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CAPITOLO I

PRINCIPÎ ESSENZIALI DELLA SCUOLA AUSTRIACA

Con questo capitolo si intende offrire una visione panoramica degli elementi essenziali che contraddistinguono la Scuola
Austriaca e che possono aiutare a comprendere l’evoluzione del suo pensiero. Tali caratteristiche, così come le differenze
essenziali esistenti fra la Scuola Austriaca ed il paradigma neoclassico dominante, sono presentate in modo chiaro e semplice nella
seguente tabella.
In questo modo, con molta semplicità verranno messi in evidenza gli elementi di contrapposizione e sarà così possibile farsi
una prima idea di entrambi i punti di vista, che di seguito verranno esaminati analiticamente.

TABELLA n. 1

PUNTI DI CONFRONTO Modello austriaco Modello neoclassico


1. CONCETTO DI CIÒ CHE CONCERNE L'ECON Teoria dell'azione umana intesa come un processo dinamico Teoria della decisione: massimizzazione sottomessa a restrizioni
(PRINCIPIO ESSENZIALE): (prasseologia). (concetto di “razionalità” in senso stretto).
2. PUNTO DI VISTA METODOLOGICO: Stereotipo dell'individualismo metodologico (oggettivista).
3. PROTAGONISTA DEI PROCESSI SOCIAL Soggettivismo. Homo oeconomicus
4. POSSIBILITÀ CHE GLI ATTORI SI SBAGLIN
PRIORI E NATURA DEL BENEFICIO D'IMPRE Non si concepisce la possibilità che esistano errori dei quali ci si possa
Imprenditore creativo.
pentire, tutte le decisioni passate si razionalizzano in termini di costi e
Si concepisce la possibilità di commettere errori benefici. I benefici imprenditoriali si considerano come la rendita di un
imprenditoriali puri che si sarebbero potuti evitare con una fattore addizionale di produzione.
5. CONCEZIONE DELL’INFORMAZIONE
maggiore perspicacia imprenditoriale finalizzata alla Si suppone un'informazione totale (in termini sicuri o probabilistici) di
consapevolezza delle opportunità di guadagno. fini e mezzi che sia obiettiva e costante. Non distinguono tra
La conoscenza e l'informazione sono soggettivi, si trovano conoscenza pratica (imprenditoriale) e scientifica.
6. PUNTO DI RIFERIMENTO: dispersi e cambiano costantemente (creatività imprenditoriale).
Radicale distinzione tra conoscenza scientifica (oggettiva) e Modello di equilibrio (generale o parziale). Separazione tra micro e
pratica (soggettiva). macro economia.
Processo generale con tendenza coordinatrice. Non c'è
distinzione tra la micro e la macro: tutti i problemi economici
7. CONCETTO DI CONCORRENZA: si studiano attraverso una forma di interrelazione.
8. CONCETTO DI COSTO: Processo di competizione imprenditoriale. Situazione o modello “concorrenza perfetta”.
Soggettivo (dipende dalla perpicacia imprenditoriale per Oggettivo e costante (si può conoscere attraverso terzi e misurare).
scoprire nuovi fini alternativi).
Logica verbale (astratta e formale) che prende in Formalismo matematico (linguaggio simbolico proprio dell'analisi di
9. FORMALISMO: considerazione il tempo soggettivo e la creatività umana. fenomeni atemporali e costanti).
Ragionamento aprioristico-deduttivo: separazione radicale e, a Critica empirica delle ipotesi (almeno retoricamente).
volte, coordinazione tra teoria (scienza) e storia (arte). La
10. RELAZIONE CON IL MONDO EMPIRIC storia non può contrastare le teorie.

Impossibile, poiché ciò che succederà dipende da una La predizione è un obbiettivo che si ricerca in maniera deliberata.
conoscenza imprenditoriale futura ancora non creata. Sono
11. POSSIBILITÀ DI PREDIZIONE SPECIFIC possibili soltanto pattern prediction di tipo qualitativo e
teorico sulle conseguenze di scoordinamento
dell'interventismo.
L'IMPRENDITORE. L'analista economico (ingegnere sociale).
12. RESPONSABILE DELLA PREDIZIONE
Notevole rinascita negli ultimi 25 anni (specialmente dopo la Situazione di crisi e cambio accelerato.
13. STATO ATTUALE DEL PARADIGMA:
crisi del keynesismo e la caduta del socialismo reale).
14. QUANTITÀ DI CAPITALE UMANO IMPIEG Minoritario, ma crescente.
Maggioritario e con segni di dispersione e disgregazione.
15. TIPO DI CAPITALE UMANO IMPIEGAT
Teorici e filosofi multidisciplinari. Liberali radicali. Specialisti nell'intervento economico (piecemeal social engineering).
Grado molto variabilie di compromesso con la libertà.
16. APPORTI PIÙ RECENTI:
• Analisi critica della coercizione istituzionale (socialismo e • Teoria della scelta pubblica (Public Choice).
interventismo). • Analisi economica della famiglia.
• Teoria della banca libera e dei cicli economici. • Analisi economica del diritto.
• Teoria evolutiva delle istituzioni (giuridiche, morali). • Nuova macroeconomia classica.
• Teoria della funzione imprenditoriale. • Teoria economica dell'“informazione” (economics of information).
• Analisi critica della "giustizia sociale". • Neokeynesiani.
ROTHBARD, MISES, HAYEK, KIRZNER.
17. POSIZIONE RELATIVA DI DIFFERENTI AU Coase, Friedman, Becker, Samuelson, Stiglitz.

