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IL SUONO
Il suono è considerato un fenomeno “fisico-acustico”, in quanto non è altro che un insieme di
vibrazioni generate da un corpo elastico che vengono trasmesse nell’ambiente circostante, ma è
anche un fenomeno soggettivo, poiché la sua percezione viene modificata in relazione a colui che
lo ascolta.
Il suono è caratterizzato da tre parametri:
Suono Solistico: L’esecutore possiede la libertà di manipolare la dizione del suono a suo
piacere (nei limiti di una corretta esecuzione), perché l’intera composizione è affidata alla
sua musicalità.
Suono Cameristico: Le formazioni da camera sono composte da un numero ridotto di
elementi (2 o poco più), di conseguenza il suono è adattato in base alla categoria di
strumenti presenti. Il “pensiero musicale” deve essere condiviso e per una corretta
esecuzione è opportuno che tutti i componenti siano intonati ed equilibrati.
Suono orchestrale: Le formazioni orchestrali sono composte da un elevato numero di
elementi che devono sempre seguire le indicazioni del direttore d’orchestra. Il direttore è
colui che, come il termine stesso suggerisce, dirige l’orchestra (molto spesso mediante
l’utilizzo della rinomata bacchetta) e manipola i suoni che verranno emessi dall’intero
organico.
Il direttore è colui il quale dirige la musica, da una propria interpretazione al brano e attraverso i
gesti porta gli orchestrali al proprio pensiero sonoro.
LE PROBLEMATICHE DEL SUONO
Per una corretta espressione melodica-armonica di un brano è necessario risolvere alcune
problematiche, come: l’intonazione, la dizione e l’equilibrio.
L’intonazione: È una caratteristica fondamentale del suono in ordine alla sua altezza.
Esprime la differenza tra la frequenza di un suono ed un suono di riferimento: è giusta se il
suono emesso ha pari frequenza; è falsa, ossia stonata, quando il suono emesso ha
frequenza leggermente più bassa (calante) o più alta (crescente) di quella scelta come
riferimento. Per una corretta intonazione è opportuno memorizzare il suono, prepararlo e
dare ad esso una corretta emissione. Per intonazione fluttuante si intende una intonazione
che non è statica.
La dizione: È il modo in cui viene emesso il suono. Ogni strumento ha una propria dizione,
è questa che differenzia gli strumenti e fa si che si riconosca lo strumento da cui viene
emesso il suono.
L’ equilibrio: È l’insieme di tutte le componenti che rendono armoniosa la composizione.
Equilibrio significa “bilanciamento” che viene a crearsi quando tutte le voci si incastrano
perfettamente, rispettano le dinamiche, l’una non prevale sull’altra e ciò che viene udito è
un suono stabile, piacevole ed unico.
IL TEMPO E LA BATTUTA
Il tempo, nonché lo schema metrico-ritmico di una composizione, si indica in genere, sottoforma di
frazione, all’inizio della battuta, dopo la chiave e le eventuali alterazioni permanenti.
Il tempo può essere:
IL RITMO
Il ritmo è il succedersi dei suoni nel tempo, attraverso dei battiti regolari, chiamati pulsazioni
ritmiche. Le pulsazioni suonano in modo diverso in base all’accento.
Abbiamo vari tipi di accento:
L'accento metrico o di misura: è quello che cade sul primo movimento di ogni battuta
(misura) ed è sempre forte.
L’accento melodico: È considerato come una flessione sonora, rappresenta l'espressione
artistica e musicale, questo accento può essere posto su qualsiasi nota della composizione.
L’accento ritmico: Coincide perfettamente con la divisione metrica della misura.
L’accento ritmico può essere forte o debole, e l’alternarsi di questi due gradi d’intensità ne causa
l’obbligata distinzione tra:
Ritmo binario: Consiste nella successione di un accento forte e di uno debole, chiamati
rispettivamente battere e levare.
Ritmo ternario: Consiste invece nella successione di un accento forte e di due deboli.
Il ritmo può anche essere:
Semplice: Quando il battere viene subito dopo il levare, e può essere binario o ternario.
Composto: Quando vi è l’unione di più ritmi semplici, e può essere anche questo, binario o
ternario.
Misto: È l’insieme dei ritmi composti e binari . Il cambio di tempo lo percepiamo in base a
dove cade l’accento.
