Sei sulla pagina 1di 43

Melloni

Rapporto
sull'analfabetismo
religioso in Italia Rapporto
a cura di
sull'analfabetismo
Alberto Melloni
religioso in Italia

Rapporto sull'analfabetismo religioso in Italia


Il «Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia», realizzato dalla Fondazione
per le Scienze Religiose Giovanni XXIII, è uno strumento che, grazie all’apporto
di giuristi, teologi, storici, sociologi, educatori, tematizza e storicizza il tema del-
l’analfabetismo religioso su scala internazionale e disegna la struttura di un’ana- a cura di
lisi critica e complessa. L’obiettivo del cantiere di ricerca, di cui questa prima
edizione del Rapporto è il frutto, è stato quello di articolare una riflessione or- Alberto Melloni
ganica su ciò che sfugge dal sistema e dai programmi scolastici e sui perché sto-
rico-teologici oltreché storico-politici di queste omissioni e lacune. Il volume,
utilizzando i linguaggi propri di ciascun ambito specialistico, ambisce a incidere
sui decisori e alimentare un salto di qualità nel dibattito dei legislatori, dei do-
centi e degli attori a vario titolo coinvolti. In Italia esistono già molte e ottime
esperienze di studio che hanno affrontato il problema con risultati diversi o par-
ziali e il Rapporto ne ha fatto tesoro per offrire una proposta più coraggiosa.
Correda il volume una sezione di mappe e infografica che arricchisce l’analisi,
trasferendo su immagini e simboli la complessità delle informazioni e dei dati
raccolti.

Alberto Melloni, ordinario di Storia del cristianesimo nell’Università di Mo-


dena e Reggio Emilia, è titolare della cattedra Unesco sul pluralismo religioso
e la pace dell’Università di Bologna ed è segretario della Fondazione per le
scienze religiose Giovanni XXIII. Ha recentemente diretto l’enciclopedia co-
stantiniana (Istituto della Enciclopedia Italiana, 2013, 3 voll.) e pubblicato i
volumi «Il Conclave. Storia dell’elezione del Papa» (Il Mulino, 2013), «Tutto
e niente. I cristiani d’Italia alla prova della storia» (Laterza, 2013) e «Quel che
resta di Dio» (Einaudi, 2013).

D 38,00

Grafica: Alberto Bernini


Istituto per le scienze religiose – Bologna
Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII

Comitato scientifico

Claus Arnold, Johann Wolfgang Goethe Universität, Frankfurt a.M.


Francesco Citti, Università di Bologna
Philippe Denis, University of KwaZulu-Natal, South Africa
Étienne Fouilloux, Université Lumière Lyon 2
Frédéric Gugelot, École des hautes études en sciences sociales, Paris
Peter Hünermann, Eberhard Karls Universität, Tübingen
Jean-Pierre Jossua, Centre Sèvres, Paris
Gaetano Lettieri, Università La Sapienza, Roma
Alberto Melloni, Fscire, Bologna
Giovanni Miccoli, Università di Trieste
Jürgen Miethke, Heildelberg Universität
John Pollard, University of Cambridge
Giuseppe Ruggieri, Fscire, Bologna
Violet Soen, Katholieke Universiteit, Leuven
Christoph Theobald, Centre Sèvres, Paris
Card. Roberto Tucci, Città del Vaticano
Ren Yanli, Chinese Academy of Social Sciences – Research Institute of World Religions,
Beijing

via San Vitale, 114 | 40125 Bologna | www.fscire.it


Rapporto
sull’analfabetismo
religioso in Italia

a cura di
Alberto Melloni

SOCIETÀ EDITRICE IL MULINO


Realizzato con il contributo di Miur e Fondazione Cariplo

I lettori che desiderano informarsi sui libri e sull’insieme delle attività della Società editrice il Mulino
possono consultare il sito Internet www.mulino.it

ISBN 978-88-15-25129-9
Copyright © 2014 by Società editrice il Mulino, Bologna. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte
di questa pubblicazione può essere fotocopiata, riprodotta, archiviata, memorizzata o trasmessa in
qualsiasi forma o mezzo – elettronico, meccanico, reprografico o digitale – se non nei termini pre-
visti dalla legge che tutela il Diritto d’Autore. Per altre informazioni si veda il sito www.mulino.it/
edizioni/fotocopie
Flavio Pajer

Scuola e università in Europa: profili evolutivi


dei saperi religiosi nella sfera educativa pubblica

1. Un’Europa moderna in preda al mal di «incultura religiosa»

Non è da oggi che il problema della cosiddetta «incultura religiosa» agita e turba,
a ragione o a torto, la coscienza degli europei. È risaputo infatti che da almeno cin-
que secoli l’«Europa cristiana» è andata escogitando espedienti rigorosi e vincolanti
per lottare contro la «minaccia» dell’ignoranza religiosa, investendo in strategie e
risorse d’ogni genere, e ricorrendo talora persino a sanzioni penali. Riforma pro-
testante e riforma cattolica avevano orchestrato le rispettive egemonie territoriali
rivendicando una riappropriazione popolare del patrimonio di fede, privilegiando da
una parte l’accesso diretto al testo biblico e al suo libero esame, e imponendo dall’al-
tra lo studio della dottrina autorizzata dal magistero, ponendo al bando non solo i
«libri proibiti» ma anche le edizioni bibliche prive di un apparato esplicativo che ne
autenticasse la canonicità. Gutenberg aveva grandemente agevolato la via a processi
dirompenti di alfabetizzazione di massa. Il libro del catechismo fu invenzione tipica,
e quanto mai tempestiva, di quel periodo. Da Lutero a Bellarmino, e ai loro rispettivi
epigoni nei secoli successivi, è stata una lunga sfida a chi offriva le formule verbali
più incisive e memorizzabili per far acquisire le nozioni del testo biblico, le verità del
credo e i precetti della morale. Tutto all’insegna di recinti confessionali ormai ben
marcati. Anche i seminari diocesani voluti dal Tridentino rientravano nella logica
della formazione di un clero più istruito che, accanto alla amministrazione rituale
dei sacramenti, potesse esercitare un più decoroso ministero della parola (sotto le
forme dell’omelia, della catechesi, delle missioni popolari, delle missioni estere, della
direzione spirituale, ecc.) in una società rurale percorsa ancora da sacche di vecchie
superstizioni, ma che, con il processo di alfabetizzazione rapidamente avviato, stava
insidiando il monopolio del sapere religioso alle élite clericali.
In buona parte del continente, la progressiva scolarizzazione delle città e delle
campagne si rivelò la strategia vincente: alfabetizzazione primaria e istruzione re-
ligiosa erano indissociabili, talmente l’una era pensata in funzione dell’altra. Dalle
Scuole della dottrina cristiana nella Lombardia di Borromeo alla Panpaedia e alla
Didactica Magna del vescovo moravo Jan Amos Komensky, dalla fioritura di decine
di congregazioni religiose insegnanti nei paesi cattolici alla intensa proliferazione di
60 Flavio Pajer

scuole popolari in tutta l’area anglo-sassone e scandinava, le società europee dell’e-


poca preindustriale hanno imparato l’alfabeto insieme al catechismo, anzi più spesso
attraverso il catechismo1.
È fin troppo banale rievocare poi come la stagione laica dei Lumi – dalla versio-
ne francese della Encyclopédie a quella tedesca dell’Aufklärung – abbia spinto le chiese
cristiane d’Europa a inseguire paradossalmente, pur volendo tatticamente combat-
terlo, l’imperativo etico dell’autonomia della ragione (all’insegna del kantiano sàpere
aude), portando così l’esercizio della ragione deista fin dentro la volgarizzazione dei
simboli e dei testi della tradizione biblico-cristiana. Al prete filosofo Rosmini, che
deplora tra le piaghe della chiesa romana l’insufficiente istruzione del clero, o al bri-
tannico cardinale John Newman del Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana, fanno
eco, ad esempio, le iniziative pedagogiche del teologo danese Nikolai Grundtvig,
fecondo scrittore luterano e fondatore della prima scuola superiore per l’educazione
degli adulti, innovazione che ebbe poi largo sèguito nel moderno imprinting educati-
vo di tutto il Nord scandinavo.
Esiste poi un’ampia letteratura di chiesa agli inizi del Novecento, tutta tesa a
esorcizzare il popolo cristiano, specialmente cattolico, dall’ignoranza religiosa. La ca-
techesi del tempo, fino alle soglie del Vaticano II, sembra tutta finalizzata a vincere
l’ignoranza delle verità religiose, percepita come la causa prima dell’allontanamento

1
  Solo qualche dato esemplificativo: quando Lutero scriveva l’opera Ai consiglieri di tutte le città della
Germania sul dovere di istruire e mantenere scuole cristiane (1524), il Wüttemberg contava tre scuole, nel 1559
ne aveva ottanta, nel 1600 quattrocento. In Polonia, già sul finire del XVI secolo, esisteva una scuola
parrocchiale ogni 1.300 abitanti. In Francia, dopo il 1650, entrava in vigore la norma che imponeva il
catechismo come dovere grave dei parroci e dei genitori. In quel clima nasceva il movimento gianse-
nista delle Petites écoles di Port Royal, mentre il canonico Jean-Baptiste de La Salle fondava la Società
dei Fratelli delle scuole cristiane, religiosi non sacerdoti dediti all’insegnamento profano di base (il
classico «saper leggere, scrivere e far di conto»), ma i cui programmi comprendevano l’obbligo di forti
dosi quotidiane di «dottrina e morale». In Svezia e in Finlandia vigeva l’uso di partecipare una volta
all’anno alla verifica della conoscenza della Bibbia: l’adulto che non superava l’esame non poteva rice-
vere l’eucaristia né sposarsi. In Inghilterra una delle prime conquiste della Riforma fu la produzione e
distribuzione di una Bibbia in volgare, libro che non mancava mai nelle famiglie. A scuola il bambino
inglese disponeva di un abbecedario su cui erano impressi l’alfabeto, le sillabe di base e il Padre nostro
in lingua volgare; passava poi a studiare su un sussidiario che conteneva il Credo, i dieci comandamenti
e brevi esercizi catechistici sui fondamenti della fede, e disponeva anche di un libretto con preghiere
e versioni metriche dei Salmi. Credo, morale, sacramenti e il Padre nostro sono rimasti per secoli il
classico contenuto dei catechismi cattolici, strutturati a domande-risposte e destinati all’apprendimen-
to mnemonico. In breve, in ogni angolo d’Europa, Bibbia e catechismo costituivano l’ossatura del
curriculum elementare; si potrebbe dire che fungessero da grammatica della prima alfabetizzazione
e del successivo sapere scolastico. Afferma uno storico dell’educazione moderna: «Il catechismo era
centrale nell’esperienza educativa elementare dei giovani. La sua conoscenza era il risultato atteso
dell’avviamento controllato alla alfabetizzazione elementare. L’insegnamento del catechismo divenne
presto il modo corrente di indottrinamento religioso dei giovani. La frequenza della lettura e della
recitazione delle sue formule veniva stabilita dai regolamenti scolastici e dalle norme ecclesiastiche.
L’enfasi posta sulla cultura catechistica si rivela in modi diversi, ma soprattutto nella centralità del suo
ruolo nell’esperienza scolastica» (H.J. Graff, Storia dell’alfabetizzazione occidentale. L’età moderna, Bologna
1991, p. 74; ed. or. The Legacies of Literacy. Continuities and Contradictions in Western Culture and Society,
Bloomington-Indianapolis 1987). In tema di lotta all’ignoranza religiosa nell’Europa moderna, si veda
J. Delumeau, Cristianità e cristianizzazione. Un itinerario storico, Casale Monferrato 1983, spec. il cap. VI,
Ignoranza religiosa, mentalità magica e cristianizzazione, pp. 135-161.
Scuola e università in Europa 61

dalla fede e della corruzione dei costumi. È la conoscenza religiosa che fa i buoni
cristiani; è l’ignoranza che li perde. È il retto credere – o più precisamente il corretto
conoscere gli articoli del credere – che sta a condizione e garanzia di un retto agire.
Gli stessi risultati della catechesi venivano valutati in base ai livelli di conoscenza
delle nozioni religiose apprese, conoscenza che – come hanno confermato indagini
storiche2 – restava però il più delle volte letterale o mnemonica più che accedere
a una comprensione ragionata. Persino un’enciclica di papa Pio X si era fatta eco
delle diffuse lamentele di tanti vescovi e parroci che deploravano in coro l’incultura
religiosa dei propri fedeli3, e ancora trent’anni dopo, un decreto vaticano4 tornava
sull’argomento riaffermando che «ciò che ogni cristiano deve necessariamente co-
noscere è rinchiuso, in forma esatta e appropriata, nell’insegnamento catechistico».
Ma non è questo il luogo per attardarmi oltre su questi squarci di sfondo storico.
Li ho voluti qui appena richiamare allusivamente al solo scopo di situare meglio la
continuità, ma anche e soprattutto le svolte e fratture dei diversi ruoli cui l’istruzione
religiosa è stata chiamata ad assolvere nel passato più recente e che ancora tenta di
assolvere nell’Europa d’oggi, ma ovviamente in condizioni socioculturali e su basi
antropologiche ed epistemiche indubbiamente inedite rispetto a ieri.
Ancora un paio di avvertenze, in premessa. La prima è geografica: parlando
qui di educazione-istruzione religiosa in un orizzonte europeo, intendo abbracciare
non solo il perimetro dell’attuale Unione europea, ma la più ampia area dei 47 paesi
membri del Consiglio d’Europa. E ciò a motivo della competenza e autorevolezza
che questo organismo sovranazionale (nato nel 1949), a differenza dell’Ue, rivendica
nel campo specifico delle politiche culturali ed educative del continente. Nel seguito
dell’analisi si vedrà infatti come specialmente negli anni più recenti stiano partendo
proprio dal Consiglio d’Europa – e da organismi specifici ad esso connessi – diverse
iniziative atte a propiziare nell’incalzante pluralismo della scuola pubblica la cono-
scenza reciproca tra etnie e culture, tra religioni e spiritualità. La seconda avvertenza
riguarda il binomio scuola-università che compare nel titolo. È una chiara scelta limi-
tativa del campo di osservazione. L’analisi verte qui sul sistema integrato dell’istru-
zione primaria, secondaria e superiore, inteso come spazio pubblico, democratico e
pluralista, come luogo dell’insegnamento-apprendimento dei saperi formali, incluso
il sapere religioso, pur sapendo che ben altri e non meno influenti sono i luoghi
formali e informali che in Europa (come altrove) producono «cultura religiosa», ed
eventualmente relative forme di incultura o analfabetismo religioso: in primo luo-

2
 P. Braido, Lineamenti di storia della catechesi e dei catechismi, Leumann 1991, pp. 379-383; L. Nor-
dera, Il Catechismo di Pio X. Per una storia della catechesi in Italia (1896-1916), Roma 1988, pp. 461-465; M.
Castro, Le temps des catéchismes, in «Mélanges de science religieuse», 69, 2 (2012), pp. 17-31; J. Molina-
rio, Le catéchisme, une invention moderne. De Luther à Benoît XVI, Paris 2013, pp. 89-107.
3
  «A Noi sembra dover convenire con coloro che ripongono nell’ignoranza delle cose divine la
radice precipua dell’odierno rilassamento e quasi insensibilità degli animi, e dei gravissimi mali che
ne derivano […]. E che infatti fra i cristiani dei nostri giorni siano moltissimi quelli i quali vivono in
una estrema ignoranza delle cose necessarie a sapersi per la eterna salute, è lamento oggi comune, e
lamento giustissimo!» (Pio X, enciclica Acerbo nimis, 15 aprile 1905, in Enchiridion delle Encicliche, Bolo-
gna 1998, vol. 4, pp. 107-108).
4
 Decreto Provido sane concilio della Congregazione del Concilio, 12 gennaio 1935, in «Acta Apo-
stolicae Sedis», 27 (1935), pp. 145 ss.
62 Flavio Pajer

go, i processi di iniziazione e di catechesi propri alle organizzazioni religiose, dalle


grandi chiese storiche alle nuove comunità di recente insediamento, fino alla miriade
di movimenti e gruppuscoli di ogni tendenza e militanza; e senza dimenticare ovvia-
mente i grandi e piccoli media e i vari social network, notoriamente efficaci non solo
nel proporre informazione e controinformazione religiosa, ma nel trasformare habi-
tus mentali e procedurali nell’accesso e consumo del prodotto religioso. Scegliendo
qui la modalità scolastico-accademica di far cultura religiosa si intende privilegiare
uno dei canali istituzionali più qualificati dell’alfabetizzazione pubblica moderna.

