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Umanesimo II termine U.

deriva dall'espressione studia humanitatis con cui, nella letteratura latina, si indicava
l'educazione di tipo letterario e filosofico che mirava alla formazione completa dell'uomo. Questa espressione e
altre simili, sempre in latino, furono usate nel corso del Trecento e Quattrocento per indicare nuovi interessi
let-terari, filologici e pedagogici e lo studio dei classici antichi da parte degli intellettuali del tempo. Il termine
«umanista», destinato ad avere grande diffusione e fortuna nella storia della cultura, ha in realtà una specifica
origine tecnico-scolastica: entrò infatti nel lessico d'uso solo alla fine del Quattrocento per indicare i professori
e i maestri di discipline letterarie (in primo luogo di latino e greco). La parola U. risale invece soltanto agli
inizi dell'Ottocento ad opera, pare, del pedagogista tedesco Niethammer che la usò, nella forma tedesca
humanismus, per valorizzare l'importanza degli studi classici contrapposti a quelli scientifici nell'istruzione
secondaria. Nel corso del Novecento i termini U. e umanisti si sono poi ampiamente diffusi in ambito
storiografico per designare la civiltà del sec. XV, in stretta connessione con il termine -» Rinascimento. Il
concetto di U., largamente usato nella letteratura filosofica e storica, è suscettibile di due diverse accezioni, il
cui significato va mantenuto ben distinto. Da un punto di vista più vasto ma più generico, con il termine U. si è
spesso indicata ogni tendenza di pensiero, dottrina, ideologia o atteggiamento spirituale che affermi di esaltare
il valore e la dignità dell'uomo. Ed è appunto in questa accezione, facilmente suscettibile delle interpretazioni
più diverse e contrastanti, che U. è stato «appropriato» da molte filosofie, presentatesi, di volta in volta, come
le genuine rappresentanti delle esigenze «perenni» dell'umanità. Così, anche in tempi recenti, i sostenitori di un
U. cristiano, di un U. esistenzialista o di un U. marxista, hanno rinnovato e reso ancora attuale una querelle che
affonda le sue radici nelle origini della cultura moderna. Da un altro punto di vista, certamente più limitato ma
assai più esatto e concreto nella sua prospettiva storica, il concetto di U. è stato ed è tuttora adoperato per
indicare quel grande processo di trasformazione della cultura occidentale che ebbe inizio in Italia tra la fine
del Trecento e gli inizi del Quattrocento, che, quindi, nel secolo successivo, dominò tutta la vita intellettuale
dell'Europa civile, prolungando poi la sua influenza, per tutto il Seicento e buona parte del Settecento, sino
alla crisi rivoluzionaria. Carattere fondamentale di questo moto è il proporsi come fine la formazione
dell'uomo «completo» e la certezza che tale fine può essere raggiunto solo mediante lo studio delle humanae
litterae e la conoscenza integrale dei grandi miti e monumenti letterari filosofici e artistici delle civiltà
classiche. Si tratta però di un movimento che fu certamente circoscritto a una piccola comunità di uomini
colti. Gli umanisti rivendicarono certo con forza i valori dell’individualità e della dignità dell'uomo ma, in
genere, le virtù da essi esaltate si accompagnavano al disprezzo per gli uomini del potere. Eppure gli
umanisti costituirono una élite culturale capace di dar vita a un movimento dal carattere estremamente complesso
che fu letterario non meno che filosofico politico e religioso. Fin dagli inizi l’U. investì tutti i campi della
vita intellettuale, opponendo alla cultura medioevale un vivo recupero dell'antichità classica. Con questo
non si vuol dire che talune tendenze, che poi furono proprie dell’Umanesimo., non siano rintracciabili anche in
taluni momenti o aspettti della cultura medioevale o che l'esaltazione degli antichi l'amore delle humanae
litterae non abbiano avuto precedenti in alcune delle maggiori personalità medioevali. Firenze fu uno dei
primi e principali centri dell'U. italiano ed europeo. Iniziatore e guida dell'U. fiorentino fa Coluccio Salutati
cancelliere della repubblica dal 1375 alla morte, «grammatico- e politico, esaltatore degli studia humanitatis e
abilissimo diplomatico. Per lui il vero «filosofo» non è il dotto solitario, estraneo alle vicende della storia e
del mondo umano, bensì il saggio che pone la sua sapienza al servizio di tutti gli uomini e serve il
comando di Dio nel pieno esercizio della sua vocazione terrena, in ogni sua opera risuona infatti la lode
di quelle arti che gli uomini si costruiscono per “ben vivere”, di una filosofia che non sia vana
esercitazione dialettica ma sia riconoscenza di noi stessi e dei nostri simili, inseparabile dalla lezione della
storia e dalla meditazione sulle vicende del passato e del presente.