Il battere e il levare costituiscono le due tendenze opposte tra di loro che caratterizzano il ritmo.
In definitiva, possiamo dire che il ritmo è costituito da un’alternanza di preparazione e risoluzione,
da slanci e di riposi, posti in successione. Il passaggio da uno slancio ad un riposo è denominato
Cadenza, che può essere:
Esitare.
Stringere.
Ritenere.
Per gestire una lettura metrica è necessario, dunque, prima effettuare una lettura ritmica, poi
bisogna non evidenziare gli accenti forti mantenendo la stessa velocità e, infine, è necessario
eseguire una lettura libera ed elastica, basata sulle tre suddette fasi.
Il metronomo deve sempre essere utilizzato nella fase di studio ritmico di una qualsiasi
composizione, solo dopo il superamento di questa fase sarà possibile passare alla fase della lettura
metrica. Anche per questa seconda fase è consigliabile sempre l’utilizzo del suddetto strumento
per evitare di eccedere o non riuscire a rientrare nel tempo stabilito.
Primo tema: Consiste in uno o più elementi melodici con il compito di definire stabilmente
la tonalità principale.
Ponte modulante: Lo scopo è quello di modulare dalla tonalità principale a quella di
contrasto o del secondo tema.
Secondo tema: Consiste in uno o più elementi melodici in tonalità contrastante rispetto a
quella principale.
Coda: Lo scopo è quello di terminare stabilmente l'esposizione nella tonalità di contrasto.
La definizione della tonalità principale all'interno del Primo tema è una priorità dello stile della
sonata del periodo Classico ma non implica che non vi possano essere modulazioni all'interno del
gruppo stesso, almeno finché queste non ne compromettano la stabilità. La scelta della tonalità di
contrasto viene definita tradizionalmente secondo il seguente principio:
Se il primo tema è esposto in una tonalità maggiore, il secondo tema sarà nella tonalità del
V grado.
Se il primo tema è esposto in una tonalità minore, il secondo tema sarà nella sua relativa
tonalità maggiore.
Questa concezione, propria del classicismo, viene modificata nel periodo romantico, perché è la
sensibilità dei compositori che cambia, insieme alle loro esigenze compositive. La sezione di
Sviluppo riveste due compiti distinti:
Allegro: Il primo movimento è un inno alla felicità ed alla spensieratezza che la primavera
porta con sé, imitato perfettamente dal movimento di grande cantabilità che percorre
tutto questo tempo.
Adagio: Il secondo movimento è una delle più mirabili pagine mai scritte da Beethoven,
molto espressivo, introspettivo ed etereo allo stesso tempo. Esso propone il nuovo tema, lo
modifica e lo modula durante l’arco di tutto il movimento, attraverso i caratteri sonori della
tonalità in Subdiapente rispetto a quella del movimento precedente.
Scherzo: Il terzo movimento è di piccolissime dimensioni, ma che ha la precisa funzione di
preparare l’ascoltatore al quarto tempo, come se fosse una sorta di introduzione. Per far
questo, Beethoven decide di dipingere l’opera di caratteri brillanti, rapidi e luminosi, e
adotta diverse tecniche per far ciò, come il continuo spostamento di accenti tra il violino ed
il pianoforte, che genera la sensazione di inseguimento tra i due strumenti, e quindi l’idea
di rincorsa e di velocità. Il trio è la preparazione più immediata allo scoppio del quarto
tempo, ed il compositore vuole farlo capire mediante rapidissimi movimenti in crescendo e
a distanza di terza tra i due strumenti.
Rondò: Il tema principale del quarto movimento presenta forti tratti in comune alle sonate
Mozartiane. Infatti vediamo che il tema viene continuamente variato e reso più giocoso e
divertente.
Analisi Secondo Movimento: Adagio molto espressivo
Sin dalla prima misura, il ritmo ternario è posto in primo piano insieme alla tonalità d’impianto,
poiché è presente un arpeggio di Sib in ampiezza di ottava ascendente e discendente. Il punto
saliente di questa misura è ascrivibile al Sib del secondo tempo, poiché questa è la nota più acuta
dell’intera battuta e l’arpeggio dà la sensazione di voler raggiungere questo suono (movimento
ascendente), per poi allontanarsene (movimento discendente). Nella seconda misura il pianoforte
espone il tema, mentre l’arpeggio di Sib continua a ondeggiare alla mano sinistra dell’esecutore.