2. Tre paradigmi in uno scenario in evoluzione

Dando oggi uno sguardo globale al mosaico molto frastagliato dei sistemi edu-
cativi nazionali vigenti in Europa, e alle relative modalità di istruzione religiosa5, non
si possono non sottolineare due dati di fatto a prima vista sorprendenti:
– primo, l’immancabile presenza di una qualche forma di insegnamento reli-
gioso in tutti i sistemi educativi, sia esso obbligatorio, opzionale o facoltativo, con-
fessionale o multireligioso, curricolare o paracurricolare, biblico o coranico o etico,
gestito da una chiesa o dall’autorità scolastica o di comune accordo… Non fanno
eccezione nemmeno i paesi a regime separatista o quelli di più pronunciata secola-
rizzazione. Semmai proprie in queste aree, l’aver occultato nel passato la dimensione
pubblica del religioso provoca oggi un rigurgito più acceso di tale problematica in
seno all’educazione scolastica, sia in termini di ristrutturazione post-confessionale
dei corsi di religione confessionale precedentemente esistenti (Belgio, Austria, Olan-
da), sia in termini di accensione di nuovi corsi vertenti sull’esplorazione oggettiva
del multiforme fenomeno religioso (paesi scandinavi), sia sotto forma di verifica-
aggiornamento dei contenuti culturali delle discipline profane dal punto di vista
delle scienze religiose (Francia);
– secondo, l’estrema diversità delle forme dell’offerta conoscitiva e formativa
in materia di istruzione religiosa. Diversità che si radica anzitutto nello specifico
della storia religiosa dei singoli paesi europei; paesi democratici che ancor oggi si
riconoscono più o meno affiliati all’ethos dell’una o dell’altra delle grandi tradizioni
confessionali cristiane, ciascuna delle quali a sua volta, come si sa, si è sviluppata in
sintonia e sul sedimento del genio proprio di particolari culture regionali come il
cattolicesimo romano nella cultura latino-mediterranea, l’ortodossia nell’area slavo-
bizantina, il protestantesimo nell’area anglo-sassone e scandinava… Ma la diversità
di insegnamenti religiosi è dovuta anche ad altri fattori strutturali: ai distinti sistemi
di rapporti istituzionali instauratisi tra Stato e organizzazioni religiose riconosciute
(regimi di connivenza storica, di collaborazione negoziata, di separazione), ai tipi di
gestione amministrativa delle scuole (potere centrale o delega ai poteri locali, regimi
di insegnamento libero o monopolio di Stato, ecc.), alla presenza o meno degli studi
teologici o storico-religiosi superiori nell’università pubblica; per non parlare di al-

5
  Nella bibliografia in calce al contributo è indicata una selezione di indagini empiriche che
rendono conto, spesso Stato per Stato, delle variegate situazioni del rapporto scuola-religione sotto
l’aspetto storico, giuridico, organizzativo, pedagogico.
Scuola e università in Europa 63

tri fattori congiunturali sempre possibili (alternanza dei governi, ricorrenti riforme
ministeriali del sistema educativo, mobilità e riconfigurazione etnico-culturale della
popolazione scolastica, dibattiti pubblici in materia etico-religiosa, e così via), cir-
costanze tutte che di fatto possono incidere, con effetti ambivalenti, sull’evoluzione
dei principi teorici e dell’assetto pratico degli insegnamenti di religione.
Quanto dire, insomma, che l’Europa dell’istruzione religiosa è tutt’altro che ri-
ducibile ad un unico profilo, ad una definizione concettuale unitaria e onnicompren-
siva, che permetta di parlare indifferentemente della religious education o dei religious
studies inglesi allo stesso modo del Religionsunterricht tedesco, o che legga la singolare
figura dell’enseignement des faits religieux della scuola francese con le stesse categorie
con cui si designa l’insegnamento concordatario della religione inteso all’italiana
o alla spagnola. L’ampiezza semantica dei presupposti (storici, giuridici, teologici,
epistemologici ecc.) che legittimano i curricoli scolastici in materia di religione varia
da una frontiera all’altra e spesso anche all’interno di uno stesso territorio naziona-
le, là dove, per esempio, la politica educativa, anziché sopravvivere arroccata su un
arcaico centralismo statale di stile napoleonico, è gestita in parte e con ragionevole
autonomia dalle diverse comunità linguistiche (come in Belgio), dalle autorità regio-
nali e provinciali (come nei Länder tedeschi, nelle contee inglesi, o nelle autonomías
spagnole), o dai singoli dipartimenti cantonali (come nella Confederazione svizze-
ra). Soprattutto quando si tratta di gestire pubblicamente la diversità religiosa su
un territorio, e di gestirla in tempi di rapidi mutamenti, tanto appare necessario un
quadro legislativo nazionale di sicuro riferimento normativo e di garanzia per tutte
le identità, altrettanto appare utile e funzionale disporre localmente di agili stru-
menti applicativi capaci di adeguarsi pragmaticamente e celermente alle esigenze
specifiche del contesto regionale. Il caso della scuola è sintomatico: là dove parte
del potere decisionale in materia scolastica è delegato dal ministero centrale alle
autorità locali delle contee, dei Länder, dei cantoni, ecc., non solo riesce agevolato
l’iter per introdurre tempestive innovazioni di programmi, reclutare insegnanti, atti-
vare sperimentazioni e verificarne gli esiti, ma il principio di sussidiarietà, applicato
alla gestione dell’istruzione religiosa, può suggerire scelte strategiche discrezionali
immediatamente risolutive, a differenza della pesantezza burocratica dei sistemi cen-
trali come quelli concordatari…
Per evitare allora una lettura frammentaria del «caso per caso», s’impone il con-
sueto ricorso a un’approssimazione tipologica, che possa in qualche modo coagulare
in pochi ideal-tipi le variegate casistiche nazionali. Potremmo chiamare paradigmi
(alla scuola di Thomas Kuhn) i raggruppamenti di diverse figure nazionali o subna-
zionali di insegnamento religioso, individuate per affinità/differenza o per conti-
nuità/frattura di strutture portanti, di presupposti ideologici ed epistemologici, di
profili disciplinari, di approcci metodologici, di criteri di valutazione, e così via. Ne
risultano così, in estrema semplificazione, tre paradigmi contigui (si veda la tabella
a pagina seguente), assimilabili – e nel contempo distinguibili – attraverso una serie
articolata di componenti strutturali.
Prima di passare a delinearne il profilo complessivo, è opportuno ribadire, a
scanso di equivoci, che questi tre paradigmi non vanno intesi come mondi separati,
esclusivi l’un dell’altro: di fatto, coesistono e convivono in contemporanea sullo
scacchiere frastagliato del continente europeo; in parte si sovrappongono e si spal-
Scuola e università in Europa 65

leggiano, se non sul piano delle legittimazioni giuridiche, sul piano dei macropro-
cessi educativi, dei contenuti a volte magmatici dei curricoli, della didattica speri-
mentale degli insegnanti. Ma va pure notato che questi tre paradigmi sono andati
emergendo cronologicamente un dopo l’altro nell’evoluzione socio-religiosa delle
nazioni europee, dei sistemi educativi e dei rispettivi modelli di istruzione religiosa
degli ultimi cinque-sei decenni. La comparsa di un nuovo paradigma non annulla
però il paradigma precedente, semmai lo calamita entro una nuova logica educativa,
lasciandone cadere gli aspetti incompatibili o anacronistici; il paradigma primitivo,
forte del suo collaudo storico, resiste nel suo nocciolo duro ma nel contempo può
anche in parte amalgamarsi tatticamente con alcune delle novità emergenti, le quali
invece diventeranno il punto di gravità dei paradigmi successivi. La tabella sinottica
allegata vuol dare solo una prima idea sommaria sia delle tappe dell’emergere crono-
logico, sia della parziale contemporaneità e coabitazione dei tre paradigmi. In pratica
la transizione da un paradigma all’altro non solo non avviene quasi mai interamente
e simultaneamente all’interno dei singoli paesi e tanto meno nell’insieme del conti-
nente, ma si verificano facili e comprensibili coabitazioni parziali di un paradigma
con gli altri due, al punto che tanti dibattiti e conflitti del recente passato e di oggi
sulla questione della scuola di religione possono essere interpretati proprio come
segnali rivelatori di tali riposizionamenti o transizioni da un modello all’altro.
In prima approssimazione, diciamo che i tre paradigmi corrispondono tenden-
zialmente a una triplice polarizzazione strutturale degli insegnamenti pubblici in
materia di religione:
– anzitutto, una polarizzazione sulla trasmissione del patrimonio dottrinale e
morale di una data confessione cristiana storicamente prevalente in un dato paese;
polarizzazione che si verifica quando e fintantoché una società civile permane cul-
turalmente omogenea con la sua tradizione religiosa; qui autorità civili e religiose
della/delle chiese definiscono, solitamente mediante accordi politico-diplomatici, il
profilo giuridico, pedagogico e amministrativo del corso di religione monoconfes-
sionale e del suo insegnante titolare. È il paradigma 1 (P1), che chiamiamo politico-
concordatario, comprensivo non solo degli insegnamenti a base legale propriamente
concordataria, ma anche dei non pochi insegnamenti a base legale costituzionale,
che abbisognano comunque dell’accordo con le chiese quanto a definizione dei pro-
grammi e preparazione degli insegnanti; senza dimenticare che anche gli insegna-
menti religiosi della complessa rete delle scuole libere o di tendenza (cristiane e non)
rientrano ovviamente nella medesima prospettiva dell’educazione religiosa confes-
sionale, controllata dalle rispettive autorità religiose;
– una polarizzazione, poi, sui requisiti disciplinari di un «formato» propriamen-
te scolastico della cultura religiosa in quanto materia del curricolo (P2), nel senso
che la scuola pubblica – sospinta a perseguire capacità e competenze funzionali a
una società europea che ama autoproclamarsi «società della conoscenza»6 – tende
a fungere sempre più come un selettore epistemologico del sapere religioso, delle sue

  Commissione europea, Libro bianco. Insegnare e apprendere verso una società conoscitiva, a cura di E.
6

Cresson e P. Flynn, 1993, p. 64, consultabile all’indirizzo http://db.formez.it/storicofontinor.nsf


/5971799ceff07e14c1256c7f005700cb/F0B248D53172DE80C1256CC20052095F/$file/libro%20
bianco%20commissione%20europea.PDF.
66 Flavio Pajer

finalità educative, delle metodologie didattiche; qui l’istruzione religiosa, per poter
armonizzarsi nel curricolo comune delle altre discipline, è spinta a conformarsi più
alle esigenze accademiche delle scienze avalutative della religione che non restare di-
pendente dai vincoli dell’ortodossia imposti dalle scienze teologiche valutative delle
chiese (come nel P1); in altre parole, il sapere religioso, per aver titolo di dignità di-
sciplinare nella sfera pubblica e democratica, non ha bisogno di rinnegare l’identità
epistemologica del modello concordatario, ma la assume entro l’orizzonte del più
vasto fenomeno religioso universale, e in un’ottica di lettura oggettiva e compara-
tiva che, tra l’altro, non può non tornare a vantaggio anche dell’alunno credente
che vive ormai in contesto pluralistico. Tale transizione non avviene senza assodare
alcune previe inevitabili distinzioni concettuali e operative, come quelle tra fede e
religione, tra ruolo pastorale della comunità credente e competenze culturali della
scuola pubblica, tra l’insegnante-testimone incaricato per idoneità dalla sua chiesa
e l’insegnante-professionista assunto per competenza e concorso dalla amministra-
zione scolastica;
– una terza polarizzazione, infine, è quella prodotta dall’acuirsi attuale di una
emergenza educativa inedita nelle società europee diventate «post-cristiane» ma nel
contempo anche multietniche e multireligiose, con l’evidente temuta fragilizzazio-
ne del tessuto sociale sottoposto a rischio di smembramento in forza delle diverse
e talora opposte appartenenze identitarie, qualora queste dovessero svilupparsi in
contesti amorfi, indifferenti o ostili al portato simbolico delle nuove culture: è la
stagione – specie da un ventennio a questa parte – in cui le agenzie educative nazio-
nali (ministeri della Pubblica istruzione) e sovranazionali (organismi del Consiglio
d’Europa) fanno appello allo studio «laico» del fatto religioso non più o non tanto
per garantire la trasmissione di un patrimonio di dottrine etico-religiose (P1) né
solo per assicurare una cultura religiosa omologa alle discipline curricolari e capace
di interloquire alla pari con esse (P2), ma per cooperare a elaborare – nella logica
universale dei diritti umani e mediante una pedagogia dell’intercultura – una tavola
di valori comuni e condivisi in vista di abilitare alla cosiddetta «nuova cittadinanza
europea» (P3), da diverse parti auspicata, ma che è ancora in via di collaudo in molti
ambienti della socializzazione pubblica.
Come già detto, nessuno di questi paradigmi esiste allo stato puro, né in prospet-
tiva diacronica, né in quella sincronica. Se infatti è innegabile una certa successione
cronologica che vede evolvere il carattere confessionale del P1 al transconfessionale
del P2, e da questo al transreligioso del P3, è altrettanto plausibile la permanente at-
tualità di insegnamenti confessionali locali, nonostante si siano imposti nel frattem-
po sullo scenario europeo insegnamenti del secondo e del terzo tipo. Comprensibile
poi che le politiche educative e le riforme non camminino alla stessa velocità nei
vari paesi, caratterizzati come sono, dal basso, da diversi tassi di secolarizzazione e
dall’erosione delle maggioranze religiose da parte di minoranze più o meno aggres-
sive, e dall’alto dal gioco imprevedibile dei rapporti, spesso in fibrillazione, tra poteri
politici, accademici e religiosi. Visti in un’ottica geografica, i tre paradigmi sono
abbastanza facilmente abbinabili a determinate aree culturali-confessionali del con-
tinente, ma si farebbe torto alla realtà di fatto se non si riconoscessero reciproche e
progressive contaminazioni da una frontiera nazionale all’altra, da un’area confessio-
nale all’altra, o anche da un sistema didattico a un altro (per esempio, da un modello
Scuola e università in Europa 67

inglese di interfaith religious education a uno belga o tedesco di etica non confessionale,
o da questi al profilo dell’insegnamento concordatario rinnovato).
Per meglio intravvedere la logica di queste contaminazioni – che oltretutto si
iscrivono anche nel vasto processo di spontanea «europeizzazione» di tutta l’edu-
cazione pubblica, al seguito dell’analogo Bologna Process relativo all’educazione
superiore – converrà dapprima delineare in termini più analitici il profilo di ciascun
paradigma, per procedere poi a qualche riflessione trasversale e comparativa.

3. Quando l’istruzione religiosa è regolata dall’alleanza tra poteri istituzionali

In origine fu la religione di Stato. I moderni Stati europei fin dal loro nascere
hanno introdotto e generalizzato la scuola primaria obbligatoria. Una necessità di
prim’ordine per le società di tre-quattro secoli fa, ancora in gran parte analfabete, ma
anche uno strumento potente in mano all’autorità statale per garantirsi l’adesione
e la coesione delle nascenti società civili attorno a un basilare ethos comune. Ecco
perché accanto all’insegnamento della lingua e della storia nazionale, non mancava
nei programmi di scuola l’insegnamento della religione natìa, assunta naturalmente
nella specifica declinazione confessionale del paese (in ossequio al noto principio
cuius regio eius et religio), al punto che quell’insegnamento religioso fungeva spesso an-
che da catechesi pubblica, sostitutiva o almeno integrativa di quella parrocchiale. Ciò
contribuiva a saldare nella stragrande maggioranza degli alunni europei una identità
civile e insieme religiosa. Non che l’«insegnare a credere» fosse di competenza di-
retta della scuola pubblica, ma questa si incaricava almeno di tener unito l’apprendi-
mento dei saperi scolastici con la loro naturale matrice storico-etico-religiosa. Que-
sta saldatura tra sacro e profano si è formalizzata più tardi in molti stati mediante
l’istituto del concordato7. Finché, come si sa, democratizzazione, decolonizzazione,
secolarizzazione, globalizzazione, e da ultimo la dilagante multireligiosità, non han-
no finito per erodere via via gli argini di quella complicità strumentale tra il credere
e il sapere, tra la fede e il sapere della fede. Finché – e siamo all’oggi – l’Europa non
si è scoperta post-cristiana, tacciata di «apostasia» (lo affermano i vescovi europei in
un documento vaticano), diventata quasi immemore della propria singolare genealo-
gia culturale, restìa persino ad ammettere nella sua carta costituzionale la tradizione
ebraico-cristiana nel novero delle sue radici storiche etico-culturali.
Sta di fatto che la maggior parte degli Stati europei è passata attraverso l’espe-
rienza di una «chiesa di Stato» nel periodo dell’assolutismo del Sei-Settecento8. In
epoca più recente e fino ad oggi si distinguono sostanzialmente tre sistemi di rap-

7
  Si ricorderà come nel caso italiano, emblematico ma non unico in Europa, «l’insegnamento
della dottrina cristiana secondo la formula ricevuta dalla tradizione cattolica» fosse considerato nien-
temeno che «fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica», definizione sancita dall’art. 36 del
concordato del 1929, e attenuata solo in parte dalla revisione del 1984, che rilegittima lo studio della
religione cattolica, riconoscendo «che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico
del popolo italiano» (art. 9,2 della l. 25 marzo 1985, n. 121). Si veda in proposito il contributo di V.
Pacillo in questo Rapporto.
8
  Cfr. S. Ferrari, Religione, nazionalismo, diritti umani e globalizzazione, in «Coscienza e libertà», 35,
46 (2012), pp. 10-20.
68 Flavio Pajer

porto tra il potere statale-nazionale e quello religioso-confessionale: il primo rag-


gruppa le figure di chiese di Stato o di «confessioni privilegiate», in cui il legame della
tradizione religiosa si confonde con la stessa genesi storica della nazione, come nel
caso dell’Inghilterra, della Danimarca, della Svezia9, della Finlandia, della Grecia e
in genere dei paesi ortodossi. Il secondo sistema, all’opposto, è quello che sancisce
una separazione più o meno rigida tra Stato e chiese, con i casi della Francia (ad ec-
cezione dei dipartimenti dell’Alsazia-Lorena), dell’Olanda, della Slovenia e, in forma
più blanda, dell’Irlanda. Il terzo modello, intermedio e il più numeroso10, raggruppa
quegli Stati che hanno sottoscritto un contratto di reciproca autonomia e al tem-
po stesso di collaborazione in quelle cosiddette «materie miste» – tra cui, appunto,
l’istruzione religiosa nelle scuole –, dove l’una e l’altra autorità avanzano interessi
comuni, specifiche competenze, e assicurano reciproche garanzie11.
In ognuno di questi sistemi, specie nel primo12 e nel terzo, l’istruzione religiosa
scolastica ha collaudato ovviamente diversi modus vivendi in epoche passate (in tempo
di fascismo, nazismo, franchismo, salazarismo, ecc.), li ha poi superati con l’ingresso
delle rispettive società in regime democratico, ma non cessa tuttora di cercare altri
accomodamenti per garantirsi la continuità di una presenza plausibile della religione
nell’educazione pubblica. La recente revisione dei diversi concordati nei paesi occi-
dentali documenta un timido ma innegabile e doveroso cambio di prospettiva giuri-
dica e pedagogica sulle ragioni di principio e sulle modalità pratiche della presenza
della religione nella scuola.
Perché non era più sostenibile il modello di istruzione religiosa tradizionale nei vec-
chi sistemi concordatari? Le valutazioni degli analisti di quella stagione concordano sul
collasso dell’insegnamento «kerigmatico» impartito a scuola, adducendo diverse ragioni:

9
  Dall’anno 2000 è sta formalizzata ufficialmente la separazione della chiesa di Svezia dallo Stato;
d’altronde la società svedese, come le contigue, conosce tassi di secolarizzazione tra i più elevati in
Europa (la pratica religiosa domenicale è stimata al 2%; solo il 35% degli adolescenti fa la cresima,
quando nel 1970 erano ancora l’80%…).
10
  Paesi occidentali a regime concordatario (con data della prima firma e data della/delle succes-
sive revisioni): Italia (1929, 1984), Austria (1933, 1960, 1976), Germania (1933, e successivi accordi
regionali 1967-1974), Spagna (1953, 1979), Portogallo (1940, 2004), Malta (1989). Paesi baltici: Estonia
(1999), Lettonia (1927, 2000), Lituania (1927, 2000), Polonia (1925, 1993). Paesi danubiani: Unghe-
ria (1990), Slovacchia (2002), Repubblica Ceca (2002), Slovenia (2001). Paesi balcani: Albania (2007),
Bosnia-Erzegovina (2007), Croazia (1998).
11
  Cfr. C. Corral Salvador, La garantía de la enseñanza de la religión en los Estados concordatarios de
Europa, in «Estudios Eclesiásticos», 343, 87 (2012), pp. 759-771.
12
  Giova ricordare, nel caso dei paesi scandinavi, che il tradizionale statuto di «chiesa di Stato»
riconosciuto alla chiesa luterana evangelica non comporta ipso facto una posizione di privilegio dell’in-
segnamento religioso evangelico. In Danimarca, con la riforma scolastica del 1993, l’insegnamento
religioso (detto «Studi cristiani»), pur partendo dal contesto storico della tradizione cristiana e dai
suoi documenti biblici e post-biblici, si apre alla conoscenza di «altre visioni del mondo e altre scelte
esistenziali» e ha come obiettivo prioritario quello di far «prendere coscienza all’alunno dell’impor-
tanza della dimensione religiosa per l’individuo e per i suoi rapporti con chi ha diversa appartenenza
ideologica religiosa». In Finlandia la legge assicura il diritto al corso di religione cattolica in presenza di
un minimo di tre allievi cattolici della stessa scuola. In Svezia, dal 1969, l’insegnamento confessionale
luterano si è trasformato in corso obbligatorio di «conoscenza del cristianesimo». In Norvegia, dopo
le leggi scolastiche del 1969 e del 1988, l’istruzione religiosa ha smesso il carattere confessionale per
diventare un corso accademico e neutrale di «conoscenza cristiana, delle religioni, dell’etica».
Scuola e università in Europa 69

– le finalità troppe ambiziose e irreali, che caratterizzavano i programmi ufficiali


di religione, non potevano compensare la perdita di aderenza alla realtà da parte di
una didattica che restava impositiva, predicatoria;
– gli studenti in generale, non essendo affatto catecumeni predisposti alla fede,
si dimostravano sempre più inappetenti di fronte alle elevate esigenze, sia teologiche
che etiche, di tale insegnamento;
– gli insegnanti si sentivano sottoposti a richieste esorbitanti perché stentavano a
comporre la tensione tra la realtà scolastica e l’annuncio ecclesiale: non c’era comu-
ne misura tra le aspettative esistenziali degli studenti e il solo contenuto di un pro-
gramma didattico dedotto dai manuali di teologia clericale e di liturgia monastica;
– chiesa e scuola, nelle rispettive diverse pretese di annunciare e insegnare, non
potevano mettere all’unisono i loro linguaggi, per cui un’istituzione finiva per stru-
mentalizzare l’altra13.
Se fino a due-tre decenni fa gli insegnamenti religiosi discendenti da un con-
cordato proponevano sostanzialmente un programma di studio di tipo chiaramente
catechistico (sia pur con facoltà di esonero dalla frequenza), compresi atti di culto
dentro e fuori aula, dopo le ultime revisioni il profilo dell’insegnamento della religione
(il tradizionale aggettivo religioso, divenuto equivoco nella nuova ottica pedagogica,
lascia significativamente il posto al sostantivo oggettivo religione) è ricostruito in base
alla diversa «domanda» dell’opinione pubblica (sempre più secolarizzata), della pe-
dagogia scolastica (che impone nuove finalità e metodologie disciplinari proprie),
degli alunni (che frequentano in veste di cittadini più che di catechizzandi), delle
chiese stesse e delle loro teologie in forte evoluzione, specialmente nel ventennio
1960-1980.
La permanenza del modello concordatario applicato alla scuola, al di là delle
puntuali riforme congiunturali, conferma comunque la solida resistenza di una alle-
anza politico-ecclesiastica, reciprocamente garantista, su vaste aree del continente. Se
le società diventano «post-cristiane» e la fede vissuta è appannaggio di minoranze, la
ragion d’essere della religione a scuola non sarà più quella di insegnare direttamente
a credere, ma a riconoscere il patrimonio culturale ed etico della tradizione cristiana
nella storia del proprio paese. Se un corso confessionale obbligatorio contravviene
al principio di libertà religiosa, non basterà più la sola facoltà di esonero ma si ricorre
alla iscrizione volontaria da parte della famiglia o dell’alunno stesso. Per «fidelizzare»
l’alunno a un corso opzionale, bisognerà inventare nuove esche capaci di motivarlo
a restare in classe. Porte aperte anche all’eventuale alunno di altra fede o agnostico,
perché il corso intende solo informarlo sulla religione, non convertirlo a una fede.
Se l’insegnante di religione, smesso l’abito del catechista o del missionario, deve
esibire le credenziali accademiche che possano omologarlo al profilo professionale
degli altri colleghi, ecco che gli si predispone un equipollente curriculum formativo e
abilitativo in scienze religiose. Se in tale curriculum le discipline di studio arieggiano
ancora troppo quelle del classico percorso seminaristico, non sarà difficile integrare

13
  Cfr. U. Hemel, Introduzione alla pedagogia religiosa, Brescia 1990, pp. 82-86; E. Drewermann, C’è
speranza per la fede? Il futuro della religione all’inizio del XXI secolo, Brescia 2002, pp. 258-283; P.-A. Tur-
cotte, Intransigeance ou compromis? Sociologie et histoire du catholicisme actuel, Québec 1994, spec. la parte II,
Intégration culturelle et intégralité doctrinale à l’école publique, pp. 135-152.
70 Flavio Pajer

il piatto forte delle discipline teologico-bibliche con il contorno di qualche materia


psico-pedagogica d’appoggio. Se ieri i programmi ufficiali risentivano vistosamente
di soli contenuti dottrinali autoreferenziali, e se la prassi didattica sconfinava spesso
invece nella parenesi disimpegnata, la tattica correttiva dei nuovi programmi sarà
quella di mostrare una oculata apertura ecumenica verso le altre religioni, senza per-
mettersi ovviamente di trattarle alla pari con la verità dell’unica fede.
Perché proprio qui sta il nocciolo duro della «cultura religiosa» che il modello
concordatario ambisce proporre. C’è un patrimonio di verità ricevute per rivelazione
ed elaborate dalla tradizione, che vanno riproposte ad ogni generazione che si affac-
cia alla vita. È l’antica ambizione missionaria sviluppatasi in contesto pre-moderno
e moderno di cristianità dominante. Nel contesto post-moderno possono cambiare
le procedure, le metodologie, i linguaggi, ma l’imperativo originario permane vivo al
centro delle strategie educative delle chiese, anzi sembra farsi «nervo sensibile» agli
occhi delle autorità religiose proprio per l’incalzare di tanti fattori considerati ostili
allo sviluppo religioso della persona e della società.
Di qui il cambio di rotta intrapreso dalle revisioni concordatarie intervenute, in
Europa occidentale, sul finire del millennio. Il ruolo e il profilo dell’insegnamento
della religione (cattolica, ma analogamente va detto per la confessione protestan-
te) abbandonano l’ottica e il vocabolario del catechismo per adottare l’approccio
educativo e metodologico della scuola. L’insegnamento conserva un certo carattere
confessionale, ma solo dal punto di vista dei contenuti materiali del programma – i
quali restano oggettivamente quelli relativi alla tradizione confessionale, vengono
redatti da responsabili della rispettiva chiesa e sono impartiti da un insegnante da
essa dichiarato idoneo (vocatus nelle chiese protestanti, dotato di missio canonica nella
chiesa cattolica di area germanica) – ma tale insegnamento, stando al dettato dei testi
normativi – non è più confessionale quanto alle sue finalità propriamente educative,
non avendo come scopo statutario immediato né l’educazione della fede né una sua
propedeutica.
Altro discorso va fatto invece per i sistemi educativi dei paesi dell’Europa post-
comunista. La stessa chiesa che nei paesi pluralistici dell’Europa occidentale ha ri-
disegnato la figura concordataria del proprio insegnamento in termini di de-cate-
chizzazione e di scolarizzazione della materia religiosa, è quella che nel Centro-Est
europeo ha invece scelto o ripescato un profilo para-catechistico non appena si sono
riaperte, nel corso degli anni Novanta, le condizioni per ristabilire i normali rapporti
diplomatici e collaborativi tra Stato e chiese di maggioranza14. Corsi confessionali
di religione cattolica sono così stati attivati abbastanza presto – «precipitosamente»
hanno riferito sondaggi popolari di quegli anni – nei sistemi scolastici di Polonia,
Lituania, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Croazia. Anche altre chiese cri-
stiane si sono allineate sul medesimo standard di una sostanziale «complicità» o
intercambiabilità tra catechesi intraecclesiale e insegnamento scolastico, accettando,
anzi postulando, un proprio insegnamento confessionale: le chiese evangeliche, per

14
 G. Barberini, La libertà di religione nel processo di democratizzazione degli Stati dell’Europa centrale ed
orientale, in S. Ferrari et al. (a cura di), Diritto e religione nell’Europa post-comunista, Bologna 2004, pp.
9-30; F. Pajer, Scuola e istruzione religiosa nei paesi dell’Europa post-comunista, «EuForNews», 2, 1 (2005),
pp. 1-10.
Scuola e università in Europa 71

esempio, gestiscono i loro corsi confessionali nella Repubblica Ceca, in Croazia, in


Lettonia, in Lituania, in Ungheria. I corsi cattolici come quelli evangelici hanno sem-
pre tuttavia un carattere opzionale, indipendentemente dal fatto che una chiesa sia
maggioritaria o meno nei singoli paesi (eccetto in Romania dove i corsi di religione
ortodossa sono obbligatori, salvo richiesta motivata di esonero).
Per quanto riguarda la riaffermata confessionalità dell’insegnamento cattolico,
certi enunciati presenti negli accordi sottoscritti documentano come le autorità di-
plomatiche vaticane e le gerarchie locali si siano solidarmente attenute a una capar-
bia linea di difesa identitaria del proprio patrimonio, in considerazione (e, implici-
tamente, a rivalsa) del lungo periodo in cui le comunità cristiane locali erano state
private delle elementari libertà religiose. Ma anche in considerazione del fatto che
le società nazionali dell’Est appena «scongelate», almeno durante il decennio degli
anni Novanta, sentivano di dover dare priorità all’urgenza di ricostruirsi una dignità
e un’identità culturale piuttosto che misurarsi democraticamente con la diversità; di-
versità che d’altronde non era percepita se non attraverso il prisma dello storico dua-
lismo tra credenti e atei, o meglio tra chiese nutrici e baluardo dell’anima nazionale
e Stato ateo. È nel corso di quest’ultimo decennio che anche dal mondo cattolico
di quei paesi cominciano a levarsi voci che auspicano, anche in ambito di istruzio-
ne scolastica, un’apertura di credito e un confronto più democratico verso le altre
confessioni e religioni, e verso l’agnosticismo15. A riprova, basterebbe verificare la
considerazione che la legislazione anche recente di quei paesi riserva alla «libertà di
non credere», cioè alle visioni umanistiche, alle credenze filosofiche e atee16. Su que-
sto terreno, alla frontiera tra la gelosa difesa dell’identità confessionale e l’offensiva
della secolarizzazione, si dibatte l’insegnamento scolastico della religione ortodossa
in tutta l’area bizantina, dalla Grecia che conserva un insegnamento «teologico»
obbligatorio alla Russia che apre le scuole all’opzione tra un corso di «Fondamenti
della cultura ortodossa» e storia delle religioni, passando dalla Bulgaria il cui governo
resiste finora ad accendere corsi religiosi dell’una o dell’altra matrice17.

15
 A. Szyjewski, Political Factors in Religious Knowledge Teaching. The Case of Religious Education in
Poland, in «Studi e Materiali di Storia delle Religioni», 75, 2 (2009), pp. 443-456; R. Globocar (a cura
di), Religious Education in Slovene Schools: Evaluation and Perspectives, Ljubljana 2010, pp. 311-358; D. Barič,
L’insegnante di religione cattolica in un contesto di cambiamenti socio-religiosi. Ricerca empirica sulla formazione degli
IdRC nell’arcidiocesi di Zagabria, tesi di dottorato in Teologia, Roma 2010, pp. 465-470.
16
  Per una panoramica informata sul concetto giuridico di «a-teismo», scrive un’attenta analista
del diritto comparato europeo: «Guardando alla lista dei paesi che prevedono una considerazione
esplicita della libertà di non credere, si può notare che molti di essi fanno parte dell’area dei paesi
dell’Est, che ha vissuto l’esperienza del regime comunista, caratterizzato da un favor per l’ateismo
anziché per le religioni. Probabilmente, la presenza di norme a tutela dell’ateismo è, da un lato, un
retaggio del recente passato, dall’altro un segnale della perdurante rilevanza dell’ideologia ateistica in
questi Stati, una rilevanza che emerge anche dai dati sulla composizione socio-religiosa della popola-
zione. In alcuni di questi paesi, infatti, sono molto forti la diffusione dell’ateismo o, più in generale, la
disaffezione rispetto alle chiese tradizionali e l’abbandono della pratica religiosa: di conseguenza, una
considerazione di questo fenomeno anche dal punto di vista giuridico appare del tutto giustificabile»,
S. Coglievina, Il trattamento giuridico dell’ateismo nell’Unione europea, in «Quaderni di diritto e politica
ecclesiastica», 19, 1 (2011), pp. 51-85, qui pp. 64-65.
17
  Cfr. F. Kozirev, Orthodoxy and Teaching in the Last Two Centuries. Russian Experience, in «Rivista di
Storia del Cristianesimo», 9, 1 (2012), pp. 25-39; A. Drakouli, L’insegnamento della religione ortodossa nella
72 Flavio Pajer

Tornando in Europa occidentale, meritano un cenno almeno tre casi nazionali,


che svelano esemplarmente criticità ma anche esiti positivi del modello di istruzione
confessionale. In Germania, il documento dei vescovi cattolici sul «potenziale for-
mativo dell’insegnamento della religione»18, ha riconfermato in maniera inequivoca-
bile il mantenimento di un insegnamento religioso distinto secondo le confessioni,
come previsto dalla Costituzione (art. 7). Tuttavia i vescovi non esitano a prender
posizione su molteplici nodi problematici affioranti all’indomani del Muro di Berli-
no e in pieno processo di unificazione territoriale e politica: il cambio di sensibilità
culturale dell’intera società a un tempo meno cristiana ma non per questo meno
religiosa, la presenza sempre più consistente di studenti stranieri di altra religione o
di nessuna appartenenza, l’afflosciarsi delle iniziative ecumeniche che erano parse
assai promettenti appena pochi anni addietro… Sorprende che di fronte all’entità
dei problemi, il documento finisca col proporre un paio di orientamenti operativi
assai modesti: l’apertura dei corsi anche ai non cattolici che ne facciano richiesta,
e un’accresciuta attenzione pedagogica alla singolarità dei contesti socio-religiosi
regionali. Nessun riesame in profondità del profilo epistemologico e pedagogico
della disciplina come era avvenuto oltre vent’anni prima (1974) con il decreto del
Sinodo dei vescovi sull’insegnamento della religione19, al punto che anche un noto
pedagogista religioso deve ammettere che «finora la presa di posizione unilaterale
dei vescovi ha avuto un effetto piuttosto paralizzante sui dibattiti della pedago-
gia della religione», dibattiti tesi ad auspicare l’avvento di una concezione e di una
prassi alternative all’insegnamento mono-confessionale20. In effetti, di fronte alla
progressiva perdita di rilevanza delle confessioni, della religione e delle tradizioni
in genere, diventa sempre più difficile tener in piedi il classico sistema tedesco che
vincola alla triplice confessionalità: quella della dottrina, quella dell’allievo e quella
dell’insegnante. Se quel sistema sembra, al momento, non ancora scalfibile de jure, de
facto però è già superato da diffuse pratiche di insegnamento bi-confessionale e inter-
confessionale, e talvolta anche interreligioso. Quelli che nella didattica della genera-
zione appena precedente erano visti come isolati episodi trasgressivi diventano oggi
una consuetudine: non necessariamente arbitraria, ma obiettivamente imposta dalle
nuove situazioni dal basso, e anche per questo tacitamente ammessa dalle autorità.
In Austria le condizioni socio-culturali e l’organizzazione del sistema educativo
permettono tuttora alla chiesa di maggioranza di tenere il ruolo di capofila della
pedagogia religiosa nelle scuole. I suoi responsabili riconoscono ancor oggi che
l’insegnamento religioso a scuola «rimane l’unica – anzi, l’ultima! – possibilità che
permette alla chiesa di venire a contatto con i giovani su scala più o meno estesa»

scuola statale greca, in «Studi e Materiali di Storia delle Religioni», 75, 2 (2009), pp. 457-468; V. Kozhu-
harov, Relation between Church and State in Establishing Religious Education in Public Schools in Bulgaria and
Russia, Paper for Intereuropean Commission on Church and School Conference in Prague, 30 June
2011, sul sito www.iccsweb.com.
18
  Die Deutschen Bishöfe, Die Bildende Kraft des Religionsunterricht. Zur Konfessionalität des katholi-
schen Religionsunterrichts, Bonn 1996.
19
  Der Religionsunterricht in der Schule, in L. Bertsch et al. (a cura di), Gemeinsame Synode der Bistümer
und der Bundesrepublik Deutschland, Offizielle Gesamtausgabe, Freiburg-Brisgau 1978, vol. I, pp. 113-152.
20
 B. Porzelt, Nuove pubblicazioni e sviluppi nella pedagogia della religione tedesca, in «Itinerarium», 12,
1 (2004), pp. 67-93, qui p. 69.
Scuola e università in Europa 73

(in effetti il 78% di studenti cattolici frequenta il corso di religione nelle scuole
pubbliche e un altro 6% nelle scuole cattoliche), mentre ben altre tredici comunità
religiose regolarmente riconosciute21 si contendono frazioni minori ma crescenti di
popolazione scolastica; in più di un centinaio di scuole è previsto inoltre l’obbligo
di etica non confessionale per gli alunni non iscritti a un corso confessionale. Le
scuole cattoliche non chiudono più le iscrizioni ai non cattolici, ma offrono loro
l’opportunità (peraltro prescrittiva) di frequentare il corso della propria religione.
L’insegnamento della religione cattolica nel sistema pubblico è impostato ovvia-
mente secondo le finalità e i contenuti dottrinali controllati dagli uffici competenti
della gerarchia (non mancano pubblici riconoscimenti a questa disciplina quando
sa anche rivalutare il potenziale cognitivo dello studio del fenomeno religioso), ma
la domanda educativa delle famiglie e in particolare quella degli studenti curvano i
contenuti piuttosto verso tematiche antropologiche e sociali attinenti l’educazio-
ne etico-morale ed «ecologico-spirituale», tendenza, questa, che incoraggia anche
alunni di diversa appartenenza a frequentare il corso cattolico al riparo da pressioni
proselitistiche (almeno da quelle esplicite). Le chiese cristiane hanno in progetto
di fondare insieme un centro superiore di pedagogia religiosa in vista di preparare
docenti ed esperti competenti almeno sulle diverse tradizioni cristiane e sui grandi
monoteismi, mentre sul versante politico è andata disattesa la proposta del «Foro
Liberale» di introdurre lezioni di etica obbligatoria per tutti le classi relegando l’i-
struzione religiosa alla parrocchia.
In Belgio la diversità religiosa – oggi molto avanzata anche per la forte propor-
zione di «liberi pensatori» (tali si dichiarano il 19% degli adulti) – si accompagna,
com’è noto, alla diversità delle tre comunità linguistiche, alla diversità amministrativa
(la scuola è di competenza degli Stati federati), alla singolare consistenza numerica
delle scuole libere sovvenzionate (tra il 60 e il 75%, in maggioranza cattoliche, specie
nel ciclo secondario) rispetto alla minor entità delle scuole statali dette «ufficiali». La
chiesa cattolica ha avvertito fin dagli anni Settanta, nel pieno della stagione di seco-
larizzazione di massa, la necessità di giocare una nuova carta nella scuola: quella di
puntare a «umanizzare» l’alunno in età evolutiva mentre lo si avvia a interrogarsi sul
problema religioso. Significativa una definizione di insegnamento religioso, uscita in
una rivista cattolica del 1977:
Insegnare ai giovani, in modo sistematico e responsabile, in vista della loro umanizzazio-
ne personale, come essi con tutta la loro persona possano confrontarsi con i veri problemi
della vita e la domanda circa il mistero profondo e globale dell’esistenza (problema del senso),
quali vengono posti e risolti nelle religioni (dimensione multireligiosa), e particolarmente nella
religione ebraica e cristiana (dimensione cristiana)22.

