Sei sulla pagina 1di 30

STORIA DELL’ARCHITETTURA – BIENNIO DIDATTICA MUSEALE

Dalla città ideale alla città vivente: breve analisi dell’evoluzione degli ideali
urbanistici da Leon Battista Alberti a Frank Lloyd Wright

Suzanne Piana
Matricola: 14467B
Sommario

Dalla città ideale alla città vivente: breve analisi dell’evoluzione degli ideali urbanistici da Leon Battista
Alberti a Frank Lloyd Wright............................................................................................................................. 1
L’URBANISTICA RITROVA GLI IDEALI CLASSICI ............................................................................................... 3
Rinascimento matematico e la struttura della città ideale ....................................................................... 5
IL MONDO MODERNO: L’ARCHITETTURA RISPONDE AI BISOGNI SOCIALI.................................................... 9
LO SVILUPPO INARRESTABILE DELLA SOCIETA’ MECCANICISTICA: LE CORBUSIER ..................................... 15
La città per tre milioni di abitanti ............................................................................................................ 15
Plain Voisin .............................................................................................................................................. 17
Ville Radieuse .......................................................................................................................................... 19
BROADACRE CITY: DAL CITTADINO DELLE CAVERNE AL NOMADE DI SPIRITO ............................................ 22
CONCLUSIONI .............................................................................................................................................. 27
Bibliografia ....................................................................................................................................................... 29
SITOGRAFIA ..................................................................................................................................................... 30
L’URBANISTICA RITROVA GLI IDEALI CLASSICI
L’immaginare uno spazio ideale è stata una pratica comune sin dall’antichità: quando l’uomo ha
percepito l’urgenza di sviluppare una comunità per poter sopravvivere.
Il filosofo Platone narra della crisi della società ateniese del IV secolo:
“La nostra città non si reggeva più secondo i costumi e gli usi dei padri, ma era impossibile anche
procurarsene di nuovi con facilità. Le leggi scritte e i costumi andavano sempre più corrompendosi
con straordinaria rapidità, tanto che io, che da principio sentivo vivo lo stimolo a prender parte alla
vita pubblica, considerando queste cose e lo scompiglio che regnava ovunque, finii per restare
stordito. Non rinunciai a studiare la situazione per vedere se ci fossero dei miglioramenti, specie nel
governo, ma aspettavo per agire, le circostanze opportune. Alla fine mi resi conto che tutte le città
di allora erano mal governate (le loro leggi si trovano in uno stato che era praticamente incurabile
senza una straordinaria preparazione unita ad una buona fortuna) e fui costretto a fare l'elogio della
retta filosofia e a dire che solo essa consente di vedere ciò che è giusto nelle cose pubbliche e in
quelle private: dunque le generazioni umane non si sarebbero mai potute liberare dalle sciagure,
finché al potere politico non fossero giunti i veri e autentici filosofi, oppure i governanti della città
non fossero divenuti, per una grazia divina, i veri filosofi”1.
Ma gran parte del programma platonico era legato ad un progetto educativo e politico, non
urbanistico; sarà con l’avvento del Rinascimento che il tema della città ideale assorbirà quei caratteri
legati alla ricerca di un modello cittadino fondato sui principi di uguaglianza, comunità ed
espressione del potere.
L’importanza fondamentale che il XV secolo riveste nella storia della civiltà è legata alla nascita e
alla diffusione prima in Italia poi in Europa del movimento artistico e culturale che sarebbe sfociato
nel Rinascimento. I principi nuovi che tale movimento affermò erano frutto dell’attività di alcuni
sommi geni che illuminarono di sé i primi decenni del Quattrocento; e quegli stessi principi
esprimevano il definitivo superamento della raffinata civiltà tardo gotica. Il nome “Rinascimento” fu
coniato dagli scrittori di epoche successive, i quali vollero vedere nella rivoluzione artistica e morale
di questo secolo un ritorno all’antichità classica, e quindi una rinascita degli ideali del mondo antico;
ma in realtà la definizione risulta impropria se si tiene conto che lo studio e il rinnovato interesse
per il mondo greco-romano non fu che un pretesto, uno stimolo che operò sugli artisti e sui filosofi
rinascimentali, indirizzandoli alla conquista di ideali nuovi, tipicamente moderni.
Infatti in quest’epoca assistiamo alla “seconda grande trasformazione che imprimerà un nuovo corso
alla storia dell’umanità (…) l’affermazione dei modi di produzione capitalistici e della figura sociale
del borghese”2. Se da un lato si attribuisce la paternità della borghesia al Basso medioevo, è con il
Rinascimento che questa classe sociale si ritrova a “(…) garantire la sicurezza e il commercio del
sovrappiù- immaginando la - città, (…), trovando forma e prestigio, attorno a luoghi finalizzati alle
necessità della società cittadina nel suo insieme: i luoghi del consumo comune ”3.
Dopo tanti secoli di misticismo, di un’architettura e una cultura dominante, più o meno
consapevolmente, dal sentimento della divinità, con il Rinascimento l’uomo viene ricollocato al
centro dell’universo: questa è la scoperta più sensazionale, il fulcro di tutta la rivoluzione di

1
Platone, Settima Lettera, 325c-326b in Repubblica, tr. Sartori F., Introduzione di Vegetti M., note di Centrone B., La
Terza, Roma-Bari 2001.
2
Salzano E., Fondamenti di urbanistica, La Terza, Roma-Bari, 2010, p.27-29
3
Ibidem.
pensiero. La personalità umana acquista una dignità e un valore nuovo, e al mondo umano si
volgono tutti gli interessi degli artisti, dei letterati, dei pensatori del tempo. La natura stessa viene
guardata con nuovi occhi, indagata e descritta non più come emanazione del divino o come favolosa
cornice di leggende cortesi, ma come parte viva dell’universo di cui l’uomo è misura. Ecco perché è
in quest’epoca che nasce la prospettiva, che è rigorosa collocazione degli oggetti nello spazio
secondo un ordine garantito dalla matematica.
Come narra Antonio Manetti, l’invenzione di un sistema scientificamente rigoroso per
rappresentare lo spazio è da attribuire all’umanista e architetto Filippo Brunelleschi (1377 - 1446).
Filippo rientrato da un lungo soggiorno romano, dove conobbe e studiò approfonditamente
l’architettura antica, nel 1413 realizzò due tavolette prospettiche (andate perdute) che
rappresentavano il Battistero di S. Giovanni a Firenze e Palazzo Vecchio.

Partendo da una esatta misurazione dello spazio reale, “Pippo architetto” 4 dimensiona gli oggetti a
seconda della loro distanza dall’osservatore, mantenendo rigorosamente le proporzioni reciproche.
La prospettiva brunelleschiana prevede una visione da un solo occhio o Punto di fuga unico in cui
convergono le rette di profondità parallele tra loro.
“L’uso della prospettiva in pittura implica di fatto la coincidenza di invenzione ed imitazione: la realtà
viene riprodotta con precisione, ma al tempo stesso secondo il punto di vista soggettivo

4
Alberti L., B., De pictura, III, 56, a cura di Grayson C., Roma-Bari, Laterza, 1980
dell’osservatore, che in un certo senso “aggiunge” all’esattezza dell’oggetto la Bellezza contemplata
dal soggetto.”5

