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PARTE SECONDA: IL MEDIOEVO...

CAPITOLO IV: IL CANTO DEL CRISTIANESIMO IN OCCIDENTE


La musica dei primi cristiani: il canto gregoriano nei suoi caratteri modali e ritmici

IL PRIMO MILLENNIO DELL'ERA VOLGARE


Durante i primi mille anni dopo la nascita di Cristo nella storia dell'Occidente accaddero eventi decisivi
per la nostra civiltà: l'espansione e la successiva decadenza dell’Impero Romano, l'invasione delle
popolazioni germani che, la formazione di regni romanobarbarici, il primato dell'impero carolingio alleato
alla Chiesa di Roma. La storia della musica occidentale durante questi dieci secoli fu, invece povera di
vicende e di accadimenti. Questa povertà appare ancor maggiore, se la raffrontiamo alla varietà e qualità
dei valori artistici accumulati nel millennio che seguì (sec. XIXX) e che volge ora a conclusione. Uno
sguardo d'insieme consente di individuare i fondamentali caratteri unitari della musica europea del primo
millennio dell'era volgare: non fu produzione d'arte, ma destinata nei primi due secoli [Vedi capitolo III]
ad occasioni profane, poi fu soprattutto un elemento importante della liturgia cristiana ad eccezione di
alcune manifestazioni strumentali della musica greco-romana nei primi secoli, fu un'espressione
esclusivamente vocale, ora corale ora solistica; fu tramandata oralmente, per insegnamento mnemonico.
Solo alla fine del millennio si incominciò a scrivere sui libri di uso liturgico le melodie sacre, con una
notazione inizialmente approssimativa.

