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Il primo passo da effettuare per una corretta analisi di un brano, (qualsiasi esso sia), è quello di

considerare quali potrebbero essere le problematiche riscontrabili. Tali problematiche possono


essere legate innanzitutto al Suono (che è l’elemento essenziale della musica), per poi proseguire
con il Ritmo, la Metrica, la Lettura metrica e la struttura fraseologica del brano. Andremo ad
approfondire tali problematiche affinché sia possibile ottenere una attenta analisi del brano
riportato.

IL SUONO
Il suono è considerato un fenomeno “fisico-acustico”, in quanto non è altro che un insieme di
vibrazioni generate da un corpo elastico che vengono trasmesse nell’ambiente circostante, ma è
anche un fenomeno soggettivo, poiché la sua percezione viene modificata in relazione a colui che
lo ascolta.
Il suono è caratterizzato da tre parametri:

 Altezza: Data dalla frequenza delle vibrazioni.


 Intensità: Data dell’ampiezza delle vibrazioni.
 Timbro: Dato da quello che viene chiamato “colore” del suono.
Il timbro può variare in base alla natura del corpo da cui fuoriesce il suono. Grazie al timbro del
suono, possiamo distinguere i suoni che vengono emessi dai diversi strumenti e dalle diverse voci,
anche se eseguissero la stessa melodia contemporaneamente.
Il suono è trattato in diverso modo in base alle differenti tipologie di formazione, abbiamo il
suono: solistico, cameristico, orchestrale.
L’importanza del suono varia in base al tipo di profilo che possiede, ovvero, cambia in base all’idea
musicale che esso può possedere:

 Suono Solistico: L’esecutore possiede la libertà di manipolare la dizione del suono a suo
piacere (nei limiti di una corretta esecuzione), perché l’intera composizione è affidata alla
sua musicalità.
 Suono Cameristico: Le formazioni da camera sono composte da un numero ridotto di
elementi (2 o poco più), di conseguenza il suono è adattato in base alla categoria di
strumenti presenti. Il “pensiero musicale” deve essere condiviso e per una corretta
esecuzione è opportuno che tutti i componenti siano intonati ed equilibrati.
 Suono orchestrale: Le formazioni orchestrali sono composte da un elevato numero di
elementi che devono sempre seguire le indicazioni del direttore d’orchestra. Il direttore è
colui che, come il termine stesso suggerisce, dirige l’orchestra (molto spesso mediante
l’utilizzo della rinomata bacchetta) e manipola i suoni che verranno emessi dall’intero
organico.
Il direttore è colui il quale dirige la musica, da una propria interpretazione al brano e attraverso i
gesti porta gli orchestrali al proprio pensiero sonoro.
LE PROBLEMATICHE DEL SUONO
Per una corretta espressione melodica-armonica di un brano è necessario risolvere alcune
problematiche, come: l’intonazione, la dizione e l’equilibrio.

 L’intonazione: È una caratteristica fondamentale del suono in ordine alla sua altezza.
Esprime la differenza tra la frequenza di un suono ed un suono di riferimento: è giusta se il
suono emesso ha pari frequenza; è falsa, ossia stonata, quando il suono emesso ha
frequenza leggermente più bassa (calante) o più alta (crescente) di quella scelta come
riferimento. Per una corretta intonazione è opportuno memorizzare il suono, prepararlo e
dare ad esso una corretta emissione. Per intonazione fluttuante si intende una intonazione
che non è statica.
 La dizione: È il modo in cui viene emesso il suono. Ogni strumento ha una propria dizione,
è questa che differenzia gli strumenti e fa si che si riconosca lo strumento da cui viene
emesso il suono.
 L’ equilibrio: È l’insieme di tutte le componenti che rendono armoniosa la composizione.
Equilibrio significa “bilanciamento” che viene a crearsi quando tutte le voci si incastrano
perfettamente, rispettano le dinamiche, l’una non prevale sull’altra e ciò che viene udito è
un suono stabile, piacevole ed unico.
IL TEMPO E LA BATTUTA
Il tempo, nonché lo schema metrico-ritmico di una composizione, si indica in genere, sottoforma di
frazione, all’inizio della battuta, dopo la chiave e le eventuali alterazioni permanenti.
Il tempo può essere:

 Semplice: Quando è formato da movimenti con suddivisione binaria, indicati dalla


frazione. In questo caso si noti che il numeratore indica sempre il numero dei movimenti e
il denominatore ne indica il valore di durata.
 Composto: Quando è formato da movimenti con suddivisione ternaria, indicati
anch’essi dalla frazione. In questo caso il numeratore indica sempre il numero delle
suddivisioni e il denominatore indica il valore di ciascuna.
Il valore che il tempo stabilisce è sempre contenuto all’interno della battuta, chiamata anche
misura. La battuta è l’insieme dei valori compresi tra due linee verticali poste sul pentagramma,
chiamate stanghette, ogni battuta contiene il valore espresso dal tempo.

