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VI.

ALCUNI PROBLEMI METODOLOGICI: LA “GALLERIA DEGLI ANTENATI”

E’ importante sottolineare che le epoche storiche non si mettono in fila l’una dopo l’altra, ma si
accavallano e si intrecciano; così non è propriamente corretto tracciare un percorso epoca barocca
→ stile galante → epoca “pre-classica” → Classicismo viennese → Romanticismo.
C’è da notare anche che l’altro livello artistico non equivale affatto ad una corrispondente
persistenza del repertorio; su di essa gravano diversi fattori, il più importante dei quali è
l’evoluzione delle istituzioni musicali.

BACH E HANDEL

Due grandi figure di compositori tedeschi sovrastano il panorama musicale tardo barocco: quella di
Johann Sebastian Bach e quella di Georg Friedrich Handel. Coetanei, nati nel 1685, ebbero due
vite estremamente differenziate: se Bach non uscì mai dalla Germania, Handel trascorse all’estero
gran parte della sua vita → c’è in entrambi la capacità di accogliere tutto ciò che ci fosse di nuovo
nell’atmosfera musicale dell’epoca.

JOHANN SEBASTIAN BACH (1685-1750)


Bach nacque in Thuringia da una famiglia di musicisti. Uno dei suoi primi maestri fu il fratello
maggiore Johann Christoph, allievo del grande organista e compositore Johann Pachelbel. Bach
ebbe un periodo di studio a Luneburg, dove gli si svelò il mondo organistico della Germania
settentrionale. Ebbe modo di frequentare la corte di Celle, dove si appropriò dello stile francese e
delle sue forme di danza. Lasciata Luneburg, trascorse gli anni fino al 1708 ricoprendo vari
incarichi alla ricerca di una sistemazione sempre migliore. Durante il suo soggiorno a Weimar ebbe
modo di entrare in contatto diretto con la musica italiana e con le sconvolgenti innovazioni (netti
profili melodici, senso motorio preciso, forma-ritornello e contrasto solo-tutti). Tutto ciò, unito anche
allo stile virtuosistico che caratterizzava in genere la musica vocale e strumentale italiana, si fuse
con il solido tessuto contrappuntisti che Bach aveva ricevuto dalla sua educazione musicale
tedesca. Bach venne così accumulando, pur senza uscire dalla Germania, un agguerritissimo
arsenale di potenzialità musicali. Nel 1718 approdò alla corte di Kothen dove ricoprì il ruolo di
Kappellmeister, massimo responsabile delle attività musicali. Qui tralasciò la musica sacra per
dedicarsi soprattutto alla musica puramente strumentale e alla musica didattica → vennero
composti dunque i sei Concerti brandeburghesi (il Primo è un concerto grosso, il Secondo è un mix
tra concerto grosso e solistico - tromba -, il Terzo e il Sesto sono concerti d’assieme, gli altri ibridi),
dedicati al margravio del Brandeburgo e le quattro Ouvertures per orchestra, ma anche le Sonate
e Partite per violino e diverse composizioni per strumento a tastiera. Di questi anni sono anche il
Clavier-Buchlein, compilato per il figlio Wilhelm Friedmann, e il quaderno ad uso della seconda
moglie Anna Magdalena. Nel 1723 avvenne l’ultima svolta professionale nella vita di Bach, che fu
assunto a Lipsia come Kantor: doveva occuparsi dell’educazione degli allievi e del corredo sonoro
della liturgia festiva della chiesa → scrisse numerose cantate sacre, nonché altre musiche
destinate alla liturgia - ricordiamo la Passione secondo Giovanni (1724) e la Passione secondo
Matteo (1729). Nel 1747 fu ammesso tra i membri della Società delle scienze musicali, riservata a
musicisti che fossero contemporaneamente esperti di filosofia e matematica. Due monumentali
composizioni risalenti a quegli anni vanno probabilmente intese come contributi alla Società:
l’Offerta musicale, composta in onore di Federico II di Prussia (si era recato alla sua corte perché lì
lavorava il figlio Carl Philipp Emanuel), e l’Arte della fuga (incompiuta) → complessità
contrappuntistica e molto pathos.
Per la maggior parte dei contemporanei, Bach era solo un anziano compositore volto al passato, la
cui musica era difficile da eseguire e da ascoltare; usa molto contrappunto e per questo risulta
legato alla spiritualità e considerato un po’ antiquato. Bisognerà attendere il 1829 per assistere alla
nascita del culto bachiano (Bach-Renaissance): F. Mendelssohn riesumò la Passione secondo
Matteo eseguendola a Berlino. Fino ad allora il “Bach” per antonomasia era il figlio Carl Philipp
Emanuel.

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Al centro della liturgia luterana viene posta la lettura della sacra scrittura con il successivo
sermone, lo strumento tramite il quale il messaggio morale arriva all’assemblea, destinato ad
essere solennizzato attraverso il canto. Lutero raccomandava la possibilità di eseguire prima e
dopo il sermone dei corali, canti ecclesiastici in lingua tedesca, abbastanza semplici da
permettere la partecipazione attiva dei fedeli. Questi erano melodie composte ex novo, oppure
adattamenti di antichi canti popolari o anche di melodie gregoriane. L’esecuzione dei corali era
spesso polifonica: alla melodia principale erano aggiunte alcune parti secondarie. Si affermò l’uso
di affidare la melodia principale non più al tenor ma al superius, la declamazione era sillabica e vi
erano cadenze. L’esecuzione era affidata generalmente a quattro parti vocali che procedevano
omoritmicamente. Quando la pratica del corale confluì nell’alveo della musica colta, venne alla
luce la pratica della elaborazione delle melodie di corale → nasce il corale per organo per quanto
riguarda la musica strumentale e la cantata sacra per la musica vocale, caratterizzata dall’uso di
basso continuo, adozione dello stile concertante, uso della policoralità, intervento di ritornelli
strumentali. Tipico della cantata sacra era il legame con una festività e la collocazione nella liturgia
prima del sermone. I testi erano divisi in strofe, ciascuna eseguita da un solista su un
accompagnamento orchestrale; talvolta intervenivano ritornelli strumentali. La cantata sacra
presentava una struttura standard: al centro rimaneva la melodia del corale; vi erano il recitativo,
l’aria solistica e un’eventuale altra elaborazione della melodia di corale.

