come si declina ?


La Giustizia, nella vita della fede, è l'impegno di se stesso nella società. Il
Credente non può vivere una vita di preghiera (dimensione spirituale) e non
vivere sul piano sociale (etica sociale); vita di fede , vita spirituale, che è al
centro della sua dimensione personale: a partire da questa si declina
l'impegno dell'uomo, nel ricordo interpretante del Signore.
Secondo Ulpiano, la Giustizia è : “ la costante e perpetua volontà di dare
ed attribuire a ciascuno il suo.”-
Questa definizione , ripresa da S.Tommaso nella Secunda Secundae
36
Cfr Don G.LODIGIANI, Appunti di Morale Sociale,Corso di Morale Sociale, ISSR.Pavia, 2018-2019.
(morale) Summa Theologiae, è meglio precisata: “ Giustizia è la virtù,
l'habitus, l'abitudine, l'impegno costante secondo il quale la volontà è
impegnata costantemente a dare a ciascuno il suo”.
Il suo Trattato sulla Giustizia lo mette nella dimensione del rapporto con
Dio, non nell'ambito sociale, perchè nel rapporto con Dio si gioca in modo
fondamentale la Giustizia, cioè nel rapporto con l'immagine che ho di Dio.
Il rapporto con Dio è un rapporto di giustizia.
Essendo Dio Amore, siamo giusti, giustificati, in quanto siamo in rapporto
con Dio. E come rispondiamo nel rapporto con Dio? Nella dimensione
della devozione, essa è un atto speciale della volontà.

Nella storia biblica è stata superata la “teoria della retribuzione” (uso


della violenza, la legge del taglione); la Giustizia ha superato questo fatto
ed assume la responsabilità della Relazione. La teoria retributiva non è
valida, perchè Dio non risponde al male con il male, ma Lui ti suggerisce, ti
sollecita ad assumere una responsabile Relazione (vedi il contesto
dell'Alleanza).
L'onestà morale del credente viene presentata, significata dal rapporto con
Dio. Le norme morali sono indicazioni di cammino.

Riprendendo il concetto di Giustizia, questa virtù cardinale è servizio al


Bene Comune .
Giustizia è un termine che viene anche usato da tutti nel Sociale. La
Giustizia è posta a cardine delle Relazioni, e ciò determina le Relazioni in
un determinato modo.
Già nel 'Corpus Iuris Civilis' di Giustiniano (raccolta di leggi dell'Impero
romano) si dice della Giustizia : “dare a ciascuno il suo”.
Per il cristiano è una virtus che inclina l'uomo a compiere il 'giusto',
astenendosi dal troppo, dal volersi avvantaggiare. C'è in essa
implicitamente e intrinsecamente un 'debito verso l'altro'. Chi non dà
all'altro ciò che gli spetta, distrugge se stesso.
Quando si intepreta la legge, volendo trane vantaggio, ad esempio, non è
giustizia, non mantiene l'ordine nei rapporti con l'uomo.

Per S.Tommaso (opera citata) La Giustizia è un abito operativo : cioè “


una perpetua e costante volontà di attribuire a ciascuno il suo “- Questa vitù
appartiene, non tanto al conoscere, ma alla volontà, alla capacità di
decidere; é una virtù pratica, non appartiene all'intelletto (funzione
conoscitiva). La volontà appartiene all'ordine della decisione e si declina.37
Il contenuto e lo scopo della Giustizia è il Bene Comune.
37
Cfr Don G.LODIGIANI, Appunti di Morale Sociale,Corso di Morale Sociale, ISSR.Pavia, 2018-2019.
La Giustizia non può reggersi da sé, se non si stabiliscono dei 'corollari',
che ci pongono nell'Allenza con Dio : essi sono i primi tre
Comandamenti.38
Fuori dall'Allenza con Dio difficilmente l'uomo è giusto. La Giustizia è
relazione con Dio, che è sostenuta dalla preghiera e dai primi tre
Comandamenti.
Il primo : Io sono il Signore tuo Dio ( che ti ho liberato dalla schiavitù
dell'Egitto). E' contro l'idolatria e si esprime nel riconoscere in Dio l'unico
vero Dio da adorare .E' un'esperienza totalizzante e unificante la vita, sotto
il profilo dello spirito; è un'esperienza che invita l'uomo a bandire tutti gli
idoli (denaro, potere, sesso, sport, dominio, ricchezza,ecc.) nella misura in
cui Lui è Signore della vita dell'uomo, della mia vita. L'uomo deve
assumere la Signoria di Dio nella propria vita.
Io sono chiamato a vivere con Dio la mia relazione esclusiva con Dio;
devo vivere la mia comunione con Dio, che è la dimensione autenticamente
vera. Tutte le altre relazione sono dei surrogati.

Il secondo: Non nominare il Nome di Dio invano.Il nome del Signore. Si


può correre il rischio di usare il Nome del Signore in modo strumentale (ad
esempio: quando diciamo .”Ci penserà il Signore”) ; é come non assumere
la nostra responsabilità, ribaltandola sul Signore. Io mi deresponsabilizzo,
compromettendo il rapporto di verità con il Signore. Non devo chiamare in
causa il Signore, quando la situazione, il problema li posso risolvere io .

Il terzo : Ricordati di santificare le feste.Esso esige una riflessione sul


tempo. Siamo chiamati a vivere il Yahweh ha un tempo in cui opera
(operosità), e un tempo di contemplazione dell'operosità.
Così è per l'uomo! C'é un tempo d'operosità e un tempo in cui l'operosità si
ferma, per ridire a noi stessi il significato dell'operosità stessa e ringraziare
il Signore , pensando al rapporto con Lui. E' il tempo della ri-creazione.
Il giorno del riposo dall'operosità ha senso : per ringraziare il Signore. Nel
giorno del Signore si celebra l'Eucaristia (azione di ringraziamento. Quindi
“ama Dio” , ma anche “ama il prossimo, il debole”; è il giorno dedicato alle
opere dei misericordia.Tutto questo è nell'ordine di santificare le feste. Ama
Dio e ama il prossimo.
Il tempo è compreso in una dimensione di sacralità.Il tempo della domenica
è sacro (lode, ringraziamento, preghiera, riposo, rigenerazione e ricreazione
nello spirito).
Riassumendo : la dimensione della Giustizia passa attraverso l'esercizio
38
Cfr Don G.LODIGIANI, Appunti di Morale Sociale,Corso di Morale Sociale, ISSR.Pavia, 2018-2019.
libero, consapevole, responsabile dei primi tre comandamenti.

La Giustizia é la modalità con la quale si vive la relazione con l'altro, ed è


costuita da quattro elementi fondamentali :

1) l'alterità : riconoscimento dell'altro come alterità, come altro da me;


l'altro è un fine, non un mezzo. (dimensione relazionale) ;

2) l'esteriorità : rendere oggettivo il corrispondere all'altro (oggettività del


suo); è dare corpo al suum,al tuo (senza esibizionismo);

3) la bilateralità : La Giustizia è una dinamica relazionale e il ricono-


scimento reciproco delle parti; é una dinamica bidirezionale;

4) l'uguaglianza o proporzione : dare a ciascuno il suo. L'uguaglianza non è


intesa in termini quantitativi , cioè fare parti uguali. Se esiste una parte
debole si dovrà dare come reintegrazione (proporzione).

La Giustizia in senso proprio si specifica in tre grandi momenti : Legale,


commutativo, distributivo.

La Giustizia legale è la partecipazione dei singoli, delle persone al Bene


Sociale (ordo partium ad socium);
La Giustizia commutativa mette in relazione i soggetti fra di loro (ordo
partium ad parte);
La Giustizia distributiva è la relazione del tutto sociale con i singoli,
fondata sul criterio proporzionale (ordo socium ad parte ).39

In che senso si parla di uguaglianza ? Secondo una considerazione


oggettiva? No , soggettiva. E' problematico parlare di Giustizia, di ugua-
glianza nelle relazioni, in quanto le persone non sono oggetti. Le persone
sono soggetti. Tuttavia, nella realtà esiste una differenza oggettiva nelle
relazioni sociali. I poveri lo sanno e lo vivono!
Costituisce un problema, dunque, realizzare la Giustizia distributiva;
distribuire è problematico, ma non impossibile. Occorre utilizzare la
Giustizia distributiva, si superando la materia indifferenziata, che dimentica
la persona, che prescinde dalla Relazione con la persona. La Giustizia è
prima di tutto relazione. Come si fa a distribuire l'equo , il giusto tra le
persone che hanno dei bisogni? Bisognerebbe mettere a fuoco la persona
specifica, in relazione al bisogno. Ad esempio, togliere a tutti l'IMU
39
Cfr Don G.LODIGIANI, Appunti di Morale Sociale,Corso di Morale Sociale, ISSR.Pavia, 2018-2019.
potrebbe non essere equo.

La Giustizia è una virtù relazionale, che mette in gioco la dimensione


della moralità. Essa ha scopo di realizzare le Relazioni umane, corrette e
pacifiche.
Per noi credenti che rapporto esiste tra Giustizia, Carità e Solidarietà ?
Per S.Tommaso la Carità, virtù teologale, costituisce la forma ordinatrice
della Giustizia.

la Giustizia é uno degli aspetti fondamentali della Dottrina Sociale, un


principio cardine, come quello della solidarietà, di sussidarietà, ,del
privilegio del povero. “Primo principio della Dottrina Sociale nella Rerum
Novarum (1891). E' presente in tutte le encicliche successive.Ma le
questioni relative alla dottrina sociale erano già presenti negli scritti della
Chiesa (vedi i Padri della Chiesa).
Il concetto di Giustizia può essere esaminato sotto diversi profili: etico,
sociologico, filosofico, giuridico, e come istanza teologica. Il termine laico
e quello della Chiesa hanno contenuti, elementi diversi. Perciò abbiamo
diversi modelli di Giustizia , secondo diverse prospettive. Una svolta al
concetto di Giustizia in senso laico si ha nel period delle gran di
Rivoluzioni:
La rivoluzione Francese (14 Luglio 1789);
la rivoluzione industriale
La rivoluzione agricola;
la rivoluzione demografica.

A partire da queste rivoluzioni si cerca di rivedere il concetto di Giustizia e


la chiesa lo fa attraverso una riflessione sistematica che darà alla luce
l'enciclica “Rerum Novarum”(1891). Il concetto di Giustizia è stato poi
ripreso nei momenti precedenti al Concilio Vaticano II e ripreso dal
Concilio Vaticani II stesso.
Il Concilio ha denominato il concetto di Giustizia a partire da Dio, nella sua
valenza teologica, in relazione a Dio .”Dio, agendo nei confronti dell'uomo,
mostra il suo volto di Giustizia; così l'uomo deve realizzare il compito
perché nel mondo sia presente la Giustizia di Dio (comunione fraterna)”.
Se Dio desidera manifestarsi come un Dio giusto, la sua giustizia si
manifesta nelle azioni del popolo di Dio, nella vita fraterna.

La categoria della Giustizia è una categoria antropologica, che fa


riferimento all'uomo.Ma quale uomo? L'uomo Cristo. Cristo è il modello, è
l'archetipo di uomo giusto (G.S. 22). “Solamente nel mistero del verbo
incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo”. Cristo è l'uomo perfetto e
“con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo”.
Se è perfetto, contempla nella sua perfezione anche la Giustizia.
Dio giusto partecipa all'uomo la sua Giustizia : nella misura della
partecipazione e collaborazione.
Tutto l'uomo viene rinnovato in Cristo; l'uomo nasce pensato in Cristo. Dio
gli dona il suo Spirito, ma nel dono incontra la libertà dell'uomo. Agendo
attraverso il dono dello Spirito, l'uomo può giungere alla perfezione.

Dio creò l'uomo perchè gli uomini vivessero in società, non


individualmente, come popolo, membri di una comunità, destinati a
formare l'unione sociale. Lo stesso Verbo volle essere partecipe della
convivenza umana (vita sociale) e comandò agli Apostoli di annunciare il
messaggio evangelico a tutte le genti, perchè il genere umano diventasse la
famiglia di Dio.
La Giustizia non riguarda il singolo uomo in sé, ma il singolo nei confronti
della società. Gli uomini devono trattarsi come fratelli.
Il vertice della Giustizia si riassume nel donare la vita per il prossimo,
come Cristo ha donato la sua vita per noi.40
I martiri rappresentano il vertice della Giustizia vissuta.

Cristo nel suo incarnarsi si è fatto vicino ad ogni uomo, e nessuno


appartenente al genere umano è fuori dalla vicinanza di Cristo.
Il cristiano, reso conforme all'immagine di Cristo, che è il primogenito tra
molti fratelli, riceve le primizie dello Spirito e diventa capace (in virtù del
dono dello Spirito del Signore) di adempire la legge nuova dell'amore, di
compiere opere buone.
Il fatto che Cristo con l'incarnazione si è unito in certo modo ad ogni uomo,
vuol dire che tutti gli uomini appartengono a Cristo. In tutti gli uomini è
presente Cristo; essi sono “cristici”, anche se non tutti sono cristiani.
In tutti gli uomini lavora invisibilmente la Grazia. Cristo è morto per tutti e
la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola : quella divina.
Lo Spirito santo dà a tutti la possibilità di venire a contato, nel modo che
Dio conosce, col Mistero Pasquale.

Pertanto, e in forza del fatto che Cristo è unito a tutti gli uomini e che tutti
gli uomini appartengono a Cristo, e in tutti gli uomini è presente Cristo,
discende che tutti gli uomini sono “cristici”. Il credente cristiano riconosce
in tutti gli uomini una dimensione cristica.

40
Cfr Don G.LODIGIANI, Appunti di Morale Sociale,Corso di Morale Sociale, ISSR.Pavia, 2018-2019.
Cristo dona il suo Spirito con i Sacramenti del Battesimo e della
Confermazione.

II.VII. Il Bene Comune

Il contenuto e lo scopo della Giustizia è il Bene Comune.

Cos'è il Bene Comune ? Noi tutti apparteniamo alla natura umana: stiamo
parlando di qualcosa che ci appartiene costitutivamente, appartiene
all'uomo primariamente. Non coincide con i beni patrimoniali, né con i
diritti soggettivi, ma appartiene all'uomo, agli uomini, per la dimensione
ontologica dell'essere, che è comune; appartiene ontologicamente e
strutturalmente all'uomo in quanto uomo.
<< Il Bene Comune è un principio che svolge un ruolo unificante e
centrale nell'etica sociale.41 “E' l'insieme di quelle condizioni della vita
sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di
raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente.”42
Il Bene Comune presuppone il rispetto della persona umana in quanto tale,
con diritti fondamentali e inalienabili ordinati al suo sviluppo integrale.

Il principio di meta-etica è la Misericordia.

dal Salmo :

Misericordia e verità s'incontreranno,


giustizia e pace si baceranno.
La verità germoglierà dalla terra
e la Giustizia si affaccerà dal cielo.

L'oggetto del Bene Comune è la regolazione delle relazioni, dei rapporti


secondo l'aequaliter, l'equità.
Il Bene Comune è criterio e telos (finalità sociale)

Negli Atti degli Apostoli , come mabbiamo sopra riferito, i discepoli erano
assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli Apostoli, nella frazione del pane
e nelle preghiere e stavano insieme. Mettevano tutto in comune. Tuttavia
non tutti erano coerenti (o convertiti), come viene ricordato nell'episodio
della frode di Ananìa e Saffira, che mentendo moriranno davanti a Pietro.
(At 5, 1-10)
41
Cfr Lettera enciclica sulla cura della casa comune “Laudato sì '”-n.156
42
Cfr Conc.Ecum. Vat.II, Cost.past. Gaudium et spes sulla Chiesa e il mondo contemporaneo,26.
Il Bene Comune è una tensione continua; è tendenzialmente un percorso
non raggiunto una volta per tutte, perchè passa attraverso la libertà delle
persone.

La categoria centrale della dimensione sociale è il Bene Comune, come è


stato detto.Tutte le encicliche ne parlano. Ne parlano la Chiesa, la politica,
le Istituzioni, ecc. Ne tratta l'autorità civile e la Chiesa.
Il Bene Comune non è un semplice bene, ma è più corretto parlare di
modalità di relazione, in rapporto all'uso, ad esempio dei beni, della
distribuzione dei beni, ad esempio dell'acqua,ecc.43
Quindi il Bene Comune è centrale sia per l'autorità civile, sia nel pensiro
della Chiesa. Anzi, essa è una nozione strutturale per la Chiesa, per il
cristiano. E' un compito per la Chiesa. E' un dono identitario, ma allo stesso
tempo Compito. Esso costituisce l'identità della Chiesa .