1.1. La teoria austriaca dell’azione e la teoria neoclassica della decisione

Per i teorici Austriaci la scienza economica va concepita come una teoria dell’azione più che della decisione, cosa che
costituisce una delle caratteristiche che maggiormente li separa e li differenzia dai loro colleghi Neoclassici. In effetti, il concetto di
«azione umana» ingloba e supera il concetto di decisione individuale. In primo luogo, secondo la Scuola Austriaca, il concetto di
azione include non soltanto l’ipotetico processo di decisione in un contesto di conoscenza “data” sui fini e sui mezzi, ma
soprattutto «la percezione stessa del sistema di fini e mezzi» (KIRZNER, 1973: 45) in seno alla quale ha luogo quell’assegnazione
economica che, con carattere esclusivo, si trova al centro dell’interesse dei Neoclassici. Inoltre, per gli Austriaci, la cosa più
importante non consiste nel prendere una decisione, bensì nel fatto che tale decisione sia portata a termine attraverso un’azione
umana nel cui processo (che può giungere o meno a compimento) si producono una serie di interazioni e di atti di coordinamento il
cui studio costituisce l’oggetto della scienza economica. Pertanto l’economia, lungi dall’essere un insieme di teorie sulla scelta o
sulla decisione, costituisce un corpus teorico che si occupa dei processi di interazione sociale, i quali potranno essere più o meno
coordinati in base alla perspicacia mostrata nell’esercizio dell’azione imprenditoriale da parte degli attori implicati.
Gli Austriaci sono in particolar modo critici verso la ristretta concezione dell’economia che ha la sua origine in Lionel C.
Robbins e nella sua celebre definizione come scienza che studia l’utilizzo di mezzi scarsi, suscettibili di usi alternativi, per la
soddisfazione dei bisogni umani (ROBBINS, 1932). La concezione di Robbins, infatti, presuppone implicitamente una conoscenza
data dei fini e dei mezzi, e il problema economico viene così ridotto ad un problema tecnico di mera assegnazione,
massimizzazione od ottimizzazione, sottomesso a restrizioni che si suppongono parimenti note. Si può così affermare che la
concezione dell’economia di Robbins corrisponde al nucleo del paradigma neoclassico e che può essere considerata
completamente estranea alla metodologia della Scuola Austriaca così come oggi essa viene intesa.
In effetti, l’uomo robbinsiano è un automa o una semplice caricatura dell’essere umano che si limita a reagire in maniera
passiva di fronte agli avvenimenti. Da questa concezione di Robbins bisogna distinguere la posizione di Mises, di Kirzner e degli
altri economisti austriaci i quali ritengono che l’uomo, più che assegnare mezzi dati a fini altrettanto dati, in realtà cerca
costantemente nuovi fini e mezzi, apprendendo dal passato ed usando la sua immaginazione per scoprire e creare il futuro.
Perciò, secondo gli Austriaci, l’economia rimane subordinata, od integrata, all’interno di una scienza molto più generale ed ampia:
una teoria generale dell’azione umana (e non della decisione o della scelta umana). Secondo Hayek, per questa scienza generale
dell’azione umana «se di un termine c’è proprio bisogno, il più appropriato sembra essere quello di scienze ‘praxeologiche’ […] ed
ora chiaramente definito ed largamente impiegato da L. von Mises» (HAYEK, 1952a: 24).

1.2. Il ‘soggettivismo’ austriaco e l’’oggettivismo’ neoclassico

Un secondo aspetto di importanza capitale per gli Austriaci è rappresentato dal “soggettivismo”. Secondo la Scuola
Austriaca, la concezione soggettivista risulta essenziale e consiste precisamente nel costruire la scienza economica partendo
sempre dall’essere umano reale, considerato come attore creativo e protagonista di tutti i processi sociali. Perciò, secondo Mises,
«l’economia non si occupa dei costi tangibili e di oggetti materiali; si occupa degli uomini e delle loro intenzioni e azioni. Beni,
mezzi, ricchezza e tutte le altre nozioni non sono elementi della natura, sono elementi dell’intenzione e della condotta umana.
Colui che desidera considerarli non deve badare al mondo esterno; deve ricercare per essi l’intenzione degli uomini agenti»
(MISES, 1949: 89). È facile comprendere, pertanto, che per gli esponenti della Scuola Austriaca –e molto diversamente dai
Neoclassici– le restrizioni in economia non derivano da fenomeni oggettivi o da fattori materiali del mondo esterno (ad esempio,
le riserve di petrolio), bensì dalla conoscenza umana di tipo imprenditoriale (la scoperta di un carburatore che riuscisse a
duplicare l’efficienza dei motori a scoppio avrebbe lo stesso effetto economico del raddoppio del totale di riserve fisiche di petrolio).
Da ciò consegue che, secondo la Scuola Austriaca, la produzione non è un fatto fisico-naturale ed esterno ma, al contrario, un
fenomeno intellettuale e spirituale (MISES, 1949: 136).

