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Tesi di Laurea
Relatore
Ch. Prof. Marcella Lucchetta
Laureanda
Federica Stramezzi
Matricola 811244
Anno Accademico
2012 / 2013
ABSTRACT
L’obiettivo
di
questo
lavoro
è
l’analisi
del
sistema
moda
italiano,
settore
di
eccellenza
della
produzione
manifatturiera,
fondamentale
per
l’economia
del
nostro
Paese
anche
in
questi
tempi
di
crisi.
La
tesi
si
compone
di
quattro
capitoli
e
un’appendice.
Nel
primo
capitolo
si
analizza
il
settore
in
generale,
dalla
definizione
del
termine
moda
alla
sua
evoluzione
storica,
prendendo
in
considerazione
alcune
delle
principali
teorie
sociologiche
al
riguardo,
giungendo
infine
alla
situazione
attuale,
in
cui
l’Italia
è
tra
le
principali
economie
manifatturiere
mondiali
per
la
produzione
di
tessile-‐abbigliamento-‐moda.
Il
secondo
capitolo
verte
sull’andamento
del
settore
con
particolare
riferimento
all’anno
2012.
Si
prendono
in
esame
i
diversi
comparti
(tessile,
abbigliamento
donna,
abbigliamento
uomo),
nonché
i
dati
riguardanti
l’interscambio
commerciale
italiano
dei
singoli
prodotti
della
filiera.
Segue
un’analisi
dell’andamento
del
settore
dal
punto
di
vista
distrettuale,
secondo
i
dati
forniti
dall’Osservatorio
Nazionale
Distretti
Italiani,
e
si
mettono
in
luce
i
punti
di
forza
e
gli
ostacoli
alla
diffusione
dei
prodotti
di
abbigliamento
BBF
nel
mondo.
Il
terzo
capitolo
riguarda
il
caso
dell’azienda
di
calzature
di
lusso
Salvatore
Ferragamo,
della
quale
vengono
analizzati
la
storia
e
l’andamento
reddituale,
finanziario
e
patrimoniale
attraverso
i
principali
indici
di
bilancio.
Il
quarto
capitolo
ripete
l’analisi
di
cui
al
capitolo
tre
per
l’azienda
Brunello
Cucinelli,
attiva
nella
manifattura
artigianale
di
lusso
nel
campo
dell’abbigliamento
in
cashmere.
Infine
nell’appendice
si
mette
in
luce
l’opportunità
di
sfruttare
i
Musei
d’impresa
come
strumento
di
sviluppo
del
brand
heritage
e
dell’immagine
di
un’azienda,
contribuendo
anche
ad
alimentare
i
flussi
di
industrial
tourism
e
di
turismo
in
generale.
ii
INDICE
iii
2.4.7
CUOIO
CONCIATO
E
LAVORATO;
ARTICOLI
DA
VIAGGIO,
BORSE,
PELLETTERIA
E
SELLERIA;
PELLICCE
PREPARATE
E
TINTE
...........................................................................................................
83
iv
2.5.2.17
Distretto
veneto
dell’abbigliamento
Verona-‐ProntoModa
.......................
118
2.5.2.18
Distretto
vicentino
della
Concia
...........................................................................
118
2.6
LE
PREVISIONI
DEL
RAPPORTO
2013
“ESPORTARE
LA
DOLCE
VITA”
PER
L’ABBIGLIAMENTO
BELLO
E
BEN
FATTO
............................................................................
119
v
3.8.3.3
Indice
di
dipendenza
finanziaria
............................................................................
177
3.8.3.4
Rapporto
di
indebitamento
......................................................................................
178
3.8.3.5
Indice
di
elasticità
degli
impieghi
(e
delle
fonti)
.............................................
180
3.8.3.6
Indice
di
rigidità
degli
impieghi
(e
delle
fonti)
.................................................
181
3.9
CONCLUSIONI:
FERRAGAMO
UN
MODELLO
DA
SEGUIRE
..............................................
183
vi
4.7.3
ANALISI
DI
SOLIDITÀ:
ANALISI
DELLA
STRUTTURA
PATRIMONIALE
.................................
227
4.7.3.1
Indice
di
copertura
del
Patrimonio
Netto
sull’Attivo
(Mezzi
propri/Capitale
investito)
........................................................................................................
228
4.7.3.2
Indice
di
copertura
del
Patrimonio
Netto
sulle
Immobilizzazioni
attive
(Margine
di
struttura
primario)
............................................................................................
229
4.7.3.3
Indice
di
autonomia
finanziaria
..............................................................................
230
4.7.3.4
Indice
di
dipendenza
finanziaria
............................................................................
231
4.7.3.5
Rapporto
di
indebitamento
......................................................................................
232
4.7.3.6
Indice
di
elasticità
degli
impieghi
(e
delle
fonti)
.............................................
233
4.7.3.7
Indice
di
rigidità
degli
impieghi
(e
delle
fonti)
.................................................
235
vii
viii
FIGURA
15
-‐
ORGANIGRAMMA
DEL
GRUPPO
BRUNELLO
CUCINELLI
S.P.A.
FONTE:
CUCINELLI.
.........................................................................................................................................
190
FIGURA
16
-‐
TOTALE
PUNTI
VENDITA
MONOBRAND
AL
31
DICEMBRE
2012,
AL
31
DICEMBRE
2011
E
AL
31
DICEMBRE
2010.
FONTE:
CUCINELLI.
.............................
193
FIGURA
17
-‐
DOS
E
PUNTI
VENDITA
WHOLESALE
MONOMARCA
AL
31
DICEMBRE
2012
E
LA
LORO
LOCALIZZAZIONE
GEOGRAFICA.
FONTE:
CUCINELLI.
...............
194
FIGURA
18
-‐
RICAVI
SUDDIVISI
PER
AREA
GEOGRAFICA
2012
E
2011.
FONTE:
CUCINELLI.
.........................................................................................................................................
197
FIGURA
19
-‐
RICAVI
SUDDIVISI
PER
CANALE
DISTRIBUTIVO
2012
E
2011.
FONTE:
CUCINELLI.
.........................................................................................................................................
199
FIGURA
20
–
RICAVI
SUDDIVISI
PER
LINEA
DI
PRODOTTO
2012
E
2011.
FONTE:
CUCINELLI.
.........................................................................................................................................
203
FIGURA
21
–
RICAVI
SUDDIVISI
PER
TIPOLOGIA
DI
CLIENTE
FINALE
2012
E
2011.
FONTE:
CUCINELLI.
........................................................................................................................
204
FIGURA
22
-‐
BREAKDOWN
BY
COUNTRIES
DEL
GRUPPO
CUCINELLI
AL
31
MARZO
2013.
FONTE:
CUCINELLI.
...........................................................................................................
210
FIGURA
23
-‐
INTERNATIONAL
MARKET
REVENUES
DEL
GRUPPO
CUCINELLI
AL
31
MARZO
2013.
FONTE:
CUCINELLI.
..........................................................................................
211
FIGURA
24
-‐
REVENUES
BY
DISTRIBUTION
CHANNELS
DEL
GRUPPO
CUCINELLI
AL
31
MARZO
2013:
RETAIL
MONOBRAND.
FONTE:
CUCINELLI.
.........................................
212
FIGURA
25
-‐
REVENUES
BY
DISTRIBUTION
CHANNEL
DEL
GRUPPO
CUCINELLI
AL
31
MARZO
2013.
FONTE:
CUCINELLI.
..........................................................................................
213
FIGURA
26
-‐
REVENUES
BY
DISTRIBUTION
CHANNEL
DEL
GRUPPO
CUCINELLI
AL
31
MARZO
2013.
FONTE:
CUCINELLI.
..........................................................................................
213
FIGURA
27
-‐
RETE
DEI
NEGOZI
CUCINELLI
AL
31
MARZO
2013.
FONTE:
CUCINELLI.
.................................................................................................................................................................
214
FIGURA
28
-‐
TURISMO
INDUSTRIALE
IN
ITALIA.
FONTE:
ASSOCIAZIONE
ITALIANA
ARCHIVI
E
MUSEI
D’IMPRESA,
WWW.MUSEIMPRESA.IT.
............................................
247
FIGURA
29
-‐
MUSEI
E
ARCHIVI
ASSOCIATI
A
MUSEIMPRESA
CHE
INVESTONO
NELLA
VALORIZZAZIONE
DEL
PATRIMONIO
INDUSTRIALE.
FONTE:
ASSOCIAZIONE
ITALIANA
ARCHIVI
E
MUSEI
D’IMPRESA,
WWW.MUSEIMPRESA.IT.
......................
248
ix
x
TABELLA
13
-‐
INTERSCAMBIO
COMMERCIALE
DELL'ITALIA
PER
PRODOTTO:
GRUPPO
ATECO
132
-‐
TESSUTI.
FONTE:
ELABORAZIONI
ICE
SU
DATI
ISTAT.
........................
71
TABELLA
14
-‐
INTERSCAMBIO
COMMERCIALE
ITALIA-‐MONDO.
FONTE:
ELABORAZIONI
ICE
SU
DATI
ISTAT.
.........................................................................................
71
TABELLA
15
-‐
ITALIA:
PRINCIPALI
MERCATI
DI
DESTINAZIONE
E
DI
PROVENIENZA.
FONTE:
ELABORAZIONI
ICE
SU
DATI
ISTAT.
........................................................................
72
TABELLA
16
-‐
INTERSCAMBIO
COMMERCIALE
DELL'ITALIA
PER
PRODOTTO:
GRUPPO
ATECO
139
-‐
ALTRI
PRODOTTI
TESSILI.
FONTE:
ELABORAZIONI
ICE
SU
DATI
ISTAT.
......................................................................................................................................................
73
TABELLA
17
-‐
INTERSCAMBIO
COMMERCIALE
ITALIA
-‐
MONDO.
FONTE:
ELABORAZIONI
ICE
SU
DATI
ISTAT.
.........................................................................................
73
TABELLA
18
-‐
ITALIA:
PRINCIPALI
MERCATI
DI
DESTINAZIONE
E
DI
PROVENIENZA.
FONTE:
ELABORAZIONI
ICE
SU
DATI
ISTAT.
........................................................................
74
TABELLA
19
-‐
INTERSCAMBIO
COMMERCIALE
DELL'ITALIA
PER
PRODOTTO:
GRUPPO
ATECO
141
-‐
ARTICOLI
DI
ABBIGLIAMENTO,
ESCLUSO
L'ABBIGLIAMENTO
IN
PELLICCIA.
FONTE:
ELABORAZIONI
ICE
SU
DATI
ISTAT.
................................................
76
TABELLA
20
-‐
INTERSCAMBIO
COMMERCIALE
ITALIA-‐MONDO.
FONTE:
ELABORAZIONI
ICE
SU
DATI
ISTAT.
.........................................................................................
76
TABELLA
21
-‐
ITALIA:
PRINCIPALI
MERCATI
DI
DESTINAZIONE
E
DI
PROVENIENZA.
FONTE:
ELABORAZIONI
ICE
SU
DATI
ISTAT.
........................................................................
77
TABELLA
22
-‐
INTERSCAMBIO
COMMERCIALE
DELL'ITALIA
PER
PRODOTTO:
GRUPPO
ATECO
142
-‐
ARTICOLI
IN
ABBIGLIAMENTO
IN
PELLICCIA.
FONTE:
ELABORAZIONI
ICE
SU
DATI
ISTAT.
.........................................................................................
78
TABELLA
23
–
INTERSCAMBIO
COMMERCIALE
ITALIA-‐MONDO.
FONTE:
ELABORAZIONI
ICE
SU
DATI
ISTAT.
.........................................................................................
79
TABELLA
24
-‐
ITALIA:
PRINCIPALI
PAESI
DI
DESTINAZIONE
E
DI
PROVENIENZA.
FONTE:
ELABORAZIONI
ICE
SU
DATI
ISTAT.
........................................................................
80
TABELLA
25
-‐
INTERSCAMBIO
COMMERCIALE
DELL'ITALIA
PER
PRODOTTO:
GRUPPO
ATECO
143
-‐
ARTICOLI
DI
MAGLIERIA.
FONTE:
ELABORAZIONI
ICE
SU
DATI
ISTAT.
......................................................................................................................................................
81
TABELLA
26
-‐
INTERSCAMBIO
COMMERCIALE
ITALIA-‐MONDO.
FONTE:
ELABORAZIONI
ICE
SU
DATI
ISTAT.
.........................................................................................
81
TABELLA
27
-‐
ITALIA:
PRINCIPALI
PAESI
DI
DESTINAZIONE
E
DI
PROVENIENZA.
FONTE:
ELABORAZIONI
ICE
SU
DATI
ISTAT.
........................................................................
82
xi
TABELLA
28
-‐
INTERSCAMBIO
COMMERCIALE
DELL'ITALIA
PER
PRODOTTO:
GRUPPO
ATECO
151
-‐
CUOIO
CONCIATO
E
LAVORATO;
ARTICOLI
DA
VIAGGIO,
BORSE,
PELLETTERIA
E
SELLERIA;
PELLICCE
PREPARATE
E
TINTE.
FONTE:
ELABORAZIONI
ICE
SU
DATI
ISTAT.
.........................................................................................
84
TABELLA
29
-‐
INTERSCAMBIO
COMMERCIALE
ITALIA-‐MONDO.
FONTE:
ELABORAZIONI
ICE
SU
DATI
ISTAT.
.........................................................................................
84
TABELLA
30
-‐
ITALIA:
PRINCIPALI
MERCATI
DI
DESTINAZIONE
E
DI
PROVENIENZA.
FONTE:
ELABORAZIONI
ICE
SU
DATI
ISTAT.
........................................................................
85
TABELLA
31
-‐
INTERSCAMBIO
COMMERCIALE
DELL'ITALIA
PER
PRODOTTO:
GRUPPO
ATECO
152
-‐
CALZATURE.
FONTE:
ELABORAZIONI
ICE
SU
DATI
ISTAT.
.................
86
TABELLA
32
-‐
INTERSCAMBIO
COMMERCIALE
ITALIA
-‐
MONDO.
FONTE:
ELABORAZIONI
ICE
SU
DATI
ISTAT.
.........................................................................................
86
TABELLA
33
-‐
ITALIA:
PRINCIPALI
MERCATI
DI
DESTINAZIONE
E
DI
PROVENIENZA.
FONTE:
ELABORAZIONI
ICE
SU
DATI
ISTAT.
........................................................................
87
TABELLA
34
-‐
ELENCO
DEI
DISTRETTI
ITALIANI
DELL'ABBIGLIAMENTO-‐ACCESSORI
MODA,
CLASSIFICATI
PER
REGIONE.
FONTE:
NOSTRA
ELABORAZIONE
SU
DATI
OSSERVATORIO
NAZIONALE
DISTRETTI.
..............................................................................
94
TABELLA
35
-‐
UNITÀ
LOCALI
D’IMPRESA
ATTIVE
NEL
SISTEMA
MODA
ITALIANO.
I
TRIMESTRE
2009
–
III
TRIMESTRE
2012.
FONTE:
ELABORAZIONI
GRAZIA
SARTOR
(UNIONFILIERE)
SU
DATI
INFOCAMERE,
PER
FEDERAZIONE
DISTRETTI
ITALIANI.
...............................................................................................................................................
95
TABELLA
36
–
DISTRIBUZIONE
DELLE
UNITÀ
LOCALI
ATTIVE
DEL
SISTEMA
MODA
ITALIANO
PER
PROVINCIA.
I
TRIMESTRE
2009
–
III
TRIMESTRE
2012.
FONTE:
ELABORAZIONI
GRAZIA
SARTOR
(UNIONFILIERE)
SU
DATI
INFOCAMERE,
PER
FEDERAZIONE
DISTRETTI
ITALIANI.
.......................................................................................
96
TABELLA
37
-‐
PRINCIPALI
DISTRETTI
ITALIANI
SPECIALIZZATI
NELLA
PRODUZIONE
DI
CALZATURE
E
DI
TESSILE-‐ABBIGLIAMENTO:
VARIAZIONE
%
DEL
FATTURATO
TRA
IL
2008
E
IL
2011
(VALORI
MEDIANI).
FONTE:
ELABORAZIONI
INTESA
SANPAOLO
SU
BILANCI
AZIENDALI
PER
IL
IV
RAPPORTO
OSSERVATORIO
NAZIONALE
DISTRETTI.
..............................................................................
98
TABELLA
38
-‐
EXPORT
PER
SETTORE
DEI
101
PRINCIPALI
DISTRETTI
MANIFATTURIERI
ITALIANI
VERSO
I
PAESI
UE:
GENNAIO-‐SETTEMBRE
2012.
FONTE:
ELABORAZIONE
FONDAZIONE
EDISON
SU
DATI
ISTAT.
.............................
102
xii
TABELLA
39
-‐
EXPORT
PER
SETTORE
DEI
101
PRINCIPALI
DISTRETTI
MANIFATTURIERI
ITALIANI
VERSO
I
PAESI
EXTRA-‐UE:
GENNAIO-‐SETTEMBRE
2012.
FONTE:
ELABORAZIONI
FONDAZIONE
EDISON
SU
DATI
ISTAT.
.................
103
TABELLA
40
-‐
MOTIVAZIONI
ALLA
BASE
DELL'INCREMENTO
DELLE
ESPORTAZIONI
NEL
2012
(IN
%
SUL
TOTALE
DELLE
IMPRESE).
FONTE:
INDAGINE
CENTRO
STUDI
UNIONCAMERE
SULLE
PMI
MANIFATTURIERE
PER
IL
IV
RAPPORTO
OSSERVATORIO
NAZIONALE
DISTRETTI.
...........................................................................
104
TABELLA
41
-‐
DIFFICOLTÀ
AD
OPERARE
ALL'ESTERO
(IN
%
SUL
TOTALE
IMPRESE).
FONTE:
INDAGINE
CENTRO
STUDI
UNIONCAMERE
SULLE
PMI
MANIFATTURIERE
PER
IL
IV
RAPPORTO
OSSERVATORIO
NAZIONALE
DISTRETTI.
.........................................................................................................................................
105
TABELLA
42
-‐
DISTRETTO
CALZATURIERO
DI
FERMO.
CRESCITA
REDDITIVITÀ
E
STRUTTURA
PATRIMONIALE
IN
SINTESI.
FONTE:
ELABORAZIONI
INTESA
SANPAOLO
PER
IV
RAPPORTO
OSSERVATORIO
NAZIONALE
DISTRETTI
SU
BILANCI
AZIENDALI.
.....................................................................................................................
106
TABELLA
43
-‐
DISTRETTO
CONCIARIO
DI
SOLOFRA:
CRESCITA,
REDDITIVITÀ
E
STRUTTURA
PATRIMONIALE
IN
SINTESI.
FONTE:
ELABORAZIONI
INTESA
SANPAOLO
PER
IV
RAPPORTO
OSSERVATORIO
NAZIONALE
DISTRETTI
SU
BILANCI
AZIENDALI.
.....................................................................................................................
107
TABELLA
44
-‐
DISTRETTO
INDUSTRIALE-‐TESSILE-‐ABBIGLIAMENTO
BIELLA
E
VERCELLI:
CRESCITA,
REDDITIVITÀ
E
STRUTTURA
PATRIMONIALE
IN
SINTESI.
FONTE:
ELABORAZIONI
INTESA
SANPAOLO
PER
IV
RAPPORTO
OSSERVATORIO
NAZIONALE
DISTRETTI
SU
BILANCI
AZIENDALI.
............................................................
107
TABELLA
45
-‐
DISTRETTO
TESSILE-‐ABBIGLIAMENTO
DI
COMO:
CRESCITA,
REDDITIVITÀ
E
STRUTTURA
PATRIMONIALE
IN
SISNTESI.
FONTE:
ELABORAZIONI
INTESA
SANPAOLO
PER
IV
OSSERVATORIO
NAZIONALE
DISTRETTI
SU
BILANCI
AZIENDALI.
......................................................................................
108
TABELLA
46
-‐
DISTRETTO
TESSILE,
ABBIGLIAMENTO
E
CONCIA
DI
SAN
GIUSEPPE
VESUVIANO:
CRESCITA,
REDDITIVITÀ
E
STRUTTURA
PATRIMONIALE
IN
SINTESI.
FONTE:
ELABORAZIONI
INTESA
SANPAOLO
PER
IV
RAPPORTO
OSSERVATORIO
NAZIONALE
DISTRETTI
SU
BILANCI
AZIENDALI.
.........................
109
TABELLA
47
-‐
DISTRETTO
TESSILE,
ABBIGLIAMENTO
E
CONCIA
DI
GRUMO
NERVANO/SAN
GIUSEPPE
VESUVIANO:
CRESCITA,
REDDITIVITÀ
E
STRUTTURA
PATRIMONIALE
IN
SINTESI.
FONTE:
ELABORAZIONE
INTESA
SANPAOLO
PER
IV
OSSERVATORIO
NAZIONALE
DISTRETTI
SU
BILANCI
AZIENDALI.
.........................
110
xiii
TABELLA
48
-‐
DISTRETTO
TESSILE,
CONFEZIONI
E
ACCESSORI
PER
L'ABBIGLIAMENTO
DELLA
VALSERIANA/BERGAMASCA/VALCAVALLINA/OGLIO:
CRESCITA,
REDDITIVITÀ
E
STRUTTURA
PATRIMONIALE.
FONTE:
ELABORAZIONI
INTESA
SANPAOLO
PER
IV
RAPPORTO
OND
SU
BILANCI
AZIENDALI.
.....................................................................
111
TABELLA
49
-‐
DISTRETTO
TESSILE-‐ABBIGLIAMENTO
DI
EMPOLI:
CRESCITA,
REDDITIVITÀ
E
STRUTTURA
PATRIMONIALE
IN
SINTESI.
FONTE:
ELABORAZIONE
INTESA
SANPAOLO
PER
IV
OSSERVATORIO
NAZIONALE
DISTRETTI
SU
BILANCI
AZIENDALI.
......................................................................................
111
TABELLA
50
-‐
DISTRETTO
DEI
PRODOTTI
IN
PELLE
E
CUOIO
DI
SANTA
CROCE
SULL'ARNO/CASTELFIORENTINO:
CRESCITA,
REDDITIVITÀ
E
STRUTTURA
PATRIMONIALE.
FONTE:
ELABORAZIONE
INTESA
SANPAOLO
PER
IV
RAPPORTO
OSSERVATORIO
NAZIONALE
DISTRETTI
SU
BILANCI
AZIENDALI.
.........................
112
TABELLA
51
-‐
DISTRETTO
DEL
TESSILE-‐ABBIGLIAMENTO
DI
VIBRATA-‐TORDINO
VOMANO:
CRESCITA,
REDDITIVITÀ
E
STRUTTURA
PATRIMONIALE
IN
SINTESI.
FONTE:
ELABORAZIONE
INTESA
SANPAOLO
PER
IV
RAPPORTO
OSSERVATORIO
NAZIONALE
DISTRETTI
SU
BILANCI
AZIENDALI.
............................................................
113
TABELLA
52
-‐
DISTRETTO
DEL
TESSILE-‐ABBIGLIAMENTO
DI
CARPI:
CRESCITA,
REDDITIVITÀ
E
STRUTTURA
PATRIMONIALE
IN
SINTESI.
FONTE:
ELABORAZIONE
INTESA
SANPAOLO
PER
IV
RAPPORTO
OSSERVATORIO
NAZIONALE
DISTRETTI
SU
BILANCI
AZIENDALI.
............................................................
113
TABELLA
53
-‐
DISTRETTO
DEL
TESSILE-‐ABBIGLIAMENTO
DI
CORATO:
CRESCITA,
REDDITIVITÀ
E
STRUTTURA
PATRIMONIALE
IN
SINTESI.
FONTE:
ELABORAZIONE
INTESA
SANPAOLO
PER
IV
RAPPORTO
OSSERVATORIO
NAZIONALE
DISTRETTI
SU
BILANCI
AZIENDALI.
............................................................
114
TABELLA
54
-‐
DISTRETTO
DEL
TESSILE-‐ABBIGLIAMENTO
DI
PRATO:
CRESCITA,
REDDITIVITÀ
E
STRUTTURA
PATRIMONIALE
IN
SINTESI.
FONTE:
ELABORAZIONE
INTESA
SANPAOLO
PER
IV
RAPPORTO
OSSERVATORIO
NAZIONALE
DISTRETTI
SU
BILANCI
AZIENDALI.
............................................................
115
TABELLA
55
-‐
DISTRETTO
DELL'ABBIGLIAMENTO
GALLARATESE
(ASSE
DEL
SEMPIONE):
CRESCITA,
REDDITIVITÀ
E
STRUTTURA
PATRIMONIALE
IN
SINTESI.
FONTE:
ELABORAZIONE
INTESA
SANPAOLO
PER
IV
RAPPORTO
OSSERVATORIO
NAZIONALE
DISTRETTI
SU
BILANCI
AZIENDALI.
.........................
115
TABELLA
56
-‐
DISTRETTO
DELLE
PELLI,
CUOIO
E
CALZATURE
DI
CIVITANOVA
MARCHE/TOLENTINO/MONTE
SAN
GIUSTO/PORTO
S.
ELPIDIO/MONTE
SAN
xiv
PIETRANGELI:
CRESCITA,
REDDITIVITÀ
E
STRUTTURA
PATRIMONIALE
IN
SINTESI.
FONTE:
ELABORAZIONE
INTESA
SANPAOLO
PER
IV
RAPPORTO
OND.
.................................................................................................................................................................
116
TABELLA
57
-‐
DISTRETTO
DELLE
CONFEZIONI
E
DELL'ABBIGLIAMENTO
DELLA
BASSA
BRESCIANA:
CRESCITA,
REDDITIVITÀ
E
STRUTTURA
PATRIMONIALE
IN
SINTESI.
FONTE:
ELABORAZIONI
INTESA
SANPAOLO
PER
IV
RAPPORTO
OSSERVATORIO
NAZIONALE
DISTRETTI
SU
BILANCI
AZIENDALI.
.........................
117
TABELLA
58
-‐
DISTRETTO
DELLO
SPORTSYSTEM
DI
MONTEBELLUNA:
CRESCITA,
REDDITIVITÀ
E
STRUTTURA
PATRIMONIALE
IN
SINTESI.
FONTE:
ELABORAZIONE
INTESA
SANPAOLO
PER
IV
OSSERVATORIO
NAZIONALE
DISTRETTI
SU
BILANCI
AZIENDALI.
......................................................................................
117
TABELLA
59
-‐
DISTRETTO
VENETO
DELL'ABBIGLIAMENTO
VERONA-‐PRONTOMODA:
CRESCITA,
REDDITIVITÀ
E
STRUTTURA
PATRIMONIALE
IN
SINTESI.
FONTE:
ELABORAZIONE
INTESA
SANPAOLO
PER
IV
RAPPORTO
OSSERVATORIO
NAZIONALE
DISTRETTI
SU
BILANCI
AZIENDALI.
............................................................
118
TABELLA
60
-‐
DISTRETTO
VICENTINO
DELLA
CONCIA:
CRESCITA,
REDDITIVITÀ
E
STRUTTURA
PATRIMONIALE
IN
SINTESI.
FONTE:
ELABORAZIONE
INTESA
SANPAOLO
PER
IV
RAPPORTO
OSSERVATORIO
NAZIONALE
DISTRETTI
SU
BILANCI
AZIENDALI.
.....................................................................................................................
119
TABELLA
61
–
IMPORTAZIONI
DI
ABBIGLIAMENTO
BBF
DAL
MONDO
(PRIMI
10
NUOVI
MERCATI,
MILIONI
DI
EURO
A
PREZZI
2011).
FONTE:
ELABORAZIONI
E
STIME
DEL
CENTRO
STUDI
CONFINDUSTRIA
E
PROMETEIA
SU
DATI
EUROSTAT,
GLOBAL
INSIGHT
E
ISTITUTI
NAZIONALI
DI
STATISTICA.
..........................................
120
TABELLA
62
-‐
IMPORTAZIONI
DI
ABBIGLIAMENTO
BBF
DALL'ITALIA
(PRIMI
10
NUOVI
MERCATI;
MILIONI
DI
EURO
A
PREZZI
2011).
FONTE:
ELABORAZIONI
E
STIME
DEL
CENTRO
STUDI
CONFINDUSTRIA
E
PROMETEIA
SU
DATI
EUROSTAT,
GLOBAL
INSIGHT
E
ISTITUTI
NAZIONALI
DI
STATISTICA.
..........................................
121
TABELLA
63
-‐
RICAVI
SUDDIVISI
PER
MERCATO
DI
SBOCCO.
FONTE:
FERRAGAMO.
134
TABELLA
64
-‐
RICAVI
SUDDIVISI
PER
CANALE
DISTRIBUTIVO.
FONTE:
FERRAGAMO.
.................................................................................................................................................................
137
TABELLA
65
-‐
COSTI
DI
VENDITA
E
DISTRIBUZIONE.
FONTE:
FERRAGAMO.
..............
139
TABELLA
66
-‐
DETTAGLIO
PER
NATURA
DEI
COSTI
DI
VENDITA
E
DISTRIBUZIONE.
FONTE:
FERRAGAMO.
...................................................................................................................
140
TABELLA
67
-‐
RICAVI
SUDDIVISI
PER
CATEGORIA
MERCEOLOGICA.
FONTE:
FERRAGAMO.
....................................................................................................................................
141
xv
TABELLA
68
-‐
RISULTATI
ECONOMICI
2012-‐2011-‐2010.
FONTE:
FERRAGAMO.
........
145
TABELLA
69
-‐
DATI
ECONOMICI
2012
E
2011.
FONTE:
FERRAGAMO.
..............................
145
TABELLA
70
-‐
RICAVI
SUDDIVISI
PER
MERCATO
DI
SBOCCO
AL
31
MARZO
2013.
FONTE:
FERRAGAMO.
...................................................................................................................
147
TABELLA
71
-‐
RICAVI
SUDDIVISI
PER
CANALI
DISTRIBUTIVI
AL
31
MARZO
2013.
FONTE:
FERRAGAMO
....................................................................................................................
149
TABELLA
72
–
RICAVI
SUDDIVISI
PER
CATEGORIA
MERCEOLOGICA
AL
31
MARZO
2013.
FONTE:
FERRAGAMO.
......................................................................................................
150
TABELLA
73
-‐
SITUAZIONE
PATRIMONIALE
E
CONSOLIDATA
AL
31
DICEMBRE
2012
E
AL
31
DICEMBRE
2011
-‐
ATTIVITÀ.
FONTE:
FERRAGAMO.
........................................
152
TABELLA
74
-‐
SITUAZIONE
PATRIMONIALE
E
FINANZIARIA
CONSOLIDATA
AL
31
DICEMBRE
2012
E
AL
31
DICEMBRE
2011
-‐
PASSIVITÀ
E
PATRIMONIO
NETTO.
FONTE:
FERRAGAMO.
...................................................................................................................
153
TABELLA
75
-‐
CONTO
ECONOMICO
CONSOLIDATO
2012.
FONTE:
FERRAGAMO.
.......
154
TABELLA
76
-‐
CONTO
ECONOMICO
COMPLESSIVO
CONSOLIDATO.
FONTE:
FERRAGAMO.
....................................................................................................................................
155
TABELLA
77
-‐
ROE
(RISULTATO
NETTO
DI
COMPETENZA
DEL
GRUPPO/PATRIMONIO
NETTO
MEDIO
DI
GRUPPO
DEL
PERIODO)
2012
E
2011.
FONTE:
FERRAGAMO.
.................................................................................................................................................................
161
TABELLA
78
-‐
CALCOLO
DI
ROE
2012
E
2011.
FONTE:
NOSTRE
ELABORAZIONI
SU
DATI
FERRAGAMO.
........................................................................................................................
162
TABELLA
79
-‐
ROI
(RISULTATO
OPERATIVO/CAPITALE
INVESTITO
NETTO
MEDIO
DEL
PERIODO)
2012
E
2011.
FONTE:
FERRAGAMO.
......................................................
164
TABELLA
80
–
CALCOLO
DI
ROI
2012
E
2011.
FONTE:
NOSTRE
ELABORAZIONI
SU
DATI
FERRAGAMO.
........................................................................................................................
164
TABELLA
81
-‐
ROS
(RISULTATO
OPERATIVO/RICAVI)
2012
E
2011.
FONTE:
FERRAGAMO.
....................................................................................................................................
167
TABELLA
82
-‐
CALCOLO
DI
ROS
2012
E
2011.
FONTE:
NOSTRE
ELABORAZIONI
SU
DATI
FERRAGAMO.
........................................................................................................................
167
TABELLA
83
-‐
CALCOLO
DI
ROTAZIONE
2012
E
2011.
FONTE:
NOSTRE
ELABORAZIONI
SU
DATI
FERRAGAMO.
..................................................................................................................
169
TABELLA
84
-‐
CALCOLO
DI
ROTAZIONE
IN
NUMERO
DI
GIORNI
2012
E
2011.
FONTE:
NOSTRE
ELABORAZIONI
SU
DATI
FERRAGAMO.
.............................................................
169
TABELLA
85
-‐
CALCOLO
DELL'INDICE
DI
DISPONIBILITÀ
2012
E
2011.
FONTE:
NOSTRE
ELABORAZIONI
SU
DATI
FERRAGAMO.
.............................................................
172
xvi
TABELLA
86
-‐
CALCOLO
DELL'INDICE
DI
LIQUIDITÀ
2012
E
2011.
FONTE:
NOSTRE
ELABORAZIONI
SU
DATI
FERRAGAMO.
................................................................................
174
TABELLA
87
-‐
CALCOLO
DELL'INDICE
DI
COPERTURA
DELLE
IMMOBILIZZAZIONI
2012
E
2011.
FONTE:
NOSTRE
ELABORAZIONI
SU
DATI
FERRAGAMO.
...............
175
TABELLA
88
-‐
CALCOLO
DELL'INDICE
DI
AUTONOMIA
FINANZIARIA
2012
E
2011.
FONTE:
NOSTRE
ELABORAZIONI
SU
DATI
FERRAGAMO.
............................................
177
TABELLA
89
-‐
CALCOLO
DELL'INDICE
DI
DIPENDENZA
FINANZIARIA
2012
E
2011.
FONTE:
NOSTRE
ELABORAZIONI
SU
DATI
FERRAGAMO.
............................................
