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Tempo e spazio

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Che cosa significa, in architettura, il termine “spazio”? Moretti risponde a questa


domanda, in modo chiaro e rigoroso, nel saggio Strutture e sequenze di spazi, contenuto
nell’ultimo numero della rivista che stiamo studiando. L’apertura formula un concetto più
volte ripreso per definire i termini che concorrono alla “visione di un’architettura”. “Una
architettura – scrive Moretti – si legge mediante i diversi aspetti della sua figura, cioè nei
termini coi quali si esprime: chiaroscuro, tessuto costruttivo, plasticità, struttura degli
spazi interni, densità e qualità delle materie, rapporti geometrici delle superfici e altri
più alieni, quali il colore, che di volta in volta possono affermarsi secondo le inafferrabili
leggi delle risonanze. Ognuno dei termini ha una tal congiunzione con gli altri che
difficilmente in quell’atto vivido, instabile, oscillante, mai identico, che è la visione di
un’architettura, è possibile quietarsi su uno solo di essi e quello solamente percorrere.
(...) Vi è però un aspetto espressivo che riassume con una latitudine così notevole il fatto
architettonico che sembra potersi assumere, anche isolatamente, con maggior tranquillità
degli altri: intendo accennare allo spazio interno e vuoto di una architettura”. Questa
spazialità interiore può essere dunque concepita “come valore speculare, simmetrico e
negativo, come una vera matrice negativa, e in quanto tale capace di riassumere insieme
sé stesso e i termini suoi opposti”, più semplicemente, è “il simbolo più ricco dell’intera
realtà architettonica”. Moretti rende omaggio a chi, prima di lui, ha puntato l’attenzione
su questo specifico carattere dell’architettura. Così, tra i nomi degli studiosi che hanno
offerto un contributo originale, troviamo anche quello di Bruno Zevi, a cui Moretti
riconosce il merito di aver colto “nitidamente la questione”. Non a caso, il lavoro di
Moretti su questo tema, compiuto attraverso appositi modelli fotografati e messi in pagina
con effetti sorprendenti, sembra teso a cercare un confronto con le pagine di Saper vedere
l’architettura, il libro che Zevi pubblica nel 1948. Tuttavia, alle matrici
dell’interpretazione zeviana dello spazio, orientata dagli scritti di Henri Focillon, Moretti
aggiunge il concetto di “sequenza”, intesa come misura delle qualità di uno spazio interno.
Le parole dell'architetto sono, come sempre, dense e illuminanti: “I legamenti fra lo
spazio interno e gli altri elementi di un’architettura – scrive Moretti – sono infiniti e
rigidissimi; basti pensare che uno spazio interno ha come superficie limite quella scorza

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Introduzione alla Storia dell'Architettura Contemporanea - ARCHCONT101
su cui si condensano e si leggono le energie e i fatti che lo consentono e lo formano e dei
quali esso spazio a sua volta genera l’esistenza. Ma i volumi interni hanno una concreta
presenza di per se stessi, indipendentemente dalla figura e corposità della materia che li
rinserra, quasi che siano formati di una sostanza rarefatta priva di energie ma
sensibilissima a riceverne. Hanno cioè delle qualità a loro proprie di cui, ritengo, se ne
palesano quattro: la forma geometrica, semplice e complessa che sia; la dimensione,
intesa come quantità di volume assoluto; la densità, in dipendenza della quantità e
distribuzione della luce che li permea; la ‘pressione’ o ‘carica energetica’, secondo la
prossimità più o meno incombente, in ciascun punto dello spazio, delle masse costruttive
liminari, delle energie ideali che da esse sprigionano”. Per rappresentare questi concetti,
Moretti costruisce una serie di modelli in gesso che, attraverso le qualità elencate,
interpretano le stereometrie interne degli spazi architettonici e ne individuano le
“sequenze nelle differenze”. In questi esperimenti possiamo cogliere la portata della
lezione di Albert Erich Brinckmann, storico dell'arte tedesco, che già nei primi anni Venti
sosteneva l’utilità dell’esecuzione di modelli degli spazi interni per comprendere il valore
delle opere architettoniche. Inoltre, possiamo notare la dimestichezza con le teorie
dell'architetto serbo Miloutine Borissaliévitch, che studia alla Sorbona e poi, dagli anni
Trenta, svolge a Parigi un’attività di prolifico e brillante saggista, nella quale troviamo
l'intuizione della visione temporale dell’architettura. Ma soprattutto, Moretti utilizza i
risultati delle ultime ricerche di Rudolf Wittkower sulle geometrie palladiane, esposte nel
seminale saggio dello storico tedesco sui Principi architettonici dell’età dell'Umanesimo.
Non è un caso, poi, che il saggio Strutture e sequenze di spazi sia seguito da una
altrettanto approfondita ricerca di Charles Conrad, estesa dall’epigrafia latina ai disegni
della tipografia cinquecentesca. Lo studio dei volumi interni compiuto da Moretti e
l’esthétique spatiale virtuelle introdotta da Conrad (artista e tipografo) nell’esame delle
antiche iscrizioni, hanno un punto di partenza comune: in entrambi i casi, la lettura dello
spazio è l’ascolto del ritmo musicale delle sue sequenze, come già Wittkower sosteneva
confrontando i rapporti albertiani e palladiani con lo sviluppo delle teorie musicali nell’età
dell’Umanesimo. Emerge in questa operazione una precisa idea della spazialità
architettonica intesa nel suo sottoporsi al meccanismo della stratificazione temporale.
Dalla Casa delle armi nella Roma fascista agli uffici dell'EUR costruiti negli anni Sessanta,
Moretti esprime il “senso del tempo”: le sue opere “narrano storie mitiche di templi e di
quotidiane, umane vicende che si sovrappongono; veri lunghi racconti, romanzi di
architettura”.

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