IL RITMO
Il ritmo è il succedersi dei suoni nel tempo, attraverso dei battiti regolari, chiamati pulsazioni
ritmiche. Le pulsazioni suonano in modo diverso in base all’accento.
Abbiamo vari tipi di accento:

 L'accento metrico o di misura: è quello che cade sul primo movimento di ogni battuta
(misura) ed è sempre forte.
 L’accento melodico: È considerato come una flessione sonora, rappresenta l'espressione
artistica e musicale, questo accento può essere posto su qualsiasi nota della composizione.
 L’accento ritmico: Coincide perfettamente con la divisione metrica della misura.
L’accento ritmico può essere forte o debole, e l’alternarsi di questi due gradi d’intensità ne causa
l’obbligata distinzione tra:

 Ritmo binario: Consiste nella successione di un accento forte e di uno debole, chiamati
rispettivamente battere e levare.
 Ritmo ternario: Consiste invece nella successione di un accento forte e di due deboli.
Il ritmo può anche essere:

 Semplice: Quando il battere viene subito dopo il levare, e può essere binario o ternario.
 Composto: Quando vi è l’unione di più ritmi semplici, e può essere anche questo, binario o
ternario.
 Misto: È l’insieme dei ritmi composti e binari . Il cambio di tempo lo percepiamo in base a
dove cade l’accento.
Il battere e il levare costituiscono le due tendenze opposte tra di loro che caratterizzano il ritmo.
In definitiva, possiamo dire che il ritmo è costituito da un’alternanza di preparazione e risoluzione,
da slanci e di riposi, posti in successione. Il passaggio da uno slancio ad un riposo è denominato
Cadenza, che può essere:

 Tronca (o maschile): Quando il riposo è in battere.


 Piana (o femminile): Quando il riposo invece non si trova in battere.
La lettura metrica di una cadenza è molto complessa e richiede un lungo studio per parti della
stessa. Per la realizzazione di una cadenza bisogna dapprima fare una lettura logica, ritmica e
precisa della partitura, dopo aggiungere la libera interpretazione personale.
Le cadenze più frequenti sono quelle:

 Perfette: Che ci danno il senso di risoluzione e conclusione.


 Sospese: Che lasciano in sospeso la melodia.
STRUTTURA FRASEOLOGICA DI UNA
COMPOSIZIONE
Qualsiasi composizione ha una sua struttura, i cui elementi sono:

 Inciso: È la componente più piccola di un periodo musicale e, in genere, corrisponde


all’elemento primo della composizione musicale, esso può coincidere con la battuta o può
essere a cavallo di battuta.
 Semifrase: È formata da 2 o 3 incisi (binaria o ternaria).
 Frase: È formata da 2 o 3 semifrasi (binaria o ternaria).
 Periodo: È formato da 2 o 3 frasi (binario o ternario).
L’inciso è un parametro importante poiché da esso deriva la tipologia d’inizio di una qualsiasi
composizione, che può essere:

 Tetico: Quando essa inizia in battere.


 Acefalo: Quando essa inizia con una pausa.
 Anacrusico: Quando essa inizia in levare (in questo caso l’ultima battuta della stessa non
sarà completa, ma mancherà il valore di durata aggiunto alla prima).
A proposito del secondo punto, è essenziale evidenziare l’importanza delle pause, poiché anche il
silenzio è parte integrante della musica, perché il silenzio è musica. Per questa ragione, anche le
pause vanno misurate, per contribuire al formarsi dell’atmosfera eterea che la musica crea, e non
distruggerla.

LETTURA RITMICA E METRICA


La lettura ritmica non viene considerata linguaggio musicale, poiché essa consiste nella semplice
lettura delle note in tempo e con i giusti valori di durata, cosa che può fare una persona qualunque
che abbia un minimo di conoscenza.
Per divenire vero linguaggio musicale, bisogna intonare e dare una interpretazione alle note, solo
così si potrà parlare di una lettura metrica, quindi una lettura musicale. In ogni caso, la lettura
metrica, non esclude quella ritmica, infatti la prima fase dello studio musicale di una qualsiasi
composizione è la lettura ritmica della stessa.
Un linguaggio musicale ha bisogno di essere interpretato per dare alla musica un significato,
dunque per conferirvi la capacità di trasmettere un messaggio a chi la ascolta. Un discorso
musicale si affronta generalmente attraverso tre fasi:

 Esitare.
 Stringere.
 Ritenere.
Per gestire una lettura metrica è necessario, dunque, prima effettuare una lettura ritmica, poi
bisogna non evidenziare gli accenti forti mantenendo la stessa velocità e, infine, è necessario
eseguire una lettura libera ed elastica, basata sulle tre suddette fasi.
Il metronomo deve sempre essere utilizzato nella fase di studio ritmico di una qualsiasi
composizione, solo dopo il superamento di questa fase sarà possibile passare alla fase della lettura
metrica. Anche per questa seconda fase è consigliabile sempre l’utilizzo del suddetto strumento
per evitare di eccedere o non riuscire a rientrare nel tempo stabilito.

PROBLEMATICHE DELLA LETTURA METRICA


La lettura metrica di una qualsiasi composizione non è mai semplice, perché sono tante le
problematiche che si possono incontrare all’interno di questa. All’interno di un periodo, o di una
frase o anche di un inciso, esiste quello che è chiamato punto saliente.
Il punto saliente è la nota di destinazione di un determinato frammento di composizione, è il
punto a cui si deve arrivare per risolvere ed esprimere un pensiero musicale. Esso non è altro che il
momento di maggior grado tensivo, che si raggiunge con maggior ansia, perché punto focale di
quella parte della composizione. Molto spesso è estremamente utile localizzare il punto saliente di
un frammento musicale, per poter comprenderne meglio il significato ed inoltre facilitarne lo
studio musicale.
Una problematica della lettura di una composizione è la presenza del ritmo misto, ovvero una
complessa unità di misura data dall’unione di un ritmo binario e di uno ternario. La principale
proprietà di un ritmo misto è il movimento spostato, per questa ragione, durante tutto il corso
dello studio di una composizione che presenta questo genere di ritmo, è necessario evidenziare
sempre l’inizio di ciascuna delle due componenti ritmiche. I principali ritmi misti sono quelli che,
nella frazione che indica l’unità di misura posta all’inizio della composizione, hanno al numeratore
il cinque (risultante dalla somma del ritmo binario in due e del ritmo ternario in tre) e quelli che
hanno il sette (risultante dalla somma del ritmo binario in quattro e del ritmo ternario in tre).
Un’altra problematica legata alla lettura di una composizione è la presenza dei gruppi irregolari,
chiamati così perché, per loro natura, sono ritmicamente in contrasto con la divisione o
suddivisione della misura in cui si trovano. Ne esistono tre diverse tipologie:

