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Heidegger e la Filosofia della Prassi

di Cristian Perra

Indice

1. Introduzione, L’Oblio dell’Essere


2. Filosofia della Prassi
3. Il Confronto con Aristotele
4. Inautenticità e Pubblicità
5. La Kehre e Il Fallimento della “Ontologia della Prassi” – Tecnica e Abbandono

Introduzione: L’Oblio dell’Essere

Essere e Tempo si apre denunciando lo stato di oblio nel quale è caduta la questione dell’essere che
ha smesso di essere posta considerandola come una questione che non ha più bisogno di essere posta.
Quindi la rivoluzione filosofica che Heidegger vuole porre è un ritorno al passato per riproporre la stessa
domanda che lo Straniero di Elea poneva nel Sofista di Platone, ponendola come esergo dell’opera:
«Allora, visto che non troviamo vie d’uscita, spiegateci voi cosa volete mai significare quando “che è”. E’
chiaro, infatti, che vuoi sapete queste cose da lungo tempo; noi invece, prima credevamo di saperle, ma ora
siamo in difficoltà.»1 Per Heidegger non solo è necessario porsi la stessa domanda dello Straniero di Elea ma
porsi nello stesso clima di incertezza riguardo l’essere e l’essente che egli poneva rendendo necessaria
«un’esplicita ripetizione della domanda sull’essere» come recita il titolo del primo paragrafo
dell’introduzione di Essere e Tempo.

Questa domanda fondamentale sul senso dell’essere ha senso solo se si identificano i termini nel
quale la ricerca sul senso dell’essere si articola. La tripartizione della domanda sull’essere rende evidente il
ricorso ad un analitica esistenziale per risalire al senso originario dell’essere. Infatti la domanda si articola
identificando un chiesto (Gefragtes), cioè ciò che si vuole ottenere, che è l’essere stesso, un interrogato
(Befragtes), l’ente, dato che «ogni essere è sempre l’essere di un ente»2 e infine un richiesto (Erfragte), cioè
ciò che consente di comprendere il tema dell’indagine.

Per cui colui a cui si rivolge la domanda è l’ente, ma non un ente generale, ma quell’«ente che in
linea di massima va interrogato per primo intorno al proprio essere» 3, cioè quell’ente particolare in cui si
trova una pre-comprensione dell’essere in quanto tale, il richiedente della domanda, cioè l’Esser-ci
(Dasein), l’ente che noi stessi di volta in volta siamo.

1
Platone, Sofista, a cura di Bruno Centrone, Einaudi, Torino, 244a.
2
Heidegger, Essere e Tempo, a cura di Franco Volpi, Longanesi, Milano, p.21
3
Ibi, p.27
L’esserci è il particolare modo d’essere della vita umana nella sua apertura al mondo. Poiché in
quanto l’uomo è costitutivamente poter-essere, tutte le strutture della sua esistenza hanno questo
carattere di apertura e di possibilità dal momento che l’esserci è nel mondo sotto forma di progetto aperto
al mondo.

Porre il problema dell’essere quindi è porlo essenzialmente nel mondo e nella sua determinazione
progettuale.

Filosofia della Prassi

Considerando l’analitica esistenziale come un indagine su quell’ente che noi stessi siamo come
progetto gettato nel mondo (Geworfenheit) quella di Heidegger possa essere considerata come una vera e
propria filosofia della prassi come dimostrato da Hannah Arendt facendo osservare che proprio il “nazista”
Heidegger a mostrare il carattere pratico dell’esistenza.

Probabilmente il rivolgersi alla possibilità umana nasce in Heidegger polemicamente sia nei
confronti del maestro Edmund Husserl che dei Neo-Kantiani entrambi rei di un atteggiamento teoretico-
centrico come sapere autoriflessivo su di sé ma slegato dalla realtà pratica che per Heidegger è quella che
determina la conoscibilità dell’esser-ci e di conseguenza dell’essere.

Si configura qui l’oblio dell’essere e il fallimento della metafisica tradizionale come causati dall’aver
considerato l’essere come semplice-presenza (Vorhandenheit) facendo notare che anche nel celebre passo
tratto dal libro alpha della Metafisica aristotelica la meraviglia ha luogo di al cospetto di ciò che sta
dinnanzi.

Al concetto di Vorhandenheit Heidegger oppone quello di Zuhandenheit, cioè il modo di darsi delle
cose rispetto all’esserci, il modo in cui si presentano a noi, nella loro utilizzabilità:

“L’esserci è sempre la sua possibilità, ed esso non l’ha semplicemente a titolo di proprietà
posseduta come semplice-presenza.”4

La Vorhandenheit si rivela come un modo reificato derivato dalla Zuhandenheit che è il vero modo
di vedere le cose. Come fa notare Lucien Goldmann in “Lukacs e Heidegger” probabilmente il concetto di
Vorhandenheit è formulato in rapporto a “Storia e Coscienza di Classe” di Georgy Lukacs. Sia per Lukacs che
per Heidegger i rapporti reificati, che in Heidegger si esprimono nella dimensione dell’Inautenticità
(Uneigentlichkeit), rappresentano un quadro interpretativo errato dietro il quale si cela una realtà di fatto
effettivamente umana: sia per Lukacs che per Heidegger a lungo andare questa dimensione può diventare
natura.