GEORG FRIEDRICH HANDEL (1685-1759)


La fama di Handel non ebbe bisogno di rivalutazioni postume, perché egli lottò duramente per
conquistarsela in vita, riuscendovi in pieno. Handel nacque ad Halle, in Sassonia e ben presto si
avviò a regolari studi musicali sotto la guida di Friedrich Wilhelm Zachow. Nel 1703 si trasferì ad
Amburgo e partì poi per l’Italia, dove trovò stimolanti contatti → si dedicò prevalentemente ai
generi più richiesti dalla città papale, ovvero la cantata da camera e l’oratorio. Quanto nel 1710
partì dall’Italia, si fermò prima ad Hannover poi a Londra, dove cercò di imporre se stesso e l’opera
italiana. Fu nominato direttore della Royal Academy of Music, il cui scopo era l’allestimento di
opere italiane sotto il patrocinio del re → l’opera italiana non riuscì comunque ad essere accettata:
1. i libretti erano incomprensibili; 2. i personaggi erano estranei alla storia e alla cultura inglese; 3.
la presenza dei castrati era considerata immorale; 4. l’italianità stessa era vista come minimo di
cattolicesimo e non poteva non suscitare il risentimento degli anglicani.
Ma Handel non si perse d’animo e si lanciò in proprio come impresario. Le caratteristiche
dell’opera di Handel, che in realtà lo differenziano dall’opera italiana, sono: 1. fa precedere i tre atti
da un’ouverture alla francese (invece che da una sinfonia all’italiana); 2. il suo linguaggio non
asseconda la tendenza alla semplificazione che andava diffondendosi tra gli italiani. La corposità
musica delle arie di Handel non è dovuta solo la suo talento compositivo, ma anche ad un dato
oggettivo: per un pubblico che non comprendeva neppure una parola del testo, era la musica delle
aie ad assumersi il compito di “dire” tutto → anche questa seconda fase operistica fu ostacola dalla
costituzione di una società operistica rivale.
Alcune tra le opere di Handel sono Almira (1705), Rodrigo (1707), Agrippina (1709), Rinaldo
(1711), Ottone (1723), Giulio Cesare (1724), Poro (1731), Ezio (1732), Orlando (1733) etc.
Fu un altro tipo di repertorio che gli consentì di imporsi come il maggior compositore inglese
vivente: l’oratorio. A differenza dell’oratorio italiano, qui è il coro il vero protagonista, sottraendo il
primato ai solisti. Egli si basò sulla vendita diretta dei biglietti, che coinvolgeva un pubblico più
vasto. Alcuni esempio di oratori di Handel sono Esther (1718), Israel in Egypt (1739), Messiah
(1742), Judas Maccabeus (1746) etc.
Tanto Bach quanto Handel furono colpiti da cecità.

DALLO STILE GALANTE ALLO STILE CLASSICO

La compagnia teatrale di Eustachio Bambini aveva rappresentato tante volte La serva padrona di
Pergolesi. Nel 1752 si trovò a doverla eseguire nel massimo tempio della tragédie lyrique: l’Opéra
di Parigi → i maggiori letterati dell’epoca si dettero battaglia, stampando decine e decine di scritti
polemici e dividendosi tra sostenitori della musica francese e fautori dello stile buffo italiano →

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questa polemica fu detta querelle des bouffons. La ricerca di uno stile di canto “naturale”, che
esprimesse con immediatezza e senza artificiosità il genuino sentimento umano, fu un’esigenza
profondamente avvertita intorno alla metà del Settecento; nel campo operistico si rispose ad essa
con lo stile dell’opera buffa e nella musica strumentale ciò si espresse nel cosiddetto stile galante.
La parola “galante” era divenuta di gran moda fin dagli inizi del Settecento: esso si riferiva a ciò
che viene apprezzato dal galant homme, l’ideale di un uomo raffinato, colto, che vuole una
produzione musicale raffinata e non artificiosa, che segue le moda. E’ una musica che si articolare
nettamente tra melodia e accompagnamento (un tipico accompagnamento cembalistico di tale
genere è il cosiddetto “basso albertino”, nel quale le note di un accordo vengono suonate dalla
mano sinistra alternativamente una dopo l’altra a valori ritmici uniformi); tutta l’abilità di chi suona
deve essere posta nel realizzare la melodia, con un sapiente uso degli abbellimenti e delle
sfumature dinamiche e agogiche. Vi è una semplificazione del contrappunto e un aumento della
centralità dell’elemento melodico → affermazione del tema come elemento centrale che si
sostituisce al principio dell’elaborazione motivica tipica del barocco (motivo=figura musicale breve
e aperta che può essere continuamente variata e spostata su piani tonali diversi). L’esplicazione di
un tema viene tutta sviluppata in un unico ambito tonale; vi sono archi tematici definiti dalle formule
cadenzali.
Nascono anche trattati sulla prassi esecutiva; celebre è quello di Quantz (1752). I trattati non
illustrano solo la tecnica del singolo strumento a cui si riferiscono, ma forniscono spiegazioni su
numerosi problemi stilistici. Negli stessi anni dello scritto di Quantz, videro la luce sia un tratto di
Carl Philipp Emanuel Bach (1753) sia uno del padre di Mozart (1756).
Lo stile galante si diffuse in tutta Europa, anche se i suoi autori più rappresentativi sono tedeschi e
italiani; esso raggiunse il suo apogeo nel periodo tra 1750 e 1755. Tra i più famosi compositori
dello stile galante in Italia annoveriamo colui che avviò la grande stagione dell’opere buffa
veneziana, Baldassarre Galoppi e altri come Platti, Sammartini. Il più grande dei compositori
francesi, a detta di Quantz e di altri, era il flautista e compositore Michael Blavet. Nel mondo
tedesco, troviamo sicuramente Johann Christian Bach, Quantz, i fratelli Graun.
Un altro figlio di Bach, Carl Philipp Emanuel, è il più compiuto rappresentante di una specie di
“dialetto” locale berlinese dell’interazione stile galante: il cosiddetto empfindsamer Stil, ovvero
stile della sensibilità. L'empfindsamer Stil è uno stile compositivo sviluppatosi nel Settecento nella
Germania settentrionale per esprimere sentimenti che si ritenevano veri, semplici e naturali -
qualità apprezzate soprattutto dalla dottrina illuminista; si utilizza il contrasto di umori differenti in
repentino cambiamento anche fra i temi, i quali incarnavano un dato sentimento in modo molto
accentuato. Questo stile si sviluppò in un'epoca dove anche in altre forme di arte veniva perseguita
questa giustapposizione di sentimenti, come nello Sturm und Drang, movimento letterario
preromantico. L'empfindsamer Stil si contrapponeva pertanto alla dottrina barocca degli affetti,
dove in una stessa composizione si presentava invece un solo “affetto". Gli affetti vengono
espressi tramite uno stile discorsivo e rapsodico, l'utilizzo di una agogica (vedi l'uso del rubato e
dell'arioso di stile operistico) e di indicazioni dinamiche con frequenti cambiamenti, e la mancanza
di frasi melodiche simmetriche e frequenti modulazioni improvvise, anche dal maggiore al minore.
Prende dallo stile galante l'eliminazione della componente erudita, ma ne rifiuta gli
accompagnamenti in stile basso albertino, prediligendone uno più energico. Musicalmente, il
romanticismo tedesco sarà percepito proprio come una derivazione dello stile della sensibilità.
Stile galante e stile della sensibilità appartengono a due diverse categorie di idee: stile galante è
una categoria estetica correlata ad uno status sociale, mentre stile sensibile è una categoria
estetica correlata ad un atteggiamento interiore.
Solitamente si considerano stile galante e della sensibilità come periodo pre-classico a cui segue il
Classicismo viennese, considerato lo stile per eccellenza di fine Settecento-primi Ottocento.
Eppure, questo stile classico veniva generalmente riferito solo a tre figure, Haydn, Mozart e
Beethoven, collegate dal gravitare intorno a Vienna e dallo stile musicale impiegato, la forma-
sonata. Stile galante e classico sono in realtà quasi contemporanei con tratti comuni; lo stile
classico è una variante più articolata dello stile galante.
Uno dei maggiori storici della musica contemporanea, Carl Dahlhaus, sostiene che nella storia
della musica non avvenne un’evoluzione in tre stadi, ma in due regioni. I territori tedeschi del sud
di religione cattolica, passarono dallo stile galante allo stile classico e infine a quello romantico;

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tutta la regione del nord della Germania, di religione protestante, saltò quasi completamente la
fase classica.