21
  Anche solo un elenco notarile di queste denominazioni può dare un’immagine meno astratta
del concetto di «diversità religiosa» quando questa si radica in un determinato territorio e in una so-
cietà civile che si dota di strumenti giuridici per garantire parità di diritti ai vari gruppi religiosi: chiesa
cattolica, chiesa evangelica di confessione augustana, chiesa evangelica di confessione elvetica, chiesa
cattolica antica (vetero-cattolici), chiesa greco-orientale, chiesa ortodossa siriana, comunità religiosa
israelitica, chiesa evangelica metodista, chiesa di Gesù Cristo dei santi dell’ultimo giorno, chiesa apo-
stolica armena, chiesa neoapostolica, comunità di fede islamica, comunità religiosa buddhista, chiesa
ortodossa copta.
22
  «Tijdschrift voor catechese», 4 (1977), pp. 35-47 (ora estinta). Per una ridefinizione critica e
74 Flavio Pajer

Una definizione decisamente lontana dalla precedente concezione teologica


(post-tridentina) che per secoli aveva identificato l’istruzione religiosa come «tra-
smissione della dottrina della fede e della prassi cristiana nella forma proposta e
sorvegliata dal magistero ecclesiastico». Da questi presupposti sono poi nati i nuovi
programmi di religione (1985), più volte aggiornati in seguito23 per adeguarli sia alle
mutate e mutevoli tendenze della cultura giovanile, sia allo scenario delle nuove re-
ligiosità, sia alle finalità civili della scuola e alle metodologie del lavoro disciplinare.
Ma non è marginale un altro fattore che ha contribuito a trasformare il profilo dell’i-
struzione religiosa: il fatto di una presenza sempre più massiccia di alunni non catto-
lici nelle scuole libere cattoliche ha impegnato i responsabili a innovare programmi
di «cultura religiosa», commisurandoli ai bisogni educativi di classi culturalmente
eterogenee; così facendo sono andati via via ideando percorsi inediti di alfabetiz-
zazione religiosa, a costo di lasciare in penombra elementi portanti del patrimonio
confessionale cristiano. Con disappunto delle autorità e anche di una frazione di
famiglie, forse, quando vedono venir meno quello «specifico carattere cristiano» che
è stato la ragion d’essere, e il vanto, del secolare impegno della chiesa nella scuola.
In questi paesi come in altri, gli insegnamenti confessionali tentano dunque di
riguadagnare plausibilità, sacrificando qualche aspetto dell’antico profilo divenuto
desueto: la confessionalità formale dell’approccio pastorale si attenua in una con-
fessionalità materiale dell’approccio culturale, la pedagogia del consenso lascia il
posto a una didattica disciplinare, le argomentazioni teologiche di chiesa cercano
l’appoggio sussidiario delle scienze umane della religione. Ed è già l’anticamera del
paradigma 2, che affrontiamo nel paragrafo che segue.

4. La scolarizzazione del sapere religioso nella «società europea della conoscenza»

La confluenza di alcuni processi socio-religiosi verificatisi sul finire del Nove-


cento europeo ha avuto e sta avendo un impatto di notevole incidenza anche sui
processi di alfabetizzazione religiosa della popolazione scolastica. Vanno qui sottoli-
neati almeno due processi: gli sviluppi delle scienze religiose non teologiche accanto

argomentata del ruolo della scuola cattolica belga e in particolare del corso di religione che propone,
si veda il documento della Secrétariat National de l’Enseignement Catholique, Pour penser l’école
catholique au XXIe siècle, a cura di J. De Munck et al., Bruxelles 2012, 28 pp., dove si possono legge-
re affermazioni chiarificatrici come questa (p. 23 del testo online: http://enseignement.catholique.
be/segec/index.php?id=1837): «Le cours de religion ne relève donc pas de la catéchèse, qui vise la
maturation de la foi dans un contexte communautaire ecclésial. Son objectif, dans le contexte scolaire
des études, est d’exposer, de manière aussi fidèle et respectueuse que possible, la foi chrétienne, ses
significations et les démarches qu’elle implique, sans présupposer la foi des élèves, ni la leur imposer.
Ce faisant, bien sûr, il rend la foi accessible à l’intelligence et à la liberté des élèves, mais toujours sous
le mode de la proposition ouverte à la critique et au débat. C’est dire aussi que le cours de religion ne
relève pas d’une approche historique purement externe et objectivante. Une telle approche explicative
constitue, certes, un moment éclairant, pourvu qu’elle débouche sur un travail de réflexion, d’inter-
prétation et de formation des convictions. Quand il arrive au cours de religion de croiser d’autres
confessions, il adopte la même attitude».
23
  Federation de l’enseignement catholique, Programme de religion catholique dans l’enseignement
secondaire. Introduction: finalités et référentiel de compétences, Bruxelles 2001.
Scuola e università in Europa 75

alle tradizionali teologie di chiesa, e l’evoluzione dei principi e della pratiche della
pedagogia scolastica. Un terzo fattore non meno rilevante (che qui suppongo noto,
per cui non mi soffermo oltre) è indubbiamente quello relativo alle nuove sensibilità
dei giovani di fronte al «religioso» in contesti sempre più secolarizzati, e di conse-
guenza il diffondersi di inedite modalità della loro socializzazione religiosa e del loro
apprendimento religioso24.

4.1.  La cultura religiosa alta

La produzione del sapere religioso, è risaputo, non è più un’esclusiva delle teolo-
gie interne alle tradizioni credenti. In Europa l’esilio della teologia dall’università sta-
tale decretato dalla cultura positivistica di fine Ottocento è compensato ampiamente
dallo sviluppo delle scienze religiose nel Novecento25. Le ricerche storiche, lingui-
stiche, empiriche sul fenomeno religioso si accompagnano ormai da decenni alle
riflessioni filosofiche, antropologiche, ermeneutiche sui grandi testi delle religioni.
La teologia di chiesa si apre alla teologia delle religioni, dialoga con la filosofia, con
le scienze, con i diritti umani26, mentre le scienze religiose interrogano la teologia sul
terreno dei suoi presupposti, delle sue procedure, delle sue ricadute nel sociale e nel

24
  Cfr. C. Béraud e J.-P. Willaime (a cura di), Les jeunes, l’école et la religion, Paris 2009; R.J. Cam-
piche (a cura di), Cultures jeunes et religions en Europe, Paris 1997; A. Castegnaro (a cura di), Apprendere
la religione. L’alfabetizzazione religiosa degli studenti che si avvalgono dell’Irc, Bologna 2009; M. Milot, Sociali-
sation religieuse des jeunes, in R. Azria e D. Hervieu-Léger (a cura di), Dictionnaire des faits religieux, Paris
2010, pp. 1168-1173. Segnalo in particolare una corposa tesi di dottorato sostenuta congiuntamente
all’Università di Strasburgo e alla Technische Universität di Berlino, nel 2011, da B. Michon, La culture
religieuse des adolescents en France et en Allemagne. Des connaissances aux défis de l’exculturation, de la popularisation
et de l’altérité, 579 pp., online all’indirizzo scd-theses.u-strasbg.fr/2301/01/MICHON_Bruno_2011.
pdf. La ricerca comparata mette in luce dapprima il tema della «perdita di cultura religiosa» e delle sue
origini confessionali; analizza poi le diverse modalità di costruzione di una «cultura religiosa» in stu-
denti di cinque regioni, in parte francesi in parte tedesche, per concludere con un saggio sui concetti
sociologici di «exculturation» e di «popularisation».
25
  Ne sono testimonianza le sistematiche e ponderose pubblicazioni come il Dizionario del sapere
storico-religioso del Novecento, a cura di A. Melloni, 2 voll., Bologna 2010, 1814 pp., il Dictionnaire des
faits religieux, a cura di R. Azria e D. Hervieu-Léger, Paris 2010, 1340 pp., e il brasiliano Compêndio de
Ciência da Religião, a cura di J.D. Passos e F. Usarski, São Paulo 2013, 704 pp. La rivista «Humanitas» ha
dedicato il numero monografico 1 (2011) a cura di G. Casadio e C. Prandi a Le scienze delle religioni nel
mondo, registrando e discutendo situazioni e problemi delle scienze religiose, specialmente della storia
delle religioni, presenti in buona parte dei paesi europei: Belgio, Francia, Germania, Gran Bretagna,
Italia, Lussemburgo, Russia, Spagna, Svizzera. In anni precedenti avevano fornito un analogo servizio
altre due testate scientifiche: «Religione e Società», 15, 2 (2000), con una monografia su L’insegnamento
delle scienze religiose in Europa, a cura di F. Pajer, e «Quaderni di diritto e politica ecclesiastica», 9 (2001)
1, su L’insegnamento universitario delle scienze religiose e teologiche. Prospettive italiane ed esperienze straniere, a cura
di A. Zanotti.
26
  Un esempio tra altri: un recente manuale tedesco di sistematica teologica in 4 volumi per com-
plessive 2600 pagine (P. Eicher [a cura di], Neues Handbuch Theologischer Grundbegriffe, München 2005;
ed. it. G. Francesconi [a cura di], I concetti fondamentali della Teologia, Brescia 2008), su 140 lemmi circa
un terzo appartengono significativamente al lessico delle scienze umane, ma la stessa trattazione delle
classiche voci bibliche, dogmatiche, liturgiche, etiche interpella sistematicamente il punto di vista delle
scienze sociali, antropologiche, linguistiche.
76 Flavio Pajer

politico. Anche gli atei sanno di religione, spesso più dei credenti. Se è vero, come
ricorda un professionista della storia religiosa27 al seguito del cardinal Newman, che
vi sono tre autorità nella chiesa – la tradizione (nella gerarchia ecclesiastica), la ragio-
ne (nelle università), l’esperienza (nel popolo credente) – sarebbe sempre più plausi-
bile e necessario un coinvolgimento della ricerca e dell’insegnamento superiore nel
campo delle discipline religiose, e ciò per almeno un paio di ragioni evidenti: perché
teologia e scienze religiose costituiscono oggi in Europa un patrimonio culturale e
strategico di assoluto rilievo per scongiurare lo scontro di civiltà, e poi perché gli stu-
di storico-religiosi, esegetici, interreligiosi sono ambiti di ricerca che non interessano
più, se non in quote ormai molto ridotte, la formazione dei futuri funzionari delle
chiese (sacerdoti, pastori, missionari, catechisti, ecc.).
In effetti non si contano le iniziative di varia ispirazione (confessionale, ecu-
menica, interreligiosa, secolare), nate in tutto il continente per promuovere infor-
mazione e consapevolezza critica sul fenomeno religioso. Università statali e libe-
re, centri accademici di ricerca, associazioni professionali di docenti producono
e diffondono attraverso le loro pubblicazioni periodiche28 una gamma svariata e
crescente di inchieste, analisi, interpretazioni teoriche, applicazioni operative, la
cui portata cognitiva non può restare confinata nell’ambito della ricerca e dell’in-
segnamento accademici, ma dovrebbe ricadere a beneficio anche della pedagogia
religiosa dei cicli secondario e primario dell’istruzione pubblica. Operazione che
risulta certamente facilitata in quei paesi dove l’università statale integra nel pro-
prio ordinamento le facoltà confessionali di teologia con i rispettivi istituti di for-
mazione professionale degli insegnanti di religione, com’è il caso della Germania
(con la disciplina specifica della Religionspädagogik) o il caso del Regno Unito (con
gli Higher Education Colleges), o dei paesi scandinavi (dove per insegnare religione
occorre disporre di una laurea statale in due discipline umanistiche con un esame
complementare in «Religione»).
Nella gran maggioranza dei paesi però la formazione accademica dell’insegnan-
te di religione è ancora affidata alle strutture ecclesiastiche (gli istituti superiori di
scienze religiose in area cattolica, analoghe «accademie» pedagogiche in terra prote-
stante, le facoltà teologiche in area ortodossa), che tentano comunque di superare
un certo isolamento culturale e monoconfessionale incrementando l’offerta for-
mativa con materie e docenti di matrice non teologica, e osando qualche percorso
interdisciplinare. Nel caso italiano – ma lo stesso può dirsi di altri paesi a tradizione
cattolica – va aggiunto che una delle gravi assenze dall’università è quella del testo
biblico. La sua assenza impedisce allo studente di cogliere la centralità del «grande
Codice della cultura occidentale» e l’averne confinato l’accesso e lo studio alle sole
università ecclesiastiche «ha prodotto esiti nefasti per la formazione culturale gene-

27
 M. Faggioli, La ricerca storico-religiosa in Europa, in «il Mulino», 54, 420 (2005), pp. 758-767, qui
p. 765.
28
  Un repertorio, a cura di M.C. Giorda, dei Journals of Religious Studies editi in Europa enumera
ben 41 titoli tra edizioni cartacee ed edizioni online: cfr. il notiziario trimestrale telematico «ERE-
news», 7, 1 (2009), pp. 10-13; un analogo repertorio dei Journals of Religionspädagogik and Religious Edu-
cation raccoglie altri 43 titoli, ibidem, 7, 2 (2009), pp. 7-9 e 3, pp. 11-12.
Scuola e università in Europa 77

rale dello studente italiano»29. L’indagine storica conferma e rincara questo addebito
alla autorità ecclesiastica, invitando tuttavia a distinguere tra ignoranza religiosa in
generale e ignoranza biblica, perché:
prima responsabile di quest’ultima, paradossalmente, è stata proprio l’autorità ecclesiastica
con le sue diffide e interdizioni tridentine verso una più ampia conoscenza del testo biblico
tra i fedeli. Con conseguenze perduranti fino a tempi recentissimi, perché la rimozione sia
del testo integrale della Bibbia che dei suoi adattamenti segnò una profonda frattura nelle
pratiche di lettura e di ascolto dei fedeli, eliminando dal loro orizzonte culturale e religioso
un patrimonio di cui si erano nutriti sin dal tardo medioevo e sostituendolo con una cono-
scenza del catechismo essenzialmente mnemonica30.

Non va sottovalutata poi, nel panorama europeo, la cospicua azione dei centri
superiori di insegnamento e ricerca religiosi (ma spesso con altri curricoli nell’orga-
nico accademico), dette oriented Universities («università di tendenza»): formano una
galassia di oltre 150 atenei, di cui un’ottantina sono cattolici, 43 ortodossi e una
trentina protestanti e anglicani, senza dimenticare la nota Université libre di Bruxel-
les, che si ispira a una filosofia dichiaratamente laica, ma non per questo indifferente
al dibattito teologico. Oltre il 40% di queste università sono sorte dopo il 1965, e il
16% tra le due guerre mondiali31.
In un contesto fortemente secolarizzato come quello europeo, anche la rifles-
sione teologica cerca vie nuove per esprimersi al meglio nella città secolare e tollera
quindi sempre meno certi limiti, posti dall’autorità religiosa o anche civile, alla libertà
di ricerca. Esemplare il franco reclamo di un teologo cattolico:
Quando il freno della libertà di ricerca negli studi teologici è stabilito nelle stesse strut-
ture, come accade per esempio nel caso di accordi e concordati stipulati tra le autorità re-
ligiose e lo stato, la cosa non può essere vista se non come una grave anomalia. Una simile
limitazione della libertà in certe università dell’Occidente depriva gli studenti e il pubblico
dei vantaggi di una facoltà di insegnamento altamente competente e di ottima qualità, e
potrebbe essere espressione di autoritarismo oscurantista, non consono ad una istituzione
accademica che dovrebbe essere guidata da scelte razionali tanto nella sua organizzazione
quanto nella scelta della facoltà di insegnamento. In passato la teologia pretendeva molte
eccezioni, ma nel corso del tempo ha dovuto abbandonarle. Le circostanze esterne e la
forza della necessità hanno portato alla consapevolezza che la teologia può esistere senza
pretendere esenzioni. Un’istanza degna di nota è il caso dell’ermeneutica teologica. È merito

29
  Cfr. l’intervento di E. Prinzivalli, in A. Autiero (a cura di), Teologia nella città, Teologia per la città.
La dimensione secolare delle scienze teologiche, Bologna 2005, p. 207. Può supplire al deficit istituzionale
l’azione, talora pionieristica e meritoria, di associazioni culturali come nel caso italiano di «Biblia, asso-
ciazione laica di cultura biblica», che opera in particolare per la formazione degli insegnanti di scuola
(non solo di religione) mediante apprezzate iniziative di mediazione della ricerca biblica alta in favore
dell’utenza scolastica. Cfr. G.G. Vertova (a cura di), Bibbia, cultura, scuola. Alla scoperta di percorsi didattici
interdisciplinari, Roma 2011. Si veda il contributo di P. Stefani in questo Rapporto.
30
 G. Fragnito, La Bibbia tra diffusione e interdizione, in A. Autiero e M. Perroni (a cura di), La
Bibbia nella storia d’Europa, Bologna 2012, pp. 141-154, qui p. 152.
31
  Un’ampia riflessione critica e interdisciplinare su questi dati è stata offerta dal convegno inter-
nazionale dell’Università Cattolica di Milano (3-5 settembre 2004), i cui atti sono pubblicati nel volu-
me di A.G. Chizzoniti (a cura di), Organizzazioni di tendenza e formazione universitaria. Esperienze europee e
mediterranee a confronto, Bologna 2006. Sul Processo di Bologna e le sue ricadute sugli studi religiosi, cfr.
A.V. Zani, Le università e lo spazio comune europeo, in «Seminarium», 45, 4 (2005), pp. 997-1032.
78 Flavio Pajer

di Friedrich Schleiermacher averci resi consapevoli che la teologia non perde assolutamente
niente se sottopone se stessa, la Bibbia e la fede alle leggi generali dell’ermeneutica senza
cercare una collocazione privilegiata. A lungo andare, questo approccio aiuta la teologia più
di quanto ci si potrebbe aspettare32.