Rinascimento matematico e la struttura della città ideale


Secondo i massimi esponenti dell’architettura rinascimentale il segreto per una “buona
architettura” stava nell’utilizzare le giuste proporzioni; cioè rapporti proporzionali espressi in
semplici numeri interi6, a tutte le misure importanti dell’edificio. Leon Battista Alberti afferma nel
suo De re aedificatoria che i rapporti aritmetici che determinano l’armonia musicale devono
governare anche l’architettura, perché essi si presentano in tutto l’universo e sono di origine divina.
Tali idee, derivate dal filosofo greco Pitagora ebbero larga diffusione nel Medio Evo, ma non erano
mai state espresse in modo così radicale e diretto. Quando gli architetti gotici presero in prestito i
rapporti della teoria musicale, lo fecero con l’aiuto e il contributo interpretativo dei teologi e in
modo molto meno consistente dei loro successori del Rinascimento.
L’armonia è uno dei principi cardine della vita dell’uomo nuovo.
“In verità noi distribuiamo la vasta armonia delle cose superiori in sette gradi: cioè nelle immagini,
come si ritiene, stabilite armonicamente; nelle medicine dosate secondo una loro corrispondenza;
nei vapori e profumi con regola simile preparati; nei canti e suoni musicali, al cui ordine e alla cui
efficacia vogliamo riportare i gesti del corpo e le danze e i balli sfrenati; nei concetti e moti armonici
dell’immaginazione, nelle coerenti speculazioni della ragione, nelle tranquille contemplazioni della
mente”7.
Adottando un paragone tra le piante delle città medievali e rinascimentali salta subito all’occhio
come le prime ricerchino un ideale di perfezione astratto e divino, di una bellezza simbolica: nella
forma del cerchio8; mentre le seconde appaiono come l’incontro non solo di piani spaziali ma anche
di nuove funzioni urbane capaci di cogliere “i tratti strutturali, lo stesso gusto per ciò che è razionale,
simmetrico e suscettibile di essere calcolato in termini matematici”9. La componente spirituale e
divina possiede ora una valutazione estetica e razionale dello spazio cittadino.
“Ma la grande conquista del Quattrocento italiano è di portare lo stesso senso che vive nel tempio
greco (…) e più precisamente di tradurre in termini di spazio la metrica che nel periodo romanico e
gotico era stata eminentemente planimetrica”10.
L’armonia decantata da Ficino è ripresa nella Laudatio di Bruni dove “la prospettiva fa apparire il
panorama fiorentino come una grande struttura scenica”11.
Nella rinascita delle forme classiche l’architettura trova ora un linguaggio fisso grazie alla teoria delle
proporzioni armoniche che offriva un tipo di sintassi che era stata assente nel periodo medievale.
Tali studi concretizzatisi attraverso la lettura di Vitruvio e l’osservazione delle architetture classiche

5
Eco U., Storia della Bellezza, Bompiani, Milano, 2007, p.183
6
Benevolo L., Indagine su Santo Spirito di Brunelleschi, Guaralli, Rimini, 2015, p.37
7
Ficino M., cit. in Klibansky R., Panofsky E., Saxl F., Saturno e la Malinconia, Einaudi, Torino, 1983, p.252
8
Guidoni E., La bellezza delle città, Storia dell’urbanistica, Laterza, Roma-Bari, 1998, p.71
9
Baron H., La crisi del primo rinascimento italiano. Umanesimo civile e libertà repubblicana in un’età di classicismo e
tirannide, G.C. Sansoni, Firenze, 1970, p. 218
10
Zevi B., Saper vedere l’architettura, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2009, p.77
11 11
Baron H., La crisi del primo rinascimento italiano. Umanesimo civile e libertà repubblicana in un’età di classicismo
e tirannide, G.C. Sansoni, Firenze, 1970, p. 218
rendono l’essere umano consapevole della propria capacità organizzatrice e delle proprie doti di
costruttore e plasmatore del mondo12.
Da questa presa di coscienza si sviluppano una serie di riflessioni sul tema della città ideale il cui
legame con la matematica e la geometria sono da ricercare nelle riflessioni e traduzioni di Marsilio
Ficino sull’opera platonica. Infatti attraverso una ricerca filologica è possibile notare come Ficino
metta molto in risalto la dignità dell’architettura che si basa sulla geometria mentre come è già stato
accennato in precedenza il discorso di Platone sulla città ideale possedeva caratteri più filosofici e
politici: anzi egli stesso riteneva che la regolarità dello spazio non fosse una caratteristica da
ricercare ad ogni costo13.
“L’immagine quindi opera una sintesi della stessa idea della realtà che, partendo dalla proporzione
matematica, opera una sintesi della stessa idea della realtà attraverso il pensiero umano che ha il
potere divino di ricreare le regole auree della natura.”14 Da tale riflessione si deduce che la forma
della città è una espressione rappresentativa dello Stato e di chi lo governa. Ordine, geometria e
semplicità si realizzano tanto quanto nell’architettura quanto nella società civile e ordinata guidata
da un Signore illuminato che rispetta le libertà del singolo e tutela l’interesse pubblico della Signoria.
Tale armonia “è il punto di incontro del pensiero politico e del pensiero estetico”15.
Leon Battista Alberti, un grande classicista
Esaurito l’esaltante fervore di scoperte del primo periodo rinascimentale, il movimento umanista
fiorentino affronta una fase più matura e meditativa: ed ecco che allo spirito appassionato di Filippo
Brunelleschi, il quale si mescolava agli operai per prender parte viva alle costruzioni da lui
progettate, succede la composta razionalità di Leon Battista Alberti che traccia progetti a tavolino e
lascia agli altri il compito di realizzarli. L’Alberti è innanzitutto un erudito, studioso dell’antichità
classica da cui trasse numerosi spunti nella progettazione delle sue opere. Nel De re aedificatoria,
Leon Battista Alberti tratta della città intesa come organismo urbano. Egli ritiene che la
pianificazione e la progettazione debbano partire da pensieri ben definiti:

• UTILITAS: ogni edificio deve rispondere alla funzione per cui è stato progettato
• FIRMITAS: il dialogo costante con la classicità e con il luogo di edificazione
• VENUSTAS: unione armoniosa delle parti ottenuta attraverso la scienza delle proporzioni
Il nodo centrale di tale speculazione teorica è da ricercare nella necessità di un sodalizio tra politica
e urbanistica organizzati entrambi secondo un nuovo dialogo tra uomo ed universo: dove il primo
rappresenta il modulo, l’unità del creato. La città è quindi un luogo da progettare per vivere in
armonia, luogo di incontro sociale, di pianificazione politica ed economica. Per gli uomini del
Quattrocento e del Cinquecento, fondatori di nuove concezioni e realtà economiche, la città assume
valori che precedentemente nel corso del medioevo non erano mai stati considerati. Gli uomini del
potere in epoca umanistica rinascimentale non sono più gli eredi di nobiltà di sangue, ma borghesi
che si sono arricchiti grazie alle loro capacità imprenditoriali, hanno acquisito potere politico e
danno vita a una nuova nobiltà, quella che i francesi chiameranno la nobiltà di toga.
Paradossalmente proprio quando questa nobiltà sarà confermata e trasformata diventando

12
Non ti abbiamo fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché come libero, straordinario plasmatore
e scultore di te stesso, tu ti possa foggiare da te stesso nella forma che avrai preferito. Pico della Mirandola, cit. in
Garin E., Scienza e vita civile nel Rinascimento italiano, Laterza, Roma-Bari 1965, p. 41
13
Kruft H., W., Le città utopiche. La città ideale fra il XV e il XVIII secolo fra utopia e realtà, La Terza, Bari 1990, p. 11
14
Chastel A., Arte e Umanesimo a Firenze, Einaudi, Torino 1964, p. 6
15
Argan G.C., Fagiolo M., Il processo dell’urbanizzazione, in Storia d’Italia, vol. I, Einaudi, Torino 1972, p.746
ereditaria la nuova classe politica progressivamente si inaridirà e non darà più frutti. I nuovi signori
sognano di coniugare funzionalità ed estetica, non disgiunte in prospettiva da soddisfacenti
realizzazioni economiche. La città è pensata per essere vissuta da tutti i cittadini. Alberti concepisce
la città come “grande casa”. Sotto questo profilo, l’azione architettonica si presta come momento
di reinterpretazione e ottimizzazione del tessuto urbano preesistente. Il progetto urbano è quindi
sviluppato a partire dalle tipologie edilizie e sviluppato alle diverse scale: esso riguarda l’abitazione,
le vie, i gruppi di monumenti pensati in modo organico e che definiscono il carattere e la
conformazione delle città stesse.

