<Non ti vogliamo qui adoratore di Morrigan, torna alla tua capanna.>
La frase dell’ultimo capotribù dei Corvi di Mezzanotte, Grokka, riecheggiava ancora nella mente di Morkan mentre tornava verso la sua dimora isolata nei boschi. Un nevischio stridente come la lingua orchesca ricopriva il sottobosco in maniera totalmente inaspettata, dopo parecchie giornate baciate da un sole allegro, senza nessun pensiero. I cambi atmosferici e le differenti situazioni climatiche parlavano ancora una lingua chiara al Druido che solo dopo anni passati ad ascoltare il vento e la pioggia era riuscito a far sua. E questa volta ripetevano a gran voce: <È troppo tardi ormai, tutto è perduto.> Morkan affrontò il viaggio di ritorno con un peso nel cuore, qualcosa non stava andando nel verso giusto: la Natura stava cercando di comunicare con lui in qualche modo, doveva solo contattare la sua guida, la musa che gli avrebbe tradotto quel messaggio sussurrato dalle foglie. Cominciarono a tremargli le mani mentre si avvicinava alla radura dove condivideva lo spazio con ontani, noccioli e ginepri che in cambio lo sostenevano, gli offrivano riparo e lo scaldavano nelle notti più fredde dell’inverno. Tra le loro braccia custodivano anche l’unico strumento che gli avrebbe permesso di contattare Morrigan, doveva solo trovarlo prima che tutto svanisse. Si fece strada tra le radici con le unghie, rovistò sotto i piccoli cespugli cosparsi di spine appuntite a mani nude, finché, ormai stremato, trasse un sospiro di sollievo quando i suoi occhi incontrarono il colore acceso della cappella di un piccolo fungo. <Sto arrivando, sì, posso già sentire la tua voce.> cantilenò tra sé e sé. Ripulì con cura i pochi rimasugli di terriccio rimasto sul gambo di quello stravagante prodotto della terra prima di infilarselo in bocca e, dopo una lenta masticazione, si abbandonò a terra, gli occhi rivolti verso il sole morente del tramonto. Tutte le ere vissute dal mondo si susseguirono in un attimo amorfo, il tempo stava lentamente gocciolando dalle sue dita come neve fresca e tutto diventava colore, tutto aveva un suono particolare, squillante, mentre piano piano tornava ai primi attimi della sua vita. Ricordava l’odore della madre mentre lo abbracciava un attimo prima di essere portata via dal fetore di una malattia sconosciuta, ricordava il sapore del sangue versato durante la prova che ogni giovane della tribù doveva affrontare per guadagnarsi un posto tra gli adulti. Ricordava bene quel sangue: quello che lo aveva privato di una vita tra i guerrieri suoi pari per condurlo tra le braccia burrascose di Morrigan. Aveva ucciso uno dei tanti figli del capotribù dell’epoca e per questo era stato cacciato, condannato a sopravvivere da solo nei boschi, marchiato a vita dalla nomea di reietto del suo popolo. Solo i druidi accettarono la sua presenza e condivisero con lui le loro conoscenze arcane ma anch’essi erano destinati a scomparire nei recessi della sua memoria con il passare degli anni. E infine il vuoto, quello che stava cercando inizialmente si presentò sotto forma di silenzio per poi assumere lentamente le fattezze di una donna dai lunghi capelli neri, mossi come le onde del mare, regali come il suo portamento. Uno stormo di corvi con tre occhi la sua corte, un lupo ululante il suo menestrello. <Ecco Morrigan, ecco la mia guida.> Bastò uno sguardo della divinità per far capire a Morkan che il suo posto non era più quella radura, doveva partire, dove cercare di fermare le fiamme che avrebbero avvolto tutto, doveva agire. L’immagine lontana di un’intera cittadina schiacciata dal peso del fuoco occupò interamente il suo campo visivo e perdurò per anni e anni finché, scosso da un tremito, si sollevò a sedere e vomitò tutto sul prato davanti a sé.
Doveva partire, i corvi gli avrebbero mostrato la via.