LA MUSICA E IL CRISTIANESIMO IN OCCIDENTE

La formazione del canto cristiano


Il cristianesimo nacque dalla predicazione e dagli insegnamenti di Gesù Cristo, il quale completò e
rinnovò la dottrina del popolo ebraico sull'esistenza di un solo Dio. I giudei furono ostili ai primi seguaci
di Cristo, ma non si può tacere il fatto che furono ebrei i primi convertiti alla nuova fede.
Giustamente, quindi, si afferma che l'ebraismo giudaico fu la matrice del cristianesimo e quindi della sua
dottrina, ma anche della sua liturgia, delle sue preghiere, dei suoi canti.
La conquista e la distruzione di Gerusalemme effettuata nel 70 d.C. dalle truppe romane dell'imperatore
Tito cagionarono la cosiddetta diaspora (cioè la dispersione, l'esilio) di gran parte degli abitanti di Israele,
ebrei e cristiani. Essi si sparsero in tutto il bacino mediterraneo, favorendo la costituzione delle prime
comunità cristiane fra le popolazioni dell’Impero Romano di lingua greca (soprattutto a Efeso, ad
Antiochia, ad Alessandria d'Egitto e a Costantinopoli, poi capitale dell'impero d'Oriente) e di lingua latina
(particolarmente nella capitale Roma, dove si insediarono l'apostolo Pietro, il primo Papa, e S. Paolo, ma
anche nell'Africa settentrionale e nella Spagna). Si svilupparono così varie Chiese, prime quelle d'Oriente.
Fra esse venne assumendo maggiore importanza la Chiesa di Costantinopoli, poi ribattezzata Bisanzio,
centro di sviluppo del canto liturgico bizantino. Da esso derivarono in seguito la musica del rito
grecoortodosso e quella del rito russo.
Le persecuzioni dei cristiani volute dagli imperatori romani fino a Diocleziano ritardarono l'espansione
del cristianesimo in Occidente. Solo dopo che l'imperatore Costantino, con l'Editto di Milano (313) ebbe
riconosciuto ufficialmente il cristianesimo, e dopo che l'imperatore Teodosio ebbe vietato i culti pagani
(391), il cristianesimo poté ampiamente espandersi a Roma, e il latino fu riconosciuto quale lingua della
liturgia in Occidente.
È dimostrato che le manifestazioni del culto cristiano nei primi tempi derivarono da quelle della tradizione
giudaica, e che nessuna influenza esercitò su esse la musica greco romana. I trapassi dall'ebraismo al
cristianesimo riguardano sia i libri sacri dell'Antico Testamento, dai quali vennero tratti i testi delle letture
e delle preghiere, sia i modi e le forme primitive del canto, ricalcati su quelli impiegati nelle cerimonie di
culto giudaico: la cantillazione, il jubilus, l'esecuzione dei salmi. [Vedi capitolo Il] Nella sua irradiazione
tra le popolazioni mediterranee, il nuovo culto venne a contatto con le usanze religiose e musicali delle
varie regioni, e parzialmente ne fu influenzato e le assorbì. Si spiega in questo modo la formazione di
differenti repertori locali che caratterizzarono i primi secoli del canto cristiano e che vennero poi unificati
attraverso una lunga azione omogeneizzante, la cui paternità fu attribuita al papa Gregorio I Magno.
I primi e principali repertori locali del canto cristiano occidentale furono il romano antico, l'ambrosiano,
l'aquileiese e il beneventano in Italia; il mozarabico nella Spagna e il gallicano nella Gallia. L'unico tra
questi repertori che sia stato conservato attraverso i secoli fino ad oggi è il canto milanese, più noto come
canto ambrosiano dal nome di S. Ambrogio (339 ca. 397), prima governatore, poi vescovo di Milano, che
ne fu l'iniziatore. A S. Ambrogio risalgono varie iniziative riguardanti il canto liturgico latino, a cominciare
dalla diffusione degli inni, che erano cantati soprattutto durante le assemblee di fedeli al tempo delle lotte
contro i seguaci dell'eresia ariana. S. Ambrogio compose certamente quattro inni, forse più. Egli inoltre
adottò il canto salmodico, l'esecuzione antifonica e il jubilus. Sul jubilus lasciò scritte pagine mirabili S.
Agostino (354430), che trascorse alcuni anni a Milano, a contatto con S. Ambrogio.
Gli altri repertori locali hanno lasciato incerte e lacunose tracce, e tra essi solo due ebbero rilevanza
storica: il gallicano e il mozarabico.
Il canto gallicano rimase in uso in Gallia fino all'VIII secolo; conteneva elementi celtici e bizantini e fu
soppresso dagli imperatori carolingi.
Il canto ispanico, che fu chiamato canto mozarabico dopo la conquista araba di parte della Spagna, aveva
subito nel V secolo l'influenza dei Visigoti (già convertiti al cristianesimo), i quali avevano in precedenza
assimilato usi delle liturgie orientali.