178
TABELLA
90
-‐
CALCOLO
DEL
RAPPORTO
DI
INDEBITAMENTO
2012
E
2011.
FONTE:
NOSTRE
ELABORAZIONI
SU
DATI
FERRAGAMO.
.............................................................
179
TABELLA
91
-‐
CALCOLO
DELL'ELASTICITÀ
DEGLI
IMPIEGHI
2012
E
2011.
FONTE:
NOSTRE
ELABORAZIONI
SU
DATI
FERRAGAMO.
.............................................................
181
TABELLA
92
-‐
CALCOLO
DELL'ELASTICITÀ
DELLE
FONTI
2012
E
2011.
FONTE:
NOSTRE
ELABORAZIONI
SU
DATI
FERRAGAMO.
.............................................................
181
TABELLA
93
-‐
CALCOLO
DELLA
RIGIDITÀ
DEGLI
IMPIEGHI
E
DELLE
FONTI
2012
E
2011.
FONTE:
NOSTRE
ELABORAZIONI
SU
DATI
FERRAGAMO.
...............................
183
TABELLA
94
-‐
RICAVI
PER
AREA
GEOGRAFICA
AL
31
DICEMBRE
2012
E
AL
31
DICEMBRE
2011.
FONTE:
CUCINELLI.
...................................................................................
197
TABELLA
95
-‐
RICAVI
PER
CANALE
DISTRIBUTIVO
AL
31
DICEMBRE
2012
E
AL
31
DICEMBRE
2011.
FONTE:
CUCINELLI.
...................................................................................
199
TABELLA
96
-‐
DETTAGLIO
DELLA
COMPOSIZIONE
DEI
RICAVI
NETTI
DERIVANTI
DAL
CANALE
RETAIL
DEL
GRUPPO
PER
GLI
ESERCIZI
2011,
2010,
2009
SUDDIVISI
PER
AREA
GEOGRAFICA.
FONTE:
CUCINELLI.
...................................................................
200
TABELLA
97
-‐
DETTAGLIO
DELLA
COMPOSIZIONE
DEI
RICAVI
NETTI
DERIVANTI
DAL
CANALE
WHOLESALE
MONOMARCA
DEL
GRUPPO
PER
GLI
ESERCIZI
2011,
2010,
2009
SUDDIVISI
PER
AREA
GEOGRAFICA.
FONTE:
CUCINELLI.
................................
201
TABELLA
98
-‐
DETTAGLIO
DELLA
COMPOSIZIONE
DEI
RICAVI
NETTI
DERIVANTI
DAL
CANALE
WHOLESALE
MULTIMARCA
DEL
GRUPPO
PER
GLI
ESERCIZI
2011,
2010,
2009
SUDDIVISI
PER
AREA
GEOGRAFICA.
FONTE:
CUCINELLI.
................................
202
TABELLA
99
–
DETTAGLIO
DELLA
COMPOSIZIONE
DEI
RICAVI
NETTI
DEL
GRUPPO
PER
GLI
ESERCIZI
2011,
2010,
2009
SUDDIVISI
PER
LINEA
DI
PRODOTTO.
FONTE:
CUCINELLI.
........................................................................................................................
203
TABELLA
100
–
DETTAGLIO
DELLA
COMPOSIZIONE
DEI
RICAVI
NETTI
DEL
GRUPPO
PER
GLI
ESERCIZI
2011,
2010,
2009
SUDDIVISI
PER
LINEA
DI
PRODOTTO.
FONTE:
CUCINELLI.
........................................................................................................................
205
xvii
TABELLA
101
-‐
PROSPETTO
CONTABILE
DI
CONTO
ECONOMICO
CONSOLIDATO
DI
SINTESI
AL
31
DICEMBRE
2012
E
AL
31
DICEMBRE
2011.
FONTE:
CUCINELLI.
.................................................................................................................................................................
206
TABELLA
102
-‐
REVENUES
BY
REGION
DEL
GRUPPO
CUCINELLI
AL
31
MARZO
2013.
FONTE:
CUCINELLI.
........................................................................................................................
209
TABELLA
103
-‐
STATO
PATRIMONIALE
CONSOLIDATO
-‐
ATTIVITÀ
AL
31
DICEMBRE
2012
E
AL
31
DICEMBRE
2011.
FONTE:
CUCINELLI.
......................................................
215
TABELLA
104
-‐
STATO
PATRIMONIALE
CONSOLIDATO
-‐
PASSIVITÀ
E
PATRIMONIO
NETTO
AL
31
DICEMBRE
2012
E
AL
31
DICEMBRE
2011.
FONTE:
CUCINELLI.
216
TABELLA
105
-‐
CONTO
ECONOMICO
CONSOLIDATO
2012
E
2011.
FONTE:
CUCINELLI.
.................................................................................................................................................................
217
TABELLA
106
-‐
CONTO
ECONOMICO
COMPLESSIVO
CONSOLIDATO
2012
E
2011.
FONTE:
CUCINELLI.
........................................................................................................................
217
TABELLA
107
-‐
ROE
(UTILE
NETTO
DELL'ESERCIZIO/PATRIMONIO
NETTO
MEDIO
DELL'ESERCIZIO)
2012,
2011
E
2010.
FONTE:
CUCINELLI.
........................................
218
TABELLA
108
-‐
CALCOLO
DEL
ROE
2012
E
2011.
FONTE:
NOSTRE
ELABORAZIONI
SU
DATI
CUCINELLI.
.............................................................................................................................
219
TABELLA
109
-‐
ROI
(RISULTATO
OPERATIVO/CAPITALE
INVESTITO
MEDIO
NETTO
DELL'ESERCIZIO)
2012,
2011,
2010.
FONTE:
CUCINELLI.
...........................................
220
TABELLA
110
-‐
CALCOLO
DEL
ROI
2012
E
2011.
FONTE:
NOSTRE
ELABORAZIONI
SU
DATI
CUCINELLI.
.............................................................................................................................
221
TABELLA
111
-‐
ROS
(RISULTATO
OPERATIVO/RICAVI
DELLE
VENDITE
E
DELLE
PRESTAZIONI)
2012
E
2011.
FONTE:
CUCINELLI.
...........................................................
222
TABELLA
112
-‐
CALCOLO
DEL
ROS
2012
E
2011.
FONTE:
NOSTRE
ELABORAZIONI
SU
DATI
CUCINELLI.
.............................................................................................................................
222
TABELLA
113
-‐
CALCOLO
DELLA
ROTAZIONE
2012
E
2011
E
DELLA
ROTAZIONE
2012
E
2011
IN
NUMERO
DI
GIORNI.
FONTE:
NOSTRE
ELABORAZIONI
SU
DATI
CUCINELLI.
.........................................................................................................................................
224
TABELLA
114
-‐
CALCOLO
DELL'INDICE
DI
DISPONIBILITÀ
2012
E
2011.
FONTE:
NOSTRE
ELABORAZIONI
SU
DATI
CUCINELLI.
..................................................................
226
TABELLA
115
-‐
CALCOLO
DELL'INDICE
DI
LIQUIDITÀ
2012
E
2011.
FONTE:
NOSTRE
ELABORAZIONI
SU
DATI
CUCINELLI.
....................................................................................
227
TABELLA
116
-‐
CALCOLO
DELL'INDICE
DI
COPERTURA
DELL'ATTIVO
2012
E
2011.
FONTE:
NOSTRE
ELABORAZIONI
SU
DATI
CUCINELLI.
................................................
228
xviii
TABELLA
117
-‐
CALCOLO
DELL'INDICE
DI
COPERTURA
DELLE
IMMOBILIZZAZIONI
2012
E
2011.
FONTE:
NOSTRE
ELABORAZIONI
SU
DATI
CUCINELLI.
....................
230
TABELLA
118
-‐
CALCOLO
DELL'INDICE
DI
AUTONOMIA
FINANZIARIA
2012
E
2011.
FONTE:
NOSTRE
ELABORAZIONI
SU
DATI
CUCINELLI.
................................................
231
TABELLA
119
-‐
CALCOLO
DELL'INDICE
DI
DIPENDENZA
FINANZIARIA
2012
E
2011.
FONTE:
NOSTRE
ELABORAZIONI
SU
DATI
CUCINELLI.
................................................
232
TABELLA
120
-‐
CALCOLO
DEL
RAPPORTO
DI
INDEBITAMENTO
2012
E
2011.
FONTE:
NOSTRE
ELABORAZIONI
SU
DATI
CUCINELLI.
..................................................................
233
TABELLA
121
-‐
CALCOLO
DELL'ELASTICITÀ
DEGLI
IMPIEGHI
2012
E
2011.
FONTE:
NOSTRE
ELABORAZIONI
SU
DATI
CUCINELLI.
..................................................................
234
TABELLA
122
-‐
CALCOLO
DELL'ELASTICITÀ
DELLE
FONTI
2012
E
2011.
FONTE:
NOSTRE
ELABORAZIONI
SU
DATI
CUCINELLI.
..................................................................
235
TABELLA
123
-‐
CALCOLO
DELLA
RIGIDITÀ
DEGLI
IMPIEGHI
2012
E
2011.
FONTE:
NOSTRE
ELABORAZIONI
SU
DATI
CUCINELLI.
..................................................................
236
TABELLA
124
-‐
CALCOLO
DELLA
RIGIDITÀ
DELLE
FONTI
2012
E
2011.
FONTE:
NOSTRE
ELABORAZIONI
SU
DATI
CUCINELLI.
..................................................................
237
xix
xx
INTRODUZIONE
La
moda
è
uno
dei
settori
di
eccellenza
della
produzione
manifatturiera
italiana.
Il
successo
dell’industria
della
moda
nel
nostro
paese
è
legato
sicuramente
alla
vitalità,
alla
capacità
di
innovarsi
continuamente,
all’originalità
e
alla
qualità
dei
suoi
prodotti,
che
riescono
a
rispondere
ai
gusti
e
alle
aspettative
dei
consumatori
di
tutto
il
mondo.
Un
altro
fattore
che
può
aver
contribuito
all’affermazione
del
sistema
moda
italiano
è
l’integrità
della
sua
filiera
produttiva:
l’Italia,
infatti,
continua
tuttora
a
presidiare
brillantemente
tutte
le
fasi
del
ciclo
di
produzione,
dalla
fabbricazione
di
fibre,
filati
e
tessuti,
alla
creazione
dei
capi
d’abbigliamento,
alla
“nobilitazione”
finale,
ovvero
il
finissaggio
dei
prodotti.
L’integrazione
da
monte
a
valle
nella
filiera
del
Tessile-‐
Abbigliamento
è
stata
favorita
anche
dalla
presenza
sul
territorio
di
una
forte
industria
meccanica,
che
produce
impianti
e
macchinari
per
le
aziende
tessili
e
conciarie.
Non
meno
importante
per
lo
sviluppo
del
settore
è
stata
l’organizzazione
industriale
in
forma
distrettuale.
Grandi
marchi
della
moda
di
lusso
e
PMI
coesistono
diffusamente
su
tutto
il
territorio,
formando
una
rete
di
relazioni
produttive
tipica
dell’organizzazione
industriale
italiana.
Uniscono
tecnologia
e
forme
organizzative
avanzate
all’artigianalità
specializzata
e
creativa,
tramandata
di
generazione
in
generazione,
riuscendo
a
produrre
manufatti
di
qualità
e
gusto
riconosciuti
in
tutto
il
mondo.
La
dimensione,
in
un’economia
sempre
più
globalizzata,
è
uno
dei
fattori
critici
del
successo
delle
imprese,
e
la
presenza
di
una
sofisticata
rete
produttiva
ha
consentito
alle
tante
micro
e
piccole
imprese
di
ottenere
performance
tipiche
di
imprese
di
21
dimensioni
superiori,
riuscendo
a
restare
competitive
a
livello
internazionale.
Infine,
ampiamente
riconosciuto
come
fattore
di
successo
per
l’industria
della
moda,
è
il
cosiddetto
“Effetto
Rinascimento”,
ovvero
il
contributo
dell’arte,
dei
monumenti,
della
storia,
allo
sviluppo
di
un
sensibilità
innata
per
il
bello
e
per
l’estetica
in
generale.
Non
sembra,
infatti,
casuale
che
proprio
in
Italia,
paese
con
il
più
ricco
patrimonio
monumentale
del
mondo,
si
sia
formata
un’industria
così
fiorente
nell’abbigliamento,
nell’arredamento,
nella
produzione
di
mobili…
Si
può
dunque
dire
che
l’Italia
sia
riuscita,
nonostante
le
sue
indubbie
carenze,
a
far
confluire
in
un
circolo
virtuoso
il
proprio
patrimonio
creativo
e
il
know
how
tecnologico,
creando
un’industria
florida,
sempre
innovativa,
che
riesce
a
trarre
beneficio
anche
dall’immagine
evocativa
dello
stile
di
vita,
della
cultura
e
del
patrimonio
storico-‐artistico
e
culturale
del
nostro
Paese
nel
mondo.
Il
presente
lavoro
si
articola
in
quattro
capitoli
e
un’appendice.
Il
primo
capitolo
vuole
essere
un’analisi
globale
del
settore:
si
apre
con
la
definizione
di
moda,
sia
dal
punto
di
vista
lessicale,
sia
come
concetto
generale;
prosegue
con
alcuni
cenni
all’evoluzione
del
fenomeno
nel
corso
della
storia.
La
moda,
infatti,
si
è
sviluppata
parallelamente
alla
storia
dell’uomo,
rispecchiandone
la
cultura,
l’economia
e
la
società
di
ogni
epoca.
In
seguito
si
fa
riferimento
ad
alcune
tra
le
principali
teorie
sviluppate
intorno
al
concetto
di
moda,
che
cercano
di
spiegarne
il
ciclo
e
le
modalità
di
diffusione.
Infine
si
mette
in
evidenza
il
fatto
che
in
Italia
il
settore
sembri
trascurato
a
livello
istituzionale,
quando
invece
l’importanza
dell’Italia
a
livello
mondiale
nel
campo
della
manifattura
di
prodotti
di
abbigliamento
sia
ampiamente
riconosciuta.
Il
secondo
capitolo
viene
dedicato
allo
studio
dell’andamento
del
settore
nel
corso
degli
ultimi
anni,
con
particolare
riferimento
al
2012.
22
Sono
stati
presi
in
esame
i
dati
quanto
più
possibile
recenti
tra
quelli
attualmente
disponibili
per
l’anno
appena
conclusosi,
in
modo
da
fornire
una
descrizione
generale
dell’andamento
del
comparto
più
precisa
ed
attuale
possibile.
I
dati
generali
riguardano
l’andamento
dell’industria
tessile
italiana,
della
moda
maschile
e
di
quella
femminile
nel
corso
del
2012.
Nella
sezione
successiva
sono
stati
analizzati
invece
i
dati
riguardanti
l’interscambio
commerciale
italiano
dei
prodotti
della
filiera
tessile-‐moda:
filati,
tessuti,
prodotti
tessili,
abbigliamento,
pellicceria,
maglieria,
cuoio,
pelletteria,
borse
e
calzature.
Successivamente
viene
preso
in
esame
l’andamento
del
sistema
dei
distretti
italiani
della
moda,
con
l’intento
di
mettere
in
evidenza
i
punti
di
forza
e
le
problematiche
del
modello
distrettuale
per
quanto
riguarda
questo
comparto.
Si
terrà
in
considerazione
quanto
emerso
dalle
ricerche
dell’Osservatorio
Nazionale
Distretti
Italiani,
secondo
quanto
riportato
nel
IV
Rapporto
Osserervatorio
Nazionale
Distretti
Italiani.
Infine
viene
fatto
riferimento
al
rapporto
“Esportare
la
Dolce
Vita
2013”,
prodotto
dal
Centro
Studi
Confindustria
insieme
a
Prometeia,
che
descrive
la
situazione
dell’“Abbigliamento
bello
e
ben
fatto
(BBF)”
italiano:
emergono
anche
in
questo
caso
i
punti
di
forza
e
gli
ostacoli
alla
diffusione
dei
prodotti
di
moda
BBF
nel
mondo.
Il
terzo
capitolo
è
dedicato
all’analisi
dell’andamento
del
Gruppo
Salvatore
Ferragamo,
impresa
leader
nel
settore
della
calzatura
di
lusso,
attiva
da
più
di
ottanta
anni
nel
territorio
campano.
Sono
stati
messi
in
evidenza
i
risultati
al
31
dicembre
2012
e
al
primo
trimestre
2013,
facendo
riferimento
ai
mercati
di
sbocco,
al
canale
distributivo
e
alle
singole
categorie
merceologiche.
Segue
una
sintetica
analisi
di
bilancio
attraverso
i
principali
indici
di
redditività,
di
liquidità
e
di
solidità
patrimoniale,
calcolati
per
gli
esercizi
2011
e
2012.
23
Il
capitolo
quattro
pone
invece
l’attenzione
sull’andamento
del
Gruppo
Brunello
Cucinelli,
un’azienda
diventata
più
recentemente
simbolo
della
moda
Made
in
Italy
attraverso
la
produzione
di
abbigliamento
di
lusso
in
cashmere.
Si
analizza
l’andamento
del
Gruppo
nel
corso
dell’esercizio
2012
e
dei
primi
tre
mesi
del
2013,
facendo
riferimento
ai
mercati
di
destinazione,
ai
canali
distributivi
(retail,
wholesale
monomarca
e
wholesale
multimarca),
alla
linea
di
prodotto
e
alla
tipologia
di
cliente
finale.
In
seguito
il
capitolo
segue
una
struttura
analoga
a
quella
del
capitolo
precedente,
con
una
sintetica
analisi
di
bilancio
attraverso
i
principali
indici,
per
cui
per
ogni
riferimento
teorico
si
faccia
riferimento
al
terzo
capitolo.
La
scelta,
non
a
caso,
è
ricaduta
su
due
aziende
simbolo
della
moda
italiana
che
presentassero
sia
elementi
comuni,
sia
differenze,
ma
che
confermassero
con
i
relativi
dati
reddituali
–
patrimoniali
–
finanziari
la
posizione
di
forza
che
le
aziende
di
moda
italiane
conservano
tuttora,
nonostante
questi
anni
di
crisi.
Infine,
prendendo
spunto
dalla
fondazione
nel
1995
del
Museo
Salvatore
Ferragamo,
si
è
fatto
un
accenno
al
tema
dei
Musei
d’impresa.
Essi
sono,
infatti,
potenziali
strumenti
in
mano
alle
aziende
per
rafforzare
il
brand
heritage
e
per
sviluppare
ulteriormente
la
crescita
e
la
credibilità
di
un
marchio.
Questo
si
pensa
possa
funzionare
in
particolare
nel
settore
della
moda,
trattandosi
di
una
forma
d’arte
che,
in
quanto
tale,
trova
ottima
collocazione
all’interno
dei
musei.
I
Musei
d’impresa
tout
court
possono
inoltre
costituire
una
risorsa
per
il
territorio
italiano,
poiché
contribuiscono
ad
alimentare
i
flussi
di
turismo
industriale
e
il
turismo
in
generale,
diffondendo
e
tramandando
allo
stesso
tempo
la
storia,
la
cultura,
l’arte
e
la
tradizione
industriale
stessa
dell’Italia.
24
CAPITOLO
1
1
Il
22
marzo
2013
il
Gruppo
PPR
ha
annunciato
che
dal
18
giugno
2013,
in
25
Indubbiamente
si
tratta
di
un
settore
produttivo
atipico
a
causa
del
suo
stesso
oggetto
di
attività
e
per
questo
è
stato
riconosciuto
come
vero
e
proprio
settore
industriale
solo
in
tempi
più
recenti.
Non
è
facile,
infatti,
coordinare
la
produzione
di
qualcosa
di
creativo
e
originale
e
nello
stesso
tempo
curare
il
raggiungimento
dell’obiettivo
finale
per
eccellenza
dell’impresa,
cioè
il
profitto;
e
tutto
questo
senza
trascurare
lo
stile,
l’eleganza
e
la
qualità.
È
dunque
questa
la
doppia
anima
della
moda
a
cui
fanno
riferimento
Saviolo
e
Testa,
la
componente
emozionale
dello
stilista
che
convive
con
quella
razionale
del
manager.
3
Si
pone
quindi
il
non
banale
problema
di
riuscire
a
coordinare
due
gestioni
che
sarebbero
per
natura
ispirate
da
obiettivi
finali
molto
diversi:
la
creatività
è
costretta
a
sottostare
a
vincoli
di
tipo
economico,
finanziario
e
patrimoniale
imposti
dalla
gestione
aziendale
dei
manager;
la
componente
gestionale
a
sua
volta
non
può
permettersi
di
perdere
di
vista
lo
spirito
creativo
–
spesso
pure
estremamente
variabile
e
aleatorio
–
che
permea
l’anima
dell’azienda.
Nell’ambito
della
moda
quindi
si
parlerà
sì
di
management,
ma
non
semplicemente
di
management
d’impresa,
bensì
di
management
della
creatività.
A
questo
proposito
sono
interessanti
le
parole
di
Marco
Rivetti4
sul
rapporto
che
deve
sussistere
tra
lo
stilista
e
l’industria:
“Per
funzionare
bene,
il
rapporto
tra
industria
e
stilista
deve
essere
concepito
come
un
mutuo
soccorso;
è
necessario
che
tanto
l’imprenditore
quanto
lo
stilista
sappiano
mantenere
la
propria
autonomia
tenendo
conto
delle
rispettive
esigenze.
Il
creativo
deve
possedere
sensibilità
operativa
e
l’industriale
3
SAVIOLO
S.,
TESTA
S.,
Le
imprese
del
sistema
moda.
Il
management
al
servizio
strategico
e
valutazione
della
performance
nel
settore
dell’alta
moda,
tesi
di
dottorato,
Università
degli
Studi
di
Napoli
Federico
II,
XVIII
ciclo,
discussa
nell’a.a.
2004/2005,
rel.
Caldarelli
A.,
p.6;
Cfr.
anche
TERZANI
S.,
Controllo
di
gestione
nelle
imprese
di
alta
moda,
Franco
Angeli,
2007,
pp.
222,
p.4.
26
deve
sapersi
adeguare
alle
sue
esigenze.
L’industriale
deve
sapere
che
investire
in
immagine
è
utile
per
l’azienda,
ma
lo
stilista
deve
a
sua
volta
capire
che
il
successo
di
stampa
è
una
condizione
necessaria
ma
non
sufficiente,
che
realizzare
abiti
meravigliosi
che
non
vanno
bene
a
nessuna
donna
non
serve
né
alla
cliente,
né
a
lui,
né
all’azienda”.
La
moda
è
un
prodotto
complesso,
di
difficile
studio
e
collocazione
proprio
per
la
varietà
di
aspetti
sotto
i
quali
può
essere
analizzata.
Appartiene
alla
storia
e
all’economia,
alla
cultura
e
alla
sociologia,
è
il
prodotto
dell’artista
ma
resta
pur
sempre
un
prodotto
e
come
tale
deve
essere
considerato:
un
bene
economico
sulla
cui
collocazione
sul
mercato,
e
quindi
sulla
cui
vendita,
si
deve
concentrare
l’impresa.
È
“un
bene,
che
sta
fra
il
necessario
ed
il
superfluo,
fra
l’economia
e
la
cultura”.5
Anche
a
livello
lessicale
la
moda
non
è
definita
in
modo
univoco,
riguarda
la
vita
degli
individui
fin
dall’antichità
e
non
consiste
solo
in
un
fenomeno
culturale
o
psicologico,
ma
riguarda
anche
la
storia
economica
e
sociale
stessa
dell’uomo.
Si
evolve
con
l’uomo
mentre
esso
si
evolve
nella
società.
La
definizione
di
moda
secondo
il
Devoto-‐Oli6
è
quella
di
“principio
universale,
uno
degli
elementi
della
civiltà
e
del
costume
sociale,
che
interessa
non
sono
il
corpo
ma
anche
tutti
i
mezzi
di
espressione
di
cui
l’uomo
dispone”
e
ancora
“aspetto
e
comportamento
di
una
comunità
sociale
secondo
il
gusto
particolare
del
momento
per
lo
più
a
proposito
dell’abbigliamento
sia
maschile
che
femminile”.
Il
Grande
Dizionario
Hoepli 7 la
definisce
come
“complesso
di
atteggiamenti,
consuetudini,
modelli
di
comportamento
che
si
affermano
5
PISTOLESE
R.,
La
moda
nella
storia
del
costume,
Rocca
San
Casciano,
Cappelli,
1981,
p.
259;
Cfr.
TERZANI
S.,
op.
cit.,
2007,
p.
5.
6
DEVOTO
G.
–
OLI
C.,
Il
dizionario
della
lingua
italiana,
Firenze,
Le
Monnier,
1995
e
2002;
Cfr.
TERZANI
S.,
op.
cit.,
2005,
p.
7;
Cfr.
anche
TERZANI
S.,
op.
cit.,
2007,
p.
6.
7
GABRIELLI
A.,
Grande
dizionario
Hoepli
italiano,
Milano,
Hoepli,
2011.
27
a
livello
collettivo
come
attuali
e
adeguati
al
gusto
del
momento,
in
relazione
a
un
determinato
periodo
storico
e
a
una
determinata
area
geografica
e
culturale”,
mentre
lo
Zingarelli8
parla
di
moda
come
“foggia,
corrente
del
vestire
e
dell’acconciarsi,
legata
ad
una
determinata
epoca
e
al
gusto
di
una
determinata
società”.
Il
Sabatini
Coletti9 afferma
che
la
moda
sia
un
“comportamento
variabile
nel
tempo
che
riguarda
i
modi
del
vivere,
le
usanze,
l’abbigliamento;
modello
di
comportamento
imposto
da
individui
o
gruppi
di
prestigio
o
da
creatori
di
stile”.
L’enciclopedia
Treccani10
identifica
la
moda
come
un
“fenomeno
sociale
che
consiste
nell’affermarsi,
in
un
determinato
momento
storico
e
in
una
data
area
geografica
e
culturale,
di
modelli
estetici
e
comportamentali
(nel
gusto,
nello
stile,
nelle
forme
espressive),
e
nel
suo
diffondersi
via
via
che
ad
essi
si
conformano
gruppi,
più
o
meno
vasti,
per
i
quali
tali
modelli
costituiscono,
al
tempo
stesso,
elemento
di
coesione
interna
e
di
riconoscibilità
rispetto
ad
altri
gruppi”,
similmente
a
Saviolo
e
Testa
quando
dicono
che
“nel
linguaggio
comune,
un
fenomeno
è
considerato
di
moda
se,
nell’istante
in
cui
se
ne
parla,
ha
raggiunto
un
diffuso
apprezzamento
da
parte
di
un
certo
pubblico
e
in
un
determinato
contesto
che
può
essere
geografico
o
di
tipo
socio-‐culturale”.11
Queste
seppur
numerose
e
diverse
definizioni,
mettono
bene
in
luce
la
varietà
di
elementi
che
contribuiscono
a
definire
il
concetto
di
moda.
Innanzitutto
si
fa
spesso
uso
del
termine
fenomeno,
volendo
probabilmente
dare
l’idea
della
vastità
dell’ambito
in
cui
la
moda
trova
8
ZINGARELLI
N.,
Il
nuovo
Zingarelli,
Milano,
Zanichelli,
1986;
Cfr.
TERZANI
S.,
op.
cit.,
2005,
p.
7;
Cfr.
anche
TERZANI
S.,
op.
cit.,
2007,
p.
6.
9
SABATINI
F.,
COLETTI
V.,
Dizionario
della
Lingua
Italiana,
Milano,
Rizzoli
Larousse,
2007.
10
TRECCANI,
Enciclopedie
on
line,
disponibile
all’indirizzo:
www.treccani.it/enciclopedia/moda/,
consultato
in
data
24
marzo
2013.
11
SAVIOLO
S.,
TESTA
S.,
op.
cit.,
p.
3;
Cfr.
TERZANI
S.,
op.
cit.,
2005,
p.
7.
28
spazio,
che
comprende
quindi
non
solo
l’abbigliamento,
ma
anche
tutta
una
serie
di
oggetti
e
modelli
di
comportamento.
Questo
nonostante
l’abbigliamento
resti
il
campo
nel
quale
il
rinnovamento
continuo
dello
stile
abbia
maggiore
frequenza
di
manifestazione.
Gli
atteggiamenti,
le
consuetudini,
gli
usi
e
i
modelli
a
poco
a
poco
entrano
a
far
parte
della
vita
della
società,
ci
si
abitua
a
vedere
qualcosa,
ci
si
abitua
a
fare
qualcosa,
persino
ad
indossare
qualcosa,
che
quindi
diventa
attuale,
moderno,
“di
moda”,
cioè
conforme
al
gusto
del
momento.
Il
concetto
di
moda
include
implicitamente
anche
l’idea
del
tempo,
inteso
sia
in
senso
lato
come
evoluzione,
stagionalità
e
ciclo,
sia
come
preciso
momento
storico.
La
moda
assorbe
e
si
nutre
di
quanto
la
circonda,
si
forma
e
si
trasforma
attraverso
le
influenze
che
provengono
dall’esterno
e
a
sua
volta
è
essa
stessa
a
influenzare
i
cambiamenti.
Basti
pensare
a
come
la
moda
intesa
come
gusto
per
l’abbigliamento
e
per
l’estetica
sia
stata
influenzata
dai
cambiamenti
storici
e
sociali
del
secolo
scorso,
dagli
anni
Venti
fino
agli
anni
Novanta-‐Duemila
e
come
poi
essa
abbia
costituito
un
punto
di
partenza
fondamentale
per
l’affermazione
di
idee
e
di
conquiste
sociali.
Come
sosteneva
Simmel 12 ,
infatti,
“il
cambiamento
della
moda
indica
la
misura
dell’ottundimento
della
sensibilità
agli
stimoli
nervosi:
quanto
più
nervosa
è
un’epoca,
tanto
più
rapidamente
cambieranno
le
sue
mode,
perché
il
bisogno
di
stimoli
diversi,
uno
dei
fattori
fondamentali
di
ogni
moda,
va
di
pari
passo
con
l’indebolimento
delle
energie
nervose”.13
12
Georg
Simmel
può
essere
considerato
uno
dei
primi
sociologi
insieme
a
Veblen
ad
analizzare
la
moda
in
maniera
sistematica,
come
un
processo
che
riguarda
individui
diversi,
appartenenti
a
gruppi
diversi,
in
ambienti
sociali
diversi.
13
SIMMEL
G.,
Die
Mode,
1911,
tr.
it.
La
moda,
Mondadori,
Milano,
1998,
p.
25;
Cfr.
MAVICA
G.,
Processi
di
inclusione
e
di
esclusione
sociale
attraverso
la
moda,
tesi
di
dottorato,
Corso
di
dottorato
in
Scienze
umane,
Università
degli
Studi
di
Catania,
XXIII
ciclo,
discussa
nell’a.a.
2011/2012,
rel.
Daher
L.
M.,
p.
9,
disponibile
all’indirizzo:
dspace.unict.it/bitstream/10761/1205/1/MVCGRG80D69C351B-‐
Tesi%20Mavica%20Giorgia.pdf.
29
Per
quanto
riguarda
l’industria
della
moda,
la
stagionalità,
il
cambiamento,
il
rinnovamento
da
una
stagione
all’altra,
sono
la
sua
stessa
forza
motrice,
ne
costituiscono
il
punto
di
partenza,
una
inesauribile
fonte
di
rinascita
e
di
successo.
“Quando
la
“passione”
per
il
nuovo,
per
il
recente,
per
la
ricercatezza,
l’eleganza
ecc.,
e
il
rinnovamento
delle
forme
diventano
un
valore,
ossia
quando
la
mutevolezza
delle
fogge
e
degli
ornamenti
non
costituiscono
più
un’eccezione,
ma
diventano
una
regola
stabile,
una
consuetudine
e
una
norma
collettiva
–
cioè
un
costume
–
allora
si
può
parlare
di
moda”.
14
La
moda
crea
modelli
di
vita,
di
comportamento
e
di
stile,
agisce
come
fattore
unificante,
diventando
simbolo
di
appartenenza
ad
un
gruppo,
di
coesione
all’interno
di
esso
e
perciò
status
symbol.
Sempre
Simmel15
a
questo
proposito
afferma
che
la
moda
ha
la
“doppia
funzione
di
comprendere
in
sé
una
cerchia
e
nello
stesso
tempo
di
separarla
dalle
altre”,
fornisce
simboli
di
appartenenza
a
una
classe
sociale
tramite
l’imitazione,
e
nello
stesso
tempo
differenzia
da
chi
non
fa
parte
dello
stesso
gruppo.
L’appartenenza
a
una
collettività
sociale
tramite
la
moda
è
una
fonte
di
rassicurazione
per
l’individuo,
che
si
sente
protetto
dal
gruppo
con
il
quale
condivide
le
stesse
idee
e
gli
stessi
obiettivi.
Da
quanto
emerso
fino
a
qui
si
potrebbe
dunque
dire
che
la
moda
sia
qualcosa
che
unisce
abiti,
corpo
e
cultura,
un
“universo
immaginario
di
possibili
scelte
individuali
e
sociali
[…]
una
costruzione
culturale
dell’identità
fisica”.16
14
CALANCA
D.,
Storia
sociale
della
moda,
Milano,
Mondadori,
2002,
pp.
144.
15
SIMMEL
G.,
op.
cit.,
1911,
tr.
it.
1998,
p.
16;
Cfr.
MAVICA
G.,
op.
cit.,
p.
9.
16
STEELE
V.,
“La
moda
retrò”,
in
COLAIACOMO
P.,
CARATOZZOLO
V.
C.,
(ed.)
Mercanti
di
stile:
le
culture
della
moda
dagli
anni
'20
a
oggi,
Editori
riuniti,
2002,
pp.
200-‐204,
cit.
pag.
200;
Cfr.
MAVICA
G.,
op.
cit.,
p.48.
30
Anche
dal
punto
di
vista
etimologico
il
termine
moda
sembra
non
avere
univoca
derivazione.
Innanzitutto
si
fa
risalire
l’origine
della
parola
al
termine
latino
mos,
nelle
tre
diverse
accezioni
di:
1. Usanza,
costume,
abitudine,
tradizione;
2. Legge,
norma,
regola;
3. Buoni
costumi,
moralità.