II.VIII. Bene Comune nella Dottrina Sociale della Chiesa

E' uno degli aspetti fondamentali della Dottrina Sociale. Cap. IV : “Primo
principio della Dottrina Sociale nella Rerum Novarum (1891).E' presente in
tutte le encicliche successive.Ma le questioni relative alla dottrina sociale
erano già presenti negli scritti della Chiesa (vedi i Padri della Chiesa).
E' una categoria centrale nell'Etica sociale: indica una relazione con gli altri
( il prossimo, fino ai nemici); e una categoria non solo sociale, politico-
economico; ma è una categoria teologica, che mette in gioco la dimensione
trascendente, la comprensione adeguata della dimensione di Dio. Il
cristiano deve avere un'immagine adeguata di Dio. Gesù rivela il volto del
Padre; Lui annuncia il Regno di Dio, Lui è il regno. Egli annuncia le
Beatitudini dei poveri (di spirito).
E' il compimento delle legge ebraica (pienezza della legge) e richiama le
categorie della Misericordia , del Perdono, e della Comunione.sono
dimensioni essenziali.
La nozione del Bene Comune ha un ruolo nella dimensione della
socialità: modalità con cui sono utilizzati i beni (proprietà privata, proprietà
della Società, delle Istituzioni,ecc. La proprietà privata non è un
affidamento assoluto della persona, ma è un affidamento di beni per averne
cura e deve riferirsi alla relazionalità con Dio e con il prossimo. La
proprietà è insita nella categoria di bene Comune.

43
Cfr Don G.LODIGIANI, Appunti di Morale Sociale,Corso di Morale Sociale, ISSR.Pavia, 2018-2019.
Qual è il punto di riferimento, il punto di partenza ? Il riferimento è Dio
Padre, rivelato dal Figlio, che per primo crea comunione con l'uomo;
pertanto, anche gli uomini devono creare relazione, comunione.

S.Tommaso, nell'opera citata, prende a cuore il concetto, la nozione del


Bene Comune. E' il compimento naturale della creatura (persona) , intesa
nella sua dimensione relazionale. I beni servono per il proprio perfe-
zionamento.

Il Bene Comune, secondo la dottrina sociale della Chiesa ,non è :


la somma dei beni funzionali al bene privato dell'individuo;
non considera, nella concorrenza, l'altro come nemico: non è un mezzo,
un vantaggio personale, un privilegio personale (privilegio di sé);
non è da comprendersi come il diritto di garanzia individuale personale;
non è nell'ordine del principio “minimo mezzo massimo risultato”
( profitto); dietro questa dichiarazione c'é un'antropolgia negativa;
non è nella dimensione di pervenire ad una patto sociale (“non facciamoci
del male”);
non è nemmeno una semplice opportunità (equa opportunità condivisa dai
membri della società);
non coincide con le 'teorie contrattualistiche', come il Contratto Sociale di
T.Hobbes : si esprime nella ricerca di un accordo tra tutti: è il punto di
partenza per partecipare alla distribuzione delle risorse. Questa teoria
dovrebbe tener conto anche dei più deboli. Ma dove sta l'esercizio della
moralità personale, la relazionalità con l'altro? Vi è solo un'adesione al
Contratto, corretto, che non lede la dignità dell'altro. Non si esprime una
moralità, ma il contratto si configura come un “compromesso” , in senso
negativo. Vi è anche un problema che riguarda la moralità personale, la
socialità (rapporto con l'altro) e la politicità (dimensione politica).

Tutto questo non è un Bene Comune, secondo la dottrina sociale della


Chiesa. 44
Essa mette al primo posto la persona umana, non i beni; siamo di fronte ad
una visione antropologica giusta.
Il Bene Comune è costituito dal fatto che la categoria di Comunione,
come categoria dell'intenzionalità di Cristo, viene assunto come finalità e
criterio del viere comune. Il Bene Comune passa attraverso la nostra
relazione con i beni. Ciò che è costitutivo è il “comune” (aggettivo), ciò
che ci accomuna, l'orizzonte d'azione. E' ciò che interpreta l'uso dei beni, il
criterio di giustizia.
44
Cfr Don G.LODIGIANI, Appunti di Morale Sociale,Corso di Morale Sociale, ISSR.Pavia, 2018-2019.
II.IX. La prospettiva biblico-teologica

Occorre cercare di cogliere l'intenzionalità di Dio nei confronti


dell'umanità, soprattutto nel Nuovo Testamento.
L'elemento tipico, che percorre tutto l'Antico e il Nuovo Testamento per
interpretare la realtà del vivere sociale è espresso nella teologia
dell'Alleanza, che nel Nuovo testamento viene presentata come “compiuta”
in Gesù Cristo. << Si tratta dell'esperienza, capita nella fede, che Dio si fa
prossimo, crea prossimità e chiede prossimità, Egli “scende” in Egitto per
liberare il suo popolo, si rivela presente nel suo operare liberante, crea un
popolo e chiede che questa sua intenzionalità (l'intenzionalità del suo
operare, del farsi prossimo e creare un popolo) sia assunta in intenzionalità
propria da coloro che si riconoscono salvati da lui. I figli dell'Alleanza
devono essere “popolo di Jahve”: è Dio stesso a farli essere suo popolo, a
loro chiede di esserlo in libera e consapevole libertà, come una famiglia di
fratelli davanti a Dio riconosciuto come padre.>> 45
Nel Nuovo testamento questa teologia indica << in Cristo Gesù il
compimento della volontà salvifica del Padre: nella pasqua di Gesù Cristo,
in forza di quel suo farsi prossimo ultimo e definitivo che è il farsi carne del
Verbo e nella creazione di un gruppo di discepoli che diventa la chiesa, la
realtà della comunione donata in Cristo Gesù, e che ha come compito
precisamente la comunione (la carità-comunione).
Perciò, la Carità , nel senso di un amore come quello di Cristo (sequela) è
principio e fondamento di ogni vincolo morale per il cristiano, è
interpretazione della moralità stessa del cristiano in tutti gli ambiti in cui
essa si esprime.>>46

L'intenzionalità di Dio fa sì che l'uomo si comprenda come comunità di


fratelli, un popolo di fratelli.
Il Nuovo testamento occorre leggerlo con gli occhi di Gesù. Noi usiamo
l'A.T. come un dato che precede la venuta di Cristo.
Con il N.T., con il Cristo, noi abbiamo il modo compiuto di vivere da
fratelli, come atteggiamento di gratuità (di Cristo). Tutto ciò che abbiamo è
nell'ordine del dono. Se siamo chiamati a vivere da fratelli, significa che la
mia libertà, dovendosi fare responsabilità, deve rispondere ad un compito
specifico , che è la Comunione dei Beni nel riconoscimento dell'altro come
fratello, il quale ha diritto di beneficiare di tutto ciò che Dio ci dona.Tutto
ciò che ci è stato dato porta come compito preciso quello di vivere la
45
Cfr S. BASTIANEL, Moralità personale nella storia – Temi di morale sociale, il pozzo di Giacobbe 2011, 75.
46
Ibidem 76.
comunione.

Cosa significa vivere la comunione? E' un'utopia? La vita di comunione


può avere la prospettiva di essere un po' utopica? E' realizzabile per il
credente? Come?
E, come è stato detto, una tensione, un tendere alla comunione.La piena
comunione avverrà quando si compirà “tutto in tutti”.47
Non può essere ridotta ad un atto, ma passo dopo passo, grado dopo grado,
la comunione tende alla comunione dei beni; essa è dinamica ,non statica.
Uno degli strumenti che possono favorire la via di comunione è il
dialogo etico. E' un muoversi verso la via di comunione, che è
costituivamente l'intenzionalità di Dio.
Il dialogo etico è costitutivo, non è qualcosa di strumentale (il mettersi
d'accordo su qualcosa), non è qualcosa di funzionale, non né un dialogo in
cui ci sia uno sovrapposto all'altro.
La Relazione tra gli uomini tra loro è già data : dia' -logos.
Il dialogo etico è visto come virtù . È quella forza interiore che
costantemente e ordinariamente mi spinge a fare il bene. << E' capire la
propria vita come necessariamente dialogica, perchè possa essere
moralmente positiva .>> 48
La virtù richiede che vengano messe in atto tutte le possibilità di ascolto
(tra tutte le persone). La persona è messa di fronte alla sua consapevolezza
nella consegna all'altro.
Il dialogo comporta capacità di parola e capacità di ascolto. Quando più si è
fratelli, la prossimità, nella via della costruzione della comunione, è
chiamata ad esprimersi come parola di verità (veridicità); l'uomo deve
sempre lottare, combattere . Ci si allena alla palestra dello spirito per
vincere questo combattimento. Il Bene Comune è iscritto, è dentro una
relazione di reciprocità per poter realizzare un dialogo etico, altrimenti è un
monologo.
Nel dialogo etico con l'altro devo agire con le parole di verità e ho bisogno
della reciprocità.
La capacità di ascolto << vuole dire consegnare all'altro se stessi e il
proprio tempo e le proprie capacità di comprendere; non è solo sentire ciò
che l'altro dice, ma “ascoltare”; significa voler essere in comunione con lui,
attraverso la parola; accoglierlo realmente così come egli é, non come si
vorrebbe che egli fosse, o nella misura in cui egli è come lo si vuole .>>49
La capacità di ascolto ha tutti i segni di quel consegnarsi.
Il dialogo è una virtù , perchè si tratta, nel mezzo delle difficoltà ad
47
Cfr Don G.LODIGIANI, Appunti di Morale Sociale,Corso di Morale Sociale, ISSR.Pavia, 2018-2019.
48
Cfr S. BASTIANEL, Moralità personale nella storia – Temi di morale sociale, il pozzo di Giacobbe 2011, 95.
49
Ibidem 97.
intendersi, di affermare senza difesa, cioè con volontà reale di comunione,
che la comunione è possibile, che la comprensione è possibile, che la verità
non è il bene per l'uno e il male per l'altro.
E' virtù << perchè si tratta di un modo di rapportarsi, che avrà bisogno di
trovare espressione in tutte le diverse e molteplici situazioni di rapporti in
cui ci si trova.>>50
Virtù indica << un'unità personale: una tendenziale unità e continuità di
atteggiamento, che guida i modi concreti di esprimersi. In questo senso,
l'atteggiamento dialogico è creatore di unità personale; in questo senso
favorisce un progressivo crescere inmaturità personale.>>51
Il dialogo etico è contemporaneamente la via, ma è anche compito;
occorre innanzitutto avere fiducia che i valori possano essere riconosciuti
(riconoscibilità), nell'altro. Ma io non posso imporre all'altro il valore: lo
devo vivere, esprimere nella mia vita, perchè esso sia riconosciuto. Il
riconoscimento del valore non si può prescrivere (con un decreto) o nella
misura in cui si riconosce il valore. Il valore deve essere vissuto, devo dare
per vero nel dialogo con l'altro e avere la fiducia che egli abbia la coscienza
di riconoscerlo e di viverlo come valore (la 'fedeltà' non si può dare per
decreto nella relazione tra i coniugi).

Nel dialogo etico non siamo nella logica in cui vige il più forte. Anche il
concetto di negoziato non è nel dialogo etico.
Il Bene Comune si costruisce nel dialogo etico, come è stato detto, e
richiede che vengano vissute le Virtù teologali della Fede e della Speranza.

II.X. Come muoversi nella dimensione sociale

La preghiera, sotto il profilo morale, mi muove nella Relazione con Dio,


mi fa comprendere la realtà e mi fa decidere nella realtà con il Signore. Ciò
avviene, come è stato detto, in modo libero, consapevole e responsabile.
Devo scegliere il tempo della preghiera, unificando la mia vita, rimanendo
con il Signore (vedi l'opzione fondamentale).
Si prega per decidersi nel Signore, e ciò avviene nello spazio interiore della
mia coscienza. Il mio vivere etico, eticamente, si radica in Cristo. Vivendo
in Cristo mi muovo eticamente, perchè Cristo è la Verità.
Quindi la mia preghiera deve essere ordinata (sotto il profilo del tempo),
nel vissuto quotidiano; devo avere un tempo ordinato per la preghiera (per
uscire dallo spontaneismo). Devo avere cura dello spirito, che è la cura
unificante della mia persona.

50
Cfr S. BASTIANEL, Moralità personale nella storia – Temi di morale sociale, il pozzo di Giacobbe 2011, 98.
51
Ibidem98.
La preghiera decisa e ordinata è necessaria, avendo cura di discernere e
mettere a fuoco chi desidero essere.

Noi siamo dei soggetti agenti, in cammino verso una meta (salmo 15/16),
che nonostante le insidie, come dice il salmista, riconosciamo che il
Signore è la nostra eredità. Il cammino del credente è orientato al Signore;
egli riconosce la presenza del Signore nella sua vita. Il Signore è il
principio, ma è anche telos, scopo, fine della vita. Ciò richiede senso di
gratitudine e senso di responsabilità nei confronti del Signore.52

Si parte dalla Morale Cristiana per giungere alla Morale (specifica)


Sociale. Non si può pensare la Morale Cristiana, pensare e ridurre il
Cristianesimo come un 'principio' e non come un incontro. Il Cristianesimo
non è un'ideologia. Non può essere paragonato ad una ideologia, ma è un
incontro con un Tu!

II.XI. La dimensione della moralità e la vita sociale

Ritornando alle quattro virtù cardinali, Giustizia, Prudenza, Fortezza e


temperanza, gli atti di tutte le virtù appartengono alla Giustizia generale.
Gli atti che i singoli pongono per la comunità, sono atti della comunità,
sono atti che costituiscono il Bene Comune. Essi pongono e mettono in
gioco la dimensione relazionale, mettono in gioco i valori umani, che se
sono assunti secondo l'intenzionalità di Cristo, in modo consapevole, libero,
responsabile, diventano valori morali .
La Chiesa si muove secondo la pagine delle Beatitudini (Mt,5,1-12) e
secondo la pagina del giudizio finale (Mt 25, 31, 40) :”l'avete fatto a Me “.
I valori umani interpretati secondo l'intenzionalità di Cristo, è stato detto,
diventano valori morali; non si fa riferimento ad una intenzionalità
immanente, che si conclude nella storia, ma trascendente (tu sei una
creatura di Dio) e lo supera.
La Giustizia come diventa la modalità del vivere il Bene Comune? E'
necessario che tra gli appartenenti della comunità vi sia reciprocità.

Non è facile nella nostra società riconoscere oggi il Bene Comune.


Nel passato, la storia ne ha registrato inadeguate e fallaci interpretazioni .
Una corrente letteraria, 'l'illuminismo' è una di queste. Il sovrano illuminato
si fa interprete e garante del Bene Comune.
Una seconda, la visione utilitaristica e liberista delle risorse (utilitarismo e
liberismo). Essa ha un portato antropologico: ha di fatto sostituito un'altra
52
Cfr Don G.LODIGIANI, Appunti di Morale Sociale,Corso di Morale Sociale, ISSR.Pavia, 2018-2019.
antropologia, che riduce 'l'altro' ad un oggetto.

E qual è la situazione di oggi? nel nostro contesto storico? Cos'é che fa


difficoltà?
Il nostro è un contesto di pluralismo di fatto: di interessi, di valori, di
cultura , di finalità; un contesto dove i conflitti che sorgono sono finalizzati
a controllare; il potere finanziario , il potere economico, i mercati, il potere
dell'informazione (quarto potere) a scapito dei più deboli.Un contesto
segnato dall'irrazionalità riguardo al modo di sviluppo, e un'insufficienza
relativa all'idea del modo di comporre le liti ; inoltre le teorie capitalistiche
del libero mercato fanno sì che il prezzo lo fa il mercato (domanda-offerta).
E' un'ingenuità, un'ingenuità diabolica. E' fuori da una logica di
Comunione, dalla logica dell'altro, prima ancora che umana.
Tutte queste modalità tendono a creare un grave ostacolo alla comprensione
secondo la dottrina sociale della Chiesa.

Bisogna rendersi conto della frammentazione all'interno del pluralismo, che


porta all'affermazione: “ci va bene tutto”.
Dall'altra parte c'é chi fugge dal pluralismo e si chiude in una logica di
assolutismo privato. Ed è una tentazione presente.E va nella direzione che
porta all'affermazione : “ tanto faccio quello che voglio”.
Tutto ciò esprime una logica contro il bene Comune!