Moniti come questo non sono certo estranei alla logica conoscitiva e pedagogi-
ca di tante legislazioni scolastiche attuali quando entrano nel campo dell’istruzione
etico-religiosa: il rifiuto dell’indottrinamento ideologico, del plagio delle coscienze
minorenni, dell’inculcazione moralistica è un punto di non ritorno della pedagogia
scolastica (almeno di quella fissata nella normativa giuridica).

4.2. L’istruzione religiosa «scolarizzata»

Come si è accennato, l’istruzione religiosa era entrata nella scuola e vi era rimasta
a lungo, come lezione di catechismo. La scuola del passato – scuola del consenso,
della trasmissione, della conferma di una identità culturale predefinita – trovava
compatibile, anzi utile e indispensabile, tale profilo di insegnamento. Quella svi-
luppatasi negli ultimi decenni – a partire dai noti Rapporti Faure (1972) e Delors
(1996) fino alle direttive di politica educativa provenienti dal Consiglio d’Europa,
e al seguito di decisive riforme scolastiche nazionali – è piuttosto una scuola della
trasformazione, della costruzione, dell’elaborazione della cultura, delle competenze.
L’identità culturale e religiosa della persona va costruita e abilitata a interagire in un
contesto di pluralismo delle visioni religiose e non religiose. Le stesse revisioni dei
concordati, lo si è già visto, hanno recepito l’avvento dei nuovi indirizzi pedagogici,
e, pur di conservare alla religione il diritto di rimanere dignitosamente nella scuola,
hanno accettato uno statuto facoltativo o opzionale, e curvato il profilo dell’istru-
zione religiosa verso un formato di vera disciplina scolastica.
Dopo un collaudo durato anni, si può affermare, con buona approssimazione,
che una cospicua parte degli insegnamenti di religione praticati in Europa al seguito
delle riforme scolastiche attivate nei vari paesi, prendono le distanze dal formato
catechistico-pastorale (ancora presente, in certi casi, nel P1) per presentare i caratteri
di una specifica disciplina curricolare. Infatti:
– dispongono generalmente delle condizioni di fattibilità comuni ad ogni discipli-
na scolastica: si tratta di insegnamenti che si svolgono all’interno delle strutture e delle
finalità della scuola; sono insegnamenti che vogliono collocarsi in continuità e com-
plementarità con il quadro delle discipline contigue, specialmente con quelle dell’area

32
 F. Wilfred, La teologia nell’università moderna, in «Concilium», 42, 2 (2006), pp. 31-42, qui p.
35. Notevole in questo dibattito il documento che il Consiglio per le scienze (Wissenschaftsrat) della
Repubblica federale tedesca ha presentato in materia di politiche della religione, dal titolo Suggerimenti
per lo sviluppo delle teologie e delle discipline riferite alla religione nelle università tedesche, 1° febbraio 2010 (www.
wissensschaftsrat.de), teso a tener conto della «società pluralizzata» e delle nuove forme del «religioso
non denominazionale», a salvaguardare i diritti di libertà di religione delle nuove comunità, a costruire
nuovi criteri per ripensare le classiche discipline teologiche di chiesa. Parte del documento è pubblica-
ta, in traduzione italiana: Teologie e religioni nelle università tedesche, in «Il Regno-documenti», 55, 7 (2010),
pp. 235-256.
Scuola e università in Europa 79

umanistica; sono insegnamenti impartiti in base a programmi ufficialmente decisi dalle


competenti autorità locali (anche religiose nel caso di corsi concordatari), e mediati in
genere da libri di testo o da altri strumenti didattici debitamente approvati e collaudati;
insegnamenti impartiti da docenti titolari provvisti di una formazione di base e di una
abilitazione professionale equipollente a quelle dei colleghi di altre discipline;
– sono insegnamenti che hanno un oggetto di studio originale, specifico, rile-
vante dal punto di vista culturale, irriducibile ad altro contenuto culturale, eppure
omologo agli altri saperi; un sapere relativo a una o più confessioni religiose, alla
loro storia, ai loro testi, ai loro effetti nelle culture umane; un oggetto di studio che
per il fatto di essere il più delle volte correlativo a una confessione, non per questo
diventa necessariamente oggetto di fede;
– si tratta di insegnamenti che adottano in genere metodologie di insegnamento/
apprendimento tipiche della scuola: osservazione e problematizzazione di dati empi-
rici, storici, linguistici; lettura critica dell’esperienza e del documento; comprensione
ermeneutica alla luce del sapere teologico e con l’ausilio di strumenti offerti anche
dalle scienze storiche e positive della religione, confronto costruttivo ed ecumenico
col diverso. Metodologie che dalla lettura del «segno» passano all’individuazione dei
significati e dai significati appresi passano al riconoscimento di valori esistenziali.
Metodologie che mirano a soddisfare la dimensione cognitiva-istruttiva del dato
religioso, ma al tempo stesso non disattendono il ruolo educativo-formativo della
materia per non esaurirla abusivamente in un’arida ricognizione della morfologia del
religioso; anche i cosiddetti insegnamenti «oggettivi» dell’Europa settentrionale non
trascurano mai il potenziale problematico e valoriale dei temi affrontati. In definiti-
va, una pedagogia religiosa che non si riduce a ricerca senza verità, ma che nemmeno
vuol dar la verità senza una ricerca;
– contenuti e metodologie, programmi e programmazioni di molti insegnamenti
di religione europei risentono positivamente dell’influsso della cultura pedagogica
emergente. Ne sono chiari sintomi: l’adozione della prospettiva curricolare nell’indi-
viduare finalità e obiettivi disciplinari; l’attenuazione della prescrittività del program-
ma a favore della programmazione, questa sì irrinunciabile e vincolante nelle scelte
in sede di collegio docenti; un’attenzione più puntuale ai processi e alle condizioni
dell’apprendimento e della maturazione dell’alunno; una discrezionalità circa la pre-
ferenza di itinerari metodologici diversificati per struttura antropologico-esperien-
ziale, teologico-sistematica, biblico-storica, storico-comparata;
– anche il lessico pedagogico tradizionale subisce vistosi slittamenti, che tradi-
scono accentuazioni di sostanza e non solo di forma: più che di contenuti dottrinali
si parla di processi educativi atti a integrare contenuti; più che il sapere in sé (tea-
ching/learning about religion), è il nesso tra il sapere e i suoi significati che vale conosce-
re (teaching/learning from religion); il linguaggio catechistico-normativo del dover-fare
si muta in linguaggio strategico-operativo del poter-fare; il ruolo dell’insegnante non
è più definito in termini di missione ma piuttosto di professionalità, di collegialità33.

33
  Una selezione minima di riferimento sul processo di «scolarizzazione» dell’istruzione religio-
sa: R. Artacho López, La enseñanza escolar de la religión, Madrid 1989; G. Stachel, Metodi e proposte per
l’insegnamento della religione, Leumann 1992 (ed. orig. Methodenanalyse, Mainz 1988); B. Jendorff, Religion-
sunterrichten - aber wie?, München 1992; B. Watson, The Effective Teaching of Religious Education, Harlow
80 Flavio Pajer

Concludendo questo sguardo descrittivo sul paradigma 2, potremmo fissare al-


cuni tratti valutativi:
– il processo di «scolarizzazione» dell’istruzione religiosa si è sviluppato non
tanto in reazione polemica al modello concordatario (teso esso pure a scolarizzarsi
all’interno della sua logica), quanto in forza dell’evoluzione sia dei sistemi educativi
(scuola delle conoscenze e delle competenze, pedagogia del costruttivismo, intercul-
turalità), sia dell’universo dei saperi religiosi, comprensivo di una crescente e accre-
ditata area di scienze religiose non teologiche accanto a quelle teologiche;
– si è verificata così una curiosa duplice inversione di marcia: da una parte, l’e-
ducazione catechistica delle chiese che, nel tempo della modernità, aveva assunto i
caratteri della lezione scolastica (con enfasi sull’aspetto cognitivo della fede, sulla
presunzione che l’aspetto affettivo e comportamentale erano assecondati dalla so-
cietà ambiente), si è dovuta riconvertire, nel clima «scristianizzato» post-moderno, al
paradigma della iniziazione, del catecumenato, della «catechesi per la vita cristiana»
anziché della «dottrina cristiana»; dall’altra, l’istruzione religiosa scolastica, fino a
ieri quasi fotocopia del catechismo parrocchiale, ha dovuto costruirsi una dignità di
vera e propria disciplina scolastica, funzionale al pluralismo religioso della società e
alle specifiche competenze dell’istituzione educativa pubblica. La ragione della cor-
rezione di marcia è che risulta sempre meno sostenibile una confusione dei diversi e
distinti «regimi di verità» in materia di religione, cioè tra i due principi di intelligibili-
tà, quella razionale e quella teologica: è d’obbligo non fraintendere tra verità di fede,
che dà senso al vivere, e verità scientifica sulla religione, che tutt’al più mi serve per
spiegare un fenomeno. Ma l’incultura religiosa può annidarsi su ambedue i versanti;
– l’oggetto stesso dell’insegnamento – «la religione» – ha talmente mutato i suoi
connotati semantici di ieri da riproporsi nella scuola d’oggi con una carica inquie-
tante di novità anche solo lessicale. Fedi, religioni, cristianesimi, fatto religioso, storia
delle religioni, cultura religiosa, il «religioso», multifaith religious education, filosofia,
convinzioni, spiritualità, umanesimi, etiche, dimensione religiosa della cultura ecc.:
sono solo alcune delle denominazioni ricorrenti oggi attraverso l’Europa nell’inti-
tolato dei programmi di studio in materia di religione. La scuola avverte dunque la
sfida di una inedita emergenza culturale, in un Occidente della «esculturazione cri-
stiana» (Danièle Hervieu-Léger), in un tempo della «religione senza cultura» (Olivier
Roy), e del «religioso dopo la religione» (Marcel Gauchet)34;

1993; E. Damiano e P. Todeschini (a cura di), Progettare la religione secondo la didattica per concetti, Bologna
1994; T. García Regidor, La educación religiosa en la escuela, Madrid s.d.; B. Wiame, Pour une inculturation
de l’enseignement religieux en Belgique, Bruxelles 1997; El área de Religión en la LOGSE - Claves curriculares
de la reforma - Claves teológicas de la ERE, Madrid 1998; H. Lombaerts, A Hermeneutical-Communicative
Concept of Teaching Religion, in «Journal of Religious Education», 48, 4 (2000), pp. 18-24; C. Estéban
Garcés, Enseñanza de la religión y Ley de calidad, Madrid 2003; A. Join-Lambert (a cura di), Enseignement
de la religion et expérience spirituelle, Bruxelles 2007; P. Decormeille, I. Saint-Martin e C. Béraud (a cura
di), Comprendre les faits religieux. Approches historiques et perspectives contemporaines, Dijon 2009; R. Artacho
López, Enseñar competencias sobre la religión. Hacia un currículo de Religión por competencias, Henao 2009; H.
Lombaerts e D. Pollefeyt, Pensées neuves sur le cours de religion, Bruxelles 2009; Z. Trenti e C. Pastore
(a cura di), Insegnamento della religione: competenza e professionalità, Leumann 2013.
34
  Si fa riferimento ad alcuni scritti di questi autori della post-secolarizzazione: D. Hervieu-
Léger, Sécularisation, in Dictionnaire des faits religieux, cit., pp. 1151-1158; O. Roy, La sainte ignorance.
Scuola e università in Europa 81

– l’ingresso nella cultura pluralistica, se forse ha demotivato dal curare i contenu-


ti della propria tradizione religiosa, certamente non ha ancora mobilitato a studiare
i contenuti delle altre tradizioni venute a coabitare nella comune società. L’ottica
educativa del paradigma accademico-curricolare mette tra le priorità – oltre quella di
supportare una nuova intelligibilità del patrimonio culturale offerto dai saperi sco-
lastici, spesso deprivati ideologicamente fin dalla loro primitiva formulazione della
loro intrinseca dimensione religiosa – quella di motivare e abilitare le nuove genera-
zioni di alunni al dialogo tra visioni diverse della vita, visioni e convinzioni credenti
e diversamente credenti o affatto credenti. Ciò però non concede sconti sul versante
della conoscenza della propria religione, semmai accresce il bisogno di verificarne
più a fondo le radici storiche, i testi fondanti, la grammatica dei simboli. Come non
deve dar adito a superficiali e illusori comparativismi tra religioni, spesso condotti
all’insegna di un acritico eurocentrismo culturale;
– è in atto nel continente un fermento pedagogico teso a creare e collaudare –
dopo secoli di didattica intra-confessionale – nuove vie per una necessaria didattica
interreligiosa, anzi «inter-convinzionale»35. Il nodo sta nel conciliare la fedeltà alla
propria identità (dell’insegnante e dell’alunno) con l’apertura dialogica e non dema-
gogica con l’«altro». La linea prevalente è quella di adottare una postura d’imparziali-
tà nell’approccio conoscitivo, al posto di esibire un’improbabile quanto diseducativa
neutralità. A riprova, nella pletora di direttive provenienti da istanze sovranazionali,
è stato appena pubblicato dall’UNESCO un apposito documento sulle «competen-
ze interculturali»36, dove anche l’identità religiosa, qualunque essa sia, viene sollecita-
ta come dimensione integrante di quella civile e culturale a costruirsi nel multiverso
liquido del presente non meno che sulle solide radici del passato.

5. La gestione della diversità religiosa a servizio della coesione sociale

Nel paradigma 1, a far da protagonista è il gioco dei poteri tra una chiesa mag-
gioritaria garante di una verità, e uno Stato interessato a permetterne l’insegnamento
nelle proprie scuole, non senza ricadute vantaggiose per la formazione di un comu-
ne ethos civile; nel paradigma 2, protagonista è invece la scuola, che organizzando
i saperi in forma disciplinare, tende a elaborare cultura religiosa ed etica in linea con
il principio di intelligibilità delle scienze religiose in dialogo con le scienze teologi-

Le temps de la religion sans culture, Paris 2008; L. Ferry e M. Gauchet, Le Religieux après la religion, Paris
2004.
35
  Cfr. H.-G. Ziebertz, Pluralismo religioso e processi di apprendimento interreligioso. Considerazioni sul-
la ricerca dell’identità religiosa nella società (post-)moderna, in «Orientamenti Pedagogici», 43, 4 (1996), pp.
731-752; F. Pajer, Scuola e religioni tra identità e alterità, in «Pedagogia e vita», 69, 1 (2011), pp. 125-146;
G. Meyer, L’apprentissage de l’interreligieux dans le contexte de post-sécularisation des sociétés européennes, in L.
Collès e R. Nouailhat (a cura di), Croire, savoir: quelles pédagogies européennes?, Bruxelles 2013, pp. 135-
148; A. Fossion, Éduquer au dialogue interconvictionnel, ibidem, pp. 207-222.
36
  Intersectoral Platform for a Culture of Peace and Non-violence, Bureau for Stra-
tegic Planning, Intercultural Competences. Conceptual and Operational Framework, Paris 2013, 28 pp., online
all’indirizzo www.unesco.org/new/en/bureau-of-strategic-planning/themes/culture-of-peace-and-non-vi
olence/.
82 Flavio Pajer

che; nel terzo paradigma, infine, al centro dell’attenzione pedagogica non stanno
più tanto le verità, né solo i saperi, ma piuttosto i valori. Cambiano i contesti sociali
e le aspettative dell’opinione pubblica, cambia il volto della scuola con la scala del-
le sue priorità educative, ma l’istruzione religiosa vi resta comunque «impigliata»:
naturalmente con profili, funzioni e strumenti culturali in una continua dinamica
di «accomodamenti ragionevoli», per dirla con Charles Taylor, teorico della «laicità
aperta» canadese.
Concorrono alla genesi di questo terzo paradigma il regime di accentuata diver-
sità religiosa in cui si trovano e si troveranno a vivere le società europee, l’urgen-
za di una educazione alla cittadinanza democratica in contesti civili spesso minati
dall’intolleranza o dal conflitto, il bisogno di ritrovare criteri condivisi per ricostruire
un’etica pubblica in un tempo di ipertrofia del privato, la diffusa rivendicazione del
primato dei diritti fondamentali della persona e la lotta contro ogni discriminazione
(etnica, sessuale, religiosa, ecc.), il conseguente coinvolgimento della scuola come
primo laboratorio di educazione alla comprensione e alla convivenza responsabile e
pacifica nella pari dignità tra diversi.
Sono tematiche che rientrano ovviamente in pieno nelle competenze del dirit-
to, della politica, della pedagogia sociale, ma la religione non può chiamarsi fuori,
quando questa è invitata nel dibattito democratico e in istituzioni pubbliche come
la scuola e l’università, a confrontarsi con le diverse visioni della persona, del sen-
so del vivere, del perché e del come vivere da cittadini solidali in una comunità
civile, ecc.
Resta pacifico che le chiese cristiane, come anche altre religioni, e non solo in
Europa, possono offrire e di fatto offrono esperienze, dottrine (vedi il magistero
sociale delle varie confessioni), strutture operative in ordine all’educazione ai valori
personali e sociali nella scuola pubblica. Ma ora un altro «magistero» – laico, ma non
per questo anti-religioso, come poteva avvenire spesso nel passato – viene a inserirsi
in questo progetto37. Infatti ciò che, in questo campo dell’educazione pubblica, si
è verificato in questi ultimi decenni in Europa ha i tratti di una congiuntura storica
inedita. Eccone i tratti: le società europee, quale prima quale dopo, si secolarizzano
incrinando la forza di quel tradizionale collante sociale costituto da un cristianesimo
ridotto a religione civile; nello stesso tempo gli afflussi migratori immettono culture
e credi religiosi diversi, talvolta aggressivi, in questo tessuto sociale già fragilizzato38;
gli Stati nazionali, a cominciare da quelli maggiormente compromessi con la storia
coloniale, faticano a collaudare un modello di integrazione per i nuovi arrivati, men-
tre nel contempo entra in crisi anche nel cittadino comune quel senso dello Stato,
che in epoca moderna aveva fatto la forza e l’orgoglio delle culture nazionali, e che
ora l’incerta, burocratica e mercantilista Unione europea non riesce certo a rimpiaz-