Altre
fonti,
come
per
esempio
l’enciclopedia
Treccani,
sostengono
la
derivazione
dal
termine
francese
mode,
a
sua
volta
ereditato
dal
latino
modus,
nel
significato
di
maniera,
regola,
norma,
ritmo,
melodia,
tono,
moderazione.
Nella
lingua
italiana
la
parola
“moda”,
seppure
di
provenienza
etimologica
latina,
non
sembra
aver
fatto
il
suo
ingresso
in
tempi
tanto
antichi:
non
arriva,
infatti,
prima
del
Seicento,
quando
fu
adottata
dal
mode
di
origine
francese.
La
prima
traccia
del
termine
in
ambito
letterario
sembra
essere
quella
lasciata
nell’opera
“Della
carrozza
da
nolo,
overo
Del
vestire,
et
usanze
alla
moda”
di
Agostino
Lampugnani,
che,
sotto
lo
pseudonimo
di
Giovanni
Sonta
Pagnalmino
nel
1646
raccontava
della
moda
e
dei
cosiddetti
“modanti”,
i
seguaci
della
moda
che
ricercavano
l’eleganza
e
la
raffinatezza.17
17
LEVY
PISETZKY
R.,
“Moda
e
Costume”,
in
Storia
d’Italia,
vol.
V,
I
documenti,
Einaudi, Torino 1973, pp. 937-‐978; Cfr. CALANCA D., op. cit., 2002.
31
quando
cioè
esiste
nell’uomo
una
certa
attenzione
per
le
varie
fogge
di
abbigliamento.
Già
con
la
nascita
delle
civiltà
mediterranee
emergono
le
prime
manifestazioni
di
attenzione
per
la
moda.
Nonostante
gli
indumenti
fossero
all’epoca
ancora
molto
basici
e
simili
tra
loro,
senza
particolari
differenze
nelle
fogge
degli
abiti
maschili
e
femminili
–
come
si
può
del
resto
dedurre
dalle
raffigurazioni
antiche
–
già
si
utilizzavano
accessori
ed
ornamenti
di
vario
genere.
Con
la
civiltà
egizia
cominciarono
a
delinearsi
modelli
di
forme
diverse.
Da
reperti,
statue,
pitture
tombali
si
può
dire
che
il
tessuto
maggiormente
utilizzato
all’epoca
era
il
lino,
per
la
lavorazione
del
quale
esistevano
laboratori
tessili,
che
si
servivano
addirittura
del
telaio
verticale. 18
A
seconda
dei
trattamenti
a
cui
veniva
sottoposto,
il
lino
assumeva
colorazioni
che
andavano
dalla
tinta
grezza
al
bianco
candido.
In
realtà
durante
l’epoca
egizia
iniziò
a
diffondersi
anche
l’utilizzo
del
colore.19
Nemmeno
in
epoca
greca
antica
o
con
la
storia
romana
si
può
parlare
ancora
di
moda.
Il
chitone,
il
peplo,
le
toghe
romane,
non
presentavano
ancora
elementi
davvero
distintivi
e
di
discontinuità
con
il
18
A
proposito,
le
parole
di
Erodoto
spiegano
che
“I
sacerdoti
indossano
solo
vesti
di
lino
e
calzano
solo
sandali
di
papiro:
non
possono
portare
indumenti
o
calzari
di
materiale
diverso”
(Storie,
II,
37,
3).
E
ancora
“Vestono
tuniche
di
lino
chiamate
“calasiri”,
ornate
di
frange
intorno
alle
gambe;
su
di
esse
indossano
mantelli
di
lana
bianca
ma
non
possono
portarli
dentro
i
templi
né
usarli
nel
corredo
funebre:
non
è
consentito
infatti”
(Storie,
II,
81,1).
19
Il
rosso
si
estraeva
dalla
Isatis
tinctoria
(guado
o
gualdo),
e
se
le
foglie
di
questa
pianta
venivano
lasciate
fermentare,
si
ottenevano
anche
il
blu
e
il
verde.
Il
blu
veniva
estratto
dalla
Indigofera
tinctoria
(indaco
dei
tintori),
dalle
radici
della
Rubia
tinctorum
(robbia
o
garanza)
veniva
estratto
il
rosso,
il
giallo
proveniva
invece
dalla
Carthamus
tinctorius
(cartamo
o
zafferanone);
Cfr.
LOUASSINI
Z.,
Tessuti
e
moda
nell’antico
Egitto,
disponibile
all’indirizzo:
arabpress.eu/tessuti-‐e-‐moda-‐nellantico-‐
egitto/,
consultato
in
data
29
aprile
2013.
32
passato,
tali
da
giustificare
l’inizio
di
un
gusto
e
di
una
vanità
tipici
della
moda
vera
e
propria.20
Nel
Medioevo,
specialmente
in
epoca
comunale,
il
lusso
e
quanto
concerneva
l’eccessivo
interesse
per
i
vestiti
e
la
moda,
erano
condannati
da
editti
(leggi
suntuarie).
Nella
Firenze
del
XIV
secolo
ci
si
vestiva
secondo
il
proprio
gusto,
perché
non
esisteva
l’esigenza
di
affermare
la
propria
appartenenza
a
un
determinato
gruppo,
così
come
i
nobili
veneziani
nello
stesso
periodo
vestivano
di
nero
per
non
dare
nell’occhio
presso
la
popolazione
più
povera.21
Secondo
Simmel
finché
non
si
tratta
di
ostentazione
non
si
può
parlare
di
radicamento
della
moda
nel
campo
dell’abbigliamento.
22
L’unico
tipo
di
moda
che
era
diffuso
in
questa
fase
storica
era
quella
di
corte.
La
moda
vera
e
propria
racchiude
in
sé
la
necessità
di
proteggersi,
il
senso
del
pudore
e
il
gusto
per
l’ornamento.
E
contiene
pure
una
vena
erotica,
che
rappresenta
il
desiderio
di
esibirsi
e
di
piacere.
Ed
è
dunque
almeno
nel
Rinascimento,
con
la
disgregazione
della
cultura
medievale,
che
può
essere
colta
una
maggiore
attenzione
per
l’abito,
per
i
molteplici
significati
che
esso
porta
con
sé,
a
partire
dal
fatto
20
In
realtà
bisogna
considerare
che
sia
nell’antica
Grecia,
sia
a
Roma,
la
moderazione,
la
frugalità,
l’austerità
e
l’egualitarismo
erano
i
valori
fondamentali
della
civiltà.
Il
lusso,
inteso
come
il
concedersi
qualcosa
di
raffinato
che
supera
il
necessario,
esisteva,
infatti,
già
in
epoca
antica,
ma
veniva
associato
tipicamente
all’Oriente
e
alle
civiltà
dissolute
che
lo
popolavano.
La
raffinata
ricerca
del
piacere,
l’ineguaglianza
delle
ricchezze
e
il
lusso
erano
considerati,
infatti,
fonte
di
corruzione,
di
precarietà
politica,
vere
e
proprie
minacce
alla
stabilità
dello
Stato.
Nella
Roma
repubblicana
vi
erano
addirittura
provvedimenti
che
limitavano
il
lusso
delle
matrone,
le
spese
per
i
vestiti,
i
gioielli,
la
tavola
(già
nel
215
a.C.
la
Lex
Oppia,
Lex
Orchia,
Lex
Giulia..).
Numerose
sono,
infatti,
le
testimonianze
rintracciabili
nelle
opere
di
autori
e
filosofi
antichi
e
con
esse
le
critiche
al
lusso
e
allo
sfarzo
nell’abbigliamento.
Già
diversa
era
la
moda
di
epoca
bizantina:
dopo
il
trasferimento
della
capitale
dell’impero
romano
a
Bisanzio,
le
influenze
orientali
nella
moda
furono
molte,
a
partire
dall’utilizzo
della
seta
e
della
porpora,
colorante
che
veniva
estratto
dai
molluschi
detti
murici.
21
SELLERBERG
A.
M.,
“Moda”
in
Enciclopedia
delle
Scienze
Sociali,
Treccani,
33
di
appartenere
ad
una
classe
sociale
ben
definita.
Non
c’è
più
quindi
solo
la
semplice
necessità
di
proteggersi,
ma
emerge
il
gusto
di
ornarsi,
il
desiderio
di
mostrare
qualcosa
di
sé,
il
bisogno
di
ostentare
la
propria
ricchezza.
La
moda
storicamente
ha
assunto
un’importanza
particolare
specialmente
per
quanto
riguarda
il
mondo
femminile,
sono
sempre
state
le
donne
a
seguire
la
moda
con
maggiore
interesse.
Baldini
(2005)
riporta
che
secondo
Veblen
l’uso
di
abiti
da
parte
delle
donne
aveva
lo
scopo
di
rappresentare
la
ricchezza
del
marito
(il
cosiddetto
“consumo
delegato”),
concetto
ripreso
poi
da
Simmel
quando
parla
di
“consumo
compensatorio”:
la
moda
sarebbe
stata,
infatti,
il
mezzo
con
il
quale
le
donne,
escluse
da
molti
aspetti
della
vita
sociale,
avrebbero
potuto
bilanciare
questa
mancanza,
colmandola
con
la
rassicurazione
derivante
dagli
abiti.23
Non
sembra
casuale
a
questo
proposito
il
fatto
che
nella
Germania
del
Trecento
e
del
Quattrocento,
dove
l’iniziativa
imprenditoriale
aveva
coinvolto
esclusivamente
la
popolazione
maschile,
gli
abiti
femminili
fossero
improvvisamente
diventati
lussuosi
e
sovrabbondanti.
In
Italia,
nello
stesso
periodo,
le
donne
avevano
molte
più
possibilità
di
far
parte
della
vita
sociale
e
difatti
la
moda
femminile
dell’epoca
era
molto
più
sobria,
meno
espressiva
e
originale.
La
moda
è
stata
influenzata
nel
tempo
anche
dai
cambiamenti
culturali
e
religiosi,
che
caratterizzavano
la
vita
sociale.
Rousseau
per
esempio
auspicava
un
ritorno
all’etica
spartana
e
il
bando
del
lusso
e
dai
suoi
scritti
trasse
ispirazione
l’abate
François
André
Adrien
Pluquet
per
la
stesura
dell’opera
“Traité
philosophique
et
politique
sur
le
luxe”
del
1786,
23
BALDINI
M.
(a
cura
di),
Semiotica
della
moda,
Roma,
Armando
Editore,
2005,
p.
38:
VEBLEN
T.,
The
theory
of
the
leisure
class,
New
York,
1899
(La
teoria
della
classe
agiata,
studio
economico
sulle
istituzioni,
prefazione
di
Giolitti
A.,
traduzione
italiana
di
F.
Ferrarotti,
Einaudi,
Torino,
1949);
SIMMEL,
op.
cit.,
1904.
34
nella
quale
Pluquet
analizzò
gli
effetti
negativi
del
lusso
con
l’obiettivo
di
ripristinare
la
morale
evangelica,
minata
da
una
concezione
troppo
terrena
e
materiale
della
felicità.24
Sarà
nella
Francia
del
Seicento,
dall’epoca
del
Re
Sole
Luigi
XIV
in
poi,
che
la
moda
come
viene
intesa
oggi
inizierà
a
diffondersi.
La
moda
francese
perse
in
questo
periodo
la
sua
severità,
per
arricchirsi
di
orpelli
ed
ornamenti
frivoli.
Sarà
proprio
nella
Parigi
di
metà
Ottocento
che
aprirà
la
prima
boutique
di
un
couturier
di
origine
inglese,
Charles
Frederick
Worth,
considerato
per
questo
il
padre
dell’Haute-‐couture
francese.
A
partire
dunque
dal
1857
si
realizzò
una
vera
e
propria
rivoluzione
nell’organizzazione
del
processo
creativo
alla
base
della
produzione
degli
abiti.
Al
sarto,
l’artigiano
mero
esecutore
posto
al
servizio
del
cliente,
che
sceglieva
personalmente
fogge,
colori,
stili
per
i
propri
abiti,
si
sostituì
la
figura
del
creativo,
che
realizzava
invece
personalmente
i
modelli
e
le
collezioni
e
li
proponeva
in
seguito
ai
clienti.
Al
centro
di
tutto
si
posero
creatività
e
originalità:
Worth
aveva
trasformato
il
mestiere
di
sarto
in
una
professione
creativa.25
La
Francia
continuò
ad
essere
il
fulcro
della
moda
almeno
fino
al
secondo
dopoguerra,
quando
l’Italia
iniziò
a
muovere
i
primi
passi
nel
mondo
della
moda.
La
prima
sfilata
a
Palazzo
Pitti
a
Firenze
si
tenne
nel
1952
e
da
lì
iniziò
la
ricerca
di
sarti
che
proponessero
qualcosa
di
diverso
24
BORGHERO
C.,
“Storia
del
concetto”,
in
BORGHERO
C.,
RONCAGLIA
A.,
Lusso,
oggi,
Milano,
Franco
Angeli,
2003;
Cfr.
TARTAGLIONE
C.,
GALLANTE
F.
(a
cura
di),
Il
processo
creativo
nel
Sistema
Moda,
2010,
pp.
146,
cit.
p.
16,
disponibile
all’indirizzo:
www.informatex.it/cms/attachments/article/125/Il%20processo%20creativo%20nel
%20Sistema%20Moda.pdf,
consultato
in
data
19
aprile
2013.
35
dai
modelli
francesi.
Krizia
e
Missoni,
insieme
ad
Emilio
Pucci,
rivoluzionarono
lo
stile
e
la
produzione
di
tanti
decenni
passati.
Il
successo
del
Made
in
Italy
arriverà
più
tardi,
quando
Milano
riuscirà
a
diventare
la
capitale
della
moda,
rubando
il
titolo
a
Venezia,
Roma
e
Firenze:
sono
gli
anni
Ottanta
quando
Armani,
Valentino,
Missoni,
Versace,
Ferré,
Trussardi,
Krizia
e
Dolce
e
Gabbana
diventano
famosi.
Nel
tempo
sono
state
tante
le
teorie
elaborate
sulla
moda
e
sul
suo
ciclico,
continuo
susseguirsi
nel
tempo.
Si
è
scelto
in
questa
sede
di
citare
il
contributo
di
alcuni
sociologi:
una
delle
teorie
più
famose
e
interessanti
sull’argomento
è
quella
della
diffusione
verticale.
Negli
anni
Cinquanta,
l’americano
Lloyd
Fallers
elaborò,
basandosi
sulle
analisi
di
Simmel
e
Veblen,
la
cosiddetta
trickle
down
theory
(traditional
adaptation),
secondo
la
quale
le
mode
si
sviluppano
presso
le
classi
più
abbienti,
e
a
poco
a
poco
si
trasmettono
per
“gocciolamento”
alle
classi
inferiori.
Queste,
infatti,
mosse
da
un
meccanismo
di
tipo
imitativo,
tendono
ad
adottare
gli
stili
di
vita
di
quelle
superiori
con
l’obiettivo
di
migliorare
la
propria
posizione
sociale.
Questo
modello
distributivo
implica
l’esistenza
di
una
gerarchia
sociale
nella
quale
le
persone
ricercano
l’identificazione
con
la
classe
più
abbiente,
mentre
chi
sta
al
vertice
della
piramide
sociale
ricerca
sia
la
distinzione
sia
il
distaccamento
da
coloro
che
occupano
le
posizioni
inferiori.
La
moda
viene
quindi
considerata
come
uno
strumento
di
mobilità
sociale
verso
l’alto
per
coloro
che
stanno
alla
base
della
piramide
e
che
copiano
lo
stile
di
abbigliamento
della
classe
abbiente,
la
quale
a
sua
volta
rifiuta
quello
stesso
stile
una
volta
esso
sia
stato
adottato
dai
meno
abbienti.
La
teoria
del
“trickle
down”
spiega
anche
come
avvengono
i
cicli
della
moda,
che
iniziano
con
l’introduzione
di
un’innovazione,
in
seguito
alla
quale
sin
innesca
il
processo
di
diffusione.
Con
il
tempo
e
con
36
l’espansione
progressiva
della
moda,
il
significato
simbolico
insito
nell’innovazione
perde
d’interesse,
e
dunque
si
avvia
il
declino,
nell’attesa
dell’arrivo
della
prossima
innovazione,
pronta
a
sostituire
quella
precedente.
Figura
1
-‐
The
Fashion
Life
Cycle.
Fonte:
www.revivalvintageboutique.com.
Graficamente
il
ciclo
di
diffusione
di
una
moda
si
distribuisce
normalmente,
come
una
curva
di
Gauss:
alla
fase
iniziale
dell’introduzione,
a
cui
corrisponde
la
crescita
di
interesse
da
parte
dei
consumatori
(misurata
quindi
in
termini
di
vendite),
segue
la
fase
di
accettazione,
durante
la
quale
la
nuova
moda
raggiunge
il
suo
picco
massimo
di
diffusione.
In
seguito
il
prodotto,
non
essendo
più
una
novità,
inizia
la
sua
fase
di
declino,
alla
quale
segue
l’inevitabile
obsolescenza
dovuta
al
rifiuto
per
il
prodotto
stesso.
In
base
al
tipo
di
prodotto
di
moda
considerato,
il
ciclo
può
essere
meglio
rappresentato
in
questo
modo:
37
Figura
2
-‐
The
Fashion
Life
Cycle
for
Basic
and
Fashion
Products.
Fonte:
instruct1.cit.cornell.edu.
Un
prodotto
classico
(come
possono
essere
le
t-‐shirts,
i
jeans,
i
mocassini),
ha
un
ciclo
di
vita
chiaramente
più
lungo:
questo
tipo
di
prodotto
può
essere,
infatti,
venduto
per
molti
anni
senza
che
si
verifichino
particolari
cambi
di
stile.
Il
picco
della
sua
diffusione
e
dunque
delle
vendite
avviene
gradualmente
solo
al
raggiungimento
della
maturità;
il
declino
avverrà
molto
più
lentamente
rispetto
agli
altri
prodotti.
Al
contrario
un
prodotto
di
moda
durerà
per
un
periodo
inferiore:
per
definizione
la
moda
è,
infatti,
uno
stile
legato
ad
un
momento.
Supera
l’introduzione,
cresce
durante
la
fase
“growth”
e
qui
raggiunge
il
picco,
in
seguito
al
quale
inizia
la
fase
di
declino.
La
moda
viene
adottata
da
un
grande
numero
di
persone
in
un
certo
periodo
di
tempo
e,
a
mano
a
mano
che
le
persone
si
stancano
di
essa,
il
ciclo
di
vita
si
avvia
verso
la
fine.
Rientrano
in
questa
categoria
i
vari
elementi
che
caratterizzano
il
design
di
un
prodotto
–
come
il
colore,
il
materiale,
la
forma
–
che
rendono
un
prodotto
moderno
in
un
dato
periodo
e
che
cambiano
nel
tempo
(si
tratta
per
esempio
dei
vari
tipi
di
jeans,
larghi,
a
vita
bassa,
strappati,
con
lavaggi
diversi..;
cambia
lo
stile
che
è
moderno
in
un
dato
momento,
per
esempio
la
vita
bassa,
resta
più
a
lungo
di
moda
il
prodotto
in
sé,
il
paio
di
jeans).
38
Infine
il
prodotto
denominato
“fad”
(in
Italiano
“moda
passeggera”,
“capriccio”)
ha
un
ciclo
di
vita
in
termine
di
vendite
nel
tempo
molto
breve,
che
inizia
e
si
conclude
nella
sola
fase
di
introduzione:
ad
una
rapidissima
diffusione
segue
un
altrettanto
rapidissimo
declino.
Generalmente
si
tratta
di
uno
stile
adottato
da
una
particolare
sottocultura
o
da
un
gruppo
demografico
giovane
per
un
breve
periodo
(tatuaggi,
piercing,
borchie...).
Appartengono
a
questa
categoria
per
esempio
anche
i
prodotti
indossati
da
personaggi
famosi
o
campioni
dello
sport.
Dal
grafico
si
deduce
come
l’aumento
di
elementi
“di
moda”
all’interno
di
un
prodotto
accorcino
il
suo
ciclo
di
vita.
Un’azienda
deve
essere
quindi
pronta
a
differenziare
la
propria
produzione
in
varie
linee,
associando
prodotti
basici
a
cosiddetti
“fad”
e
a
prodotti
di
moda,
in
modo
da
assicurarsi
vendite
costanti
nel
tempo,
senza
rinunciare
ad
alimentare
l’attrattività
del
proprio
marchio
con
linee
attente
alla
moda
e
al
gusto
del
momento.
Riprendendo
il
modello
di
diffusione
delle
innovazioni
elaborato
da
Everett
Rogers
nell’opera
Diffusion
of
innovations
del
1962,
e
facendo
riferimento
ai
consumatori
di
moda
nel
tempo,
si
possono
individuare
39
cinque
categorie
di
consumatori
legati
alle
varie
fasi
del
ciclo
di
vita.26
In
base
al
tipo
di
consumatore
si
renderà
poi
necessaria
l’adozione
di
strategie
di
marketing
diverse.
26
Il
modello
di
diffusione
di
Rogers
spiega
il
processo
attraverso
il
quale
avviene
la
diffusione
di
un’innovazione
e
spiega
come
poi
essa
venga
adottata
dai
consumatori.
Il
modello
identifica
quali
persone
adottino
prima
un’innovazione
e
quali
invece
dopo
(innovatori,
primi
adottanti,
massa,
tardi
adottanti
e
ritardatari),
spiegando
il
processo
mentale
che
sta
alla
base
dell’adozione
e
spiega
anche
come
la
diffusione
dipenda
dalle
caratteristiche
delle
innovazioni
(1.
Relative
advantage
[vantaggio
relativo];
2.
Compatibility
[compatibilità];
3.
Complexity
or
Simplicity
[complessità
o
semplicità];
4.
Trialability
[sperimentabilità];
5.
Observability
[osservabilità]).
Rogers
suggerisce
che
questo
processo
si
sviluppi
in
cinque
momenti:
1. Awareness
(consapevolezza);
2. Interest
(interesse);
3. Evaluation
(valutazione);
4. Trial
(sperimentazione);
5. Adoption
(adozione).
Applicando
il
modello
di
diffusione
all’ambito
della
moda,
l’individuo
si
accorge
della
moda,
sviluppa
interesse
per
essa,
identifica
in
essa
la
presenza
di
un
vantaggio
relativo
(inteso
come
grado
di
miglioramento
di
un
prodotto
rispetto
alle
versioni
precedenti)
che
può
dipendere
dal
fatto
che
essa
abbia
un
tessuto
innovativo,
o
sia
in
linea
con
il
proprio
concetto
di
sé
o
sia
semplicemente
simile
a
ciò
che
indossano
i
propri
amici.
Se
l’individuo
valuta
in
modo
positivo
la
moda,
il
processo
prosegue
allora
nella
fase
della
sperimentazione
(in
cui
l’individuo
valuta
l’utilità
che
essa
ha
nella
propria
vita)
e
nella
successiva
adozione.
Nelle
edizioni
successive
dell’opera,
Rogers
cambia
il
nome
delle
fasi
in
1.
Knowledge;
2.
Persuasion;
3.
Decision
(che
si
può
sviluppare
in
Reject
or
Accept);
4.
Implementation;
5.
Confirmation,
ma
la
descrizione
delle
categorie
resta
praticamente
la
stessa.
40
Gli
innovatori
sono
coloro
i
quali
adottano
per
primi
una
moda.
Sono
interessati
a
tutto
ciò
che
è
nuovo
e
unico,
sono
disposti
a
correre
il
rischio
di
adottare
una
moda
che
sia
destinata
a
fallire,
generalmente
sono
giovani
e
appartengono
alla
classe
sociale
più
elevata.
Hanno
inoltre
una
buona
disponibilità
economica,
che
permette
loro
di
assorbire
gli
eventuali
fallimenti,
e
ottimi
contatti
con
altri
innovatori.
Un’azienda
dev’essere
in
grado
di
mettere
in
luce
gli
elementi
distintivi
e
di
novità
del
prodotto
che
vuole
immettere
sul
mercato
per
catturare
l’interesse
di
questa
categoria.
Gli
opinion
leader
nel
campo
della
moda
sono
i
secondi
in
termini
di
velocità
ad
adottare
un’innovazione,
copiano
gli
innovatori
e
diffondono
la
moda,
rendendola
popolare
presso
la
massa.
Non
necessariamente
i
leader
quindi
inventano
una
moda
o
sono
i
primi
ad
adottarla:
essi,
infatti,
ricercano
la
differenziazione
e
“osano”
distinguersi
indossando
le
novità
proposte
dagli
innovatori.
Attraverso
le
loro
scelte,
le
aziende
saranno
sempre
più
invogliate
a
produrre
il
prodotto,
che
comparirà
sempre
più
frequentemente
e
diffusamente
nei
punti
vendita.
Quando
un
prodotto
ha
ormai
raggiunto
l’apice
della
sua
popolarità
e
si
entra
nella
fase
della
maturità,
è
ormai
adottato
dalla
massa
e
la
pubblicità
ne
amplifica
ulteriormente
la
notorietà
e
dunque
la
diffusione.
Con
il
calo
della
popolarità,
il
prodotto
viene
infine
svenduto
a
coloro
che
sono
alla
ricerca
di
occasioni,
ai
ritardatari
o
a
chi
è
semplicemente
stato
scettico
o
miope
nel
riconoscere
la
moda,
liberando
il
mercato
per
la
novità
seguente.
I
late
adopters
sono
generalmente
scettici
nei
confronti
di
una
moda,
e
si
approcciano
ad
essa
solo
quando
è
stata
ormai
adottata
dalla
maggior
parte
della
società.
I
laggards
sono
invece
tipicamente
avversi
al
cambiamento,
sia
per
età
(più
avanzata
rispetto
ai
membri
delle
altre
categorie),
sia
per
minore
disponibilità
economica.
41
Alla
base
del
ciclo
della
moda
spiegato
dalla
teoria
del
“trickle
down”
si
può
riconoscere
una
delle
intuizioni
di
Simmel,
secondo
il
quale
l’interesse
per
la
differenziazione,
l’eterno
conflitto
tra
l’individualità
e
l’universalità,
spinge
l’uomo
ad
abbandonare
una
moda
per
una
nuova
nel
momento
in
cui
la
prima
è
ormai
troppo
imitata
e
diffusa.27
Sempre
secondo
Simmel,
come
riporta
Baldini 28 ,
la
moda
può
essere
intesa
come
espressione
dello
spirito
del
tempo
poiché
crea
una
linea
di
demarcazione
tra
il
presente
e
il
passato
e
comunica
un
certo
sentimento
dell’attualità.
James
Lever29
riprende
questa
affermazione
di
Simmel
ed
elabora
un
“calendario”
che
spiega
come
il
giudizio
su
un
abito
cambi
a
seconda
della
distanza
temporale
che
lo
separa
dal
“suo
tempo”.
27
SIMMEL
G.,
Die
Mode,
Berlino,
1985.
28
BALDINI
M.,
op.
cit.,
2005,
p.
43.
29
LAVER
J.,
Tastes
and
fashion:
from
the
French
revolution
until
today,
London,
42
Indecente
10
anni
prima
del
suo
tempo
Spudorato
5
anni
prima
del
suo
tempo
Audace
1
anno
prima
del
suo
tempo
Elegante
l’anno
del
suo
tempo
Inelegante
1
anno
dopo
il
suo
tempo
Orrendo
10
anni
dopo
il
suo
tempo
Ridicolo
20
anni
dopo
il
suo
tempo
Divertente
30
anni
dopo
il
suo
tempo
Originale
50
anni
dopo
il
suo
tempo
Incantevole
70
anni
dopo
il
suo
tempo
Romantico
100
anni
dopo
il
suo
tempo
Meraviglioso
150
anni
dopo
il
suo
tempo
Tabella 1 -‐ Il calendario dello "Spirito del tempo" di Laver.
Oltre
al
“trickle
down”,
nell’ambito
della
moda
si
è
parlato
anche
di
“trickle
across”
e,
più
recentemente,
di
“trickle
up”.
La
teoria
del
trickle
across
(mass
dissemination)
sostiene
che
la
moda
si
sviluppi
in
senso
orizzontale
e
si
espanda
tra
gruppi
o
categorie
sociali
poste
allo
stesso
livello.
Il
tempo
di
adozione
da
un
gruppo
all’altro
si
riduce
quindi
al
minimo,
diventa
quasi
simultaneo
grazie
alla
produzione
e
alla
comunicazione
di
massa,
rendendo
le
nuove
mode
simultaneamente
disponibili
a
tutti
i
livelli
di
prezzo
(King
e
Robinson).30
30
Cfr.
KING
C.
W.,
“Fashion
Adoption:
A
Rebuttal
to
the
‘Trickle
Down’
Theory”,
43
I
sostenitori
della
teoria
del
trickle
up
(reverse
adaptation
o
“bubble
up”)
affermano
invece
che
l’innovazione
si
sviluppi
nelle
strade,
che
parta
cioè
dai
gruppi
sociali
alla
base
della
piramide
del
reddito
o
dai
giovani.
L’innovazione
successivamente
si
diffonde
alle
categorie
di
reddito
superiore,
seguendo
un
approccio
di
tipo
bottom-‐up,
e
fa
quindi
il
suo
ingresso
nell’alta
moda
e
sulle
passerelle
(per
esempio
le
giacche
di
pelle,
usate
dai
motociclisti
e
presenti
da
molte
stagioni
sulle
passerelle
dell’alta
moda).
Una
delle
principali
sostenitrici
della
teoria
del
trickle
up
è
proprio
Chanel,
che
credeva
che
gli
spunti
di
moda
partissero
proprio
dalle
strade
e
arrivassero
quindi
ai
disegnatori
di
moda.
Molte
delle
sue
idee
si
formarono
proprio
grazie
alla
percezione
che
lei
ebbe
del
bisogno
che
le
donne
dell’epoca
avevano
di
vestiti
funzionali
e
comodi.
Interessante
è
anche
la
posizione
del
funzionalista
Ferdinand
Tönnies,
che
collega
la
moda
al
costume.
Nella
sua
opera
“Gemeinsam
und
Gesellschaft”31
del
1887
lo
sviluppo
umano
viene
inteso
in
due
modi,
come
contrapposizione
tra
tradizione
e
modernità,
tra
la
comunità
tradizionale
basata
sui
costumi
e
sugli
usi
e
la
società
moderna.
Il
costume
si
forma
con
le
consuetudini
e
le
pratiche
tradizionali
e
tende
a
indebolirsi
a
mano
a
mano
che
si
completa
la
transizione
verso
la
Gesellschaft.32
Anche
in
Tönnies
emerge
l’elemento
imitatorio
alla
base
dell’evoluzione
dei
costumi.
In
particolare
per
quanto
riguarda
il
costume
nell’abbigliamento
–
perché
moda
e
costume
sono
simili,
ma
non
sono
la
stessa
cosa
–
egli
sostiene
che
il
costume
sia
ciò
che
pone
ordine
nell’arbitrarietà,
“das
Regime
der
Mode”,
il
regime
della
moda,
dà
le
31
Traduzione
italiana
dal
tedesco
“Comunità
e
società”.
32
Cfr.
MAVICA
G.,
op.
cit.,
p.25.
44
regole
e
dunque
stabilisce
le
differenze
di
sesso,
di
stato
civile,
del
ruolo
nella
società
o
del
grado
di
dignità
dell’individuo.33
33
TÖNNIES
F.,
“Die
Sitte“,
in
BUBER
M.
(a
cura
di),
Die
Gesellschaft,
XXV,
Rütten
&
Loening,
Frankfurt
am
Main,
1909,
pp.
95,
p.
74
e
ss.,
disponibile
all’indirizzo:
http://www.modetheorie.de/fileadmin/Texte/t/Toennies_Die_Sitte_1909.pdf:
“Wenn
die
Nachahmung
geschmacklosen
Prunkes
allgemein
geworden
ist,
so
kann
es
wieder
für
vornehm
gelten,
sich
einfach
zu
zeigen.
Dies
gibt
sich
am
ehesten
kund
in
der
Kleidung.
Und
die
Kleidung
kennen
wir
schon
als
sehr
wichtigen
Gegenstand
der
Sitte
im
allgemeinen,
sie
dient
aber
auch
der
Neigung,
distinguiert
zu
erscheinen,
und
den
Regeln
des
Anstandes”.
E
ancora
“DIE
Kleidung
der
echten
Sitte,
wie
sie
unter
Landleuten
herrscht,
ist
die
Volkstracht,
das
„Kostüm“.
Die
vornehmere
Kleidung
der
Großen
hebt
sich
davon
ab,
wie
die
der
Städter.
Jene
wird
ein
bevorzugtes
Zeichen
des
Standes
und
Ranges,
als
solche
bleibt
sie
der
Standessitte
lange
unterworfen,
wenn
sie
auch
ihrem
Wesen
nach
Sache
eines
sozialen
Glaubens
und
Geschmackes
ist,
des
Glaubens
nämlich,
daß
es
sich
so
schicke,
daß
z.
B.
die
schwarze
Farbe
die
angemessene,
richtige
sei
für
den
Geistlichen,
wie
für
die
Trauer
(schwarz
und
weiß
konkurrieren
hier
wie
dort),
hingegen
etwa
der
Purpur
für
die
imposante
Würdeeines
Häuptlings
und
Fürsten.
Aber
an
den
Höfen
wird
die
Tracht
Gegenstand
besonderer
ausdrücklicher
Vorschriften,
die
wie
Gesetze
sie
bestimmen
und
regeln.
Die
Uniformierung
wird
zum
Bedürfnis,
am
frühesten
in
militärischen
Verhältnissen,
wo
dann
die
Kleidung,
zumal
die
im
Dienst,
durchaus
der
Satzung,
ja
dem
Gesetze
unterliegt”.
34
MICELLI
S.,
Futuro
artigiano:
l’innovazione
nelle
mani
degli
italiani,
Marsilio,
45
qualcosa
che
va
oltre
il
semplice
oggetto,
che
portino
con
sé
la
storia
e
la
cultura
del
paese
da
cui
provengono.
L’artigianato
italiano
è
ancora
in
grado
di
renderci
originali
e
soprattutto
unici
sulla
scena
internazionale.
La
moda
è
uno
dei
settori
principali
della
produzione
manifatturiero-‐industriale
italiana.