Lo sviluppo unitario del canto cristiano


Durante i secoli bui della decadenza politica di Roma e degli insediamenti di popolazioni barbariche nei
territori già appartenenti all'impero, la Chiesa di Roma e il papato acquistarono un'autorità e un peso che
furono principalmente religiosi, ma anche politici. Il rafforzamento del potere e dell'autorità richiedeva
però che la Chiesa presentasse un volto unico, non soltanto sotto l'aspetto dottrinale e teologico (e questo
spiega le lotte accanite contro le eresie), ma anche sotto quello liturgico. Uguali e comuni a tutte le
comunità cristiane dell'Occidente che riconoscevano il primato del papa e della Chiesa romana avrebbero
dovuto essere i riti, e quindi le preghiere e i canti. Il passaggio dai repertori locali ad un repertorio unico,
cioè alla unificazione liturgica del canto sacro latino, richiesero diversi secoli. Esso portò alla formazione
di quello che, dal nome del grande papa S. Gregorio I Magno, fu chiamato canto gregoriano.
Nato a Roma nel 540 ca. da nobile famiglia, fu prima prefetto della città, poi monaco benedettino,
ambasciatore a Costantinopoli di papa Pelagio Il, vescovo di Roma e infine papa con il nome di Gregorio
I (590604). La sua instancabile attività pastorale, organizzativa e amministrativa lo segnalò come uno dei
più grandi pontefici del Medioevo. Fu un oscuro cronista del IX secolo, Giovanni Diacono, che, in una
tarda «Vita» di papa Gregorio attribuì al grande pontefice il merito di aver unificato il canto liturgico
latino. Sulla scorta di una tradizione quanto mai nebulosa, Giovanni Diacono affermava che Gregorio
Magno aveva compilato l'«Antiphonarium cento» raccogliendovi i canti ufficiali della Chiesa romana (e
alcuni ne avrebbe composti lui stesso) e che aveva fondato la Schola cantorum con il compito di
conservare e diffondere i canti del repertorio in modo integro e senza contaminazioni. Questa paternità
fu accettata e non contraddetta per molti secoli; solo recentemente la critica storica ha dimostrato che
quelle attribuzioni erano infondate: i primi saggi di notazione sono posteriori di oltre due secoli alla morte
di papa Gregorio, che non poté quindi far copiare nell'Antifonario a lui attribuito nessun canto; inoltre la
Schola cantorum esisteva già quando egli fu nominato pontefice.
Oggi si ritiene che, al di là di quelli che possono essere stati nella realtà i suoi meriti specifici e la sua
azione diretta nella sfera del canto sacro, "il nome di Gregorio Magno serva da riferimento ideale, quasi
a sacralizzare e a unificare una tradizione il cui sviluppo non fu organico e lineare" (F. Rainoldi). È certo
che il lavoro di sistemazione unitaria del canto cristiano in Occidente si sviluppò attraverso più secoli e
fu parallelo alla definizione della liturgia. Esso era incominciato prima di San Gregorio e si protrasse
diversi secoli dopo la sua morte.
Un momento importante del processo di unificazione si riconosce nell'incontro tra il papato romano e i
re franchi avvenuto nella seconda metà dell'VIII secolo. Dall'alleanza stipulata fra il papa Stefano II e il
re Pipino il Breve (753) trassero vantaggi per l'espansione nelle reciproche sfere, religiosa e politica, sia la
Chiesa di Roma sia la dinastia carolingia, avviata alla costituzione del Sacro Romano Impero ad opera di
Carlo Magno (799). L'unità del repertorio di preghiere e di canti era importantissima per l'unità dottrinale
della Chiesa, e l'unità della fede a sua volta agevolava e favoriva la auspicata unità politica dell'Europa.
Nonostante ciò, la locuzione «canto gregoriano» conserva il suo pieno valore. Essa indica la monodia
liturgica cristiana in lingua latina, che la Chiesa romana riconosce ufficialmente. Si usano tuttavia,
alternativi a canto gregoriano, anche altri termini: romana cantilena, cantus planus o canto piano (o fermo)
contrapposto a canto mensurato; anche, e più semplicemente, canto cristiano latino e canto ecclesiastico.
Un ruolo importante ebbe la schola cantorum, ma la sua funzione prioritaria non fu la diffusione in
Europa del canto gregoriano. Essa fu dapprima la cantoria alla quale a Roma era affidata l'esecuzione dei
canti durante le cerimonie papali e nelle basiliche romane. Esisteva già prima di papa Gregorio.
L'assenza della notazione rendeva necessario ricordare a memoria tutti i canti, da quelli che erano eseguiti
frequentemente a quelli che erano cantati solo durante particolari festività e ricorrenze; memorizzare il
vasto repertorio richiedeva anni di studio: le testimonianze del tempo parlano di una decina d'anni.
Avveniva anche che alcuni cantori venissero inviati Oltralpe, in importanti centri di vita religiosa, per far
conoscere il repertorio autentico dei canti liturgici. È il caso, per esempio, del monaco Agostino, che papa
Gregorio inviò con alcuni compagni in Inghilterra. Ma, indipendentemente da questi interventi, che
possono definirsi straordinari, la schola cantorum romana servì da modello per analoghi organismi nelle
principali sedi vescovili e nei maggiori monasteri.
Centri importanti di vita religiosa, e quindi anche di conservazione e di diffusione della liturgia e del canto
romano furono, a partire dagli ultimi secoli del primo millennio, i monasteri di Bobbio, Nonantola e
Montecassino in Italia, di Metz e Tours in Francia, di San Gallo in Svizzera e di Reichenau in Germania.