4
Ivi, p.61
Sia nel concetto di Autenticità (Eigentlichkeit) che in quello di Inautenticità Heidegger fa riferimento
al carattere proprio dell’esserci che si rapporta all’essere come sua capacità più propria come auto-
riferimento a se, un essere-sempre-mio (Jemeingkeit), infatti «L’essere sempre mio appartiene all’esserci
esistente come condizione della possibilità dell’autenticità o dell’inautenticità.»

Quindi l’esserci si configura come una presa di responsabilità da parte del singolo che sceglie tra
l’inautenticità e l’autenticità: l’esserci sta nel suo avere-da-essere (Zu-sein), cioè nell’assumere il peso del
proprio esserci.

L’uomo è nel mondo sempre come ente che si rapporta alla propria possibilità, cioè come
progettante e le cose sono incontrate proprio inserendole in una progettualità. Ma la progettualità non è
data solo da una valenza teorica, ma anche da una tonalità affettiva che apre l’essere-nel-mondo rendendo
possibile il dirigersi-verso, per cui la propria scelta.

La situazione affettiva rivela il carattere di progetto gettato dell’esserci mettendo in luce la finitezza
di quest’ultimo.

L’apertura dell’esserci verso il mondo si configura come un prendersi-cura, ovvero nel venire a capo
della propria esistenza e «il suo essere in rapporto al mondo è essenzialmente prendersi cura.»5

Quindi l’esserci, pur essendo quello che apre e fonda il mondo, è a propria volta gettato in questa
apertura, essa non gli appartiene né come qualcosa di cui possa disporre, né come una determinazione
effettività (Faktizitat) dell’esistenza.

Il Confronto con Aristotele

Possiamo notare come l’analitica esistenziale portata avanti da Heidegger in Essere e tempo sia
fondamentalmente un connubio tra le modalità di accesso fenomenologiche e la filosofia della prassi
aristotelica. Possiamo dire che se Husserl ha fornito il metodo di indagine, Aristotele, e in particolare il VI
libro dell’Etica Nicomachea, ha fornito la finalità della ricerca: la praxis.

Sebbene in Heidegger ci sia un totale ribaltamento di ruolo tra Theoria e Praxis è evidente che la
distinzione aristotelica di Praxis, Poiesis e Theoria sia ripresa in quella tra Dasein, Zuhandenheit e
Vorhandenheit.

Ma andiamo per gradi:

La Theoria è l’atteggiamento scoprente caratterizzato dalla finalità descrittiva che coglie


l’ente in modo puro. Per Heidegger la theoria diventa Vorhandenheit, semplice presenza di
fronte alle cose che ci sono d’innanzi.

5
Ivi, p.78
La Poiesis è l’atteggiamento scoprente di tipo produttivo che l’ente assume nella
produzione di cose. Per Heidegger la poiesis è Zuhandenheit, utilizzabilità delle cose “a
portata di mano” come strumento.
La Praxis è l’atteggiamento scoprente messo in atto nell’azione non avendo un fine al di
fuori di essa, ma in se stessa. Il suo sapere di riferimento è la Phronesis che orienta l’azione.
Per Heidegger è l’atteggiamento determinante che costituisce la struttura fondamentale del
Dasein come apertura al mondo nella sua progettualità.

Proprio come in Aristotele la Phronesis, definita come «una disposizione pratica, accompagnata da
ragione verace, intorno a ciò che è bene e male per l’uomo» 6, e di conseguenza la Zuhandenheit, fornisce la
via d’accesso alla dimensione più propria dell’uomo. Da una parte all’esserci nella sua autenticità, dall’altra
alle scienze Teoretiche.

Inautenticità e Pubblicità

Abbiamo già visto che anche se senza dare giudizi di valore espliciti per via dell’atteggiamento
fenomenologico Heidegger identifichi una dimensione propria e una impropria dell’esistenza umana
sebbene quella inautentica sia, come già detto, una dimensione reificata di quella autentica.

La dimensione dell’autenticità consiste nella scelta di libertà di essere ciò che si è accettando il peso
della propria esistenza, ma quella dell’inautenticità e in particolare la pubblicità del Sì (Man) è
particolarmente interessante per gli sviluppi che la filosofia della prassi farà riprendendo o distruggendo
quanto scritto in Essere e Tempo.