Nel
mondo
quando
si
pensa
al
concetto
di
Made
in
Italy
la
prima
cosa
a
venire
in
mente
è
forse
proprio
la
moda,
lo
stile
italiano,
“il
sistema
moda,
inteso
come
tessile,
abbigliamento,
pelle,
pelletteria
e
calzature”,
che
“rappresenta
uno
dei
quattro
macro
settori
manifatturieri35
cardine
del
Made
in
Italy
e
ha
un
peso
molto
alto
sull’economia
del
Paese”.36
L’Italia
dunque
nonostante
la
crisi
economica
globale
che
sta
costringendo
le
aziende
a
riconfermare
incessantemente
il
proprio
valore
e
l’unicità
del
proprio
stile,
continua
ad
avere
un
ruolo
centrale
nel
campo
della
moda
internazionale.37
35
Le
“quattro
A”
del
Made
in
Italy
sono,
oltre
all’abbigliamento,
le
apparecchiature
industriali
(meccanica),
l’agroalimentare
e
l’arredamento.
36
ODASSO
C.,
CAVALIERE
M.,
“Moda,
il
valore
del
brand
come
asset
immateriale
per
affrontare
la
crisi:
Previsioni
2011”,
Mark
up,
(2010),
195,
Il
Sole
24
Ore,
2010.
37
Si
veda
anche
FORTIS
M.,
Così
l’Italia
batte
la
Germania
in
1.200
prodotti,
in
Il
46
Figura
4
-‐
Classifica
dei
primi
15
paesi
manifatturieri
al
mondo
per
valore
aggiunto
globale
lordo.
Fonte:
IHS
Global
Insight,
Mckinsey
Global
Institute
analysis.
Ciò
viene
ribadito
anche
dal
report
“Manufacturing
the
future:
the
next
era
of
global
growth
and
innovation”,
pubblicato
dal
McKinsey
Global
Institute
nel
novembre
2012:
la
manifattura
italiana
è
la
seconda
d'Europa
e
la
quinta
al
mondo
per
valore
aggiunto.38
38
MANYIKA
J.,
SINCLAIR
J.,
DOBBS
R.,
STRUBE
G.,
RASSEY
L.,
MISCHKE
J.,
REMES
J.,
ROXBURGH
C.,
GEORGE
K.,
O'HALLORAN
D.,
RAMASWAMY
S.,
Manufacturing
the
future:
the
next
era
of
global
growth
and
innovation,
Report,
McKinsey
Global
Institute
(MGI),
november
2012,
disponibile
all’indirizzo:
www.mckinsey.com/insights/manufacturing/the_future_of_manufacturing,
consultato
in
data
1
giugno
2013.
47
Figura
5
-‐
Principali
mercati
per
quota
di
mercato
globale
nel
segmento
dei
prodotti
manifatturieri.
Fonte:
IHS
Insights,
previsione
del
maggio
2012;
McKinsey
Global
Institute
analysis.
Come
evidenziato
dalla
figura
qui
sopra,
infatti,
nonostante
la
dominazione
della
Cina,
che
detiene
il
36%
del
valore
aggiunto
complessivo
delle
dieci
maggiori
economie
mondiali
(all’interno
del
7%
di
valore
aggiunto
lordo
globale
che
deriva
dal
settore
di
produzione
manifatturiera
di
merci
ad
alta
intensità
di
lavoro),
l’Italia
mantiene
una
48
quota
di
mercato
sorprendentemente
alta
nel
segmento
di
riferimento,
specializzandosi
nell’abbigliamento
di
fascia
alta
e
nei
prodotti
in
pelle.39
39
Secondo
il
Rapporto
del
Mckinsey
Institute,
il
segmento
“labor-‐intensive-‐
tradeables”
comprende
l’industria
tessile,
l’abbigliamento
e
la
pelle,
nonché
il
mobile,
i
gioielli,
i
giocattoli
e
“altri
prodotti
manifatturieri
non
classificati
altrove”.
Di
questi,
il
tessile,
l’abbigliamento
e
la
pelle
sono
il
comparto
più
importante
sia
dal
punto
di
vista
del
valore
aggiunto
sia
in
termini
di
occupazione.
Il
rapporto
continua
dicendo
che
molte
economie
si
sono
basate
sul
tessile
e
sulla
manifattura
dell’abbigliamento
delle
prime
fasi
dello
sviluppo
economico,
facilitando
la
transizione
dalla
sussistenza
agricola
alla
manifattura
urbana.
Con
la
crescita
dei
redditi
nazionali
e
degli
stipendi,
le
economie
in
via
di
sviluppo
si
sono
spostate
sempre
più
verso
segmenti
più
complessi
e
meno
labor-‐intensive.
Stati
ad
alto
reddito
come
la
Norvegia,
Singapore
e
la
Svizzera
hanno
piccolissime
percentuali
di
prodotti
ad
alta
intensità
di
lavoro
nella
loro
base
manifatturiera;
al
contrario,
stati
come
il
Bangladesh,
lo
Sri
Lanka
o
l’Honduras,
hanno
percentuali
eccezionalmente
grandi
della
propria
base
manifatturiera
occupate
da
produzioni
labor-‐intensive.
Fanno
eccezione
l’Italia
e
il
Portogallo
che,
pur
essendo
considerate
nazioni
ricche,
continuano
a
legare
le
proprie
economie
alla
manifattura
labor-‐intensive.
Cfr.
Rapporto
pp.
64-‐65.
Sull’argomento
si
veda
anche
GEREFFI
G.,
FREDERICK
S.,
Global
apparel
value
chain,
trade
and
the
cisis:
Challenges
and
opportunities
for
developing
countries,
World
Bank
policy
research
working
paper
number
5281,
April
2010.
49
Il
settore
della
moda
italiana
è
difatti
composto
di
aziende
che
non
esportano
semplicemente
i
loro
prodotti,
ma
l’immagine
stessa
dell’Italia,
che
è
legata
al
bello,
alla
qualità,
alla
creatività.
Si
tratta
del
cosiddetto
“Bello
e
Ben
Fatto”
(BBF),
ossia
di
beni
di
fascia
medio-‐alta,
nei
quali
il
Made
in
Italy
si
unisce
a
valori
di
qualità,
professionalità
ed
esperienza.
È
essenziale
quindi
valorizzare
il
Made
in
Italy
nella
percezione
che
di
esso
hanno
i
consumatori
esteri,
soprattutto
quelli
provenienti
dai
mercati
emergenti.
È
un
periodo
economico
drammatico,
in
cui
i
consumi
interni
sono
calati
a
picco,
anche
a
causa
di
scelte
di
consumo
sempre
più
selettive,
che
sacrificano
i
beni
a
elevato
importo
unitario.
Il
ristagno
economico
interno
non
lascia
altra
scelta
se
non
quella
di
puntare
sui
mercati
esteri
più
ricettivi
e
dinamici,
e
il
Made
in
Italy
BBF
artigianale
non
può
non
costituire
un
importantissimo
punto
di
partenza.
È
curioso
però
come
in
Italia
la
moda,
pur
riconosciuta
a
livello
internazionale
come
un’eccellenza
del
nostro
paese
e
nonostante
sia
economicamente
un
settore
molto
vivo
e
tutt’altro
che
rassegnato
alla
crisi,
a
livello
politico-‐istituzionale
sia
invece
quasi
ignorata
non
tanto
dal
punto
di
vista
della
quantificazione
del
suo
valore,
quanto
proprio
della
sua
esistenza.40
È
anche
per
cercare
di
riportare
la
moda
italiana
al
suo
posto,
cioè
in
una
cornice
d’eccellenza
a
livello
internazionale
non
solo
produttiva,
ma
anche
culturale,
che
a
Venezia
è
stata
fondata
il
2
febbraio
2013
Misa
–
40
Durante
la
Settimana
della
Moda
milanese
di
quest’anno,
Giorgio
Armani
dice
“Chiunque
governerà
il
nostro
paese
deve
dare
una
mano
a
chi
tutti
i
giorni
tiene
alta
l’immagine
dell’Italia:
gli
artigiani
e
le
imprese
del
settore
realizzano
manufatti
bellissimi,
che
milioni
di
consumatori
nel
mondo
hanno
l’ambizione
di
possedere.
Sarebbe
un
suicidio
non
supportare
chi
lavora
seriamente
e
vuole
internazionalizzarsi
e
anche
le
banche
dovrebbero
fare
la
loro
parte.
Purtroppo
qui
in
Italia
siamo
specialisti
nella
mancata
valorizzazione
di
quel
che
sappiamo
fare
meglio”.
BOTTELLI
P.,
L’appello
di
Giorgio
Armani:
“Chi
governerà
aiuti
le
Pmi
della
moda”,
Il
Sole
24
Ore,
15
gennaio
2013,
disponibile
all’indirizzo:
www.moda24.ilsole24ore.com/art/industria-‐
finanza/2013-‐01-‐15/lappello-‐armani-‐aiuti-‐moda-‐113157.php,
consultato
in
data
19
marzo
2013.
50
Associazione
Italiana
degli
Studi
di
Moda
–
un
organo
che
riunisce
varie
figure
con
l’obiettivo
di
dialogare
attivamente
con
le
istituzioni.
È,
infatti,
necessario
unire
le
forze
per
sviluppare
progetti
che
siano
in
grado
di
rinnovare
ed
arricchire
con
nuovi
contenuti
e
nuovi
mezzi
il
modo
di
osservare
e
studiare
la
moda.
41
Sono,
infatti,
parole
molto
amare
quelle
di
Maria
Luisa
Frisa,
direttore
del
corso
di
Laurea
in
Design
della
Moda
presso
l’università
IUAV
di
Venezia,
che
a
proposito
della
fondazione
del
Misa,
della
quale
è
stata
anche
eletta
presidente,
spiega
che
“la
moda
in
Italia
è
un
grande
sistema
economico,
comunicativo
e
culturale,
al
quale,
per
una
serie
di
ragioni
che
partono
da
molto
lontano,
non
viene
riconosciuta
reale
importanza.
La
moda
nel
nostro
paese
è
considerata
frivola
e
i
suoi
manufatti
sono
classificati
come
prodotti.
La
moda
in
Italia
è
importante
ma
conta
meno
della
Fiat;
la
moda
incide
in
maniera
rilevante
sui
gusti
e
comportamenti
delle
persone,
ma
rimane
confinata
a
fenomeno
di
costume;
la
moda
produce
cultura,
ma
ha
accesso
raramente
ai
musei
e
alle
gallerie42,
mentre
le
istituzioni
esistenti
hanno
vita
molto
complicata.
La
moda
in
Italia
ha
la
necessità
di
trovare
un
luogo
della
riflessione
e
della
rappresentazione
fuori
dai
soliti
circuiti,
che,
ora
più
che
mai,
accusano
la
crisi
di
un
sistema
che
è
rimasto
ancora
legato
agli
anni
Ottanta.
La
moda
vive
la
necessità
di
riappropriarsi
delle
forme
di
fashionbeyondfashion.wordpress.com/2013/02/01/the-‐fashion-‐studies-‐in-‐
41
italy-‐the-‐launch-‐of-‐italian-‐association-‐of-‐fashion-‐studies-‐misa-‐at-‐the-‐iuav-‐university-‐
of-‐venice/,
Fashion
beyond
Fashion,
blog
di
Nunzia
Garoffolo,
consultato
in
data
6
maggio
2013.
42
Il
marzo
il
museo
Franz
Maier
di
Città
del
Messico
ha
inaugurato
una
rassegna
dedicata
ai
60
anni
di
made
in
Italy:
i
saloni
del
museo,
leader
in
America
Latina
per
le
arti
decorative,
ospiteranno
fino
al
9
giugno
2013
una
collezione
di
oltre
100
capi
che
rappresentano
la
storia
e
le
migliori
firme
della
moda
e
del
design
italiano.
Il
progetto
espositivo
è
stato
promosso
dall’Ambasciata
d’Italia,
dall’Istituto
Italiano
di
cultura
e
curato
da
Fiorella
Galgano.
Tra
le
griffes
presenti
nella
rassegna:
Sorelle
Fontana,
Gattinoni,
Prada,
Brioni,
Soprani,
Dolce
e
Gabbana,
Laura
Biagiotti,
Marella
Ferrera,
Missoni,
Lancetti,
Giorgio
Armani,
Mariella
Burani,
Ferragamo.
Si
veda
l’indirizzo
mefite.ice.it/settori/ViewNews.aspx?C=Moda.aspx&Id_Notizia=34579&idMacro=112,
ICE
Città
del
Messico,
18
marzo
2013,
consultato
in
data
19
marzo
2013.
51
produzione
della
conoscenza,
superando
la
fase
della
spettacolarizzazione
fine
a
se
stessa,
che
al
contrario
preme
verso
un
progressivo
adeguamento
alle
logiche
dei
cultural
mass
market.
C’è
la
necessità
di
creare
zone
franche,
sedi
di
confronto
alternative
anche
tra
ambiti
ed
esperienze
diverse.
La
moda
è
un
sistema
culturale
unico
che,
se
letto
alla
sua
complessità,
è
forse
il
solo
in
grado
di
restituire
in
presa
diretta
il
suo
tempo”.43
veda
FLACCAVENTO
A.,
Nasce
il
Misa
per
la
moda
«grande
sistema
43
Si
52
CAPITOLO
2
2.
L’andamento
della
filiera
negli
anni
della
crisi
Il
2009
è
stato
l’anno
peggiore
per
l’intera
filiera,
che
ha
registrato
una
perdita
di
quasi
10
milioni
di
Euro
rispetto
al
2008,
in
cui
il
giro
d’affari
era
pari
a
66,5
miliardi
di
Euro.
44
Pambianco
News
nell’ottobre
dello
scorso
anno
riportava
che
le
previsioni
di
Sistema
Moda
Italia,
effettuate
in
collaborazione
con
il
Prof.
Serati,
Associato
di
Politica
Economica
presso
l’Università
Carlo
Cattaneo,
non
sarebbero
state
rosee
nemmeno
per
l’appena
conclusosi
2012,
anno
durante
il
quale
l’industria
del
Tessile-‐Moda
nazionale
avrebbe
registrato
un
calo
di
almeno
4,4
punti
percentuali,
con
un
fatturato
di
50,5
miliardi
di
Euro,
contro
i
52,8
miliardi
di
Euro
del
2011.
E
questo
risultato
sarebbe
stato
legato
soprattutto
al
calo
del
mercato
interno
per
il
3,3%
del
totale.45
L’unica
variabile
positiva
sarebbe
stato
l’export,
che
continua
comunque
ad
essere
il
traino
principale
del
settore:
nonostante
la
contrazione
delle
esportazioni
dirette
all’Unione
Europea,
l’export
sarebbe
stato
stimato
nei
dodici
mesi
a
circa
27,1
miliardi
di
Euro.
L’import
invece,
dopo
due
anni
di
crescita
sostenuta,
avrebbe
registrato
un
calo
del
7,3%,
rimanendo
comunque
oltre
i
18,8
miliardi
di
Euro.
44
Per
filiera
“si
intendono
sia
gli
itinerari
seguiti
dal
prodotto
nel
processo
di
53
L’analisi
di
Prometeia
e
Intesa
SanPaolo
sui
settori
industriali
relativa
all’anno
2012
evidenzia
come
nel
corso
del
2012
le
aziende
manifatturiere
italiane
abbiano
perso
quasi
37
miliardi
di
Euro,
cioè
100
milioni
al
giorno,
come
se
ogni
24
ore
fosse
scomparsa
improvvisamente
un’azienda
di
medie
dimensioni.
46
In
particolare
il
sistema
moda
ha
perso
tra
il
2011
e
il
2012,
3,434
miliardi
di
Euro
di
fatturato,
settore
che
nel
2011,
con
87
miliardi
di
fatturato,
era
al
terzo
posto
dopo
alimentari
e
bevande
(122,3
miliardi)
e
meccanica
(102,4
miliardi).
Come
già
detto,
il
calo
della
domanda
interna
ha
indotto
le
imprese
a
puntare
ancora
di
più
sui
mercati
esteri,
che
hanno
consentito
di
ottenere
15
miliardi
di
Euro
di
fatturato:
le
imprese
italiane
sono
quindi
ancora
in
grado
di
sfruttare
i
mercati
internazionali.
Al
contrario,
il
mercato
interno
è
invece
calato
vertiginosamente:
il
calo
dei
consumi,
dovuto
alla
diminuzione
del
reddito
disponibile
delle
famiglie
italiane
e
all’incertezza
per
quanto
riguarda
le
prospettive
occupazionali,
si
è
ripercosso
lungo
tutte
le
filiere,
andando
a
pesare
sui
settori
a
monte
tanto
quanto
su
quelli
a
valle.
47
È
comunque
interessante
vedere
la
tenuta
del
sistema
moda,
che
resta
ai
primi
posti
della
classifica
dei
settori
manifatturieri
italiani
in
termini
di
contributo
alla
crescita
delle
esportazioni.
E
INTESA
SANPAOLO,
Analisi
dei
Settori
Industriali
–
febbraio
46PROMETEIA
54
Tabella
3
-‐
Var.
%
tend.
export
e
contributi
delle
diverse
aree
(gen-‐ott
2012,
euro
correnti).
Fonte:
Prometeia,
Intesa
Sanpaolo
55
2.1
L’industria
italiana
della
tessitura
Sistema
Moda
Italia
riporta
che
nel
2012
il
fatturato
complessivo
della
tessitura
italiana
ha
raggiunto
quasi
gli
8
miliardi
di
Euro,
cifra
importante,
ma
in
calo
del
5,1%
rispetto
al
2011
e
ancora
inferiore
ai
livelli
pre-‐crisi
(nel
2007
il
fatturato
risultava
pari
a
oltre
9
miliardi
di
Euro).
48
Il
risultato
è
negativo
anche
perché
in
controtendenza,
dopo
il
biennio
2010-‐2011
di
crescita.
Anche
in
questo
caso
pesa
il
deciso
ridimensionamento
della
domanda
interna,
che
cala
di
quasi
il
13%.
48
CENTRO
STUDI
SMI
-‐
FEDERAZIONE
IMPRESE
TESSILI
E
MODA
ITALIANE
(a
cura
di)
per
Milano
Unica,
Tessitura
Made
in
Italy:
nel
2012
fatturato
pari
a
circa
8
miliardi
di
euro
(-‐5,1%
sul
2011),
con
un
attivo
della
bilancia
commerciale
del
comparto
che
cresce
a
quasi
2,6
miliardi
di
euro,
Nota,
Milano,
6
febbraio
2013,
disponibile
all’indirizzo:
www.sistemamodaitalia.com/prj/Hom.asp?gsAppLanCur=IT&gsPagTyp=21&gsMnuNa
v=01M:200,01L:5,01C:0,02M:205,02L:5,02C:12,&fInfCod=10209,
consultato
in
data
6
maggio
2013.
56
Tabella
4
-‐
Industria
italiana
della
tessitura.
Fonte:
SMI
su
dati
ISTAT
e
indagini
interne.
La
tessitura
(comprendente
i
tessuti
lanieri,
cotonieri,
linieri,
serici,
a
maglia),
come
si
vede
dal
grafico
nella
figura
seguente,
pesa
per
il
15,7%
del
fatturato
dell’intera
filiera,
in
calo
quindi
rispetto
al
16,2%
del
2011.
57
Figura
6
-‐
Il
ruolo
della
tessitura
nella
filiera
Tessile-‐Moda
italiana
(2012)
(%
sul
fatturato).
Fonte:
SMI.
Le
importazioni
di
tessuti
dall’estero
si
sono
ridotte
in
modo
significativo,
e
così
anche
il
valore
della
produzione,
che
cala
di
oltre
il
6%,
restando
inoltre
ancora
inferiore
ai
livelli
pre-‐crisi.
Le
esportazioni
tengono,
seppure
si
evidenzi
un
calo
del
3%.
È
interessante
analizzare
i
dati
riguardanti
i
principali
partner
commerciali
delle
aziende
italiane
di
tessitura.
La
Germania
resta
il
principale
paese
destinatario
dei
tessuti
italiani
con
l’11,1%
sul
totale
delle
esportazioni.
Seguono
Romania,
Francia,
Tunisia.
A
livello
europeo
troviamo
poi
la
Spagna,
e,
unico
paese
in
controtendenza
a
segnare
una
variazione
positiva,
il
Portogallo,
che
cresce
del
12,1%,
corrispondente
a
circa
109
milioni
di
Euro.
58
A
livello
extra-‐europeo,
il
primo
paese
ad
importare
i
tessuti
italiani
è
la
Cina,
che
copre
il
5,3%
dell’export
totale
italiano,
con
un
incremento
del
5,5%
rispetto
al
2011,
corrispondente
a
167
milioni
di
Euro.
Importanti
anche
gli
Stati
Uniti
con
129
milioni
di
Euro,
in
crescita
di
quasi
il
7%
rispetto
al
2011,
e
il
Giappone,
che
segna
una
crescita
di
oltre
il
18%,
raggiungendo
i
107
milioni
di
Euro.
A
proposito
delle
importazioni,
il
principale
partner
italiano
è
la
Cina,
con
363
milioni
di
Euro
di
importazioni,
corrispondenti
al
27%
del
totale,
in
diminuzione
del
26%
rispetto
al
2011.
Seguono
i
tessuti
provenienti
dalla
Turchia
(in
calo
del
7,4%
rispetto
al
2011)
e
dalla
Repubblica
Ceca,
che
si
mantiene
invece
stabile.
L’unico
supplier
a
fare
eccezione,
segnando
un
+24,8%,
è
la
Corea
del
Sud.
59
Tabella
5
-‐
Il
commercio
estero
di
tessuti:
analisi
per
paese
(gennaio-‐ottobre
2012).
Fonte:
SMI
su
dati
ISTAT.
60
mentre
il
contributo
prevalente
alla
performance
del
comparto
proviene
dalle
vendite
estere,
ancora
positive,
seppure
il
trend
di
crescita
sia
rallentato
rispetto
al
2010-‐2011,
fermandosi
solo
a
un
-‐2,2%.
Il
peso
dell’export
sul
fatturato
si
rafforza,
passando
dal
54,3
del
2011
al
56%
del
2012.
Figura
6
-‐
L'industria
della
Moda
Femminile
italiana
(2008-‐2012)
(Milioni
di
Euro
correnti).
Fonte:
Stime
SMI
su
dati
ISTAT,
Sita
Ricerca
e
indagini
interne.
Anche
il
valore
della
produzione
è
in
crescita
dell’1,5%.
Per
quanto
riguarda
i
mercati
esteri,
si
conferma
il
trend
che
caratterizza
l’intera
filiera:
i
mercati
europei
seguono
un
andamento
completamente
diverso
da
quelli
extra-‐UE.
Il
mercato
extra
europeo,
infatti,
che
rappresenta
poco
più
della
metà
delle
esportazioni
totali,
segna
una
crescita
del
7,6%,
mentre
il
mercato
europeo
cala
del
2,3%.
61
Per
quanto
invece
riguarda
le
importazioni,
la
flessione
riguarda
entrambi
i
mercati,
in
particolare
la
zona
extra-‐UE,
che
costituisce
quasi
il
60%
dell’import
totale,
segna
un
calo
del
7,4%.
Tabella
7
-‐
La
Moda
Femminile:
analisi
del
commercio
italiano
con
l'estero
per
Paese
(gennaio-‐ottobre
2012).
Fonte:
SMI
su
dati
ISTAT.
In
particolare,
come
si
ricava
dai
dati,
a
livello
europeo
Francia
e
Germania,
i
principali
mercati
di
sbocco
della
moda
femminile
italiana,
segnano
una
leggera
diminuzione,
rispettivamente
dell’1,9%
e
dello
0,4%.
La
Spagna
invece
segna
un
calo
maggiore,
pari
al
6,2%.
62
La
Russia,
secondo
mercato
di
sbocco
per
la
moda
femminile
made
in
Italy,
torna
a
crescere
a
ritmi
molto
sostenuti,
tornando
quasi
ai
livelli
pre-‐crisi
del
2008.
Recuperano
anche
gli
Stati
Uniti,
con
un
fatturato
che
raggiunge
i
400
miliardi
di
Euro,
corrispondenti
ad
una
variazione
di
oltre
il
13%.
Anche
il
Giappone
continua
ad
essere
un
partner
importante
per
i
prodotti
italiani.
La
Cina
mostra
un
incremento
del
51%,
diventando
quindi
uno
dei
mercati
a
maggiore
potenziale
di
crescita,
toccando
i
116
miliardi
di
fatturato
nel
2012.
Sempre
la
Cina
resta
il
primo
supplier
italiano,
nonostante
il
calo
di
quasi
l’11%
nel
2012,
che
si
riflette
sul
dato
dell’incidenza
sull’import
totale,
che
passa
dal
31%
del
2011
al
29,3%
del
2012.
Al
secondo
posto
troviamo
la
Romania,
in
calo
dell’8,7%
rispetto
al
2011,
seguita
da
Francia
e
Tunisia,
in
calo
rispettivamente
del
4,1%
e
del
19,3%.
In
controtendenza
il
Bangladesh,
dal
quale
l’Italia
importa
per
189
milioni
di
Euro
di
fatturato,
in
crescita
del
22,1%
rispetto
al
2011.
Crescono
anche
le
importazioni
dalla
Germania
(+10,4%)
e
dalla
Spagna
(+19,4%).
50
La
moda
maschile
comprende
l’abbigliamento
esterno
in
tessuto
ed
a
maglia,
63
Tabella
8
-‐
L'industria
della
Moda
Maschile
italiana
(2008-‐2012)
(Milioni
di
Euro
correnti).
Fonte:
SMI
su
dati
ISTAT,
Sita
Ricerca
e
indagini
interne.
L’incremento
può
essere
attribuito
alla
prosecuzione
del
trend
positivo
sia
per
il
vestiario
esterno
(+3,3%),
sia
per
la
maglieria
esterna,
sia
per
la
pelle.
Come
confermato
dai
dati
generali
e
da
quelli
riguardanti
i
vari
comparti,
la
spinta
maggiore
all’industria
italiana
deriva
dalle
esportazioni
verso
i
paesi
extra-‐europei.
Si
nota
comunque
un
51
CENTRO
STUDI
SMI
-‐
FEDERAZIONE
IMPRESE
TESSILI
E
MODA
ITALIANE
(a
cura
di)
per
Pitti
Immagine
Uomo,
La
moda
maschile
italiana
nel
2012-‐2013,
Nota,
Firenze,
8
gennaio
2013,
disponibile
all’indirizzo:
http://www.sistemamodaitalia.com/prj/Hom.asp?gsAppLanCur=IT&gsPagTyp=21&gs
MnuNav=01M:200,01L:5,01C:0,02M:205,02L:5,02C:12,&fInfCod=10083,
consultato
in
data
18
maggio
2013.
64
rallentamento
evidente
rispetto
alla
crescita
registrata
nel
2011:
la
crescita
delle
vendite
estere,
infatti,
si
ferma
a
+2,4,
corrispondenti
ad
un
incremento
di
quasi
5
miliardi
di
Euro,
di
molto
inferiore
al
+10,9%
registrato
alla
fine
del
2011.
Anche
per
quanto
riguarda
le
importazioni,
i
dati
confermano
il
trend
negativo
che
caratterizza
l’andamento
delle
importazioni
lungo
tutta
la
filiera.
Il
calo
al
termine
del
2012
è
pari
al
9,1%,
valore
da
tenere
in
grande
considerazione,
dato
che
si
colloca
dopo
due
anni
di
crescita
importante
(+10,2%
nel
2010
e
+8,6%
nel
2011).
Per
quanto
riguarda
il
commercio
con
l’estero,
nella
tabella
che
segue
sono
riportati
i
dati
relativi
ai
primi
nove
mesi
del
2012.
65
Tabella
9
-‐
La
moda
maschile
italiana:
il
commercio
estero
(Gennaio-‐settembre
2012).
Fonte:
SMI
su
dati
ISTAT.
L’export
di
prodotti
di
moda
maschile
ottiene
un’ottima
performance
nei
mercati
extra
europei:
l’incremento
è
pari
al
9,7%,
che
corrisponde
ad
un
fatturato
che
sfiora
i
2
miliardi
di
Euro.
Non
si
può
dire
lo
stesso
per
quanto
riguarda
la
performance
sui
mercati
europei,
che
già
alla
fine
dei
primi
nove
mesi
del
2012
segnavano
una
diminuzione
dell’1,5%,
restando
comunque
il
principale
mercato
dei
prodotti
di
moda
maschile
(quota
pari
a
54,1%
del
totale
delle
esportazioni).
66
La
Francia
si
conferma
il
principale
mercato
di
sbocco
di
questa
categoria
di
prodotti,
ma
registra
un
calo
del
2,7%
rispetto
al
2011.
La
Germania
resta
quasi
ferma,
mentre
Spagna,
Belgio
e
Grecia
segnano
decrementi
ancora
maggiori.
Aumentano
invece
in
modo
evidente
le
esportazioni
verso
gli
Stati
Uniti
(+21,4%),
il
Giappone
(+20,7%),
la
Cina
(+15,9%)
e
la
Russia
(+3,7%),
a
conferma
del
fatto
che
il
settore
tiene
sui
mercati
extra-‐
europei.
Con
riferimento
alle
importazioni,
come
già
detto,
la
moda
maschile
segue
lo
stesso
trend
che
caratterizza
l’intera
filiera,
registrando
un
calo
dell’8%
rispetto
al
2011.
Il
dato
si
spiega
evidentemente
con
la
debolezza
del
mercato
interno,
nel
quale
i
consumi
registrano
un’importante
contrazione.
(-‐4,7%
per
quanto
riguarda
questo
segmento).
In
particolare
spicca
il
brusco
calo
delle
importazioni
dalla
Cina
(-‐16,3%),
il
primo
fornitore
per
l’Italia,
anche
per
questo
segmento,
con
una
quota
sul
totale
delle
importazioni
pari
ad
oltre
il
26%.
Calano
anche
le
importazioni
dalla
Tunisia
(-‐14,2%)
e
dalla
Turchia
(-‐4,9%),
paesi
importanti
per
il
settore.
Tiene
invece
il
Bangladesh,
che,
pur
rappresentando
una
quota
molto
inferiore
a
quella
cinese
sul
totale
dell’export,
registra
un
incremento
del
6,1%
rispetto
al
2011.
67
13152),
nel
2012
sono
in
calo
sia
le
esportazioni
sia
le
importazioni,
dopo
il
biennio
di
crescita
2010-‐2011.
Si
registra
un
rallentamento
nelle
esportazioni
pari
a
8,5
punti
percentuali,
mentre
le
importazioni
subiscono
un
decremento
del
20%:
entrambi
i
valori
tornano
in
linea
con
i
dati
rilevati
nel
2010.
Tabella
10
-‐
Interscambio
commerciale
dell'Italia
per
prodotto:
Gruppo
ATECO
131
-‐
Filati
di
fibre
tessili.
Fonte:
elaborazioni
ICE
su
dati
ISTAT.
Tabella
11
-‐
Interscambio
commerciale
Italia
-‐
Mondo.
Fonte:
elaborazioni
ICE
su
dati
ISTAT.
Per
quanto
riguarda
i
principali
mercati
di
sbocco,
i
primi
destinatari
europei
dei
filati
italiani
sono
Romania,
Germania,
Francia:
52
Il
gruppo
ATECO
“131
–
Filati
di
fibre
tessili
comprende”:
68
l’export
verso
i
tre
paesi
è
in
calo,
con
un
decremento
maggiore
nel
caso
di
Germania
(che
torna
ai
livelli
del
2010,
inferiori
al
periodo
pre-‐crisi)
e
Francia.
In
particolare
risulta
preoccupante
il
crollo
dell’export
verso
la
Francia,
che
nel
2012
con
83,5
migliaia
di
Euro
tocca
il
minimo
degli
ultimi
cinque
anni.
In
calo
sono
anche
le
esportazioni
verso
Turchia,
Regno
Unito,
Spagna,
Repubblica
Ceca
e
Croazia,
seppure
in
misura
minore.
In
rialzo
sono
invece
le
esportazioni
verso
Hong
Kong,
paese
verso
il
quale
il
trend
di
crescita
si
mantiene
costante
ormai
da
quattro
anni,
e
verso
la
Cina,
anche
questo
paese
verso
il
quale
le
esportazioni
continuano
a
crescere.
Il
principale
fornitore
di
filati
per
l’Italia
si
conferma
la
Cina,
seppure
si
evidenzi
un
brusco
calo
del
volume
d’affari
rispetto
allo
scorso
anno.
In
calo,
anche
se
in
misura
meno
importante,
sono
anche
le
esportazioni
dalla
Germania,
che
tornano
ai
livelli
del
2010,
ma
comunque
superiori
al
periodo
pre-‐crisi;
calano
anche
le
importazioni
dalla
Turchia,
dall’India,
dalla
Bulgaria,
dall’Egitto
e
dalla
Polonia.
69
Tabella
12
-‐
Italia:
principali
mercati
di
destinazione
e
di
provenienza.
Fonte:
elaborazioni
ICE
su
dati
ISTAT.
Sono
invece
in
crescita
le
importazioni
di
filati
di
provenienza
rumena,
che
continuano
nel
trend
positivo
degli
ultimi
quattro
anni,
e
tunisina.
Rimangono
sullo
stesso
livello
dello
scorso
anno
le
importazioni
dalla
Repubblica
Ceca.
2.4.2
I
tessuti
Per
quanto
riguarda
l’interscambio
commerciale
dell’Italia
dei
tessuti
(Gruppo
ATECO
13253),
il
trend
è
simile
a
quello
della
precedente
categoria:
ai
due
anni
di
crescita
dopo
il
crollo
del
2009,
il
2012
segna
un
nuovo
rallentamento
sia
nelle
importazioni
sia
nelle
esportazioni.
53
Il
gruppo
ATECO
“132
–
Tessuti”
comprende:
70
La
variazione
negativa
delle
esportazioni
è
pari
a
poco
più
del
3%,
mentre
le
importazioni
subiscono
un
rallentamento
di
10
punti
percentuali
in
più.
Tabella
13
-‐
Interscambio
commerciale
dell'Italia
per
prodotto:
Gruppo
Ateco
132
-‐
Tessuti.
Fonte:
elaborazioni
ICE
su
dati
ISTAT.
Per
quanto
riguarda
le
esportazioni,
il
calo
riguarda
i
tessuti
provenienti
da
Germania,
Romania,
Francia,
Tunisia,
Regno
Unito,
e
Hong
Kong.