LA LITURGIA E IL CANTO CRISTIANO


Il nome liturgia indica l'insieme dei riti e delle cerimonie del culto cristiano nelle forme ufficiali stabilite
dalla Chiesa. Ne sono escluse quindi le manifestazioni spontanee e locali di culto, che perciò si
consideravano paraliturgiche (o extraliturgiche) anche quando furono ammesse, approvate e accolte a
fianco delle preghiere e delle funzioni "ufficia li".
La liturgia cristiana ebbe una formazione lenta e laboriosa a partire dai secoli III-IV: per affermare l'unità
del culto, uguale per tutti i credenti (salvo non sostanziali differenze da luogo a luogo), la Chiesa romana
dovette superare tra l'altro i particolarismi locali.
Questo processo formativo fu condotto a completamento nell'età carolingia; i cambiamenti che la Chiesa
dispose in seguito e che riguardarono sia gli aspetti esteriori, visivi, delle cerimonie, sia quelli dottrinali e
pastorali espressi attraverso la parola, sia quelli della preghiera cantata non modificarono sostanzialmente
la liturgia quale fu definita in quel periodo. Le cerimonie liturgiche, e quindi le preghiere e i canti, erano
legate allo svolgimento delle festività disposte dal calendario dell'anno liturgico, i cui momenti centrali
sono la nascita di Cristo (Natale) e la sua morte e risurrezione (Pasqua).
Alcune festività furono mutuate dalla tradizione giudaica.
L'anno liturgico inizia con l'Avvento (quattro domeniche prima di Natale) e prosegue con il Natale e
l'Epifania, la Quaresima, la Pasqua, la Pentecoste e la Trinità.
Le principali cerimonie della liturgia romana sono due: la celebrazione eucaristica, che comunemente si
chiama messa, e gli uffici delle Ore. La celebrazione eucaristica rievoca l'Ultima Cena di Gesù Cristo a
Gerusalemme, prima della sua condanna e crocifissione, ed è la principale manifestazione del culto e
fonte spirituale della vita cristiana. Si articola in tre parti: riti di introduzione, liturgia della parola e liturgia
sacrificale. Ognuna delle tre parti contiene numerose preghiere e canti.
Alcuni di questi hanno testi variabili, che mutano cioè secondo il calendario liturgico (Proprium Missae
o parti mobili); altri invece hanno un testo immutabile e vengono cantati sempre, tutti o in parte
(Ordinarium Missae o parti ordinarie o fisse).
I brani dell'Ordinarium Missae sono cinque: Kyrie eleison o Preghiera litanica, Gloria in excelsis Deo o
Inno angelico, Credo in unum Deum o Simbolo, Sanctus e Agnus Dei.
L'Ordinario della messa ha un'importanza particolare nella storia della musica perché i compositori che,
a partire dal XIV secolo ai giorni nostri Machaut, Palestrina, Bach, Mozart, Beethoven, Stravinski...
scrissero delle messe, mettevano in musica i testi dell'Ordinario, ed essi soli.
Sotto l'aspetto musicale, oltre che quello liturgico, i brani più importanti del Proprium Missae sono:
l'Introito, il Graduale, l'Alleluja (che nei tempi penitenziali è sostituito dal Tratto), l'Offertorio, il
Communio.
LE PARTI DELLA MESSA
[= tavola con le parti del Proprio a sinistra e quelle dell'Ordinario a destra]
Proprio Ordinario Riti di introduzione: Introito Kyrie eleison Gloria in excelsis Deo Colletta
Liturgia della parola: Lettura (Epistola) Graduale Alleluja (opp. Tratto) Vangelo Credo in unum Deum
Liturgia sacrificale: Offertorio Prefazio Sanctus Canone Pater noster Agnus Dei Communio
Postcommunio Ite, missa est
Gli uffici delle Ore canoniche erano otto: Mattutino (prima dell'alba), Laudi (al levar del sole), Prima,
Terza, Sesta, Nona, Vespro (al tramonto), Compieta (dopo il calar del sole).