Intorno a questi temi, tra la fine del Trecento e i primi anni del quattrocento, maturò una ricca
letteratura di schietto impianto «umanistico, al cui sviluppo recarono un contributo impareggiabile sia
l’ambiente intellettuale fiorentino, fortemente influenzato dalle personalità del Petrarca, del Boccaccio e
del Salutati, sia l'ambiente milanese e pavese, sotto i Visconti, dove fiorì un'esperienza filosofi ca e storica
non meno significativa. Ma l'altra maggiore personalità del primo U. fu Leonardo Bruni, discepolo del
Salutati e vero erede della sua saggezza.Traduttore elegante e raffinato degli scritti etici e politici di
Aristotele, egli vide negli studia humanitatis un metodo d'integrale formazione morale e civile, temprato
dalla costante familiarità che ci fornisce la conoscenza storica.Alla realizzazione di un simile ideale
cospirò, del resto, nella cultura italiana del Quattrocento, tutto il grandioso movimento di riforma degli
studi e dell'educazione, che ebbe i suoi maggiori rappresentanti in Guarino da Verona, Pier Paolo
Vergerio il Vecchio, Vittorino da Feltre, maestri di una nuova generazione d'intellettuali educati
all'esempio «civile» della cultura e a un metodo di educazione morale fondato sull'au tonomia e la
dignità dell'individuo. Né meraviglia che i maestri umanisti diano così spesso alla loro opera un tono di
una profonda ispirazione religiosa e che accomunino in un'unica serena discipli na morale le virtù degli
antichi e gli ammaestramenti del Vangelo. Con la rinnovata coscienza del passato e la profonda religiosa
consapevolezza del valore essenziale della libertà, non contrasta, nella cultura umanistica, una tendenza
sempre più netta e consapevole a rivalutare il significato della felicità e del piacere mondano e a op porre
all'ascetismo medioevale il senso laico, operoso e fecondo, dell'agire umano. Poggio Bracciolini, coetaneo
e amico del Bruni, già trasformava la sua lode della «sapienza» pratica nell'arguta e spregiudicata polemica
contro ogni tipo di morale ascetica, nell'elogio della «virtù» che mira a conquistare la felicità e la gloria, e
del lavoro,vera benedizione divina, che fa dell'uomo il signore della natura e gli concede ricchezza e potenza.
Poggio esaltò quelle passioni «utili» e «feconde» che spingono le città ad arricchirsi e prosperare e inducono gli
individui a esplicare pienamente il loro valore. Infine, da un punto di vista strettamente culturale, sempre negli
stessi anni, la conoscenza del poema di Lucrezio (scoperto nel 1418 dallo stesso Bracciolini), e una più
libera lettura delle pagine che Diogene Laerzio aveva dedicato a Epicuro, unirono questi motivi a una
illuminante ripresa di dottrine epicuree. Il rinnovato «epicureismo» divenne il tema centrale di una piena e
integrale valorizzazione della vita mondana, nell'opera del più grande dei filologi umanistici, che apprese
dai suoi maestri di «grammatica» e di «letteratura» il valore storico di ogni pensiero o «parola» umana, Lo-
renzo -» Valla. La sua polemica antistoica non è infatti soltanto una geniale difesa dell'unità dell'essere
umano, che è insieme corpo e anima, ma ancor più il tentativo di dare significato filosofico a una rigorosa
intelligenza storica del destino umano, che non contrasta con la possibilità di una sincera esperienza religiosa.