II.XII. La Solidarietà sociale

L'uomo, ogni uomo è unito a Cristo e al suo Spirito. In ogni uomo è


presente Cristo, vi è unità con Cristo.
Da qui discende l'obbligo della solidarietà sociale!
Altro fondamento della dottrina sociale della Chiesa. La Costituzione
pastorale 'Gaudiun et spes,(n.32) è il fondamento della solidarietà sociale.
La socialità è uno dei cardini della dottrina sociale della Chiesa : è una
categoria antropologica. “Come Iddio creò gli uomini non perché vivessero
individualisticamente ma destinati a formare l'unione sociale”; li ha
costituiti come popolo, come membri di una comunità, perché il genere
umano diventasse la famiglia di Dio.
Come Cristo si è unito ad ogni uomo ed é solidale con tutti gli uomini, così
anche gli uomini devono essere solidali tra loro.

L'enciclica “Sollicitudo rei socialis”,di Giovanni Paolo II, 1987(n 4),


afferma che la dottrina sociale della Chiesa appartiene al campo della
teologia morale, non all'ideologia.
La Chiesa con essa fa una riflessione sulla complessa realtà del vivere
sociale, riflessione condotta alla luce della fede e della Tradizione sociale
(del Vangelo), così che il comportamento dei credenti sia corretto. Essa
riflette sui comportamenti umani e sui problemi specifici attinenti al vivere
sociale.

La Solidarietà, nella Sollicitudo rei socialis, è il criterio interpretante i


valori del vivere sociale, ed è intesa << come determinazione ferma e
perseverante di impegnarsi per il Bene Comune, ossia per il bene di tutti e
di ciascuno, perché tutti siano veramente responsabili di tutti.(n.38)

Il Concilio Vaticano II , aveva parlato di solidarietà in particolare circa il


rapporto tra Chiesa e mondo (Gaudium et spes)e circa la presenza e
testimonianza dei laici nell'ambito sociale e politico (Apostolicam
Actuositatem), in riferimento ai temi del Bene Comune e della
corresponsabilità in esso, del progresso, della pace, della fratellanza
universale.
<< Dalla creazione alla redenzione in Gesù Cristo l'agire di Dio è rivolto
alla comunione fraterna tra gli uomini, ed egli chiede ai credenti di
assumere la sua stessa intenzionalità nel loro operare. Si tratta di
quell'amore che ha in Cristo stesso il modello e il pegno della sua
possibilità sulla terra. Si ricorda che Egli si é identificato con i bisognosi
(Mt 25,40) e che , “ assumendo la natura umana, ha legato a sé come sua
famiglia tutto il genere umano, come in soprannaturale solidarietà, ed ha
stabilito la Carità come distintivo dei suoi discepoli con le parole : “Da
questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni
verso gli altri “ (Gv 13,35) >> 53

La Solidarietà non è l'elemosina, è la Carità, si fonda sulla Carità. La


solidarietà traduce la Carità nell'ambito delle relazioni sociali strutturate.
Essa è una virtù morale. Il riferimento è alla Carità, alla Comunione.
Dal Decreto conciliare “Apostolicam Actuositatem”sull'apostolato dei
laici (n.8-14) si ribadisce che “il più grande dei comandamenti della legge è
amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come se stessi (Mt. 22, 37-40). E'
il precetto della Carità. “Ma questo precetto della carità verso il prossimo,
Cristo lo ha fatto proprio e lo ha arricchito di un nuovo significato, avendo
voluto identificare se stesso con i fratelli come oggetto della carità, dicendo
: << Ogni volta che voi avete fatte queste cose ad uno solo di questi miei
fratelli più piccoli, l'avete fatto a Me >>(Mt 25,40).
53
Cfr S. BASTIANEL, Moralità personale nella storia – Temi di morale sociale, il pozzo di Giacobbe 2011, 116-117.
I cattolici cooperino, nell'ambito dell'apostolato, sia nazionale, sia
internazionale , con tutti gli uomini di buona volontà, nel promuovere ciò
che è vero, giusto, santo, amabile, il Bene Comune. Compito dei laici è
promuovere la solidarietà di tutti i popoli.

La Solidarietà è una categoria etica, è un vincolo, un dovere cristiano.

Nell'Enciclica sociale “Populorum Progressio” di Papa Paolo VI, 1967,


(n16-17) si afferma che la Solidarietà é un dovere individuale, personale ,
ma è anche un dovere comunitario. L'obbligo, quello del dovere della
Solidarietà, è rivolto a tutti gli uomini. Noi abbiamo degli obblighi verso
tutti, e non possiamo disinteressarci di coloro che verranno dopo di noi.
La Solidarietà è un fatto , un beneficio, ma è altresì un dovere!
Essa è una categoria etica, come è stato detto, che si esprime nella
responsabilità verso l'altro. Questa responsabilità si esprime nella storia
politica, nell'attenzione alla 'polis' (organizzazione della vita sociale nella
quale tutti si riconoscono), nella partecipazione alla costruzione del Bene
Comune.La Solidarietà è la traduzione classica della Caritànelle relazioni
socialmente strutturate.Essa .Essa è la forma completa della Carità.
Tutti gli uomini (in forza della G.S.,n.22) sono chiamati allo sviluppo
planetario. Poiché ogni uomo é membro della società, appartiene
all'umanità intera, tutti noi abbiamo obblighi verso tutti! 54
Come si esprime il dovere di solidarietà? Essa si esprime nella
partecipazione alla vita sociale, alla costruzione della pace, alla costruzione
del Bene Comune e alla solidarietà internazionale. (vedi G.S., n83) :
costruzione della Comunità Internazionale. Nel dopoguerra è stata costituita
l'O.N.U. Per la costruzione di una comunità internazionale, per rimuovere ,
dirimere, prevenire le cause dei conflitti e le ingiustizie tra i popoli.
Nella 'Populorum Progressio' (n. 48) si afferma che <<il dovere di
solidarietà che vige per le persone vale anche per i popoli :” le nazioni
sviluppate hanno l'urgentissimo dovere di aiutare le nazioni in via di
sviluppo …. Nessun popolo può pretendere di riservare a suo suo esclusivo
uso le ricchezze di cui dispone >>.

Per la costruzione della pace nascono le Associazioni ed Enti , come


'Justitia et pax', intraecclesiali, che si occupano di costruirie la pace nel
mondo.

Nella 'Sollicitudo rei socialis', al n. 38 , trattando della Solidarietà,


definita come atteggiamento morale e sociale, come virtù, si afferma che
54
Cfr Don G.LODIGIANI, Appunti di Morale Sociale,Corso di Morale Sociale, ISSR.Pavia, 2018-2019.
essa << non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale
intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la
determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune :
ossia per il bene di tutti e di ciascuno perchè tutti siano veramente
responsabili di tutti.....Le strutture di peccato si vincono, presupposto
l'aiuto della grazia divina, con una atteggiamento diametralmente opposto :
l'impegno per il bene del prossimo con la disponibilità, in senso evangelico,
a “perdersi” a favore dell'altro invece di sfruttarlo e a “servirlo” invece di
opprimerlo per il proprio tornaconto (Mt 10,40-42; 20,25; Mc 10,42-45; Lc
22,25-27) >>.

All'interno della Solidarietà c'é il riconoscimento dell'interdipendenza:


noi siamo legati tra di noi, sotto un duplice legame :
ruolo legale;
ruolo morale.
L'interdipendenza è qualcosa di ontologico per il credente, sotto il profilo
morale, e sotto il profilo legale (legale comunitario), e ciò permette di
vivere in maniera ordinata l'interdipendenza.

Sul piano morale, a noi interessa soprattutto l'interdipendenza morale, che è


quel tipo di interdipendenza che mi rende responsabile verso l'altro.
Nell'enciclica (n.11-12) si constata che sono ormai trascorsi vent'anni dalla
enciclica “Populorum progressio”, e non c'é stata un'assunzione di
responsababilità che abbia portato all'attuazione dei principi in essa
contenuti.
Pertanto è necessario dare un nuovo impulso efficace, un'anima al patto di
solidarietà, dentro la realtà stessa (società) Occorre operare dentro la
società , come il lievito nella massa della nota parabola.
Occorre vivere la dimensione dell'interdipendenza, muovendosi dal di
dentro la società, per realizzare la responsabilità verso l'altro.
L'interdipendenza va poi di pari passo con lo sviluppo della pace. La pace
si costruisce solo se c'é il riconoscimento dell'altro e nella dinamica della
reciprocità.

II.XIII. La comune destinazione dei beni

Principio fondante è il riconoscimento che la pari dignità di tutte le


persone comporta il loro pari diritto ai mezzi necessari alla vita.
S.Tommaso d'Aquino nega il diritto di proprietà privata se inteso come
diritto all'uso esclusivo dei beni, perché la comune destinazione di essi
esige che tutti possano avere accesso a ciò di cui hanno bisogno e che
dunque essi siano partecipati ai bisognosi (S.Th,II-II, q.66,a2).
<< Lo scopo della comune destinazione delle risorse (non solo quelle che
si trovano 'in natura', ma anche 'coltivate' dall'operosità umana e frutto di
questa) è verificato o falsificato dal fatto che tutti abbaino reale accesso alle
risorse stesse. >> 55 Il Vaticano II ha ripreso con vigore la prospettiva della
destinazione comune dei beni (G.S.,69,71) e le encicliche pontificie hanno
ripetutamente richiamato l'attenzione sulla 'funzione sociale' del diritto di
proprietà (ad esempio, Mater et magistra, 20,28, 109-110, 116,120; Pacem
in terris, 8; Populorum progressio,22-24,26, 49, 56ss,87; Octogesima
adveniens, 43, 45-46; Laborem exercens, 14).
<< La tradizione cristiana, ricorda la Laborem exercens , non ha mai
sostenuto questo diritto come assoluto e intoccabile. Al contrario, essa l'ha
sempre proposto nel più ampio contesto del comune diritto di tutti ad usare
i beni di tutta la creazione: il diritto al dominio privato come subordinato al
diritto dell'uso comune e alla destinazione universale dei beni >> Cfr.56

Anche l'enciclica “Laudato sì“di papa Francesco (2015),VI, n.93,


afferma : << Oggi, credenti e non credenti sono d'accordo sul fatto che la
terra è essenzialmente una eredità comune, i cui frutti devono andare a
beneficio di tutti. Per i credenti questo diventa una questione di fedeltà al
Creatore, perché Dio ha creato il mondo per tutti. Di conseguenza, ogni
approccio (ecologico) deve integrare una prospettiva sociale che tenga
conto dei diritti fondamentali degli svantaggiati. Il principio della
subordinazione della proprietà privata alla destinazione universale dei
benie, perciò, il diritto universale al loro uso, è una “regola d'oro” del
comportamento sociale, e il “primo principio di tutto l'ordine etico-sociale”.
>> 57
.

II.XIV. Il Privilegio del debole

Altro principio fondamentale della Dottrina sociale della Chiesa è quello


relativo al privilegio del debole.
Esso, come ho cercato di verificare nella prima parte del libro, ci viene
dalla Sacra Scrittura, sia nell'Antico Testamento, sia nel Nuovo
Testamento.
Ci sono categorie di persone che sono più deboli ed indifese : ci sono gli
orfani, le vedove, lo straniero, i miseri, ecc. che non hanno protezione, che
non hanno nessun tipo di tutela e di garanzia di diritti. Essi godono per il
Sugnore e per la Chiesa il privilegio del debole.
55
Cfr S. BASTIANEL, Moralità personale nella storia – Temi di morale sociale, il pozzo di Giacobbe 2011, 120.
56
Cfr Laborem exercens,14.
57
Ibidem 14.
Si distinguono i deboli dai forti, coloro che sono nella condizione di
debolezza e coloro che sono nella condizione di supremazia. Non è
sufficiente riconoscere queste condizioni. Esse sono, per il credente delle
istanze: sollecitano il debole ad essere tutelato e riconosciuto dal forte per
condividere, realizzando l'istanza di comunione.
Non si tratta di uguaglianza matematica; gli uomini sono ontologicamente
uguali, ma nella realtà immanente sotto il profilo oggettivo della realtà,
sussistono evidenti condizioni di disparità. 58
Il debole e il forte sono delle condizioni nella storia.Esse pongono alla
nostra coscienza delle esigenze, la interpellano, perchè si realizzi un
reciproco riconoscimento e un reciproco aiuto.
Non possiamo da soli risolvere il problema della fame; tuttavia non ci
dobbiamo muovere nella condizione di deresponsabilizzazione.
La mia coscienza è interpellata di fronte alle situazioni di precarietà :Dio è
dalla parte dei deboli !
L'uomo è chiamato sempre a fare il bene che è capace di fare. Noi siamo
sempre chiamati a svolgere sempre il bene possibile, così come lo
conosciamo. Prima di tutto è necessario il riconoscimento dell'altro ( vedi
il Buon Samaritano: si muove ne riconoscere una dimensione oggettiva
nella quale vive il debole); per il cristiano è un'istanza, una domanda !
Tra forti e deboli chi privilegiare? Sono da privilegiare sempre i deboli: è
una rivoluzione sociale!

II.XV. La Sussidarietà

Altro principio cardine della Dottrina sociale della Chiesa , dal quale non si
può prescindere, è quello della sussidarietà.
E' una tema , un'area di discussione, non solo nell'ambito della Chiesa,
nell'abito religioso, ma anche nella società civile. La Chiesa è stata la prima
a formulare il principio di sussidarietà.
In che cosa consiste questo principio ?
La definizione sistematica è formulata an. 80 dell'Enciclica sociale
“Quadragesimo anno”, di Pio XI (1931). In essa il riconoscimento della
centralità dell'uomo e la valorizzazione della sua libertà sono fondamentali.
La Chiesa cattolica ha ripetutamente sottolineato l'importanza della
sussidarietà come strumento che impedisce allo Stato di soffocare la
priorità logica e assiologica dell'uomo e la sua dimensione morale.

<< Siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere
58
Cfr Don G.LODIGIANI, Appunti di Morale Sociale,Corso di Morale Sociale, ISSR.Pavia, 2018-2019.
con le loro forze (azioni e inziative) e l'industria propria per affidarlo alla
comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello
che dalle minori e inferiori comunità possono fare. L'oggetto naturale di
qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera
suppletiva le membra del corpo sociale, non già a distruggerle e assorbirle.
E' necessario che lo Stato rimetta ad associazioni minori ed inferiori il di-
sbrigo di affari e delle cure di minor momento per poter eseguire con più
libertà, con più forza ed efficacia che a lei spettano (direzione, vigilanza,
incitamento, promozione, repressione, ecc.) >>

Lo Stato deve rispettare, dunque, l'iniziativa privata, l'autonomia dellefami-


glie e dei sindacati (vedi Rerum Novarum) , limitandosi quando il caso lo
richiede alla tutela e all'appoggio (subsidium) , al sostegno, promozione,
sviluppo e aiuto (subsidium).
Da una parte è necessario che garantisca ai corpi intermedi (famiglia, grup-
pi, associazioni, espressionioni aggregative di vario tipo : economico,
sociale, culturale, sportivo, ricreativo, professionale, politico, alle quali le
persone danno spontaneamente vita e che rendono loro possibile un'effet -
tiva crescita sociale (affermazione) la possibilità di svolgere le proprie
funzioni; dall'altra lo Stato si astenga da quanto restringerebbe, di fatto, lo
spazio vitale delle cellule minori ed essenziali della società. 59

Il Principio di sussidarietà protegge le persone dagli abusi delle istanze


Sociali superiori e sollecita queste ultime ad aiutare i singoli e le
associazioni a sviluppare i propri compiti.
L'esperienza attesta che la negazione della sussidarietà o la sua limitazione
in nome di una pretesa democratizzazione o uguaglianza di tutti nella socie-
tà, limita e talvolta anche annulla lo spirito di libertà e di iniziativa.
Con il principio di sussidarietà si contrastno forme di accentramento, di
burocratizzazione, di assistenzialismo, di presenza ingiustificata ed
eccessiva dello Stato e dell'apparato pubblico.

Tale principio trova applicazione anche nel Titolo V della nostra


Costituzione (Legge costituzionale 18.Ottobre 2001, n.3): << Le funzioni
amministrative sono attribuite ai Comuni, salvo, che per assicurarne
l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città Metropolitane, Regioni
e Stato, sulla base dei principi di sussidarietà, differenziazione ed
adeguatezza (declinazione verticale della sussidarietà).
Stato, Regioni, Città metropolitane, Province, Comuni favoriscano
l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di

59
Cfr Enciclica sociale Quadragesimo anno, di papa Pio XI ,1931 (n .8o)
attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidarietà >>.