Crescono
invece
le
esportazioni
verso
i
mercati
spagnoli
ed
extra-‐
europei,
come
la
Cina,
la
Turchia
e
soprattutto
gli
Stati
Uniti,
mercato
verso
il
quale
l’export
è
continuato
a
crescere
negli
ultimi
quattro
anni.
71
Tabella
15
-‐
Italia:
principali
mercati
di
destinazione
e
di
provenienza.
Fonte:
elaborazioni
ICE
su
dati
ISTAT.
Le
importazioni
sono
in
calo
da
tutti
i
principali
supplier
italiani:
specialmente
brusco
è
il
calo
dell’import
dalla
Cina,
dal
Pakistan
e
dall’India.
Sostanzialmente
stabile
sono
le
importazioni
dal
Regno
Unito.
• Tessuti
a
maglia;
• Biancheria
da
letto,
da
tavola,
e
per
l’arredamento
confezionata;
• Articoli
in
materie
tessili
n.c.a.;
• Tappeti
e
moquette;
• Spago,
corde,
funi
e
reti;
• Tessuti
non
tessuti
e
articoli
in
tali
materie
(esclusi
gli
articoli
di
abbigliamento);
• Nastri,
etichette
e
passamanerie
di
fibre
tessili;
• Altri
articoli
tessili
tecnici
ed
industriali;
• Ricami;
• Tulle,
pizzi
e
merletti;
• Feltro
e
articoli
tessili
diversi.
72
comparti.
Anche
per
questi
prodotti,
infatti,
nel
2012
si
è
interrotto
il
trend
di
crescita
che
continuava
da
due
anni.
Le
esportazioni
evidenziano
un
minimo
calo,
pari
al
2%,
più
marcato
(-‐9,8%)
è
invece
il
decremento
delle
importazioni
di
questa
categoria
di
prodotti.
Tabella
16
-‐
Interscambio
commerciale
dell'Italia
per
prodotto:
Gruppo
Ateco
139
-‐
Altri
prodotti
tessili.
Fonte:
elaborazioni
ICE
su
dati
ISTAT.
Tabella
17
-‐
Interscambio
commerciale
Italia
-‐
Mondo.
Fonte:
elaborazioni
ICE
su
dati
ISTAT.
Per
quanto
riguarda
i
principali
mercati
di
sbocco
di
questa
categoria
di
prodotti
tessili,
nelle
prime
sei
posizioni
troviamo
paesi
europei,
Germania,
Francia,
Romania,
Spagna
e
Polonia,
che
evidenziano
tutti
un
calo
nel
volume
d’affari
legato
all’export,
eccetto
la
Romania,
che
73
segna
un
lieve
rialzo
nel
2012.
Cresce
anche
l’export
diretto
agli
Stati
Uniti,
al
Regno
Unito,
alla
Turchia,
a
Hong
Kong
e
alla
Svizzera,
a
conferma
dei
dati
generali,
secondo
i
quali
l’export
extra-‐europeo
soffre
meno
di
quello
europeo.
Le
importazioni
di
questa
categoria
di
prodotto
sono
in
calo
da
tutti
i
principali
mercati
di
approvvigionamento.
L’unico
mercato
sostanzialmente
stabile
è
quello
della
Corea
del
Sud,
dal
quale
l’Italia
continua
ad
importare
a
livelli
simili
a
quelli
del
2011.
74
l’abbigliamento
in
pelliccia
(Gruppo
Ateco
14155),
possiamo
dire
che
le
esportazioni
sono
in
ripresa
dopo
il
brusco
calo
del
2009.
Nel
2012,
infatti,
superano
i
14,1
miliardi
di
Euro,
in
crescita
del
3,8%
rispetto
al
valore
del
2011.
Sono
invece
in
calo,
come
per
tutti
i
prodotti
della
filiera,
le
importazioni,
che
rallentano
di
7,7
punti
percentuali
rispetto
al
2011,
corrispondenti
ad
oltre
10
miliardi
di
Euro.
Il
valore,
seppure
in
calo
rispetto
all’anno
precedente,
è
comunque
superiore
ai
dati
registrati
prima
dello
scoppio
della
crisi.
55
Il
gruppo
ATECO
“141
–
Articoli
di
abbigliamento,
escluso
l’abbigliamento
in
pelliccia”,
comprende:
• Abbigliamento
in
pelle
e
similpelle;
• Camici,
divise
ed
altri
indumenti
da
lavoro;
• Abbigliamento
esterno
confezionato
in
serie,
di
sartoria
o
confezionato
su
misura;
• Camicie,
t-‐shirt,
corsetteria
ed
altra
biancheria
intima;
• Articoli
vari
e
accessori
per
l’abbigliamento;
• Articoli
di
abbigliamento
sportivo
o
altri
indumenti
particolari.
75
Tabella
19
-‐
Interscambio
commerciale
dell'Italia
per
prodotto:
Gruppo
Ateco
141
-‐
Articoli
di
abbigliamento,
escluso
l'abbigliamento
in
pelliccia.
Fonte:
elaborazioni
ICE
su
dati
ISTAT.
Per
quanto
riguarda
i
principali
mercati
di
sbocco
per
l’abbigliamento
made
in
Italy,
ai
primi
posti
si
confermano
Francia
e
Germania,
seppure
in
leggero
calo
rispetto
ai
dati
2011.
Crescono
invece
le
esportazioni
verso
gli
Stati
Uniti,
che
superano
quota
1,1
milioni
di
Euro,
e
la
Russia,
con
1,06
milioni
di
Euro.
In
crescita,
ma
più
lenta,
anche
l’export
verso
il
Regno
Unito,
che
supera
le
832
migliaia
di
Euro,
Hong
Kong,
il
Giappone,
con
715
migliaia
di
Euro,
e
i
Paesi
Bassi.
Unico
dato
in
calo,
nella
classifica
dei
dieci
principali
mercati
di
destinazione
dell’abbigliamento
italiano,
è
rappresentato
dall’export
verso
la
Spagna,
che
rallenta
di
oltre
46000
milioni
di
Euro
nel
2012.
76
La
Cina
rappresenta
il
primo
paese
di
provenienza
per
quanto
riguarda
l’abbigliamento,
seppure
il
dato
2012
sia
in
calo
rispetto
al
2011:
il
valore
dell’import
nel
2012
scende
infatti
a
2158
migliaia
di
Euro,
in
calo
del
27,8%
rispetto
al
2011.
Calano
anche
le
importazioni
da
Romania,
Francia
e
Tunisia.
In
controtendenza
anche
in
questo
caso
l’import
dalla
Spagna,
che
cresce
dell’11,3%,
sfiorando
626
migliaia
di
Euro,
e
il
Bangladesh,
che
tocca
quasi
le
556
migliaia
di
Euro,
in
crescita
del
12,9%
rispetto
al
2011.
77
L’abbigliamento
in
pelliccia,
(Gruppo
ATECO
14256),
segue
un
trend
diverso
da
quello
delle
categorie
del
comparto
fin
qui
esaminate:
le
esportazioni,
infatti,
negli
ultimi
tre
anni
hanno
mostrato
una
crescita
molto
sostenuta
(+38,9%
tra
il
2009
e
il
2010,
+37,2%
tra
il
2010
e
il
2011)
fino
a
sfiorare
il
+20%
tra
il
2011
e
il
2012,
dato
più
che
positivo,
nonostante
si
noti
un
leggero
rallentamento
rispetto
alla
crescita
degli
anni
precedenti.
Il
dato
si
accompagna
a
un
leggero
calo
nelle
importazioni,
che
però
non
sembra
essere
così
rilevante,
considerando
che
l’Italia
non
è
un
paese
che
importa
grandi
volumi
di
questo
genere
di
prodotti.
Tabella
22
-‐
Interscambio
commerciale
dell'Italia
per
prodotto:
Gruppo
Ateco
142
-‐
Articoli
in
abbigliamento
in
pelliccia.
Fonte:
elaborazioni
ICE
su
dati
ISTAT.
56
Il
gruppo
ATECO
“142
–
Articoli
di
abbigliamento
in
pelliccia”
comprende:
78
Tabella
23
–
Interscambio
commerciale
Italia-‐Mondo.
Fonte:
elaborazioni
ICE
su
dati
ISTAT.
Interessanti
sono
i
dati
riguardanti
i
principali
destinatari
di
questa
categoria
merceologica.
La
Russia
è
il
primo
paese
che
importa
gli
articoli
di
pelliccia
provenienti
dall’Italia
e
resta
un
mercato
fondamentale,
poiché
in
costante
crescita
dopo
il
2009.
Crescono
anche
le
esportazioni
verso
la
Francia,
gli
Stati
Uniti,
Hong
Kong,
il
Regno
Unito,
l’Ucraina,
gli
Emirati
Arabi
Uniti
e
il
Giappone,
mentre
si
nota
una
certa
stabilità
per
quanto
riguarda
la
Svizzera
e
la
Germania.
Non
passa
inosservato
il
fatto
che
nella
lista
dei
dieci
paesi
principali
destinatari
di
questa
categoria
di
prodotti
“di
lusso”
compaiano
paesi
come
la
Russia
e
gli
Emirati
Arabi,
i
cosiddetti
paesi
emergenti,
nei
quali
si
sta
formando
una
classe
di
nuovi
ricchi.57
57
NESI
E.,
“Premessa”,
in
CONFINDUSTRIA
CENTRO
STUDI
E
PROMETEIA,
Esportare
la
dolce
vita
2013:
il
Bello
e
Ben
Fatto
italiano
nei
nuovi
mercati;
ostacoli,
punti
di
forza
e
focus
Cina,
Roma,
Sipi,
24
aprile
2013,
pp.
5-‐9,
cit.
p.
5:
“In
tutto
il
Mondo
nel
2018
ci
saranno
194
milioni
di
nuovi
ricchi
in
più
rispetto
al
2012,
cioè
individui
con
un
reddito
annuo
almeno
pari
a
30mila
dollari
(a
prezzi
del
2005
e
a
parità
di
potere
di
acquisto).
La
metà
di
essi
risiederà
nei
principali
centri
urbani
di
Cina,
India
e
Brasile,
ma
la
classe
benestante
si
sta
ampliando
anche
in
paesi
più
vicini
all’Italia,
come
Russia
e
Turchia.
Tutte
economie
in
cui
il
made
in
Italy
già
oggi
afferma
il
proprio
valore
e
rappresenta
per
i
consumatori
uno
status,
grazie
alla
forza
dei
marchi
italiani.”,
disponibile
all’indirizzo:
anci.arpa92.net/anci/main.nsf/alldocs/F364B93C918018D2C1257B64002C2387/$file
/CSC_volume%20Esportare%20la%20dolce%20vita%202013.pdf,
consultato
in
data
19
maggio
2013.
79
Tabella
24
-‐
Italia:
principali
paesi
di
destinazione
e
di
provenienza.
Fonte:
elaborazioni
ICE
su
dati
ISTAT.
Per
quanto
riguarda
i
paesi
dai
quali
l’Italia
importa
articoli
di
pelliccia,
al
primo
posto
si
trova
di
nuovo
la
Cina,
con
un
volume
d’affari
che
pesa
per
quasi
la
totalità
delle
importazioni,
seguita
in
misura
molto
inferiore
dalla
Francia
e
dalla
Turchia.
Gli
unici
paesi
dai
quali
nel
corso
del
2012
sono
aumentate
le
importazioni
sono
la
Turchia
e
il
Regno
Unito,
ma
per
cifre
marginali
rispetto
alla
quota
che
continua
a
detenere
la
Cina,
pur
considerando
il
rallentamento
mostrato
nello
scorso
anno.
58
Il
gruppo
ATECO
“143
–
Articoli
di
maglieria”
comprende:
80
ridotte
leggermente,
anche
se
in
misura
molto
minore
rispetto
a
quelle
di
altre
categorie,
mentre
il
calo
delle
importazioni
è
stato
più
marcato.
Tabella
25
-‐
Interscambio
commerciale
dell'Italia
per
prodotto:
Gruppo
Ateco
143
-‐
Articoli
di
maglieria.
Fonte:
elaborazioni
ICE
su
dati
ISTAT.
Come
si
vede
dai
dati,
il
calo
delle
esportazioni
degli
articoli
di
maglieria
è
di
piccola
entità,
anche
se
si
colloca
in
uno
scenario
non
proprio
brillante:
il
volume
d’affari
è,
infatti,
in
linea
con
la
crescita
degli
ultimi
tre
anni,
ma
si
attesta
su
valori
molto
inferiori
ai
livelli
pre-‐crisi.
Di
contro
l’Italia,
nonostante
il
brusco
rallentamento
registrato
nell’ultimo
anno
(-‐10,5%),
continua
ad
aumentare
le
importazioni
di
articoli
di
maglieria.
81
In
particolare
le
importazioni
provenienti
dalla
Cina,
nonostante
il
freno
importante
del
2012,
restano
una
componente
fondamentale
dell’interscambio
italiano,
che
vale
oltre
524
migliaia
di
Euro.
Seguono
Croazia,
Bangladesh,
Romania
e
Francia:
tra
queste
solo
la
Croazia
nel
2012
ha
mantenuto
il
trend
positivo
degli
ultimi
anni
e
ha
visto
aumentare
gli
ordini
di
articoli
di
maglieria
da
parte
dell’Italia,
mentre
nel
caso
degli
altri
paesi
le
importazioni
si
sono
ridotte
in
modo
più
o
meno
evidente.
Nel
2012
l’Italia
ha
aumentato,
seppure
di
poco,
il
volume
d’affari
derivante
dall’export
di
prodotti
di
maglieria
verso
la
Francia,
il
Regno
Unito,
gli
Stati
Uniti,
la
Svizzera,
la
Russia
e
il
Giappone.
Frenano
le
esportazioni
verso
la
Germania
e
la
Spagna,
in
particolar
modo.
82
2.4.7
Cuoio
conciato
e
lavorato;
articoli
da
viaggio,
borse,
pelletteria
e
selleria;
pellicce
preparate
e
tinte
La
categoria
che
si
prende
ora
in
analisi
è
quella
dei
prodotti
della
concia,
a
base
di
cuoio
e
pelliccia
(Gruppo
ATECO
15159).
Categoria
in
controtendenza
rispetto
alle
altre,
i
prodotti
derivanti
dal
cuoio
e
dalla
lavorazione
delle
pelli
incrementano
notevolmente
il
saldo
commerciale
per
l’Italia.
Le
esportazioni
continuano
a
crescere
in
modo
evidente
e
marcato,
dopo
la
crisi
registrata
nel
2009,
portandosi
su
livelli
molto
superiori
a
quelli
precedenti.
Negli
ultimi
tre
anni,
infatti,
la
crescita
dell’export
di
questi
prodotti
ha
segnato
rispettivamente
+24,3%
nel
2010,
+20,8%
nel
2011
e
+10,0%
nel
2012.
Le
importazioni
hanno
invece
subito
un
leggero
rallentamento
(-‐
2,2%),
pur
non
trattandosi
di
valori
così
importanti
per
quanto
riguarda
l’import
italiano.
59
Il
gruppo
ATECO
“151
–
Cuoio
conciato
e
lavorato;
articoli
da
viaggio,
borse,
83
Tabella
28
-‐
Interscambio
commerciale
dell'Italia
per
prodotto:
Gruppo
Ateco
151
-‐
Cuoio
conciato
e
lavorato;
articoli
da
viaggio,
borse,
pelletteria
e
selleria;
pellicce
preparate
e
tinte.
Fonte:
elaborazioni
ICE
su
dati
ISTAT.
Dai
dati
forniti
dall’ICE,
si
apprende
come
le
esportazioni
di
prodotti
della
concia
e
di
pelletteria
siano
in
crescita
evidente
verso
la
Francia,
gli
Stati
Uniti
e
il
Regno
Unito.
Crescono
anche,
ma
in
misura
più
lenta,
le
esportazioni
verso
la
Svizzera,
Hong
Kong,
la
Germania,
il
Giappone
e
la
Spagna.
Sostanzialmente
resta
stabile
l’export
verso
la
Cina,
mentre
calano
leggermente
le
quote
esportate
in
Romania.
84
Tabella
30
-‐
Italia:
principali
mercati
di
destinazione
e
di
provenienza.
Fonte:
elaborazioni
ICE
su
dati
ISTAT.
L’Italia
nel
2012
ha
principalmente
diminuito
le
importazioni
di
prodotti
provenienti
dalla
Cina,
dal
Brasile,
dall’India,
dagli
Stati
Uniti,
dalla
Nigeria,
dal
Regno
Unito.
È
cresciuto
invece
l’import
dalla
Francia,
dalla
Spagna,
dalla
Svizzera
e
dalla
Germania.
2.4.8
Calzature
L’ultima
categoria
che
si
prende
qui
in
analisi
è
quella
delle
calzature
(Gruppo
Ateco
15260).
I
dati
elaborati
dall’ICE
evidenziano
un
andamento
del
settore
sostanzialmente
in
linea
con
le
altre
categorie
merceologiche
del
comparto.
60
Il
gruppo
ATECO
“152
–
Calzature”
comprende:
• Calzature;
• Parti
in
cuoio
per
calzature.
85
Nel
corso
del
2012,
infatti,
si
assiste
a
un
rallentamento
delle
importazioni
dall’estero
di
questi
prodotti,
mentre
le
esportazioni
migliorano
ulteriormente,
seppure
in
modo
limitato.
Tabella
31
-‐
Interscambio
commerciale
dell'Italia
per
prodotto:
Gruppo
Ateco
152
-‐
Calzature.
Fonte:
elaborazioni
ICE
su
dati
ISTAT.
Tabella
32
-‐
Interscambio
commerciale
Italia
-‐
Mondo.
Fonte:
elaborazioni
ICE
su
dati
ISTAT.
Come
si
vede
dai
dati,
le
esportazioni
di
calzature
italiane
nel
2012
hanno
subito
un
incremento
dell’1,6%.
Il
dato
è
positivo,
ma
arriva
dopo
un
biennio
di
crescita
a
doppia
cifra,
dunque
dimostra
il
rallentamento
subito
in
generale
dall’intera
filiera
tessile-‐moda.
86
Per
quanto
riguarda
le
importazioni,
il
rallentamento
appare
molto
più
marcato
(-‐6,2%),
pur
assestandosi
su
valori
superiori
a
quelli
pre-‐
crisi.
Considerando
i
principali
mercati
di
riferimento
per
le
esportazioni
di
calzature
italiane,
l’Europa
si
conferma
uno
dei
principali
mercati
di
sbocco
di
questi
prodotti,
con
Francia
e
Germania
ai
primi
due
posti.
Anche
in
questo
caso
si
conferma
la
contrazione
delle
esportazioni
in
particolare
verso
il
mercato
tedesco,
ma
anche
verso
Belgio,
Paesi
Bassi
e
Spagna.
Cresce
invece
positivamente
il
valore
dell’export
verso
i
mercati
extra-‐UE,
in
particolare
verso
gli
Stati
Uniti,
la
Russia
e
Hong
Kong.
Crescono
anche
le
esportazioni
verso
la
Svizzera
e
il
Regno
Unito.
Il
volume
d’affari
dell’import
di
calzature,
come
già
detto,
diminuisce
nel
corso
del
2012,
in
particolare
per
il
calo
delle
importazioni
dalla
Cina,
primo
fornitore
italiano,
e
dalla
Romania,
il
secondo
mercato
di
87
approvvigionamento
per
l’Italia.
In
calo,
anche
se
su
altre
cifre,
sono
le
importazioni
dal
Belgio,
dalla
Tunisia,
dal
Vietnam
e
dall’Indonesia.
Crescono
invece
le
importazioni
dai
Paesi
Bassi,
dalla
Francia,
dalla
Spagna
e
dall’Albania.
61
Già
nel
2009
i
sistemi
territoriali
non
erano
più
quelli
di
una
volta,
si
erano
88
una
serie
di
contenuti
immateriali,
come
il
marchio,
il
marketing
e
la
comunicazione,
per
poter
competere
a
livello
globale.
La
presenza
di
grosse
aziende
del
settore
del
lusso
in
prossimità
dei
distretti
della
moda
è
stato
sicuramente
un
vantaggio
per
la
rete
di
micro
e
piccole
imprese,
che
spesso
hanno
abbandonato
la
produzione
in
conto
proprio,
per
dedicarsi
al
contoterzismo
per
i
più
famosi
marchi
del
segmento
del
lusso.
Aziende
come
Prada,
Gucci,
Ferragamo,
hanno
influito
in
modo
molto
positivo
sui
sistemi
locali,
stimolando
la
crescita
di
laboratori
artigiani,
l’evoluzione
tecnologia
e
l’organizzazione
produttiva.
Il
distretto
fiorentino
della
pelletteria
di
lusso
è
proprio
uno
degli
esempi
migliori
di
quanto
detto.62
Nel
giro
degli
ultimi
dieci
anni,
infatti,
il
distretto
ha
triplicato
la
produzione,
diventando
il
primo
distretto
manifatturiero
al
mondo
in
questo
segmento.
La
vicina
presenza
del
distretto
di
S.
Croce
sull’Arno
(che
fornisce
pelli
di
qualità
e
differenziate
per
tipologia
e
lavorazione)
contribuisce
al
pregio
del
prodotto
finale.
La
filiera
si
allarga
poi
anche
alla
gioielleria,
al
packaging
e
alla
meccanica
applicata
(produzione
di
fibbie,
chiusure
e
accessori
metallici).63
Uno
dei
punti
di
forza
dei
distretti
della
moda,
e
di
quello
fiorentino
della
pelletteria
di
lusso
in
particolare,
è
stato
il
mantenimento
della
produzione
in
Italia.
Il
distretto
non
è
replicabile
altrove
e
questo
ha
62
Per
la
scheda
completa
del
distretto
si
veda
il
IV
Rapporto
Osservatorio
Nazionale
Distretti,
pp.
224-‐228.
63
Non
a
caso,
intorno
al
distretto
fiorentino
della
pelletteria
è
nato
un
polo
della
meccanica,
volto
all’industrializzazione
della
produzione,
che
al
momento
è
ancora
per
il
75%
completamente
manuale.
Alcuni
esempi
sono
le
Officine
Maya,
che
hanno
presentato
un
macchinario
per
automatizzare
la
tintura
dei
bordi
della
pelle
o
le
Pelletterie
Happening
di
Scandicci,
che,
insieme
ad
un
costruttore
di
macchinari,
hanno
ideato
un
robot
in
grado
di
incollare
e
rigare
la
pelle
destinata
alla
produzione
di
portafogli,
lavorazione
che
attualmente
richiede
l’opera
di
quattro
persone.
89
chiamato
negli
anni
i
nomi
più
famosi
della
moda
internazionale
a
Firenze.64
Fondamentale
è
quindi
diventata
anche
l’attività
di
formazione,
che
possa
garantire
non
solo
lo
smaltimento
degli
ordini
provenienti
da
tutto
il
mondo,
ma
anche
e
soprattutto
il
ricambio
generazionale
e
il
passaggio
del
patrimonio
di
conoscenze
e
competenze
ai
giovani
che
vogliono
intraprendere
il
mestiere
di
artigiano.65
Un
altro
elemento
fondamentale
per
lo
sviluppo
dei
distretti
e
del
settore
della
moda
in
generale
è
anche
la
tracciabilità
del
prodotto,
che
garantisca
la
trasparenza
della
filiera,
dalla
fornitura
delle
materie
prime
alla
distribuzione
del
prodotto
finito.66
Purtroppo
attualmente
in
Italia
la
normativa
sul
Made
in
Italy
è
ancora
lacunosa
e
a
livello
europeo
non
sembra
si
stia
facendo
molto
per
tutelare
i
prodotti
italiani.67
anche
www.tfashion.camcom.it
e
SARTOR
G.,
“La
filiera
Moda
italiana:
tracciabilità
TF
e
dati
del
settore”
in
IV
Rapporto
Osservatorio
Nazionale
Distretti,
pp.
335-‐345,
che
analizza
il
progetto
promosso
da
Unioncamere
e
gestito
da
Unionfiliere,
denominato
“TF
–
Traceability
&
Fashion
–
il
Sistema
di
tracciabilità
volontario
delle
Camere
di
Commercio
italiane”.
Il
sistema
di
tracciabilità
TF
nasce
per
riqualificare
e
valorizzare
i
prodotti
delle
filiere
Oro
e
Moda,
fornendo
al
consumatore
l’indicazione
del
luogo
dove
sono
avvenute
le
principali
fasi
di
lavorazione
del
prodotto.
Il
sistema
TF
permette
che
le
informazioni
relative
all’origine
delle
lavorazioni
siano
riportate
in
un’etichetta
contenente
un
codice
alfanumerico
che
riporta
la
storia
del
prodotto
acquistato.
67
A
proposito
della
normativa
sul
Made
in
Italy,
non
approfondibile
in
questa
90
Il
sito
dell’Osservatorio
Nazionale
Distretti
Italiani
–
la
banca
dati
dei
distretti
presenti
sul
territorio
italiano
–
riporta
l’elenco
dei
distretti
classificati
per
regione
o
per
settore.
Si
è
qui
rielaborato
un
elenco
dei
distretti
dell’abbigliamento-‐accessori
moda
suddivisi
per
regione.
1. ABRUZZO
• Distretto
Industriale
del
Tessile
e
Abbigliamento
Vibrata
-‐
Tordino
–
Vomano
(provincia
di
Teramo)
• Distretto
Industriale
Tessile-‐Abbigliamento
della
Maiella
(provincia
di
Chieti)
2. CAMPANIA
• Distretto
Tessile
di
S.Agata
dei
Goti
-‐
Casapulla
-‐
S.Marco
Dei
Cavoti
-‐
Aversa
-‐
Trentola
Ducenta
(province
di
Benevento
e
Caserta)
• Distretto
delle
Calzature
Napoletane
o
di
Grumo
Nevano
–
Aversa
(province
di
Caserta
e
Napoli)
• Distretto
Conciario
di
Solofra
(tra
le
città
di
Salerno
e
Avellino)
• Distretto
Tessile
di
San
Giuseppe
Vesuviano
(provincia
di
Napoli)
3. EMILIA
ROMAGNA
• Distretto
Calzaturiero
di
San
Mauro
Pascoli
(provincia
di
Forlì
–
Cesena)
• Distretto
del
Mobile
Imbottito
di
Forlì
(Città
di
Forlì
e
comuni
adiacenti)
• Distretto
Tessile
di
Carpi
(provincia
di
Modena)
4. LAZIO
• Distretto
Industriale
dell’Abbigliamento
della
Valle
del
Liri
(provincia
di
Frosinone)
5. LOMBARDIA
91
• Distretto
Industriale
di
Vigevano
(provincia
di
Pavia)
• Distretto
dell'Abbigliamento
Gallaratese
(provincia
di
Milano)
• Distretto
Bergamasca
Valcavallina
Oglio
(province
di
Bergamo
e
Brescia)
• Distretto
Tessile
della
Valseriana
(provincia
di
Bergamo)
• Distretto
Serico
Comasco
(provincia
di
Como)
• Distretto
N°
6
Castel
Goffredo
-‐
Tessile-‐Calzetteria
(province
di
Brescia
e
Mantova)
• Distretto
Tessile
Lecchese
(province
di
Lecco
e
Como)
• Distretto
della
Bassa
Bresciana
-‐
Confezioni
e
Abbigliamento
(province
di
Brescia
e
Cremona)
6. MARCHE
• Distretto
Tessile-‐Abbigliamento
di
Urbania
-‐
Sant'Angelo
In
Vado
-‐
Pergola
-‐
Sassocorvaro
–
Mondolfo
(provincia
di
Ancona)
• Distretto
Pelli,
Cuoio
e
Calzature
di
Civitanova
Marche
(provincia
di
Macerata)
• Distretto
delle
Calzature
di
Fermo
(province
di
Fermo
e
Macerata)
• Distretto
del
Cappello
di
Montappone
e
Massa
Fermana
(provincia
di
Fermo)
7. PIEMONTE
• Distretto
orafo
di
Valenza
(provincia
di
Alessandria
e
alcuni
comuni
lombardi)
• Distretto
Industriale
Tessile
–
Abbigliamento
Biella
(intera
area
di
Biella)
8. PUGLIA
• Distretto
Calzaturiero
di
Casarano
(Salento,
provincia
di
Lecce)
• Distretto
Industriale
delle
Calzature
di
Barletta
(Distretto
Nord
Barese
Olfantino,
provincia
di
Barletta
–
Andria
–
Trani)
92
• Distretto
Filiera
Moda
Puglia
9. SICILIA
• Distretto
Produttivo
Sicilia
Orientale
Filiera
del
Tessile
(province
di
Catania,
Messina
ed
Enna)
10. TOSCANA
• Distretto
Orafo
di
Arezzo
(provincia
di
Arezzo
e
SEL
dell’Area
aretina,
della
Val
di
Chiana
aretina
e
comuni
del
SEL
del
Valdarno
aretino)
• Distretto
Industriale
Tessile-‐Abbigliamento
di
Empoli
(Toscana
orientale
e
città
di
Empoli)
• Distretto
del
Tessile-‐Abbigliamento
di
Prato
(province
di
Prato
e
Pistoia)
• Distretto
Calzaturiero
della
Valdinievole
(provincia
di
Pistoia)
• Distretto
Industriale
Pelli
Cuoio
e
Calzature
del
Valdarno
Superiore
(province
di
Arezzo
e
Firenze)
• Distretto
Industriale
Tessile-‐Abbigliamento
Casentino
-‐
Val
Tiberina
(provincia
di
Arezzo)
• Distretto
Industriale
di
S.
Croce
sull’Arno
(province
di
Pisa
e
Firenze)
11. VENETO
• Distretto
dello
Sportsystem
di
Montebelluna
(provincia
di
Treviso)
• Distretto
dell’Occhiale
di
Belluno
(provincia
di
Belluno
con
estensione
alle
province
di
Treviso,
Padova
e
Venezia
,
nonché
ad
alcuni
territori
adiacenti
in
Friuli
Venezia
Giulia)
• Distretto
Vicentino
della
Concia
(provincia
di
Vicenza)
• Distretto
Calzaturiero
Veronese
(provincia
di
Verona)
93
• Distretto
VeronaModa
(province
di
Verona,
Vicenza,
Padova,
Belluno
e
Rovigo)
• Distretto
Orafo
Argentiero
di
Vicenza
(provincia
di
Vicenza)
Tabella
34
-‐
Elenco
dei
distretti
italiani
dell'Abbigliamento-‐Accessori
Moda,
classificati
per
regione.
Fonte:
nostra
elaborazione
su
dati
Osservatorio
Nazionale
Distretti.
68
Tutti
i
dati
riportati
in
questo
paragrafo
sono
estratti
dal
IV
Rapporto
Osservatorio
Nazionale
Distretti
Italiani.
69
Per
cambiamenti
di
tendenza
a
livello
congiunturale
si
intendono
cambiamenti
trimestre
su
trimestre,
per
cambiamenti
a
livello
tendenziale
si
intendono
cambiamenti
trimestre
su
trimestre
dell’anno
precedente.
94
Tabella
35
-‐
Unità
locali
d’impresa
attive
nel
Sistema
Moda
italiano.
I
trimestre
2009
–
III
trimestre
2012.
Fonte:
elaborazioni
Grazia
Sartor
(Unionfiliere)
su
dati
Infocamere,
per
Federazione
Distretti
Italiani.
Per
quanto
riguarda
la
distribuzione
territoriale
delle
unità
locali
attive
nel
Sistema
Moda
nel
corso
degli
ultimi
quattro
anni
le
prime
quattro
province
della
classifica,
Firenze,
Prato,
Milano
e
Napoli,
si
sono
mantenute
al
vertice,
pur
mostrando
un
calo
in
numero
di
unità
(-‐113
per
Firenze,
-‐128
per
Prato,
-‐568
per
Milano),
compensato
in
minima
parte
dall’incremento
avvenuto
in
provincia
di
Napoli
(+37).
La
classifica
resta
sostanzialmente
invariata,
considerando
che
i
primi
quindici
posti
restano
occupati
dalle
stesse
provincie:
si
può
evidenziare
solo
qualche
scambio
di
posizione
tra
di
esse.
95
Tabella
36
–
Distribuzione
delle
unità
locali
attive
del
Sistema
Moda
italiano
per
provincia.
I
trimestre
2009
–
III
trimestre
2012.
Fonte:
elaborazioni
Grazia
Sartor
(Unionfiliere)
su
dati
Infocamere,
per
Federazione
Distretti
Italiani.
Il
IV
Rapporto
dell’Osservatorio,
presentato
il
21
marzo
2013
a
Roma,
fornisce
un
quadro
esaustivo
della
realtà
distrettuale
italiana
attuale
e
si
rimanda
ad
esso
per
ulteriori
approfondimenti.70
In
questa
sede
ci
si
limita
a
riportare
i
dati
a
nostro
parere
più
interessanti,
relativi
ai
distretti
della
moda.
Le
imprese
dei
distretti
della
moda,
in
base
ai
bilanci
2011,
hanno
recuperato
quanto
perso
nel
2009.
In
particolar
modo
hanno
registrato
tassi
di
crescita
del
fatturato
più
marcati
i
produttori
di
articoli
in
pelle,
di
calzature
e
di
filati
e
tessuti.
L’andamento
economico-‐reddituale
generale
nel
triennio
2008-‐
2011
per
area
geografica
vede
un
peggioramento
nei
fatturati
70
Il
IV
Rapporto
dell’Osservatorio
Nazionale
Distretti
è
disponibile
all’indirizzo
www.osservatoriodistretti.org/osservatorio-‐nazionale-‐distretti-‐italiani.
96
specialmente
del
Nord
ovest
e
del
Sud.
Il
Mezzogiorno
ha
però
ottenuto
un
ottimo
risultato
in
termini
di
redditività
e
crescita
del
fatturato
nel
distretto
dell’abbigliamento
e
del
calzaturiero
del
Napoletano,
che
nel
peggior
anno
della
crisi,
il
2009,
ha
ottenuto
indici
di
redditività
e
acquisito
nuove
quote
di
mercato.71
Proprio
grazie
all’evoluzione
del
fatturato,
l’abbigliamento
e
il
calzaturiero
del
Napoletano
si
trovano
al
vertice
della
classifica
dei
distretti
italiani
del
sistema
moda,
addirittura
più
in
alto
di
importanti
distretti
come
il
calzaturiero
di
Fermo
o
il
serico
di
Como.
