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Luigi Moretti (1907-1973)

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Nel Libro dell’orologio a polvere, lo scrittore e filosofo Ernst Jünger si sofferma su una
famosa incisione di Albrecht Dürer, dei primi anni del Cinquecento, che raffigura San
Gerolamo nello studio. Il santo è nella sua cella, intento a scrivere, sotto la luce del sole
filtrata da ampie finestre. Davanti allo scrittoio, in primo piano, c’è un leone, segno di
forza, addormentato; alle spalle di San Gerolamo vediamo una clessidra, che misura il
tempo del lavoro intellettuale con il lento scorrere della sabbia. “Per generazioni – scrive
Jünger – questo quadro ha esercitato il suo fascino sugli spiriti contemplativi. (...) In
effetti ancor oggi in Europa vivono e operano in condizioni analoghe molti di questi
ingegni, e davanti al quadro di Dürer a ciascuno di noi verrà in mente l’abitazione più o
meno modesta di un amico letterato o artista che il dipinto gli richiama alla memoria”.
Tra i luoghi dove hanno lavorato “questi ingegni” c’è lo studio di Luigi Walter Moretti, che
lo stesso architetto espone alla mostra “La casa abitata”, tenuta a Firenze nel 1965.
Tavoli, libri e opere d’arte antiche e moderne affollano lo spazio. Non c’è alcun orologio
a polvere, tuttavia ci piace immaginare la clessidra che ha segnato il tempo
dell'architetto; un tempo dedicato all'arte del costruire, alla ricerca che alimenta ogni
progetto. Nato nel 1907, romano di nascita e di temperamento, Moretti incarna una figura
di architetto intellettuale con lo sguardo sempre aperto verso nuovi orizzonti. Nella sua
esperienza, egli intreccia arte e architettura fin dagli esordi professionali e nel secondo
dopoguerra elabora una riflessione sull'integrazione delle diverse arti fondata sul concetto
di “unità dei linguaggi”. Moretti è consapevole che tra i diversi mondi espressivi, a fronte
di relazioni ben individuabili, permangono differenze altrettanto precise, in ragione della
specifica natura “algoritmica e chiusa” di ognuno di essi. Con questo termine,
“algoritmo”, Moretti descrive l’andamento dei valori spaziali, costruttivi, plastici e
luministici che, nel loro rapporto, costituiscono la struttura generale di un'opera, ovvero,
la “forma”, intesa come “realtà di pure interrelazioni”. In questo tessuto confluiscono
tutti i parametri (compresi quelli spirituali, sociali ed economici) ordinati e risolti
dall’autore; per Moretti il cuore segreto di un’opera è infatti specchio della natura
dell’artista, il quale prefigura, riassume e supera le tensioni del proprio tempo. Dell’arte
del passato, come anche delle ricerche contemporanee, Moretti è profondo conoscitore,