II. XVI. La Carità

Il credente deve vivere, come è stato detto la solidarietà nell'ambito


sociale. La solidarietà è la traduzione della Carità.
Il principio fondamentale è la Carità .
Nella sua traduzione in latino, detta 'Vulgata', S.Gerolamo traduce il greco
agapé (amore) con i termini dilectio e charitas.
Generalmente dilectio viene usato quando prevale il senso di un rapporto
affettuoso e viene indicata la persona alla quale si riferisce : amore verso
Dio (Gv 5, 42), amore di Dio Padre verso il Figlio (Gv 17,26), amore tra
Dio, Cristo e i discepoli (Gv 13,17), amore verso il prossimo (Rm 12,9;
13,10).
Il termine charitas, nella maggior parte dei casi, viene utilizzato quando
agapé non ha un oggetto determinato e acquista, in qualche modo un senso
tecnico cristiano : “ Dio è amore” ( 1Gv 4,16), “l'amore di Cristo ci
costringe “ ( 2Cor 13). Quando l'amore fraterno è espresso nel termine
greco phladelphia, i traduttori utilizzano il quasi sinonimo di agapé
traducendolo con “Carità”.60
La Carità è una virtù teologale. Quando parliamo di Carità, ci riferiamo a
quella forma in cui nel Vangelo di Matteo si dice .<< Siate perfetti come è
perfetto il Padre vostro che è nei cieli >>.
Essa ha una qualificazione generativa : il Padre genera continuamente ; è
una forma di carità riferita a Dio Padre, che è costantemente creativo, che
continua a creare.

I cristiani non devono solo condividere l'annuncio del Regno e fare opere
di attrazione di nuovi fratelli, ma hanno l'obbligo di “perfezione” , come
dono di sé, dono della persona. Tutti abbiamo l'obbligo comune di
perfezione cristiana.
Il punto fondamentale per noi cristiani è il modo di vivere la Giustizia, che
è la Carità. La Carità non è qualcosa distinta dalla Giustizia.
Come vive il giusto la giustizia nella Carità (domanda morale)? Come io
cristiano interpreto e vivo la giustizia nel sociale, la dimensione caritativa
nella forma della giustizia? Non ci sono soluzioni predefinite (lo dice la
storia). Si tratta di interpretare e discernere, di volta in volta, ed agire.Si
tratta di interpretare e vivere il giusto. Non esiste un'univocità di soluzioni.
Esiste una possibilità di confronto nell'individuazione di possibili soluzioni.

60
Cfr S.DE FIORES – T.GOFFI, ( a cura) NUOVO DIZIONARIO DI SPIRITUALITA', Paoline , Cinisello Balsamo
1989,143.
Ciascuno ha una propria risposta, dentro la pienezza della Carità.
La Carità non ha dei gradi : essa é il vertice e riguarda il cammino di vita
e di perfezione del credente ed è costantemente generativa.
La Carità (”siate perfetti cone è perfetto il Padre vostro che é nei cieli”)
resta il criterio fondamentale della Giustizia.Il mio criterio di credente di
Giustizia é la Carità.
Gesù ha fatto l'esperienza della Giustizia come Carità, come gratuità.La
carità nella forma di Giustizia è la forma più alta, nella gratuità!
Come vivo io crednete, come mi relazione con l'altro?
Tutto questo però non si costrisce spontaneamente e non è lasciato al livello
emozionale. Noi non siamo solo emozioni, solo sentimenti. E' necessario
vivere una vita di formazione, formare una coscienza capace di vivere da
cristiano nella comunità sociale (una coscienza ben costruita). Questo
compito di formazione si manifesta come un dovere (vedi G.S., n.16). 61 La
formazione della coscienza cristiana è un compito; si forma negli ambiti
teologici e anche in una dimensione condivisa (anche negli altri uomini
non credenti). Il criterio d'interpretazione é la comunione, la condivisione
con gli altri.
A volte la coscienza è erronea per ignoranza invincibile, senza che per
questo essa perde la sua dignità. Essa perde la sua dignità quando l'uomo
poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa
quasi cieca in seguito all'abitudine del peccato.

II.VII. Uso dei Beni della terra

Secondo una visione cristiana, i beni della terra sono donati,, dati per la
Comunione.La terra non è un elemento di profitto, ma un elemento di
condivisione.
Da almeno trent'anni nell'uso delle risorse entra il concetto di sviluppo
sostenibile. Necessariamente dobbiamo considerare che i beni della terra
non sono solo per noi. Diversamente non abbiamo una visione cristiana,
ma egoistica. Se si tratta di risorse naturali non rinnovabili, dobbiamo tener
presente anche le generazioni future, altrimenti l'uso delle risorse è un uso
iniquo. Si tratta anche di distribuire le risorse tra tutti gli uomini del pianeta.
Si parla dunque di “solidarietà intergenerazionale” e di “solidarietà
intragenerazionale”.

61
G.S.,n 16 . <<Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale deve obbedire
e la cui voce lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male. L'uomo ha una legge scritta nel cuore da
Dio..... Obbedire alla legge di Dio...La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli solo si
trova con Dio, la cui voce risuona nell'intimità propria...Attraverso la coscienza conosce questa legge, che trova il
suo compimento nell'amore di Dio e del prossimo... Esercitando una coscienza retta, le persone e i gruppi sociali si
allontano dall'arbitrio e si conformano alle norme oggettive morali.
E' necessario dare una dimensione regolativa al principio dell'uso delle
risorse (G.S. n.69): << Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa
contiene all'uso di tutti gli uomini e popoli ; i beni (creati) devono essere
equamente dati a tutti secondo secondo la regola della Giustizia, che è
inseparabile dalla Carità.>> I beni sono stati affidati: non sono cose proprie
in senso assoluto, ma sono destinati alla comunione con gli altri.Essi
devono giovare sia a chi li ha in custodia, sia agli altri (condivisione). A tutti
gli uomini spetta il diritto di avere una parte di beni sufficienti per loro e per
le loro famiglie.I beni della terra hanno una destinazione universale! Questo
è un principio cardine della dottrina sociale della Chiesa; l'uso delle risorse
è destinato a tutti gli uomini (destinazione universale delle risorse), secondo
Giustizia e Carità.
Perchè? Per l'origine comune degli uomini; esso è un diritto naturale. E per
Rivelazione, nella dimensione escatologica nella prospettiva della Carità.
Siamo giudicati sulla Carità (avevo fame,..avevo sete,..ero ignudo, ecc ;
ogni volta che l'avete fatto ad uno dei più piccoli nel mio nome, l'avete fatto
a Me).

Infine,lo sviluppo, se esclude l'istanza dell'uomo,la dignità dell'uomo,


soprattutto dei poveri (Populorum progressio:...Il grido dei poveri !), non é
morale e accettabile. Oggi i pochi stanno consumando il troppo!
Capitolo III

III.I. La Misericordia.

<< Secondo la testimonianza di tutta la Scrittura, dell'Antico come del


Nuovo Testamento, la misericordia di Dio è una proprietà di Dio, che
occupa il primo posto nell'autorivelazione storica divina. Perciò essa non
può essere, come avviene nei manuali di dogmatica, solo una proprietà
divina accanto alle altre...La misericordia è piuttosto il lato visibile ed
efficace verso l'esterno dell'essenza di Dio, che è amore (Gv 4,8,16); essa
esprime l'essenza di Dio benignamente disposta verso il mondo e verso gli
uomini e di continuo storicamente piena di premure per essi, esprime la sua
specifica bontà e il suo specifico amore.La misericordia è la <<caritas
operativa et effectiva >> di Dio 62 per cui dobbiamo dirla la sua proprietà
fondamentale.63
Certo, la misericordia è indissolubilmente e intimamente collegata con le
altre proprietà di Dio, in particolare con la Santità, con la Giustizia e con la
fedeltà/Verità.
Come si esprime? Con la benevolenza, magnanimità, indulgenza, bontà,
filantropia, condiscendenza, generosità, pietà, comprensione, mitezza,
dolcezza, pazienza e longanimità.64

Dice Kasper 65 che noi possiamo riconoscere di volta in volta solo aspetti
dell'unica essenza divina, le singole proprietà,per la nostra limitata capacità
umana di comprensione di Dio.
Se la misericordia è la proprietà fondamentale di Dio, allora essa non può
essere un'attenuazione della giustizia, ma bisogna piuttosto concepire la
giustizia di Dio partendo dalla sua misericordia. La misericordia è allora la
giustizia specifica di Dio.

62
Cfr TOMMASO D'Aquino, Summa theologiae I, q.21 a.3
63
Cfr W.KASPER, Misericordia – Concetto fondamenale del vangelo – Chiave della vita cristiana, Gdt 361,
Queriniana Brescia 2015, 135-136.
64
Cfr M.J. SCHEEBEN, Handbuch der katholischen Dogmatik II, Freiburg i. Br. 1948, 265.
65
Cfr W.KASPER, Misericordia – Concetto fondamenale del vangelo – Chiave della vita cristiana, Gdt 361,
Queriniana Brescia 2015, 137.
Secondo la testimonianza della Bibbia, Dio sovrano e onnipotente, è
misericordiosamente il Dio per e con i poveri e gli oppressi; in loro
dimostra la propria divinità e la propria onnipotenza. L'onnipotenza di Dio,
si manifesta soprattutto nella misericordia e nel perdono. Essa é
l'onnipotenza del suo amore e della sua misericordia.

III. II. Beati i misericordiosi

Gesù insegna ad essere misericordiosi sul modello di Dio (Lc 6,36) e nel
discorso della montagna dice beati i misericordiosi (Mt 5,7). Il messaggio
della misericordia di Dio ha delle conseguenze per la vita di ogni cristiano e
per la prassi pastorale della Chiesa, e per il contributo che i credenti
possono dare alla società. Soltanto l'amore, la carità, la misericordia sono il
distintivo del cristiano. S.Paolo fa un encomio alla Carità. La via
dell'amore ci è stata insegnata da Gesù Cristo; alla fine rimarrà solo l'amore
. Essa è la cosa più grande di tutte (1 Cor 13,13). E questo amore si esprime
nel modo perdonante e misericordioso di agire di Dio in Gesù Cristo. Il
cristiani devono imitare nel loro agire il modo di Cristo : << Siate...benevoli
gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha
perdonato a voi in Cristo >>( Ef 4,32; Col 3,12).
Se rimarrà soltanto l'amore, rimarranno anche le opere; esse sono l'unica
cosa che ci rimane nel giudizio escatologico e che noi, potremo esibire.

III.III. Le Opere di misericordia

<< Dio è amore >>: tutto viene di lì, deriva da lì, ma l'amore di Dio è,
come è stato detto, un amore miericordioso e nella misura che veniamo resi
partecipi di questo amore, dobbiamo renderci conto che entriamo nella
dimensione della misericordia. “E' una grande verità, la più grande
rivelazione che Cristo abbia fatto”.66
Tutte le volte che parliamo di Carità, pensiamo alla Carità e viviamo la
carità, non possiamo prescindere dalla Misericordia che caratterizza l'amore
di Dio. “ la Carità cristiana non nasce dalle filosofie filantropiche, ma dono
gratuito di un Dio che, essendo amore, ama per primo, per primo perdona e
per primo mette nella vita dell'uomo le ragioni per cui l'uomo merita stima,
merita rispetto, amore, perdono, benevolenza, amicizia.”67

Il primo e massimo comandamento lo conosciamo : << Amerai il Signore

66
A.BALLESTRERO, CARD.,Le opere di miseriocrdia – una proposta biblico-pastorale, Paoline, Milano 1990, 9.
67
Ibidem 10.
tuo Dio >>, ma il secondo è simile al primo : <<Amerai il prossimo tuo
come te stesso >>. Cristo ,prima della sua passione ha invitato gli Apostoli
ad osservare un comandamento nuovo , nuovo nella modalità dell'agire di
Cristo , <<Amatevi gli uni gli altri come Io ho amato voi. Da questo
conosceranno che siete miei discepoli >>.

La carità verso il prossimo, verso i fratelli, anche i nemici, è un dovere di


ogni battezzato, di ogni cristiano, nella logica dell'amore gratuito.
Trattando della Carità, abbiamo detto che essa non è soltanto un sentimento,
che non è astratta verità, ma che diventa attiva, operativa, cioè si eprime
attraverso gesti concreti, che però hanno un'ispirazione trascendente, una
visione dell'uomo e dei rapporti vicendevoli illuminata dal Vangelo di Gesù.
(vedi la parabola del Buon samaritano).

Dal Catechismo della Chiesa cattolica ho appreso da fanciullo, in


preparazione alla Prima Comunione, che le opere di Misericordia erano
(sono) divise in due categorie : Le opere di misericordia corporale e le
opere di misericordia spirituale.
Le opere per essere tali devono esprimersi in azioni.Non possiamo amare a
parole, ammonisce l'Apostolo Giovanni, ma con le opere e le azioni, cioè
con impegni concreti che occupano la persona nel suo tempo, nelle sue
energie, nei suoi mezzi, nelle sue abitudini, nelle sue capacità. Perchè siano
tali, le opere di misericordia richiedono la purezza di intenzioni nel loro
esercizio.
Anche il Nuovo Testamento conosce, analogamente alla tradizione
ebraica, cataloghi di virtù, di cui è entrato a far parte il comndamento della
misericordia. Un catalogo del genere ricorre già, come è stato detto, nel
rande discorso del giudizio universale di Gesù (Mt 25).
La tradizione cristiana ha poi precisato, sulla base del Nuovo testamento ,in
che cosa concretamente consiste la misericordia, e ha distinto sette opere di
misericordia corporale e sette opere di misericordia spirituale.
Le opere di misericordia corporale sono :

 dar da mangiare agli affamati,


 dar da bere agli assetati,
 vestire gli ignudi,
 ospitare i forestieri,
 visitare i malati,
 liberare i prigionieri,
 seppellire i morti.
Le opere di misericordia spirituale sono :

istruire gli ignoranti,


consigliare i dubbiosi,
consolare gli afflitti,
correggere i peccatori,
perdonare ch ci ha offeso,
sopportare gli antipatici (persone moleste),
pregare per tutti (per i vivi e i morti).

Si tratta di fare il bene possibile.Ci sono anche le omissioni di misericordia


che configurano i peccati di omissione, quando si tralascia di fare il bene; si
tratta di prestare attenzione e di essere sensibili verso la miseria che
concretamente incontriamo.

III.IV. Vecchie e nuove povertà

<< La differenziata enumerazione delle opere di misericordia corporale e


spirituale non è ingenua, né arbitraria. Essa corrisponde alla distinzione di
una quadruplice povertà; la povertà più facile da comprendere è quella
fisica o economica: non avere un tetto sopra il capo e niente nella pentola,
avere fame e sete, non avere di che vestirsi e un rifugio per difendersi dalle
intemperie atmosferiche, oggi aggiungeremmo anche essere disoccupati o
naufraghi immigrati. A ciò si aggiungono le malattie gravi o le gravi
disabilità, che non possono essere adeguatamente curate e guarite dalla
medicina >> 68 Ma quante povertà ci sono oggi: disoccupazione,
immigrazione, analfabetismo, insicurezza economica, affettiva,
familiare,religiosa, culturale, politica...
Ci sono anche gli anziani nelle case di riposo, o che vivono nella solitudine
e nella povertà estrema, i giovani senza futuro, le famiglie disgregate, gli
orfani e le vedove, anche oggi!

Non meno importante della povertà fisica è la povertà spirituale , che si


esprime non solo nell'analfabetismo, ma anche nel non avere nessuna o solo
poche possibilità di studiare e, quindi, poche prospettive per il futuro,
essere esclusi dalla partecipazione alla vita culturale e sociale.

<< Una terza forma di povertà é quella in fatto di relazioni : essa prende in
considerazione l'uomo come essere sociale: solitudine e isolamento, perdita
68
Cfr W.KASPER, Misericordia – Concetto fondamenale del vangelo – Chiave della vita cristiana, Gdt 361,
Queriniana Brescia 2015, 216-217.
del partner, perdita di familiari e di amici, difficoltà nel comunicare,
esclusione colpevole o imposta dalla comunicazione sociale, discri-
minazione ed emarginazione fino all'isolamento in una cella carceraria o a
motivo di un bando.>> 69

Ma un'altra forma di povertà , che nella nostra situazione occidentale


costituisce un'emergenza e un problema serio, al punto di evidenziare il
tema di una nuova evangelizzazione dell'Europa, è la povertà spirituale,
che si esprime << nella mancanza di orientamento, vuoto interiore,
mancanza di consolazione e di speranza, disperazione a proposito del senso
della propria esistenza, smarrimento morale e spirituale fino a crollare
psichicamente >>.70

Come muoversi, come agire da cristiani, da credenti, da veri discepoli?