71
I
dati
dei
bilanci
hanno
permesso
di
osservare
che
anche
nella
crisi
2008-‐
2009
e
nel
biennio
2010-‐2011
il
posizionamento
competitivo
delle
imprese
ha
avuto
un
ruolo
fondamentale,
in
quanto
risultato
di
scelte
fatte
in
termini
di
qualità,
innovazione
e
politiche
commerciali
e
distributive.
Le
imprese
più
attive
in
questo
senso,
infatti,
hanno
mostrato
una
migliore
tenuta
sia
dal
punto
di
vista
del
fatturato
sia
della
redditività.
Per
quanto
riguarda
l’abbigliamento
del
Napoletano
spiccano
la
Ciro
Paone
Spa,
la
Harmont&Blaine,
la
Imap
Export
Spa
(Original
Marines).
Con
riferimento
al
calzaturiero
del
Napoletano,
si
sottolineano
i
punti
di
forza
del
distretto:
l’alta
concentrazione
geografica
di
imprese
appartenenti
alla
stessa
filiera,
la
presenza
di
un
savoir
faire
tradizionale
di
settore,
la
rete
di
subfornitura
e
la
condivisione
di
know-‐how,
conoscenze
e
competenze
da
cui
trae
vantaggio
il
sistema
intero.
Il
sistema
beneficia
della
presenza
di
diverse
organizzazioni
micro-‐reticolari,
indipendenti
tra
loro,
che
hanno
trovato
una
propria
nicchia
di
mercato.
Per
un
approfondimento
sull’abbigliamento
si
veda
anche
INTESA
SANPAOLO,
I
distretti
dell’abbigliamento
del
Mezzogiorno:
il
Nord
e
il
Sud
abruzzese
e
il
Napoletano,
2012.
Per
un
approfondimento
sul
calzaturiero
si
veda
anche
INTESA
SANPAOLO,
I
distretti
calzaturieri
del
sud:
Casarano,
il
Nord
Barese
e
il
Napoletano,
2009.
97
Tabella
37
-‐
Principali
distretti
italiani
specializzati
nella
produzione
di
calzature
e
di
tessile-‐abbigliamento:
variazione
%
del
fatturato
tra
il
2008
e
il
2011
(valori
mediani).
Fonte:
elaborazioni
Intesa
Sanpaolo
su
bilanci
aziendali
per
il
IV
Rapporto
Osservatorio
Nazionale
Distretti.
È
stato
rilevato
anche
come
fenomeno
costante,
la
dispersione
delle
performance
tra
distretti
dello
stesso
settore
di
specializzazione
e
tra
imprese
localizzate
negli
stessi
distretti:
hanno
registrato
incrementi
pari
o
superiori
al
10%
l’abbigliamento
e
il
calzaturiero
del
napoletano
insieme
ai
prodotti
in
pelle
e
cuoio
di
Santa
Croce
sull’Arno/Castelfiorentino
(+9,8%),
le
calzature
di
Fermo,
la
calzatura
di
Barletta,
pelli,
cuoio
e
calzature
di
Civitanova
Marche/Tolentino/Monte
San
Giusto/Porto
S.
Elpidio/Monte
San
Pietrangeli,
il
Tessile,
Abbigliamento
e
Concia
(Calzature
napoletane)
di
San
Giuseppe
Vesuviano
(+17,5%),
il
calzaturiero
della
Valdinievole
(+16,5%),
il
distretto
vicentino
della
concia
(+15,1%),
il
tessile-‐abbigliamento
Biella
e
Vercelli
(+9,4%)
e
lo
Sportsystem
di
Montebelluna,
mentre,
come
già
detto,
il
tessile-‐abbigliamento
di
Corato,
Bassa
Bresciana
e
Como
hanno
98
evidenziato
diminuzioni
superiori
al
10%. 72
In
particolare
il
tessile-‐
abbigliamento
di
Corato
e
il
Tessile-‐Abbigliamento
di
Vibrata-‐Tordino
Vomano
non
sono
riusciti
a
recuperare
quanto
perso
nel
2009,
registrando
redditività
contenuta
e
inferiore
alla
media
del
settore.
Tra
le
cause
della
cattiva
performance
sono
stati
indicati
soprattutto
i
problemi
di
competitività
dell’area,
legati
allo
scarso
sviluppo
qualitativo
dei
prodotti
e
al
forte
processo
d’internazionalizzazione
produttiva
seguito
da
alcune
imprese
committenti
dell’area,
che
si
è
ripercosso
sui
subfornitori
distrettuali
legati
da
rapporti
di
forte
dipendenza.
72
I
dati
qui
riportati
sono
presentati
nel
IV
Rapporto
Osservatorio
Nazionale
Distretti
(capitolo
3,
pp.
85-‐162),
estratti
dal
database
del
Servizio
Studi
e
Ricerche
di
Intesa
Sanpaolo
(ISID:
Intesa
Sanpaolo
Integrated
Database)
ed
elaborati
da
Giovanni
Foresti,
Fabrizio
Guelpa
e
Angelo
Palumbo
del
Servizio
Studi
e
Ricerche
di
Intesa
Sanpaolo.
99
A
livello
di
export,
l’Indice
della
Fondazione
Edison73
che
analizza
l’export
di
101
principali
distretti
manifatturieri
italiani,
evidenzia
che
nel
73
Si
veda
l’indirizzo
www.fondazioneedison.it.
100
2012
il
settore
dell’abbigliamento
ha
tenuto,
segnando
un
lieve
incremento
pari
a
+1,7%.
In
particolare,
ben
17
distretti
dei
47
che
nei
primi
nove
mesi
del
2012
hanno
superato
i
livelli
di
export
pre-‐crisi,
appartengono
al
comparto
abbigliamento-‐moda.
La
pelletteria
fiorentina
è
tra
i
20
distretti
che
hanno
aumentato
l’export
del
2008
di
più
del
20%,
con
un
incremento
del
35,9%.
Anche
i
dati
di
distretto
confermano
il
trend
generale,
fin
qui
riscontrato,
che
vede
una
decelerazione
del
commercio
internazionale
e
il
rallentamento
delle
esportazioni
verso
i
paesi
UE;
si
conferma
invece
la
vitalità
dei
mercati
esteri,
poiché
gran
parte
delle
imprese
distrettuali
mantiene
esportazioni
stabili
o
in
crescita.
Anche
i
dati
della
Fondazione
Edison
confermano
dunque
le
due
facce
dell’export
italiano:
nei
primi
nove
mesi
del
2012
le
esportazioni
manifatturiere
italiane
verso
i
mercati
UE,
pari
a
150
miliardi
di
Euro,
sono
risultate
in
flessione
dello
0,7%,
mentre
le
esportazioni
verso
i
mercati
extra-‐UE,
pari
a
127,8
miliardi
di
Euro,
sono
cresciute
del
9%.
A
livello
distrettuale
l’export
verso
i
paesi
UE,
pari
a
27,5
miliardi
di
Euro,
è
calato
dell’1%,
mentre
le
esportazioni
verso
i
paesi
extra-‐UE,
pari
a
25,1
miliardi
di
Euro,
sono
cresciute
del
5,3%.
Gli
ultimi
dati
sul
TPI
della
Trade
Competitiveness
Map
disponibili
sull’Italia
sono
relativi
all’anno
2011
e
sono
reperibili
agli
indirizzi:
-‐ legacy.intracen.org/appli1/TradeCom/TPIC.aspx?RP=381&YR=2011
(textiles
–
posizione
Italia
n°
1);
-‐ legacy.intracen.org/appli1/TradeCom/TPIC.aspx?RP=381&YR=2011
(leather
products
–
posizione
Italia
n°1);
-‐ legacy.intracen.org/appli1/TradeCom/TPIC.aspx?RP=381&YR=2011
(clothing
–
posizione
Italia
n°1).
101
Tabella
38
-‐
Export
per
settore
dei
101
principali
distretti
manifatturieri
italiani
verso
i
Paesi
UE:
gennaio-‐settembre
2012.
Fonte:
elaborazione
Fondazione
Edison
su
dati
Istat.
Per
quanto
riguarda
l’export
distrettuale
verso
i
mercati
UE,
dalla
tabella
precedente
si
vede
che
l’Abbigliamento-‐moda,
insieme
all’Automazione-‐meccanica-‐gomma-‐plastica,
sono
i
settori
che
più
pesano
sull’export
totale
del
campione
dei
101
distretti
scelti
dalla
Fondazione.
Abbigliamento
e
Automazione
sono
anche
i
settori
che
subiscono
la
contrazione
maggiore:
l’Abbigliamento
prosegue
in
un
trend
negativo,
iniziato
già
nel
primo
trimestre
2012,
accelerando
la
decrescita
nel
secondo
trimestre,
mentre
la
Meccanica
inizia
a
decelerare
nel
secondo
trimestre
2012.
Per
quanto
riguarda
invece
l’export
distrettuale
diretto
ai
mercati
extra-‐UE,
Abbigliamento-‐moda
e
Automazione-‐meccanica-‐gomma-‐
plastica
si
confermano
essere
i
comparti
che
pesano
di
più
sul
totale
dell’export.
Particolarmente
forte
è
proprio
il
settore
dell’Abbigliamento,
che
cresce
del
9,4%
nei
primi
nove
mesi
del
2012:
nel
primo
trimestre
cresce
del
7,1%,
raddoppiando
la
crescita
nel
secondo
trimestre
(+14,2%),
per
poi
frenare
nel
terzo
trimestre
(+6,8%).
L’unico
settore
che
102
presenta
un
calo
è
invece
l’Automazione-‐meccanica-‐gomma-‐plastica,
con
un
decremento
del
5,8%.
Tabella
39
-‐
Export
per
settore
dei
101
principali
distretti
manifatturieri
italiani
verso
i
Paesi
extra-‐UE:
gennaio-‐settembre
2012.
Fonte:
elaborazioni
Fondazione
Edison
su
dati
Istat.
Si
conferma
anche
a
livello
distrettuale
il
cambiamento
della
geografia
dei
mercati
generalmente
presidiati
dalle
produzioni
italiane:
Cina,
Russia
e
India
domandano
sempre
più
prodotti
Made
in
Italy
di
fascia
medio-‐alta,
in
particolare
del
settore
moda,
oltre
che
dell’agroalimentare,
in
sostituzione
dei
prodotti
di
fascia
intermedia.74
74
Il
Made
in
Italy
e
le
produzioni
distrettuali
hanno
sicuramente
una
forte
base
competitiva
(alimentata
da
due
fattori
in
particolare,
la
forza
intrinseca
del
concetto
di
Made
in
Italy
e
la
superiore
qualità
dei
prodotti
italiani),
ma
non
si
può
trascurare
il
fatto
che
molti
paesi,
soprattutto
appartenenti
alla
categoria
dei
paesi
Emergenti,
stanno
iniziando
a
sostituire
prodotti
intermedi
del
Made
in
Italy
con
produzioni
locali
o
con
prodotti
completamente
diversi
(si
parla
di
crowding
out,
almeno
parziale,
di
alcuni
prodotti
del
Made
in
Italy
posizionati
su
nicchie
intermedie).
Nel
caso
della
moda
e
dell’alimentare,
aumenta
la
domanda
di
prodotti
di
gamma
superiore,
a
scapito
di
quelli
di
fascia
intermedia.
103
Le
imprese
distrettuali
intervistate
da
Unioncamere
per
il
Rapporto
forniscono
le
seguenti
motivazioni
alla
base
dell’incremento
delle
esportazioni
nel
2012.
Tabella
40
-‐
Motivazioni
alla
base
dell'incremento
delle
esportazioni
nel
2012
(in
%
sul
totale
delle
imprese).
Fonte:
Indagine
Centro
Studi
Unioncamere
sulle
PMI
manifatturiere
per
il
IV
Rapporto
Osservatorio
Nazionale
Distretti.
È
evidente
la
connessione
esistente
tra
le
prime
due
motivazioni:
i
clienti
stranieri
continuano
ad
associare
al
Made
in
Italy
caratteristiche
come
per
esempio
l’elevata
qualità
del
prodotto,
il
design
accattivante,
tecnica
e
precisione.
Il
Rapporto
evidenzia
quindi
il
contesto
complessivo
in
cui
si
colloca
l’export
orientation
espressa
dai
distretti
italiani.
I
dati
raccolti
dalle
interviste
alle
aziende
evidenziano
un
diffuso
malcontento
legato
ai
fattori
che
ostacolano
l’export,
mentre
solo
il
22,5%
delle
aziende
distrettuali
intervistate
non
ritiene
vi
siano
difficoltà
oggettive
ad
esportare.
104
Tabella
41
-‐
Difficoltà
ad
operare
all'estero
(in
%
sul
totale
imprese).
Fonte:
Indagine
Centro
Studi
Unioncamere
sulle
PMI
manifatturiere
per
il
IV
Rapporto
Osservatorio
Nazionale
Distretti.
Spiccano
la
complessità
delle
procedure
burocratiche
legate
all’attività
di
esportazione
e
il
deterioramento
della
domanda
estera.
Seguono
il
peggioramento
della
competitività
aziendale,
la
limitata
capacità
finanziaria
delle
imprese,
i
dazi
imposti
dai
paesi
destinatari,
le
politiche
distributive
non
adeguate,
la
difficoltà
di
accesso
al
credito
e
l’inadeguatezza
della
dimensione
delle
imprese.
Nei
sottoparagrafi
seguenti
si
presentano
alcuni
dati
economico-‐
finanziari
di
sintesi
riguardanti
alcuni
dei
principali
distretti
del
tessile-‐
moda
italiano.
L’analisi
è
stata
realizzata
dal
Servizio
Studi
e
Ricerche
di
Intesa
Sanpaolo
sui
bilanci
di
esercizio
estratti
dal
database
del
Servizio
Studi
e
Ricerche
di
Intesa
Sanpaolo.
Sono
stati
scelti
i
distretti
di
cui
si
disponesse
di
almeno
49
bilanci
di
esercizio
nel
periodo
2008-‐2011.75
75
Per
le
schede
complete
si
veda
il
IV
Rapporto
Osservatorio
Nazionale
Distretti,
pp.
104-‐162.
105
2.5.2.1
Il
Distretto
Calzaturiero
di
Fermo
(Fermo
/
Montegranaro
/
Montegiorgio
/
Montefiore
dell’Aso
/
Offida)
Si
riportano
i
dati
relativi
al
distretto
calzaturiero
di
Fermo
(numero
di
imprese
del
campione:
265),
come
riportati
nel
IV
Rapporto
Osservatorio
Nazionale
Distretti
(p.
106).
Tabella
42
-‐
Distretto
Calzaturiero
di
Fermo.
Crescita
redditività
e
struttura
patrimoniale
in
sintesi.
Fonte:
elaborazioni
Intesa
Sanpaolo
per
IV
Rapporto
Osservatorio
Nazionale
Distretti
su
bilanci
aziendali.
106
Tabella
43
-‐
Distretto
conciario
di
Solofra:
crescita,
redditività
e
struttura
patrimoniale
in
sintesi.
Fonte:
elaborazioni
Intesa
Sanpaolo
per
IV
Rapporto
Osservatorio
Nazionale
Distretti
su
bilanci
aziendali.
107
2.5.2.4
Distretto
Tessile
e
Abbigliamento
di
Como
Si
riportano
i
dati
relativi
al
distretto
tessile-‐abbigliamento
di
Como
(numero
di
imprese
del
campione:
324),
come
riportati
nel
IV
Rapporto
Osservatorio
Nazionale
Distretti
(p.
120).
108
Tabella
46
-‐
Distretto
Tessile,
Abbigliamento
e
Concia
di
San
Giuseppe
Vesuviano:
crescita,
redditività
e
struttura
patrimoniale
in
sintesi.
Fonte:
elaborazioni
Intesa
Sanpaolo
per
IV
Rapporto
Osservatorio
Nazionale
Distretti
su
bilanci
aziendali.
109
Tabella
47
-‐
Distretto
Tessile,
Abbigliamento
e
Concia
di
Grumo
Nervano/San
Giuseppe
Vesuviano:
crescita,
redditività
e
struttura
patrimoniale
in
sintesi.
Fonte:
elaborazione
Intesa
Sanpaolo
per
IV
Osservatorio
Nazionale
Distretti
su
bilanci
aziendali.
110
Tabella
48
-‐
Distretto
Tessile,
Confezioni
e
Accessori
per
l'Abbigliamento
della
Valseriana/Bergamasca/Valcavallina/Oglio:
crescita,
redditività
e
struttura
patrimoniale.
Fonte:
elaborazioni
Intesa
Sanpaolo
per
IV
Rapporto
OND
su
bilanci
aziendali.
Tabella
49
-‐
Distretto
Tessile-‐Abbigliamento
di
Empoli:
crescita,
redditività
e
struttura
patrimoniale
in
sintesi.
Fonte:
elaborazione
Intesa
Sanpaolo
per
IV
Osservatorio
Nazionale
Distretti
su
bilanci
aziendali.
111
2.5.2.8
Distretto
dei
prodotti
in
pelle
e
cuoio
di
Santa
Croce
sull’Arno/Castelfiorentino
Si
riportano
i
dati
riguardanti
il
distretto
dei
prodotti
in
pelle
e
cuoio
di
Santa
Croce
sull’Arno/Castelfiorentino
(numero
di
imprese
del
campione:
446),
come
riportati
nel
IV
Rapporto
Osservatorio
Nazionale
Distretti
(p.
128).
112
Tabella
51
-‐
Distretto
del
Tessile-‐Abbigliamento
di
Vibrata-‐Tordino
Vomano:
crescita,
redditività
e
struttura
patrimoniale
in
sintesi.
Fonte:
elaborazione
Intesa
Sanpaolo
per
IV
Rapporto
Osservatorio
Nazionale
Distretti
su
bilanci
aziendali.
113
2.5.2.11
Distretto
del
Tessile-‐Abbigliamento
di
Corato
Si
riportano
i
dati
riguardanti
il
distretto
del
tessile-‐abbigliamento
di
Corato
(numero
di
imprese
del
campione:
127),
come
riportati
nel
IV
Rapporto
Osservatorio
Nazionale
Distretti
(p.
138).
Tabella
53
-‐
Distretto
del
Tessile-‐Abbigliamento
di
Corato:
crescita,
redditività
e
struttura
patrimoniale
in
sintesi.
Fonte:
elaborazione
Intesa
Sanpaolo
per
IV
Rapporto
Osservatorio
Nazionale
Distretti
su
bilanci
aziendali.
114
Tabella
54
-‐
Distretto
del
Tessile-‐Abbigliamento
di
Prato:
crescita,
redditività
e
struttura
patrimoniale
in
sintesi.
Fonte:
elaborazione
Intesa
Sanpaolo
per
IV
Rapporto
Osservatorio
Nazionale
Distretti
su
bilanci
aziendali.
115
2.5.2.14
Distretto
delle
Pelli,
Cuoio
e
Calzature
di
Civitanova
Marche/Tolentino/Monte
San
Giusto/Porto
S.
Elpidio/Monte
San
Pietrangeli
Si
riportano
i
dati
riguardanti
il
distretto
tessile-‐abbigliamento
di
Empoli
(numero
di
imprese
del
campione:
131),
come
riportati
nel
IV
Rapporto
Osservatorio
Nazionale
Distretti
(p.
152).
116
Tabella
57
-‐
Distretto
delle
confezioni
e
dell'abbigliamento
della
Bassa
Bresciana:
crescita,
redditività
e
struttura
patrimoniale
in
sintesi.
Fonte:
elaborazioni
Intesa
Sanpaolo
per
IV
Rapporto
Osservatorio
Nazionale
Distretti
su
bilanci
aziendali.
Tabella
58
-‐
Distretto
dello
Sportsystem
di
Montebelluna:
crescita,
redditività
e
struttura
patrimoniale
in
sintesi.
Fonte:
elaborazione
Intesa
Sanpaolo
per
IV
Osservatorio
Nazionale
Distretti
su
bilanci
aziendali.
117
2.5.2.17
Distretto
veneto
dell’abbigliamento
Verona-‐ProntoModa
Si
riportano
i
dati
relativi
al
distretto
dell’abbigliamento
veneto
Verona-‐ProntoModa
(numero
di
imprese
del
campione:
62),
come
riportati
nel
IV
Rapporto
Osservatorio
Nazionale
Distretti
(p.
158).
118
Tabella
60
-‐
Distretto
vicentino
della
Concia:
crescita,
redditività
e
struttura
patrimoniale
in
sintesi.
Fonte:
elaborazione
Intesa
Sanpaolo
per
IV
Rapporto
Osservatorio
Nazionale
Distretti
su
bilanci
aziendali.
119
Chiaramente
bisogna
considerare
che
i
mercati
emergenti
contribuiranno
in
modo
diverso
a
questa
crescita.
Fondamentali
saranno
alcune
variabili,
come
la
crescita
della
classe
medio-‐alta,
i
fenomeni
di
urbanizzazione
e
di
apertura
commerciale
verso
l’estero.
Le
importazioni
cresceranno
più
dinamicamente
nei
paesi
che
si
sono
aperti
all’offerta
internazionale
solo
in
tempi
più
recenti
(India,
Vietnam,
Malesia
ed
Indonesia).
La
Russia
continuerà
ad
essere
il
primo
tra
i
mercati
emergenti,
con
9,7
miliardi
di
Euro
di
importazioni
di
abbigliamento
BBF
nel
2018,
seguito
dagli
Emirati
Arabi
Uniti,
con
5,7
miliardi.
Gli
EAU
stanno
vivendo
un
periodo
di
crescita
sostenuta
grazie
alle
rendite
del
commercio
del
petrolio,
che,
insieme
ai
sempre
più
crescenti
flussi
turistici
internazionali,
alimentano
l’acquisto
di
prodotti
BBF.
Tra
i
primi
paesi
nuovi
destinatari
dell’abbigliamento
BBF
nel
2018
si
prevede
ci
saranno
anche
Cile
e
Kazakistan,
favoriti
dagli
alti
introiti
derivanti
dalla
vendita
delle
commodity
(rispettivamente
rame
e
gas
naturale).
120
Secondo
le
stime
del
Rapporto,
l’Italia
sembra
avere
delle
buone
prospettive
di
crescita
nei
prossimi
cinque
anni
(oltre
i
4
miliardi
di
Euro
di
esportazioni
verso
i
nuovi
mercati),
con
un
incremento
del
39%
rispetto
ai
dati
2012.
Tabella
62
-‐
Importazioni
di
abbigliamento
BBF
dall'Italia
(primi
10
nuovi
mercati;
milioni
di
Euro
a
prezzi
2011).
Fonte:
elaborazioni
e
stime
del
Centro
Studi
Confindustria
e
Prometeia
su
dati
Eurostat,
Global
Insight
e
Istituti
nazionali
di
statistica.
I
mercati
emergenti
già
oggi
rappresentano
oltre
un
quarto
delle
esportazioni
italiane
di
prodotti
di
abbigliamento
BBF,
inoltre
fanno
ben
sperare
i
trend
di
crescita
evidenziati
finora
da
Russia
e
Cina:
se
la
quota
italiana
rimanesse
costante
fino
al
2018,
ci
sarebbero
ampi
margini
di
crescita,
rispettivamente
di
460
e
129
milioni
di
Euro.
Il
Rapporto
evidenzia
come
importante
elemento
strategico
a
favore
del
Made
in
Italy
anche
il
miglioramento
della
condizione
della
donna.
Specialmente
nei
paesi
di
tradizione
islamica
e
in
India,
lo
sviluppo
economico
recente
ha
permesso
un
aumento
del
tasso
di
partecipazione
al
lavoro,
dell’emancipazione
sociale
e
della
centralità
delle
donne
nell’economia
familiare.
Come
visto
nel
paragrafo
2.2,
una
parte
consistente
della
moda
femminile
italiana
è
esportata
nei
mercati
emergenti,
dunque
un
aumento
di
domanda
di
moda
BBF
da
parte
delle
121
consumatrici
di
questi
nuovi
mercati,
potrà
fornire
un
ulteriore
sostegno
alle
imprese
italiane.
Non
bisogna
comunque
dimenticare
anche
gli
eventuali
ostacoli
all’espansione
del
Made
in
Italy.
In
primo
luogo
in
molti
paesi
emergenti
dell’Asia
orientale,
il
sistema
di
distribuzione
è
ancora
molto
frammentato,
specialmente
nelle
vaste
aree
rurali,
fuori
dai
centri
urbani.
Nel
caso
della
Russia
e
della
Cina,
vanno
considerati
i
problemi
derivanti
anche
dalla
forte
concorrenza
per
la
conquista
degli
spazi,
dalla
poca
trasparenza
degli
intermediari
e
dall’evoluzione
continua
della
geografia
urbana.
Una
seconda
minaccia
all’espansione
del
Made
in
Italy
proviene
dalle
politiche
commerciali
protezionistiche
adottate
da
alcuni
paesi
come
il
Brasile 76
o
l’Argentina.
Rispettivamente
nel
settembre
2012
e
nel
gennaio
2013,
infatti,
questi
paesi
hanno
introdotto
un
incremento
dei
dazi
su
cento
prodotti.
Tra
i
paesi
più
protezionistici
ci
sono
Argentina,
India,
Russia77,
Cina,
Brasile
e
Indonesia78.
Al
contrario
gli
Emirati
Arabi
Uniti
continuano
nel
consolidare
politiche
di
liberalizzazione
del
mercato.
76
È
in
corso
in
Brasile
una
progressiva
restrizione
delle
importazioni
di
beni
del
l’importazione
di
prodotti
di
abbigliamento
finiti,
e
si
è
registrato
un
aumento
a
livello
daziario
per
una
linea
di
abbigliamento.
122
CAPITOLO
3
79
Cfr.
Relazione
sulla
gestione,
Bilancio
Consolidato
2012
Gruppo
Salvatore
Ferragamo,
p.
7,
disponibile
all’indirizzo:
group.ferragamo.com/documents/10180/45394/Bilancio%20Consolidato%20al%203
1.12.2012.
123
Si
valuteranno
la
redditività,
la
liquidità
e
la
solidità
patrimoniale
dell’azienda:
da
questa
breve
analisi
si
conferma
la
solidità
generale
del
Gruppo,
non
solo
dal
punto
di
vista
reddituale,
ma
anche
finanziario
e
patrimoniale.
La
scelta
di
analizzare
proprio
quest’azienda,
oltre
al
valore
storico
del
suo
marchio
e
alla
tradizione
quasi
centenaria
che
la
contraddistingue,
deriva
principalmente
dalle
ottime
performances
che
sta
ottenendo
nonostante
le
difficoltà
economiche
e
finanziarie
di
questi
ultimi
anni.
È
un
segnale
incoraggiante
per
il
settore
del
lusso
e
della
moda
Made
in
Italy,
in
cui
le
piccole
e
medie
aziende
stanno
soccombendo
alla
concorrenza
del
fast
fashion,
in
cui
le
esportazioni
verso
il
“Vecchio
continente”
sono
in
stallo
totale.
La
manifattura
italiana
ha
sì
bisogno
di
essere
rivitalizzata
lungo
tutta
la
filiera,
ma
il
valore
evocativo
del
prodotto
Made
in
Italy
continua
ad
essere
garanzia
di
qualità,
di
tradizione
e
stile.
Se
quindi
è
vero
che
la
moda
italiana
rappresenta
una
ricchezza
per
il
nostro
paese,
è
forse
da
qui
che
dovrebbe
ripartire
la
crescita:
un
settore
che
rappresenta
la
nostra
storia,
un
simbolo
di
sviluppo
tuttora
valido
e
attuale,
dovrebbe
essere
preso
ad
esempio
da
altri
settori
della
nostra
economia.
«È
tempo
che
si
inizi
a
pensare
a
una
seria
politica
economica
nei
confronti
di
tutta
la
filiera
della
moda:
è
una
necessità,
e
a
questo
punto
anche
un
dovere
per
tutti
coloro
che
fanno
parte
di
questo
mondo.
È
il
momento
che
i
diretti
interessati,
portatori
di
esperienza
concreta,
diventino
riferimento
delle
scelte
politiche
determinanti
per
il
futuro
del
Made
in
Italy ».80
80
Da
una
lettera
aperta
di
Michele
Bocchese,
presidente
sezione
Moda
di
Confindustria
Veneto,
ispirato
alle
dichiarazioni
di
Giorgio
Armani
sulla
situazione
del
tessile
moda
italiano,
cfr.
GANZ
B.,
Gli
industriali
veneti
scrivono
ad
Armani,
Moda
24,
Il
Sole
24
Ore,
28
gennaio
2013,
disponibile
all’indirizzo:
www.moda24.ilsole24ore.com/art/industria-‐finanza/2013-‐01-‐28/industriali-‐veneti-‐
scrivono-‐armani-‐145131.php?uuid=AbRrfvOH,
consultato
in
data
15
marzo
2013.
124
81
Si
veda
l’indirizzo
www.moda.san.beniculturali.it/wordpress/?page_id=482,
Protagonisti
–
Archivi
della
moda
del
novecento,
consultato
in
data
19
marzo
2013.
125
La
crisi
del
’29
pose
un
grosso
freno
ai
rapporti
commerciali
con
gli
Stati
Uniti,
nel
1933
si
dichiarò
addirittura
bancarotta.
Il
mercato
interno
continuava
invece
a
crescere.
Nel
1928
ci
fu
l’apertura
del
primo
negozio
monomarca
a
Firenze,
al
quale
seguì
quella
di
Roma
e
Londra.
Palazzo
Spini
Feroni
in
via
Tornabuoni
è
il
flagship
store
storico
dell’azienda
dal
1938.
Dopo
la
fine
della
seconda
guerra
mondiale
avviene
il
rilancio
del
marchio.
Le
scarpe
Ferragamo
simboleggiavano
l’Italia
che
ritornava
alla
vita,
l’Italia
che
tornava
a
creare
e
a
produrre.
Nel
1948
fu
aperto
il
primo
negozio
monomarca
a
New
York.
Già
a
metà
degli
anni
Cinquanta
l’azienda
produceva
a
mano
trecentocinquanta
scarpe
al
giorno
con
il
contributo
di
settecento
dipendenti.
Iniziò
anche
la
prima
meccanizzazione
delle
fasi
meno
elaborate
della
lavorazione,
mentre
la
maggior
parte
del
lavoro
continuava
a
essere
svolto
a
mano.
Saranno
la
moglie
Wanda
Miletti
Ferragamo
e
la
figlia
Fiamma
di
San
Giuliano
Ferragamo
a
prendere
in
mano
le
redini
dell’azienda
alla
morte
di
Salvatore
nel
1960.
L’azienda
nonostante
le
difficoltà
continuò
a
crescere
sotto
la
direzione
di
Wanda
e
riuscì
a
conquistare
il
mercato
del
lusso
ready
to
wear
(RTW)
per
uomo
e
donna,
nonché
quello
degli
accessori
di
seta.
Ora
l’azienda
produce
circa
diecimila
paia
di
scarpe
al
giorno.
Chiaramente
si
è
resa
necessaria
una
meccanizzazione
progressiva,
per
far
fronte
al
cambiamento
dei
tempi
e
all’aumento
della
domanda.
Le
fasi
fondamentali
della
lavorazione
conservano
però
ancora
la
famosa
artigianalità
che
ha
costituito
e
tuttora
costituisce
la
chiave
del
successo
della
calzatura
Ferragamo,
insieme
all’elevato
livello
di
personalizzazione
e
all’utilizzo
di
materiali
rari
e
di
pregio,
nonché
di
dettagli
spesso
particolari
e
insoliti.
126
Fiamma
Ferragamo
ha
contribuito
in
modo
decisivo
alla
crescita
dell’azienda
e,
dopo
la
sua
prematura
scomparsa
nel
1998,
l’attività
aziendale
è
continuata
sotto
il
controllo
della
madre
Wanda
e
dei
fratelli
minori.
Il
Gruppo
Salvatore
Ferragamo,
nonostante
le
dimensioni
internazionali
raggiunte
nel
corso
degli
anni,
conserva
ancora
il
carattere
di
azienda
familiare
che
aveva
fin
dall’inizio.
L’azienda
è,
infatti,
ancora
saldamente
di
proprietà
della
famiglia
Ferragamo
e
molti
dei
suoi
membri
hanno
ruolo
attivo
nella
gestione.
In
particolare:
-‐ Wanda
Ferragamo
Miletti,
la
moglie
del
fondatore,
è
alla
guida
del
Gruppo
dal
1960
e
attualmente
ricopre
il
ruolo
di
presidente
onorario
della
Salvatore
Ferragamo
S.p.A.;
-‐ Ferruccio
Ferragamo,
fino
al
2006
amministratore
delegato
del
gruppo,
è
ora
il
presidente
di
Salvatore
Ferragamo
S.p.A..
Dal
1996
è
anche
amministratore
delegato
di
Ferragamo
Finanziaria
S.p.A.;
-‐ Giovanna
Ferragamo
Gentile
è
vicepresidente
e
consigliere
di
Salvatore
Ferragamo
S.p.A.;
-‐ Leonardo
Ferragamo
dal
2000
è
amministratore
delegato
di
Palazzo
Feroni
Finanziaria
S.p.A.,
la
holding
company
di
famiglia.
-‐ Massimo
Ferragamo
è
il
presidente
di
Ferragamo
USA;
-‐ Fulvia
Visconti
Ferragamo
è
responsabile
degli
accessori
in
seta
per
uomo
e
donna.
È
stata
vicepresidente
del
Gruppo
fino
al
2009.
Attualmente
ricopre
la
carica
di
vicepresidente
di
Ferragamo
Finanziaria,
di
consigliere
di
Palazzo
Feroni
Finanziaria
S.p.A..
127
Le
azioni
della
Società
sono
negoziate
sul
Mercato
Telematico
Azionario
organizzato
e
gestito
da
Borsa
Italiana
S.p.A.
dal
29
giugno
2011.
Come
altre
aziende
alle
prime
generazioni
è
interessante
considerare
la
questione
della
successione
e
del
passaggio
generazionale
e
i
problemi
da
essi
derivanti.
Pur
essendo
anagraficamente
un’azienda
ancora
alla
prima
generazione,
la
Salvatore
Ferragamo
S.p.A.
sembra
invece
aver
trovato
una
soluzione
al
problema
del
passaggio
generazionale
aziendale
tramite
l’inserimento
di
figli
e
nipoti
nella
gestione
concreta
della
Società.