FRANZ JOSEPH HAYDN (1732-1809)


Haydn nacque nel 1732 in Austria; fu subito segnalato per la bellezza della sua voce bianca e per
questo si trasferì a Vienna. Quando Haydn subì la muta della voce, fu bruscamente licenziato.
La grande svolta avvenne per caso; Haydn andò ad abitare in una mansarda situata alla sommità
di un palazzo al primo piano del quale abitava l’anziana principessa Esterhazy e al terzo piano
viveva il poeta Metastasio, grazie al quale Haydn conobbe l’operista Niccolò Porpora, che lo inserì
negli ambienti dell’alta società viennese. Così giunse ad essere assunto nel 1761 dal principe Paul
Anton Esterhazy. Gli Esterhazy, di origine ungherese, erano tra le più ricche e potenti famiglie
dell’impero. Quando Paul Anton morì il titolo di principe passò al fratello Nikolaus, che stabilì la sua
resistenza in una reggia magnifica, detta Esterhaza. Haydn fu nominato Kappellmeister e produsse
ogni genere di musica per le necessità del suo signore: dalla musica sacra (mecenatismo
istituzionale), alla musica d’intrattenimento e da camera, alla musica per teatro.
Come J.S.Bach, Haydn è un altro esempio di musicista, pur “sedentario”, che riuscì a mantenersi
esaurientemente aggiornato su tutte le novità artistiche della sua epoca; al servizio degli Esterhazy
riuscì a maturare un proprio stile personale: il mondo galante e sensibile fu da lui trasformato in
uno stile che contemperata espressività e razionalità, contrappunto armonia e melodia, duttilità
ritmica e fraseologia gerarchicamente coordinata → stile classico, che Haydn consegnò a Mozart
e Beethoven già perfettamente compiuto. L’aspetto più prezioso di questo stile consiste nel fatto di
servirsi di pochi elementi, traendo da essi però il massimo delle conseguenze possibili. Lo stile
classico è ispirato all’idea di naturalezza e semplicità; musica più semplice e più di ricezione.
La fama di Haydn si diffuse in tutta Europa; quando era libero dagli impegni teatrali, i suoi viaggi a
Vienna si fecero più frequenti. Durante tali soggiorni egli conobbe Mozart, a cui lo legò una calda
amicizia e una vicendevole ammirazione.
Quando Nikolaus morì, nel 1790, Haydn si trovò libero da qualsiasi mansione a palazzo e si trovò
nella posizione di musicista indipendente. Accettò la proposta di una viaggio a Londra, dove nel
1791/2 e nel 1794/5 fu accolto da vero trionfatore. Qui venne in contatto con molto elementi nuovi:
la ricca vita artistica della città; le numerose società che organizzavano concerti; l’ampiezza degli
organici orchestrali; le insolite melodie dei canti popolari; la musica di Handel.
Ritorno definitivamente a Vienna nel 1795, dove morì nel 1809 in una città ormai occupata dalle
truppe di Napoleone. Ma le violenze e gli odi della guerra non riuscirono a cancellare la stima
universale di cui godeva il grande maestro: davanti alla sua casa il generale francese
conquistatore fece schierare una guardia d’onore.

Le sonate dell’epoca barocca erano sovente articolate in serie di quattro movimenti, lento-veloce-
lento-veloce; nel corso del Settecento il movimento iniziale cadde gradualmente in disuso e si
affermò la struttura veloce-lento-veloce. Nella sonata barocca ciascun movimento è bipartito: la
prima sezione modula alla tonalità della dominante e la seconda fa ritorno alla tonica. Questa
struttura rimase a fondamento dei primi tempi di sonata per tutto il Settecento. Si radicalizzò il
contrasto tra le due tonalità; il primo movimento di sonata si configurò come teatro di un conflitto
rappresentato tramite la contrapposizione armonica. Si determinò anche una specializzazione
funzionale del materiale musicale: ciascuna delle fasi in cui si articolava il conflitto assunse una
fisionomia precisa a secondo del ruolo che vi doveva assolvere.
La forma del primo tempo di sonata subì un’evoluzione lungo il XVIII secolo. Nel primo Settecento
abbiamo due sezioni, entrambe ritornellate, basate su un materiale tematico omogeneo; nelle
forme binarie in uso nella tradizione sonatistica italiana, il percorso armonico è invariato, salvo il
fatto che nella fase di ritorno alla tonalità d’impianto la seconda sezione tocca anche alcune
tonalità intermedie e la tonalità di arrivo delle due sezioni è riservato uno spazio più ampio. Ciò
consente lo svilupparsi di alcuni elementi tematici distinti da quelli principale con funzione
cadenzante o di coda. Una versione ancora più sviluppata mostra l’inserimento di un materiale
musicale secondario nell’area tonale dominantica, nonché l’inserimento di una zona di transizione
nel percorso verso la dominante. Si giunge poi alla forma-sonata abbreviata: si registra una
ulteriore espansione delle due parti: le funzioni primarie possono essere eventualmente assolte da
più elementi tematici. La prima sezione della forma-sonata prende il nome di esposizione; all’inizio
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della seconda viene inserita una zona modulante, basata sull’elaborazione, definita sviluppo. Dopo
di che, nella forma-sonata abbreviata viene ripreso nella tonalità d’impianto il solo materiale
precedentemente esposto alla dominante (ripresa). Il primo tempo di sonata è dunque costituito da
funzioni differenziate: stabilire la tonalità d’impianto; sottolineare la modulazione alla tonalità
successiva; enfatizzare la zona tonale secondaria; stabilire la tonalità secondaria come punto
d’arrivo; attendere il ritorno alla tonalità d’impianto.
Analizzando una sonata di Haydn, si possono individuare una serie di caratteri stilistici tipici dello
stile galante: rispetto alla media delle composizioni barocche, è immediato il riscontro di una
varietà assai maggiori del vocabolario ritmico, con terzine di sedicesimo, sincopi e figurazioni
puntate e trilli che ornamentano la linea melodica → fattori di contrasto ritmici, armonici, melodici;
articolazione in brevi unità fraseologiche. Si nota un’attiva cooperazione e coordinazione di tutte le
componenti musicali alla definizione del disegno formale complessivo e alla determinazione delle
spinte dinamiche attive nella musica.
Il genere della sinfonia ebbe nel corso del Settecento un impetuoso sviluppo, parallelo a quello
della sonata; i prodromi del genere sembrano essere individuabili proprio nella sinfonia d’apertura
premessa alle opere teatrali. A partire dal modello scarlattina composto da tre tempi, gli operisti
che si susseguirono nel XVIII secolo continuarono a sperimentare nuove tipologie formali. Intanto
la sinfonia cominciava ad essere praticata in Italia anche come genere a sé stante, sia come
sinfonia isolata dall’eventuale opera di appartenenza. Dal 1750 Vienna divenne una delle capitali
europee della musica; la forma-sonata abbreviata iniziò a modificarsi: all’Allegro è a volte
premessa un’introduzione lenta; nella ripresa ricompare alla tonica tutto il materiale tematico
presente nell’esposizione, incluso quello principale; al termine del movimento le cadenze
conclusive si espandono al punto di costituire spesso una vera ulteriore sezione proposta alla
ripresa → forma-sonata. Mostra chiara l’incidenza della forma col “da capo” italiana, perché vi si
riprende integralmente il materiale dell’esposizione dopo la zona contrastante dello sviluppo.
Lo schema della forma-sonata si trova perfettamente realizzato in uno dei lavori più noti e
rappresentativi di Haydn, la Sinfonia degli Addii. Haydn la compose durante un soggiorno
prolungato del principe Nikolaus ad Esterhaza, dove si diffuse un malcontento perché solo a pochi
privilegiati era consentito avere con sé la famiglia. Haydn se ne fece interprete componendo una
sinfonia con uncinale supplementare: man mano che le rispettive parti si esaurivano, gli orchestrali
dovevano spegnere ciascuno la candela che illuminava il proprio leggio, prendere parte e
strumento e uscire dalla sala. Il movimento “degli Addii” è proprio quello dove si scarica tutta la
tensione accumulata; la sinfonia dunque dimostra la raggiunta capacità nelle composizioni del
Classicismo di stabilire relazioni di tensione anche a lunghissima gittata.
Haydn imposta anche gli altri generi dello stile classico: concerto solistico, sonata per strumento
solo, sinfonia, quartetto d’archi (espressione dell’equilibrio tra le parti e scambio dialogico tra figure
di rango omogeneo).