1.3. L’imprenditore austriaco e l’homo œconomicus neoclassico

La funzione imprenditoriale, alla quale sarà dedicata gran parte del seguente capitolo, è la forza protagonista nella teoria
economica austriaca, mentre, al contrario, essa brilla per la propria assenza nell’economia neoclassica. Ciò è da ascriversi al fatto
che la funzione imprenditoriale è un fenomeno proprio di un mondo reale che si trova sempre in disequilibrio e pertanto non può
giocare nessun ruolo nei modelli di equilibrio che assorbono l’attenzione degli autori neoclassici. Inoltre, i teorici neoclassici
considerano la funzione imprenditoriale come un ulteriore fattore di produzione che può essere assegnato in funzione dei benefici
e dei costi previsti; conseguentemente. Per questo, essi non si rendono conto che, analizzando in tal modo l’imprenditore, cadono
in una contraddizione logica insolubile: richiedere risorse imprenditoriali in funzione dei loro benefici e costi previsti implica
infatti il credere che si disponga di un’informazione oggi (valore probabile dei loro benefici e costi futuri), vale a dire prima che la
stessa sia stata creata dalla funzione imprenditoriale. In altre parole, come si vedrà più avanti, la principale funzione
dell’imprenditore consiste nel creare e nello scoprire un’informazione che prima non esisteva e, fintanto che tale processo di
creazione di informazione non giunge a termine, la stessa non esiste né può essere conosciuta, poiché, sulla base dei benefici e dei
costi previsti, non è possibile (come invece ritengono i neoclassici) effettuare preventivamente nessuna attribuzione.
Oggi esiste una quasi unanimità fra gli economisti austriaci nel considerare un errore la credenza che il beneficio
imprenditoriale derivi dalla semplice assunzione dei rischi. Il rischio, al contrario, dà semmai luogo ad un costo aggiuntivo del
processo di produzione, che non ha niente a che vedere con il beneficio imprenditoriale puro il quale sorge quando un
imprenditore scopre un’opportunità di guadagno che in un primo momento gli era sfuggita e, di conseguenza, si comporta in
modo da approfittare della medesima (MISES, 1949: 777-79).
1.4. La figura dell’imprenditore negli Austriaci e nei Neoclassici

Non si è soliti tener conto della diversa importanza che il ruolo dell’errore assume nella Scuola Austriaca ed in quella
Neoclassica. Secondo gli Austriaci, è possibile commettere errori imprenditoriali ‘puri’ sempre che, nel mercato, permanga
un’opportunità di guadagno che non sia conosciuta dagli imprenditori. È precisamente l’esistenza di questo tipo di errore che dà
luogo, quando la stessa si scopre e si elimina, al “beneficio imprenditoriale puro”. Al contrario secondo gli autori Neoclassici, non
esistono mai errori genuini di tipo imprenditoriale dei quali ci si debba pentire a posteriori. Questo perché essi razionalizzano tutte
le decisioni che sono state prese nel passato nei termini di una supposta analisi costo-beneficio effettuata nell’ambito di un’azione
di massimizzazione matematica subordinata a restrizioni. Pertanto, si capisce che i benefici imprenditoriali puri non hanno ragion
d’essere nel mondo neoclassico e che essi, quando si citano, vengono considerati semplicemente come il pagamento per i servizi di
un fattore ulteriore di produzione, o come la rendita derivata dall’assunzione di un rischio.

1.5. La teoria dell’informazione

Gli imprenditori generano costantemente nuove informazioni che hanno un carattere essenzialmente soggettivo, pratico,
disperso e difficilmente articolabile (HUERTA DE SOTO, 1992: 52-67 e 104-110). Pertanto, mentre la percezione soggettiva
dell’informazione è un elemento essenziale della metodologia austriaca, essa risulta assente nell’economia neoclassica. Ciò è da
ascrivere al fatto che la maggior parte degli economisti non si rende conto che quando Austriaci e Neoclassici utilizzano il termine
informazione si riferiscono a realtà radicalmente diverse. Secondo i Neoclassici l’informazione è qualcosa di oggettivo che, come le
merci, si compra e si vende nel mercato come risultato di una decisione massimizzatrice. Tale “informazione”, immagazzinabile in
modi differenti, non è in alcun modo l’informazione nel senso soggettivo di cui parlano gli Austriaci: conoscenza pratica, rilevante,
soggettivamente interpretata, conosciuta ed utilizzata dall’attore in un’azione concreta. Per questo motivo gli economisti austriaci
criticano Joseph E. Stiglitz e gli altri teorici neoclassici per non essere stati capaci di integrare la propria teoria dell’informazione
con quella funzione imprenditoriale che, per gli Austriaci, è sempre la sua fonte generatrice e primaria. Inoltre, per gli Austriaci,
Stiglitz non comprende fino in fondo che l’informazione è sempre essenzialmente soggettiva e che i mercati che egli considera
“imperfetti”, più che generare “inefficienze” (nel senso neoclassico), creano le condizioni perché sorgano opportunità potenziali di
guadagno imprenditoriale, che tendono ad essere scoperte e sfruttate dagli imprenditori in quel processo di coordinamento
imprenditoriale che essi imprimono continuamente al mercato (THOMSEN, 1992).