La risposta a tale complessa e problematica situazione va ricercata in una
risposta pluridimensionale, perché lo richiede la multiformità e la
pluridimensionalità delle situazioni di povertà.
Innanzitutto è necessario dare, per quanto possibile almeno un aiuto
materiale; ognuno è chiamato, nelle sue possibilità ad aiutare il fratello
nell'indigenza, e nessuno si può tirare indietro, deresponsabilizzandosi.
Tuttavia, si può porre rimedio anche alla povertà culturale, sociale e spi-
rituale; ma la misericordia cristiana non deve limitarsi ai bisogni fisici.
Bisogna che i bisognosi, gli indigenti di ogni tipo, con l'aiuto della prov-
videnza, del nostro aiuto e con le politiche sociali, nazionali e inter-
nazionali, per mezzo delle Associazioni umanitarie ed Enti sovranazionali
istituiti ad hoc, non vengano continuamente confinati in una perdurante
situazione di dipendenza, ma, anzi, vengano aiutati ad avere gli strumenti
materiali, tecnologici e conoscitivi per aiutarsi da soli e riscattarsi.

69
Ibidem 217.
70
Cfr W.KASPER, Misericordia – Concetto fondamenale del vangelo – Chiave della vita cristiana, Gdt 361,
Queriniana Brescia 2015, 217.
Capitolo IV

IV.I. Esempio di Santi amanti dei poveri

Nella storia del cristianesimo ci sono stati numerosi Santi e Beati che si
sono contraddistinti dal carisma della Carità e dall'Amore verso i poveri.
Direi che tutti i Santi e i Beati hanno amato i poveri: ciò è insito nella
dimensione della Santità.
Ricordiamo gli Apostoli e discepoli delle prime Comunità cristiane, i loro
Pastori, i martiri della fede; San'Antonio Abate, i Santi eremiti, i Padri della
Chiesa e via via Sant'Agostino, Sant'Ambrogio,ecc. Più di tutti San
Francesco con Madonna Povertà e Santa Chiara, e Sant'Omobono, per
ricordarne solo alcuni. San Vincenzo De' Paoli, San Godrigo, Beato
federico Ozanam, San Germano e San Randoaldo, Beato Giuliano
Cesarello, S.Madre Teresa di Calcutta, Padre Pio, don Primo Mazzolari e
don Lorenzo Milani.
Mi voglio limitare a San Francesco, essendo un terziario francescano
dell'OFS, e a Sant'Omobono, patrono della mia Diocesi e agli scritti
(omelie) di Don Primo Mazzolari sui poveri. .

IV.I.1- L'esperienza di S. Francesco e Madonna Povertà

Il Santo di Assisi è stato chiamato: «l’uomo della povertà». In effetti,


tutta la tradizione agiografica identifica san Francesco con l’espressione «il
Poverello». Sia dai suoi scritti che dalle biografie emerge un inequivocabile
riferimento alla povertà evangelica, affermata e vissuta nel modo più
radicale possibile.
Comprendere il senso di questo tratto della sua esperienza cristiana non è
cosa immediata. Non è un caso che il tema della povertà è divenuto ben
presto nell’Ordine che da lui è nato motivo di contese ed anche di divisione.
D’altra parte non è difficile notare che della povertà vissuta da san
Francesco si può parlare in modi molto diversi, comprendendola in termini
ascetici, oppure sociali e persino rivoluzionari. Come si deve comprendere
la scelta dell’Assisiate? Per poterci avvicinare all’esperienza singolare del
Poverello si deve guardare al suo percorso esistenziale. Egli di nascita non
appartiene ad un ceto povero, ma benestante. È figlio di un commerciante
che aveva fatto fortuna permettendo un tenore di vita assai agiata alla
propria famiglia. Il suo percorso di conversione, lungo e sofferto, lo porta
alla scelta di abbracciare una vita realmente povera. Nulla spiega una tale
scelta, che arriva fino alla restituzione pubblica al padre di ogni cosa
ricevuta, se non ci si accorge di chi è Gesù Cristo per Francesco.

Nella Regola cosiddetta Non Bollata, un testo al contempo legislativo e


fortemente carismatico, Francesco descrive la sua forma di vita in questi
termini: «Tutti i frati si impegnino a seguire l’umiltà e la povertà del
Signore nostro Gesù Cristo». Questa espressione la troviamo ripetuta in
modi diversi negli scritti e nelle agiografie ed indica il vero motivo della
sua scelta. La povertà è il modo con cui il figlio di Dio è entrato nel mondo
ed ha portato a compimento la nostra salvezza. Pertanto la povertà,
abbracciata liberamente, è espressione dell’amore per l’umanità di Cristo. È
evidente che il santo d’Assisi non desidera la miseria, desidera seguire le
orme di colui che ama in ogni cosa e sopra ogni cosa. Attraverso una vita
povera egli intende imitare Dio stesso, il suo entrare nella storia. Per questo
il Santo di Assisi accentua nei suoi scritti i contrasti con cui descrive Dio
come l’Altissimo, l’Onnipotente, l’Immenso che per amore nostro si fa
indigente e piccolo, nascendo nella povertà, patendo freddo e fame, fino a
morire nudo sulla croce. In tal modo può descrivere la povertà con termini
inusuali e di carattere divino: essa è «Altissima», è «Santa»; addirittura
chiama la povertà «Domina: Signora»! Infatti, Francesco fa l’esperienza
che seguire Cristo sulla via della povertà evangelica fa diventare «Signori»,
rende il cuore libero, apre gli orizzonti, permette di entrare in rapporto con
la vita in modo nuovo, oltre ogni misura ed ogni calcolo. Egli mostra come
l’attaccamento ai beni, il porre la speranza in quello che si possiede rende il
cuore dell’uomo schiavo e triste, chiudendolo in una cupidigia che lo
consuma. La povertà evangelica, invece, rende il cuore capace di letizia e
gratitudine.
Effettivamente Francesco afferma perentoriamente di non volere mai che
“qualche cosa” venga detto “suo”. Ma questo non è per una percezione
negativa della realtà. Piuttosto il suo distacco indica che l’orizzonte del
cuore dell’uomo non è fatto per “qualche cosa”, ossia per la “parzialità” ma
per la totalità. Colpisce che nei testi dove egli parla della povertà vi sia
sempre anche il richiamo ad essere eredi, eredi del regno dei cieli, iniziando
così a partecipare della signoria di Cristo su tutta la realtà.
Da ultimo, questa scelta di povertà evangelica mette effettivamente san
Francesco in una posizione di vicinanza e di compassione nei confronti di
coloro che soffrono l’indigenza, a cominciare dai più colpiti dalla
emerginazione nel suo tempo: i lebbrosi.
La sua vicinanza a loro tuttavia non è mai strategica o ideologica ma
espressione della sua radicale affezione a Cristo, il quale per amore nostro e
liberamente ha preso su di sé la condizione ferita di ogni uomo. Proprio
Benedetto XVI aveva espresso questa realtà, quando nell’omelia di
capodanno nel 2009 ebbe a dire: «Testimone esemplare di questa povertà
scelta per amore è san Francesco d’Assisi. Il francescanesimo, nella storia
della Chiesa e della civiltà cristiana, costituisce una diffusa corrente di
povertà evangelica, che tanto bene ha fatto e continua a fare alla Chiesa e
alla famiglia umana». Questo permette di promuovere «un circolo virtuoso
tra la povertà "da scegliere" e la povertà "da combattere"[…]: per
combattere la povertà iniqua, che opprime tanti uomini e donne e minaccia
la pace di tutti, occorre riscoprire la sobrietà e la solidarietà, quali valori
evangelici e al tempo stesso universali». In effetti, conclude Benedetto
XVI, «quando Francesco d’Assisi si spoglia dei suoi beni, fa una scelta di
testimonianza ispiratagli direttamente da Dio, ma nello stesso tempo mostra
a tutti la via della Provvidenza >>.
La via della Provvidenza è ultimamente quella di chi si accorge di essere
“erede”, “figlio”, certo che la propria vita è nelle mani del Padre. Povertà
evangelica è dunque testimonianza della libertà dei figli di Dio, per la
quale, poiché ci si aspetta da Dio il compimento, si è liberi di usare del
mondo senza diventarne schiavi. Ecco perché, per Francesco, la povertà è
«Signora», ossia è possesso vero del reale.71

IV.I.2.- Sant'Omobono, Patrono della Diocesi di Cremona – Padre dei


poveri

Su Sant'omobono Tucenghi sono stati scritti libri e ricostruite biografie,


cme per San Francesco. Cerco di riassumere l'essenzialità degli elementi
che Don carlo Pedretti ha raccolto nella sua opera.72
A partire dalla seconda metà del secolo XII, anche nella Chiesa
cremonese inizia un rinnovamento della spiritualità, come in altre realtà
ecclesiali in Lombardia. Protagonisti sono i laici, tra questi Omobono. Essi
si dedicano soprattutto alle opere di misericordia corporale e spirituale Un
impegno radicato sul vangelo della carità, diretto.In Europa vi sono eventi
di carestia e di guerre. Omobono non si vergogna di farsi povero tra i
poveri, mendicando personalmente per loro, i pauperes Christi, bisognosi di
misericordia.

71
Cfr http:// www. sanfrancescopatronoditalia - Rivista della Basilica di San Francesco di Assisi, ,redazione on line.
72
Cfr.C. PEDRETTI, OMOBONO vivo, N.E.C ed. Cremona, sett.2007.
E' un mercante di stoffe, ma uomo devoto e pieno di Carità,misericordioso,
soccorreva gli afflitti con i suoi mezzi e con il suo consiglio; donava atutti
le sue cose e se stesso : << beni ai poveri, conforto agli afflitti, correzione
agli erranti, insegnamenti senza superbia agli ignoranti, perdono ai nemici,
un consiglio fidato agli indecisi, ai morti una preghiera, tanto da sembrar
fosse nato più per il bene degli altri che per se stesso >>.73
Cercò come operatore di pace di dirimere le contese fra le due fazioni che
si fronteggiavano con propri statuti e rappresentanti : la Societas militum
nella città vecchia, la Societas populi nella città nuova.
Aveva una particolare devozione per la Madonna ,e per il Crocifisso. La
Carità è stato il suo segno distintivo, il sigillo autentico della sua piena
conversione, avvenuta in età più che matura. << si dimenticò della sua
famiglia ; fu padre misericordioso dei poveri e al punto sollecito verso di
essi, da sottrarre il necessario a sé e ai suoi per distribuirlo ai poveri,
famiglia del Salvatore....Misurato con se stesso, giusto con il prossimo,
devoto con Dio, uomo di grande preghiera e di grande umiltà.>>74
Era solito andare nella sua chiesa ogni notte per partecipare al Mattutino.
Nella bolla di canonizzazione si legge che Omobono arrivava in anticipo
alla liturgia delle ore << a meno che lo trattenesse la preoccupazione di
riportare la pace in città, per la quale si adoperava da vero uomo di pace.>>
<< Fu un uomo di grande preghiera in chiesa e fuori chiesa, camminando,
seduto, vegliando o dormendo. Infatti, camminando pregava così
intensamente che spesso la sua preghiera gli impediva di sentire il saluto
della gente.E anche dormendo pregava, come spesso sentivano i presenti,
(moglie e figli)>>..
Muore a Cremona il 13 Novembre 1197, all'alba , durante la S.Messa nella
Chiesa di Sant Egidio, al canto del Gloria, davanti al Crocifisso.
Nell'inverno del 1198, il Vescovo Sicardo partì per Roma con una eletta
schiera di concives per impetrare dal nuovo Papa, Innocenzo III, appena
eletto (gennaio 11198), l'iscrizione di Omobono Tucenghi nel catalogo dei
santi, primo santo laico canonizzato. Fu traslato in un primo tempo nella
sua stessa chiesa di S.Egidio, che assunse il suo nome; successivamente
nella cripta della nostra Cattedrale e dichiarato Patrono della città di
Cremona e protettore dei sarti. E' raffigurato con una borsa di monete,
mentre pratica l'elemosina ai suoi concittadini poveri.

73
Cfr.C. PEDRETTI, OMOBONO vivo, N.E.C ed. Cremona, sett.2007,84.
74
Ibidem 66.
Capitolo V

I poveri : dalle Omelie di Don Primo Mazzolari

Don Primo Mazzolari ha scritto molte celebri Omelie; alcune di queste,


che hanno come oggetto i poveri, sono state raccolte in un libretto , a cura
di Leonardo Sapienza, con un testo autografo di Papa Francesco. 75 Da esso
prendo spunto per evidenziare e decifrare i poveri secondo Don P.
Mazzolari.
Alle domande che ho posto nella premessa di questo libretto trovo risposte
illunimate dalle Omelie di Don Primo Mazzolari, di cui riporto gli estratti
significativi:
<< I poveri sono “ figliuoli di Dio”, e tra i poveri e Dio, come c'é una stretta
somiglianza, c'é pure un continuo incontro, e tra i problemi di Dio e i
problemi dei poveri, la stessa sorte....I poveri, chi sono ? Prima importa
sapere se ci sono. Non mettete conto ch'io vi spieghi chi sono i poveri, se
non ci siamo ancora accorti che i poveri ci sono e non lontano da noi. Pare
assai comodo scordare che Dio esiste; pare assai comodo scordare che i
poveri esistono.
Quella dei poveri, come quella di Dio, è una esistenza scomodante.Sarebbe
meglio che Dio non fosse; sarebbe meglio che i poveri non fossero..... Non
vogliamo vedere Dio, non vogliamo vedere la morte, il dolore : non
vogliamo vedere i poveri. E sono invece le realtà più presenti, direi le
presenze che non possiamo non vedere e non ricordare. >>76

<< Se voi pensaste che il povero sia colui cui manca qualche cosa per
essere felice, chi più povero di un miliardario? Siamo tutti poveri, tanto
poveri. Cosa vi manca per essere felici'?..Non è il fatto che ci siano dei
poveri che fa paura; ma che esistano uomini che non li vogliono vedere,
dopo averli messi al mondo: fratelli che non si accorgono delle sofferenze
che hanno messe sulle spalle dei fratelli. La parola ai poveri è soprattutto
un saper vedere.Il nostro egoismo fabbrica il povero, poi non lo vede:

75
Cfr P. MAZZOLARI, La parola ai poveri, a cura di L.Sapienza, EDB, Bologna 2016.
76
Ibidem 27-28.
mentre l'amore che non lo vuole, lo vede.... Chi non ha cuore vede nessun
povero: chi ha poco cuore vede pochi poveri; chi ha molto cuore vede tanti
poveri e, ciò che è ancora più grande, dà loro la parola, la quale é un diritto
che sta prima del pane, del vestito e della casa.....Conoscere è lasciar
parlare: è come se il povero parlasse.>>77

<< La più brutta ingiustizia è trascurare coloro che soffrono forse per colpa
nostra, col pretesto farisaico che noi siamo migliori....Molti hanno paura
del povero, come molti farisei avevano paura di Cristo, non soltanto quando
predicava, ma pur quando, condannato a morte, saliva il Calvario.Anche
morto avevano così paura di Lui che misero le guardie al Sepolcro.
Non fa paura il povero, non fa paura la voce di giustizia che Dio fa sua, ma
il numero dei poveri. Io non li ho mai contati i poveri, perché non si posso-
no contare i poveri si abbracciano, non si contano....Perché teniamo chiuso
il cuore con i poveri? Crediamo forse ch'essi abbaino bisogno di aumenti?
La povertà non si paga: la povertà si ama.78

<< Il povero é numero, il povero é sofferenza, il povero è una protesta


continua contro le nostre ingiustizie, il povero è quindi una polveriera. Se le
dai fuoco,il mondo salta....Ci sono troppi avvocati dei poveri,...che non
conoscono i poveri.Il povero sa difendersi da sé; dobbiamo lasciare che si
difenda da sé......Nessuno si vergogna di non aver visto il povero...Troppa
gente scantona per non incontrarlo: troppa gente non ha ancora fissato in
volto un povero, né sopportato l'odore del povero! E spesso son proprio
coloro che da mattina a sera non fanno che parlare di giustizia in nome dei
poveri. Anch'io ho sete di giustizia : …..essa è spalla, braccio e mano,
coscienza e cuore...Se non lo vediamo così il povero, se non l'accettiamo
così, costruiremo un'altra volta la nostra piccola giustizia sull'arena. Ci
daremo leggi che tutelano con cuori che divorano. Senza la carità del cuore,
tutto si fa fuoco divorante. >>79

<< Diteci allora dove si può conoscere il povero. Dove sta di casa? Dove
soffre e attende che qualcuno gli si metta vicino? Dove si prepara le
redenzione o il perdimento dell'uomo. I destini del mondo si maturano alla
periferia, l'umanità si degrada o si eleva alla periferia, ove molti vanno a
far questua di voti e di peggio, come se il dolore potesse essere sfruttato al
pari della fatica senza che gridi vendetta a Dio. Federico Ozanam diceva
che il Vangelo viveva perché vivevano i poveri, e che lui andava a cercarli.