Durante il corso dell’esposizione della linea melodica principale, il violino svolge un ruolo
secondario, ovvero quello di ulteriore riempimento armonico. Si noti infatti che esso esegue solo e
soltanto note dell’accordo di Sib (o di Fa come quinto grado della scala successivamente), e molto
spesso (misure 2, 3, 6 e 7) quest’ultime vengono eseguite nel tempo debole della misura, con
movimenti ascendenti e sfuggevoli (si noti che la prima nota è una semiminima e la seconda è una
croma, ed esse sono sempre eseguite con una legatura a due). La linea del basso, inoltre, rivela sin
da subito la periodicità metrica di questo movimento, che coincide con gruppi di tre misure. Da
questo particolare si denota anche il ritmo del movimento e che l’inciso corrisponde ad una intera
misura. Una frequente problematica che si presenta sia nel discorso cameristico che in quello dei
singoli strumenti è che, molto spesso, quando è presente una nota di lunga durata seguita da una
o più note di durata inferiore (solitamente di una durata molto breve), risulta, nell’esecuzione di
tale frammento, che le note successive abbiano una sonorità eccessiva, isolata e non omogenea. Il
problema si risolve in genere scomponendo mentalmente la nota di lunga durata in valori più
piccoli, al fine di dare una continuità dinamica. Questa problematica si presenta per la prima volta
nell’esposizione del tema alla seconda misura. All’inizio della sesta misura è presente un crescendo
che cadrà nel Piano della successiva misura. Nella stessa misura è da notare un gruppetto che
porta il Mi al Sol, quest’ultimo è molto importante perché la sonorità del Sol viene direttamente
preparata dal gruppetto stesso, come se fosse una intensità acquisita in maniera graduale.
Tuttavia, il Mi che precede il gruppetto deve essere di pari sonorità della prima nota dello stesso,
per poi crescere, questo accade perché, per legare un suono, bisogna riprenderlo con la stessa
sonorità con la quale lo si è lasciato ed evitare dunque degli scompensi di sonorità. Alla fine della
stessa misura si incontra un frammento nuovo, ovvero un gruppo di otto biscrome, scomponibili in
una quartina ascendente ed una discendente. In funzione di questo accorgimento, esse si devono
evidenziare con un crescendo nella prima quartina, ed un diminuendo nella seconda (quasi
naturale, perché discendente). La nota saliente di questo frammento è senz’alcun dubbio il Fa
naturale, che annulla l’instabilità creata dal Fa# precedente e, allo stesso tempo, stabilisce l’inizio
del diminuendo naturale. Nell’ultimo quarto della settima misura è presente un’acciaccatura tripla
che precede una semicroma puntata (La) ed una biscroma (Si). Affinché questa figurazione non
risulti uguale alla terzina abbellita poco prima, è preferibile scomporre mentalmente il La in tre
biscrome legate. Allo stesso modo, nell’ultimo quarto dell’ottava misura è presente una croma
puntata (Do) e una semicroma (Re), esse sono separate da un gruppetto che, all’atto della
esecuzione di tale frammento, risulta similare alla figurazione presente nell’ultimo quarto dello
battuta precedente. Per questo motivo, è opportuno anche qui scomporre il Do in valori più
piccoli. Anche nell’ottava e nella nona misura il violino assurge ad una funzione di sostegno
armonico, nonché d’accompagnamento, infatti esso esegue delle figurazioni statiche, mentre il
pianoforte conclude l’esposizione del tema. Nella decima misura, finalmente i ruoli invertono,
infatti ora è il violino ad esporre lo stesso tema esposto sino a poco prima dal pianoforte (con le
stesse note alla stessa altezza, e le stesse fioriture), mentre quest’ultimo non fa altro che
raddoppiare il basso all’ottava superiore, creando di conseguenza un raddoppio della massa
sonora. La decima misura è assai importante poiché stabilisce metaforicamente l’inizio del duo
Violino-Pianoforte, creando per la prima volta un rapporto di proposta e risposta tra i due
strumenti. Le principali problematiche delle misure 10-17 sono due:
Il Re del violino nella decima misura deve necessariamente essere intonato, poiché il
pianoforte suona quasi continuamente l’arpeggio di Sib e, qualora il violino suonasse un Re
non perfettamente intonato rispetto al pianoforte, l’effetto sarebbe sgradevole e
l’ascoltatore lo noterebbe immediatamente.