Nel pensiero liturgico essi erano memoria della presenza di Dio nel corso della giornata. Erano celebrati
entro le comunità monastiche, ma i Vespri anche nelle chiese parrocchiali. Ogni Vespro comprendeva la
lettura dei salmi (di solito cinque) intercalati da antifone, il Magnificat, un inno e le litanie.
Numerosi e diversamente ordinati, secondo le necessità di impiego, erano i libri liturgici, nei quali sono
raccolti i testi che dovevano essere letti, recitati o cantati durante le cerimonie del culto.
Il più antico e ampio fu il Sacramentario, più ridotti erano il Graduale (contenente i testi della messa) e
l'Antifonario (contenente i testi degli uffici).
Di contenuto più specifico erano il Salterio, l'Evangelario, l'Innario, il Processionale e altri.
La maggior parte dei testi delle preghiere e dei canti fu tratta dalla Bibbia: l'Antico Testamento, scritto in
ebraico, e il Nuovo Testamento, scritto in ebraico e in greco. L'Antico e il Nuovo Testamento furono
tradotti presto in latino. La traduzione ufficiale adottata dalla Chiesa d'Occidente a partire dal V secolo è
la cosiddetta Vulgata, effettuata da S. Girolamo (331420).
I testi accolti dalla liturgia provengono soprattutto dai Salmi, dalle Profezie (Antico Testamento), dai
Vangeli, dalle Epistole e dagli Atti degli apostoli (Nuovo Testamento).

STILI, MODI DI ESECUZIONE E FORME MUSICALI DEL CANTO GREGORIANO


La civiltà musicale dell'Occidente incomincia con il canto gregoriano. Apparentemente le melodie che lo
costituiscono sono molto semplici: in stile omofonico privo di accompagnamento, un andamento
rigorosamente diatonico, ambiti melodici che raramente superano l'ottava.
Nonostante questa semplicità, esso è assai ricco e vario per gli stili di canto, per i modi di esecuzione e
per le forme musicali impiegate. Tre sono gli stili del canto ecclesiastico.
Il tono di lezione (accentus), derivato dalla cantillazione ebraica, è una sorta di lettura sillabica intonata,
che si svolge su una sola nota (recto tono) con lievi inflessioni melodiche ascendenti e discendenti.
Pure di derivazione ebraica [Vedi capitolo III] sono i melismi e i vocalizzi, soprattutto quelli che
fioriscono le sillabe della parola alleluja, espressione della sacra letizia dell'anima.
Il canto spiegato, che era il più comune e frequentemente impiegato, fu designato con il termine
«concentus» e poteva essere sillabico o semisillabico. In questo secondo caso ad ogni sillaba del testo
corrispondevano, in varia mescolanza, una, due, tre, quattro o più note.
Il canto era eseguito dal celebrante e dai fedeli; più tardi anche dalle scholae e dai loro solisti.
Nelle assemblee sacre dei primi secoli ebbe largo impiego la declamazione dei salmi; secondo un uso
derivato dalle tradizioni giudaiche, essi potevano essere espressi in tre modi diversi: nella salmodia
responsoriale ogni versetto era eseguito dal celebrante o dal solista e a lui l'assemblea rispondeva con un
versetto, sempre lo stesso; nella salmodia allelujatica, dopo ogni versetto eseguito dal solista, l'assemblea
cantava alleluja; nella salmodia antifonica i versetti erano eseguiti alternamente dal solista o dal celebrante
e dall'assemblea. I modi di esecuzione antifonica e responsoriale non erano limitati ai salmi, ma erano
estesi anche ad altre forme del repertorio liturgico.
Nei canti della messa convergevano tutti gli stili di canto e i modi di esecuzione citati. Alcune parti sono
eseguite in stile salmodico (Epistola, Vangelo, Prefazio, Pater noster eccetera), ma è prevalente il canto
melodico libero.
Melodici sono i cinque canti dell'Ordinarium Missae, i quali presentano forme e stili diversi l'uno dall'altro.
Di forma chiusa è il Kyrie, in stile melismatico, formato da tre versetti ognuno dei quali è ripetuto tre
volte; forma aperta, con andamento più strettamente sillabico hanno il Gloria e il Credo; moderatamente
melismatico è il Sanctus, diviso in due parti ognuna delle quali è seguita dal ritornello "Osanna";
semimelismatico è l'Agnus Dei, ripetuto tre volte, con una diversa chiusa la terza volta.
Le 18 messe gregoriane conservate nel Graduale romano (I «Lux et origo», Il «Kyrie fons bonitatis»,... IV
«Cunctipo tens genitor Deus»,... VIII «De angelis», IX «Cum jubilo»,...) furono composte posteriormente
al X secolo.