Per Heidegger la condizione di partenza dell’esserci è quella della deiezione (Verfallen) dove
«L’Esserci è, innanzitutto, sempre già de-caduto da se stesso come autentico poter-essere e deietto nel
mondo. Lo stato di deiezione presso il mondo significa l’immedesimazione nell’essere-assieme dominato
dalla chiacchiera, dalla curiosità e dall’equivoco» 7, e quindi consegnato alla dimensione interpretativa del Sì
dove «La sicurezza di sé e la disinvoltura del Si diffondono un’indifferenza crescente verso la comprensione
della vita autentica. La presunzione del Si di condurre una vita piena e genuina crea nell’esserci uno stato di
tranquillità: tutto va nel modo migliore e tutte le porte sono aperte. L’essere-nel-mondo deiettivo è verso se
stesso tentatore e, allo stesso tempo tranquillizzante.» 8

Nella quotidianità media, a cui l’analitica esistenziale si attiene come suo punto di partenza, quindi
la preliminare comprensione del mondo si attua come partecipazione irriflessa e acritica a un certo mondo

6
Aristotele, Etica Nicomachea, VI, 5
7
Heidegger, p.215
8
Ivi, p.217
storico-sociale, ai suoi pregiudizi, alle sue propensioni e ai suoi rifiuti, al modo comune di vedere e
giudicare. L’esserci incontra il mondo già sempre alla luce delle idee che ha respirato nell’ambiente sociale
in cui ha vissuto per natura di essere-con.

Si potrebbe notare, fino a questo punto, che Heidegger avesse riscoperto un senso della praxis
lontano dalla filosofia universitaria e molto più vicino di quanto si potrebbe pensare, per le simpatie
politiche che Heidegger ha dimostrato, a una filosofia della praxis di tipo marxiano. E’ necessario ora fare
una distinzione tra le soluzioni operate da Heidegger e quelle del suoi allievi che si sono avvicinati molto di
più a una comprensione non solo più esistenziale, ma politica alla questione.

In Essere e Tempo la praxis viene irregimentata nel solipsismo della decisione di una vita autentica o
inautentica raggiungendo una libertà semplicemente teoretica e non calata nella prassi in cui Heidegger
voleva calare la sua analitica esistenziale.

Non sorprende quindi l’accusa di incitare ad una forma servile di pensiero propugnata da Theodor
Wiesengrund Adorno nella Dialettica Negativa aprendo ad una dimensione elogiativa delle gerarchie
esistenti non considerando la necessità della filosofia intesa come trasformazione del mondo e delle sue
strutture del Marx delle Tesi su Feuerbach.

Possiamo osservare ad esempio due allievi di Heidegger che hanno interpretato in due sensi
antitetici la distinzione autenticità-inautenticità:

La dimensione del Sì dove «nell’uso dei mezzi di trasporto o di comunicazione pubblici, dei servizi di
informazione (i giornali), ognuno è come l’altro. Questo essere assieme dissolve completamente il singolo
esserci nel modo di essere degli altri, sicchè gli altri dileguano ancora di più nella loro particolarità e
determinatezza. In questo stato di irrilevanza e indistinzione il Si esercita la sua dittatura» 9, verrà tradotta
da Herbert Marcuse, allievo di Heidegger e uno degli esponenti di punta della Scuola di Francoforte
assieme al già citato Adorno, in senso anti-capitalistico come una critica della società dei consumi che
annichilisce ogni dimensione emancipatoria a vantaggio del dominio delle élite economiche e culturali.

Hannah Arendt invece ribalta profondamente la differenza tra autenticità e inautenticità dando alla
pubblicità la dimensione più autentica dell’esistenza umana rendendo la praxis heideggeriana come vita
activa rendendo il discorso pubblico l’ambito della dimensione politica dell’esistenza dell’uomo in quanto
Zoon Politikòn.

La Kehre e Il Fallimento della “Ontologia della Prassi” – Tecnica e Abbandono


9
Ivi, p.158
Dopo l’adesione al Nazismo e dopo il fallimento del progetto Hitleriano la biografia di Heidegger
diventa ontologia: è la Svolta (Kehre). Per Heidegger non è il fallimento di un ideale politico per il quale, tra
l’altro aveva poco interesse, ma il fallimento dell’intera filosofia della prassi che aveva partorito in Sein und
Zeit.

Si vede da questo momento una progressiva estremizzazione del pensiero heideggeriano fino allo
sfociare in un nichilismo sfrenato esemplificato dal «solo un dio ci può salvare» dell’intervista allo Spiegel
del 1966.

Da questo momento la progettualità dell’esserci viene del tutto annullata dalla dimensione
totalitaria della tecnica (Gestell) che rende del tutto passivi gli enti e consegnandoli ad una dimensione di
abbandono (Gelassenheit), il lasciar essere delle cose.

Anche la storia, da una storia fatta da “Eroi” che hanno scelto l’autenticità la storia diventa
Seingeschichte, storia dell’essere davanti alla quale l’agire umano non può che adattarsi.
Bibliografia

 Martin Heidegger, Essere e Tempo, a cura di Franco Volpi, Longanesi, Milano, 2005
 Platone, Sofista, a cura di Bruno Centrone, Einaudi, Torino, 2008
 Gianni Vattimo, Introduzione ad Heidegger, Laterza, Roma, 1971
 Adriano Fabris, Essere e Tempo di Heidegger – Introduzione alla Lettura, Carocci,
Milano, 2000
 a cura di Franco Volpi, Guida ad Heidegger, Laterza, Roma, 1997
 Lucien Goldmann, Lukacs e Heidegger, Bertani, Verona, 1976

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