 La prima tipologia (gruppi irregolari nel ritmo semplice): Comprende le terzine e le


sestine, ovvero quei gruppi irregolari di tre e di sei note. Questi non sono considerati
regolari nel ritmo semplice.
 La seconda tipologia (gruppi irregolari nel ritmo composto): Comprende le duine e le
quartine, ovvero quei gruppi irregolari di due e di quattro note. Questi non sono
considerati regolari nel ritmo composto.
 La terza tipologia (gruppi irregolari per la loro formazione) comprende le quintine e le
settimine, ovvero quei gruppi irregolari di cinque e di sette note. Questi non sono mai
considerati regolari.
Nella prima fase dello studio di un gruppo irregolare è necessario distribuire equamente un
determinato numero di note in un certo tempo (rapporto Tempo/Quantità) ed è indispensabile
l’utilizzo del metronomo, al fine di controllare dove cade ogni battuta. L’ultima fase è quella della
lettura metrica, applicando le suddette regole (esitare, stringere, ritenere). Lo studio musicale di
un gruppo irregolare è molto complesso e richiede molto studio ritmico, al fine di acquisire la
capacità di far rientrare nel tempo tutte le note che lo compongono, distribuendole in modo equo,
esitando all’inizio, stringendo al centro e ritenendo alla fine.
La problematica di maggior rilievo legata alla lettura musicale di una composizione è lo studio di
una cadenza. La lettura delle cadenze è l’obiettivo ultimo nella lettura di una composizione,
nonché nello studio musicale della stessa. La cadenza, come già esposto in precedenza, è il
passaggio da uno slancio ad un riposo (quindi il passaggio da un levare ad un battere) e molto
spesso questa comprende più di una battuta. Per questa ragione, è molto probabile che all’interno
di una cadenza vi siano vari gruppi irregolari od altre problematiche, ma se questi sono già stati
affrontati in una fase di studio precedente, è possibile leggerla facilmente, e ancor più facilmente
se tutti i punti salienti sono stati localizzati. In generale, per studiare una cadenza è necessario
saperla leggere ritmicamente per intero, per poi analizzarne tutte le problematiche sopracitate. Lo
studio di una cadenza deve essere affrontato da un punto di vista più esteso, perché bisogna
garantire una corretta esecuzione della stessa. Per far ciò è necessario analizzare, insieme a tutte
le problematiche che una cadenza porta con sé. L’ultima fase dello studio di una cadenza è
l’applicazione delle tre fasi della lettura metrica. Lo studio delle cadenze è un aspetto
importantissimo in musica, perché la musica la fanno i musicisti, non un computer. E’ proprio una
corretta lettura a fare di uno strumentista un musicista.