Le forme più importanti degli Uffici delle Ore sono i salmi e gli inni.
I 150 salmi ebraici, tradotti in latino da S. Girolamo, erano i testi più frequentemente impiegati nella
liturgia cantata. Infatti, non solo venivano eseguiti per intero, soprattutto ai vespri, ma versetti tratti da
essi erano anche impiegati in alcune parti del Proprio: introiti, graduali, tratti ecc.
Ogni salmo si compone di un numero variabile di versetti che si scompongono in due membri
("emistichi"), paralleli anche per i concetti che vi sono espressi.
Gli inni sono sillabici, melodici, strofici; essi rappresentano il genere di canto liturgico più popolare e più
orecchiabile. Gli inni nacquero in lingua greca nella Chiesa d'Oriente (IIIII sec.) e si svilupparono con il
movimento ereticale degli gnostici, dai quali li apprese S. Efrem di Odessa.
Nella Chiesa latina furono introdotti da Sant'Ilario di Poitiers e poi diffusi da S. Ambrogio di Milano, che
ne compose anche alcuni (Aeterne rerum conditor, Deus creator omnium, Veni redemptor gentium ecc.).
Gli inni sono le sole composizioni della liturgia gregoriana che hanno il testo in versi; sono composti da
più strofe che sono intonate sillabicamente su facili melodie. La melodia della prima strofa viene poi
ripetuta per tutte le altre strofe.
Tra il IX e il X secolo entrarono nell'uso chiesastico due nuove forme di canto sacro, la sequenza e il
tropo. Originate dalla trasformazione di alcune delle forme sopra citate, esse ebbero presto formazione
e vita autonoma, testimoniando l'esigenza di rinnovamento e di innovazione all'interno delle forme
liturgiche di quell'epoca.

La sequenza nacque come accorgimento mnemonico costituito dall'aggiunta sillabica di un testo in prosa
ai vocalizzi allelujatici. [...] Secondo la tradizione ne fu inventore Notker Balbulus, monaco del convento
di San Gallo. In seguito, nuovi testi furono applicati a melodie di varia provenienza o di nuova invenzione.
La sequenza era eseguita antifonicamente a coppie di versetti, il testo era in prosa e la melodia veniva
rinnovata di continuo (Wipone, Ermanno il Contratto ecc.). Nel secolo XII la sequenza adottò il verso
ritmato e la rima, assumendo una struttura in parte simile a quella dell'inno (Adamo di San Vittore). La
diffusione delle sequenze fu favorita dall'impiego di melodie profane. Nel XVI secolo il Concilio di
Trento, volendo ricondurre al la purezza primitiva la musica sacra [Vedi capitolo XI], abolì tutte le
sequenze eccetto cinque: «Victimae paschali laudes» di Wipone, «Veni, sancte Spiritus» attribuita
all'inglese Stefano Langton, «Lauda Sion» di San Tommaso, «Stabat Mater» di Jacopone da Todi, «Dies
irae» di Tommaso da Celano.
I tropi invece nacquero dalla sostituzione con testi sillabici dei melismi di alcuni canti della messa, in
particolare del Kyrie e dell'Introito. La leggenda ne attribuisce l'invenzione a Tutilone, monaco di San
Gallo lui pure. In seguito, elemento caratteristico del tropo fu la farcitura, cioè l'introduzione di nuovi
brani letterari e nuove melodie, in un preesistente canto liturgico. I tropi persero poi il carattere religioso
e scomparvero dall'uso. Dopo aver assorbito andamenti profani e popolari, furono utilizzati nelle parti
musicali delle sacre rappresentazioni. [Vedi capitolo VIII]