37
  Cfr. F. Pajer, Il «magistero etico» dell’Europa nella sfera pubblica delle politiche educative, in S. Scotti e
M. Zárate Vidal (a cura di), Etica pubblica e Religioni, Firenze 2011, pp. 73-82.
38
  Uno degli attuali paradossi della società europea è che là dove ieri le religioni trovavano una
«formattazione» nel bagno culturale di un territorio nazionale, oggi il «religioso» viene sì preso in con-
siderazione dalle istituzioni pubbliche degli Stati, ma in una prospettiva deterritorializzata di «diritti
dell’uomo», di libertà religiosa, di multiculturalismo, di educazione alla cittadinanza, come ricorda
Roy, La sainte ignorance, cit., pp. 23-25.
Scuola e università in Europa 83

zare; la stessa voce delle chiese, già flebile dentro le rispettive comunità cristiane,
arriva disattesa alle istituzioni civili e al mondo della cultura secolare. È in questo
frangente storico che si fa sentire la voce dell’Europa, non tanto quella dell’Unione
(statutariamente incompetente, tra l’altro, a intervenire in materia di educazione,
di cultura, di diritti umani)39, ma quella del Consiglio d’Europa e di altri organismi
connessi.
Il Consiglio d’Europa fin dalle sue origini (1949) aveva mantenuto un atteggia-
mento strettamente riservato di fronte alle questioni religiose, sia perché i suoi mem-
bri avevano indubbiamente memoria delle guerre di religione che avevano devastato
la storia europea del Cinque-Seicento, sia perché, all’indomani della seconda guerra
mondiale, era ancora dominante la visione di un’Europa divisa e ingessata nei due
blocchi40. Ma con la caduta del Muro di Berlino (1989), la dissoluzione dell’impero
sovietico, il crollo dell’ideologia comunista, la lenta restaurazione dello stato di diritto
nell’Europa centro-orientale, in concomitanza con il pullulare in Occidente di nuovi
movimenti religiosi e di spiritualità e l’espandersi di nuove comunità (islamiche e non
solo) nel tessuto sociale del continente, si è imposta la necessità «politica» di verifi-
care il ruolo dell’educazione pubblica quale luogo principe per promuovere, sotto
nuova luce, i valori basilari della coesione sociale minacciata da un’inedita insorgenza
del fattore religioso. Fu così che il Consiglio d’Europa, dopo una serie di seminari
di studio organizzati durante gli anni Ottanta con esperti intergovernativi in tema
di promozione dell’educazione ai diritti umani, emanava nel biennio 1992-1993 due
raccomandazioni – Sette e nuovi movimenti religiosi e Tolleranza religiosa nella società democra-
tica – con un’attenzione non marginale ai nuovi doveri della scuola. Si raccomanda, tra
l’altro, ai ministri dell’Istruzione degli Stati membri di operare affinché
il programma del sistema generale d’istruzione comprenda obbligatoriamente un’informazio-
ne concreta e obbiettiva sulle religioni maggiori e le loro principali varianti, sui principi dello
studio comparativo delle religioni, e sull’etica e i diritti personali e sociali [racc. 1178, 7,1].

Si osserva che
la questione della tolleranza religiosa deve dare spazio alla più ampia riflessione. E che con-
verrebbe spingere le tre religioni monoteistiche a mettere maggiormente l’accento sui quei
valori morali fondamentali di tolleranza, che sono assai simili tra loro nelle questioni di
principio [racc. 1202, 12].

Si raccomanda di
vegliare affinché si inseriscano nei programmi scolastici dei corsi sulle religioni e la morale,
e sforzarsi di ottenere nei manuali (compresi i libri di storia) e nell’insegnamento una pre-
sentazione differenziata ed accurata delle religioni allo scopo di migliorare e di approfondire
conoscenza delle diverse religioni [racc. 1202, 16, 3],

39
  Si veda comunque il cospicuo elenco di progetti, alcuni portati a termine e altri in corso, che
la Commissione europea ha curato con il dossier informativo Pluralism and Religious Diversity, Social
Cohesion and Integration in Europe. Insights from European Research, Luxembourg 2011.
40
  Cfr. A. Amatucci, A. Augenti e F. Matarazzo, Lo spazio europeo dell’educazione. Scuola, Università,
Costituzione per l’Europa, Roma 2005.
84 Flavio Pajer

senza dimenticare
che la conoscenza della propria religione o dei propri principi etici è una condizioni prelimi-
nare ad ogni vera tolleranza e che può ugualmente servire da difesa contro l’indifferenza e i
pregiudizi [racc. 1202, 16, 4].

Una successiva risoluzione del Consiglio, Lotta contro il razzismo e la xenofobia


(1995), invitava i ministri dell’educazione degli Stati membri a incrementare nella
scuola un trattamento paritario tra culture e religioni (insegnamento interculturale
e interreligioso), per favorire l’integrazione delle persone di diversa origine etnica,
culturale e religiosa. Nella raccomandazione Educazione ai diritti umani (1997), l’As-
semblea parlamentare invitava a riesaminare tutti i programmi, dalla scuola primaria
all’università, al fine di eliminare quegli elementi culturali suscettibili di creare stere-
otipi negativi e di introdurre invece elementi atti a favorire la tolleranza e la stima tra
persone di culture e credenze diverse. Il Rapporto del Consiglio d’Europa su Religio-
ne e democrazia (1999), partendo dalla constatazione che i movimenti fondamentalisti
e gli atti di terrorismo, il razzismo e la xenofobia, i conflitti interetnici, hanno più
o meno una componente religiosa, raccomanda agli Stati membri di promuovere
una corretta e comune istruzione religiosa in corsi specifici e in modo diffusivo
nei curricoli scolastici. Il problema di fondo che emerge a chiare lettere da questo
Rapporto e nei successivi pronunciamenti è quello della coesione sociale e della accet-
tazione del pluralismo. Nella ricerca di modelli educativi plausibili il fattore religioso è
registrato sia sul versante dei problemi che su quello delle soluzioni: nella misura in
cui il pluralismo diventa la cifra distintiva delle società europee ormai sempre più
svincolate dal legame con i soli sistemi tradizionali di credenze religiose e filosofi-
che, incombe sull’educazione pubblica l’impegno di ricreare ragioni e condizioni di
una coesione sociale che non eluda strumentalmente il potenziale religioso, ma lo
sappia reinvestire in termini laici di «memoria culturale», di «costruzione di senso»,
di «risorsa etica e valoriale».
Il Comitato dei ministri dell’Istruzione del Consiglio d’Europa adottava nel
2002 – si noti: pochi mesi dopo la tragedia dell’11 settembre – una specifica racco-
mandazione relativa all’Educazione alla cittadinanza, in cui si lamentava «l’aumento di
casi di razzismo, xenofobia, nazionalismo aggressivo, intolleranza verso le minoran-
ze, discriminazione ed esclusione sociale, fenomeni che sono altrettante sfide alla
sicurezza, alla stabilità e allo sviluppo delle società democratiche». Lo stesso docu-
mento sottolineava la necessità di assumere l’educazione alla cittadinanza demo-
cratica come «un fattore di coesione sociale, di comprensione reciproca, di dialogo
interculturale e interreligioso».
La Commissione europea, per iniziativa dell’allora presidente Romano Prodi,
incaricava un gruppo di una ventina di esperti provenienti da una decina di paesi
dell’area mediterranea di
riflettere sul dialogo tra i popoli e le culture prospicienti le rive nord, sud ed est del Medi-
terraneo, per individuare le emergenze poste dalla globalizzazione, dalla immigrazione e
dall’imminente allargamento dell’Unione europea.

Il gruppo pubblicava nel 2004 i risultati della comune riflessione, tra i quali al-
Scuola e università in Europa 85

cuni in particolare riguardano proprio l’approccio scolastico al fatto religioso: se la


scuola deve informare sulle funzioni antropologico-sociali, culturali e talvolta politi-
che del fatto religioso, ne consegue la necessità di riorganizzare i programmi in vista
di un insegnamento comparativo delle religioni e delle culture specifiche ai paesi
dell’area euro-mediterranea. Tale insegnamento comparativo va affidato a profes-
sionisti imparziali dell’educazione, capaci di lavorare a scuola «con l’obbiettività del
conoscitore e non con la passione del missionario».
Da parte sua, un altro autorevole organismo del Consiglio d’Europa, il Commis-
sario europeo per i diritti umani, si è fatto promotore, tra il 2000 e il 2006, di una serie
di seminari di studio tra responsabili dei ministeri nazionali dell’istruzione, insieme a
rappresentanti delle chiese cristiane e di altre organizzazioni religiose, ed esponenti
accademici delle scienze religiose, giuridiche e pedagogiche, nell’intento di prospettare
vie nuove per garantire il mantenimento di uno stato di diritto democratico, rispettoso
nel contempo delle libertà fondamentali, tra cui quelle di religione. Il filo del discorso
che ha collegato questi incontri politico-religiosi si basa sul postulato che
la costruzione dell’Europa esige una cultura politica che superi gli antagonismi; ne consegue
la necessità di chiarire i fondamenti etici dei principi che regolano la vita delle società eu-
ropee. Le religioni, matrici culturali e comuni di tali fondamenti e principi, hanno un ruolo
importante in questo processo. Anche perché democrazia e religione hanno in comune l’idea
del riconoscimento e del rispetto dell’altro [dalle conclusioni del seminario di Lovanio].

Di qui la pressante richiesta (formulata a conclusione del seminario di Malta) che


lo studio del fatto religioso diventi in tutte le scuole luogo di educazione alla tolleranza e di
cultura dei diritti umani, perché le religioni hanno indubbiamente dei valori e dei capitali di
saggezza universali tali da armonizzarsi con la cultura democratica dei diritti umani.

Senza dimenticare tuttavia alcuni limiti della educazione religiosa scolastica: pri-
mo, «se la scuola ha il dovere di far conoscere criticamente il fatto religioso, non
per questo essa detiene il monopolio della ricerca di senso»; secondo, «se va attivata
o mantenuta una disciplina specifica di cultura religiosa, ciò non esonera le altre
discipline del curricolo dal riconoscere la dimensione religiosa insita nei vari saperi
scolatici»; terzo, «se le autorità statali si incaricano di istruzione religiosa, ciò non
significa espropriazione dei compiti propriamente pastorali delle chiese e delle altre
organizzazioni religiose, che continuano ad esercitarli liberamente sia nella scuola
(confessionale) sia fuori della scuola».
Sulla scia di questi seminari europei, una Giornata di studio tra esperti (indet-
ta dal Consiglio d’Europa a Strasburgo, il 28 aprile 2005) sulla Sensibilizzazione non
confessionale al fatto religioso: quale contributo alla cittadinanza democratica? è approdata a
coagulare alcune ragioni plausibili per fare della cultura religiosa un approccio acon-
fessionale e curricolare nella scuola di tutti. In sintesi41:
1)  un insegnamento sulle religioni offre delle chiavi di intelligibilità che contribu-

41
  Cfr. J. Barnett (a cura di), Education that Takes Sccount of Religion: How Can This Contribute to
Democratic Citizenship?, Report on an INGO Study Day in the Council of Europe, pro manuscripto, Stras-
bourg 2005, 82 pp.
86 Flavio Pajer

iscono a far meglio comprendere il patrimonio culturale rappresentato da innumere-


voli testi letterari, giuridici, filosofici, e da opere d’arte;
2)  un simile approccio storico e critico ai fatti e alle verità religiose aiuta a parla-
re delle proprie e altrui convinzioni – siano esse religiose o filosofiche o agnostiche
– in termini più distaccati, oggettivi, cioè più democratici. Saper parlare di religione
a un pubblico diversificato, senza poter contare sulla connivenza di correligionari –
ha sottolineato un esperto – è una competenza tipica delle democrazie pluraliste; è
saper riconoscere di fatto che il credo religioso di cui si parla non è quella struttura
simbolica inglobante o asfissiante da cui nessuno può sentirsi esente, ma è solo un
orientamento possibile e legittimo fra altri possibili e legittimi. Un simile approc-
cio può urtare solo chi ha una autocomprensione religiosa che rifiuta mediazioni
critiche e storiche, in quanto demolisce le presunte certezze dei fondamentalisti e
disarma chi vorrebbe imporre lo stesso sistema religioso a tutta la società;
3)  un approccio aconfessionale al fatto religioso non può che essere di aiuto
a tutti gli alunni: a quelli che hanno una fede, perché in questo modo ne possono
maturare meglio gli argomenti razionali di credibilità, e a quelli che credono di non
aver una fede, perché possono trovare stimoli per verificare o infirmare la propria
posizione, che da ideologica o emotiva quale può essere inizialmente può maturare
in posizione scientificamente accreditata; è evidente che uno studio critico dell’e-
sperienza religiosa dà comunque strumenti utili per resistere ai fondamentalismi, al
proselitismo o al qualunquismo;
4)  se l’educazione scolastica non avviene mai in una no man’s land culturale, ma
in un contesto sociale ben determinato e connotato da una specifica storia culturale
e religiosa, allora anche l’istruzione religiosa non può prescindere dal dare ragione-
vole precedenza alla tradizione religiosa prevalente nel paese, alla storia religiosa e
all’ethos nazionale. Una conoscenza critica dell’universo religioso e simbolico che
ha caratterizzato e caratterizza la storia nazionale è indubbiamente un forte incenti-
vo anche all’educazione ai valori della cittadinanza.
Interviene ancora l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa che adotta
nel 2005 l’importante rapporto Educazione e religione (racc. 1720), che riepiloga e
precisa le linee di politica educativa che il Consiglio era andato via via proponendo
nell’ultimo ventennio in tema di istruzione-educazione scolastica. Il filo rosso del
documento è riassumibile intorno a questi tre nodi:
1)  la religione, pur essendo un’opzione privata (art. 1), che non dovrebbe me-
scolarsi con la politica (art. 5), è riconosciuta come una componente ineliminabile
delle culture umane e origine di non pochi problemi sociali (art. 2) e di conflitti poli-
tici (art. 7), e come tale è un fenomeno che va criticamente conosciuto a scuola (art.
6), anche perché la famiglia perde sempre più peso in fatto di iniziazione religiosa
(art. 3) e gli stessi mass media offrono spesso al consumo popolare prodotti discuti-
bili e disinformati dal punto di vista delle scienze religiose (art. 4);
2)  uno studio oggettivo del fatto religioso dovrebbe avere tra le sue finalità
quella di educare al senso della tolleranza e quindi di favorire l’esercizio della citta-
dinanza democratica (art. 1), di combattere contro estremismi religiosi e fanatismi
(artt. 5 e 7; 14,3), di premunirsi contro il proselitismo (art. 8), e quindi di offrire ai
giovani strumenti critici adeguati (art. 14,3), e infine di conoscere meglio anche la
storia e le civiltà umane, di cui la religione è dimensione integrante (art. 8);
Scuola e università in Europa 87

3)  tale studio dovrebbe avere un profilo organizzativo così caratterizzato: met-
tere a programma – su iniziativa delle autorità pubbliche (art. 14,6) – l’origine e
la storia delle principali religioni (art. 14,2), anche nei paesi che hanno una sola
tradizione predominante (art. 8), privilegiando però i tre monoteismi abramitici i
cui valori sono alla radice dell’ethos europeo (art. 12) e acquisendo per questo la
consulenza dei rappresentanti delle confessioni religiose interessate (art. 14,6). Di-
datticamente, la preferenza va al metodo di lettura comparativo (art. 10), applicabile
in moduli progressivi per livelli di scuola (art. 13,1). L’insegnante deve disporre di
una formazione specifica, con ulteriori competenze disciplinari preferibilmente di
tipo umanistico (art. 14,5), deve essere capace di rispettare l’identità confessionale
dei suoi alunni (art. 14,1), di rispettare il confine tra il culturale e il cultuale (art. 14,4).
A tale scopo è prevista anche la creazione di un «istituto europeo di formazione di
insegnanti per lo studio comparato delle religioni» (art. 13,3).
Esce poi nel 2007, sotto l’autorità dell’OSCE (Organizzazione per la sicurezza
e la cooperazione europea), un corposo e assai rilevante documento dal titolo Toledo
Guiding Principles on Teaching about Religions and Beliefs in public schools42, preparato da un
gruppo di giuristi esperti in diritti umani e in particolare nell’area della libertà religio-
sa. In materia educativa, definisce l’orizzonte di criteri e procedure per garantire li-
bertà di scelta per le famiglie, correttezza professionale per gli insegnanti, non discri-
minazione per le minoranze religiose, rispetto per le convinzioni di tutti. Una specie
di autorevole know-how destinato alle autorità pubbliche e religiose, ai funzionari dei
ministeri dell’educazione, ai formatori degli insegnanti, ai redattori di programmi e
libri di testo di cultura religiosa. Una specie di «digesto» che dovrà orientare le poli-
tiche educative dell’intero continente, se le competenti autorità nazionali avranno la
coerenza e la lungimiranza di applicarlo nelle scuole del proprio paese.
Nel maggio 2008 i ministri degli Affari esteri del Consiglio d’Europa lanciano il
Libro Bianco sul dialogo interculturale, Vivere insieme in una uguale dignità43, che rap-
presenta oggi il condensato più maturo delle direttive pedagogiche istituzionali in
tema di dialogo interculturale. La religione è considerata dimensione integrante delle
culture; la diversità religiosa – in concreto, il cristianesimo, l’ebraismo e l’islam – è
valorizzata non solo perché ha fondato e arricchito larga parte della cultura europea,
ma perché è capace di offrire ancora oggi risposte sensate alla universale ricerca
di senso e di valori. Si riconosce che «la pratica religiosa è una componente della
vita e non può essere esclusa dalla sfera d’interesse delle autorità pubbliche, anche
se lo Stato deve conservare il suo ruolo di garante neutro e imparziale di fronte a
fedi e convinzioni non religiose» [par. 3,5]. Al fine di applicare questi principi nella
didattica scolastica, i ministri dell’educazione degli Stati membri hanno approvato
nel dicembre 2008 una raccomandazione (racc. c.m. 12) su Dimensione delle religioni e
delle convinzioni non religiose nell’educazione interculturale44. Vi si definisce la prospettiva
in cui la religione e le convinzioni filosofiche devono essere assunte nel contesto

42
  Warsaw 2007, 130 pp. Per una più dettagliata presentazione del significato e dei contenuti di
questi principi-guida, mi permetto rinviare al mio articolo Da Toledo a Roma via Strasburgo: per una cultura
religiosa pubblica secondo Costituzione, in «Protestantesimo», 66, 3 (2011), pp. 235-259.
43
  Strasburgo 2008, 72 pp. (nelle versioni inglese e francese).
44
  Strasburgo 2008, 32 pp. (nelle versioni inglese e francese).
88 Flavio Pajer

dell’educazione interculturale (l’istruzione religiosa è vista qui come rinforzo dei


diritti della persona, come contributo ai valori della cittadinanza democratica, come
sviluppo delle competenze per il dialogo interculturale), e si suggeriscono di conse-
guenza gli obiettivi e le metodologie da privilegiare nel processo di insegnamento-
apprendimento.
È la volta poi, nel 2010, della nuova Carta del Consiglio d’Europa sull’educazione
alla cittadinanza democratica e l’educazione ai diritti umani45, motivata dal crescendo, in
varie zone d’Europa, di «fenomeni di violenza, di razzismo, di xenofobia, di discri-
minazione delle minoranze, di intolleranza». La «filosofia» che ispira i redattori del
documento può essere colta in questo paragrafo paradigmatico, topica esemplare in
questa letteratura (pp. 9-10, nostra traduzione):
Tra gli scopi essenziali dell’educazione a scuola vi è la promozione della coesione sociale
e del dialogo interculturale, e la consapevolezza del valore della diversità e dell’uguaglianza
tra persone; per questo è fondamentale acquisire quelle conoscenze e quegli atteggiamenti
personali e sociali, che possano ridurre i conflitti, apprezzare meglio le differenze tra le
appartenenze religiose e i gruppi etnici, instaurare un mutuo rispetto per la dignità e i valori
condivisi, incoraggiare il dialogo e la non-violenza per la risoluzione dei problemi e dei
conflitti.