1.6. Il processo imprenditoriale e i modelli di equilibrio

I modelli di equilibrio neoclassici solitamente ignorano la forza coordinatrice che svolge la funzione imprenditoriale. In
effetti, questa non solo crea e trasmette informazioni, ma –ciò che è ancora più importante– favorisce la coordinamento fra i
comportamenti caotici che si trovano nella società. Come si vedrà nel capitolo seguente, la mancanza di coordinamento sociale si
riduce ad un’opportunità di guadagno che rimane latente prima di essere scoperta dagli imprenditori. Una volta che
l’imprenditore la percepisce e si comporta in modo da sfruttarla, questa scompare e si produce un processo spontaneo di
coordinazione che spiega la tendenza all’equilibrio esistente in ogni economia reale di mercato. Inoltre, il carattere coordinatore
della funzione imprenditoriale è l’unico che rende possibile l’esistenza della teoria economica come scienza, intendendola come il
corpus teorico di quelle leggi di coordinazione che costituiscono i processi sociali.
Questa impostazione spiega perché che gli economisti austriaci siano interessati a studiare il concetto dinamico di
concorrenza (inteso come processo di rivalità), mentre gli economisti neoclassici si concentrano esclusivamente sui modelli di
equilibrio proprî della statica comparativa (concorrenza ‘perfetta’, monopolio, concorrenza ‘imperfetta’ o monopolistica). Per gli
Austriaci, pertanto, non ha senso la costruzione di una scienza economica sulla base di un modello di equilibrio nel quale tutte le
informazioni rilevanti per costruire le corrispondenti funzioni di offerta e di domanda siano “date”. Al contrario, gli Austriaci
preferiscono studiare il processo di mercato, il quale, eventualmente, tende ad un equilibrio che tuttavia, in ultima istanza, non si
raggiunge mai. Si è giunti a parlare di un modello denominato di “big bang sociale”, che permette la crescita senza limite della
conoscenza e della civiltà in una forma tanto appropriata ed armoniosa (vale a dire, coordinata) quanto umanamente possibile in
ogni circostanza storica. E questo perché il processo imprenditoriale di coordinazione sociale non si arresta, né si esaurisce mai.
Vale a dire che l’atto imprenditoriale consiste fondamentalmente nel creare e nel trasmettere nuove informazioni che
inevitabilmente modificano la percezione generale degli obiettivi e dei mezzi di tutti gli attori sociali. Ciò che, a sua volta, dà
luogo all’illimitata creazione di nuovi disequilibri i quali, a loro volta, implicano nuove opportunità di guadagno che vengono
continuamente scoperte e coordinate dagli imprenditori attraverso un interminabile processo dinamico che si espande
continuamente facendo avanzare la civiltà: «modello di big bang sociale coordinato» (HUERTA DE SOTO, 1992: 78-79).
Pertanto, il problema economico fondamentale affrontato dalla Scuola Austriaca è molto diverso da quello analizzato dagli
economisti neoclassici. Esso consiste nello studiare il processo dinamico di coordinazione sociale nel quale i differenti individui,
cercando i fini ed i mezzi che considerano rilevanti nel contesto di ciascuna azione nella quale si trovano coinvolti, generano
imprenditorialmente e continuamente nuova informazione (la quale, di conseguenza, non è mai “data”). In tal maniera, pur senza
rendersene conto, essi danno vita ad un processo spontaneo di coordinazione. Per gli Austriaci, il problema economico
fondamentale non è, pertanto, di natura tecnica o tecnologica. Al contrario, i teorici del modello neoclassico di solito
presuppongono che i fini ed i mezzi siano “dati”, ed affrontano così il problema economico come se si trattasse di un mero
problema tecnico di ottimizzazione. Per la Scuola Austriaca, il problema economico fondamentale non consiste quindi nella
massimizzazione di una funzione obiettiva conosciuta e sottomessa a restrizioni anch’esse conosciute, ma è strettamente
economico: sorge quando i fini ed i mezzi sono molti, quando competono tra di loro e quando la conoscenza non è “data” ma si trova dispersa
nella mente di numerosi individui che costantemente la stanno creando e generando ex novo; per questo motivo non è neanche possibile
conoscere tutte le possibilità e le alternative esistenti, né l’intensità relativa con la quale si vuole perseguire ciascuna di esse.
Inoltre è necessario rendersi conto che anche le azioni umane che sembrano maggiormente massimizzatrici ed ottimizzatrici
possiedono pur sempre una componente imprenditoriale. Per questo è necessario che colui il quale agisce si sia preventivamente
reso conto che tale modalità di azioni, così automatica, meccanica e reattiva, è, data la situazione, quella più conveniente. Ciò
significa, in altre parole, che la concezione neoclassica non è se non un caso particolare, relativamente poco importante, che risulta compreso
e sussunto nella concezione austriaca, la quale è molto più generale, ricca ed esplicativa della realtà sociale.
Inoltre, per i teorici della Scuola Austriaca non ha senso separare radicalmente la micro e la macroeconomia in
compartimenti stagni, come di solito fanno gli economisti neoclassici. Al contrario, i problemi economici devono essere studiati
congiuntamente ed in correlazione tra di loro, senza distinguere fra la parte ‘micro’ e quella ‘macro’. La radicale separazione fra
gli aspetti ‘micro’ e ‘macro’ della scienza economica è una delle insufficienze che contraddistinguono i moderni testi introduttivi
all’economia politica. Questi, infatti, invece di fornire una trattazione unitaria dei problemi economici, come costantemente fanno
Mises e gli economisti austriaci, presentano sempre la scienza economica divisa in due discipline distinte (la ‘micro’ e la
‘macroeconomia’) le quali, mancando di connessione fra di loro, possono così essere studiate, come di fatto avviene,
separatamente. Come opportunamente fa notare Mises, tale separazione, ha la propria origine nell’utilizzo di concetti che, come
quello del livello generale dei prezzi, ignorano l’applicazione al denaro della teoria soggettivista e marginalistica del valore e, quindi,
continuano ad essere ancorati alla fase dell’economia nella quale si cercava di effettuare l’analisi ancora in termini di classi globali
o di aggregati di beni, più che in termini di unità di incremento marginali degli stessi. Questo spiega il perché si sia sviluppata una
“triste disciplina” basata sullo studio delle supposte relazioni meccaniche esistenti tra aggregati macroeconomici, la cui
connessione con l’azione umana è molto difficile, se non impossibile, da capire (MISES, 1949: 383).
Gli economisti neoclassici hanno invece fatto del modello di equilibrio il centro della loro ricerca. In esso si suppone che
ogni informazione sia ‘data’ (in termini di certezza o di probabilità) e che esista un accordo perfetto tra le differenti variabili di
ogni modello. Dal punto di vista della Scuola Austriaca il principale inconveniente della metodologia neoclassica risiede quindi
nel fatto che, supponendo l’esistenza di un accordo perfetto tra le variabili ed i parametri di ciascun modello, si può giungere
molto facilmente a conclusioni erronee riguardo alle relazioni di causa-effetto esistenti tra i differenti concetti e fenomeni
economici. In questo modo, sempre secondo gli Austriaci, l’equilibrio si comporterebbe come una specie di velo che impedirebbe al teorico
di giungere a scoprire la vera direzione esistente nelle relazioni di causa ed effetto presenti nelle leggi economiche. Secondo gli economisti
neoclassici, invece, ciò che esiste non son tanto leggi di tendenza unidirezionali, quanto una mutua determinazione (circolare) di
tipo funzionale tra i differenti fenomeni, la cui origine iniziale (l’azione umana) rimane occulta o viene considerata di scarso
interesse.