WOLFANG AMADEUS MOZART


(Salisburgo 1756-1791)

Nonostante la breve vita (35 anni), Mozart riuscì a produrre un’incredibile quantità di composizioni
di tutti i generi musicali diffusi nella sua epoca → “il compositore più universale nella storia della
musica occidentale”. Mozart è un compositore di sintesi, com Bach.
Il padre Leopold si rese subito conto che il piccolo aveva un talento fuori dal comune; iniziarono
all’età di sei anni numerosissimi viaggi, che lo misero in contatto con tutte le realtà musicali
europee, con cui il padre voleva farlo conoscere. Dopo i viaggi a Monaco e alla corte di Vienna,
che gli offrirono i primi contatti con l’opera italiana e la produzione “galante” di Wagenseil, nel 1763
fu la volta di un punto tour europeo con la famiglia attraverso la Germania, Parigi, Londra, Olanda,
Svizzera; fece la sua prima conoscenza della famosissima orchestra di Mannheim e a Londra
ebbe modo di frequentare Johann Christian Bach e di appropriarsi dello stile galante. Anche il lato
più oscuro ed empfindsamer dello stile galante fu da lui assorbito immediatamente, avendo avuto
contatti a Parigi con la musica di Johann Schobert. Quattro anni durò la prima fase della sua
esperienza internazionale.

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Il periodo tra il 1766 e il 1769 fu più ancorato a Salisburgo, con una parentesi a Vienna, dove
avrebbe dovuto far rappresentare nel ’68 la sua prima opera buffa, La finta semplice, mentre
venne invece rappresentato il suo primo Singspiel, Bastien und Bastienne. Nel 1769 la direzione
cui puntava Leopold fu il sud, verso la patria dell’opera e della polifonia sacra → i Mozart partirono
per l’Italia: a Milano conobbe il sinfonismo dell’anziano Sammartini e l’opera di Niccolò Piccinini; a
Bologna il magistero contrappuntistico di padre Giovanni Battista Martini; a Firenze il virtuosismo
violinistico del livornese Pietro Nardini; a Roma la grande tradizione polifonica della cappella
Sistina; a Napoli e in altre città l’opera seria e buffa tanto di Jommelli quanto di Paisiello e altri. Ma
Leopold voleva ben altro per il figlio: un posto stabile presso una corte importante. Il piccolo Mozart
era però considerato solo una curiosa attrazione e le attività musicale “alte” dei palazzi gentilizi lo
ignorarono quasi del tutto. Con la chiusura del periodo italiano si fa terminare il decennio di
formazione di Mozart (1763-73).
Si apre dunque la prima fase della sua maturità, che terminerà nel 1781 con il suo trasferimento a
Vienna. Già nei suoi primi lavori si nota la messa in pratica delle sue precoci esperienze e di tutto
ciò che ha assimilato. Nel 1773 conobbe alcuni lavori di Haydn e il suo stile classico si rivelò la
strada maestra da percorrere: una struttura formale solida e autosufficiente che permettesse alla
musica di trovare in se stessa, nell’elaborazione dei suoi temi, la propria forza. Ma era tempo di
viaggiare ancora: fallito il tentativo di ottenere un impiego alla corte di Vienna, si recò a Monaco
per l’esecuzione della sua opera buffa La finta giardiniera (1775) rientrando poi a Salisburgo. Nel
1777-78, attraversando Monaco e Mannheim, tornò a Parigi. Il suo ritorno a Mannheim lo riempì di
stimoli nuovi, come il tentativo di impiantare un’opera nazionale in tedesco e la tecnica per lui
nuova del melologo. Il secondo periodo parigini fu però costellato da eventi negativi: ormai Mozart
era un giovane straniero a cui era necessaria una dura lotta per poter ottenere un minimo di
attenzione e considerazione; tutto era aggravato dalla morte della madre e dalla scoperta del
tradimento della sua ex compagna. Così, quando Leopold gli scrisse che a Salisburgo lo aspettava
un ampliamento delle funzioni di Konzetmeister come organista del duomo, Mozart tornò in patria
all’inizio del 1779. Dove trovarono pieno compimento gli spunti raccolti a Mannheim e Parigi fu
nell’opera Idomeneo, re di Creta, opera seria italiana ma fortemente apparentata tanto con la
tragedie lyrique quanto con le opere “riformate” di Gluck (nota però che se Gluck considerava la
musica al servizio del testo, Mozart aveva l’opinione esattamente contraria). Il successo
dell’Idomeneo fu una delle cause della radicale svolta che si verificò nella vita di Mozart in
quell’anno. Nel ’72 era stato incoronato principe-arcivescovo il conte Colloredo, molto più rigido ed
esigente; quando si recò a Vienna e volle poi rientrare a Salisburgo, il suo Konzertmeister Mozart
si rifiutò di obbedire all’ordine e venne licenziato in modo umiliante dal gran maestro di cucina. Dal
maggio 1781 si apre l’ultimo decennio della vita di Mozart: dal punto di vista artistico fu costellato
dai suoi maggiori capolavori, dal punto di vista professionale esso percorse un tracciato a
parabola, ascendente fino al ’86, discendente da quell’anno fino alla morte.
L’accusa alla musica di Mozart di essere troppo difficile, troppo elaborata negli accompagnamenti,
troppo “piena di note” si fece di anno in anno più pressante.
Mozart venne a diretta conoscenza delle composizioni di Bach e di Handel ma il contatto più
prezioso lo ebbe con Haydn, che gli concesse la sua amicizia e la sua stima. Accolse l’esempio di
Haydn riguardo alla forma-sonata e alla volontà di trarre tutte le conseguenze possibili da un dato
materiale musicale.
L’opera buffa Le nozze di Figaro (1786), su libretto di Lorenzo da Ponte, ottenne inizialmente un
buon successo, che tuttavia andò man mano spegnendosi: alla musica “troppo complicata” di
Mozart la corte preferiva quella di autori italiani come Paisiello, Sarti. Sulla scia della trionfale
accoglienza del Don Giovanni (Praga 1787, anch’esso su libretto di da Ponte), Mozart fu nominato
“compositore di corte”, poiché Gluck era appena morto: ma questo era solo un titolo onorifico che
non gli fruttò nient’altro che commissioni per musiche di danza. Il buon successo dell’opera buffa
Così fan tutte (1790, la terza di libretto di da Ponte) fu però funestato dalla morte dell’imperatore
Giuseppe II, che fece interrompere le rappresentazioni. Gli fu commissionata un’opera seria su
testo del Metastasio, la Clemenza di Tito, eseguita a Praga nel 1791.
Da ricordare di Mozart è il Requiem in re minore K626, commissionatogli da uno sconosciuto che
volle restare anonimo e che venne scoperto essere un conte che avrebbe voluto contrabbandare
la composizione come propria, scritta in onore della moglie defunta. Accanto al tormentato e