Un ulteriore insistito intervento dell’Assemblea parlamentare è quello compiuto


nel 2011 con l’accoppiata della raccomandazione n. 1965 e la risoluzione n. 1803,
ambedue sulla Educazione contro la violenza a scuola, dove non si manca di correspon-
sabilizzare tutte le materie scolastiche, «compresi gli insegnamenti di religione e di
etica», nel compito collegiale di educare gli alunni alle ragioni e ai valori di una cor-
retta convivenza. La stessa Assemblea si pronuncia infine con un’altra Risoluzione,
la n.1928 del 24 aprile 2013, in tema di «salvaguardia dei diritti umani in rapporto
alla religione e alle convinzioni», e in tema di «protezione delle comunità religiose
dalla violenza». Dove è questione di rispettare il diritto dei genitori di assicurare ai
figli «un’educazione critica e pluralista, ma anche conforme alle proprie convinzione
religiose e filosofiche»; e dove si ribadisce tra l’altro la necessità di «un insegnamento
esatto e obiettivo sulle religioni e le convinzioni non religiose, comprese quelle delle
minoranze». Non dissimili sono le «raccomandazioni in materia di politiche pubbli-
che», espresse a conclusione della grande ricerca europea REDCo, condotta di re-
cente da un pool di docenti universitari specialisti in Religionspädagogik di otto paesi46:

45
  Strasburgo 2008, 42 pp. (nelle versioni inglese e francese).
46
  REDCo (acronimo di: La Religion dans l’Education: Contribution au Dialogue ou facteur de Conflit dans
l’évolution des pays européens?) è un progetto europeo di ricerca sull’atteggiamento dei giovani studenti di
fronte all’insegnamento religioso ricevuto a scuola, e di fronte alla diversità religiosa percepita attorno
a loro; ricerca che si estende anche ai metodi preferiti dagli insegnanti di religione e alle loro strategie
didattiche. Coordinata dal prof. Wolfram Weisse dell’Università di Hamburg, e condotta nell’arco del
triennio 2006 al 2009 mediante inchieste qualitative e quantitative, la ricerca ha riguardato parecchie
migliaia di studenti adolescenti (tra i 14 e i 16 anni circa) di otto paesi: Estonia, Francia, Germania,
Inghilterra, Norvegia, Olanda, Russia, Spagna. I risultati sono stati messi a disposizione dei ministeri
nazionali dell’istruzione e degli esperti incaricati di redigere programmi di religione (confessionali e
non) e relativi libri di testo. Cfr. C. Béraud e J.-P. Willaime (a cura di), Les jeunes, l’école et la religion, Paris
2009. Le raccomandazioni qui sintetizzate sono alle pp. 269-275.
Scuola e università in Europa 89

– incoraggiare una coesistenza pacifica, mediante la conoscenza del ruolo posi-


tivo delle religioni, il dialogo e lo scambio tra allievi e gruppi religiosi o non religiosi;
demolire gli stereotipi negativi sulle religioni;
– promuovere la gestione della diversità religiosa e filosofica all’interno della
scuola e dell’università (con la possibilità, a seconda dei sistemi educativi nazionali,
di studiare religioni e filosofie sia in corsi specifici, sia nei programmi di storia e let-
tere; confrontare quello che si impara nel corso di religione con quello che si studia
nelle altre materie affini; promuovere esercizi di «tolleranza attiva»; incoraggiare le
università a non sottovalutare nelle proprie ricerche la diversità religiosa e le sue
conseguenze;
– promuovere il pluralismo religioso e filosofico nella composizione dei collegi
docenti e del personale amministrativo;
– adottare in tutta la didattica scolastica un trattamento inclusivo e non gerarchi-
co delle visioni religiose e non religiose del mondo;
– formare gli insegnanti delle varie discipline ad assumere professionalmente, in
modo pertinente cioè obiettivo e imparziale, i fatti religiosi, le convinzioni personali,
le ideologie della storia di ieri e di oggi (tale formazione include, per es., la capacità di
moderare dei dibattiti in classe tra le diverse opinioni, di fare spazio alle diverse lettu-
re scientifiche e ideologiche cui un testo letterario può essere sottoposto, di saper es-
sere imparziali nell’insegnare senza per questo essere persone neutre o indifferenti).
La carrellata (volutamente cronologica) sui principali pronunciamenti europei in
fatto di istruzione religiosa ha avuto lo scopo di evidenziare:
– una certa continuità e organicità delle prese di posizione dei politici e degli
esperti europei sulla questione: politici ed esperti che hanno la gelosa consapevo-
lezza di dover difendere il carattere positivamente laico e democratico della scuola
pubblica nel farsi carico di una dimensione ineliminabile dei saperi qual è quella
religiosa;
– la preoccupazione strategica che fa da movente a queste iniziative: il timore
che il tessuto sociale europeo si disgreghi e diventi ingestibile in seguito a due feno-
meni paralleli e sociologicamente divaricanti: da una parte l’incremento del tasso di
multireligiosità non cristiana e dall’altra il decremento numerico dei cristiani europei
(«apostasia» l’aveva severamente qualificata il Sinodo del vescovi europei del 1999) e
la flessione conseguente del ruolo culturale ed educativo delle chiese;
– la conseguente centratura «antropologica» dell’istruzione religiosa invocata
come possibile e necessaria stampella d’appoggio ai programmi di educazione ai
valori della cittadinanza democratica (di qui la realistica e comprensibile obiezione
di chi vede in questa politica europea una discutibile e strumentale curvatura del
patrimonio etico-religioso cristiano ridotto al ruolo di «religione civile»);
– l’ottica serenamente libera e laica nell’affrontare il problema dell’educazio-
ne religiosa pubblica dal punto di vista della governance civile: nessuna aggressività
anticonfessionale in questi documenti, anzi rispetto per le competenze specifiche
delle chiese, ma nemmeno segni ambigui di servile subalternità nei confronti delle
autorità religiose;
– il carattere tuttora interlocutorio, necessariamente evasivo, di tante «racco-
mandazioni» ideali, strategicamente e pedagogicamente plausibili, quasi da soccorso
umanitario, ma che per diventare operative devono passare da quei temibili diafram-
90 Flavio Pajer

mi selettivi che sono in Europa i diversi sistemi educativi nazionali; questi, come ab-
biamo ripetuto in precedenza, restano più vincolati alla storia religiosa del paese e ai
modelli locali di rapporto Stato-chiesa che non interessati a omologarsi agli indirizzi
educativi sovranazionali di un’Europa ancora in costruzione.
In conclusione su questo profilo del paradigma 347, richiamiamo la sua ragion
d’essere: convivere in una società pluralista presuppone – oltre alla coscienza della
relatività della propria cultura, o superamento dell’etnocentrismo – una conoscenza
non ingenua ma scientificamente fondata dell’«altro», come occorre anche basarsi
sulla condivisione di una tavola di valori universali irrinunciabili. Tali valori, iscritti
nelle costituzioni delle società occidentali, includono la dignità della persona, la sa-
cralità della vita, l’uguaglianza tra tutti gli esseri umani (a prescindere dall’età, dall’et-
nia, dalla salute fisica e mentale, dalla religione), la libertà religiosa (che include il
diritto di cambiare fede o di non averne nessuna), la pari dignità tra uomo e donna,
tra credenti e non credenti. Non senza riconoscere però la diversa fonte di legitti-
mazione dei valori: mentre, per esempio, in Occidente la legge civile è dirimente
rispetto a quella religiosa, nelle società musulmane accade il contrario… Ma anche
all’interno di un quadro di principi etici collaudati e sanciti dalla legge, il compito
della scuola pubblica non può ridursi a trasmettere un patrimonio solidificato di
sole regole per una buona convivenza, perché queste regole camminano con la vita
stessa. Conoscere le regole va di pari passo con il saper reinventare le regole del
vivere insieme in contesti nuovi. Torna l’esigenza di coniugare informazione su la
cittadinanza e formazione per vivere la cittadinanza48. Per redimere la scuola dalla
sua deriva burocratica, va riscoperta la sua funzione etico-civile come generatrice
di valori in contesto laico (ma non per questo a-religioso o anti-religioso) e plura-
lista. La riflessione etica contemporanea non consente più di proporre una morale
«assoluta», ma spinge a rinegoziare principi etici e percorsi pedagogici entro i limiti
problematici ma realistici della relatività della morale e del diritto.
Educazione alla cittadinanza e istruzione religiosa sono chiamate a valicare il loro
tradizionale orizzonte nazionale per guardare più decisamente all’orizzonte europeo, e
oltre: l’una, perché dal Trattato di Maastricht, non esiste più legalmente una cittadinan-
za nazionale avulsa da quella comunitaria, l’altra perché sarebbe insufficiente acquisire
l’identità relativa alla sola tradizione confessionale nazionale ignorando il quadro delle

47
  Il modello trova applicazioni concrete nei numerosi insegnamenti di Etica non confessionale
in almeno una decina di paesi, sia come corso autonomo sia in funzione alternativa a un corso di istru-
zione religiosa. Ma emblematici sono altri tre casi nazionali: quello del Québec con il corso curricolare
Éthique et culture religieuse, attivato dal 2008 in sostituzione dei precedenti corsi confessionali cattolico
e protestante; quello della Turchia, Cultura religiosa e conoscenza dell’Etica, in vigore fin dal 1982 nella
scuola secondaria; e quello della Francia che sta predisponendo l’accensione di un Enseignement laïque
de la morale per il 2015 (il cui testo-base, 66 pp., pubblicato il 22 aprile 2013, è disponibile su: www.
education.gouv.fr/cid71583/morale-laique-pour-un-enseignement-laique-de-la-morale.html).
48
  Cfr. J. Bindé (a cura di), Où vont les valeurs? Entretiens du XXI siècle, Paris 2004; Fondazione
Lanza, Per una rinnovata etica civile, documento del Secondo Forum nazionale di Etica applicata, Padova
2013, 8 pp. (stampato in proprio); F. Audigier, L’éducation à la citoyenneté dans ses contradictions, in «Revue
internationale d’éducation de Sèvres», 44 (2007), pp. 25-34. Sul caso dei recenti conflitti spagnoli tra
gerarchia cattolica e ministero dell’istruzione in merito alla Educación para la ciudadanía, cfr. L. Cap-
puccio e D. Gamper, L’educazione alla cittadinanza nell’esperienza spagnola: insegnamento della Costituzione o
ateismo di Stato?, in «Quaderni di diritto e politica ecclesiastica», 19, 1 (2011), pp. 147-158.
Scuola e università in Europa 91

altre tradizioni nazionali del continente e ora anche delle altre consistenti presenze reli-
giose e filosofiche. Cura della cittadinanza europea e avviamento al dialogo ecumenico
si richiamano e si includono reciprocamente, se si vogliono fugare dall’orizzonte gli
antichi spettri delle guerre di religione e allontanare anche quei rigurgiti di oltranzismo
identitario etnico-religioso che appena pochi anni fa hanno sconvolto regioni europee
come quelle della ex Jugoslavia, dell’Irlanda del Nord, di Cipro, ecc.

6. Visioni del religioso e strategie educative attraverso i tre paradigmi

Una lettura trasversale e comparativa dei tre profili invita a rilevare elementi di
continuità e di rottura, punti di forza ed elementi di criticità in ciascuno dei modelli,
e in particolare invita a individuare quando e sotto che aspetti un’alfabetizzazione
religiosa si ritiene riuscita, e quando invece può sfociare nell’incultura.
Già si è ricordato come i tre paradigmi siano contestuali sia alla velocità e ai
livelli di secolarizzazione di una società, sia ai vincoli storici contratti dallo Stato
con le chiese, sia alla tipologia dei sistemi educativi e dell’eventuale presenza delle
scienze teologiche e religiose nel sistema accademico nazionale. Il che dissuade
subito dalla tentazione di voler emettere giudizi di valore, enfatizzando un modello
e squalificandone un altro. Se una valutazione è permessa, questa va ovviamente
formulata sulla base degli esiti educativi e cognitivi prodotti in contesto. Esiti che,
a loro volta, andrebbero misurati non solo nei tempi brevi dell’anno o del ciclo
scolastico (verifica fattibile e sempre auspicabile)49, ma sulla «tenuta» a medio e
lungo termine dell’insegnamento e della formazione ricevuti, quindi ben oltre i
tempi della scuola.

49
  Solo un cenno marginale a questo aspetto tecnico, ma non minore, della didattica religio-
sa. Man mano che gli insegnamenti in materia di religione abbandonano il tradizionale approccio
confessionale per entrare nella logica secolare dell’apprendimento di competenze disciplinari e di
comportamenti sociali, le une e gli altri possono e devono diventare normali oggetti della comune
verifica scolastica. Il «voto» in religione è prassi normale nel P2 e P3, era e resta problematico nel
P1. In non pochi casi la religione rientra oggi tra le possibili materie dell’esame finale della seconda-
ria. Significativo il caso dell’Austria: il ministero dell’Istruzione ha chiesto ai responsabili delle varie
religioni presenti nel paese di formulare un breve syllabus di conoscenze relative alla rispettiva reli-
gione, e ora l’insieme di quei syllabi è proposto allo studio e all’esame dei maturandi di tutte le scuole
pubbliche (Bundesministerium für Unterricht, Die kompetenzorientierte Reifeprüfung aus Religion, Wien
2012, p. 157). In Belgio, la Federazione delle scuole secondarie cattoliche ha pubblicato fin dal 2004
uno strumento per la verifica pubblica e periodica delle conoscenze/abilità/ competenze acquisite in
«religione» dagli alunni nel percorso della loro scolarità (cfr. Fédération de l’Enseignement Secon-
daire Catholique, L’évaluation au cours de religion. Outil pédagogique évolutif d’accompagnement du Programme
de religion, 2004, 52 pp., online all’indirizzo www.segec.be/documents/fesec/secteurs/religion/evalua-
tion_religion.pdf). Per una riflessione critica sull’esperienza tedesca, cfr. A. Reese-Schnitker, Leistung
im Religionunterricht. Chancen und Gefahren für eine Evaluation, in «Orientamenti Pedagogici», 57, 2 (2010),
pp. 295-321. Sull’esperienza turca (insegnamento dell’Etica): http://jcs.oxfordjournals.org/content/
early/2012/10/03/jcs.css082.full.
92 Flavio Pajer

6.1. Sguardo trasversale

Abbiamo isolato e «costruito» tre fondamentali modalità di fare cultura religiosa


a scuola. Ma è evidente che il contenuto semantico dell’oggetto «religione» non è
più lo stesso da un contesto all’altro. Nel paradigma 1 per religione si intende quella
della tradizione storica dominante nel paese, quella che si è «compromessa» per
secoli non solo con l’ethos del vissuto popolare ma che ha marchiato ordinamenti
politici, scelte economiche, scuole di pensiero, patrimoni d’arte; non solo, ma questa
religione viene qui insegnata e appresa come la «fede vera», non come fenomeno
impersonale. In P2 invece per religione si intende sia il fatto universale della mol-
teplicità delle religioni storiche (storia, sociologia e fenomenologia delle religioni),
sia i contesti e le espressioni dell’homo symbolicus (filosofia e antropologia religiosa):
religione dunque come oggetto di specifiche scienze, e come tale degno di figurare
come disciplina nella scuola di tutti. In P3, la religione è vista sia come parte del
problema sociale (la diversità come minaccia alla coesione), sia come risorsa per
la soluzione del problema stesso (il capitale etico delle religioni come piedestallo
per i valori della cittadinanza). Prospettiva intra-religiosa, anzi intra-confessionale
perimetrata dallo Stato nazionale nel P1, approccio multi- e inter-religioso in un
orizzonte transnazionale nel P2, prospettiva trans-religiosa in dimensione etica e in
un orizzonte idealmente globale, ma che di fatto si ripiega sulle urgenze localistiche
della comunità civile nel P3.
Cambiano quindi la legittimazione e la funzione stessa dell’insegnamento reli-
gioso: nel primo caso esso è subordinato al collateralismo dei due poteri alleati per
tenere cementata una società civile a maggioranza monoconfessionale, nel secon-
do caso l’insegnamento delle religioni rientra come compito di una «scuola delle
competenze» in una «società della conoscenza», sfruttando nel contempo la ricerca
alta delle scienze religiose divulgandone criticamente contenuti e metodologie nella
scuola secondaria e primaria; nel terzo, la funzione prioritaria è quella di puntellare
la coesione sociale esposta a rischio, fornendo principi ispiratori e buone pratiche di
convivenza e promuovendo, in una «scuola orientata ai valori» e in una prospettiva
di rispetto dei diritti umani e quindi della libertà religiosa. A decidere queste diverse
funzioni stanno a monte istanze o centri di potere che, pur controllandosi recipro-
camente e talora collaborando apertamente, hanno in mano il timone del comando:
rispettivamente, il potere politico-diplomatico delle chiese maggioritarie, il potere ac-
cademico dell’università e della pedagogia della scuola, il potere di indirizzo delle po-
litiche educative sovranazionali (Consiglio d’Europa e organismi giuridici annessi).
Continuando nella schematizzazione, risulta intuibile anche la diversità specifica
degli approcci metodologici praticati di preferenza nei tre ideal-tipi. Nella letteratura
pedagogica britannica è invalso il ricorso a tre comode preposizioni per indicare
tecnicamente la postura dell’insegnante e dell’allievo di fronte all’oggetto di inse-
gnamento/apprendimento, e sono l’into/, l’about/ e il from religion; ma guardando
alla più vasta e diversificata gamma delle pratiche europee, converrebbe ricorrere ad
altre due preposizioni di cui l’esperienza inglese non sente per ora il bisogno: trough
religion e out of religion. Non è difficile attribuire all’insegnamento concordatario una
didattica dell’into religion, anzi dell’into faith se si pensa a situazioni pregresse, quando
insegnante e classe intera coincidevano in una comune professione di fede; con le
Scuola e università in Europa 93

revisioni dei concordati, che profilano uno statuto «culturale» del corso di religione,
aprendo così le classi anche ad alunni di altra o di nessuna fede, l’insegnante conser-
va ancora la posizione into faith, ma il suo approccio didattico sarà solo into religion,
per avvicinarsi tendenzialmente all’about religion nella misura in cui il corso non deve
più avere i caratteri della catechesi. Invece l’insegnamento curricolare sulle religioni
si caratterizza chiaramente per un approccio oggettivo, imparziale, about religion, che
può combinarsi efficacemente con il from religion nel caso di una didattica che non si
limiti all’arida conoscenza dei dati ma arrivi a sfruttarne l’immancabile insegnamen-
to etico, spirituale, estetico ecc. Valgono i saperi sulle religioni, ma non meno quelli
che provengono dalle religioni. Più decisamente spostato su un approccio del tutto
secolare il terzo paradigma che può diventare, al limite, sinonimo di educazione
civica. Qui il fatto religioso, da cui insegnante e allievi possono anche sentirsi per-
sonalmente alieni (in una postura di out of religion, appunto), serve da «pretesto», da
utile materiale di passaggio (trough religion), per coltivare convinzioni, virtù civiche,
comportamenti sociali consoni alla dignità della persona e ai suoi diritti.