Il violino deve esporre il tema allo stesso identico modo in cui lo ha esposto
precedentemente il pianoforte, questo vuol dire che i due strumentisti, durante lo studio
di questa composizione, dovranno raggiungere un’intenzione comune, sia per ciò che
concerne le modalità d’esposizione del tema, che per il modo di eseguire i trilli e i
gruppetti presenti in queste misure. Non sarebbe gradevole ascoltare due concezioni
diverse di questa composizione nella stessa esecuzione, poiché sia che il violino che il
pianoforte devono mescolarsi tra di loro e formare un unico strumento, un unico suono (è
questo il concetto di Equilibrio nella musica da camera di cui ho già parlato).
Anche il violino conclude l’esposizione del tema nella diciassettesima misura. Nella misura
successiva è possibile scorgere una relazione fraseologica tra il pianoforte ed il violino, infatti
questo frammento rappresenta un vero e proprio canone in diapente, perché ciò che il pianoforte
espone nelle misure diciotto e diciannove, viene ribadito, una quinta sopra, dal violino nelle
misure venti e ventuno. Un’altra importante relazione fraseologica tra i due strumenti è presente
alla misura ventidue. Qui il pianoforte esegue delle singole note (raddoppiate al basso nel tempo
forte) e il violino risponde con un'altra nota in contrattempo. Le note che il violino esegue non
sono note a caso, ma ciascuna di queste tre note ha una funzione specifica, infatti è possibile
notare che il Si è utilizzato per evidenziare la tonica (ed è importantissimo, perché nella battuta
precedente vi era una settima di quinta specie, ed è necessario ribadire la tonalità), mentre le altre
due note, in un contesto prettamente armonico, servono a completare l’accordo e, precisamente,
il violino ne suona la quinta. Il pianoforte apre la misura numero ventitre con un bellissimo
arpeggio in Fa Maggiore, nel quale si staglia una sorta di scala ascendente del violino. Anche qui,
le note che costituiscono l’accordo di Fa sono nella parte debole del tempo e sono sempre
precedute, sul tempo forte, dalla sensibile di ogni nota. La misura numero ventiquattro è simile
alla ventidue, ma questa volta il violino non completa gli accordi, ma raddoppia all’ottava
superiore la nota più acuta che esegue il pianoforte. Sia alla misura ventidue che alla ventiquattro,
è importantissima l’intonazione tra i due strumenti (durante questi scambi fraseologici
l’intonazione deve essere pressoché perfetta). Le misure venticinque-ventinove sono
importantissime, non solo perché collegano lo sviluppo delle precedenti misure alla ripresa del
tema, è importante notare e ammirare con che modalità Beethoven decide di riprendere il tema.
Ciò che salta subito all’occhio è che solo nella misura numero ventinove è presente l’arpeggio di
Sib, mentre nelle altre vi è il quinto grado (Fa). È necessario notare come alla misura venticinque il
pianoforte esegue un Fa raddoppiato all’ottava in un registro grave e il violino esegue un arpeggio
discendente ribadendo inizialmente il Fa. Alla misura numero ventisei, il pianoforte aggiunge il
Mib, che rappresenta la settima dell’accordo, aumentandone quindi il grado tensivo, e il violino
inizia l’arpeggio discendente dal La, quindi ancora più all’acuto. Alla misura ventisette il pianoforte
esegue la nota più importante (è questo il punto saliente del frammento, nonché il punto di
maggior tensione), il Mib acuto, come per continuare la sequenza di arpeggi discendenti del
violino, spegnendosi, alla misura ventinove, in un Re che giace sull’accordo di Sib. Per quale
motivo non è stato il violino ad eseguire l’ultimo arpeggio discendente, il più acuto ed importante
di tutti? Vi sono diverse tesi a riguardo, ma la spiegazione più plausibile, secondo me si può
ricavare dalla differenza timbrica dei due strumenti. Infatti sarebbe risultato troppo pesante e
incisivo un suono così alto eseguito dal violino, invece il suono del pianoforte risulta molto più
dolce per questa occasione, e dolce deve essere quando si spegnerà in quel Re (raddoppiato
all’ottava dal violino). Dalla misura numero trenta alla numero trentasette, il pianoforte riprende