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incompiuto Requiem, Mozart produsse negli ultimi mesi anche il Singspiel Die Zauberflote (Il flauto
magico, 1791), inteso come una metafora del cammino iniziatico alla massoneria.
La causa della morte, avvenuta il 5 dicembre 1791, è probabilmente da attribuire a “febbre
infiammatoria reumatica”; secondo l’uso viennese dell’epoca per le persone non ricche, il suo
corpo fu sepolto in una fossa comune.

Osservando una sinfonia come la Sinfonia n.25 in sol minore, cosa cambia rispetto allo stile di
Bach? Mozart usa un contrappunto molto più semplice, non è questo l’elemento su cui si fonda il
tutto. E’ diviso in sezioni con durata regolare, vi sono frasi raggruppate e distinte per archi
cadenzali. Vi sono caratterizzazioni timbriche e sonore che segnano le sezioni. Elemento chiave è
dunque la regolarità → andamento unitario, unico piano tematico, armonia più stabile e ritmo
armonico più semplice.

Punti di riferimento per Mozart sono dunque: Gluck, lo stile galante dei Bach (purezza della linea
tematica), l’orchestra di Mannheim, Haydn, la scuola napoletana, J.S.Bach (contrappunto raffinato
come si nota nei quartetti e nella musica sacra).

Il Don Giovanni → nel 1787, sull’onda del clamoroso successo arrivo a Praga a Nozze di Figaro,
il direttore di una compagnia viaggiante di opera italiana affidò a Mozart l’incarico di comporre una
nuova opera → questa fu Il dissoluto punito, o sia il Don Giovanni, che rappresenta un punto di
sintesi tra tecniche compositive delle forme strumentali e quelle del teatro; punto di sintesi tra
l’opera seria e l’opera buffa. Sembra essere stato lo stesso Da Ponte a proporre a Mozart il
soggetto della nuova opera. Gli argomenti di base del Don Giovanni, quello dell’uomo dedito senza
freno a soddisfare i sensi e quello del defunto che torna dall’aldilà a vendicare l’onta subita, erano
già frequenti dalla letteratura popolare almeno dal medioevo. Il primo precedente diretto del libretto
di Da Ponte si fa solitamente risalire a El Burlador de Sevilla, y combinato de pietra (1630)
attribuito al drammaturgo spagnolo Tirso de Molina. Ma il libretto cui Da Ponte attinse a piene mani
fu quello del Convitato di pietra di Giuseppe Bertati. Fu forse proprio il successo arriso a
quest’opera determinare in Da Ponte e Mozart l’idea di servirsi del medesimo soggetto. Sta di fatto
che Da Ponte attinse dal lavoro di Bertati non solo i personaggi e le grandi linee d’azione, ma
anche intere frasi (nota che Da Ponte si era già rivelato eccellente rielaboratore nel caso delle
Nozze, tratte da Le mariage de Figaro di Baumarchais. Al contrario, si considera meno riuscito il
libretto, interamente originale, di Così fan tutte); il suo merito fu soprattutto quello di adattare la
vicenda alle esigenze di Mozart.