77
Ibidem 31-32
78
Cfr P. MAZZOLARI, La parola ai poveri, a cura di L.Sapienza, EDB, Bologna 2016, 31-41.
79
Ibidem 47-49.
Bisogna andare dai poveri. E' più facile andare in Chiesa; forse anche più
comodo. I poveri non s'incontrano lungo il corso o sulle piazze, molto meno
nei comizi...Bisogna andar là dove il povero nasconde la sua sofferenza e la
nostra ingiustizia...Chi parla male del povero, parla male di Cristo.Diven-
tiamo buoni e vedremo giusto; purifichiamoci il cuore e vedremo Cristo
anche nel tabernacolo più profanato.>>80

<< I poveri sono sempre con noi, proprio perchè il Signore vuole che li
teniamo presenti per primi (“gli ultimi saranni i primi” Cfr. Mt 19,30) ogni
volta che vogliamo sistemare e la convivenza dell'uomo...... Se uno aspetta
che glielo portino via il di più, egli é un seminatore di discordie e di guerre.
Guai a chi mette il povero in tentazione di dover prendere di forza la parte
destinatagli dal Padre.....Solo chi dà tutto per non perdere nulla nel giorno
del “rendiconto” é un cristiano....I poveri vanno amati (“figliuoli miei, non
amate a parole, ma a fatti” (cfr 1 Gv 3, 18), come poveri , come sono,
senza far calcoli sulla loro povertà, senza pretesa o diritto di ipoteca,
neanche quella di farli cittadini del Regno dei Cieli, molto meno dei
proseliti. Cittadini del regno dei Cieli i poveri lo sono già per diritto di
chiamata evangelica : <<Beati i poveri in ispirito perché di loro è il regno
dei cieli >>(Mt. 5,3).>>81

<<Questa è una delle “agonie” della Chiesa: nella “ Casa del Padre”,
fondata dal loro fratello Gesù Cristo, i poveri non si sentono più a casa loro.
La Chiesa “è la Casa dei poveri” ?.... Quando si avrà finalmente il coraggio
di vedere la contraddizione che c'é tra il cristianesimo e noi cristiani ? Si
lasciano i poveri in condizioni disumane, disperate e spoglie! Si pensa a
tutto, oggi, fuorché ad organizzarsi, sul serio e concretamente, a servizio dei
poveri....>>82

80
Ibidem 55-57.
81
Cfr P. MAZZOLARI, La parola ai poveri, a cura di L.Sapienza, EDB, Bologna 2016, 106-114.
82
Ibidem 118- 130.
Conclusione

Nel Capitolo primo ho cercato di ancorare la questione dei poveri, degli


ultimi, sulla Parola, sulla Rivelazione, la quale, in Cristo, è via ,verità e vita
per le soluzioni da ricercare a favore degli ultimi, degli esclusi, già qui,
sulla nostra terra, nel nostro territorio, nelle nostre città, nelle periferie dei
quartieri, nei luoghi dove vive l'emarginazione di qualche fratello.
Nel secondo ho evidenziato i princìpi cardine della morale cristiana e
della dottrina sociale della Chiesa. Nell'ultimare questo lavoro vorrei
ribadire alcuni princìpi etici: dalla solidarietà prendono consistenza alcuni
di essi:
il 1° principio riguarda il primato dell'uomo su ogni altra realtà sociale,
strutturale e scientifica; soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali è e deve
essere la persona umana, come quella che di sua natura ha sommamente
bisogno della vita sociale (G.S. 25).
il 2° principio riguarda la visione globale dell'uomo e dell'umanità in riferi-
mento alla quale si deve mirare alla 'promozione di ogni uomo e di tutto
l'uomo '.E' necessario oggi richiamare questa totalità o globalità della perso-
na umana, che prima di essere un dato filosofico é un dato esperienziale e
biblico;
il 3° principio riguarda il controllo dell'attività socio-politico-economica.
Lo sviluppo economico deve rimanere sotto il controllo dell'uomo e non si
deve abbandonare all'arbitrio di pochi uomini o gruppi che abbiano in mano
un eccessivo potere economico, né della sola comunità politica, né di alcune
più potenti nazioni (GS 65);
il 4° principio fa riferimento alla partecipazione democratica alle attività
sociali globalmente assunte. Dai livelli più bassi e più vicini alle persone
del territorio, fino ai livelli più alti é diritto-dovere di tutti essere partecipi e
corresponsabili dei progetti di vita;
il 5° principio e ultimo fa riferimento all'obiettivo del Bene comune che
richiede, giustifica e informa la presenza e l'attività sociale sia dei cittadini
come delle istituzioni e delle autorità costituite.83
Nel terzo Capitolo ho cercato di trattare della Misericordia e di come si
declina operativamente, nella realtà quotidiana.
Ho cercato, poi, di indicare due esempi di Santi che hanno amato i poveri e
83
F.COMPAGNONI, G PIANA,S. PRIVITERA, a cura , Nuovo Dizionario di TEOLOGIA MORALE,Paoline,
Cinisello Balsamo 1990,1243-1245.
la povertà : Sant'Omobono e San Francesco, accanto ad altri Santi e Beati.
E poichè è in corso nella nostra Diocesi la causa di Beatificazione di Don
Primo Mazzolari, ho utilizzato alcuni elementi di riflessione desunti dalle
sue Omelie inerenti la povertà e i poveri, perchè ci aiutino a riflettere e a
gurdare nel volto i fratelli più bisognosi, offrendo, se nelle nostre possibi-
lità, l'aiuto che ci chiedono, perchè è sulla Carità che nell'ultimo giorno
saremo giudicati. La Carità, inoltre, copre molti peccati, se fatta con
purezza d'intenzioni verso quei fratelli più sfortunati. Il Signore ha detto :<<
li avete sempre con voi >, e ciò che facciamo per loro << l'avete fatto a Me
>>.

Pietra di carità

E quando
scenderà
dei rischi che verranno
la paura, stringiTi in noi
e stringi noi in Te;
facci realtà santa,
realtà paziente,
realtà sicura;
e fa' che noi
si sia
pietra di carità
che oltre morte
dura.

GIOVANNI TESTORI
Post- Hamlet, atto II,Rizzoli, Milano 1983,59.
BIBLIOGRAFIA

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II

COSTITUZIONE PASTORALE << GAUDIUM ET SPES >>sulla Chiesa nel mondo contemporaneo.

DECRETO CONCILIARE << APOSTOLICAM ACTUOSITATEM >> sull'apostolato dei laici.

DOCUMENTI DI DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA e ALTRI

LETTERA ENCICLICA << CARITAS IN VERITATE >> Benedetto XVI, 2009.

LETTERA ENCICLICA << CENTESIMUS ANNUS >> Giovanni Paolo II, 1991.

ESORTAZIONE APOSTOLICA << GAUDETE ET EXSULTATE >> sullla chiamata alla santità nel
mondo conteporaneo , Francesco, 2018.

LETTERA ECICLICA << LABOREM EXERCENS >> Giovanni Paolo II,1981.

LETTERA ENCICLICA << LAUDATO SI' >> sulla cura della casa comune, Francesco, 2015.

LETTERA ENCICLICA <<POPULORUM PROGRESSIO >> sullo sviluppo dei popoli, PaoloVI,
1967.
LETTERA ENCICLICA << QUADRAGESIMO ANNO >>Pio XI, 1931.

LETTERA ENCICLICA <<RERUM NOVARUM >>, Leone XIII, 1891.

LETTERA ENCICLICA << SOLLICITUDO REI SOCIALIS >> Giovanni Paolo II, 1987.

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COMPAGNONI, F., PIANA,G., PRIVITERA, S., a cura , Nuovo Dizionario di TEOLO-


GIA MORALE, Paoline, Cinisello Balsamo 1990,1243-1245.

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Dizionario LA REPUBBLICA” (https://dizionari.repubblica.it), 2019.
Dizionario TRECCANI (www. Treccani.it),2019.

INDICE GENERALE

Introduzione ….................................................................................

Premessa …..................................................................................

Capitolo I: Il povero nelle Beatitudini .

..................................................................................................

Capitolo II :Appunti di Teologia Morale - Morale Sociale cristiana.

…...........................................................................................

Capitolo III :La Misericordia.

.........................................................................................

Capitolo IV: Esempio di Santi amanti dei poveri

.........................................................................................

Capitolo V: I poveri : dalle Omelie di Don Primo Mazzolari

.............................................................................................

Conclusione …........................................................................................ .

BIBLIOGRAFIA......................................................................................

INDICE....................................................................................................

APPENDICE …........................................................................................
Appendice

PAPA FRANCESCO:

NON DI PROTAGONISMO HANNO BISOGNO I POVERI, MA DI AMORE


19/06/2018
di Papa Francesco

1. «Questo povero grida e il Signore lo ascolta» (Sal 34,7). Le parole del Salmista
diventano anche le nostre nel momento in cui siamo chiamati a incontrare le
diverse condizioni di sofferenza ed emarginazione in cui vivono tanti fratelli e
sorelle che siamo abituati a designare con il termine generico di “poveri”. Chi
scrive quelle parole non è estraneo a questa condizione, al contrario. Egli fa esperienza
diretta della povertà e, tuttavia, la trasforma in un canto di lode e di ringraziamento al
Signore. Questo Salmo permette oggi anche a noi, immersi in tante forme di povertà, di
comprendere chi sono i veri poveri verso cui siamo chiamati a rivolgere lo sguardo per
ascoltare il loro grido e riconoscere le loro necessità.
Ci viene detto, anzitutto, che il Signore ascolta i poveri che gridano a Lui ed è
buono con quelli che cercano rifugio in Lui con il cuore spezzato dalla tristezza,
dalla solitudine e dall’ esclusione. Ascolta quanti vengono calpestati nella loro dignità
e, nonostante questo, hanno la forza di innalzare lo sguardo verso l’ alto per ricevere
luce e conforto. Ascolta coloro che vengono perseguitati in nome di una falsa giustizia,
oppressi da politiche indegne di questo nome e intimoriti dalla violenza; eppure sanno
di avere in Dio il loro Salvatore. Ciò che emerge da questa preghiera è anzitutto il
sentimento di abbandono e fiducia in un Padre che ascolta e accoglie. Sulla lunghezza
d’ onda di queste parole possiamo comprendere più a fondo quanto Gesù ha proclamato
con la beatitudine «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3).
In forza di questa esperienza unica e, per molti versi, immeritata e impossibile da
esprimere appieno, si sente comunque il desiderio di comunicarla ad altri, prima di
tutto a quanti sono, come il Salmista, poveri, rifiutati ed emarginati. Nessuno, infatti,
può sentirsi escluso dall’ amore del Padre, specialmente in un mondo che eleva spesso
la ricchezza a primo obiettivo e rende chiusi in sé stessi.
2. Il Salmo caratterizza con tre verbi l’ atteggiamento del povero e il suo rapporto
con Dio. Anzitutto, “gridare”.La condizione di povertà non si esaurisce in una parola,
ma diventa un grido che attraversa i cieli e raggiunge Dio. Che cosa esprime il grido del
povero se non la sua sofferenza e solitudine, la sua delusione e speranza? Possiamo
chiederci: come mai questo grido, che sale fino al cospetto di Dio, non riesce ad
arrivare alle nostre orecchie e ci lascia indifferenti e impassibili? In una Giornata come
questa, siamo chiamati a un serio esame di coscienza per capire se siamo davvero
capaci di ascoltare i poveri.
E’ il silenzio dell’ ascolto ciò di cui abbiamo bisogno per riconoscere la loro voce. Se
parliamo troppo noi, non riusciremo ad ascoltare loro. Spesso, ho timore che tante
iniziative pur meritevoli e necessarie, siano rivolte più a compiacere noi stessi che a
recepire davvero il grido del povero. In tal caso, nel momento in cui i poveri fanno
udire il loro grido, la reazione non è coerente, non è in grado di entrare in sintonia con
la loro condizione. Si è talmente intrappolati in una cultura che obbliga a guardarsi allo
specchio e ad accudire oltremisura sé stessi, da ritenere che un gesto di altruismo possa
bastare a rendere soddisfatti, senza lasciarsi compromettere direttamente.
3. Un secondo verbo è “rispondere”. Il Signore, dice il Salmista, non solo ascolta il
grido del povero, ma risponde. La sua risposta, come viene attestato in tutta la storia
della salvezza, è una partecipazione piena d’ amore alla condizione del povero. E’ stato
così quando Abramo esprimeva a Dio il suo desiderio di avere una discendenza,
nonostante lui e la moglie Sara, ormai anziani, non avessero figli (cfr Gen 15,1-6). E’
accaduto quando Mosè, attraverso il fuoco di un roveto che bruciava intatto, ha ricevuto
la rivelazione del nome divino e la missione di far uscire il popolo dall’ Egitto (cfr Es
3,1-15). E questa risposta si è confermata lungo tutto il cammino del popolo nel deserto:
quando sentiva i morsi della fame e della sete (cfr Es 16,1-16; 17,1-7), e quando cadeva
nella miseria peggiore, cioè l’ infedeltà all’ alleanza e l’ idolatria (cfr Es 32,1-14).
La risposta di Dio al povero è sempre un intervento di salvezza per curare le ferite
dell’ anima e del corpo, per restituire giustizia e per aiutare a riprendere la vita con
dignità. La risposta di Dio è anche un appello affinché chiunque crede in Lui possa fare
altrettanto nei limiti dell’ umano. La Giornata Mondiale dei Poveri intende essere una
piccola risposta che dalla Chiesa intera, sparsa per tutto il mondo, si rivolge ai poveri di
ogni tipo e di ogni terra perché non pensino che il loro grido sia caduto nel vuoto.
Probabilmente, è come una goccia d’ acqua nel deserto della povertà; e tuttavia può
essere un segno di condivisione per quanti sono nel bisogno, per sentire la presenza attiva
di un fratello e di una sorella. Non è un atto di delega ciò di cui i poveri hanno bisogno,
ma il coinvolgimento personale di quanti ascoltano il loro grido. La sollecitudine dei
credenti non può limitarsi a una forma di assistenza – pur necessaria e provvidenziale in
un primo momento –, ma richiede quella «attenzione d’ amore» (Esort. ap. Evangelii
gaudium, 199) che onora l’ altro in quanto persona e cerca il suo bene.
4. Un terzo verbo è “liberare”. Il povero della Bibbia vive con la certezza che Dio
interviene a suo favore per restituirgli dignità. La povertà non è cercata, ma creata
dall’ egoismo, dalla superbia, dall’ avidità e dall’ ingiustizia. Mali antichi quanto l’ uomo,
ma pur sempre peccati che coinvolgono tanti innocenti, portando a conseguenze sociali
drammatiche. L’ azione con la quale il Signore libera è un atto di salvezza per quanti
hanno manifestato a Lui la propria tristezza e angoscia. La prigionia della povertà viene
spezzata dalla potenza dell’ intervento di Dio. Tanti Salmi narrano e celebrano questa
storia della salvezza che trova riscontro nella vita personale del povero: «Egli non ha
disprezzato né disdegnato l’ afflizione del povero, il proprio volto non gli ha nascosto ma
ha ascoltato il suo grido di aiuto» (Sal 22,25). Poter contemplare il volto di Dio è segno
della sua amicizia, della sua vicinanza, della sua salvezza. «Hai guardato alla mia
miseria, hai conosciute le angosce della mia vita; […] hai posto i miei piedi in un luogo
spazioso» (Sal 31,8-9). Offrire al povero un “luogo spazioso” equivale a liberarlo dal
“laccio del predatore” (cfr Sal 1,3), a toglierlo dalla trappola tesa sul suo cammino,
perché possa camminare spedito e guardare la vita con occhi sereni. La salvezza di Dio
prende la forma di una mano tesa verso il povero, che offre accoglienza, protegge e
permette di sentire l’ amicizia di cui ha bisogno. E’ a partire da questa vicinanza concreta
e tangibile che prende avvio un genuino percorso di liberazione: «Ogni cristiano e ogni
comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei
poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società; questo suppone che
siamo docili e attenti ad ascoltare il grido del povero e soccorrerlo» (Esort. ap.Evangelii
gaudium, 187).
5. E’ per me motivo di commozione sapere che tanti poveri si sono identificati con
Bartimeo, del quale parla l’ evangelista Marco (cfr 10,46-52). Il cieco Bartimeo «sedeva
lungo la strada a mendicare» (v. 46), e avendo sentito che passava Gesù «cominciò a
gridare» e a invocare il «Figlio di Davide» perché avesse pietà di lui (cfr v. 47). «Molti lo
rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte» (v. 48). Il Figlio di Dio
ascoltò il suo grido: «“Che cosa vuoi che io faccia per te?”. E il cieco gli rispose:
“Rabbunì, che io veda di nuovo!”» (v. 51). Questa pagina del Vangelo rende visibile
quanto il Salmo annunciava come promessa. Bartimeo è un povero che si ritrova privo di
capacità fondamentali, quali il vedere e il lavorare. Quanti percorsi anche oggi
conducono a forme di precarietà! La mancanza di mezzi basilari di sussistenza, la
marginalità quando non si è più nel pieno delle proprie forze lavorative, le diverse forme
di schiavitù sociale, malgrado i progressi compiuti dall’ umanità… Come Bartimeo,
quanti poveri sono oggi al bordo della strada e cercano un senso alla loro
condizione! Quanti si interrogano sul perché sono arrivati in fondo a questo abisso e su
come ne possono uscire! Attendono che qualcuno si avvicini loro e dica: «Coraggio!
Alzati, ti chiama!» (v. 49).
Purtroppo si verifica spesso che, al contrario, le voci che si sentono sono quelle del
rimprovero e dell’ invito a tacere e a subire. Sono voci stonate, spesso determinate da
una fobia per i poveri, considerati non solo come persone indigenti, ma anche come gente
portatrice di insicurezza, instabilità, disorientamento dalle abitudini quotidiane e,
pertanto, da respingere e tenere lontani. Si tende a creare distanza tra sé e loro e non ci si
rende conto che in questo modo ci si rende distanti dal Signore Gesù, che non li respinge
ma li chiama a sé e li consola. Come risuonano appropriate in questo caso le parole del
profeta sullo stile di vita del credente: «sciogliere le catene inique, togliere i legami del
giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo […] dividere il pane con l’
affamato, […] introdurre in casa i miseri, senza tetto, […] vestire uno che vedi nudo» (Is
58,6-7). Questo modo di agire permette che il peccato sia perdonato (cfr 1 Pt 4,8), che la
giustizia percorra la sua strada e che, quando saremo noi a gridare verso il Signore, allora
Egli risponderà e dirà: eccomi! (cfr Is 58,9).
6. I poveri sono i primi abilitati a riconoscere la presenza di Dio e a dare
testimonianza della sua vicinanza nella loro vita. Dio rimane fedele alla sua promessa,
e anche nel buio della notte non fa mancare il calore del suo amore e della sua
consolazione. Tuttavia, per superare l’ opprimente condizione di povertà, è necessario che
essi percepiscano la presenza dei fratelli e delle sorelle che si preoccupano di loro e che,
aprendo la porta del cuore e della vita, li fanno sentire amici e famigliari. Solo in questo
modo possiamo scoprire «la forza salvifica delle loro esistenze» e «porle al centro della
vita della Chiesa» (Esort. Ap Evangelii gaudium, 198).

