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Thomas Hobbes (1588-1679)

Hobbes compone il De Cive (il cui titolo completo è Elementorum philosophiae sectio tertia de
cive) nel 1640 durante gli anni della guerra civile dell'esilio volontario in Francia (Hobbes è fedele
alla monarchia Stuart sotto attacco da parte delle forze rivoluzionarie) e lo pubblica ad Amsterdam
nel 1647. Le idee in esso articolate saranno perfezionate e compendiate nel capolavoro della scienza
politica moderna, il Leviatano, pubblicato nel 1651 in volgare perché accentuato, rispetto al De
Cive, è il carattere militante dell'opera.
L'autore intende fondarvi scientificamente e deduttivamente, sulla base della conoscenza del corpo
(prima sezione) e quindi della mente (seconda) umana (quello di Hobbes è infatti un rigoroso
materialismo), una concezione dello stato come sorgente unica del bene e del male, capace di
assicurare la pace ed evitare i “sentieri equivoci e oscuri della ribellione”.
Nel peculiare giusnaturalismo di Hobbes (che, a differenza di Cartesio, non intende la ragione come
la facoltà di intuire il vero ed il bene ma solo come facoltà di calcolo e dunque intende quei valori in
senso non metafisico ma convenzionale e pragmatico), la natura umana, come mostra l'esperienza, è
egoista, individualista e violenta (è l'antropologia pessimistica dell'homo homini lupus), per nulla
incline alla socialità (contrariamente al parere di Aristotele) se non perché, in virtù di una legge di
natura che la spinge alla autoconservazione, sa di poter sopravvivere solo associandosi.
Lo stato di natura infatti, ipotesi teorica che in forma impura è possibile intravedere nella
dimensione prestatale (primitivi), antistatale (rivoluzione) e interstatale (rivalità fra stati), è quello
in cui prevalgono instabilità ed insicurezza (bellum omnium contra omnes) ed in cui la
sopravvivenza individuale è costantemente sotto minaccia.
La contraddizione fra stato di natura, in cui ciascuno ha diritto (ius) a tutto contro tutti, e legge di
natura (autoconservazione) si supera abbandonando lo stato di natura per lo stato civile: facendo
tutti un patto (pactum unionis) con cui ciascuno rinuncia al proprio ius (pactum subjectionis) e
delega lo ius in omnia ad una realtà artificiale che viene così in essere, lo stato o società (pactum
societatis).
La necessità dell'abbandono dello stato di natura è dettata dalla stessa ragione che, in quest'unico
caso, è in grado di cogliere la verità perché, a differenza della natura di cui è artefice Dio, della
propria realtà psicologica o sociale è artefice l'uomo (è la teoria del verum factum che ritroveremo
in Vico).
Inoltre tale necessità consegue dal rigido materialismo e determinismo hobbesiano: nessun uomo è
libero se non di volere ciò che lo conserva (il bene, cui naturalmente inclina il suo appetito) ed
evitare ciò che lo danneggia (il male, verso cui naturalmente prova timore).
Il potere dei singoli è dunque alienato in favore del sovrano (che può essere un singolo come nella
monarchia, un gruppo come nell'aristocrazia o un'assemblea come nella democrazia nonostante
Hobbes prediliga la forma monarchica) in maniera:
-irrevocabile (una volta per tutte);
-assoluta (in modo da esser sciolta da ogni vincolo, anche della legge sia scritta che consuetudinaria
(la common law cara ai rivoluzionari inglesi);
-indivisibile (in modo da assommare il potere esecutivo, legislativo, giudiziario, economico e
poliziesco).
Per tali ragioni Hobbes chiama lo stato “Leviatano”, il mostro marino biblico, creatura terribile e
mostruosa, il cui potere è immenso ed incontrastato poiché, come viene raffigurato nel frontespizio
dell'edizione originale al testo, è dotato delle innumerevoli teste di coloro che hanno alienato in lui,
e solo in lui, il proprio potere.
L'unico diritto che i sudditi conservano è quello in virtù del quale il patto si stato originariamente
stipulato, quello alla vita. Per il resto, non esiste possibilità di ribellione alcuna perché non esistono
bene e male naturali, essendo essi solo ciò che prescrive o vieta la legge del sovrano.
Sebbene l'assolutismo hobbesiano non si spinga al controllo delle menti ed imponga un'obbedienza
solo esteriore, non esiste in Hobbes la libertà religiosa né l'autonomia della Chiesa dallo Stato, l'uico
cui spetta decidere il culto da praticare e l'interpretazione “corretta” delle Scritture.
Giusnaturalismo:
Corrente del pensiero politico nata nel XVI secolo alla quale, pur con le dovute differenze,
poossiamo ascrivere Grozio, Spinoza, Pufendorf, Locke, Rousseau e Kant. Esso sostiene che:

1) la convivenza può darsi solo dentro una cornice statuale


2) lo stato è una realtà artificiale opera della volontà umana e dunque priva di fondamento
divino
3) lo stato nasce nel passaggio da uno stato di natura ad uno civile
4) lo stato si fonda su un contratto con cui i singoli acconsentono a vincolarsi all'obbligazione
politica
5) la legge naturale ispira e sovraintende e verifica la legittimità etico-politica dello stato

Giuspositivismo:
Corrente del pensiero politico nata nel XIX secolo che identifica il diritto col diritto positivo,
ovvero quello posto da una volontà sovrana espressa in una legge ed applicato dallo Stato, piuttosto
che sulla base di un presunto ideale oggettivo di bene o giustizia cui esso nega ogni validità
teoretica. Ecco in che senso la sua origine è nel giusnaturalismo secentesco (lo stato è quella entità
artificiale creata dall'uomo sulla base del diritto al fine di assicurare la convivenza) pur
discostandosene (lo stato non ha fondamento naturale; la legge non prescrivere di compiere il bene,
che non gli preesiste, essendo questo solo ciò che la legge prescrive).

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