LUDWIG VAN BEETHOVEN


Beethoven è probabilmente il più grande compositore di ogni tempo e luogo, un titano del
pensiero musicale, i cui traguardi artistici si sono rivelati di portata incalcolabile. Beethoven è stato
un compositore e pianista tedesco. Fu l'ultimo rappresentante di rilievo del classicismo viennese,
nonché il primo grande romantico. Nonostante i gravi problemi d’udito che lo afflissero prima
ancora d'aver compiuto i trent'anni, egli continuò a comporre, condurre e suonare, anche dopo
che fu diventato del tutto sordo. Beethoven ha lasciato una estesa produzione musicale, che vede
come protagoniste le sue nove meravigliose sinfonie e le sue trentadue sonate per pianoforte
solo. Beethoven influenzò fortemente il linguaggio musicale del XIX secolo e di quelli successivi,
tanto da rappresentare un modello per molti compositori. Beethoven era per molti aspetti
collocabile ancora alla tradizione del Classicismo, poiché, ad esempio, egli aderiva pienamente alle
regole dell’armonia nelle modulazioni e rifiutava i cromatismi nelle melodie, ma viene anche
considerato un musicista Pre-romantico, perché egli fu il primo che, come tutti gli esponenti del
romanticismo, considerava la Musica come l’arte assoluta, nonché l’arte maggiore tra tutte le arti.
Beethoven nacque a Bonn nel Dicembre del 1770. Non passò molto tempo prima che il padre
individuasse il dono musicale del figlio e tentasse di coltivarne le doti eccezionali per trarne il
maggior profitto economico possibile, infatti egli lo avviò allo studio della musica alla sola età di 5
anni e, anni dopo, tentò di farlo esibire, con esito negativo, in pubblico, nella speranza di far lui
avere successo. Le prime opere di Beethoven risalgono alla sola età di 12 anni, quando pubblicò le
Variazioni su una Marcia di Dressler e tre sonatine per pianoforte. Egli si trasferì a Vienna nel
1792, un anno dopo la scomparsa di Mozart, considerato il suo predecessore. Poco dopo l’arrivo di
Beethoven a Vienna, fu raggiunto dalla notizia della morte del padre, avvenuta nel dicembre del
1792. A Vienna egli ricevette gli insegnamenti di Haydn, con il quale non ebbe mai profondi
rapporti di amicizia, poiché quest’ultimo cominciò presto a provare una profonda gelosia per il suo
grandissimo talento. Tuttavia Haydn esercitò un'influenza profonda e duratura sull'opera del
grande Maestro. Nel 1796 Beethoven intraprese una serie di concerti che lo portarono ad essere
apprezzato da molti noti musicisti del tempo, come ad esempio Muzio Clementi, il quale notò per
primo il suo distaccamento dalla forma sonata tradizionale, propria del Classicismo. In questo
periodo Beethoven compone diverse sonate per pianoforte e la prima sinfonia, che risale al 1800,
anno nel quale possiamo attribuire l’inizio degli infiniti successi di questo straordinario musicista.
In quegli stessi anni, Beethoven iniziò a prendere coscienza dei suoi problemi d’udito che tentava
di curare in segreto, questi problemi gli causarono crisi al limitare del suicidio e intensificando il
suo orgoglioso distacco dal mondo. Egli diverrà completamente sordo nel 1820 e, per comunicare
con lui, gli amici dovranno rivolgergli le domande per iscritto, edificando per i posteri i celebri
quaderni di conversazione. Nonostante i suoi problemi di salute, Beethoven scrisse tra il 1801 ed il
1802, alcune delle pagine più belle della sua musica, tra cui la quinta sonata per violino e
pianoforte, detta La Primavera, la sonata per pianoforte solo in Do# minore, chiamata, con
rammarico dello stesso autore, sonata Al Chiaro di Luna ed anche la seconda sinfonia. Il 1804 fu
l’anno in cui Beethoven compose la sua terza sinfonia, detta Eroica, che rimarrà la sua più famosa
sinfonia, dopo la celebre nona. In quegli stessi anni compose due delle sue più famose sonate per
pianoforte solo, ovvero L’Aurora (Op.53 – Conosciuta come sonata Waldstein) e L’Appassionata
(Op.57). Negli anni tra il 1806 ed il 1808, Beethoven compose la quarta, la quinta e la sesta
sinfonia. In particolare, quest’ultima è conosciuta con il nome di Pastorale, ed è la più breve tra le
nove sinfonie da lui composte. Una sorta di ritorno al Classicismo lo si ha invece con la quinta
sinfonia, che vede quel carattere classico tipico di Haydn. Tra il 1811 ed il 1812 Beethoven
compose la sua settima sinfonia e la sonata per pianoforte solo Op.81, intitolata Gli Addii
(articolata in tre tempi: L’Addio, La Lontananza, Il Ritorno). Gli anni seguenti furono preoccupanti
per Beethoven, poiché si aggravarono le sue condizioni di salute e la sua sordità, che lo portarono
quasi al suicidio, che egli affogò nel tentativo di reindirizzare le proprie emozioni nella sua musica.
Nel 1817 Beethoven pubblicò la sonata per pianoforte solo Op.106, chiamata Hammerklavier.
Essa è la più complessa e lunga sonata scritta da lui, infatti la sua durata supera i quaranta minuti.
Negli anni a seguire, Beethoven scrisse le ultime tre sonate per pianoforte solo e pubblicò le 33
variazioni su un tema di Antonio Diabelli, opera che spesso viene posta accanto alle variazioni
Goldberg che Bach compose ottant’anni prima. Il 1824 è l’anno in cui Beethoven scrisse la sua
famosissima nona sinfonia. Attraverso l'indimenticabile finale che introduce il coro è possibile
scorgere l'evocazione musicale del trionfo della gioia e della fraternità universale sulla
disperazione e la guerra. Essa costituisce un messaggio umanista e universale. Verso la fine del
1826, Beethoven contrasse una grave polmonite e, in seguito, una cirrosi epatica. Egli muore nel
Marzo del 1827, all’età di 56 anni. La sua divina facoltà creativa non si spense con la sua morte, lui
è il più grande musicista mai esistito, la sua arte è la più grande manifestazione del suo genio. Le
sue opere comprendono ogni genere di composizioni, e riproducono i più intensi momenti della
sua vita. Mai la musica ha raggiunto potenza maggiore, perché attraversano tutta la gamma dei
sentimenti, dall'angoscia alla serena contemplazione.

LO SVILUPPO DELLA SONATA


(Barocco-Classicismo-Romanticismo)
Nel periodo barocco il termine "sonata" si applicava a una varietà di opere, comprendenti anche
assoli per strumenti da tasto e per piccoli gruppi strumentali. Nel passaggio dal barocco al periodo
classico, la sonata venne sottoposta a una modifica nell'utilizzo: dall'essere applicabile a svariati
tipi di piccole opere strumentali passò ad essere più specificatamente applicabile al genere della
musica da camera, sia con strumenti solisti, che in coppia con il pianoforte. Il classicismo è il
periodo musicale mediano tra il Barocco ed il Romanticismo, ed è possibile collocarlo tra il 1760
ed il 1830. Gli autori più importanti di questo periodo furono Haydn, Mozart e Beethoven, ed il
centro di produzione del periodo Classico fu Vienna. Il ruolo fondamentale delle opere
Classicistiche era ricoperto dalla ragione. Le caratteristiche del classicismo erano principalmente la
Linearità, l’Equilibrio e la Simmetria. Propria di questo periodo musicale fu la forma Sonata, che
aveva una struttura molto semplice. Beethoven fu uno dei maggiori esponenti del tempo che
compose varie Sonate. La struttura della forma Sonata viene solitamente definita bitematica e
tripartita. La tripartizione comprende la sezione di Esposizione, quella di Sviluppo e infine la
Ripresa. La sezione di esposizione ha il compito di presentare il tema. Se un'introduzione è
presente, essa è di solito in tempo più lento e va intesa come un levare, sia in senso ritmico che
armonico, rispetto al movimento successivo che preannuncia. L'Esposizione è così suddivisa:

 Primo tema: Consiste in uno o più elementi melodici con il compito di definire stabilmente
la tonalità principale.
 Ponte modulante: Lo scopo è quello di modulare dalla tonalità principale a quella di
contrasto o del secondo tema.
 Secondo tema: Consiste in uno o più elementi melodici in tonalità contrastante rispetto a
quella principale.
 Coda: Lo scopo è quello di terminare stabilmente l'esposizione nella tonalità di contrasto.
La definizione della tonalità principale all'interno del Primo tema è una priorità dello stile della
sonata del periodo Classico ma non implica che non vi possano essere modulazioni all'interno del
gruppo stesso, almeno finché queste non ne compromettano la stabilità. La scelta della tonalità di
contrasto viene definita tradizionalmente secondo il seguente principio:

 Se il primo tema è esposto in una tonalità maggiore, il secondo tema sarà nella tonalità del
V grado.
 Se il primo tema è esposto in una tonalità minore, il secondo tema sarà nella sua relativa
tonalità maggiore.
Questa concezione, propria del classicismo, viene modificata nel periodo romantico, perché è la
sensibilità dei compositori che cambia, insieme alle loro esigenze compositive. La sezione di
Sviluppo riveste due compiti distinti:

 Intensificazione della tensione introdotta nell'Esposizione (elaborazione).


 Ricondurre alla tonalità principale al fine di avviare la Ripresa.
Beethoven e soprattutto Mozart amavano presentare un nuovo tema all’inizio dello sviluppo il che
era classicamente consigliato. In alternativa, poteva essere ripreso il motivo della coda
dell’esposizione, come spesso faceva Beethoven, questo era molto efficace perché era l’ultima
cosa udita dall’ascoltatore. In genere, veniva utilizzato del materiale melodico presente
nell’esposizione, per amplificare il carattere tensivo della composizione, e con sé, anche
accrescere l’attesa del ritorno del tema principale, nonché della Ripresa. La sezione di Ripresa ha
in genere lo scopo di neutralizzare il conflitto introdotto nell'Esposizione e incrementato dallo
Sviluppo. Essa consiste nel riadattamento del materiale esposto nel primo tempo della sonata, al
fine di creare un annullamento tensivo, nonché la stabilità necessaria per poter concludere la
composizione. L'importanza del pianoforte rispetto a quella del clavicembalo nel periodo classico
è dovuta a tre motivi fondamentali:

 Era più adatto a dialogare con gli altri strumenti.


 Aveva una maggiore espressività.
 Garantiva una maggiore gamma di tonalità.
LA MUSICA DA CAMERA
Come già accennato, con il termine Musica da camera si intendono tutte quelle composizioni per
un organico ristretto di strumenti. Questo termine è in uso già dal XVI e, in origine, era utilizzato in
riferimento alle piccole e lussuose dimore dei nobili del tempo. Con il passare dei decenni e dei
secoli il nome di questo genere di musica è rimasto sempre lo stesso, ma il genere in se stesso ha
subito diverse trasformazioni. Nel 1700 la musica da camera era principalmente concepita per
quartetto d’archi, dunque per due violini, una viola ed un violoncello, sebbene esistessero
numerose composizioni per duo, trio, quartetto e quintetto d’archi con l’aggiunta del
clavicembalo o di uno strumento a fiato. Gli esponenti del classicismo scrissero, a partire dal XVIII
secolo, un vasto repertorio di musica da camera, tanto che il clavicembalo, per i motivi sopra
esposti, venne gradualmente sostituito dal pianoforte e vi furono i primi concerti pubblici di
musica da camera. Nel Barocco due erano i generi che nacquero, prima in Italia e
successivamente nel Nord Europa, ovvero la Sonata da Chiesa e la Sonata da Camera. In
ambedue codeste tipologie musicali, la tessitura più comune era quella in cui la linea melodica più
alta era sostenuta dal basso continuo, eseguita da uno strumento polifonico, come un violoncello
o un contrabbasso, o ancora il liuto, il clavicembalo o l’organo. Il genere che conta il maggior
numero di composizioni scritte è la Sonata per strumento solista (di solito il volino) e basso
continuo. Il più importante autore di sonate del XVI secolo fu Arcangelo Corelli. Nel Classicismo la
musica da camera si sviluppò in modo proprio, avulsa dalle altre forme di musica d’insieme. Il
sostegno armonico del basso continuo non era più utilizzato, poiché la funzione di riempimento
armonico era affidata agli strumenti della fascia centrale. Nel Romanticismo la musica da camera
si sviluppò lentamente, perché i primi autori romantici avevano forti inclinazioni classiche, come
Schubert e Brahms. Il romanticismo vede un ulteriore ampliamento delle formazioni da camera,
nascono dunque i quintetti ed i sestetti d’archi nelle varie combinazioni col pianoforte.
Nonostante le grandi libertà che la musica da camera vedeva dinanzi a sé, il periodo musicale del
romanticismo vede un ulteriore consolidamento della sonata per uno strumento accompagnato
dal pianoforte. Infatti lo stesso Beethoven aveva scritto, tra il 1800 ed il 1824, dieci sonate per
violino e pianoforte e cinque per violoncello. Egli costituì sempre il modello per i più grandi autori
romantici.