Il dipinto della Galleria Nazionale di Urbino qui sopra presentato è da considerarsi come
rappresentazione della Città ideale. Nel 2006 lo storico dell’architettura Gabriele Morolli, massimo
studioso del Rinascimento, attribuisce la piena paternità dell’opera a Leon Battista Alberti che
“eseguì il disegno generale” mentre venne completato con il colore da un pittore ancora anonimo16.
Questa piccola tavola databile tra 1480 e il 1490 rappresenta una vasta piazza attraverso una
costruzione spaziale unitaria poiché ogni elemento è studiato in rapporto agli altri. La piazza e gli
edifici ai lati convergono verso un maestoso tempio a pianta circolare che costituisce il centro focale
della composizione. Il rigore geometrico dello spazio, dei palazzi e del pavimento a scacchiera, la
luce chiara e il micro-paesaggio all’orizzonte richiamano quei temi fondamentali della geometria
spaziale già citati in precedenza.
Si può notare come “il quadro secondo Leon Battista Alberti, è una finestra aperta, all’interno della
quale lo spazio prospettico moltiplica i piani: lo spazio non è più ordinato empiricamente, ma
organizzato secondo una successione di sfondamenti rigorosamente integrati, riempiti di luce e
colore”.17 All’interno di quest’opera non vi è alcuna figura umana, è possibile però notare due
colombe al primo piano dell’edificio di destra.

16
https://www.nove.firenze.it/a602231313-un-disegno-segreto-attribuito-a-leon-battista-alberti-svela-il-mistero-
della-citta-ideale.htm
17
Eco U., Storia della Bellezza, Bompiani, Milano, 2007, p.183
Esistono altre due versioni di questo quadro: una conservata al Walters Art Museum di Baltimora e
un’altra conservata alla Gemäldegalerie di Berlino. Tra il 2011 e il 2003 è stato condotta una analisi
multispettrale che ha rivelato una nuova teoria per cui le tre tavole sarebbero state realizzate
dall’Alberti come progetti di rinnovo e restauro urbanistico della città di Roma in onore del Giubileo
del 1450. Infatti le altre due tavole presentano architetture esistenti come il Foro Romano, il
Colosseo, la mole di Castel Sant’Angelo e il corso del Tevere sullo sfondo.
Dalla confusa pianta medievale, composta da vicoli stretti e abitazioni vicine costruite senza ordine
e razionalità si passa non solo a teorizzare ma a progettare secondo un ordine e una regolarità
formali, associabili al principio di Protagora secondo cui “l’uomo è misura di tutte le cose”. Se prima
la città era monosemica e solo i segni del sacro erano evidenziati e rappresentati con il Rinascimento
si cerca di far coincidere le nuove esigenze maturate dalla nuova collettività in una evoluzione
diacronica e in un nuovo approccio allo spazio collettivo. La città del Rinascimento si compone di
grandi palazzi ad opera di principi e ricchi mercanti, di nuove vie più larghe e selciate per facilitare il
traffico in aumento e per agevolarne la pulizia. Le nuove piazze decorate da obelischi, statue e
fontane ritornano ad essere il fulcro della vita cittadina. Insomma le città del Rinascimento hanno il
compito di rispecchiare l’ideale politico delle signorie e di garantire una convivenza civile,
un’armonia e un desiderio nei confronti del bene comune.
IL MONDO MODERNO: L’ARCHITETTURA RISPONDE AI BISOGNI SOCIALI
L’era moderna iniziò con due rivoluzioni distinte: la rivoluzione industriale, simboleggiata
dall’invenzione della macchina a vapore, e la rivoluzione politica, sotto l’emblema della democrazia,
in America e in Francia. La scienza e le ideologie politiche occidentali hanno favorito quei principi di
ricerca costante del progresso che ancora oggi ci caratterizzano; e se il progresso scientifico degli
ultimi duecento anni è stato costante ed evidente, non possiamo dire altrettanto per la ricerca della
felicità dell’uomo. È dunque questo il conflitto fondamentale sia dell’epoca moderna sia di quella
contemporanea. Avendo l’uomo respinto l’autorità tradizionale (la religione), la struttura che prima
lo sosteneva e proteggeva, è libero di agire con un’indipendenza che lo esalta e al tempo stesso lo
spaventa. Quando qualsiasi valore viene messo in discussione, l’uomo non fa che cercare di scoprire
la propria ragion d’essere: il significato dell’esistenza umana individuale e collettiva. Ed è della
collettività e dei suoi problemi sociali e di insediamento che si occuperà l’architetto. Alla decadenza
dell’ideale classico segue un cambiamento nella committenza con la fine delle monarchie assolute:
nobili e ecclesiastici vennero rimpiazzati dalla borghesia imprenditoriale e dalle masse di proletari
che si riversavano nelle metropoli industriali per le quali era necessario assicurare un’abitazione
civile. Era assolutamente necessario slegarsi dall’autorità delle forme storiche e ricercare una
riforma della morfologia e della terminologia architettonica per trarre vantaggio dalle qualità
espressive e pratiche delle nuove tecniche e dei nuovi materiali da costruzione. L’architetto
necessitava di una nuova filosofia: doveva nuovamente definire non solo i concetti tradizionali
relativi alla forma e alla funzione ma anche il più vasto ruolo dell’architettura nella società.
A partire dalla seconda metà del XIX secolo l’architettura si svincola dall’arte fine a sé stessa e ricerca
un percorso nuovo le cui “criticità che caratterizzavano le condizioni di vita di ampie quote di
popolazione delle città industriali stimolano lo sviluppo di una notevole produzione di studi e indagini
ricognitive”18.
Le esigenze sociali a cui è chiamato a rispondere l’architetto moderno sono molteplici: lo spazio
delle fabbriche, la necessità di alloggiare le masse di proletari nelle periferie, lo sviluppo di
infrastrutture amministrative19.

Ma la città industriale è anche lo spazio dove si sviluppano nuovi problemi sociali, causati dalla
disgregazione del senso di comunità come sottolinea Tonnies:

"La teoria della società riguarda una costruzione artificiale, un aggregato di esseri umani che solo
superficialmente assomiglia alla comunità, nella misura in cui anche in essa gli individui vivono
pacificamente gli uni accanto agli altri. Però, mentre nella comunità essi restano essenzialmente
uniti nonostante i fattori che li separano, nella società restano essenzialmente separati nonostante
i fattori che li uniscono".20

In queste neonate metropoli si afferma un modo di vivere fondato su nuovi valori culturali e
differenti norme sociali, si vive in questi luoghi per stare vicino alle fabbriche, fonti di guadagno e di
benessere.

18
Davico L., Mela A., le società urbane, Carocci Editore, Roma, 2005, p.13

19 Parigi sarà la prima città a presentare una visione urbanistica d’insieme con Napoleone III e il piano Haussmann.
Quest’ultimo progetta sulla pianta preesistente una vasta trama di viali, i boulevard, che si diramano in più direzioni per
uno sviluppo totale di 137 chilometri: si riducono i tempi necessari per attraversare la città e si accelera la mobilità. La
città si modifica perdendo il suo modello di città medievale. I vecchi edifici vengono sostituiti con altri nuovi dalle facciate
allineate e stilisticamente omogenee; vengono creati larghi viali alberati, numerosi giardini e piazze monumentali.
20
Guelfo M., AA. VV., Per una psicoanalisi nelle istituzioni. Pensare in gruppo, Armando Editore, Roma,2016, p.22
“Nella vita comunitaria prevalgono azioni ed interazioni più strettamente collegate alla dimensione
naturale, alla corporeità dei singoli individui: intuizione, fede religiosa, superstizione, dimensione
artistica e poetica sono elementi caratteristici del modo di vita comunitario; (…) Nelle comunità
domina una volontà essenziale, connessa all’essenza dell’individuo; nella moderna società
metropolitana prevale negli individui una volontà arbitraria, dettata da costruzioni mentali, calcoli
razionali, finalizzati a stabilire coscientemente rapporti di reciproca utilità con gli altri.”21
Questa crisi di valori apre però un immenso campo di riflessione legato ai possibili sviluppi
urbanistici della metropoli moderna che qui di seguito illustrerò.
Ci sono architetti anti-urbani che si prefiggono l’obiettivo di risolvere la contrapposizione tra
campagna e città come Ebenezer Howard che progetta le “città giardino”.
Mescolando insieme razionalismo e utopia, libero pensiero illuminista e teorie fisiocratiche, il
progetto di Howard ricorda i principi della Città dell’Armonia di Fourier e del Falansterio, il cui
obiettivo era quello di creare: “un paradiso da imperniare sulle manipolazioni delle naturali passioni
della natura umana”22.