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promotore oculato e accorto collezionista. La conoscenza delle vicende storiche
dell'architettura è coltivata durante gli studi e sviluppata collaborando dopo la laurea, nel
1929, ai restauri degli antichi monumenti romani. Ma soprattutto, è una passione nutrita
dalla frequentazione quotidiana della sua città, Roma. Perché essere romano, ribadisce
Moretti, significa appartenere a Roma, al “suo modo di esistere soltanto [come] spazio”.
Spazio aggressivo nella luce, ma al tempo stesso morbido e sensuale nel caldo abbraccio
delle sue ombre. È una Roma, quella di Moretti, che si attraversa d’un fiato, anche “col
sole a piombo, nei solstizi estivi”. Non c’è distanza tra Piazza del Popolo e i Fori, tra San
Pietro e Porta Pia, perché solo i monumenti scandiscono le sequenze di spazi. Come in
una pianta piranesiana allargata a Michelangelo e i barocchi. Le immagini della storia
dell’architettura di Roma, vissute quotidianamente nel ritmo serrato dello spazio urbano,
si imprimono in modo indelebile nel pensiero di Moretti e, ogni volta, alle prese con un
progetto o con uno scritto, ricompaiono come fotogrammi, nel loro susseguirsi senza
tempo, nell’intreccio di significati, di fascinazioni tattili e visive. Per Moretti, la storia
non è una memoria del passato, ma una presenza concreta volta al disegno del futuro. E
non c’è nulla di meglio della pagina del libro o della rivista per compiere escursioni nella
storia, attualizzandone i contenuti attraverso testi e immagini. La pagina è dunque per
Moretti un ambiente, un mondo che possiede forti potenzialità liriche, uno spazio da
progettare e da vivere – come l’architettura e la città – attraverso lo svolgersi del tempo.
Nel 1950 Moretti fonda una rivista, intitolata “Spazio”, a cui lavora intensamente per tre
anni – scrivendo e impaginando – con la sola collaborazione dell’amico Agnoldomenico
Pica. Chiusa la rivista, nel 1953, l'architetto continua a pubblicare le sue riflessioni in una
serie di fascicoli, che usciranno a cadenze irregolari e tirature limitate. Nel 1968 esce il
volume 50 immagini di architetture di Luigi Moretti, stampato dall’editore De Luca di
Roma, con una prefazione di Giuseppe Ungaretti e un disegno di Giuseppe Capogrossi: è
una straordinaria sintesi dell’opera dell’architetto. Nell’elegante formato di 33 centimetri
di base per 45 di altezza, le fotografie e le relative didascalie (tutte su una sola riga)
poggiano su una base alta un terzo della pagina, vero e proprio piedistallo bianco che
sostiene la dinamica sensazione spaziale data dalle inquadrature. Qui si dipana la matassa
narrativa morettiana, messa insieme con particolarissimi punti di vista, come quello – che
è pazientemente cercato al banco ottico – perpendicolare al taglio della casa albergo di
Via Corridoni a Milano (inaugurata nel 1949), ma anche e soprattutto con le sequenze che
danno la cadenza al ritmo della visione. Ne sono esempi felicissimi le rotazioni che
coinvolgono il lettore condotto a Milano, di fronte alle immagini dell'edificio di Corso Italia

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(costruito negli anni Cinquanta), e a Washington dove, davanti all’immensità del
complesso del Watergate (opera degli anni Sessanta), lo sguardo è costretto a piegarsi fin
quasi a terra per cercare i punti di fuga prospettici e l’andamento ritmico dei lunghi
balconi. Fino a fermarsi e riposare, come nella migliore tradizione barocca, in uno scorcio
nascosto nell’ombra. Nel testo introduttivo al volume Ungaretti vola sulle ali di un lirico
commento. Il poeta scrive del “segno architettonico di Moretti”, di come questo “si radichi
nel terreno, s’immobilizzi nel cielo”, per dimostrare che “tutto sulla terra sta totalmente
facendosi nuovo”. L’arte grafica è dunque per Moretti il luogo per sperimentare e mettere
a punto questioni teoriche, riflessioni storiche, elaborazioni critiche, una vera e propria
“macchina” che sostiene i movimenti del progetto di architettura. Sulla seconda pagina
del libro c’è, in rosso, il disegno del pittore Capogrossi. Anzi, anch’esso un segno, un unico
segno ripetuto che non abbandona il proprio viaggio, nonostante i quotidiani accidenti. E
così vengono in mente i versi liberi di Allegria di naufragi del primo Ungaretti: “E subito
riprende il viaggio come dopo il naufragio un superstite lupo di mare”. Oppure, le parole
pronunciate molti anni dopo da un Moretti malato, ma comunque inarrestabile, che scrive
all'amico Gio Ponti: “Ora non potrò più riposarmi, avendo già ricominciato la lotta
quotidiana”. Quella con il suo cuore malato, finirà il 14 luglio del 1973, all'Isola di Capraia.
Ma torniamo al libro 50 immagini. Non sarà un calligramma, eppure il disegno delle parole
di Ungaretti si rivela così affine al segno rosso sangue di Capogrossi da indurre a
immaginare comunque una sorta di carme figurato, dedicato al “nome dell’architetto
Luigi Moretti”. Attraverso quest'immagine, entriamo nel gran teatro delle parole dipinte
da un grande maestro dell'architettura italiana, con segni che illustrano un mondo dove
arte e scienza si uniscono in una affascinante sintesi creativa.

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