1.7. Costi soggettivi e costi oggettivi

Un altro elemento essenziale della metodologia ‘austriaca’ è la sua concezione soggettiva dei costi. Molti autori reputano
che tale concezione possa essere incorporata senza molta difficoltà all’interno del modello neoclassico. Ma i teorici neoclassici
incorporano il carattere soggettivo dei costi soltanto in forma retorica e, alla fine, benché menzionino l’importanza del concetto di
“costo di opportunità”, lo includono nei loro modelli in una maniera oggettivizzata. Per gli Austriaci, al contrario, il costo è il valore
soggettivo che l’attore dà a quei fini ai quali rinuncia quando decide di seguire e di intraprendere una determinata azione. Vale a dire che essi
non ritengono esistano costi oggettivi, ma costi che dovranno essere continuamente scoperti in ogni circostanza attraverso la
perspicacia imprenditoriale. Tant’è che nel corso del processo imprenditoriale possono passare inosservate molte possibilità
alternative che, una volta scoperte imprenditorialmente, possono mutare radicalmente la concezione soggettiva dei costi da parte
dell’attore. Ciò li porta alla conclusione che non esistono costi oggettivi che tendano a determinare il valore dei fini. Per gli
Austriaci, di conseguenza, i costi vengono assunti come valori soggettivi e vengono determinati in funzione del valore soggettivo
che i fini perseguiti (beni finali di consumo) hanno per l’attore. Pertanto, sono i prezzi dei beni finali di consumo (intesi come
adeguamento al mercato delle valutazioni soggettive) a determinare i costi che si è disposti a sostenere per produrli e non il
contrario, come così spesso fanno intendere gli economisti neoclassici nei loro modelli.
1.8. Il formalismo verbale e la formalizzazione matematica