Dopo l’esperienza negli Stati Uniti, nel 1898 Howard pubblica “Garden cities of Tomorrow”,
l’obiettivo della Town-country è quello di far incontrare le funzioni e le virtù della città e della
campagna in un unico spazio. La particolarità di tale progetto è il fulcro della città cioè un parco da

21
Davico L., Mela A., le società urbane, Carocci Editore, Roma, 2005, p.25
22
Saitta, A. (1947). CHARLES FOURIER E L'ARMONIA. Belfagor, 2(3), 272-292. Retrieved May 25, 2021, from
http://www.jstor.org/stable/26040042
cui dipartono le strade che distribuiscono equamente gli edifici commerciali, le residenze dei
cittadini, le fabbriche e i servizi. La città giardino presenta una popolazione di 30.000 abitanti su una
superficie di 4 kmq contenuta a sua volta in una cinta agricola di 20 Kmq. È suddivisa in fasce
concentriche a cui è affidata una funzione ed è servita da una ferrovia perimetrale. Il piano di
Howard prevedeva la costruzione di città autogovernate dagli stessi cittadini e non dipendenti
dall’industria e dal capitale.23

“All’agglomerazione sostituiva una


dispersione pianificata, alla concentrazione
monopolistica il decentramento, alla
disorganizzazione un’unità di tipo
24
superiore”.

Un altro punto di vista decisamente


interessante è quello del lionese Tony
Garnier il quale cerca di far coincidere
l’industrializzazione con i principi del
socialismo riformista pubblicando nel 1917
“Une cité industrielle, étude pour la
construction des villes”.

Garnier decide di basare l’economia della


cité industrielle sull’industria pesante e non
sul settore agricolo.
“Gli studi di architettura che presentiamo
qui, (…), riguardano l'organizzazione di una
città nuova, la Città industriale, poiché la
maggior parte delle città nuove, che saranno
fondate d'ora in poi, saranno dovute a motivi
di ordine industriale, onde abbiamo
considerato il caso più generale. D'altra
parte in una città di questo genere tutte le
applicazioni dell'architettura possono trovar
posto a buon diritto, e vi è la possibilità di
Figura 1 Città di Letchwork 1903
esaminarle tutte”.25

23
Howard E., La città giardino del futuro, Calderoni, Bologna, 1972
24
Mumford L., La città nella storia, trad. it., Bompiani, Milano, 1981, p.640
25
Garnier T., une cité industrielle, cit. in Benevolo T., Storia dell’architettura moderna, La Terza, Bari, 2010 p.466
Figura 2 1 centro storico; 2 stazione; 3 complessi residenziali; 4 centro di servizio; 5 scuole elementari; 6 complesso delle
scuole professionali; 7 attrezzature sanitarie; 8 stazione della ferrovia urbana; 9 complesso industriale.

La città è situata su un territorio piano-collinare vicino ad un fiume ed è pensata per una popolazione
di 35.000 abitanti. Immaginata con una pianta a scacchiera e servita da un tram elettrico che collega
il centro con la periferia, dove sono situate le aziende agricole. La città di Garnier presenta elementi
molto moderni come l’utilizzo del cemento armato e del vetro negli edifici e lo stile privo di “(…)
ogni stravaganza che non sia dettata da precise esigenze di carattere rappresentativo ”26.

26
Tafuri M., Dal Co F., Architettura Contemporanea, Electa, Milano,1977, p.94
Al centro della città sulla collina vi sono un grande stadio, le scuole e il centro cittadino mentre a
sud ci sono i locali di svago. Nella pianura è situata la fabbrica principale e poco al di sopra della
stessa gli ospedali e gli ambulatori. Ogni settore è nettamente diviso dagli altri ma ogni lotto è
pensato per un eventuale espansione. Le zone residenziali sono composte da villette allineate al
reticolo stradale e per ogni costruzione è previsto che metà dello spazio assegnato sia dedicato al
verde pubblico.
Non sono previste caserme, chiese, tribunali o prigioni e questo enfatizza proprio il carattere utopico
di tale progetto legato alla visione della realtà di stampo socialista che vuole dare la massima
importanza al benessere umano.
La città industriale resterà solo su carta ma Garnier ebbe modo di applicare alcuni di questi principi
nella sua natia Lione tra il 1906 e il 1914, dove progetta e dirige i lavori del macello e del mercato
del bestiame attraverso questa ottica di “organizzazione funzionale”.

Come scrive Ragon:


“Con vent'anni di anticipo Tony Garnier definì quello che sarebbe stato lo "stile internazionale" e con
quarant'anni di anticipo stabilì quei princìpi di urbanistica che contraddistingueranno la Carta di
Atene (1943)”.27 Il pensiero proto-razionalistico di Garnier influenzerà l’operato e le teorie di uno dei
grandi maestri del ‘900: Le Corbusier.

27
Ragon T., Storia dell’architettura e dell’urbanistica moderne, vol. II, Editori riuniti, Roma, 1981, p.51
Figura 2 progetto del macello di Lione
LO SVILUPPO INARRESTABILE DELLA SOCIETA’ MECCANICISTICA: LE CORBUSIER
La città per tre milioni di abitanti
“Ogni cosa senza respiro, affannosamente, per tenere testa alla bestia. La BESTIA, la Grande Città,
è ben più forte di tutto questo; essa si sta svegliando. Cosa si inventerà domani? Occorre una linea
di condotta. Occorrono dei princìpi fondamentali di urbanistica moderna ”28. Così si esprimeva Le
Corbusier riferendosi al modello di città fordista che si basa “(…) su una sorta di reciproco impegno:
da parte delle organizzazioni dei lavoratori, a mantenere bassa la soglia del conflitto sociale,
rinunciando a progetti di carattere rivoluzionario, accettando il sistema capitalistico come scenario
condiviso in cui muoversi; da parte delle classi dirigenti nazionali, a concedere riforme che producano
effettivi miglioramenti nelle condizioni di vita dei ceti meno abbienti”29. La città contemporanea è
caotica e gremita, non assicura salute e benessere agli abitanti e per l’architetto svizzero occorre
stabilire dei principi fondamentali in materia di urbanistica moderna come:

• decongestionamento del centro


• aumento della densità abitativa
• aumento delle modalità di circolazione
• aumento della superficie piantumata
• zoning (divisione del territorio in zone)

Nel 1922 il direttore della sezione urbanistica del Salon d’Automne invita Le Corbusier a progettare
qualcosa per la mostra e così nasce “una città per tre milioni di abitanti”.

Figura 3 Pianta della Città per tre milioni di abitanti

28
Le Corbusier J. E., Maniera di pensare l’urbanistica, trad. it. Scattone G., La Terza, Roma, 2009 p.8
29
Davico L., Mela A., Le società urbane, Roma, Carocci Editore, 2005, p.59
“La pianta di Le Corbusier prevedeva un centro cittadino occupabile da 400.000 abitanti, all’interno
di 24 grattacieli alti 60 piani. Un’area aperta di 250 metri circondava ciascun grattacielo, e una zona
verde continua, equipaggiata con strutture ricreative per l’uso comune, era riservata allo sviluppo
futuro attorno a questo centro. La pianta forniva anche sei edifici con appartamenti su due piani per
600.000 persone. Questi erano disposti in una serie di strati sinuosi elevati su sistemi a palafitta.
Infine vi era uno sviluppo di città-giardino per 2 milioni di abitanti attorno alla circonferenza dello
schema”30.

La città è formata da tre corone concentriche dove al centro è collocata una stazione ferroviaria
sotterranea la cui copertura fungerà anche da aeroporto. Il progetto presenta una rigida griglia
ortogonale con grandi autostrade diagonali che connettono il territorio extraurbano con le industrie
e generano delle piazze ad esedra. Le Corbusier decide di impostare la circolazione viaria su
differenti livelli con un triplice sistema di strade sovrapposte: uno sotterraneo per il traffico pesante,
un secondo sistema a livello del terreno per il traffico urbano e un terzo costituito dalle autostrade
riservate alla circolazione rapida a senso unico.

Intorno alla stazione si dipaneranno i servizi e la “città degli affari” formata da 24 grattacieli a pianta
cruciforme di 60 piani destinati ad uffici e alberghi. Nell’anello intermedio vi sono edifici a nastro di
6 piani sia residenziali che commerciali e nella periferia invece complessi dotati di 120 alloggi
chiamati Immeuble Villas. Questi ultimi sono dotati di terrazzi-giardino, servizi comuni e magazzini
alimentari.

