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Nel pensiero liturgico essi erano memoria della presenza di Dio nel corso della giornata. Erano celebrati
entro le comunità monastiche, ma i Vespri anche nelle chiese parrocchiali. Ogni Vespro comprendeva la
lettura dei salmi (di solito cinque) intercalati da antifone, il Magnificat, un inno e le litanie.
Numerosi e diversamente ordinati, secondo le necessità di impiego, erano i libri liturgici, nei quali sono
raccolti i testi che dovevano essere letti, recitati o cantati durante le cerimonie del culto.
Il più antico e ampio fu il Sacramentario, più ridotti erano il Graduale (contenente i testi della messa) e
l'Antifonario (contenente i testi degli uffici).
Di contenuto più specifico erano il Salterio, l'Evangelario, l'Innario, il Processionale e altri.
La maggior parte dei testi delle preghiere e dei canti fu tratta dalla Bibbia: l'Antico Testamento, scritto in
ebraico, e il Nuovo Testamento, scritto in ebraico e in greco. L'Antico e il Nuovo Testamento furono
tradotti presto in latino. La traduzione ufficiale adottata dalla Chiesa d'Occidente a partire dal V secolo è
la cosiddetta Vulgata, effettuata da S. Girolamo (331420).
I testi accolti dalla liturgia provengono soprattutto dai Salmi, dalle Profezie (Antico Testamento), dai
Vangeli, dalle Epistole e dagli Atti degli apostoli (Nuovo Testamento).
Le forme più importanti degli Uffici delle Ore sono i salmi e gli inni.
I 150 salmi ebraici, tradotti in latino da S. Girolamo, erano i testi più frequentemente impiegati nella
liturgia cantata. Infatti, non solo venivano eseguiti per intero, soprattutto ai vespri, ma versetti tratti da
essi erano anche impiegati in alcune parti del Proprio: introiti, graduali, tratti ecc.
Ogni salmo si compone di un numero variabile di versetti che si scompongono in due membri
("emistichi"), paralleli anche per i concetti che vi sono espressi.
Gli inni sono sillabici, melodici, strofici; essi rappresentano il genere di canto liturgico più popolare e più
orecchiabile. Gli inni nacquero in lingua greca nella Chiesa d'Oriente (IIIII sec.) e si svilupparono con il
movimento ereticale degli gnostici, dai quali li apprese S. Efrem di Odessa.
Nella Chiesa latina furono introdotti da Sant'Ilario di Poitiers e poi diffusi da S. Ambrogio di Milano, che
ne compose anche alcuni (Aeterne rerum conditor, Deus creator omnium, Veni redemptor gentium ecc.).
Gli inni sono le sole composizioni della liturgia gregoriana che hanno il testo in versi; sono composti da
più strofe che sono intonate sillabicamente su facili melodie. La melodia della prima strofa viene poi
ripetuta per tutte le altre strofe.
Tra il IX e il X secolo entrarono nell'uso chiesastico due nuove forme di canto sacro, la sequenza e il
tropo. Originate dalla trasformazione di alcune delle forme sopra citate, esse ebbero presto formazione
e vita autonoma, testimoniando l'esigenza di rinnovamento e di innovazione all'interno delle forme
liturgiche di quell'epoca.
La sequenza nacque come accorgimento mnemonico costituito dall'aggiunta sillabica di un testo in prosa
ai vocalizzi allelujatici. [...] Secondo la tradizione ne fu inventore Notker Balbulus, monaco del convento
di San Gallo. In seguito, nuovi testi furono applicati a melodie di varia provenienza o di nuova invenzione.
La sequenza era eseguita antifonicamente a coppie di versetti, il testo era in prosa e la melodia veniva
rinnovata di continuo (Wipone, Ermanno il Contratto ecc.). Nel secolo XII la sequenza adottò il verso
ritmato e la rima, assumendo una struttura in parte simile a quella dell'inno (Adamo di San Vittore). La
diffusione delle sequenze fu favorita dall'impiego di melodie profane. Nel XVI secolo il Concilio di
Trento, volendo ricondurre al la purezza primitiva la musica sacra [Vedi capitolo XI], abolì tutte le
sequenze eccetto cinque: «Victimae paschali laudes» di Wipone, «Veni, sancte Spiritus» attribuita
all'inglese Stefano Langton, «Lauda Sion» di San Tommaso, «Stabat Mater» di Jacopone da Todi, «Dies
irae» di Tommaso da Celano.
I tropi invece nacquero dalla sostituzione con testi sillabici dei melismi di alcuni canti della messa, in
particolare del Kyrie e dell'Introito. La leggenda ne attribuisce l'invenzione a Tutilone, monaco di San
Gallo lui pure. In seguito, elemento caratteristico del tropo fu la farcitura, cioè l'introduzione di nuovi
brani letterari e nuove melodie, in un preesistente canto liturgico. I tropi persero poi il carattere religioso
e scomparvero dall'uso. Dopo aver assorbito andamenti profani e popolari, furono utilizzati nelle parti
musicali delle sacre rappresentazioni. [Vedi capitolo VIII]