Formalmente
dunque
si
può
dire
che
l’azienda
sia
ormai
di
seconda
o
terza
generazione
pur
restando
saldamente
in
mano
alla
famiglia.
Certamente
il
passaggio
generazionale
può
costituire
un
problema
di
dimensioni
non
indifferenti
anche
quando
si
tratta
della
volontà
di
mantenere
inalterati
lo
stile,
l’eleganza
e
il
gusto
che
hanno
costituito
la
base
del
successo
del
marchio.
Il
Gruppo
riesce
invece
a
mantenere
una
perfetta
coincidenza
tra
proprietà
e
gestione,
i
manager
sono
i
proprietari
stessi
e
gestiscono
direttamente
e
personalmente
l’attività
aziendale.
È
chiaro
come
il
successo
di
un’impresa
di
moda
sia
insito
nella
riconoscibilità
e
particolarità
del
suo
stile.
Come
già
detto
nel
primo
capitolo,
il
cambiamento
continuo,
il
rinnovamento
costante,
sono
la
linfa
vitale
dell’alta
moda,
che
deve
essere
sempre
nuova
per
mantenere
attrattività
e
interesse.
Questo
però
non
deve
andare
a
discapito
dello
stile,
del
segno
distintivo
e
dell’impostazione
della
singola
firma.
L’impronta
dello
stilista,
la
cultura
aziendale,
il
gusto
dell’artista
devono
essere
preservati
e
tramandati
quindi
alle
generazioni
successive.
128
È
probabilmente
anche
questa
una
delle
motivazioni
che
nel
1995
ha
portato
alla
fondazione
del
Museo
Salvatore
Ferragamo 82
presso
la
sede
storica
della
società
a
Palazzo
Spini
Feroni.
Il
Museo
comprende
una
collezione
di
oltre
quattordicimila
modelli
di
calzature
creati
da
Ferragamo
durante
la
sua
attività,
nonché
una
collezione
di
scarpe.
È
chiaro
come
l’obiettivo
sia
la
valorizzazione
del
legame
tra
moda,
cultura
e
arte,
che
il
Gruppo
persegue
anche
tramite
la
realizzazione
sia
di
mostre
ed
eventi,
sia
di
concorsi
dedicati
a
giovani
stilisti
di
calzature.
Nasce
inoltre
a
Firenze
il
15
marzo
2013 83
la
Fondazione
Ferragamo,
presieduta
da
Wanda
Miletti
Ferragamo,
con
lo
scopo
di
promuovere
e
valorizzare
l’artigianato
e
il
Made
in
Italy
rivolgendo
la
propria
attenzione
alla
moda,
al
design,
ai
percorsi
e
processi
creativi
e
culturali
in
genere,
in
linea
con
i
canoni
estetici
e
stilistici
concepiti
ed
espressi
nell’opera
di
Salvatore
Ferragamo.
La
Fondazione
si
pone
come
obiettivo
la
promozione
della
conoscenza
e
della
memoria
dell’opera
e
della
personalità
di
Salvatore
Ferragamo,
per
far
conoscere
al
pubblico
mondiale
le
sue
qualità
artistiche
e
il
ruolo
da
lui
coperto
nella
storia
non
solo
della
calzatura
del
Novecento,
ma
anche
della
moda
internazionale
intera.
Per
raggiungere
questi
obiettivi
la
Fondazione
vuole
puntare
alla
valorizzazione
dell’archivio
storico
di
Salvatore
Ferragamo,
che
conserva
i
documenti,
i
brevetti
e
i
prodotti
che
testimoniano
l’intera
sua
vita
professionale.
La
Fondazione
intende
collaborare
anche
con
il
Museo
82
Per
ulteriori
informazioni
riguardo
il
Museo
Salvatore
Ferragamo
si
veda
l’appendice
1.
83
Si
veda
VAGAGGINI
E.,
Fondazione
Ferragamo:
promozione
del
made
in
Italy,
129
Salvatore
Ferragamo
per
la
realizzazione
di
mostre84,
seminari
e
attività
didattiche
in
linea
con
gli
scopi
della
Fondazione.
In
particolare
si
vogliono
offrire
ai
giovani
delle
opportunità
di
crescita
e
di
formazione,
attraverso
i
valori
espressi
da
Ferragamo
nella
sua
autobiografia
“Il
calzolaio
dei
sogni”:
la
passione
artigiana,
la
costante
sperimentazione,
l’innovazione
tecnologica,
la
creatività,
l’apertura
al
mondo
della
cultura,
il
lavoro
come
vocazione
irrinunciabile
della
vita.
La
fondazione
intende
organizzare
corsi
di
formazione,
iniziative
culturali,
laboratori
e
istituire
borse
di
studio
per
i
giovani
creativi.
84
L’esposizione
“Il
calzolaio
prodigioso
–
Fiabe
e
leggende
di
scarpe
e
calzolai”
è
130
Figura 7 -‐ Organigramma del Gruppo Salvatore Ferragamo S.p.A.. Fonte: Ferragamo.
131
Il
Gruppo
è
uno
dei
principali
player
del
settore
dei
beni
di
lusso,
attivo
nella
creazione,
produzione,
vendita
di
calzature,
pelletteria
e
abbigliamento
(dal
1965),
prodotti
in
seta
e
altri
accessori
(dal
1971),
nonché
profumi
(dal
1997)
e
gioielli
(dalla
fine
dell’esercizio
2011),
tutti
per
uomo
e
per
donna.
La
gamma
dei
prodotti
comprende
anche
occhiali
(dal
1998)
e
orologi
(dal
2008),
realizzati
su
licenza
da
operatori
terzi.
L’offerta
si
contraddistingue
per
l’esclusività
ed
unicità
ottenuta
coniugando
uno
stile
creativo
e
innovativo
con
la
qualità
e
l’artigianalità
tipiche
del
Made
in
Italy.86
Il
Gruppo
Ferragamo
effettua
l’attività
di
vendita
dei
prodotti
prevalentemente
attraverso:
• Un
network
di
negozi
monomarca
Salvatore
Ferragamo,
gestiti
direttamente
(DOS87)
e
gestiti
da
terzi
(TPOS88);
• una
presenza
qualificata
presso
department
store
e
specialty
store
multi
marca.
Per
quanto
riguarda
i
profumi,
il
Gruppo
si
occupa
dello
sviluppo
e
della
distribuzione
di
articoli
di
profumeria
con
marchio
Salvatore
Ferragamo
e,
su
licenza,
Ungaro,
attraverso
la
controllata
Ferragamo
Parfums.
Nell’attività
del
Gruppo
rientra
anche
la
concessione
in
licenza
dell’utilizzo
del
marchio
Ferragamo,
la
gestione
immobiliare
e
la
consulenza
tecnica
connessa
alla
joint
venture89
paritetica
con
il
gruppo
Zegna.
Bisogna
precisare
che
Ferragamo
in
data
20
marzo
2012
ha
firmato
il
contratto
di
cessione
al
gruppo
Zegna
della
propria
partecipazione
86
Tutti
i
dati
relativi
al
Gruppo
Ferragamo
del
capitolo
fanno
riferimento
a
quanto
disponibile
sul
sito
internet
del
Gruppo
group.ferragamo.com.
87
Acronimo
di
Directly
Operated
Stores.
88
Acronimo
di
Third
Point
of
Sale.
89
Una
joint
venture
è
un
accordo
contrattuale
attraverso
il
quale
due
o
più
parti
132
(250000
azioni)
in
ZeFer
S.p.A.,
la
joint
venture
paritetica
costituita
nel
2002,
che
prevedeva
l’esercizio
di
opzione
put/call
nel
2013
e
riguardante
la
produzione
di
calzature
e
accessori
di
pelletteria
a
marchio
Zegna.
L’operazione
per
un
valore
di
13855000
Euro
è
stata
perfezionata
il
15
aprile
2013
con
il
trasferimento
di
proprietà
delle
azioni.
Il
Gruppo
Ferragamo
è
presente
complessivamente
in
novantadue
paesi
del
mondo:
in
particolare
al
31
dicembre
2012
i
negozi
direttamente
gestiti
(DOS
–
canale
Retail)
erano
pari
a
338
distribuiti
in
ventisei
paesi,
mentre
i
negozi
o
spazi
monomarca
personalizzati
gestiti
da
terzi
(TPOS)
erano
pari
a
268
distribuiti
in
sessanta
paesi.
Il
Gruppo
si
serve
anche
in
maniera
complementare
di
department
store
e
specialty
store
multimarca
di
alto
livello
(canale
wholesale).
Complessivamente
dunque
i
punti
vendita
monobrand
personalizzati,
sia
DOS
sia
TPOS
al
31
dicembre
2012
erano
606
distribuiti
nelle
varie
aree
geografiche
come
evidenziato
nel
seguente
grafico.
Rispetto
all’esercizio
precedente
si
registra
un
aumento
nel
numero
dei
punti
vendita,
che
passano
da
593
a
606.
In
particolare
il
Gruppo
ha
aperto
nuovi
punti
vendita
nell’America
Settentrionale
(1
unità
addizionale),
nella
zona
Asia
Pacifico
(10
unità
addizionali)
e
in
Giappone
(2
unità
addizionali),
a
conferma
di
quali
siano
i
mercati
di
maggiore
successo
in
termini
di
fatturato
per
Ferragamo.
133
Figura
8
-‐
Localizzazione
per
area
geografica
dei
punti
vendita
monomarca
(31
dicembre
2012).
Fonte:
Ferragamo.
Nel
prospetto
che
segue,
si
analizzano
le
vendite
dell’esercizio
2012
classificate
per
mercato
di
sbocco
e
la
loro
variazione
rispetto
all’esercizio
2011.
Il
Gruppo
è
presente
sia
nei
mercati
cosiddetti
tradizionali
(Europa,
Stati
Uniti
e
Giappone),
sia
in
quelli
emergenti
(zona
Asia
Pacifico
e
America
Latina).
Tabella 63 -‐ Ricavi suddivisi per mercato di sbocco. Fonte: Ferragamo.
134
Figura
9
-‐
Ricavi
suddivisi
per
area
geografica
al
31
dicembre
2012
e
al
31
dicembre
2011.
Fonte:
Ferragamo.
Come
evidenziato
dai
dati,
in
tutti
i
mercati
si
è
registrato
un
generale
aumento
del
fatturato,
valutato
a
cambi
sia
correnti
sia
costanti.
Il
Gruppo
Ferragamo
con
l’esercizio
2012
ha
superato
la
soglia
del
miliardo
di
fatturato,
raggiungendo
1.153
milioni
di
Euro
di
vendite,
in
crescita
del
16,9%
a
cambi
correnti
rispetto
all’esercizio
precedente.
135
questo
risultato
positivo
contribuisce
a
confermare
l’ottima
salute
del
Gruppo.
L’America
Meridionale
realizza
una
crescita
del
26,9%,
pesando
però
solo
per
il
4.5%
sul
totale
dei
ricavi.
Il
mercato
Far
East,
che
pesa
quasi
per
il
37%
sul
giro
d’affari
complessivo,
ritrova
forza
dopo
la
crisi
registrata
tra
luglio
e
settembre
2012.
Il
mercato
cinese
torna
a
crescere
a
un
tasso
del
17,5%
a
cambi
correnti
dopo
la
fase
di
rallentamento
in
cui
l’incremento
dell’area
si
arrestava
al
6,1%
appena.
Il
mercato
Asia
Pacifico
si
conferma
comunque
il
primo
mercato
in
termini
di
ricavo
per
il
Gruppo,
con
un
fatturato
annuo
di
oltre
420
milioni
di
Euro.
Dai
dati
possiamo
quindi
confermare
l’importanza
rivestita
specialmente
dai
mercati
nord
americano,
europeo
e
cinese.
Gli
Stati
Uniti
hanno
decretato
il
successo
mondiale
dell’azienda
Ferragamo
e
conservano
una
buona
parte
del
mercato,
continuando
ad
apprezzare
lo
stile
artigianale
del
marchio.
Anche
l’Europa
si
conferma
uno
dei
mercati
principali:
i
consumatori
riconoscono
l’eccellente
qualità
e
l’inconfondibile
eleganza
dello
stile
Made
in
Italy
e
il
marchio
dimostra
ancora
un’ottima
capacità
di
intercettare
i
flussi
turistici
globali,
grazie
anche
al
rinnovo
dei
punti
vendita
nelle
principali
location
strategiche.
136
La
scelta
dell’organizzazione
della
distribuzione
e
dei
canali
di
vendita
è
un
elemento
importante
per
l’azienda
Ferragamo.90
A
seconda
del
canale
distributivo
il
fatturato
può
essere
così
ripartito.
Tabella 64 -‐ Ricavi suddivisi per canale distributivo. Fonte: Ferragamo.
Figura
10
-‐
Ricavi
suddivisi
per
canale
distributivo
al
31
dicembre
2012
e
al
31
dicembre
2011.
Fonte:
Ferragamo.
In
primo
luogo
i
ricavi
generati
delle
vendite
retail
derivano
dai
negozi
a
gestione
diretta,
i
DOS.
90
Una
parte
della
rete
distributiva
di
Ferragamo
è
rappresentata
dai
TPOS,
con
i
137
Come
evidenziato
dal
prospetto,
durante
l’esercizio
2012
le
vendite
retail,
che
pesano
per
il
65,4%
sul
totale
dei
ricavi,
sono
cresciute
del
14,4%
a
cambi
correnti
e
del
10,4%
a
cambi
costanti
rispetto
al
precedente
esercizio.
Contribuisce
al
risultato
anche
l’incremento
nel
numero
dei
negozi
monomarca
direttamente
gestiti,
che
aumentano
di
quindici
unità
rispetto
all’esercizio
chiuso
al
31
dicembre
2011
(da
323
a
338
DOS).
Le
vendite
wholesale
si
rivolgono
invece
agli
operatori
al
dettaglio
e
solo
in
parte
marginale
ai
distributori.
Si
tratta
dunque
di:
-‐ franchisee,
che
presidiano
i
mercati
nei
quali,
per
le
ridotte
dimensioni
o
per
la
limitatezza
dello
sviluppo,
non
trova
giustificazione
la
presenza
di
negozi
con
vendita
diretta
al
dettaglio;
-‐ punti
vendita
aperti
all’interno
degli
aeroporti;
-‐ operatori
specifici
nel
settore
della
profumeria;
-‐ department
stores
e
dettaglianti
specializzati
di
fascia
alta,
con
lo
scopo
di
costituire
un
complemento
nei
paesi
in
cui
il
Gruppo
è
già
presente
con
una
propria
catena
di
negozi
diretti.
Il
prospetto
ci
mostra
come
le
vendite
wholesale,
che
pesano
per
il
33%
sul
totale
dei
ricavi,
siano
cresciute
del
21,6%
a
cambi
correnti
e
del
19,3%
a
cambi
costanti.
Licenze
e
prestazioni
si
riferiscono
ai
ricavi
ottenuti
dalla
concessione
del
marchio
Ferragamo
nel
settore
occhiali
e
in
quello
orologi.
Questa
categoria,
pur
di
rilevanza
marginale
rispetto
al
toale
dei
ricavi,
è
cresciuta
del
38,6%
rispetto
all’anno
precedente.
I
ricavi
per
le
prestazioni
immobiliari
si
riferiscono
invece
a
immobili
siti
nel
territorio
degli
Stati
Uniti
e
locati
o
sublocati
a
terzi.
Essi
138
evidenziano
un
incremento
del
12,7%
rispetto
all’esercizio
2011,
pur
pesando
solo
per
uno
0,7%
sui
ricavi
complessivi
del
Gruppo.
I
dati
mettono
sicuramente
in
luce
la
scelta
del
Gruppo
di
servirsi
soprattutto
di
canali
di
vendita
diretta.
Attraverso
i
338
punti
vendita
il
Gruppo
realizza
infatti
il
65,4%
del
volume
d’affari
complessivo.
La
scelta
di
ricorrere
principalmente
alla
vendita
retail
rientra
nella
strategia
di
Salvatore
Ferragamo
da
sempre.
Chiaramente
si
tratta
di
una
scelta
di
politica
commerciale
che
comporta
costi
elevati
sia
in
termini
di
investimenti91
da
parte
dell’azienda,
sia
in
termini
di
difficoltà
di
gestione.
Non
si
può
infatti
trascurare
il
fatto
che
la
gestione
di
negozi
distribuiti
sull’intero
territorio
mondiale
comporti
difficoltà
di
vario
tipo
(logistiche,
linguistiche,
legislative...).
92
91
Gli
investimenti
dell’esercizio
più
rilevanti
sono
stati,
infatti,
destinati
all’apertura
e
alla
ristrutturazione
di
punti
vendita
(circa
il
71%
del
totale
degli
investimenti
in
attività
materiali,
per
una
cifra
pari
a
circa
36,7
milioni
di
Euro)
e
al
cosiddetto
“Marlin
Project”,
volto
ad
unificare
i
sistemi
informativi
(retail
systems)
di
Gruppo
(circa
il
39%
del
totale
degli
investimenti
in
attività
immateriali,
per
una
cifra
pari
a
circa
3
milioni
di
Euro).
92
Già
nel
1988
Ferragamo
aprì
il
primo
negozio
in
Cina,
in
grande
anticipo
rispetto
ai
concorrenti.
Distribuire
le
attività
a
e
in
generale
la
rete
distributiva
in
tutti
i
principali
paesi
del
mondo
può
esporre
il
Gruppo
a
rischi
di
varia
natura,
legati
a
eventi
climatici
(terremoti,
alluvioni,
tsunami),
e
a
fatti
dolosi
(terrorismo),
che
potrebbero
incidere
sia
sui
risultati
economici,
sia
sulla
domanda
da
parte
delle
popolazioni
coinvolte,
sia
sulla
stessa
attività
del
Gruppo.
139
Come
si
può
vedere
dal
prospetto,
l’incidenza
sui
costi
di
vendita
e
di
distribuzione
della
rete
dei
negozi
diretti
(DOS),
costituisce
per
l’esercizio
2012
addirittura
l’88,2%
del
totale,
in
linea
con
l’esercizio
2011
in
cui
l’incidenza
era
pari
all’88,1%
del
totale
dei
costi.
L’incremento
totale
dei
costi
dipende
dall’aumento
dei
volumi
di
vendita
per
la
maggior
parte
e
solo
in
misura
minore
dall’ampliamento
della
rete
retail.
In
particolare
pesano
i
costi
per
i
servizi
(17,7%
sul
totale)
e
i
costi
per
il
personale
(9,6%
sul
totale),
come
si
evince
dalla
tabella
seguente.
Tabella 66 -‐ Dettaglio per natura dei costi di vendita e distribuzione. Fonte: Ferragamo.
140
Tabella 67 -‐ Ricavi suddivisi per categoria merceologica. Fonte: Ferragamo.
Come
si
evince
dal
prospetto,
tutte
le
categorie
di
prodotto
registrano
un
incremento
percentuale
dei
ricavi
rispetto
al
periodo
precedente,
sia
a
cambi
correnti
sia
a
cambi
costanti.
L’unica
eccezione
è
costituita
dall’abbigliamento,
che
cresce
solo
del
5,4%
a
cambi
correnti
rispetto
all’esercizio
2011.
È
molto
positivo
l’incremento
registrato
dalla
categoria
calzature,
in
quanto
core
business
dell’azienda,
pari
al
19,7%
a
cambi
correnti.
La
141
categoria
pesa
per
quasi
il
44%
sul
totale
dei
ricavi
del
Gruppo,
per
un
totale
di
oltre
506
milioni
di
Euro.
Buono
è
anche
l’incremento
dei
ricavi
derivanti
dai
profumi
(aumento
del
20,4%
a
cambi
correnti)93
e
dalla
pelletteria
(aumento
del
16,4%
a
cambi
correnti).
93
L’incremento
è
dovuto
sicuramente
in
gran
parte
al
forte
successo
riscosso
142
Dall’ultimo
trimestre
2011,
la
situazione
economica
internazionale
ha
subito
un
ulteriore
e
progressivo
deterioramento
rispetto
ai
mesi
precedenti.
L’Europa
sta
affrontando
un
diffuso
incremento
della
pressione
fiscale
–
con
evidenti
conseguenze
negative
sui
consumi
–
per
far
fronte
ad
alti
deficit
di
bilancio
e
agli
elevati
livelli
dei
debiti
sovrani.
La
ripresa
è
molto
lenta
anche
negli
Stati
Uniti
e
in
Giappone,
mentre
la
Cina
ha
registrato
un
rallentamento
notevole
durante
l’estate
del
2012,
probabilmente
anche
in
conseguenza
del
rinnovo
della
classe
politica
nel
paese.
Nei
mesi
di
transizione
verso
la
nuova
leadership,
infatti,
la
propensione
ai
consumi
ha
subito
un
rallentamento
molto
brusco.
Il
clima
d’incertezza
e
le
difficoltà
delle
maggiori
economie
europee
hanno
messo
in
discussione
la
sopravvivenza
stessa
dell’Unione
Monetaria
Europea,
le
politiche
fiscali
restrittive
hanno
rallentato
la
crescita
del
PIL
e
penalizzato
duramente
la
domanda
interna.
Anche
le
economie
emergenti
non
hanno
contribuito
a
dare
segnali
positivi,
mostrando
invece
un
rallentamento
dei
rispettivi
tassi
di
crescita.
L’unico
paese
a
mostrare
un
certo
miglioramento
sembra
essere
stato
il
Giappone,
che
ha
potuto
sfruttare
il
cosiddetto
“effetto
ricostruzione”
seguito
al
terremoto
del
marzo
2011.
Anche
i
primi
mesi
del
2013
non
mostrano
segnali
di
ripresa,
i
tassi
di
crescita
continuano
a
essere
molto
moderati,
le
politiche
fiscali
si
mantengono
molto
restrittive
in
parallelo
con
l’espansione
di
quelle
monetarie
e
l’inflazione
resta
contenuta.
L’Europa
stenta
a
riprendersi
dalla
crisi
del
debito,
soprattutto
a
causa
dell’incertezza
derivante
dall’instabilità
della
politica
italiana,
che
inevitabilmente
si
riflette
sulle
maggiori
economie
dell’area.
L’unico
segnale
positivo
arriva
dai
cosiddetti
B.R.I.C.
e
dalle
economie
emergenti
in
generale.
La
Cina
sembra
essere
vicina
a
una
ripresa,
mentre
gli
Stati
Uniti,
sia
grazie
alla
continuità
143
strategica
simboleggiata
dalla
rielezione
di
Obama
alla
Presidenza,
sia
grazie
al
miglioramento
degli
indicatori
macroeconomici,
difficilmente
torneranno
a
costituire
un
fattore
di
instabilità
a
livello
globale.
In
periodi
di
crisi
dunque
i
consumatori
o
riposizionano
la
propria
domanda
verso
categorie
di
beni
analoghi,
venduti
a
prezzi
inferiori,
o
rinviano
l’acquisto
dei
prodotti
di
lusso.
La
domanda
di
beni
di
lusso
però,
tende
a
essere
ampiamente
influenzata
dalla
qualità
dei
prodotti,
dalla
riconoscibilità
e
dall’esclusività
dei
marchi,
mentre
il
prezzo
è
un
elemento
che
influenza
solo
in
modo
marginale
la
domanda.
Per
la
stessa
ragione
si
può
sostenere
inoltre
che
i
beni
di
lusso
di
marca
siano
poco
sostituibili
con
beni
di
lusso
“unbranded”,
a
causa
del
valore
aggiunto
costituito
dal
marchio
stesso.
In
conclusione
si
può
quindi
dire
che,
in
controtendenza
con
l’andamento
economico
globale,
il
mercato
dei
beni
di
lusso
possa
invece
continuare
nel
2013
il
trend
positivo
di
espansione
delle
vendite
e
di
crescita
della
redditività.
144
Tabella
69
-‐
Dati
economici
2012
e
2011.
Fonte:
Ferragamo.
145
Di
particolare
interesse
è
l’EBITDA
(Margine
Operativo
Lordo)94,
che
cresce
di
oltre
il
24%
durante
l’esercizio
2012,
passando
da
183694000
Euro
ad
oltre
228
milioni
di
Euro.
L’incidenza
percentuale
sui
ricavi
è
in
crescita
dal
18,6%
del
2011
al
19,8%
del
2012.
Il
Risultato
Operativo
(EBIT)95
di
fine
esercizio
2012
mostra
un
incremento
del
24,0%,
passando
da
156649
migliaia
di
Euro
del
2011
agli
oltre
194
milioni
di
Euro
dell’esercizio
2012.
La
percentuale
di
incidenza
sui
ricavi
è
quindi
in
crescita
dal
15,9%
al
16,9%.
L’aumento
è
dovuto
principalmente
all’incremento
molto
significativo
dei
ricavi,
ma
anche
del
Margine
Lordo,
che
cresce
del
17,1%
(raggiungendo
i
742
milioni
di
Euro)
e
alla
riduzione
di
quasi
un
punto
percentuale
dell’incidenza
dei
costi
operativi
netti
sui
ricavi,
che
scende
a
47,5%.
Il
Risultato
ante
imposte
è
cresciuto
del
22,0%,
passando
da
154
milioni
di
Euro
del
2011
a
188366
migliaia
di
Euro
per
l’esercizio
2012.
L’incidenza
percentuale
sui
ricavi
è
pertanto
in
crescita
dal
15,6%
al
16,3%.
Il
risultato
netto
del
periodo
aumenta
del
21,3%
dall’esercizio
2011
a
quello
2012,
passando
da
103259
migliaia
di
Euro
a
125279
migliaia
di
Euro
nel
2012.
94
L’EBITDA
(Earnings
Before
Interest,
Taxes,
Depreciation
and
Amortization)
è
146
In
data
13
maggio
2013
il
Gruppo
ha
reso
disponibile
il
Resoconto
intermedio
consolidato
di
gestione
al
31
marzo
2013:
dai
dati
illustrati
nel
comunicato
stampa,
si
desume
che
il
primo
trimestre
2013
conferma
i
risultati
positivi
della
fine
del
2012.
Rispetto
al
primo
trimestre
2012,
i
ricavi
del
Gruppo
crescono
a
282
milioni
di
Euro,
in
crescita
di
circa
il
9%
rispetto
ai
260
milioni
dello
scorso
anno.
Il
dato
acquista
ulteriore
valore
considerando
che
nel
primo
trimestre
del
2012
i
ricavi
segnavano
già
una
crescita
di
oltre
il
23%.
Analizzando
i
ricavi
per
area
geografica,
il
primo
mercato
in
termini
di
Ricavi
per
Ferragamo
si
conferma
l’area
Asia
Pacifico,
che
contribuisce
per
il
36%
del
totale
con
un
fatturato
di
102
milioni
di
Euro.
Nel
primo
trimestre
del
2012
il
dato
cresceva
già
del
27%,
dunque
il
dato
di
quest’anno
conferma
la
crescita
positiva
con
un
ulteriore
6%.
Contribuisce
al
risultato
il
fatturato
proveniente
dai
DOS
cinesi,
che
hanno
registrato
un
20%
di
incremento
nelle
vendite.
Tabella 70 -‐ Ricavi suddivisi per mercato di sbocco al 31 marzo 2013. Fonte: Ferragamo.
147
Figura
12
-‐
Ricavi
suddivisi
per
area
geografica
al
31
marzo
2013
e
al
31
marzo
2012.
Fonte:
Ferragamo.
L’Europa
continua
ad
essere
un
mercato
fondamentale
per
Ferragamo,
soprattutto
grazie
ai
flussi
di
turisti
internazionali,
e
registra
un
incremento
dei
ricavi
pari
al
10%
rispetto
al
2011.
Gli
Stati
Uniti
e
l’America
Centro-‐meridionale
continuano
il
trend
positivo
di
crescita,
segnando
rispettivamente
+19%
e
+13%
rispetto
allo
stesso
periodo
dell’esercizio
2012.
Unico
mercato
in
peggioramento,
se
considerato
a
tassi
di
cambio
correnti,
è
il
Giappone,
che
a
causa
dell’andamento
sfavorevole
della
valuta
perde
l’8%.
Considerando
i
canali
distributivi,
al
31
marzo
2013
il
Retail
si
conferma
fondamentale
per
le
vendite
del
Gruppo:
potendo
contare
su
339
DOS,
questo
canale
registra
ricavi
consolidati
per
172
milioni
di
Euro,
in
crescita
del
7%
rispetto
ai
160
milioni
del
2012.
Il
Wholesale
e
Travel
Retail,
rappresentati
da
261
TPOS
e
dai
corner
shop
nei
Department
Store
e
Specialty
Store
multibrand,
registrano
un
incremento
dell’11%
rispetto
al
2012
(in
cui
già
segnava
un
incremento
del
37%),
raggiungendo
106
milioni
di
Euro.
148
Tabella
71
-‐
Ricavi
suddivisi
per
canali
distributivi
al
31
marzo
2013.
Fonte:
Ferragamo
Figura
13
-‐
Ricavi
suddivisi
per
canale
distributivo
al
31
marzo
2013
e
al
31
marzo
2012.
Fonte:
Ferragamo.
A
seconda
della
categoria
merceologica,
crescono
ulteriormente
i
prodotti
core
dell’azienda,
con
le
calzature
che
segnano
un
+8%
e
le
borse
e
gli
accessori
in
pelle
che
crescono
del
13%.
Si
incrementano
in
modo
rilevante
anche
i
ricavi
provenienti
dalla
vendita
dei
profumi,
con
un
+14%.
149
Tabella
72
–
Ricavi
suddivisi
per
categoria
merceologica
al
31
marzo
2013.
Fonte:
Ferragamo.
Figura
14
-‐
Ricavi
suddivisi
per
categoria
merceologica
al
31
marzo
2013
e
al
31
marzo
2012.
Fonte:
Ferragamo.
Crescono
anche
gli
investimenti,
con
una
variazione
in
aumento
20%
fino
ad
oltre
10
milioni.
Questo
dato
è
riconducibile
alle
nuove
aperture
di
punti
vendita,
nonché
all’ampliamento
e
al
rinnovamento
di
quelli
esistenti
e
all’implementazione
dell’integrazione
logistica
e
digitale.
L’indebitamento
è
invece
in
aumento
a
33
milioni
di
Euro
rispetto
ai
22
del
2012,
anche
in
conseguenza
del
riacquisto
delle
quote
di
minoranza
in
Asia.
L’EBITDA
cresce
del
26%,
dai
38
milioni
del
primo
trimestre
2012
ai
48
milioni
al
31
marzo
2013.
L’incidenza
percentuale
del
Margine
Operativo
Lordo
sui
Ricavi
cresce
di
quasi
3
punti
percentuali,
dal
14,7%
del
marzo
2012
all’attuale
17%.
Questo
grazie
anche
al
contenimento
dei
costi,
che
crescono
solo
del
3%,
raggiungendo
i
136
milioni
di
Euro,
e
che
pesano
sui
Ricavi
per
il
48,4%,
in
calo
rispetto
al
51,2%
del
2012.
Anche
il Risultato
Operativo
(EBIT)
cresce
nel
primo
trimestre
2013,
passando
da
30
milioni
di
Euro
a
39
milioni,
segnando
un
aumento
del
29%.
150
Infine
anche
l’Utile
Netto,
che
comprende
2
milioni
di
Risultato
di
pertinenza
di
Terzi,
registra
un
incremento
del
57%,
ammontando
a
27
milioni
di
Euro,
contro
i
17
milioni
del
2012.
L’Utile
Netto
di
Gruppo
quindi
ammonta
ad
oltre
24
milioni
di
Euro,
più
che
raddoppiando
i
12
milioni
registrati
nello
stesso
periodo
dell’esercizio
2012
(+103%).
A
questo
risultato
contribuisce
sicuramente
anche
il
calo
di
oltre
il
51%
del
Risultato
di
Terzi,
conseguenza
del
riacquisto
delle
quote
di
partecipazione
nelle
società
distributive
asiatiche.
151
Tabella
73
-‐
Situazione
Patrimoniale
e
Consolidata
al
31
dicembre
2012
e
al
31
dicembre
2011
-‐
Attività.
Fonte:
Ferragamo.
152
Tabella
74
-‐
Situazione
Patrimoniale
e
Finanziaria
consolidata
al
31
dicembre
2012
e
al
31
dicembre
2011
-‐
Passività
e
Patrimonio
Netto.
Fonte:
Ferragamo.
153
3.7.2
Conto
Economico
consolidato
154
Tabella
76
-‐
Conto
economico
complessivo
consolidato.
Fonte:
Ferragamo.
96
CANTONI
E.,
La
capacità
segnaletica
degli
indici
di
bilancio:
riscontri
empirici
in
condizioni
di
disequilibrio
gestionale,
Milano,
Franco
Angeli,
2007,
pp.
288,
cit.
pp.
39-‐
40;
Cfr.
FIORINDO
A.,
Il
margine
di
contribuzione
come
strumento
di
decisione
aziendale,
tesi
di
laurea,
Università
Ca’
Foscari
Venezia,
Facoltà
di
Economia,
Corso
di
laurea
specialistica
in
Economia
degli
Scambi
internazionali,
a.a.
2011/2012,
rel.
Avi
M.
S.,
p.
164.
155
La
gestione
aziendale
si
compone
dunque
di
vari
aspetti
distinti
ma
interdipendenti
tra
loro:
1. l’aspetto
economico,
il
cui
oggetto
è
l’andamento
reddituale
dell’azienda,
cioè
la
differenza
tra
i
ricavi
e
i
costi
sostenuti
per
generarli.
Un’azienda
si
considera
in
equilibrio
quando
riesce
a
remunerare
gli
investimenti
sostenuti
per
i
fattori
produttivi
con
una
quota
sufficiente
di
ricavi
derivanti
dalle
vendite.
Si
deve
cioè
poter
coprire
i
costi
sostenuti
e
remunerare
il
capitale
sociale
investito
nell’attività
d’impresa
attraverso
i
ricavi.
Considerando
l’aspetto
reddituale
si
riesce
a
valutare
la
capacità
di
remunerazione
del
capitale
investito
nella
gestione.
2. l’aspetto
finanziario,
riguardante
il
rapporto
tra
i
fabbisogni
di
capitale
e
le
fonti
di
finanziamento
e
i
vari
flussi
monetari.
L’analisi
di
quest’aspetto
permette
di
individuare
la
capacità
dell’impresa
di
fare
fronte
agli
impegni
finanziari
(ovvero
il
grado
di
liquidità).