Figura 4 Prospettiva di un palazzo contenente 120 Immeuble Villas

30
Tzonis A., Le Corbusier: La poetica della macchina e della metafora, Milano, Rizzoli,2001, p.74
Figura 5 Pianta e sezioni della figura 4

L’idea dell’immeuble Villas nasce dalla fusione di due realtà molto lontane: le celle del monastero
certosino di Ema31 (Firenze) che l’architetto visitò nel 1907 durante la sua permanenza in Italia e il
progetto della Maison Citrohan (1920).
Quest’ultima fu “concepita come un prototipo per l’edilizia residenziale di massa. (…) Lo schema, un
prisma vero e puro, consisteva in una struttura minimale di due pareti portanti parallele, il pavimento
del soppalco e un tetto piatto che si trasformava in giardino pensile”.32
Nel progetto presentato al Salon Le Corbusier applica la nuova formula per residenze elevate
(Immeubles Villa) impilando gli elementi a due piani della Maison Citrohan per dodici piani e
sormontando il tutto con un solarium-terrazza giardino. Ogni edificio è composto dalla
sovrapposizione di queste cellule abitative che sono progettate sulla base dei caratteri fisici e
funzionali dell’uomo moderno e delle sue attività secondo una logica funzionalista e minimale. Oltre
ad essere un punto di mediazione tra la dimensione urbana e la singola realtà residenziale,
l’immeuble Villa è pensato per la replicabilità in grande scala rispecchiando il modello di produzione
taylorista 33. In tale progetto è contenuto il germe dell’unité d’habitation, corrispettivo moderno
dell’archetipo vitruviano della capanna primigenia.

Plain Voisin
Tre anni dopo, all’esposizione internazionale di Parigi, Le Corbusier presenta un progetto urbanistico
per il centro di Parigi nominato Plan Voisin che si sovrappone al tessuto urbano già presente con un
sistema di grandi strade rettilinee e l’abbattimento di una parte della rive doit della Senna (Marais,
Il Tempio e gli Archivi). In merito al suo primo progetto (La città da tre milioni di abitanti) Le Corbusier
scriverà:

31
Così afferma Le Corbusier “j’appliquerai admirablement à des maison ouvrieres” Petit J., Le Corbusier lui meme.
Genéve, 1966, Rousseau Editeur, p. 43
32
Ibidem p.44
33
Le Corbusier J. E., Urbanistica, Il Saggiatore, Milano, 2011, p. 17
“La città concentrico-radiale industriale ha fatto fallimento. Ogni cosa viene rettificata, coordinata,
migliorata ogni giorno, ma tutto a spese dell’uomo e per la sua infelicità. Le condizioni di natura
sono state abolite”34.

Le Corbusier propone un approccio decisamente pratico per facilitare la riorganizzazione del centro
della capitale francese; costruire un enorme quartiere degli affari composto da 28 edifici di 60 piani,
circondati da spazi verdi e collegati alla periferia da due autostrade larghe 120 metri. Vi si riconosce
una rigida geometria da “regime totalitario” che è già visibile nel progetto precedente.

34
Le Corbusier J., E., Maniera di pensare l’urbanistica, trad. it. Scattone G., La Terza, Roma, 2009 p.6
Scrive Marco Romano “Codesta città è ancora più concentrata delle città esistenti, ma grazie alle
grandi altezze degli edifici, lascia libero il 90% del suolo, immediatamente disponibile (…) La città di
Le Corbusier, radicalmente diversa da quella di Garnier, è rigorosamente classista: mentre gli
abitanti che gravitano attorno ai grattacieli, con i loro ristoranti e le loro boutique di lusso, vivono
accanto, circondati e protetti da una cintura verde, gli altri – presumibilmente gli operai- vivono nelle
città giardino delle periferie”35.

Solo il 5% della superficie del terreno nel centro di Parigi avrebbe dovuto essere edificato. La
maggior parte dello spazio sarebbe stato dedicato a giardini e parcheggi. Inoltre l’architetto voleva
anche costruire blocchi di edifici di una dozzina di piani nelle vicinanze per limitare il tempo di viaggio
tra l’ufficio e la casa a centinaia di migliaia di lavoratori. Questo piano mostra come “la macchina è,
per Charles-Edouard Jeanneret, lezione di perfezione e di virtualità (…) che colloca l’architetto
all’interno del processo di sviluppo tecnico-economico, in grado di “superarlo”, senza escludersi o
senza accettarne interamente la logica”36.

Nel suo pensiero “(…) il macchinismo della civiltà contemporanea personifica l’entità generatrice di
un nuovo spirito formale. Egli non si pone direttamente la domanda dei valori che acquistano i
caratteri della civiltà in relazione al macchinismo, ma evidenzia questi caratteri in una concezione
naturalistica della vita dell’uomo, organizzata dal macchinismo e assimilabile alle istanze funzionali
e involucrali che volta a volta sono precisate dalla sua poetica figurativa. Questa poetica
caratterizzata dalla giornata di ventiquattro ore, una coerenza e un valore operativo”.37

Ville Radieuse
Il processo iniziato con la Città da tre milioni di abitanti è stato implementato in piani più concreti
(Plan Voisin, Ville Vert) e si è trasformato infine nel progetto della Ville Radieuse.
Attraverso un lungo e continuo lavoro di chiarificazione per sedimentazioni successive si sviluppa
questo nuovo schema urbano ancora più universale e adatto alla produzione in serie.
È il 1930, Le Corbusier presentò a Bruxelles, nell’ambito del terzo congresso internazionale di
architettura moderna le 17 tavole della Ville Radieuse: un progetto governato dai principi di
movimento, separazione delle funzioni e applicazione delle regole igieniche38: la famosa trilogia
“aria-suono-luce”.

35
Romano M., Ascesa e declino della città europea, Cortina Raffaello, Milano, 2010, p.43
36
Gabetti R., Olmo C., Le Corbusier e l’esprit nouveau, Einaudi, Torino, 1997, p. 23
37
Samonà, G., "LE CORBUSIER ARCHITETTO E TEORICO DELL'ARCHITETTURA." Belfagor 18, no. 6 (1963): 679-94.
Accessed May 14, 2021. http://www.jstor.org/stable/26105066.
38
l'essenza stessa della città è la zona residenziale, regolata dal ritmo della giornata solare, mentre l'orientamento
degli edifici segue rigorosamente l'asse eliotermico, testimoniando così l'intensificarsi delle preoccupazioni igieniche.
Figura 6 Ville Radieuse

La Ville Radieuse attinge ad una geometria “ottusa” che mette la funzione al primo posto: “l’uomo
cammina giusto perché ha un obiettivo”39. Anche in questo progetto non vi è una pianta radiale ma
un pattern lineare a cui è riconosciuto il potenziale di espansione e adattamento efficaci a
cambiamenti sociali ed economici. La città degli affari che nel 1922 era situata al centro del piano
ora è spostata all’estremità superiore del disegno, con l’industria situata all’altra estremità. Un asse
lineare formato da una serie di edifici istituzionali, delimitati su entrambi i lati, e un altro asse
composto dalle aree residenziali fungono da fulcro del piano. Se nel Plain Voisin il fulcro non è
nettamente identificato, in questo progetto si avverte proprio la necessità di una centralità civica,
umanista: in questo periodo l’architetto ha perso la fiducia nella società capitalista a seguito del
crollo della borsa del 1929 e ha spostato parte dei suoi interessi sugli sforzi collettivi del regime
sovietico e sulla creazione di nuovi condensatori sociali come case comunali e club dei lavoratori. 40

Come si può vedere dalla Figura 7, il design di Ville Radieuse è simmetrico e il suo centro è occupato
dalla stazione da cui si dipana tutto il sistema di trasporto pubblico composto da treni,
metropolitana e tram. La parte centrale è inoltre occupata da 24 grattacieli che definiscono il centro
degli affari e hanno una pianta cruciforme di 190x190 m e una altezza di oltre 200 metri. Questi
grattacieli dovevano ospitare 500.000-800.000 persone e risolvere il problema dell’alta densità
lavorativa.