Tutto il De voluptate mira così a restituire al piacere un significato positivo, quanto mai lontano dal peccato e
dal male cristiani e, insieme, a conquistare una concezione libera del piacere, culminante nell'esaltazione del
«gaudio» sovrannaturale che lo stesso cristianesimo promette a ogni fedele. In effetti, la vera importanza
storica dell'U. valliano consiste proprio nella riconquista del pieno valore della libertà morale, di piena
capacità di scelta non più limitata da rigide preclusioni ascetiche e teologali. La filologia, per Valla e per gli
umanisti, fu lo strumento fondamentale di questa riconquista, attraverso l'analisi critica dei testi.
Su una linea non lontana da quella di Bruni e di Valla si mossero però per gran parte del Quattrocento
numerosi altri intellettuali e maestri che proseguirono e arricchirono la tradizione umanistica, come
Giannozzo Manetti, perfetto conoscitore delle lingue antiche e promotore del nuovo tema della dignitàs,
hominis, già implicito in tutta la concezione umanistica, ma che allora venne definito per la prima volta nei
suoi peculiari caratteri filosofici. Negli stessi anni, Leon Battista Alberti affidava ai Libri della Famiglia uno dei
più alti documenti della visione del mondo umanistica, li lode di chi sa trovare la regola della propria vita, e sa
così piegare — sorte e vincere il destino con «arte e volontà». Il tipico tema della «virtù che vince fortuna»,
destinato a tornare tante volte nella letteratura umanistica, si mutò, insomma, nell'apologià dell'uomo operoso
negli uffici economici e civili, compensato dalla prosperità della famiglia, dal crescere delle ricchezze, dal
tesoro dei beni terreni, che è segno di protezione e ausilio divino. In pieno accordo con la nascente mentalità
precapitalistica della società fiorentina, Alberti: elaborò già una concezione profondamente positiva e
ottimistica della vita, libero campo di battaglia, ove ha agio di rivelarsi la vera virtù di ognuno.
Da questa appassionata esaltazione dell'agire umano e della sua finalità storica e civile la cultura umanistica
sembrò però allontanarsi» nella seconda metà del secolo, allorché la fine della «libertà fiorentina», il crollo dello
stato visconteo, la minaccia turca gravante su Venezia, recarono una dura smentita alle alte speranze civili care
alla prima generazione umanistica. Di tale crisi, che divenne sempre più grave e profonda verso la fine del
secolo parallelamente all’aggravarsi delle condizioni generali della vita politica italiana, è già possibile indicare
un'eloquente testimonianza in Matteo Palmieri, ma il lento distacco tra gli ideali delle prime generazioni
umanistiche può essere meglio indicato nella complessa personalità di Cristoforo Landino e, ancora, nel
trionfo della rinnovata tradizione platonica legata al nome di Marsilio Ficino. Anche se si accettano certe più
recenti interpretazioni che tendono ad accentuare i rapporti tra Ficino e certi temi della cultura
medioevale, non si può disconoscere che il suo platonismo fa propri, e talvolta accentua, alcuni motivi
eessenziali dellU. tra i quali quello dell'«uomo-microcosmo», sintesi e chiave dell'universo, posto tra il mondo
dell'Essere e la mutevole vicenda della vita terrena. Un tale motivo dominò la cultura filosofica tardo
Quattrocento, e anzi costituì un motivo di particolare attrazione per quegli ambienti intellettuali francesi o
tedeschi che sulla fine del secolo, cominciarono ad aprirsi all'influenza dell U. italiano.
All'ambiente dell'accademia appartenne un filosofo aperto a ogni esperienza, dottrina e verità come
Giovanni Pico della Mirandola, autore del De dignitate hominis. L'idea, così cara a Pico, che solo la li-
bertà costituisca la ragione della dignitas umana, e la sua appassionata apologia della concordia di
tutte le fedi e le verità filosofiche in :m'unica universale certezza comune a ogni uomo, sono i due
più preziosi fermenti ideali che la cultura umanistica quattrocentesca ha lasciato in retaggio alla civiltà
europea del Cinquecento. Proprio nella «pace» o universale concordia invocata da Pico, come del resto
nell'ideale ficiniano di una pia philosophia superiore a ogni rigida definizione dogmatica, era già
presente il seme fecondo dei fondamentali principi di tolleranza e di libero confronto delle singole
«verità» filosofiche e religiose. E questa una delle più importanti eredità sto-riche che FU. ha
trasmesso all'intera civiltà europea.

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