In questa Giornata Mondiale siamo invitati a dare concretezza alle parole del Salmo: «I
poveri mangeranno e saranno saziati» (Sal 22,27). Sappiamo che nel tempio di
Gerusalemme, dopo il rito del sacrificio, avveniva il banchetto. In molte Diocesi, questa è
stata un’ esperienza che, lo scorso anno, ha arricchito la celebrazione della prima
Giornata Mondiale dei Poveri. Molti hanno trovato il calore di una casa, la gioia di un
pasto festivo e la solidarietà di quanti hanno voluto condividere la mensa in maniera
semplice e fraterna. Vorrei che anche quest’ anno e in avvenire questa Giornata fosse
celebrata all’ insegna della gioia per la ritrovata capacità di stare insieme. Pregare
insieme in comunità e condividere il pasto nel giorno della domenica. Un’ esperienza che
ci riporta alla prima comunità cristiana, che l’ evangelista Luca descrive in tutta la sua
originalità e semplicità: «Erano perseveranti nell’ insegnamento degli apostoli e nella
comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. […] Tutti i credenti stavano
insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le
dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno» (At 2,42.44-45).
7. Sono innumerevoli le iniziative che ogni giorno la comunità cristiana intraprende
per dare un segno di vicinanza e di sollievo alle tante forme di povertà che sono sotto
i nostri occhi. Spesso la collaborazione con altre realtà, che sono mosse non dalla
fede ma dalla solidarietà umana, riesce a portare un aiuto che da soli non potremmo
realizzare.Riconoscere che, nell’ immenso mondo della povertà, anche il nostro
intervento è limitato, debole e insufficiente conduce a tendere le mani verso altri,
perché la collaborazione reciproca possa raggiungere l’ obiettivo in maniera più efficace.
Siamo mossi dalla fede e dall’ imperativo della carità, ma sappiamo riconoscere altre
forme di aiuto e solidarietà che si prefiggono in parte gli stessi obiettivi; purché non
trascuriamo quello che ci è proprio, cioè condurre tutti a Dio e alla santità. Il dialogo tra
le diverse esperienze e l’ umiltà di prestare la nostra collaborazione, senza protagonismi
di sorta, è una risposta adeguata e pienamente evangelica che possiamo realizzare.
Davanti ai poveri non si tratta di giocare per avere il primato di intervento, ma
possiamo riconoscere umilmente che è lo Spirito a suscitare gesti che siano segno
della risposta e della vicinanza di Dio. Quando troviamo il modo per avvicinarci ai
poveri, sappiamo che il primato spetta a Lui, che ha aperto i nostri occhi e il nostro cuore
alla conversione. Non è di protagonismo che i poveri hanno bisogno, ma di amore che sa
nascondersi e dimenticare il bene fatto. I veri protagonisti sono il Signore e i poveri. Chi
si pone al servizio è strumento nelle mani di Dio per far riconoscere la sua presenza e la
sua salvezza. Lo ricorda San Paolo scrivendo ai cristiani di Corinto, che gareggiavano tra
loro nei carismi ricercando i più prestigiosi: «Non può l’ occhio dire alla mano: “Non ho
bisogno di te”; oppure la testa ai piedi: “Non ho bisogno di voi”» (1 Cor 12,21). L’
Apostolo fa una considerazione importante osservando che le membra del corpo che
sembrano più deboli sono le più necessarie (cfr v. 22); e che quelle che «riteniamo meno
onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con
maggiore decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno» (vv. 23-24). Mentre dà
un insegnamento fondamentale sui carismi, Paolo educa anche la comunità all’
atteggiamento evangelico nei confronti dei suoi membri più deboli e bisognosi. Lungi dai
discepoli di Cristo sentimenti di disprezzo e di pietismo verso di essi; piuttosto sono
chiamati a rendere loro onore, a dare loro la precedenza, convinti che sono una presenza
reale di Gesù in mezzo a noi. «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei
fratelli più piccoli, l’ avete fatto a me» (Mt 25,40).
8.Qui si comprende quanto sia distante il nostro modo di vivere da quello del
mondo, che loda, insegue e imita coloro che hanno potere e ricchezza, mentre
emargina i poveri e li considera uno scarto e una vergogna. Le parole dell’ Apostolo
sono un invito a dare pienezza evangelica alla solidarietà con le membra più deboli e
meno dotate del corpo di Cristo: «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono
insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui» (1 Cor 12,26).
Alla stessa stregua, nella Lettera ai Romani ci esorta: «Rallegratevi con quelli che sono
nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli
uni verso gli altri; non nutrite desideri di grandezza; volgetevi piuttosto a ciò che è
umile» (12,15-16). Questa è la vocazione del discepolo di Cristo; l’ ideale a cui tendere
con costanza è assimilare sempre più in noi i «sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5).
9. Una parola di speranza diventa l’ epilogo naturale a cui la fede indirizza Spesso
sono proprio i poveri a mettere in crisi la nostra indifferenza, figlia di una visione della
vita troppo immanente e legata al presente. Il grido del povero è anche un grido di
speranza con cui manifesta la certezza di essere liberato. La speranza fondata sull’
amore di Dio che non abbandona chi si affida a Lui (cfr Rm 8,31-39). Scriveva santa
Teresa d’ Avila nel suo Cammino di perfezione: «La povertà è un bene che racchiude in
sé tutti i beni del mondo; ci assicura un gran dominio, intendo dire che ci rende padroni
di tutti i beni terreni, dal momento che ce li fa disprezzare» (2, 5). E’ nella misura in cui
siamo capaci di discernere il vero bene che diventiamo ricchi davanti a Dio e saggi
davanti a noi stessi e agli altri. E’ proprio così: nella misura in cui si riesce a dare il
giusto e vero senso alla ricchezza, si cresce in umanità e si diventa capaci di
condivisione.
10. Invito i confratelli vescovi, i sacerdoti e in particolare i diaconi, a cui sono state
imposte le mani per il servizio ai poveri (cfr At 6,1-7), insieme alle persone consacrate
e ai tanti laici e laiche che nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti rendono
tangibile la risposta della Chiesa al grido dei poveri, a vivere questa Giornata Mondiale
come un momento privilegiato di nuova evangelizzazione. I poveri ci evangelizzano,
aiutandoci a scoprire ogni giorno la bellezza del Vangelo. Non lasciamo cadere nel
vuoto questa opportunità di grazia. Sentiamoci tutti, in questo giorno, debitori nei loro
confronti, perché tendendo reciprocamente le mani l’ uno verso l’ altro, si realizzi l’
incontro salvifico che sostiene la fede, rende fattiva la carità e abilita la speranza a
proseguire sicura nel cammino verso il Signore che viene.
Dal Vaticano, 13 giugno 2018
Memoria liturgica di S. Antonio da Padova
Francesco

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO


I GIORNATA MONDIALE DEI POVERI
Domenica XXXIII del Tempo Ordinario
19 novembre 2017
Non amiamo a parole ma con i fatti