39
Le Corbusier J., Urbanistica, Il Saggiatore, Milano, 2011, p.5
40
Cohen, J.-L. (1987b). La Réponse à Moscou : aux origines de la « Ville Radieuse ». In J.-L. Cohen, Le Corbusier. La
mystique de l’URSS. Théories et projets pour Moscou 1928-1936 (pp.162-203). Bruxelles/Liège : Mardaga.
“(…) partendo da uno standard di superficie lorda per abitante pari a 14 mq vengono dimensionati
gli spazi con lo scopo di ridurre al minimo le superfici edificate, si giunge così ad ottenere il 12% del
totale di superficie coperta, con una densità fondiaria di 1000 ab/ha. Lo spazio libero da costruzioni
viene in gran parte destinato a verde”41.

Un’altra rivoluzione rispetto ai progetti precedenti è l’abbandono dell’Immeuble-Villa a favore del


blocco a redent che prevedeva delle case a schiera dal prospetto alternativamente arretrato o
allineato con il fronte stradale; tale tipologia risultava nella pratica costruttiva ancora più economica
e razionale e quindi adatta alle abitazioni di massa.

L’approccio di Le Corbusier è chiaramente di stampo taylorista con questa visione gerarchica della
città e degli edifici che la compone. L’architetto riconosce il fattore umano come elemento
imprescindibile delle dinamiche organizzative ma sempre e comunque in funzione della
meccanicizzazione del lavoro costruttivo: in fondo secondo lui la casa non è che una macchina per
abitare.

“(…) invoco la diffusione di una sensibilità moderna, di un nuovo atteggiamento che favorisca
uno spirito geometrico, uno spirito di costruzione e di sintesi. (…) si preferiscano l’esattezza,
l’ordine, il banale, il comune, il puro fatto al prodotto della febbre individualistica ”.42

41
Gabbelli P., Tecniche Urbanistiche, Carocci, Roma, 2001
42
Tzonis A., Le Corbusier: La poetica della macchina e della metafora, Rizzoli, Milano,2001, p.80
BROADACRE CITY: DAL CITTADINO DELLE CAVERNE AL NOMADE DI SPIRITO

Figura 7 Alcuni schizzi di Broadacre City

Nel 1928 l’architetto americano Frank Lloyd Wright utilizza in maniera “nuova” il termine
USONIA43, per indicare la nascita di una cultura egualitaria formatrice di una nuova forma
dispersa di civiltà che si sarebbe diffusa sul territorio americano a seguito dell’espansione e
diffusione dell’automobile privata come mezzo di trasporto democratico.

43
Acronimo di "United States of North America" coniato da Samuel Butler. Pfeiffer B.B., Usonia, in David Larkin (a
cura di), Frank Lloyd Wright: I capolavori, Rizzoli, Milano, 1993
Da tale idea nascono le usonian houses, case che prevedevano: uno sviluppo organico dello
spazio interno, il rifiuto di una tipologia pre-fissata e ispirata al detto: “per ogni uomo uno stile,
e per ogni sito un progetto conforme ”44.
Tali principi sono di chiara matrice anti-razionalistica e anti-urbanistica e verranno applicati nel
modello di Broadacre City del 1932. A seguito del crollo della borsa e delle esigue committenze
del periodo, Wright decise con l’aiuto degli studenti di Taliesin Fellowship di progettare un
modello nuovo di città che si contrapponesse all’ideale urbano taylorista. Tali principi erano già stati
esplicitati in Disappearing city dove viene dichiarata la morte della città di stile europeo:
congestionata, alienante e superficiale.

“Ho proposto un nuovo modello di città perché lo ritenevo indispensabile. L’automobile e gli altri
frutti del progresso, come il televisore, il telefono, l’illuminazione rendono invivibile la città attuale.
Per quanto ci si sforzi è impossibile conservarla. Naturalmente gli operatori immobiliari stanno
sfruttando la situazione e tentano di spremere la città fino all’ultima goccia prima che vengano
buttate via. (…) Quella è Broadacre city, (…) è stata considerata un piano comunista; è stata così
frainteso che abbiamo deciso di riportarla a casa e di aspettare. Quando l’agricoltura sarà legata
armoniosamente all’industria della nostra nazione, allora avremo ciò che io chiamo Broadacre
City”.45

I progetti utopistici di Wright mal si sposano con la forte fede dell’uomo moderno nell’industria e
nel mondo dei consumi.
“Solo nell’ambito della tradizione antropocentrica, nella quale il mondo è stato ‘sottoposto’
all’uomo, dunque ha avuto valore come suo servitore, oggetto, alimento; nel quale l’uomo, benché
creatura ha avuto valore anche come un pezzo della natura, ma come illimitato padrone di tutto il
creato fuori di lui; solo in quest’ambito si è potuta formare la scienza della natura e con essa la
tecnica e infine con essa l’industrialismo. Che l’uomo sia fine e il mondo il mezzo”.46

L’individualismo già citato da Anders è degenerato in una anestesia generale che non riconosce
nell’uomo e nel suo agire un pensiero capace di abbracciare la bellezza: una distinzione tra
personalità esteriore e individualità interiore.
L’architettura diviene quindi sintesi tra struttura e filosofia e non può non utilizzare la topografia
della natura per promuovere uno sviluppo libero della vita sia a livello pragmatico che spirituale.

F. L. Wright cit. in Canepa S., Vaudetti M., Architettura degli interni e progetto dell’abitazione. Nuove tendenze
dell’abitare, Wolters Kluwer Italia, Milano, 2015, p72
45
Intervista a Frank Lloyd Wright a cura di John Peter 1955, 1956, pubblicato da CASABELLA n.806, n.10 2011
46
Anders G., L’uomo è antiquato. II. Sulla distruzione della vita nell’epoca della terza rivoluzione industriale, trad. it.
M. A. Mori, Boringhieri, Torino 1992, pp. 404-405
Il progetto di Broadacre City si basa sull’eliminazione del confine tra città e campagna e sulla
dispersione delle funzioni urbane nell’ambiente rurale.
La “città” non presenta un centro ben definito ma vi sono vari centri distribuiti su una griglia
reticolare, raggiungibili da un efficace sistema viabilistico che crede fermamente nella mobilità
pressoché illimitata dei mezzi di trasporto individuale.
Progettata come un’area semi-urbana continua con una bassa densità abitativa e servizi raggruppati
per tipologia: la città di Wright vuole incentivare il contatto spirituale con la natura, elemento
necessario per contrastare il degrado derivato dalle concentrazioni urbane delle grandi città. Le
metropoli verrebbero progressivamente abbandonate sul piano abitativo per ridursi a luogo di
lavoro e produzione.
“La città si trasforma in una gigantesca Macchina ove il denaro ne è il cordone ombelicale che la
alimenta con la guerra e l’indifferenza. New York ne è la massima espressione, fondata in aria e con
il vertice sul terreno, dove casualmente gemmano grattacieli, le cui incombenti ombre oscurano e
reprimono il contesto, come le fredde rocce della Caverna. La Città sembra soltanto vivere; vive come
vive l’illusione”.47
Il capitalismo ha intaccato lo sviluppo urbanistico delle città tendendo, negli anni ’40-’50 del
Novecento, a svilupparsi in verticale e non in orizzontale generando un forte senso di congestione.
La città è concepita dall’architetto americano come l’unione di più organismi viventi dove le parti
collaborano ma non interferiscono le une con le altre. La caratteristica di tale metodologia
costruttiva prevede un amalgamarsi delle strutture a seconda del bisogno e dell’ambiente
circostante, riportando in auge l’individualità: intesa come libera crescita e conquista delle risorse
naturali che non devono essere combattute ma divenire parte integrante della vita umana. L’auto
adattamento pervade il progetto di Wright e questa “distribuzione integrata di vita tutta legata alla
terra compone la nuova città che abbraccerà l’intero paese. La città si trasforma in nazione” 48. La
validità di questo progetto sta nel porsi non come una frattura ma come una evoluzione naturale

47
Wright F. L., La città vivente, Einaudi, Torino, 2013 p.69
48
Ibidem
del pensiero trascendentalista che si opponeva all’utilitarismo e al meccanicismo di stampo
razionalista.