LA TEORIA: I MODI (O TONI) ECCLESIASTICI


Il repertorio gregoriano si basa su scale eptafoniche di genere diatonico appartenenti a otto modi; a
differenza però di quelle greche, le scale modali ecclesiastiche hanno direzione ascendente.
I modi gregoriani, forse derivati dagli oktoechoi bizantini, raggiunsero forma e definizione stabile intorno
al X secolo, e si distinsero in autentici e plagali: le scale plagali si estendono una quarta sotto al relativo
modo autentico.
Ogni modo autentico ha in comune con il suo plagale la nota finalis (che è la nota su cui di solito
terminano i brani), perciò ci sono quattro finali: re, mi, fa, sol.
Oltre alla finale, un'altra nota caratteristica è la repercussio, o tono di recitazione, intorno alla quale muove
la melodia.
La repercussio si trova di solito una quinta sopra la finalis nei modi autentici, una terza sopra la finalis nei
modi plagali.
Fanno eccezione i modi III, IV, VIII.
Ai modi ecclesiastici nel secolo X furono applicati in seguito ad una erronea trascrizione delle scale modali
greche i nomi usati per queste, ma con significato diverso.
[F = Finalis, R = Repercussio] Re protus:
I Modo autentico (Dorico): RE(F) mi fa sol la(R) si do re
II Modo plagale (Ipodorico): la si do RE(F) mi fa(R) sol la Mi
deuterus: III Modo autentico (Frigio): MI(F) fa sol la si do(R) re mi
IV Modo plagale (Ipofrigio): si do re MI(F) fa sol la(R) si Fa
tritus: V Modo autentico (Lidio): FA(F) sol la si do(R) re mi fa
VI Modo plagale (Ipolidio): do re mi FA(F) sol la(R) si do Sol
Tetrardus: VII Modo autentico (Misolidio): SOL(F) la si do re(R) mi fa sol
VIII Modo plagale (Ipomisolidio): re mi fa SOL(F) la si do(R) re

La restaurazione del canto gregoriano


La nostra attuale conoscenza della notazione neumatica, e quindi dei canti del repertorio liturgico
gregoriano, è frutto dell'impegno di ricerca e di analisi dei testi musi cali medioevali compiuta da alcuni
benedettini che si raccolsero nell'antico convento di S. Pietro di Solesmes (nella Francia centro
occidentale), con l'intenzione di preparare la riforma del canto liturgico sulla base di una ricognizione e
interpretazione delle fonti (codici, trattati) dell'età post gregoriana.
Avviato da Dom Guéranger verso la metà del secolo XIX, questo movimento fu sviluppato da molti
studiosi benedettini, tra i quali Dom Pothier, Dom Moquereau, e poi Dom Gajard, Dom Suñol, Dom
Ferretti e altri. Uno dei frutti più preziosi del lavoro compiuto a Solesmes fu la pubblicazione in facsimile
delle più antiche fonti del canto gregoriano, raccolte nei 19 volumi della monumentale edizione della
«Paléographie musicale» (18891974).
Il frutto pratico del lavoro dei benedettini di Solesmes fu il «Motu proprio» con il quale papa Pio X
riconosceva (1903) come canti privilegiati della liturgia cattolica il canto gregoriano e la polifonia sacra
cinquecentesca. Fu preparata, con nuovi aggiornati criteri, l'«Editio vaticana» delle raccolte liturgiche. I
volumi principali sono il Kyriale, il Graduale e l'Antifonale. Una raccolta pratica dei canti della messa e
dei principali uffici dell'anno liturgico è il «Liber usualis missae et of ficii».

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