Un altro aspetto interessante si trova nella differente posizione delle due scuole rispetto all’utilizzazione del formalismo
matematico nell’analisi economica. Menger mise in luce fin dalla sua prima opera che il vantaggio del linguaggio verbale
consisteva nel fatto che esso permetteva di cogliere l’essenza (das Wesen) dei fenomeni economici, cosa che, al contrario, non
consente di cogliere il linguaggio matematico. In una lettera del 1884 a Walras, Menger si domandava: «Come si potrà ottenere la
conoscenza dell’essenza, per esempio, del valore, della rendita della terra, del profitto imprenditoriale, della divisione del lavoro,
del bimetallismo, etc., attraverso metodi matematici?» (WALRAS, 1965: II, 3). Il formalismo matematico, infatti, per quanto
particolarmente adeguato per cogliere gli stati di equilibrio studiati dagli economisti neoclassici, non permette di incorporare la
realtà soggettiva del tempo, né la creatività imprenditoriale che sono le caratteristiche essenziali della teoria analitica della Scuola
Austriaca. Forse Hans Mayer ha riassunto meglio di chiunque altro le insufficienze presenti nell’utilizzo del formalismo
matematico in economia quando ha scritto che «essenzialmente, nel cuore delle teorie matematiche dell’equilibrio, si produce una
fissione immanente, più o meno camuffata: effettivamente tutte quelle collegano, mediante equazioni simultanee, grandezze non
simultanee, che sorgono soltanto in una sequenza genetico-causale, come se queste esistessero insieme in ogni momento. In questo
modo il punto di vista statico sincronizza gli avvenimenti, quando ciò che in realtà esiste è un processo dinamico; il fatto è che non
si può considerare un processo genetico in termini statici senza eliminare proprio la sua più intima caratteristica» (MAYER, 1994:
92).
Tali considerazioni ci spiegano perché per i membri della Scuola Austriaca molte delle teorie e delle conclusioni dell’analisi
neoclassica del consumo e della produzione manchino di un vero significato economico. Lo stesso, ad esempio, avviene per la
cosiddetta «legge dell’uguaglianza delle utilità marginali ponderate dai prezzi», i cui fondamenti teorici sono più che dubbi. In
effetti, questa legge suppone che l’attore sia capace di valutare simultaneamente l’utilità di tutti i beni a sua disposizione, ignorando
che ciascuna azione è sequenziale e creativa, così come i beni, a loro volta, non si valutano eguagliando la loro supposta utilità
marginale, ma uno dopo l’altro, nel contesto di fasi e di azioni distinte, per ciascuna delle quali la corrispondente utilità marginale
non solo può essere differente, ma non è neppure confrontabile (MAYER, 1994: 81-83). Insomma, per gli Austriaci, l’utilizzo delle
scienze matematiche in economia appare vizioso perché le stesse uniscono sincronicamente grandezze che sono eterogenee dal punto di vista
temporale e della creatività imprenditoriale. Per questa stessa ragione secondo gli economisti austriaci, non hanno senso nemmeno i
criteri di razionalità assiomatica utilizzati dai neoclassici. Infatti, se un attore preferisce A a B e B a C, può perfettamente preferire
C ad A senza necessariamente smettere di essere ‘razionale’ o coerente; il fatto è che, semplicemente, ha cambiato opinione
(foss’anche soltanto durante il centesimo di secondo che dura nel suo razionamento l’impostazione di questo problema). Di
conseguenza, i criteri neoclassici di razionalità dell’uso finiscono per confondere il concetto di costanza con il concetto di coerenza
(MISES, 1949: 99).