Figura 8 Pianta di una Usonian House

Ogni abitante di questa ipotetica città avrà diritto ad uno spazio minimo di un acro ove costruire la
sua casa secondo le proprie esigenze spaziali, questo gli permetterà di vivere ed esprimere a pieno
la propria individualità. Gli edifici si integreranno con l’ambiente mentre i servizi pubblici saranno
dislocati sottoterra. Ogni cittadino avrà il compito di coltivare i propri terreni e i prodotti di tali terre
verranno raccolti ogni giorno da addetti che li porteranno nei mercati comuni; le famiglie
riceveranno metà del valore del proprio raccolto una volta venduto.
A differenza del modello fordista che “pensava in termini di insediamenti a nastro (ribbon
development): un unico flusso di traffico con la gente sistemata a destra o a sinistra. Le attività
agricole erano relegate dietro le due case ai lati del nastro. Ma quello non era un piano urbanistico
ma una soluzione suburbana”.49
Le città si alimenteranno attraverso l’energia nucleare distribuita sempre dal sottosuolo così che
non “vi saranno più tralicci né per l’energia, né per i trasporti”50.
I collegamenti viari verranno serviti da autostrade a scorrimento veloce mentre le fabbriche
verranno organizzate a misura d’uomo (saranno suddivise in blocchi più piccoli), in armoniose
proporzioni con la sua nuova vita e saranno collocate a una distanza tale da rende agevole il tragitto
casa-lavoro.

49
Intervista a Frank Lloyd Wright a cura di John Peter 1955, 1956, pubblicato da CASABELLA n.806, n.10 2011
50
Wright F. L., La città vivente, 2013, Einaudi, Torino, p.32
Figura 9 Usonian House - Florida Southern College

Con questa visione Wright vuole liberare l’uomo moderno dalla morsa del capitale fondendo
l’intellettualismo occidentale con il profondo legame della natura orientale.
Il cittadino è quindi libero e padrone del proprio destino perchè non lavorerà per alimentare le “fauci
della città”51 ma solo per sé stesso e per i suoi simili.
Ne risulta perciò un modello destinato a coprire l'intero campo della progettazione e
dell'edificazione, "organico più che wrightiano (…) passibile di modifiche e rigenerazioni infinite (…)
uno spazio aperto e chiuso, universale e particolare"52.
Wright attraverso Broadacre City illustra un principio permeato di utopismo sociale, una sorta di
allegoria volta a stimolare un cambiamento in nome di una reale e tangibile esigenza urbanistica.

51
Wright F. L., La città vivente, 2013, Einaudi, Torino, cit. in saggio di Zevi, B.
52
Choay F.,"L'urbanisme -utopies et réalité"(1965) cit. Columbo V., La ricerca urbanistica, vol. 1, Giuffrè Editore,
Milano,1966, p.6
CONCLUSIONI

A partire dall’invenzione brunelleschiana della prospettiva che ha reso l’uomo misura di ogni cosa abbiamo
proseguito sempre in questa direzione. La fede legata alla scienza e al progresso ha fatto perdere all’uomo
quel legame spirituale e organico con la natura che Wright ha cercato di “recuperare”.

La città intesa come organismo urbano da Leon Battista Alberti è una città che si piega alla politica e alle
volontà dei signori illuminati: il cui interesse seppur in minima parte comunitario è ancorato ad aspetti di
rappresentanza e aumento della mole di affari. Il capitalismo che si insinua fin dal XV secolo ha condizionato
e condiziona tutt’ora l’assetto urbanistico delle città e la definizione dei luoghi del consumo comune. L’uomo
del Rinascimento acquisisce tutti gli strumenti che porteranno all’Antropocene: la volontà di potenza e di
dominio sulle cose che in urbanistica si tradurrà nel riconoscimento delle capacità trasformative nei confronti
del paesaggio e la legittimazione dello stato di diritto per cui ogni cosa deve essere costruita a “immagine e
somiglianza” della committenza.

“La situazione economica mondiale fu in Italia, particolarmente favorevole al sorgere di una nuova classe di
imprenditori dotata di forte spirito capitalistico. Fu allora che in tutte le città italiane si notò un rapido
incremento in tutti i rami dell’economia, la quale, non ostante l’opera di dissoluzione e i profondi
sconvolgimenti che avevano segnato la fine del mondo antico, poté tuttavia in molti punti riallacciarsi alla
conquista della tecnica economica romana. Poiché (…) l’economia monetaria e il credito non erano in Italia
mai del tutto cessati”53.

Il capitalismo e i principi da esso derivati prenderanno forme estetiche differenti a seconda dei secoli
successivi ma il carattere di interdipendenza tra la struttura cittadina, il ruolo del governante e i “bisogni”
economici resteranno sempre gli stessi.

La città deve essere “funzionale” sia nel XV secolo sia del XX: il problema di quest’ultimo periodo è legato ai
dettami del Movimento Moderno e dai principi della Carta di Atene del 1943 che hanno prodotto e
alimentato una periferia caratterizzata da “ separazione rigida delle funzioni, uniformità delle strutture
insediative, rigidità compositiva, dissoluzione dello spazio collettivo in favore di un generico spazio aperto nel
quale si perde la complessità strutturale e formale e insieme sociale dello spazio urbano”54.

La gerarchia dei luoghi è ordinamento sociale e anche se si “naturalizza” un determinato assetto


spaziale secondo logiche di stratificazione storica in realtà non è altro che una risultante economica
che risponde alle esigenze del capitale come la riproduzione e il profitto. Il funzionalismo di Le
Corbusier si lega alla venustas e alla utilitas albertiane nel promuovere l’utilità al ciclo di
riproduzione del capitale. Tale direzione ha spinto Le Corbusier a progettare città aventi una grande
densità abitativa ed uno sviluppo in verticale, funzionale ad uno stile di vita omologato che
aumentava l’alienazione e favoriva la razionalizzazione produttiva a discapito della realizzazione
umana. Inoltre l’architetto svizzero con la sua propensione alla semplificazione e all’abolizione del
decoro non solo ribadisce l’idea che la produzione in serie sia legittimata dal processo di
razionalizzazione e di riduzione dei prezzi delle merci ma che sia necessaria. La massa necessità di
abitazioni adeguate, ha bisogno di macchine per abitare che devono essere garantite a tutti. Se da
un lato riconosciamo un intento nobile nella progettazione in serie delle unità abitative, dall’altro
non possiamo non notare la gerarchizzazione di tali progetti: sia nella Città per tre milioni di abitanti
che nel progetto di Ville Radieuse abbiamo un centro cittadino attorniato da residenze lussuose per