Trama:
Atto I - Dopo l’Ouverture (composta nello stile di Gluck, non in forma di sinfonia italiana, con forma
bipartita e temi dal resto della composizione), il sipario si apre e in scena compare il servo di Don
Giovanni, Leporello, che fa la guardia per il padrone al di fuori di una casa. E’ la dimora di Donna
Anna, che Don Giovanni vuole sedurre; ma ella resiste e cerca di impedire la fuga dell’uomo per
smascherarlo. Giunge anche il Commendatore, padre di Donna Anna, che sfida Don Giovanni a
duello. Il Commendatore è ucciso; Don Giovanni e Leporello fuggono e in scena giungono Donna
Anna con il fidanzato Don Ottavio, che giura di vendicare la morte del Commendatore. I fuggiaschi
si abbattono in Donna Elvira, vecchia conquista di Don Giovanni, e costui la lascia con il servo che
le fa il catalogo delle donne sedotte dal padrone. Subito dopo Don Giovanni e Leporello si
imbattono nella festa per il matrimonio di due contadini; intenzionato a sedurre la fresca sposina,
Don Giovanni fa allontanare con una scusa il marito Masetto in compagnia di Leporello con tutti gli
altri paesani e, rimasto solo con la giovane Zerlina, la invita a seguirlo e le promette di sposarla.
Proprio quando Zerlina sta per cedere alle promesse di Don Giovanni, sopraggiunge Donna Elvira
che la avvisa delle cattive intenzioni del malvagio libertino e la porta via con sé mentre arrivano
Donna Anna e Don Ottavio, venuti a chiedere a Don Giovanni aiuto per rintracciare l'ignoto
assassino del Commendatore, senza sapere che sia stato proprio lui. Donna Elvira arriva di nuovo
e dice di non credere a Don Giovanni, ma questi la accusa di essere pazza. Donna Anna e Don
Ottavio rimangono soli: Donna Anna ha riconosciuto dalla voce di Don Giovanni l'uccisore del
padre, ricorda al fidanzato la sua promessa e poi parte. Rimasto solo, Don Ottavio rimane stupito
dalle parole di Donna Anna, ma prima di arrestare Don Giovanni, decide di andarla a consolare.
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Don Giovanni, per sedurre Zerlina, ordina a Leporello di organizzare una grande festa in onore del
matrimonio. Partiti, Zerlina cerca di farsi perdonare da Masetto ma nel frattempo arriva Don
Giovanni che li invita al ballo insieme agli altri paesani. Prima della festa, Donna Anna, Don Ottavio
e Donna Elvira vogliono andare mascherati al matrimonio che Don Giovanni ha organizzato, per
arrestarlo. Il donnaiolo ordina a Leporello di invitarli, senza sapere le loro intenzioni. Arrivano
contadini e contadine in festa che iniziano a scherzare e ballare. Il cavaliere balla con Zerlina e la
conduce in disparte per farla sua, mentre Leporello intrattiene ancora Masetto. Ma la giovane grida
fuori scena e tutti vengono in suo soccorso. Don Giovanni dapprima cerca di accusare della
tentata violenza l'innocente Leporello, ma Donna Elvira, Donna Anna e Don Ottavio, gettate le
maschere, lo accusano apertamente e cercano di arrestarlo insieme a Masetto, Zerlina e agli altri
paesani. Don Giovanni e Leporello, però, riescono a fuggire.
Atto II - La Sera, di fronte alla casa di Donna Elvira, Don Giovanni e Leporello discutono
animatamente. Inizialmente quest'ultimo, dopo le accuse rivoltegli ingiustamente, vorrebbe
prendere le distanze dal suo padrone, ma questi, offrendogli del denaro, lo convince a tornare al
suo servizio attuando una nuova impresa: scambiare con lui gli abiti in modo tale che mentre il
servo distrae Elvira, egli possa corteggiare impunemente la sua cameriera. Donna Elvira,
affacciatasi alla finestra, cade nel tranello e si illude che Don Giovanni si sia pentito. Dopo che
Donna Elvira e Leporello travestito si sono allontanati, Don Giovanni intona una serenata sotto la
finestra della cameriera. Sopraggiunge Masetto in compagnia di contadini e contadine armati in
cerca del nobile per ucciderlo. Protetto dal suo travestimento, Don Giovanni riesce a far
allontanare tutti gli altri tranne Masetto; Don Giovanni lo prende a botte e si allontana. Zerlina, di lì
passante, soccorre il marito che quando le rivela l'accaduto, decide insieme a questi di catturare
non solo Don Giovanni ma anche il suo sfortunato complice dato che Masetto crede di esser stato
picchiato da lui. Nel frattempo, Leporello travestito non sa più come comportarsi con Donna Elvira:
trovata un'uscita, decide di tagliare la corda, ma è bloccato dall'arrivo di Donna Anna, Don Ottavio,
Zerlina e Masetto accompagnati da servi, contadini e contadine, che credendolo Don Giovanni, si
fanno avanti per catturarlo e ucciderlo, non prima che però il poveretto riveli la sua vera identità. Le
cose comunque non cambiano, Zerlina lo accusa di aver picchiato Masetto, Donna Elvira di averla
ingannata e Don Ottavio e Donna Anna di tradimento, quindi lo vogliono uccidere ugualmente. Il
servo spiega a Masetto e a Zerlina di non sapere nulla, dato che è da un'ora che gira con Donna
Elvira e spiega a Donna Anna e a Don Ottavio che non ha colpa di tradimento verso di loro, poi
fugge. Don Ottavio è sempre più deciso ad assicurare Don Giovanni alla giustizia e parte per
vendicare gli amici. Mentre Masetto cerca Don Giovanni, Zerlina raggiunge Leporello e cerca di
eliminarlo perché non crede alle sue parole, ma con l'inganno Leporello riesce a fuggire
nuovamente. Zerlina, insieme a Donna Elvira, cerca di inseguirlo ma sopraggiunge Masetto che
spiega che Leporello è innocente perché ha visto Don Giovanni con gli abiti del servo, poi partono.
Donna Elvira, rimasta da sola, dà sfogo a tutta la sua amarezza e rabbia ai suoi sentimenti
contrastanti, divisi fra l'amore per Don Giovanni e il desiderio di vendetta nei suoi confronti. È notte
fonda, verso le due. Don Giovanni si è rifugiato nel cimitero e attende Leporello. Questi arriva e
racconta al padrone ciò che gli è capitato dicendo che avrebbe fatto meglio ad andarsene invece di
accettare la sua offerta di soldi. All’improvviso si ode una voce minacciosa: «Di rider finirai pria
dell'aurora». Stupiti, si guardano intorno per vedere di chi fosse quella voce tenebrosa, ma la si
sente ancora dicendo «Ribaldo, audace, lascia ai morti la pace». È la statua funebre del
Commendatore a parlare. Leporello è tremante nascosto sotto una panchina, ma Don Giovanni
non ne è per nulla intimorito, anzi, ordina beffardo a Leporello, terrorizzato, di invitarla a cena: la
statua accetta rispondendo terribilmente “Sì". Palazzo del Commendatore, notte. Don Ottavio
chiede a Donna Anna se si sia decisa a sposarlo. Donna Anna dice che lo ama moltissimo ma è
troppo addolorata per la perdita del padre, quindi dichiara che potrà sposarlo solo quando il
colpevole di questo atroce delitto (Don Giovanni) sarà arrestato. Don Ottavio non può fare a meno
di darle ragione: lui e i suoi amici vendicheranno il Commendatore, ma nessuno di loro sa che Don
Giovanni lo ha invitato a cena nel suo palazzo. Nel palazzo di Don Giovanni, tutto è pronto per la
cena e Don Giovanni si siede a mangiare. Il licenzioso cavaliere si intrattiene ascoltando brani
delle opere: vi è una spiritosa autocitazione, Le nozze di Figaro, l'aria di Figaro Non più andrai
farfallone amoroso dello stesso Mozart. Giunge all'improvviso Donna Elvira, che implora ancora
una volta a Don Giovanni di pentirsi, ma questi si prende gioco di lei e la caccia via. La donna esce
di scena, ma la si sente gridare terrorizzata. Don Giovanni ordina a Leporello di andare a vedere
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cosa stia accadendo là fuori e si sente un altro grido e questa volta è Leporello a tornare
pallidissimo e tremante: alla porta c'è la statua del Commendatore. Dato che il servo è troppo
spaventato, lo stesso Don Giovanni, allora, si reca ad accoglierla a testa alta mentre il servo si
nasconde sotto al tavolo. Entra quindi la statua del Commendatore, vedendo Don Giovanni stupito
e Leporello tremante che cerca di convincere il padrone a scappare, malgrado egli rifiuti. Il
"convitato di pietra" vuole ricambiare l'invito, e propone a Don Giovanni di recarsi a cena da lui,
porgendogli la mano. Impavido e spericolato, Don Giovanni accetta e stringe la mano della statua:
pur prigioniero di quella morsa letale, rifiuta fino all'ultimo di pentirsi. Il Commendatore, molto
arrabbiato, scompare in mezzo a nubi di foschia, improvvisamente compare fuoco da diverse parti
e si sente un gran terremoto; sono demoni e diavoli che stanno richiamando il libertino all'inferno.
Egli cerca di sfuggire al suo destino ma il potere dei mostri è troppo forte e Don Giovanni viene
inghiottito dalle fiamme dell'inferno. Giungono gli altri personaggi con servi, contadini e contadine
pronti ad arrestarlo. Leporello riferisce l'orribile scena appena accaduta. Dato che il Cielo ha punito
l'incorreggibile libertino, Don Ottavio chiede a Donna Anna se questa volta ella sia disposta a
sposarlo ma il suo cuore si deve ancora sfogare, Masetto e Zerlina vanno a cena insieme ai loro
amici, Donna Elvira, poiché l'unico uomo che ha amato, Don Giovanni, è morto, decide di ritirarsi in
convento e Leporello va a cercare un padrone migliore. Il sipario si chiude infine sui personaggi
che dopo aver cantato il concertato finale si allontanano in direzioni diverse.