1.9. Teoria, empiria, predizione

In ultima analisi, a contrapporre radicalmente il paradigma della Scuola Austriaca a quello della Scuola Neoclassica sono la
diversa relazione con il mondo empirico e le differenze in merito alle possibilità della predizione. Per gli Austriaci il fatto che
“l’osservatore” scientifico non possa affidarsi che all’informazione soggettiva che viene continuamente creata e scoperta in modo
decentralizzato da attori-imprenditori che sono contemporaneamente osservatori e protagonisti del processo sociale, giustifica la
convinzione dell’impossibilità teorica che si manifestino contrasti empirici in economia. Si tratta, in definitiva, delle stesse ragioni
(che saranno analizzate nei capitoli V e VI) che per gli Austriaci determinano l’impossibilità teorica del socialismo, le quali
spiegherebbero che tanto l’empirismo, quanto l’analisi costo-beneficio, o l’utilitarismo nella sua interpretazione più rigida, non
sono praticabili nella scienza economica. Infatti, per contrastare una teoria o per coordinare un insieme di azioni, è irrilevante che
sia uno scienziato o un governante a cercare di ottenere un’informazione adeguata. Se ciò fosse possibile, tale tipo di informazione
sarebbe utilizzabile sia per coordinare la società attraverso mandati coattivi (l’ingegneria sociale propria del socialismo e
dell’interventismo), sia per contrastare empiricamente le teorie economiche. Di conseguenza, per le stesse ragioni, primo, a causa
dell’immenso volume di informazioni di cui si avrebbe bisogno; secondo, per la natura centralizzata dell’informazione necessaria
(informazione che è invece dispersa, soggettiva e tacita); terzo, per il carattere dinamico del processo imprenditoriale (non si può
infatti trasmettere l’informazione che ancora non è stata generata dagli imprenditori nel loro processo di costante creazione
innovatrice); e, quarto, per l’effetto di condizionamento della stessa “osservazione” scientifica (che distorce, corrompe, rende
difficile o impossibile la creazione imprenditoriale di informazioni), tanto l’ideale socialista, quanto l’ideale positivistico o quello
utilitaristico, sarebbero impossibili dal punto di vista della teoria economica ‘austriaca’.
Questi stessi argomenti (che più avanti si analizzeranno con maggior precisione quando si tratterà della polemica
sull’impossibilità del calcolo economico in un’economia socialistica) sono applicabili anche per giustificare la tesi
dell’impossibilità teorica di effettuare previsioni specifiche (vale a dire, quelle riferite a coordinate di tempo e luoghi determinati e
fornite di un contenuto empirico concreto) in economia. Ciò che accadrà domani non può essere conosciuto scientificamente oggi
poiché dipende in gran parte da una conoscenza e da informazioni che, da un punto di vista imprenditoriale, non si sono ancora
create e che, pertanto, non si possono ancora valutare. In economia, di conseguenza, si possono effettuare soltanto, e al massimo,
“previsioni di tendenza” di tipo generale: quelle che Hayek denomina pattern predictions. Tali previsioni non potranno che essere
di natura esclusivamente qualitativa, teorica, ed utilizzabili, al più, per la previsione di disordini e di effetti di mancanza di
coordinazione sociale prodotti, come nel caso del socialismo e dell’interventismo, dall’intervento coercitivo delle istituzioni sul
mercato.
Inoltre, bisogna tener presente che la tesi dell’inesistenza di dati oggettivi direttamente osservabili nel mondo fenomenico è
connessa al fatto che, per il soggettivismo degli Austriaci, gli oggetti della scienza economica non sono altro che idee intorno a ciò
che gli individui perseguono e fanno. Queste idee non sono osservabili mai direttamente, ma possono soltanto essere interpretate
in termini di altre idee. Per interpretare oggettivamente la realtà sociale che costituisce la storia sarebbe quindi necessario disporre
preventivamente di una teoria e, inoltre, non si potrebbe fare a meno di giudizi di rilevanza non scientifici (comprensione) che
comunque non sono oggettivi e che possono anche variare da uno scienziato sociale ad un altro, trasformando così la disciplina
storica in una vera e propria arte.
Infine, gli Austriaci considerano i fenomeni empirici “variabili” in maniera tale che non consentono di individuare negli
avvenimenti di carattere sociale né parametri, né costanti; fatto che rende molto difficile, se non impossibile, tanto l’obiettivo
tradizionale dell’econometria, quanto qualsiasi versione del programma positivista (dal più ingenuo verificazionismo, al più
sofisticato falsificazionismo popperiano). Di fronte all’ideale positivistico dei Neoclassici, gli Austriaci intendono costruire la loro
disciplina in modo aprioristico e deduttivo. Il loro intento è quindi quello di elaborare un’arsenale logico-deduttivo a partire da
alcune conoscenze auto-evidenti. Si tratta in definitiva di assiomi, come lo stesso concetto soggettivo di azione umana e i suoi
elementi essenziali, che sorgono per introspezione dall’esperienza intima dello scienziato, o vengono considerati come auto-
evidenti dal momento che nessuno può discuterli senza auto-contraddirsi (HOPPE, 1995; CALDWELL, 1994: 117-138). Questo
arsenale teorico è imprescindibile tanto per interpretare quel magma in apparenza sconnesso di complessi fenomeni che
costituisce il mondo sociale, quanto per elaborare una storia del passato o una previsione di eventi futuri (che è la missione
propria dell’imprenditore) con un minimo di coerenza, di garanzie e di possibilità di successo. Tutto ciò consente di capire la
grande importanza che gli Austriaci assegnano alla storia come disciplina e la loro intenzione di distinguerla dalla teoria
economica, senza però negare che tra le due discipline esistano importanti relazioni (MISES, 1957).
Hayek denomina “scientismo” (scientism) l’indebita applicazione del metodo delle scienze della natura al campo delle
scienze sociali (HAYEK, 1952a). Egli non nega che nel mondo naturale esistano costanti e relazioni funzionali che permettono
l’applicazione del linguaggio matematico e la realizzazione di esperimenti quantitativi in un laboratorio. Tuttavia, per gli
economisti austriaci, nella scienza economica –a differenza di ciò che succede nel mondo della fisica, dell’ingegneria e delle
scienze naturali– non esistono relazioni funzionali (né, pertanto, funzioni di offerta, né di domanda, né di costi, né di alcun altro
tipo).
Per questi motivi, se si tiene presente che 1) in matematica e secondo la teoria degli insiemi, una funzione altro non è che
una corrispondenza o proiezione biunivoca tra gli elementi di due insiemi denominati “insieme originale” ed “insieme
immagine”; e 2) che l’innata capacità creativa dell’essere umano genera e scopre continuamente nuove informazioni in ogni
circostanza concreta in cui agisce per perseguire fini con mezzi che ritiene adeguati, è evidente che in economia non si dà nessuno
dei tre elementi necessari perché sorga una relazione funzionale. Infatti: a) non sono dati né sono costanti gli elementi dell’insieme
d’origine; b) non sono dati né sono costanti gli elementi che costituiscono l’insieme immagine; c) e questo è l’elemento più
importante, le corrispondenze tra gli elementi dell’uno e dell’altro insieme non sono date, ma variano continuamente come risultato
dell’azione e della capacità creativa dell’uomo. Secondo gli Austriaci, quindi, l’utilizzo di funzioni nell’economia esige l’introduzione
di un presupposto di costanza nella formazione della conoscenza che elimina radicalmente il protagonista di ciascun processo
sociale: l’essere umano dotato di un’innata capacità imprenditoriale creativa. Il grande merito degli Austriaci consiste allora
nell’aver dimostrato che è perfettamente possibile elaborare l’intero corpus della teoria economica in modo logico introducendo il
tempo e la creatività (prassiologia), vale a dire senza che sia necessario utilizzare funzioni, né stabilire ipotesi di costanza che non
concordano con la natura creativa del vero ed unico protagonista di tutti i processi sociali che costituiscono l’oggetto di ricerca
della scienza economica: l’uomo.
Dopo che gli Austriaci hanno messo in evidenza l’insufficienza degli studi empirici nello stimolare lo sviluppo della teoria
economica, alcuni economisti neoclassici hanno dovuto ammettere che esistono importanti leggi economiche (come la teoria
dell’evoluzione e della selezione naturale) che non sono empiricamente verificabili (ROSEN, 1997). In effetti, gli studi empirici
possono fornire al massimo, alcune informazioni, storicamente contingenti, riguardo a certi elementi dei risultati dei processi
sociali che si sono avuti nella realtà, ma non forniscono informazioni riguardo alla struttura formale di detti processi, la cui
conoscenza costituisce precisamente l’oggetto di ricerca della teoria economica. Detto diversamente, le statistiche e gli studi
empirici non possono fornire alcun tipo di conoscenza teorica; e l’errore in cui caddero gli storicisti della Scuola tedesca del XIX
secolo e che oggi in gran parte ripetono gli economisti della Scuola Neoclassica, consistette precisamente nel credere il contrario.
Inoltre, come ha messo bene in evidenza Hayek nel suo discorso in occasione del conferimento del premio Nobel, in molte
occasioni gli aggregati che sono valutabili in termini statistici sono carenti di senso teorico e, viceversa, numerosi concetti che
detengono un significato teorico importantissimo non sono valutabili, né utilizzabili empiricamente (HAYEK, 1974: 23-34).
1.10. Conclusione