l’esposizione del tema iniziale, ma, al fine di evitare di cadere in un senso di ovvietà, Beethoven lo
varia e lo ammorbidisce apportando una serie di innovazioni, ad esempio ripete diverse volte il Re
della misura trenta per ammorbidirlo e renderlo più leggero ed etereo, oppure inserisce una sorta
di scala ascendente tra il Sib ed il Re acuto nella misura trentadue, e allo stesso modo, ma in senso
discendente, alla fine della stessa misura e due misure dopo. Egli fa tutto ciò perché è consapevole
che molto spesso l’orecchio dell’ascoltatore percepisce in maniera più morbida due suoni che sono
vicini tra loro. Infatti si nota subito in questo frammento che i suoni sono tutti vicini tra loro
(moltissimi procedono per grado congiunto e i restanti sono a distanza di terza). Nella
trentottesima misura avviene una modulazione di carattere luministico, che stabilisce, appunto, un
cambio di colore, si passa infatti alla tonalità di Sib minore. La composizione appare ora più scura e
velata, ed è il violino adesso che espone il tema che, almeno inizialmente, appare molto simile a
quello iniziale, ma che poi sarà soggetto a diversi cambiamenti. Gli arpeggi che il pianoforte
eseguirà nelle successive misure saranno così efficaci, che basteranno poche note da parte del
violino per garantire un’atmosfera apollinea ed estasiante, enfatizzata dai crescendo e
diminuendo che ne aumenteranno il grado tensivo (come quelli delle misure 43-44 e 52-53). Alla
misura numero cinquantaquattro e nelle seguenti misure vi è un chiaro richiamo al tema principale
del primo tempo di questa meravigliosa sonata. Qui è possibile notare che, mentre il violino
esegue degli arpeggi, il pianoforte esegue un inciso che, dal punto di vista della figurazione, è
perfettamente riconducibile a quello delle prime battute del primo tempo della stessa sonata,
rendendone subito l’idea. Ovviamente lo sfondo armonico è assai differente e ne influenza
enormemente il risultato finale, che diviene assai cupo e introspettivo, grazie anche alla presenza
della settima di quinta specie alla misura numero cinquantasei. Nelle misure successive è il violino
che ripete il motivo esposto poco prima dal pianoforte, e quest’ultimo lo insegue a canone. Si crea
ora un elevato grado tensivo ed una forte instabilità, dovuta al completo sradicamento
dell’impianto tonale iniziale (si noti che alle misure 61 e 62 l’accordo presente è quello di Do
minore). Per ristabilire l’equilibrio iniziale, portando a conclusione il secondo movimento della
sonata, le otto misure successive vedranno una serie di cadenze perfette (V – I), con lo scopo unico
di consolidare la tonalità iniziale. Grande importanza hanno le misure 65, 67 e 69, perché sia il
pianoforte che il violino deve eseguire tre serie di trentaduesimi in crescendo (anche nel primo
tempo della stessa sonata è possibile notare questa tipologia di inciso), quindi è necessario un
perfetto equilibrio sonoro tra i due strumenti ed una perfetta intonazione, che devono dare la
sensazione di emettere un unico suono, e, per far ciò, è necessario una elevata qualità
d’esecuzione. Altrettanto importanti sono le misure 64, 66 e 68, dove o il pianoforte o il violino
eseguono da soli un lento (il tempo è sempre Adagio) arpeggio di Sib, che ha la funzione di
ristabilire definitivamente la dolce ed eterea atmosfera iniziale, rendendo sempre più concreta la
tonalità di Sib che sembrava oramai perduta. Questo arpeggio è eseguito dal pianoforte due volte,
entrambe in senso ascendente (misure 64 e 68), mentre il violino non lo esegue completamente
in senso ascendente, perché avrebbe dovuto toccare un registro troppo acuto, che avrebbe
rovinato il carattere dolce di quest’ultimo frammento, quindi esso scende al basso, per poi risalire
(misura 66). Nelle ultime quattro misure vi è un ultimo scambio fraseologico tra il violino e il
pianoforte in canone. Il pianoforte approda al Sib in senso discendente, arrivandovi per primo,
mentre il violino lo raggiunge in senso ascendente, e quando anche il violino vi arriva, il pianoforte
esegue un lungo e conclusivo accordo di tonica.