Già le convenzioni attive nell’opera buffa consentivano di affiancare ai personaggi propriamente


comici, di bassa estrazione sociale, quelli seri, solitamente aristocratici. Nel Don Giovanni questi
ultimi sono tre (il Commendatore, Donna Anna, Don Ottavio) e tre quelli popolari (Leporello,
Zerlina, Masetto). Mediano tra i due livelli Don Giovanni e Donna Elvira, nobili anch’essi, pur
assumendo un contegno non sempre consono al loro rango: l’uno ignorando qualunque remora
morale, l’altra incappando suo malgrado in situazioni dai risvolti comici. L’ambivalenza seria/buffa
dell’opera nasceva semmai dal fatto che il lieto fino, dal punto di vista degli altri personaggi, qui è
costituito proprio dalla morte del protagonista; mentre al punto di vista di quello l’azione ha un
finale tragico. Nella successione delle ultime scene del secondo atto è dunque possibile ravvisare
una sorta di doppio finale: la cena, l’arrivo della statua e la morte di Don Giovanni costituisce il
finale tragico e chiude in re minore; l’ultima scena costituisce il finale buffo, quello in cui tutti i
personaggi accorrono in scena e festeggiano la fine del libertino, che chiude l’opera in re
maggiore. Il pubblico dell’epoca sin dalla prima scena non poteva nutrire alcun dubbio sulla
commistione stilistica serio/buffo operato da Mozart e Da Ponte: basti pensare che dopo
l’introduzione “Notte e giorno faticar” di Leporello, comica, compare in scena addirittura un duello
con tanto di uccisione, spettacolo vietato dalle consuetudini drammaturgie metastasiane, secondo
le quali la morte doveva avvenire fuori dal palcoscenico.
Gli snodi cruciali della vicenda sono costituiti dai due incontri di Don Giovanni con il
Commendatore, nella prima e nella penultima scena. Ciò che accade nel mezzo non è essenziale
alla trama, ma ha la funzione di disegnare agli occhi del pubblico il personaggio del protagonista e
così motivarne la tragica fine. Grazie alla tonalità è possibile riconoscere il significato di “segnali”
drammaturgici.
Nel corso del XVIII secolo in Europa le diverse occasioni offerte alla produzione e al consumo della
musica diedero luogo al cristallizzarsi di una serie di tipologie musicali caratteristiche. Vi erano
alcune danze tipiche dell’alta società ed altre ritenute meno blasonate; vi erano alcuni stili musicali
fortemente connotati: lo stile della “caccia”, lo stile “cantabile” o di aria, lo stile brillante, lo stile
dell’ouverture francese, lo stile della musette, lo stile Sturm und Drang, lo stile della “sensibilità”, lo
“stile-fantasia”, lo “stile-ombra”, lo “stile-osservato”. Con l’approssimassi del periodo classico,
all’interno di una singola composizione, poteva registrarsi l’avvicendamento di più tòpoi differenti.
Nella prima scena dell’opera gli eventi si susseguono a un ritmo mozzafiato e tutto si svolge in
scena con totale esclusione di recitativi → Mozart riesce ormai attraverso la musica ad esprimere
compiutamente un’azione drammatica. Nel Don Giovanni trova una realizzazione ideale il principio
gluckiano secondo cui l’Ouverture deve preparare il pubblico al clima dell’azione drammatica. Il
pezzo è bipartito, secondo il modello dell’ouverture francese: da un lato, la netta bipartizione
corrisponde alla doppia natura del Don Giovanni in quanto partecipe sia dei caratteri dell’opera
seria sia di quella buffa; dall’altro, vi si presentano le due forse archetipiche dalla cui
contrapposizione scaturisce l’azione: da un lato la dimensione ultraterrena, cui sono connesse le
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nozioni di morale, giudizio; dall’altro il vitalismo, l’edonismo sfrenato del protagonista, quasi
un’emblema della fisicità della condizione umana. Ciascuna delle due parti dell’Ouverture esprime
uno di questi due principi contrapposti. La prima è in stile-ombra: gli oscuri contrasti e la tensione
che la contraddistinguono sono evidenti sin dalle prime misure. A due possenti accordi di tutta
l’orchestra in dinamica f (accordi di tonica e dominante di re minore) segue una misteriosa
successione accordale su un basso cromatico discendente su cui si dispiega una severa linea
melodica a valori lunghi. E’ qui anticipata la musica che nella scena della cena accompagnerà
l’ingresso della statua del Commendatore. La seconda parte dell’Ouverture ci trasporta sul
versante opposto: è in forma sonata e il tema principale è emblema di dinamismo e vitalità, come
denota l’accelerazione ritmica che vi è impressa in poche misure. L’Ouverture sfocia
nell’introduzione, la celebre aria “Notte e giorno faticar” di Leporello. Il tono della musica è
decisamente buffo; la breve introduzione strumentale all’aria ci mostra il servo nell’atto di marciare
senza entusiasmo su e giù davanti alla porte, come una “sentinella”. Il topos musicale è quello di
una rozza marcia di fanteria. Nella seconda frase del testo Leporello rivela la sua ambizione:
prendere il posto del suo padrone. Chiusa anche questa sezione, Leporello inizia un immaginario
dialogo col padrone. Molto del contenuto espressivo osservato nell’aria di Leporello è affidato
all’orchestra; i compiti affidati agli strumenti travalicano i limiti del semplice accompagnamento per
assurgere al ruolo di componente insostituibile della dinamica drammaturgica.
Al termine dell’aria di Leporello l’attenzione si sposta dal servo alla coppia Don Giovanni/Donna
Anna che irrompe sulla scena; la musica prende un piglio da opera seria con un’ulteriore variante
“eroica” sul ritmo di marcia. Segue l’ingresso del Commendatore e il duello.

Una delle più geniali innovazioni introdotte dalla coppia di Da Ponte/Mozart nel Don Giovanni
riguarda la definizione del carattere del protagonista. All’epoca i contorni psicologici dei personaggi
principali si definivano attraverso l’insieme delle arie che ciascuno di essi eseguiva; al protagonista
qui non ne sono affidate che due sole. La personalità di Don Giovanni assume gradualmente nel
corso dell’azione un rilievo assoluto, delineandosi soprattutto per contrasto, specie nei pezzi
d’insieme e grazie ai dialoghi degli altri personaggi che parlano quasi sempre di lui.

LUDWIG VAN BEETHOVEN


(Bonn 1770-Vienna 1827)