1. «Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità» (1 Gv 3,18).
Queste parole dell’apostolo Giovanni esprimono un imperativo da cui nessun cristiano può
prescindere. La serietà con cui il “discepolo amato” trasmette fino ai nostri giorni il comando di
Gesù è resa ancora più accentuata per l’opposizione che rileva tra le parole vuote che spesso
sono sulla nostra bocca e i fatti concreti con i quali siamo invece chiamati a misurarci. L’amore
non ammette alibi: chi intende amare come Gesù ha amato, deve fare proprio il suo esempio;
soprattutto quando si è chiamati ad amare i poveri. Il modo di amare del Figlio di Dio,
d’altronde, è ben conosciuto, e Giovanni lo ricorda a chiare lettere. Esso si fonda su due colonne
portanti: Dio ha amato per primo (cfr 1 Gv 4,10.19); e ha amato dando tutto sé stesso, anche la
propria vita (cf 1 Gv 3,16).
Un tale amore non può rimanere senza risposta. Pur essendo donato in maniera unilaterale,
senza richiedere cioè nulla in cambio, esso tuttavia accende talmente il cuore che chiunque si
sente portato a ricambiarlo nonostante i propri limiti e peccati. E questo è possibile se la grazia
di Dio, la sua carità misericordiosa viene accolta, per quanto possibile, nel nostro cuore, così da
muovere la nostra volontà e anche i nostri affetti all’amore per Dio stesso e per il prossimo. In
tal modo la misericordia che sgorga, per così dire, dal cuore della Trinità può arrivare a mettere
in movimento la nostra vita e generare compassione e opere di misericordia per i fratelli e le
sorelle che si trovano in necessità.
2. «Questo povero grida e il Signore lo ascolta» (Sal 34,7). Da sempre la Chiesa ha compreso
l’importanza di un tale grido. Possediamo una grande testimonianza fin dalle prime pagine degli
Atti degli Apostoli, là dove Pietro chiede di scegliere sette uomini «pieni di Spirito e di
sapienza» (6,3) perché assumessero il servizio dell’assistenza ai poveri. È certamente questo
uno dei primi segni con i quali la comunità cristiana si presentò sulla scena del mondo: il
servizio ai più poveri. Tutto ciò le era possibile perché aveva compreso che la vita dei discepoli
di Gesù doveva esprimersi in una fraternità e solidarietà tali, da corrispondere all’insegnamento
principale del Maestro che aveva proclamato i poveri beati ed eredi del Regno dei cieli (cfr Mt
5,3).
«Vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di
ciascuno» (At 2,45). Questa espressione mostra con evidenza la viva preoccupazione dei primi
cristiani. L’evangelista Luca, l’autore sacro che più di ogni altro ha dato spazio alla
misericordia, non fa nessuna retorica quando descrive la prassi di condivisione della prima
comunità. Al contrario, raccontandola intende parlare ai credenti di ogni generazione, e quindi
anche a noi, per sostenerci nella testimonianza e provocare la nostra azione a favore dei più
bisognosi. Lo stesso insegnamento viene dato con altrettanta convinzione dall’apostolo
Giacomo, che, nella sua Lettera, usa espressioni forti ed incisive: «Ascoltate, fratelli miei
carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed
eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano? Voi invece avete disonorato il povero! Non
sono forse i ricchi che vi opprimono e vi trascinano davanti ai tribunali? [...] A che serve, fratelli
miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un
fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro:
“Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo, a che
cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta» (2,5-6.14-17).
3. Ci sono stati momenti, tuttavia, in cui i cristiani non hanno ascoltato fino in fondo questo
appello, lasciandosi contagiare dalla mentalità mondana. Ma lo Spirito Santo non ha mancato di
richiamarli a tenere fisso lo sguardo sull’essenziale. Ha fatto sorgere, infatti, uomini e donne che
in diversi modi hanno offerto la loro vita a servizio dei poveri. Quante pagine di storia, in questi
duemila anni, sono state scritte da cristiani che, in tutta semplicità e umiltà, e con la generosa
fantasia della carità, hanno servito i loro fratelli più poveri!
Tra tutti spicca l’esempio di Francesco d’Assisi, che è stato seguito da numerosi altri uomini e
donne santi nel corso dei secoli. Egli non si accontentò di abbracciare e dare l’elemosina ai
lebbrosi, ma decise di andare a Gubbio per stare insieme con loro. Lui stesso vide in questo
incontro la svolta della sua conversione: «Quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo
amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E
allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di
corpo» (Test 1-3: FF 110). Questa testimonianza manifesta la forza trasformatrice della carità e
lo stile di vita dei cristiani.
Non pensiamo ai poveri solo come destinatari di una buona pratica di volontariato da fare una
volta alla settimana, o tanto meno di gesti estemporanei di buona volontà per mettere in pace la
coscienza. Queste esperienze, pur valide e utili a sensibilizzare alle necessità di tanti fratelli e
alle ingiustizie che spesso ne sono causa, dovrebbero introdurre ad un vero incontro con i poveri
e dare luogo ad una condivisione che diventi stile di vita. Infatti, la preghiera, il cammino del
discepolato e la conversione trovano nella carità che si fa condivisione la verifica della loro
autenticità evangelica. E da questo modo di vivere derivano gioia e serenità d’animo, perché si
tocca con mano la carne di Cristo. Se vogliamo incontrare realmente Cristo, è necessario che ne
tocchiamo il corpo in quello piagato dei poveri, come riscontro della comunione sacramentale
ricevuta nell’Eucaristia. Il Corpo di Cristo, spezzato nella sacra liturgia, si lascia ritrovare dalla
carità condivisa nei volti e nelle persone dei fratelli e delle sorelle più deboli. Sempre attuali
risuonano le parole del santo vescovo Crisostomo: «Se volete onorare il corpo di Cristo, non
disdegnatelo quando è nudo; non onorate il Cristo eucaristico con paramenti di seta, mentre
fuori del tempio trascurate quest’altro Cristo che è afflitto dal freddo e dalla nudità»(Hom. in
Matthaeum, 50, 3: PG 58).
Siamo chiamati, pertanto, a tendere la mano ai poveri, a incontrarli, guardarli negli occhi,
abbracciarli, per far sentire loro il calore dell’amore che spezza il cerchio della solitudine. La
loro mano tesa verso di noi è anche un invito ad uscire dalle nostre certezze e comodità, e a
riconoscere il valore che la povertà in sé stessa costituisce.
4. Non dimentichiamo che per i discepoli di Cristo la povertà è anzitutto una vocazione a
seguire Gesù povero. È un cammino dietro a Lui e con Lui, un cammino che conduce alla
beatitudine del Regno dei cieli (cfr Mt 5,3; Lc 6,20). Povertà significa un cuore umile che sa
accogliere la propria condizione di creatura limitata e peccatrice per superare la tentazione di
onnipotenza, che illude di essere immortali. La povertà è un atteggiamento del cuore che
impedisce di pensare al denaro, alla carriera, al lusso come obiettivo di vita e condizione per la
felicità. E’ la povertà, piuttosto, che crea le condizioni per assumere liberamente le
responsabilità personali e sociali, nonostante i propri limiti, confidando nella vicinanza di Dio e
sostenuti dalla sua grazia. La povertà, così intesa, è il metro che permette di valutare l’uso
corretto dei beni materiali, e anche di vivere in modo non egoistico e possessivo i legami e gli
affetti (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 25-45).
Facciamo nostro, pertanto, l’esempio di san Francesco, testimone della genuina povertà. Egli,
proprio perché teneva fissi gli occhi su Cristo, seppe riconoscerlo e servirlo nei poveri. Se,
pertanto, desideriamo offrire il nostro contributo efficace per il cambiamento della storia,
generando vero sviluppo, è necessario che ascoltiamo il grido dei poveri e ci impegniamo a
sollevarli dalla loro condizione di emarginazione. Nello stesso tempo, ai poveri che vivono nelle
nostre città e nelle nostre comunità ricordo di non perdere il senso della povertà evangelica che
portano impresso nella loro vita.
5. Conosciamo la grande difficoltà che emerge nel mondo contemporaneo di poter identificare in
maniera chiara la povertà. Eppure, essa ci interpella ogni giorno con i suoi mille volti segnati dal
dolore, dall’emarginazione, dal sopruso, dalla violenza, dalle torture e dalla prigionia, dalla
guerra, dalla privazione della libertà e della dignità, dall’ignoranza e dall’analfabetismo,
dall’emergenza sanitaria e dalla mancanza di lavoro, dalle tratte e dalle schiavitù, dall’esilio e
dalla miseria, dalla migrazione forzata. La povertà ha il volto di donne, di uomini e di bambini
sfruttati per vili interessi, calpestati dalle logiche perverse del potere e del denaro. Quale elenco
impietoso e mai completo si è costretti a comporre dinanzi alla povertà frutto dell’ingiustizia
sociale, della miseria morale, dell’avidità di pochi e dell’indifferenza generalizzata!
Ai nostri giorni, purtroppo, mentre emerge sempre più la ricchezza sfacciata che si accumula
nelle mani di pochi privilegiati, e spesso si accompagna all’illegalità e allo sfruttamento
offensivo della dignità umana, fa scandalo l’estendersi della povertà a grandi settori della società
in tutto il mondo. Dinanzi a questo scenario, non si può restare inerti e tanto meno rassegnati.
Alla povertà che inibisce lo spirito di iniziativa di tanti giovani, impedendo loro di trovare un
lavoro; alla povertà che anestetizza il senso di responsabilità inducendo a preferire la delega e la
ricerca di favoritismi; alla povertà che avvelena i pozzi della partecipazione e restringe gli spazi
della professionalità umiliando così il merito di chi lavora e produce; a tutto questo occorre
rispondere con una nuova visione della vita e della società.
Tutti questi poveri – come amava dire il Santo Paolo VI– appartengono alla Chiesa per «diritto
evangelico» (Discorso di apertura della II sessione del Concilio Ecumenico Vaticano II, 29
settembre 1963) e obbligano all’opzione fondamentale per loro. Benedette, pertanto, le mani che
si aprono ad accogliere i poveri e a soccorrerli: sono mani che portano speranza. Benedette le
mani che superano ogni barriera di cultura, di religione e di nazionalità versando olio di
consolazione sulle piaghe dell’umanità. Benedette le mani che si aprono senza chiedere nulla in
cambio, senza “se”, senza “però” e senza “forse”: sono mani che fanno scendere sui fratelli la
benedizione di Dio.
6. Al termine del Giubileo della Misericordia ho voluto offrire alla Chiesa la Giornata Mondiale
dei Poveri, perché in tutto il mondo le comunità cristiane diventino sempre più e meglio segno
concreto della carità di Cristo per gli ultimi e i più bisognosi. Alle altre Giornate mondiali
istituite dai miei Predecessori, che sono ormai una tradizione nella vita delle nostre comunità,
desidero che si aggiunga questa, che apporta al loro insieme un elemento di completamento
squisitamente evangelico, cioè la predilezione di Gesù per i poveri.
Invito la Chiesa intera e gli uomini e le donne di buona volontà a tenere fisso lo sguardo, in
questo giorno, su quanti tendono le loro mani gridando aiuto e chiedendo la nostra solidarietà.
Sono nostri fratelli e sorelle, creati e amati dall’unico Padre celeste. QuestaGiornata intende
stimolare in primo luogo i credenti perché reagiscano alla cultura dello scarto e dello spreco,
facendo propria la cultura dell’incontro. Al tempo stesso l’invito è rivolto a tutti,
indipendentemente dall’appartenenza religiosa, perché si aprano alla condivisione con i poveri
in ogni forma di solidarietà, come segno concreto di fratellanza. Dio ha creato il cielo e la terra
per tutti; sono gli uomini, purtroppo, che hanno innalzato confini, mura e recinti, tradendo il
dono originario destinato all’umanità senza alcuna esclusione.
7. Desidero che le comunità cristiane, nella settimana precedente la Giornata Mondiale dei
Poveri, che quest’anno sarà il 19 novembre, XXXIII domenica del Tempo Ordinario, si
impegnino a creare tanti momenti di incontro e di amicizia, di solidarietà e di aiuto concreto.
Potranno poi invitare i poveri e i volontari a partecipare insieme all’Eucaristia di questa
domenica, in modo tale che risulti ancora più autentica la celebrazione della Solennità di Nostro
Signore Gesù Cristo Re dell’universo, la domenica successiva. La regalità di Cristo, infatti,
emerge in tutto il suo significato proprio sul Golgota, quando l’Innocente inchiodato sulla croce,
povero, nudo e privo di tutto, incarna e rivela la pienezza dell’amore di Dio. Il suo abbandonarsi
completamente al Padre, mentre esprime la sua povertà totale, rende evidente la potenza di
questo Amore, che lo risuscita a vita nuova nel giorno di Pasqua.
In questa domenica, se nel nostro quartiere vivono dei poveri che cercano protezione e aiuto,
avviciniamoci a loro: sarà un momento propizio per incontrare il Dio che cerchiamo. Secondo
l’insegnamento delle Scritture (cfr Gen 18,3-5; Eb 13,2), accogliamoli come ospiti privilegiati
alla nostra mensa; potranno essere dei maestri che ci aiutano a vivere la fede in maniera più
coerente. Con la loro fiducia e disponibilità ad accettare aiuto, ci mostrano in modo sobrio, e
spesso gioioso, quanto sia decisivo vivere dell’essenziale e abbandonarci alla provvidenza del
Padre.
8. A fondamento delle tante iniziative concrete che si potranno realizzare in questa Giornata ci
sia sempre la preghiera. Non dimentichiamo che il Padre nostro è la preghiera dei poveri. La
richiesta del pane, infatti, esprime l’affidamento a Dio per i bisogni primari della nostra vita.
Quanto Gesù ci ha insegnato con questa preghiera esprime e raccoglie il grido di chi soffre per la
precarietà dell’esistenza e per la mancanza del necessario. Ai discepoli che chiedevano a Gesù di
insegnare loro a pregare, Egli ha risposto con le parole dei poveri che si rivolgono all’unico
Padre in cui tutti si riconoscono come fratelli. Il Padre nostro è una preghiera che si esprime al
plurale: il pane che si chiede è “nostro”, e ciò comporta condivisione, partecipazione e
responsabilità comune. In questa preghiera tutti riconosciamo l’esigenza di superare ogni forma
di egoismo per accedere alla gioia dell’accoglienza reciproca.
9. Chiedo ai confratelli vescovi, ai sacerdoti, ai diaconi – che per vocazione hanno la missione
del sostegno ai poveri –, alle persone consacrate, alle associazioni, ai movimenti e al vasto
mondo del volontariato di impegnarsi perché con questa Giornata Mondiale dei Poveri si
instauri una tradizione che sia contributo concreto all’evangelizzazione nel mondo
contemporaneo.
Questa nuova Giornata Mondiale, pertanto, diventi un richiamo forte alla nostra coscienza
credente affinché siamo sempre più convinti che condividere con i poveri ci permette di
comprendere il Vangelo nella sua verità più profonda. I poveri non sono un problema: sono una
risorsa a cui attingere per accogliere e vivere l’essenza del Vangelo.
Dal Vaticano, 13 giugno 2017
Memoria di Sant’Antonio di Padova
Francesco

“I poveri sono il nostro passaporto per il paradiso”

«Nel povero Gesù bussa al nostro cuore e, assetato, ci domanda amore, l’omissione è
il grande peccato nei confronti dei poveri e assume un nome preciso: indifferenza -
afferma Francesco - Chi accumula tesori per sé non si arricchisce presso Dio». E
aggiunge: «Tutti siamo mendicanti dell’essenziale, dell’amore di Dio, che ci dà il senso
della vita e una vita senza fine. Il cielo non vale ciò che si ha, ma ciò che si dà».Perciò
«nessuno può ritenersi inutile, nessuno può dirsi così povero da non poter donare
qualcosa agli altri». Nell’omelia della Messa celebrata in occasione della prima
Giornata mondiale dei Poveri, il Papa prende spunto dalle Sacre Scritture per lanciare
un appello ai fedeli arrivati da tutto il mondo a piazza San Pietro: «Non cerchiamo il
superfluo per noi, ma il bene per gli altri, e nulla di prezioso ci mancherà. Amare il
povero significa lottare contro tutte le povertà, spirituali e materiali». E, avverte,
«non fare nulla di male non basta, perché Dio non è un controllore in cerca di
biglietti non timbrati, è un Padre alla ricerca di figli, cui affidare i suoi beni e i suoi
progetti». Ed è «triste quando il Padre dell’amore non riceve una risposta generosa
di amore dai figli, che si limitano a rispettare le regole, ad adempiere i
comandamenti, come salariati nella casa del Padre».
Nelle sua meditazione il Papa mette in guarda dalla tentazione di ritenersi estranei al
prossimo in difficoltà pensando «non mi riguarda, non è affar mio, è colpa della
società». Un atteggiamento che consiste nel «girarsi dall’altra parte quando il fratello è
nel bisogno», nel «cambiare canale appena una questione seria ci infastidisce», e anche
nello «sdegnarsi di fronte al male senza far nulla».
Ma, precisa Francesco, «Dio non ci chiederà se avremo avuto giusto sdegno, ma se
avremo fatto del bene». Perciò «come, concretamente, possiamo allora piacere a
Dio?», si interroga Francesco. «Quando si vuole far piacere a una persona cara, ad
esempio facendole un regalo, bisogna prima conoscerne i gusti, per evitare che il dono
sia più gradito a chi lo fa che a chi lo riceve - sostiene - Quando vogliamo offrire
qualcosa al Signore, troviamo i suoi gusti nel Vangelo».
Dunque, invoca il Pontefice,«il Signore, che ha compassione delle nostre povertà e ci
riveste dei suoi talenti, ci doni la sapienza di cercare ciò che conta e il coraggio di
amare, non a parole ma coi fatti».
Dopo la lettura del Vangelo, Jorge Mario Bergoglio sottolinea che «abbiamo la gioia di
spezzare il pane della Parola, e tra poco di spezzare e ricevere il Pane eucaristico,
nutrimenti per il cammino della vita: ne abbiamo bisogno tutti, nessuno escluso».
Perciò «anche oggi tendiamo la mano a Lui per ricevere i suoi doni», esorta Francesco.
E, proprio di doni parla la parabola del Vangelo: «Ci dice che noi siamo destinatari dei
talenti di Dio, secondo le capacità di ciascuno».
Quindi, raccomanda il Papa, «prima di tutto riconosciamo questo: abbiamo dei
talenti, siamo talentuosi agli occhi di Dio, siamo eletti e benedetti da Dio, che desidera
colmarci dei suoi doni, più di quanto un papà e una mamma desiderino dare ai loro
figli». E Dio, «ai cui occhi nessun figlio può essere scartato», affida a ciascuno «una
missione». Secondo Jorge Mario Bergoglio, «Dio, da Padre amorevole ed esigente
qual è, ci responsabilizza». Infatti, «vediamo che, nella parabola, a ogni servo vengono
dati dei talenti da moltiplicare». Ma, «mentre i primi due realizzano la missione, il terzo
servo non fa fruttare i talenti, restituisce solo quello che aveva ricevuto». E dice: «Ho
avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo».
Questo servo riceve in cambio parole dure: «Malvagio e pigro». Il Pontefice si chiede
che cosa non è piaciuto al Signore di lui. «In una parola, forse andata un po’ in disuso
eppure molto attuale, direi: l’omissione - puntualizza - Il suo male è stato quello di non
fare il bene. Anche noi spesso siamo dell’idea di non aver fatto nulla di male e per
questo ci accontentiamo, presumendo di essere buoni e giusti».
Così, però, «rischiamo di comportarci come il servo malvagio: anche lui non ha fatto
nulla di male, non ha rovinato il talento, anzi l’ha ben conservato sotto terra».
Infatti, «il servo malvagio, nonostante il talento ricevuto dal Signore, che ama
condividere e moltiplicare i doni, l’ha custodito gelosamente, si è accontentato di
preservarlo».
Ma, avverte Francesco, «non è fedele a Dio chi si preoccupa solo di conservare, di
mantenere i tesori del passato, invece, dice la parabola, colui che aggiunge talenti nuovi
è veramente fedele perché ha la stessa mentalità di Dio e non sta immobile: rischia per
amore, mette in gioco la vita per gli altri, non accetta di lasciare tutto com’è». E «solo
una cosa tralascia: il proprio utile. Questa è l’unica omissione giusta». Il Papa cita «il
brano che abbiamo ascoltato oggi nel quale Gesù dice: “Tutto quello che avete fatto a
uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”». E, spiega il Pontefice,
«questi fratelli più piccoli, da Lui prediletti, sono l’affamato e l’ammalato, il forestiero e
il carcerato, il povero e l’abbandonato, il sofferente senza aiuto e il bisognoso scartato».
Quindi «sui loro volti possiamo immaginare impresso il suo volto; sulle loro labbra,
anche se chiuse dal dolore, le sue parole: questo è il mio corpo».
Perciò «quando vinciamo l’indifferenza e nel nome di Gesù ci spendiamo per i suoi
fratelli più piccoli, siamo suoi amici buoni e fedeli, con cui Egli ama intrattenersi». E
«Dio lo apprezza tanto, apprezza l’atteggiamento che abbiamo ascoltato nella prima
Lettura, quello della donna forte che apre le sue palme al misero, stende la mano al
povero». Questa è «la vera fortezza: non pugni chiusi e braccia conserte, ma mani
operose e tese verso i poveri, verso la carne ferita del Signore». Nei poveri, «si
manifesta la presenza di Gesù, che da ricco si è fatto povero». Per questo «in loro,
nella loro debolezza, c’è una forza salvifica e se agli occhi del mondo hanno poco
valore, sono loro che ci aprono la via al cielo, sono il nostro passaporto per il
paradiso». E «per noi è dovere evangelico prenderci cura di loro, che sono la nostra
vera ricchezza, e farlo non solo dando pane, ma anche spezzando con loro il pane
della Parola, di cui essi sono i più naturali destinatari. Amare il povero significa
lottare contro tutte le povertà, spirituali e materiali». E, prosegue Francesco, «ciò ci
farà bene».
Infatti «accostare chi è più povero di noi toccherà la nostra vita, ci ricorderà quel
che veramente conta: amare Dio e il prossimo». E «solo questo dura per sempre,
tutto il resto passa; perciò quel che investiamo in amore rimane, il resto svanisce».
Inoltre, «oggi possiamo chiederci: che cosa conta per me nella vita, dove investo? Nella
ricchezza che passa, di cui il mondo non è mai sazio, o nella ricchezza di Dio, che dà la
vita eterna? Questa scelta è davanti a noi: vivere per avere in terra oppure dare per
guadagnare il cielo. Perché per il cielo non vale ciò che si ha, ma ciò che si dà».
19.11.2017

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