Le principali critiche che gli economisti austriaci rivolgono ai neoclassici e che mettono in evidenza i fondamentali elementi
di differenza rispetto al loro punto di vista, sono quindi le seguenti: in primo luogo, il concentrarsi esclusivamente su stadi di
equilibrio attraverso un modello che presuppone che l’informazione di cui hanno bisogno gli agenti in relazione ai loro obiettivi e
alle loro restrizioni sia “data”; secondo, la scelta, in molti casi arbitraria, di variabili e di parametri –tanto in relazione alla funzione
obiettivo, quanto alle restrizioni– che tende ad includere gli aspetti più ovvi, ma che ne dimentica altri di grande importanza che
presentano però una maggiore difficoltà riguardo alla loro utilizzazione empirica (valori morali, costumi e tradizioni, istituzioni,
etc.); terzo, il concentrarsi su modelli di equilibrio che hanno maggiore attinenza con il formalismo delle scienze matematiche ma
che occultano le vere relazioni di causa ed effetto; quarto, trasformare in assunti teorici quelle che non son altro che mere
interpretazioni della realtà storica che, per quanto rilevanti in alcune circostanze concrete e contingenti, non si possono
considerare dotate di una validità teorica universale.
Le precedenti considerazioni, non vogliono dire che tutte le conclusioni dell’analisi neoclassica siano erronee. Una parte
importante di esse, infatti, è valida e può essere utilizzata. Ciò che gli Austriaci vogliono mettere in evidenza è però il fatto che
non esiste una garanzia riguardo alla validità universale delle conclusioni alle quali giungono gli economisti neoclassici. Inoltre,
quelle valide si potrebbero ottenere in maniera più proficua e sicura anche attraverso un’analisi dinamica che consente di isolare le
teorie erronee (altrettanto numerose) mettendo in evidenza i vizi e gli errori che rimarrebbero invece nascosti se venisse utilizzato
un metodo empirico fondato sul modello di equilibrio di tipo neoclassico.

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