6.2. Incultura o amnesia religiosa?

In che consiste dunque oggi, in Europa, l’alfabetizzazione religiosa, o, inversa-


mente, quand’è che si riscontra l’incultura religiosa? La risposta non può che essere
plurale, articolata. Dipende anzitutto dal campo in cui ci si colloca per porre la do-
manda, e da che ottica ci si pone per rispondere.
È risaputo che in genere il vocabolario accusatore di chi denuncia «ignoranza
religiosa» emerge istintivo in chi «abita» culturalmente nell’orbita del sistema pro-
prio al P1, in chi cioè ha conosciuto da giovane un sistema monoconfessionale di
istruzione e lo ritiene tuttora come l’unico legittimo ed efficace. In questo caso,
in area cattolica, cultura e incultura si riferiscono a precisi contenuti individuabili
sostanzialmente nella enciclopedia teologico-catechistica del sapere cristiano for-
mulato in chiave neo-tomista occidentale («dogma, morale, sacramenti», elencavano
i manuali post-tridentini fino alla vigilia del Vaticano II). Si tratterebbe comunque
più spesso di ignoranza degli enunciati della fede, più che di carenza dei contenuti
sostanziali, che a volte possono essere posseduti in categorie non verbali da persone
letterariamente incolte. Altrettanto si potrebbe dire, mutatis mutandis, dell’area orto-
dossa, che non disdegna la conoscenza dei fondamentali della «dottrina», ma dà la
preminenza alla formulazione patristica della fede e alla carica simbolica delle cele-
brazioni liturgiche. Chiaro invece che in area protestante, sempre nella logica del P1,
l’alfabetizzazione religiosa coinciderà anzitutto con la padronanza del testo biblico,
delle sue chiavi di lettura, della storia dei suoi effetti nella cultura nazionale, delle
sue applicazioni ermeneutiche al vissuto quotidiano. Già a questo livello elementare
del conoscere verbalizzato, tre cristiani di diversa confessione che si confrontasse-
ro sulle loro conoscenze di base, dovrebbero ammettere ciascuno la propria parte
di analfabetismo rispetto alle normali conoscenze possedute dai due interlocutori.
Il P1 è nato, si è sviluppato e perdura tutt’oggi nella logica autoreferenziale del-
le confessioni cristiane nel tempo moderno. Il suo modello di istruzione religiosa,
inabituato, anzi impedito a elaborare cultura in una sana dialettica con la storia e la
94 Flavio Pajer

dottrina delle altre confessioni (pluralismo intra-cristiano), arriva assai impreparato


ad affrontare ora la sfida frontale del ben più complesso pluralismo interreligioso.
Nel contesto sociale multireligioso ed accademico del P2, religiosamente alfabe-
tizzato sarà ritenuto chi domina il fenomeno religioso con un minimo di strumenti
concettuali che vanno dalla storia dei cristianesimi europei alla storia delle maggiori
religioni mondiali, dall’ermeneutica dei testi sacri alla sociologia delle neo-religioni
nonché dei nuovi ateismi contemporanei. Nella comunicazione mediatica su que-
stioni di attualità religiosa riscuote indubbiamente maggior pubblico di uditori e di
lettori chi mostra di padroneggiare e gestire un ampio spettro di esperienze, testi
sacri, vocabolario, provenienti da religioni e spiritualità diverse. Inversamente, al
limite può sentirsi «analfabeta» nel nuovo areopago delle religioni persino il più
erudito teologo da seminario che non conosce altro che la sua teologia… Le cono-
scenze religiose, o meglio sul «religioso», stanno crescendo in modo esponenziale;
non è solo questione di quantità ma di «mutazione genetico-spirituale», di nuova
epistemologia, di nuova grammatica del pensare religioso nel contesto della società
della conoscenza. La scuola del P2 non ha archiviato – e non può nemmeno farlo
se è conseguente con le premesse della sua pedagogia – il patrimonio di verità che il
P1 continua a tenere al centro dell’istruzione religiosa, ma tenta di educare i giovani
d’oggi prendendoli là dove sono, immersi cioè nel frastuono indecifrabile di simboli,
messaggi, eventi, che rischiano di rimanere inaccessibili e opachi, o diventare fonte
di scelte settarie e deliranti, se nemmeno la scuola è capace di dar loro una «gram-
matica» del fenomeno religioso che cresce. Un «religioso» che non si identifica con
una particolare religione di chiesa, e tantomeno con gli enunciati del suo catechismo,
ma che cerca comunque agganci concreti ora con la natura, ora con le radici di una
tradizione, ora con la seduzione delle scienze, ora con la sete di comunità.
Se il terzo paradigma preferisce concentrarsi sui valori etici anziché sulle verità di
fede o sulla conoscenza del fenomeno religioso, è segno che la stessa ansia neo-illu-
ministica della alfabetizzazione religiosa sta emigrando verso il primato della deon-
tologia. Più che misurare i livelli di conoscenze religiose (non trascurati comunque),
si misurano i livelli di capacità di positiva tolleranza verso i diversi, le capacità di ca-
pire e dialogare con diversi per fede o convinzione. C’è un nesso positivo tra cono-
scenza e tolleranza. Non che si svaluti il sapere, ma il saper vivere, il saper dialogare,
il saper rispettare gli altrui diritti e saper farsi rispettare i propri, sono nuove esigenze
che emergono con urgente priorità – complice un diffuso individualismo – quando
si vive in una società diventata pulviscolare a causa anche delle diverse appartenenze
ideologiche, di identità fluide, di comunità disintegrate. Analfabeta in questo con-
testo sociale e in questa scuola sarà allora chi non ha acquisito la consuetudine a un
sano rapporto democratico con l’altro, rispettandolo nella sua costitutiva dignità di
persona prima di considerarne l’eventuale divergenza di vedute, o chi non riesce a
ricavare positivamente dalle religioni (dai loro testi sacri, dalle loro incarnazioni sto-
riche) utili insegnamenti per maturare valori profondamente umani e sociali come
la sete di giustizia, il gusto dell’onestà, il rispetto della diversità (culturale, sessuale,
anagrafica, religiosa o filosofica), il diritto alla libertà difeso per sé e per gli altri,
o ancora chi irresponsabilmente rifiuta di partecipare alla «costruzione della città»
mancando di solidarietà o di senso del bene comune, o del senso dello Stato…
L’educazione etico-religiosa declinata secondo la «filosofia» del P3 può forse
Scuola e università in Europa 95

apparire un’uscita dal sistema, un abbandono dei grandi territori cristiani della cul-
tura, della teologia, della mistica, della spiritualità, delle ecclesiologie, dello stesso
ecumenismo; una strumentalizzazione del patrimonio religioso a fini filantropici.
C’è da tener conto anche di possibili esiti incresciosi, come ci insegnano gli analisti
della secolarizzazione avanzata dell’Europa «post-cristiana». Ma in realtà è questio-
ne, ancora una volta, di saper distinguere e poi riconciliare i diversi regimi di verità
religiosa generati dalla ragione simbolica o dalla ragione strumentale.
L’idea di una verità in sé, da imparare come cognizione, cede il posto al con-
cetto di verità da costruire insieme e per il bene comune. Nel campo educativo la
comprensione cognitiva ha sempre bisogno di una convalida affettiva e questa di un
riconoscimento comunitario, sociale.
Infatti i diversi sistemi di discorso religioso che abbiamo rilevato attraverso la
griglia dei tre paradigmi ci confermano nella convinzione che non si tratta di visioni
esclusive, tanto meno schizofreniche, ma sempre complementari se comprese nella
loro contestualità storica e geografica, e sostanzialmente «complici» e solidali nel
compito di educare le giovani generazioni a capire le proprie radici e a immaginare
una città terrena più vivibile. Compito arduo se si pensa che già le generazioni adulte
di oggi, più che colpevoli di ignoranza religiosa, sembrano colpite da un più radicale
deficit culturale, quello dell’amnesia di un intero capitale simbolico che l’Occidente
aveva maturato per secoli, e che ora esita a trasmettere ai nuovi europei di domani.
Un salto nel vuoto, o una sfida?

Bibliografia

1. Rapporti recenti sugli insegnamenti in materia di religione in Europa

J.-P. Willaime e S. Mathieu (a cura di), Des maîtres et des dieux. Ecoles et religions en Europe, Pa-
ris 2005; E. Kuyk, J. Jensen, D. Lankshear, E. Lôh Manna e P. Schreiner (a cura di), Religious
Education in Europe. Situation and Current Trends in Schools, Oslo 2007; R. Jackson, S. Miedema, W.
Weisse e J.-P. Willaime (a cura di), Religion and Education in Europe. Developments, Contexts and Deba-
tes, Münster 2007; Consiglio delle Conferenze episcopali europee e Conferenza episcopale
italiana, L’insegnamento della religione, risorsa per l’Europa, a cura del Servizio per l’insegnamento
della religion cattolica, Torino 2008; L. Pépin, L’enseignement relatif aux religions dans les systèmes
scolaires européens. Tendances et enjeux, Bruxelles 2009; F.-X. Amherdt et al., Le fait religieux et son
enseignement. Des expériences aux modèles, Fribourg 2009; D. Davis e E. Miroshnikova (a cura di), The
Routledge International Handbook of Religious Education, London 2012; L. Collès e R. Nouailhat (a
cura di), Croire, savoir: quelle pédagogies européennes?, Bruxelles 2013.

Da segnalare la folta serie di fascicoli monotematici di riviste scientifiche con rapporti com-
plessivi, saggi e ricognizioni su singoli Stati: L’insegnamento delle scienze religiose in Europa, in «Reli-
gioni e Società», 15, 2, 37 (2000); L’insegnamento universitario delle scienze religiose e teologiche. Prospettive
italiane ed esperienze europee, in «Quaderni di Diritto e Politica ecclesiastica», 9, 1 (2001); L’insegna-
mento religioso nella scuola della società secolarizzata e multireligiosa, in «Seminarium», 42, 2 (2002); Régu-
lation de la religion par l’état. Nouvelles perspectives, in «Archives de sciences sociales des religions», 48,
121 (2003); L’insegnamento delle religioni nella scuola. Una prospettiva europea, in «Coscienza e libertà»,
27, 2 (2004); Ri-pensare l’Europa, in «Concilium», 40, 2 (2004); La Enseñanza religiosa en los centros
educativos, in «Bordón. Revista de Pedagogía», 58, 4-5 (2006); Religious Education in Europe, in «Nu-
96 Flavio Pajer

men», 55 (2008), pp. 123-334; L’insegnamento della Storia delle religioni in Europa tra scuola e università,
in «Studi e Materiali di Storia delle Religioni», 75, 2 (2009), pp. 371-563; Pluralismo religioso in una
società in trasformazione, in «Educazione interculturale», 7, 2 (2009); Insegnare a credere. Costruzione
degli Stati nazionali e insegnamento della religione nell’Europa contemporanea, in «Rivista di Storia del Cri-
stianesimo», 9, 1 (2012), pp. 3-181; Towards a Post-Secular Europe. Regulating Religious Diversity in the
public educational space, in «Historia Religionum», 4, 1 (2012).

2. Documenti di organismi civili e religiosi (disponibili generalmente nei rispettivi website istitu-
zionali)
Unione europea, Carta dei diritti fondamentali, Bruxelles, 28 settembre 2000.
Consiglio delle Conferenze episcopali europee (CCEE) e Conferenza delle chiese d’Euro-
pa (KEK), Charta oecumenica, Strasburgo, 22 aprile 2001; CCEE, Rapporti Chiesa-Stato: prospetti-
ve storiche e teologiche, Forum Europeo Cattolico-Ortodosso, Rodi 18-22 ottobre 2010, Bologna 2011.
Consiglio d’Europa, Assemblea Parlamentare
– racc. 1396 (1999) su religione e democrazia;
– racc. 1556 (2002) sulla religione e i cambiamenti in Europa centrale e orientale;
– racc. 1720 (2005) su Scuola e Religione;
– ris. 1510 (2006) sulla libertà d’espressione e il rispetto delle credenze religiose;
– racc. 1804 (2007) su Stato, religione, laicità e diritti umani;
– racc. 1905 (2007) sulla blasfemia, insulti a carattere religioso e incitamento all’odio contro
persone a motivo della loro religione;
– racc. 1563 (2007) su come combattere l’antisemitismo in Europa;
– racc. 1605 (2008);
– ris. 1831 (2008) sulle comunità musulmane europee di fronte all’estremismo;
– racc. 1962 (2011) sulla dimensione religiosa del dialogo interculturale;
– ris. 1928 (2013) sulla protezione dei diritti umani in materia di convinzioni religiose e non
religiose.
Consiglio d’Europa, La dimensione religiosa nell’educazione interculturale, Roma 2005.
Ministri degli Affari esteri del Consiglio d’Europa
– Vivere insieme nell’uguale dignità. Libro bianco sul dialogo interculturale, Strasburgo 7 maggio 2008;
– Dimensione delle religioni e delle convinzioni non religiose nell’educazione interculturale, racc. c.m.
(2008)12 adottata dal Comitato dei ministri il 10 dicembre 2008;
– Council of Europe Charter on Education for Democratic Citizenship and Human Rights Education,
rec. c.m. (2010)7 and explanatory memorandum adottata l’11 maggio 2011.
OSCE/ODIHR
Toledo Guiding Principles on Teaching about Religions and Beliefs in Public Schools, Warsaw 2007;
Guidelines for Educators on Countering Intolerance and Discrimination against Muslims, 2011.

3. Saggi vari
Barnett, J. (a cura di), A Theology for Europe. The Churches and the European Institutions, Bern 2005.
Capelle-Pogacean, A., Michel, P. e Pace, E. (a cura di), Religion(s) et identité(s) en Europe. L’épreuve
du pluriel, Paris 2008.
De Gregorio, L. (a cura di), Le confessioni religiose nel diritto dell’Unione europea, Bologna 2012, spec.
pp. 205-244.
Filoramo, G. e Remotti, F. (a cura di), Pluralismo religioso e modelli di convivenza, Alessandria 2009.
Ibán, I.C., Europa, diritto, religione, Bologna 2010.
Keast, J. (a cura di), Religious Diversity and Intercultural Education: A Reference Book for Schools,
Strasbourg 2007.
Scuola e università in Europa 97

Mazzola, R. (a cura di), Diritto e religione in Europa, Bologna 2012.


Milot, M., Portier, Ph. e Willaime, J.-P. (a cura di), Pluralisme et citoyenneté, Rennes 2010.
Ouellet, F. (a cura di), Quelle formation pour l’éducation à la religion?, Laval 2005.
Pajer, F. (a cura di), Europa, scuola, religioni. Monoteismi e confessioni cristiane per una nuova cittadinanza
europea, Torino 2005.
Pajer, F., Escuela y religión en Europa. Un camino de cincuenta años, 1960-2010, Madrid 2012.
Roy, O., La sainte ignorance. Le temps de la religion sans culture, Paris 2008.
Uitz, R., Freedom of religion, Strasbourg 2008.
Ventura, M., La laicità dell’Unione europea. Diritti, Mercato, Religione, Torino 2001.
Willaime, J.-P., Le retour du religieux dans la sphère publique, Lyon 2008.

4. Sitografia minima
CEEC, Comité Européen pour l’Enseignement catholique, www.ceec.be/presentation.htm
CoE, Council of Europe, www.coe.int/
CoGREE, The Coordinating Group for Religion in Education in Europe, www.cogree.com
EASR, Associazione europea per lo studio delle religioni, www.easr.de
EC, European Commission, http://ec.europa.eu/education/index
EFTRE, The European Form for Teachers of Religious Education, www.eftre.net
EuFRES, The European Forum for Religious Education in Schools, www.eufres.org
EVS, European Values Study, www.europeanvaluesstudy.eu
EWC, The European Wergeland Centre Oslo, www.theewc.org
ICCS, Inter-European Commission on Church and School, www.iccsweb.org
IESR, Institut européen en sciences des religions, www.iesr.ephe.sorbonne.fr/
IV, International Association for Christian Education, www.int-v.org
NEF, Network of European Foundations, www.nefic.org
ODIHR, OSCE Office for Democratic Institutions and Human Rights, www.osce.org/odihr
REDCo, La Religion à l’École. Contribution au Dialogue ou facteur de Conflit?, www.redco.
uni-hamburg.de
TRES, Teaching Religion in a multicultural European Society, www.rp.theologie.uni-wuerzburg.
de/research/finisched_projects/tres

Potrebbero piacerti anche