Beethoven è “probabilmente il più ammirato compositore nella storia della musica occidentale”,
tant’è che proprio dalla sua Nona sinfonia è stata tratta la musica per l’inno dell’Unione Europea,
l’Ode alla gioia.
Beethoven nacque a Bonn nel 1770; anche suo padre, come quello di Mozart, volle sfruttare il
precocissimo talento del figlio anche se Leopold era un eccellente compositore e violinista mentre
il padre di Beethoven era una musicista mediocre e per di più alcolizzato e violento. La sua
istruzione musicale iniziò sotto la guida del padre e di altri musicisti della cappella di Bonn e fu
indirizzata ad una formazione come strumentista; i suoi primi impieghi lavorativi lo videro per
l’appunto come organista nella cappella di corte e poi come violista nel teatro di corte. Nel
frattempo, però, egli era passato a studiare composizione, pianoforte e basso continuo con
Christian Gottlob Neefe, buon compositore di Singspiele, seguace dello stile della sensibilità di
Carl Philipp Emanuel Bach e ottimo didatta.
Si distinguono 3 fasi compositive di Beethoven:
1. assimilazione dello stile classico
2. (dal 1802) stile molto più introspettivo e complesso → titanismo
3. opere più intellettuali, ripresa del contrappunto, elementi tematici più astratti, elaborazione
tematica.
Ben presto Beethoven iniziò a farsi notare e le strade che gli si aprivano erano molteplici:
1. Beethoven poteva decidere di entrare nel grande circuito internazionale dell’opera italiana, con
cui venne a contatto grazie alle lezioni con Antonio Salieri;
2. poteva anche accostarsi al mondo dell’opera francese, dominata in quegli anni da Luigi
Cherubini, dalla cui opere Beethoven ha tratto molti spunti in fatto di orchestrazione e di
condotta melodica. Il fiorentino Luigi Cherubini (1760-1842) studiò contrappunto e si spostò a
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Parigi, dove diresse molte opere italiane, per poi scrivere numerose marce per la rivoluzione.
La sua attività da operista toccò l’apice con un’opera lontana dalla tenera e brillante contabilità
italiana. Ma Beethoven non fece affatto l’operista: la sua unica opera - propriamente un
Singspiel in tedesco - fu il Fidelio. Questo alterna teatro parlato in prosa a parti strumentale. Il
Singspiel contiene l’idea del magico con trame rivoluzionarie, ma il Fidelio no → si trattava di
una pièce à sauvetage, cioè di un dramma avventuroso che si concludeva con un “lieto fine”, a
seguito di un provvidenziale salvataggio “all’ultimo momento” del tutto imprevisto. Schema: due
personaggi, di cui uno deve salvare l’altro e riesce all’ultimo momento; legato alla rivolta contro
un potere politico (idee della rivoluzione francese).
3. D’altro canto da promettente pianista poteva dedicarsi alla grande carriera concertistica; la sua
meta allora avrebbe dovuto essere Londra, non Vienna. Intorno a Londra gravitavano infatti i
maggiori pianisti dell’epoca, primo fra tutti Muzio Clementi (1752-1832), che si formò proprio
nella capitale inglese e divenne un acclamato pianista e successivamente un uomo d’affari.
Nella sua musica si nota un denso lavorio di contrappunto e la ricerca di un tecnicismo potente
ed impegnativo.
4. Beethoven avrebbe potuto, da buon tedesco, divenire un insigne contrappuntista.
5. Il sovrano di Bonn si convinse a finanziare un soggiorno a Vienna per il giovane musicista,
affinché si perfezionasse nella capitale imperiale → andare a Vienna significava raccogliere
l’eredità di Mozart e di Haydn e seguire dunque la strada dello stile poi definito “classico”.

La strada che Beethoven scelse di percorrere è l’ultima dell’elenco, la 5. Il suo metodo di lavoro
compositivo iniziò a privilegiare sempre più la fase preparatoria, compilando veri e propri quaderni
di abbozzi. Nel periodo 1801-2 egli dovette però arrendersi ad una terribile evidenza: la sordità
stava diventando incurabile. Nell’estate 1802 Beethoven passò il periodo più difficile, di cui è
rimasta una testimonianza nel “testamento di Heiligenstadt” (dal nome di un villaggio vicino a
Vienna dove soggiornava): una lettera indirizzata ai suoi fratelli (mai spedita) nella quale rivela di
essere stato più volte sul punto di suicidarsi, trattenuto solo dal suo amore per la musica. Nulla di
ciò appare nelle sue opere. Nello stesso anno 1802 Beethoven dichiarò di aver imboccato una
“nuova via” compositiva, una “maniera interamente nuova”. Secondo il musicologo Carl Dahlhaus, i
lavori con i quali Beethoven intraprese questa “nuova via” pongono una figa quasi insolubile a chi li
voglia esaminare (Es. Terza Sinfonia “Eroica”); manca un vero e proprio tema principale quindi non
rispettano la forma-sonata. Importante era per Beethoven il proprio progetto competitivo, non tanto
la sua realizzazione pratica; vi sono quindi opere simboliche che vogliono lanciare un messaggio
morale all’umanità: dalla sofferenza di può giungere alla gioia, sia pure a prezzo di una durissima
lotta. Ecco allora composizioni, molte corredate di un pittoresco titolo dagli editori, come le sinfonie
dalla Terza all’Ottava (Terza “Eroica”, Quinta in do minore, Sesta “Pastorale” in fa maggiore), le
ouvertures orchestrali ai drammi Coriolano e Egmont, l’opera Fidelio e altre. La volontà
comunicativa delle opere di Beethoven è stata definita “essoterismo” e si nota ancor più nella
contrapposizione dei due gruppi tematici, che si collocano su temperature emotive estremamente
distanziate l’una con l’altra. Nel frattempo, nella vita di Beethoven e in quella europea in generale
erano accadute molte cose. Napoleone invadeva l’Europa e giunse a Vienna; il fratello di
Napoleone gli aveva offerto il posto di maestro di cappella a Kassel e allora i tre più altolocati
protettori di Beethoven - l’arciduca Rodolfo, il principe Lobkowitz e il principe Kinsky) decisero di
garantire una rendita al compositore affinché rimanesse a Vienna. Stava mutando la
considerazione dell’artista in quanto tale: non più un fornitore di servizi, ma un uomo che, creando
opere del più alto livello estetico, poteva elevarsi ad una somma dignità intellettuale.
Dopo le composizioni del suo periodo “eroico”, che si concentrano nel periodo 1803-1808, intorno
al 1810 apparirono musiche di stampo ben diverso, con una più estesa contabilità, che rifugge ad
ogni eccessiva elaborazione tematica. Più intimistica si fa anche la destinazione, prevalentemente
cameristica e non sinfonica.
Si giunge poi al terzo periodo (1816-27) della produzione di Beethoven; ormai la sordità lo aveva
totalmente accerchiato ma proseguì una propria ricerca personale, sempre teso al superamento di
ciò che aveva già conquistato- La forma-sonata non fu più il suo principale orizzonte di riferimento:
Beethoven si volse al passato, andando a riscoprire forme più antiche quali la fuga e la variazione,
mescolandole tra loro. Ma una pregnanza lirica pervade tutta la sostanza sonora del “terzo stile”; la
sua meditazione solitaria lo condusse a trascurare l’ormai abusato rapporto di tensione tra le vaste
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aree tonali di tonica e dominante, esplorando aree più morbide; parallelamente la sua
sperimentazione armonica generò nuove coagulazioni dissonanti nonché modulazioni sorprendenti
e audaci.
Nei suoi ultimi anni Beethoven mise un punto fermo a tutti i principale generi della sua epoca;
compose la sua Nona e ultima sinfonia, che vide la luce nel 1824 dopo un lavoro di dieci anni.
Nell’ultimo movimento avviene qualcosa di inaspettato: violoncelli e contrabbassi sembrano
chiedere qualcosa all’orchestra, che risponde riproponendo i tempi dei primi tre movimenti finché
non propone una melodia di carattere popolareggiante e di chiara ascendenza dagli inni patriottici
della rivoluzione francese. E finalmente entra la foce umana con l’Ode alla gioia. In tal modo il
messaggio di Beethoven diviene esplicito: il testo di Shiller dice che si può raggiungere la vera
gioia solo se gli uomini si rendono conto di essere fratelli e si amano gli uni gli altri.
Per i contemporanei la musica di Beethoven era troppo complessa, da ascoltare e da eseguire; il
mondo correva appresso a Rossini, il nuovo astro che solcava da trionfatore il cielo del primo
Ottocento. Anche per i moderni vi sono problemi interpretativi: da un lato si percepisce un
desiderio di libertà formale ma dall’altro si nota una scrittura contrappuntistica rigorosa che segna
una forte severità.
Beethoven morì a Vienna nel marzo 1827 e al funerale parteciparono circa ventimila persone.

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