53
Strieder, J. (1935). LE ORIGINI DELLO SPIRITO CAPITALISTICO NELL' ITALIA DEL RINASCIMENTO. Rivista
Internazionale Di Scienze Sociali, 6 (ANNO 43) (5), serie iii, 595-600. Retrieved May 26, 2021, from
http://www.jstor.org/stable/41631265
54
Belfiore E., Il rimodellamento dello spazio urbano. Arte e tecnica della trasformazione, Gangemi Editore, Roma,
2001, p.259
coloro che lavorano nel centro per gli affari e residenze popolari (Immeuble Villas e a Redent)
confinate all’esterno. I casermoni di cemento armato e il loro isolamento dal centro esprimono
molto chiaramente il disinteresse che Le Corbusier provava per la varietà, la complessità e
l’articolazione che caratterizzano l’architettura e l’urbanistica di ogni civiltà tradizionale. La
Venustas di Leon Battista Alberti è bene espressa nel Modulor ma questa fede cieca nei confronti
della macchina e del progresso hanno fatto perdere il contatto con la Firmitas, traducendosi in un
diniego nei confronti della coralità e dell’armonia generata dalla diversità. La città diventa lo spazio
dell’alienazione.
Tale diversità viene invece promossa dall’americano Frank Lloyd Wright che con il suo progetto di
decentramento e distribuzione della densità abitativa cercherà di recuperare quell’individualismo
che si è perso con l’avvento del capitale e della produzione di massa. Wright come Howard propende
per il decentramento del fulcro cittadino, infatti nel progetto di Broadacre City gli edifici si articolano
e si plasmano nello spazio senza un progetto standardizzato. Non tutto è semplificato e asservito
alla funzione in uno substrato indifferenziato. Wright auspica ad un nuovo modello economico e
sociale di stampo democratico i cui principi ricordano, seppure in lontananza, le idee utopiche di
Howard e delle città giardino che furono progettate per essere autogovernate e indipendenti dal
capitale. L’organicità del pensiero di Wright si scontra però con la difficile attuabilità del suo
progetto e della sua concezione urbanistica: tale modello è applicabile solo in zone molto vaste e
inoltre come osserva Benevolo “Wright non vede che a Broadacre quel che si guadagna in libertà
spaziale si perde in costrizione temporale conducendo a fissare i tempi di ogni attività”55.
L’ideale architettonico a cui ambisce Wright è sottratto dalle vicende contingenti e contemporanee
della sua epoca e si fonda su quelli che ritiene essere i bisogni permanenti dell’uomo, capaci di
resistere al divenire. Broadacre City interseca gli ideali propri di una visione Arcadica della vita56 con
l’Utopia di una società ed una natura idealizzati dall’uomo in cui si intersecano gli elementi della
modernità: l’energia nucleare, l’elettricità, la telefonia e l’automobile.
“Un cittadino di Broadacre City è un capitalista vero, non solo potenziale (…) egli prima di tutto
possiede sé stesso e può quindi scegliere e possedere, se vuole, tutto ciò che appare importante per
la sua vita”57.
I progetti qui esposti hanno un carattere utopico e possono essere considerati dei Non-Luoghi. La peculiarità
massima che li accomuna è la regolarità quasi assoluta delle loro planimetrie, della loro geometria e della
loro unità. Come sosteneva Cartesio nel “Discorso sul metodo”58, una città costruita in una volta e sulla base
di un solo progetto è migliore di un’altra costruita nel tempo senza alcun piano preciso perché l’insieme
risulterebbe disordinato. Il primato dell’ordine del pensiero utopico si dimentica dell’importanza del divenire
e del disordine stesso che è naturalmente generato dalle relazioni con il mondo. L’isolamento spaziale
concepito dall’ideale di perfezione procura uno stato di immobilità pressoché assoluta che nega l’accadere
spontaneo e naturale delle cose e non riconoscere il valore aggiunto del pluralismo di idee e di intenti,
pianificando così un non-luogo che non è soggetto alle dinamiche umane spontanee e del caso. Insomma in
questi progetti l’impronta antropocentrica genera una figura mitologica: quella dell’architetto-dio che
dispone a suo insindacabile giudizio delle modalità della vita dei fruitori delle sue creazioni.

55
Benevolo L., Storia dell'urbanistica moderna, Laterza, Bari, 1963, pag. 356
56
l'Arcadia rappresenta il risultato spontaneo della vita vissuta naturalmente, lontano dalla corruzione della civiltà.
57
Lettera inviata a Mies van der Rohe, 1937 cit. in Casabella, 2008, Volume 72, Numeri 766-767
58
Cartesio, “Discorso sul metodo”, cit. in Soleri, G. (1943). Rivista Di Filosofia Neo-Scolastica, 35(3), 205-210. Retrieved
May 26, 2021, from http://www.jstor.org/stable/43066621
Bibliografia
Alberti L., B., De pictura, III, 56, a cura di Grayson C., Laterza, Roma-Bari, 1980
Anders G., L’uomo è antiquato. II. Sulla distruzione della vita nell’epoca della terza rivoluzione
industriale, trad. it. M. A. Mori, Borighieri, Torino, 1992
Argan G.C., Fagiolo M., Il processo dell’urbanizzazione, in Storia d’Italia, vol. I, Einaudi, Torino,
1972
Baron H., La crisi del primo rinascimento italiano. Umanesimo civile e libertà repubblicana in
un’età di classicismo e tirannide, G.C. Sansoni, Firenze, 1970
Belfiore E., Il rimodellamento dello spazio urbano. Arte e tecnica della trasformazione, 2001,
Gangemi Editore, Roma, 2001
Benevolo L., Indagine su Santo Spirito di Brunelleschi, Guaralli, Rimini, 2015
Benevolo L., Storia dell'urbanistica moderna, Laterza, Bari, 1963
Cartesio, “Discorso sul metodo”, cit. in Soleri, G. (1943). Rivista Di Filosofia Neo-Scolastica, 35(3),
205-210. Retrieved May 26, 2021, from http://www.jstor.org/stable/43066621
Chastel A., Arte e Umanesimo a Firenze, Einaudi, Torino, 1964
Choay F.,"L'urbanisme -utopies et réalité"(1965) cit. Columbo V., La ricerca urbanistica, vol. 1,
Giuffrè Editore, Milano,1966
Cohen, J.-L. (1987b). La Réponse à Moscou : aux origines de la « Ville Radieuse ». In J.-L. Cohen, Le
Corbusier. La mystique de l’URSS. Théories et projets pour Moscou 1928-1936 (pp.162-203).
Bruxelles/Liège : Mardaga.
Davico L., Mela A., le società urbane, Carocci Editore, Roma, 2005
Eco U., Storia della Bellezza, Bompiani, Milano, 2007
F. L. Wright cit. in Canepa S., Vaudetti M., Architettura degli interni e progetto dell’abitazione.
Nuove tendenze dell’abitare, Wolters Kluwer Italia, Milano, 2015
Ficino M., cit. in Klibansky R., Panofsky E., Saxl F., Saturno e la Malinconia, Einaudi, Torino, 1983
Gabbelli P., Tecniche Urbanistiche, Carocci, Roma, 2001
Gabetti R., Olmo C., Le Corbusier e l’esprit nouveau, Einaudi, 1997, Torino, 1997
Garnier T., une cité industrielle, cit. in Benevolo T., Storia dell’architettura moderna, La Terza,
Bari, 2010
Guelfo M., AA. VV., Per una psicoanalisi nelle istituzioni. Pensare in gruppo, Armando Editore,
Roma,2016
Guidoni E., La bellezza delle città, Storia dell’urbanistica, Laterza, Roma-Bari, 1998
Howard E., La città giardino del futuro, Calderoni, Bologna, 1972
Kruft H., W., Le città utopiche. La città ideale fra il XV e il XVIII secolo fra utopia e realtà, La Terza,
Bari, 1990
Larkin D., (a cura di), Frank Lloyd Wright: I capolavori, 1993, Rizzoli, Milano, 1993
Le Corbusier J. E., Maniera di pensare l’urbanistica, trad. it. Scattone G., La Terza, Roma, 2009
Le Corbusier J. E., Urbanistica, Il Saggiatore, Milano, 2011
Mumford L., La città nella storia, trad. it., Bompiani, Milano,1981
Peter J. a cura di 1955, 1956, Intervista a Frank Lloyd Wright pubblicato da CASABELLA n.806, n.10,
2011
Pico della Mirandola, cit. in Garin E., Scienza e vita civile nel Rinascimento italiano, Laterza, Roma-
Bari, 1965
Platone, Settima Lettera, 325c-326b in Repubblica, tr. Sartori F., Introduzione di Vegetti M., note di
Centrone B., La Terza, Roma-Bari 2001
Ragon T., Storia dell’architettura e dell’urbanistica moderne, vol. II, Editori riuniti, Roma, 1981
Romano M., Ascesa e declino della città europea, Cortina Raffaello, Milano, 2010,
Saitta, A. (1947). CHARLES FOURIER E L'ARMONIA. Belfagor, 2(3), 272-292. Retrieved May 25,
2021, from http://www.jstor.org/stable/26040042
Salzano E., Fondamenti di urbanistica, La Terza, Roma-Bari, 2010
Samonà, G., "LE CORBUSIER ARCHITETTO E TEORICO DELL'ARCHITETTURA." Belfagor 18, no. 6
(1963): 679-94. Accessed May 14, 2021. http://www.jstor.org/stable/26105066.
Strieder, J. (1935). LE ORIGINI DELLO SPIRITO CAPITALISTICO NELL' ITALIA DEL RINASCIMENTO.
Rivista Internazionale Di Scienze Sociali, 6 (ANNO 43)(5), serie iii, 595-600. Retrieved May 26, 2021,
from http://www.jstor.org/stable/41631265
Tafuri M., Dal Co F., Architettura Contemporanea, Electa, Milano,1977
Tzonis A., Le Corbusier: La poetica della macchina e della metafora, Milano, Rizzoli,2001
Wright F. L., La città vivente, Einaudi, Torino, 2013
Zevi B., Saper vedere l’architettura, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2009

Sitografia

https://www.nove.firenze.it/a602231313-un-disegno-segreto-attribuito-a-leon-battista-alberti-
svela-il-mistero-della-citta-ideale.htm

Potrebbero piacerti anche