SONATA PER VIOLINO E PIANOFORTE N. 5 OP.24


IN FA MAGGIORE
- La Primavera –
Beethoven ebbe sempre una profonda passione per il duo cameristico, in special modo per il duo
Violino e Pianoforte. Per questa ragione, nell’arco della sua vita, egli compose ben dieci sonate
per Violino e Pianoforte. Il suo primo esperimento di composizione cameristica risale al 1783,
epoca in cui Beethoven aveva solo tredici anni e compose una piccola sonata per Violino e
Pianoforte, rimasta incompiuta per tutto il resto della sua vita. La sonata La Primavera è la più
conosciuta tra le sue composizioni cameristiche e presenta diversi caratteri innovativi che poi
verranno esaminati nel dettaglio. Il primo aspetto che si nota immediatamente è la presenza di
quattro tempi invece che tre, come stabilito dalle forme ormai canoniche del classicismo,
enotando un carattere innovativo:

 Allegro: Il primo movimento è un inno alla felicità ed alla spensieratezza che la primavera
porta con sé, imitato perfettamente dal movimento di grande cantabilità che percorre
tutto questo tempo.
 Adagio: Il secondo movimento è una delle più mirabili pagine mai scritte da Beethoven,
molto espressivo, introspettivo ed etereo allo stesso tempo. Esso propone il nuovo tema, lo
modifica e lo modula durante l’arco di tutto il movimento, attraverso i caratteri sonori della
tonalità in Subdiapente rispetto a quella del movimento precedente.
 Scherzo: Il terzo movimento è di piccolissime dimensioni, ma che ha la precisa funzione di
preparare l’ascoltatore al quarto tempo, come se fosse una sorta di introduzione. Per far
questo, Beethoven decide di dipingere l’opera di caratteri brillanti, rapidi e luminosi, e
adotta diverse tecniche per far ciò, come il continuo spostamento di accenti tra il violino ed
il pianoforte, che genera la sensazione di inseguimento tra i due strumenti, e quindi l’idea
di rincorsa e di velocità. Il trio è la preparazione più immediata allo scoppio del quarto
tempo, ed il compositore vuole farlo capire mediante rapidissimi movimenti in crescendo e
a distanza di terza tra i due strumenti.
 Rondò: Il tema principale del quarto movimento presenta forti tratti in comune alle sonate
Mozartiane. Infatti vediamo che il tema viene continuamente variato e reso più giocoso e
divertente.
Analisi Secondo Movimento: Adagio molto espressivo
Sin dalla prima misura, il ritmo ternario è posto in primo piano insieme alla tonalità d’impianto,
poiché è presente un arpeggio di Sib in ampiezza di ottava ascendente e discendente. Il punto
saliente di questa misura è ascrivibile al Sib del secondo tempo, poiché questa è la nota più acuta
dell’intera battuta e l’arpeggio dà la sensazione di voler raggiungere questo suono (movimento
ascendente), per poi allontanarsene (movimento discendente). Nella seconda misura il pianoforte
espone il tema, mentre l’arpeggio di Sib continua a ondeggiare alla mano sinistra dell’esecutore.
Durante il corso dell’esposizione della linea melodica principale, il violino svolge un ruolo
secondario, ovvero quello di ulteriore riempimento armonico. Si noti infatti che esso esegue solo e
soltanto note dell’accordo di Sib (o di Fa come quinto grado della scala successivamente), e molto
spesso (misure 2, 3, 6 e 7) quest’ultime vengono eseguite nel tempo debole della misura, con
movimenti ascendenti e sfuggevoli (si noti che la prima nota è una semiminima e la seconda è una
croma, ed esse sono sempre eseguite con una legatura a due). La linea del basso, inoltre, rivela sin
da subito la periodicità metrica di questo movimento, che coincide con gruppi di tre misure. Da
questo particolare si denota anche il ritmo del movimento e che l’inciso corrisponde ad una intera
misura. Una frequente problematica che si presenta sia nel discorso cameristico che in quello dei
singoli strumenti è che, molto spesso, quando è presente una nota di lunga durata seguita da una
o più note di durata inferiore (solitamente di una durata molto breve), risulta, nell’esecuzione di
tale frammento, che le note successive abbiano una sonorità eccessiva, isolata e non omogenea. Il
problema si risolve in genere scomponendo mentalmente la nota di lunga durata in valori più
piccoli, al fine di dare una continuità dinamica. Questa problematica si presenta per la prima volta
nell’esposizione del tema alla seconda misura. All’inizio della sesta misura è presente un crescendo
che cadrà nel Piano della successiva misura. Nella stessa misura è da notare un gruppetto che
porta il Mi al Sol, quest’ultimo è molto importante perché la sonorità del Sol viene direttamente
preparata dal gruppetto stesso, come se fosse una intensità acquisita in maniera graduale.
Tuttavia, il Mi che precede il gruppetto deve essere di pari sonorità della prima nota dello stesso,
per poi crescere, questo accade perché, per legare un suono, bisogna riprenderlo con la stessa
sonorità con la quale lo si è lasciato ed evitare dunque degli scompensi di sonorità. Alla fine della
stessa misura si incontra un frammento nuovo, ovvero un gruppo di otto biscrome, scomponibili in
una quartina ascendente ed una discendente. In funzione di questo accorgimento, esse si devono
evidenziare con un crescendo nella prima quartina, ed un diminuendo nella seconda (quasi
naturale, perché discendente). La nota saliente di questo frammento è senz’alcun dubbio il Fa
naturale, che annulla l’instabilità creata dal Fa# precedente e, allo stesso tempo, stabilisce l’inizio
del diminuendo naturale. Nell’ultimo quarto della settima misura è presente un’acciaccatura tripla
che precede una semicroma puntata (La) ed una biscroma (Si). Affinché questa figurazione non
risulti uguale alla terzina abbellita poco prima, è preferibile scomporre mentalmente il La in tre
biscrome legate. Allo stesso modo, nell’ultimo quarto dell’ottava misura è presente una croma
puntata (Do) e una semicroma (Re), esse sono separate da un gruppetto che, all’atto della
esecuzione di tale frammento, risulta similare alla figurazione presente nell’ultimo quarto dello
battuta precedente. Per questo motivo, è opportuno anche qui scomporre il Do in valori più
piccoli. Anche nell’ottava e nella nona misura il violino assurge ad una funzione di sostegno
armonico, nonché d’accompagnamento, infatti esso esegue delle figurazioni statiche, mentre il
pianoforte conclude l’esposizione del tema. Nella decima misura, finalmente i ruoli invertono,
infatti ora è il violino ad esporre lo stesso tema esposto sino a poco prima dal pianoforte (con le
stesse note alla stessa altezza, e le stesse fioriture), mentre quest’ultimo non fa altro che
raddoppiare il basso all’ottava superiore, creando di conseguenza un raddoppio della massa
sonora. La decima misura è assai importante poiché stabilisce metaforicamente l’inizio del duo
Violino-Pianoforte, creando per la prima volta un rapporto di proposta e risposta tra i due
strumenti. Le principali problematiche delle misure 10-17 sono due:

 Il Re del violino nella decima misura deve necessariamente essere intonato, poiché il
pianoforte suona quasi continuamente l’arpeggio di Sib e, qualora il violino suonasse un Re
non perfettamente intonato rispetto al pianoforte, l’effetto sarebbe sgradevole e
l’ascoltatore lo noterebbe immediatamente.
 Il violino deve esporre il tema allo stesso identico modo in cui lo ha esposto
precedentemente il pianoforte, questo vuol dire che i due strumentisti, durante lo studio
di questa composizione, dovranno raggiungere un’intenzione comune, sia per ciò che
concerne le modalità d’esposizione del tema, che per il modo di eseguire i trilli e i
gruppetti presenti in queste misure. Non sarebbe gradevole ascoltare due concezioni
diverse di questa composizione nella stessa esecuzione, poiché sia che il violino che il
pianoforte devono mescolarsi tra di loro e formare un unico strumento, un unico suono (è
questo il concetto di Equilibrio nella musica da camera di cui ho già parlato).
Anche il violino conclude l’esposizione del tema nella diciassettesima misura. Nella misura
successiva è possibile scorgere una relazione fraseologica tra il pianoforte ed il violino, infatti
questo frammento rappresenta un vero e proprio canone in diapente, perché ciò che il pianoforte
espone nelle misure diciotto e diciannove, viene ribadito, una quinta sopra, dal violino nelle
misure venti e ventuno. Un’altra importante relazione fraseologica tra i due strumenti è presente
alla misura ventidue. Qui il pianoforte esegue delle singole note (raddoppiate al basso nel tempo
forte) e il violino risponde con un'altra nota in contrattempo. Le note che il violino esegue non
sono note a caso, ma ciascuna di queste tre note ha una funzione specifica, infatti è possibile
notare che il Si è utilizzato per evidenziare la tonica (ed è importantissimo, perché nella battuta
precedente vi era una settima di quinta specie, ed è necessario ribadire la tonalità), mentre le altre
due note, in un contesto prettamente armonico, servono a completare l’accordo e, precisamente,
il violino ne suona la quinta. Il pianoforte apre la misura numero ventitre con un bellissimo
arpeggio in Fa Maggiore, nel quale si staglia una sorta di scala ascendente del violino. Anche qui,
le note che costituiscono l’accordo di Fa sono nella parte debole del tempo e sono sempre
precedute, sul tempo forte, dalla sensibile di ogni nota. La misura numero ventiquattro è simile
alla ventidue, ma questa volta il violino non completa gli accordi, ma raddoppia all’ottava
superiore la nota più acuta che esegue il pianoforte. Sia alla misura ventidue che alla ventiquattro,
è importantissima l’intonazione tra i due strumenti (durante questi scambi fraseologici
l’intonazione deve essere pressoché perfetta). Le misure venticinque-ventinove sono
importantissime, non solo perché collegano lo sviluppo delle precedenti misure alla ripresa del
tema, è importante notare e ammirare con che modalità Beethoven decide di riprendere il tema.
Ciò che salta subito all’occhio è che solo nella misura numero ventinove è presente l’arpeggio di
Sib, mentre nelle altre vi è il quinto grado (Fa). È necessario notare come alla misura venticinque il
pianoforte esegue un Fa raddoppiato all’ottava in un registro grave e il violino esegue un arpeggio
discendente ribadendo inizialmente il Fa. Alla misura numero ventisei, il pianoforte aggiunge il
Mib, che rappresenta la settima dell’accordo, aumentandone quindi il grado tensivo, e il violino
inizia l’arpeggio discendente dal La, quindi ancora più all’acuto. Alla misura ventisette il pianoforte
esegue la nota più importante (è questo il punto saliente del frammento, nonché il punto di
maggior tensione), il Mib acuto, come per continuare la sequenza di arpeggi discendenti del
violino, spegnendosi, alla misura ventinove, in un Re che giace sull’accordo di Sib. Per quale
motivo non è stato il violino ad eseguire l’ultimo arpeggio discendente, il più acuto ed importante
di tutti? Vi sono diverse tesi a riguardo, ma la spiegazione più plausibile, secondo me si può
ricavare dalla differenza timbrica dei due strumenti. Infatti sarebbe risultato troppo pesante e
incisivo un suono così alto eseguito dal violino, invece il suono del pianoforte risulta molto più
dolce per questa occasione, e dolce deve essere quando si spegnerà in quel Re (raddoppiato
all’ottava dal violino). Dalla misura numero trenta alla numero trentasette, il pianoforte riprende
l’esposizione del tema iniziale, ma, al fine di evitare di cadere in un senso di ovvietà, Beethoven lo
varia e lo ammorbidisce apportando una serie di innovazioni, ad esempio ripete diverse volte il Re
della misura trenta per ammorbidirlo e renderlo più leggero ed etereo, oppure inserisce una sorta
di scala ascendente tra il Sib ed il Re acuto nella misura trentadue, e allo stesso modo, ma in senso
discendente, alla fine della stessa misura e due misure dopo. Egli fa tutto ciò perché è consapevole
che molto spesso l’orecchio dell’ascoltatore percepisce in maniera più morbida due suoni che sono
vicini tra loro. Infatti si nota subito in questo frammento che i suoni sono tutti vicini tra loro
(moltissimi procedono per grado congiunto e i restanti sono a distanza di terza). Nella
trentottesima misura avviene una modulazione di carattere luministico, che stabilisce, appunto, un
cambio di colore, si passa infatti alla tonalità di Sib minore. La composizione appare ora più scura e
velata, ed è il violino adesso che espone il tema che, almeno inizialmente, appare molto simile a
quello iniziale, ma che poi sarà soggetto a diversi cambiamenti. Gli arpeggi che il pianoforte
eseguirà nelle successive misure saranno così efficaci, che basteranno poche note da parte del
violino per garantire un’atmosfera apollinea ed estasiante, enfatizzata dai crescendo e
diminuendo che ne aumenteranno il grado tensivo (come quelli delle misure 43-44 e 52-53). Alla
misura numero cinquantaquattro e nelle seguenti misure vi è un chiaro richiamo al tema principale
del primo tempo di questa meravigliosa sonata. Qui è possibile notare che, mentre il violino
esegue degli arpeggi, il pianoforte esegue un inciso che, dal punto di vista della figurazione, è
perfettamente riconducibile a quello delle prime battute del primo tempo della stessa sonata,
rendendone subito l’idea. Ovviamente lo sfondo armonico è assai differente e ne influenza
enormemente il risultato finale, che diviene assai cupo e introspettivo, grazie anche alla presenza
della settima di quinta specie alla misura numero cinquantasei. Nelle misure successive è il violino
che ripete il motivo esposto poco prima dal pianoforte, e quest’ultimo lo insegue a canone. Si crea
ora un elevato grado tensivo ed una forte instabilità, dovuta al completo sradicamento
dell’impianto tonale iniziale (si noti che alle misure 61 e 62 l’accordo presente è quello di Do
minore). Per ristabilire l’equilibrio iniziale, portando a conclusione il secondo movimento della
sonata, le otto misure successive vedranno una serie di cadenze perfette (V – I), con lo scopo unico
di consolidare la tonalità iniziale. Grande importanza hanno le misure 65, 67 e 69, perché sia il
pianoforte che il violino deve eseguire tre serie di trentaduesimi in crescendo (anche nel primo
tempo della stessa sonata è possibile notare questa tipologia di inciso), quindi è necessario un
perfetto equilibrio sonoro tra i due strumenti ed una perfetta intonazione, che devono dare la
sensazione di emettere un unico suono, e, per far ciò, è necessario una elevata qualità
d’esecuzione. Altrettanto importanti sono le misure 64, 66 e 68, dove o il pianoforte o il violino
eseguono da soli un lento (il tempo è sempre Adagio) arpeggio di Sib, che ha la funzione di
ristabilire definitivamente la dolce ed eterea atmosfera iniziale, rendendo sempre più concreta la
tonalità di Sib che sembrava oramai perduta. Questo arpeggio è eseguito dal pianoforte due volte,
entrambe in senso ascendente (misure 64 e 68), mentre il violino non lo esegue completamente
in senso ascendente, perché avrebbe dovuto toccare un registro troppo acuto, che avrebbe
rovinato il carattere dolce di quest’ultimo frammento, quindi esso scende al basso, per poi risalire
(misura 66). Nelle ultime quattro misure vi è un ultimo scambio fraseologico tra il violino e il
pianoforte in canone. Il pianoforte approda al Sib in senso discendente, arrivandovi per primo,
mentre il violino lo raggiunge in senso ascendente, e quando anche il violino vi arriva, il pianoforte
esegue un lungo e conclusivo accordo di tonica.

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