3. l’aspetto
patrimoniale,
il
cui
oggetto
di
analisi
è
la
relazione
che
intercorre
tra
i
finanziamenti
e
gli
investimenti
aziendali.
In
questo
modo
si
può
giudicare
la
solidità
aziendale,
la
capacità
dell’azienda
di
durare
nel
tempo.
L’analisi
di
bilancio
si
svolge
attraverso
alcuni
indicatori
che
permettono
di
fornire
giudizi
concernenti
i
vari
aspetti
della
gestione
aziendale.
I
cosiddetti
indici
di
bilancio
si
calcolano
come
rapporto
tra
valori
che
emergono
dalla
riclassificazione
del
bilancio
d’esercizio.
La
ratio
alla
base
dell’utilizzo
di
dati
riclassificati
(e
non
di
quelli
derivanti
dai
semplici
bilanci
redatti
secondo
i
criteri
civilistici
e
i
principi
contabili)
è
quella
di
avere
a
disposizione
una
forma
idonea
a
evidenziare
i
valori
necessari
per
l’analisi
economico-‐finanziaria.
Scopo
del
bilancio
redatto
secondo
il
codice
civile
e
i
principi
contabili
non
è,
infatti,
l’analisi
della
156
gestione
economico-‐finanziario-‐patrimoniale,
bensì
quello
di
fornire
informazioni
sull’andamento
della
gestione
aziendale
a
chiunque
sia
interessato,
e
dunque
segue
criteri
di
redazione
più
adatti
a
questo
scopo.
97
97
CARAMIELLO
C.,
Indici
di
bilancio:
strumenti
per
l’analisi
della
gestione
aziendale,
Giuffrè,
Milano,
1993.
È
qui
definita
la
riclassificazione
del
bilancio
come
«l’operazione
di
predisposizione
dei
dati
del
bilancio
di
esercizio
per
l’analisi
economico-‐finanziaria
della
gestione»;
Cfr.
FIORINDO
A.,
op.
cit.,
p.166.
157
calcolati
sui
bilanci
riclassificati
di
altre
aziende,
di
gruppi
d’aziende
o
del
settore
intero.
Chiaramente
un
indice
assumerà
significato
solo
in
un
contesto
di
tipo
comparativo,
dunque
è
importante
che
la
scelta
dei
dati
sia
fatta
secondo
criterio
di
omogeneità:
non
avrebbe
senso,
né
del
resto
potrebbe
fornire
informazioni
attendibili,
confrontare
valori
disomogenei
sia
per
quanto
attiene
al
metodo
di
valutazione
e
contabilizzazione,
sia
per
quanto
riguarda
l’arco
temporale
di
riferimento.
Il
confronto
stesso
tra
entità
provenienti
da
Conto
economico
e
da
Stato
patrimoniale
può
portare
a
calcoli
imprecisi,
dal
momento
che
lo
Stato
patrimoniale
è
un
prospetto
che
“fotografa”
la
situazione
aziendale
alla
fine
del
periodo
e
non
tiene
dunque
conto
dell’andamento
medio
dell’esercizio.
Si
può
rischiare
così
di
ottenere
un
dato
molto
influenzato
dalla
situazione
particolare
registrata
dallo
Stato
patrimoniale
alla
fine
dell’esercizio
preso
in
esame.
Per
evitare
di
incorrere
in
questo
problema
si
cerca,
quando
possibile,
di
utilizzare
il
valore
medio,
basandosi
nel
calcolo
sulle
rilevazioni
di
inizio
e
fine
esercizio
del
dato
di
Stato
patrimoniale
d’interesse.
L’analisi
basata
su
indici
si
svolge
in
fase
di
programmazione
e
a
consuntivo:
nel
primo
caso
lo
scopo
del
calcolo
è
di
valutare
la
situazione
economica,
finanziaria
e
patrimoniale
attuale,
avendo
a
disposizione
rilevazioni
reali
provenienti
dai
documenti
di
sintesi
della
gestione
appena
conclusa;
l’analisi
degli
indici
a
consuntivo
invece
ha
l’obiettivo
di
formulare
delle
previsioni
sul
futuro
andamento
che
si
vorrebbe
raggiungere.
158
Come
anticipato
nel
paragrafo
precedente,
l’analisi
della
gestione
aziendale,
pur
riguardando
un
complesso
unitario,
può
essere
svolta
riguardo
a
tre
aspetti
differenti
della
stessa:
• analisi
di
redditività;
• analisi
di
liquidità;
• analisi
di
solidità.
L’analisi
di
redditività
si
concentra
sulla
capacità
dell’azienda
di
raggiungere
l’equilibrio
economico,
in
altre
parole
la
remunerazione
di
tutti
i
fattori
produttivi
immessi
nell’attività
aziendale.
Più
semplicemente,
questo
avviene
quando
si
realizza
la
copertura
dei
costi
con
i
ricavi.
Attraverso
la
costruzione
degli
indici
reddituali
si
può
quindi
capire
se
gli
investimenti
sotto
forma
di
capitale
hanno
permesso
di
generare
redditi
adeguati,
capaci
di
remunerare
non
solo
i
fattori
produttivi
necessari
all’attività
aziendale,
ma
anche
gli
investimenti
sotto
forma
di
capitale
di
rischio
(il
Patrimonio
Netto).
L’utilizzo
degli
indicatori
rapporta
il
reddito
al
capitale
che
ne
ha
permesso
la
realizzazione
e
dunque
trasforma
il
reddito
da
grandezza
espressa
in
valore
assoluto
a
grandezza
relativa.
Non
si
parlerà
più
dunque
di
reddito
bensì
di
redditività.
Il
confronto
avviene
tra
valori
provenienti
dalla
riclassificazione
del
Conto
economico
(il
reddito)
con
valori
desumibili
dalla
riclassificazione
dello
Stato
patrimoniale
(il
capitale
che
lo
ha
generato).
159
equity).
Questo
indice
esprime
la
redditività
del
Patrimonio
Netto,
cioè
il
rendimento
del
capitale
di
rischio
apportato
dai
soci
e
viene
calcolato
come
rapporto
tra
il
Reddito
Netto
(RN)
e
il
Patrimonio
Netto
(PN).
𝑅𝑅𝑅𝑅
𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅 = (%)
𝑃𝑃𝑃𝑃
Il
valore
del
ROE
si
esprime
tendenzialmente
in
forma
percentuale,
dunque
il
risultato
ottenuto
con
la
formula
precedente
va
poi
moltiplicato
per
100.
L’indice
è
costituito
da
una
grandezza
flusso,
il
Reddito
Netto
(desunto
dalla
riclassificazione
del
Conto
economico),
e
da
un
valore
stock
di
fine
periodo,
il
Patrimonio
Netto
(desunto
dallo
Stato
patrimoniale
riclassificato).
Come
detto
nel
paragrafo
precedente,
generalmente
si
ritiene
più
attendibile
un
valore
di
Patrimonio
Netto
determinato
dalla
media
tra
il
valore
che
esso
assume
all’inizio
del
periodo
aziendale
e
quello
assunto
alla
fine
dell’esercizio.
Nell’impossibilità
però
di
calcolare
il
valore
medio,
si
utilizza
il
dato
di
fine
esercizio.
Il
ROE
consente
all’azienda
di
eseguire
un
confronto
di
tipo
temporale:
da
un
esercizio
all’altro
si
confrontano
i
valori
assunti
dal
ROE.
Se
il
ROE
registra
un
aumento
si
può
dedurre
che
la
situazione
economico-‐reddituale
dell’azienda
è
positiva
e
in
miglioramento;
qualora
il
valore
del
ROE
stia
invece
calando
rispetto
all’esercizio
precedente,
la
situazione
è
in
peggioramento.
Chiaramente
è
necessario
che
entrambi
i
valori
di
Reddito
Netto
e
Patrimonio
Netto
assumano
segno
positivo,
altrimenti
l’azienda
potrebbe
trovarsi
in
una
situazione
di
perdita
o
potrebbe
avere
un
deficit
di
capitale.
Si
può
altresì
eseguire
un
confronto
spaziale
tra
i
ROE
di
imprese
diverse,
dal
momento
che
la
decisione
di
investire
capitale
in
un’impresa
160
non
dipende
solo
da
quanto
rendimento
ne
possa
derivare,
ma
anche
da
quanto
rendimento
potrebbe
derivare
dall’investimento
in
un’impresa
alternativa.
Si
considera
soddisfacente
un
ROE
non
solo
positivo,
ma
anche
superiore
al
tasso
d’interesse
degli
investimenti
a
basso
rischio,
come
per
esempio
i
BOT:
la
differenza
tra
questi
investimenti
e
il
valore
assunto
dal
ROE
è
detta
premio
per
il
rischio.
Questo
perché
se
il
rendimento
del
Patrimonio
Netto
di
un’azienda
non
fosse
superiore
al
rendimento
di
un
titolo
di
Stato
(o,
in
generale,
di
un
titolo
a
basso
rischio),
non
avrebbe
alcun
senso
investire
in
un’azienda
–
e
sopportarne
il
rischio
–
per
ottenere
poi
la
medesima
remunerazione
che
si
sarebbe
ottenuta
con
un
titolo
risk
free.98
Per
quanto
riguarda
il
Gruppo
Ferragamo
si
riportano
di
seguito
i
dati
riguardanti
gli
esercizi
2012
e
2011.
Tabella
77
-‐
ROE
(risultato
netto
di
competenza
del
Gruppo/Patrimonio
netto
medio
di
Gruppo
del
periodo)
2012
e
2011.
Fonte:
Ferragamo.
Come
si
può
vedere
dalla
tabella,
il
ROE
registra
un
aumento
di
quasi
4
punti
percentuali
da
un
esercizio
all’altro,
raggiungendo
quota
44,1%.
98
Bisognerebbe
dunque
avere
un
ROE
pari
a
𝑟𝑟
! + 𝑝𝑝,
in
cui
𝑟𝑟!
è
il
rendimento
di
un
titolo
privo
di
rischio,
mentre
p
è
il
premio
al
rischio.
161
𝑅𝑅𝑅𝑅 𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺 𝑅𝑅𝑅𝑅 𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺
𝑹𝑹𝑹𝑹𝑹𝑹𝟐𝟐𝟐𝟐𝟐𝟐𝟐𝟐 = = =
𝑃𝑃𝑃𝑃 𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚 𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺 (𝑃𝑃𝑃𝑃 𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖 + 𝑃𝑃𝑃𝑃 𝑓𝑓𝑓𝑓𝑓𝑓𝑓𝑓𝑓𝑓𝑓𝑓)
2
105552000
= = 0,441 ∗ 100 = 𝟒𝟒𝟒𝟒, 𝟏𝟏%
(211403000 + 267290000)/2
𝑅𝑅𝑅𝑅 𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺 𝑅𝑅𝑅𝑅 𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺
𝑹𝑹𝑹𝑹𝑹𝑹𝟐𝟐𝟐𝟐𝟐𝟐𝟐𝟐 = = =
𝑃𝑃𝑃𝑃 𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚 𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺 (𝑃𝑃𝑃𝑃 𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖 + 𝑃𝑃𝑃𝑃 𝑓𝑓𝑓𝑓𝑓𝑓𝑓𝑓𝑓𝑓𝑓𝑓)
2
81290000
= = 0,4019 ∗ 100 = 𝟒𝟒𝟒𝟒, 𝟐𝟐%
(193070000 + 211403000)/2
Tabella
78
-‐
Calcolo
di
ROE
2012
e
2011.
Fonte:
nostre
elaborazioni
su
dati
Ferragamo.
162
Le
due
grandezze
derivano
dalla
riclassificazione
dei
due
prospetti
di
bilancio
e
il
risultato
del
loro
rapporto
viene
espresso
in
forma
percentuale.
Un
aumento
del
valore
dell’indice
misura
una
variazione
positiva,
una
diminuzione
registra
un
peggioramento.
Il
ROI
è
una
grandezza
composta
di
una
parte
reddituale
(il
reddito
operativo,
frutto
della
differenza
tra
ricavi
e
costi
tipici)
e
una
parte
patrimoniale,
data
dal
capitale
investito.
Il
ROI
assume
un
significato
maggiore
se
espresso
tramite
la
seguente
formula,
poiché
esprime
la
redditività
del
capitale
mediamente
investito
tra
l’inizio
e
la
fine
dell’esercizio.
Il
valore
medio
del
capitale
investito,
infatti,
permette
di
attenuare
le
possibili
fluttuazioni
verificatesi
durante
l’esercizio,
evitando
che
l’indice
valutato
solamente
a
fine
esercizio
possa
evidenziare
una
redditività
minore
o
maggiore
di
quanto
invece
dovrebbe,
per
aver
considerato
a
parità
di
GOP
un
capitale
investito
al
termine
dell’esercizio
minore
o
maggiore
del
capitale
investito
in
media
durante
l’anno.
Il
capitale
investito
in
azienda
è,
infatti,
una
grandezza
che
cambia
costantemente
e
il
suo
valore
medio
si
potrebbe
calcolare
con
assoluta
precisione,
avendo
a
disposizione
i
valori
giornalieri;
poiché
però
ovviamente
questa
soluzione
non
è
attuabile,
si
calcola
la
media
dei
valori
iniziali
e
finali
del
periodo.
163
Per
quanto
riguarda
il
Gruppo
Ferragamo,
si
riportano
di
seguito
i
dati
riguardanti
gli
esercizi
2012
e
2011.
Tabella
79
-‐
ROI
(risultato
operativo/capitale
investito
netto
medio
del
periodo)
2012
e
2011.
Fonte:
Ferragamo.
Il
ROI
raggiunge
un
valore
di
60,4%,
in
aumento
di
quasi
tre
punti
percentuali
rispetto
all’esercizio
2011,
in
cui
si
fermava
a
quota
57,6%,
indicando
una
buona
performance
dell’azienda.
164
È
importante
notare
però
come
il
ROI,
nonostante
illustri
l’andamento
della
gestione
tipica
aziendale,
non
sia
in
grado
da
solo
di
identificare
le
cause
del
suo
andamento,
e
che
sia
perciò
utile
scomporlo.
Il
ROI
è,
infatti,
contraddistinto
da
una
componente
reddituale
(con
riferimento
all’influenza
che
la
gestione
dei
costi
e
dei
ricavi
caratteristici
ha
sulla
gestione
caratteristica
dell’impresa)
e
da
una
patrimoniale
(con
riferimento
all’influenza
che
la
gestione
del
patrimonio
investito
nella
gestione
caratteristica
ha
sulla
gestione
caratteristica
dell’impresa).
Di
norma
si
procede
quindi
riscrivendo99
l’indice
come
prodotto
di
ROS
(redditività
delle
vendite,
il
margine
di
profitto
sui
ricavi)
e
ROTAZIONE
DEL
CAPITALE
INVESTITO
(il
turnover,
cioè
la
velocità
con
cui
si
ripete
il
ciclo
nel
corso
del
periodo
preso
in
esame):
99
Si
tratta
del
cosiddetto
“Triangolo
di
DuPont”,
dal
nome
dell’azienda
americana
che
per
prima
ha
adottato
questa
equazione;
Cfr.
Lo
schema
di
DuPont,
disponibile
all’indirizzo:
www.borsaitaliana.it/notizie/sotto-‐la-‐lente/identita-‐
dupont178.htm,
consultato
in
data
30
marzo
2013.
165
Anche
questo
indicatore
si
esprime
in
termini
percentuali
e
un
suo
miglioramento
registra
un
andamento
positivo
che
si
riflette
sul
ROI,
al
contrario
un
peggioramento
dell’indice
indica
un
peggioramento
delle
condizioni
di
redditività
e
un
conseguente
peggioramento
anche
del
ROI.
L’indice
di
redditività
delle
vendite
può
assumere
valori
positivi,
negativi
o
anche
pari
a
zero:
• Se
il
ROS
> 0
i
ricavi
coprono
e
superano
i
costi
di
produzione,
i
ricavi
riescono
cioè
a
contribuire
alla
copertura
dei
costi
non
caratteristici
e
producono
anche
un
utile
come
remunerazione
del
capitale
proprio;
• Se
il
ROS
= 0,
i
ricavi
riescono
solo
a
coprire
i
costi
della
gestione
caratteristica;
• Se
il
ROS
< 0
i
ricavi
non
riescono
a
coprire
l’ammontare
dei
costi,
segno
di
crisi
dell’azienda.
Questo
indicatore
aumenta
con
l’aumento
dei
ricavi
e
con
il
diminuire
dei
costi.
I
ricavi
però
possono
aumentare
sia
per
un
incremento
del
volume
delle
vendite
sia
per
un
incremento
dei
prezzi,
che
però
tendenzialmente
causa
una
contrazione
delle
vendite:
bisogna
dunque
analizzare
il
ROS
sempre
insieme
al
tasso
di
rotazione
degli
impieghi.
100
In
generale
si
può
dire
che
un
incremento
del
ROS
e
un
corrispondente
aumento
del
turnover
(o
una
sua
sostanziale
stabilità
rispetto
all’esercizio
precedente)
sono
indice
di
miglioramento
dell’efficienza
aziendale
e
di
diminuzione
dei
suoi
costi.
100
Cfr.
paragrafo
3.8.1.4.
166
Per
quanto
riguarda
il
Gruppo
Ferragamo
si
riportano
di
seguito
i
dati
che
si
riferiscono
agli
esercizi
2012
e
2011.
Tabella 81 -‐ ROS (risultato operativo/ricavi) 2012 e 2011. Fonte: Ferragamo.
Il
ROS
supera
ampiamente
lo
zero,
dunque
l’azienda
ha
una
buona
copertura
dei
costi
attraverso
i
ricavi.
In
particolare
la
redditività
delle
vendite
dell’esercizio
2012
è
in
aumento
rispetto
al
corrispondente
valore
dell’esercizio
2011.
Tabella 82 -‐ Calcolo di ROS 2012 e 2011. Fonte: nostre elaborazioni su dati Ferragamo.
Un
ROS
in
aumento
esprime
dunque
la
capacità
di
Ferragamo
di
ottenere
ricavi
dalla
gestione
tipica
capaci
non
solo
di
coprire
i
costi
operativi,
ma
anche
i
costi
non
caratteristici,
gli
oneri
finanziari
e
straordinari,
riuscendo
anche
a
fornire
un
utile
tale
da
remunerare
il
capitale
proprio.
167
La
rotazione
esprime
dunque
il
numero
di
volte
che
il
capitale
investito
“ritorna”
in
forma
monetaria
tramite
la
produzione
dei
ricavi
di
vendita
durante
un
esercizio,
e
quindi
è
un
indice
di
efficienza
della
gestione
operativa
caratteristica.
Questo
indice
influisce
in
modo
positivo
sul
ROI
quando
aumenta,
mentre
ha
su
di
esso
influenza
negativa
quando
si
registra
un
calo.
Indicando
il
numero
di
volte
che
le
risorse
impiegate
si
rinnovano
tramite
la
produzione
dei
ricavi,
diversamente
dagli
altri
indicatori,
l’indice
si
esprime
in
valore
assoluto
e
non
in
forma
percentuale.
Un
indice
maggiore
di
uno
segnala
che
il
capitale
ritorna
in
forma
monetaria
più
di
una
volta
durante
l’anno
amministrativo;
un
indice
inferiore
a
uno
segnala
invece
che
il
capitale
investito
non
riesce
a
produrre
ricavi
di
vendita,
tali
da
rinnovarlo
completamente
durante
un
esercizio.
168
La
rotazione
dipenderà
quindi
dai
prezzi
di
vendita,
dalle
quantità
vendute,
da
sconti,
abbuoni
e
resi
sulle
vendite,
dal
livello
degli
investimenti
in
attivo
circolante
e
in
attivo
fisso.
Tabella
83
-‐
Calcolo
di
rotazione
2012
e
2011.
Fonte:
nostre
elaborazioni
su
dati
Ferragamo.
Tabella
84
-‐
Calcolo
di
rotazione
in
numero
di
giorni
2012
e
2011.
Fonte:
nostre
elaborazioni
su
dati
Ferragamo.
169
La
rotazione
del
Gruppo
Ferragamo
è
sostanzialmente
stabile
da
un
esercizio
all’altro,
e
insieme
a
un
ROS
in
crescita
(cfr.
paragrafo
3.8.1.3),
configura
una
situazione
positiva
e
in
miglioramento
per
la
redditività
aziendale.
Il
capitale
investito
si
rinnova
tramite
la
produzione
di
ricavi
di
vendita
per
oltre
tre
volte
durante
un
esercizio
(precisamente
ogni
102
giorni
nell’esercizio
2012
e
ogni
101
durante
quello
precedente),
mentre
i
ricavi
coprono
i
costi
operativi,
quelli
non
relativi
alla
gestione
caratteristica,
gli
oneri
finanziari
e
straordinari,
e
riescono
anche
a
remunerare
il
capitale
proprio.
170
Si
tratta
di
indici
che,
facendo
riferimento
al
breve
periodo,
tendono
ad
essere
variabili.
Inoltre
si
calcolano
con
cadenza
annuale,
e
danno
dunque
una
rappresentazione
spesso
solo
parziale
e
incompleta
della
dinamica
aziendale.
Un’azienda
in
equilibrio
generalmente
ha
a
disposizione
una
copertura
dell’Attivo
Corrente
con
fonti
a
lungo
termine,
e
solo
per
una
parte
residuale
dovrebbe
ricorrere
a
mezzi
a
breve
scadenza.
• Il
quoziente
di
disponibilità,
altrimenti
detto
di
liquidità
corrente,
è
un
indice
di
copertura
degli
impegni
finanziari
a
breve
termine.
È
un
indice
che
determina
in
che
misura
gli
investimenti
destinati
a
monetizzarsi
nel
breve
periodo
sono
sufficienti
(o
insufficienti)
ad
assicurare
la
tempestività
nel
pagamento
dei
debiti
a
breve.
È
tendenzialmente
auspicabile
che
il
valore
assunto
dall’indicatore
sia
maggiore
di
uno,
se
non
addirittura
maggiore
di
due.
Qualora
non
sia
così,
si
ritiene
che
l’azienda
sia
incapace
di
far
fronte
ai
propri
debiti
con
i
mezzi
monetari
che
derivano
dal
realizzo
degli
investimenti
correnti:
è
in
altre
parole
incapace
di
far
fronte
ai
pagamenti
a
breve
termine.
Dai
dati
di
bilancio
del
Gruppo
Ferragamo
si
ottengono
i
seguenti
dati.
171
Tabella
85
-‐
Calcolo
dell'Indice
di
disponibilità
2012
e
2011.
Fonte:
nostre
elaborazioni
su
dati
Ferragamo.
Il
Gruppo
non
sembra
dunque
mostrare
problemi
di
solvibilità
a
breve
termine
e
si
può
sostenere
che
gli
investimenti
destinati
a
monetizzarsi
nel
breve
termine
siano
sufficiente
ad
assicurare
un
pagamento
tempestivo
delle
passività
correnti.
Il
numeratore
di
questo
indice
include
le
rimanenze,
che
contribuiscono
pertanto
alla
dinamica
finanziaria
sia
in
modo
diretto
sia
in
via
indiretta.
Nel
primo
caso
si
fa
riferimento
alle
rimanenze
di
prodotti
finiti
che
possono
essere
vendute
direttamente
e
assicurare
quindi
entrate
monetarie;
nel
secondo
caso
ci
si
riferisce
invece
alle
rimanenze
di
prodotti
semilavorati
o
di
materie
prime,
che
quindi
contribuiscono
solo
indirettamente
alla
dinamica
finanziaria.
Il
valore
del
quoziente
risulta
perfettamente
stabile
da
un
esercizio
all’altro:
questo
sta
ad
indicare
che
attività
e
passività
crescono
omogeneamente
e
sostanzialmente
in
modo
stabile.
172
• Il
quoziente
di
tesoreria,
o
di
liquidità
immediate,
è
un
indicatore
che
esprime
la
capacità
aziendale
di
coprire
gli
impegni
finanziari
a
breve
termine,
ovvero
in
che
misura
gli
investimenti
destinati
a
trasformarsi
in
moneta
in
modo
più
veloce
e
semplice
nel
breve
periodo,
nonché
le
scorte
liquide,
siano
o
meno
sufficienti
per
assicurare
il
pagamento
tempestivo
delle
passività
correnti.
La
differenza
rispetto
all’indice
di
disponibilità
risiede
nel
fatto
che
questo
indicatore
non
tiene
conto
delle
rimanenze
al
numeratore.
Si
considera
soddisfacente
un
indice
che
assuma
quanto
più
possibile
valore
vicino
all’unità.
Nel
caso
in
cui
il
valore
assunto
dall’indice
fosse
inferiore,
l’azienda
avrebbe
a
che
fare
con
problemi
di
solvibilità
nel
breve
periodo.
173
Tabella
86
-‐
Calcolo
dell'Indice
di
liquidità
2012
e
2011.
Fonte:
nostre
elaborazioni
su
dati
Ferragamo.
174
3.8.3.1
Indice
di
copertura
del
Patrimonio
Netto
sull’Attivo
Immobilizzato
Questo
indicatore
fornisce
informazioni
sulla
capacità
dei
capitali
apportati
dai
soci
o
dai
terzi
di
coprire
la
necessità
di
investimenti
in
immobilizzazioni.
Si
ottiene
rapportando
due
grandezze
provenienti
dallo
Stato
Patrimoniale
e
permette
di
valutare
quanto
un’impresa
sia
effettivamente
in
grado
di
coprire
i
costi
degli
investimenti
attraverso
il
capitale
proprio
e
dunque
la
sua
indipendenza
dal
punto
di
vista
finanziario.
L’indice
rapporta
il
valore
dei
mezzi
propri
al
totale
delle
immobilizzazioni
attive.
I
dati
di
bilancio
del
Gruppo
Ferragamo
indicano:
Tabella
87
-‐
Calcolo
dell'Indice
di
copertura
delle
Immobilizzazioni
2012
e
2011.
Fonte:
nostre
elaborazioni
su
dati
Ferragamo.
175
Si
può
dunque
concludere
che
l’azienda
si
trova
in
una
situazione
soddisfacente,
essendo
in
grado
di
autofinanziare
le
immobilizzazioni
tecniche
e
finanziarie.
È
dunque
un’azienda
solida
dal
punto
di
vista
patrimoniale.
Maggiore
è
il
valore
dell’indice,
tanto
più
l’impresa
è
in
grado
di
autofinanziarsi,
senza
ricorrere
a
fonti
di
finanziamento
esterno.
Si
considera
generalmente
buono
un
quoziente
che
si
colloca
tra
il
33%
e
il
55%,
molto
buono
se
supera
il
66%.
Per
quanto
riguarda
il
Gruppo
Ferragamo,
dai
dati
di
bilancio
osserviamo
che
l’indice
di
autonomia
finanziaria
aumenta
dall’esercizio
101
Dato
che
l’impresa
ha
sempre
un
capitale
minimo,
è
evidente
che
l’indice
non
assumerà
mai
un
valore
esattamente
uguale
a
0,
mentre
potrà
assumere
valore
pari
a
1
qualora
l’impresa
sia
finanziata
interamente
con
il
Patrimonio
Netto.
176
2011
a
quello
2012
–
in
seguito
all’incremento
che
il
capitale
proprio
ha
subito
nel
corso
dell’esercizio
(+26,4%)
–
raggiungendo
un
valore
che
sfiora
il
40%.
Questo
indica
che
Ferragamo
riesce
ad
autofinanziarsi
per
una
buona
parte,
ricorrendo
per
il
resto
a
finanziamenti
esterni.
Tabella
88
-‐
Calcolo
dell'Indice
di
Autonomia
finanziaria
2012
e
2011.
Fonte:
nostre
elaborazioni
su
dati
Ferragamo.
177
Si
considera
generalmente
molto
buono
un
quoziente
inferiore
al
33%,
soddisfacente
se
compreso
tra
il
33%
e
il
55%.
La
situazione
è
da
tenere
sotto
controllo
se
l’indice
dovesse
trovarsi
sopra
il
66%.
Tabella
89
-‐
Calcolo
dell'Indice
di
Dipendenza
finanziaria
2012
e
2011.
Fonte:
nostre
elaborazioni
su
dati
Ferragamo.
Come
già
anticipato
dal
paragrafo
precedente,
il
capitale
di
terzi
costituisce
parte
importante
dell’intero
capitale
aziendale,
contribuendo
per
quasi
il
61%
per
l’esercizio
2012.
178
delle
fonti
di
finanziamento
in
termini
di
rapporto
tra
i
mezzi
messi
a
disposizione
dai
terzi
e
il
capitale
proprio.
È
chiaro
quindi
come
un
basso
rapporto
di
indebitamento
(compreso
tra
lo
0
e
lo
0,8)
sia
sintomo
di
una
situazione
finanziaria
favorevole,
con
limitato
ricorso
all’indebitamento
e
dunque
poco
rischiosa
per
l’azienda.102
Dai
dati
di
bilancio
del
Gruppo
Salvatore
Ferragamo
possiamo
vedere
che
l’indice
si
attesta
sui
seguenti
valori:
Tabella
90
-‐
Calcolo
del
Rapporto
di
indebitamento
2012
e
2011.
Fonte:
nostre
elaborazioni
su
dati
Ferragamo.
I
dati
qui
sopra
riportati
confermano
quanto
rilevato
nei
paragrafi
3.7.3.2
e
3.7.3.3:
l’autonomia
finanziaria
del
Gruppo
è
aumentata
dall’esercizio
2011
a
quello
2012,
e
la
dipendenza
finanziaria
è
102
Questo
indice
deve
comunque
essere
valutato
in
relazione
ad
altri
indici,
per
179
congiuntamente
diminuita.
Di
conseguenza
è
chiaro
come
anche
la
leva
finanziaria
qui
sopra
riportata,
evidenzi
questa
variazione,
con
il
decremento
del
valore
nell’esercizio
conclusosi
il
31
dicembre
2012.
Entrambi
i
valori
sono
comunque
ancora
superiori
a
2,
dunque
l’azienda
ha
debiti
maggiori
rispetto
al
valore
del
capitale
proprio.
Dai
dati
di
bilancio
forniti
dal
Gruppo,
si
possono
ricavare
i
seguenti
valori
di
elasticità
degli
impieghi
e
delle
fonti:
180
Tabella
91
-‐
Calcolo
dell'elasticità
degli
impieghi
2012
e
2011.
Fonte:
nostre
elaborazioni
su
dati
Ferragamo.
Tabella
92
-‐
Calcolo
dell'elasticità
delle
fonti
2012
e
2011.
Fonte:
nostre
elaborazioni
su
dati
Ferragamo.
Il
Gruppo
presenta
già
una
buona
elasticità
degli
impieghi
nel
2011,
in
crescita
nell’esercizio
2012.
181
Dai
dati
di
bilancio
del
Gruppo
Ferragamo
si
calcolano
i
seguenti
valori
per
i
due
indici,
a
proposito
degli
esercizi
2012
e
2011:
182
Tabella
93
-‐
Calcolo
della
rigidità
degli
impieghi
e
delle
fonti
2012
e
2011.
Fonte:
nostre
elaborazioni
su
dati
Ferragamo.
L’indice
di
rigidità
degli
impieghi,
che
esprime
la
percentuale
di
impieghi
a
lungo
termine
rispetto
al
totale
degli
impieghi,
dimostra
che
Ferragamo
ha
una
struttura
degli
impeghi
abbastanza
elastica:
il
valore
della
rigidità
degli
impieghi
per
entrambi
gli
esercizi
presi
in
esame
si
assesta
su
valori
intorno
al
30%
ed
è
in
diminuzione
nell’esercizio
2012.
Come
si
nota
facilmente,
i
valori
trovati
sono
esattamente
complementari
a
quelli
indicati
nel
paragrafo
precedente.
183
Dall’analisi,
pur
abbastanza
sintetica,
fin
qui
condotta
emerge
chiaramente
come
Ferragamo
sia
un’azienda
forte,
soprattutto
grazie
alla
propria
presenza
sul
mercato
internazionale.
Il
successo
–
per
non
dire
la
sopravvivenza
stessa
–
delle
aziende
di
moda,
dipende
in
maniera
ormai
imprescindibile
dalla
capacità
di
mantenere
una
posizione
forte
sul
mercato
internazionale.
L’internazionalizzazione
delle
aziende,
in
particolare
di
quelle
del
sistema
moda
italiano,
è
quindi
ormai
l’unica
strategia
possibile
per
uscire
dalla
crisi.
Questo
non
riguarda
solo
le
aziende
che
hanno
raggiunto
già
una
dimensione
produttiva
e
di
mercato
relativamente
grande,
ma
è
cruciale
soprattutto
per
le
piccole
e
medie
imprese,
che
sembrerebbero
invece
tipicamente
adatte
ad
operare
in
uno
scenario
competitivo
locale.
Nonostante
il
forte
legame
con
il
territorio
d’origine,
queste
imprese
sono,
infatti,
ormai
coinvolte
in
un
sistema
integrato
di
dimensione
sovranazionale.103
I
consumi
interni
sono
calati
del
5,1%
a
12
miliardi
di
Euro
mentre
il
fatturato
2012
dell’industria
italiana
della
moda
femminile
è
calata
dello
0,7%
a
12,2
miliardi
di
Euro
rispetto
all’anno
2011,
questo
secondo
i
dati
di
preconsuntivo
forniti
da
Sistema
Moda
Italia
(SMI)
per
Super,
rassegna
di
moda
fieristica
che
si
è
svolta
a
Milano
del
23
al
25
febbraio
scorso.104
Anche
i
dati
confermano
che
i
mercati
di
maggiore
riferimento
sono
ormai
Russia,
Stati
Uniti,
Giappone
e
Cina.
103
FONTANA
F.,
SILVESTRELLI
S.,
“Prefazione”
in
CAROLI
M.
G.,
FRATOCCHI
L.
moda.
Al
via
le
sfilate
di
Milano,
Moda
24,
Il
Sole
24
ore,
20
febbraio
2013,
disponibile
all’indirizzo:
www.moda24.ilsole24ore.com/art/industria-‐finanza/2013-‐02-‐
20/consumi-‐interni-‐picco-‐obbligano-‐092833.php,
consultato
in
data
19
marzo
2013.
184
I
consumatori
asiatici
in
particolare
sembrano
continuare
a
trainare
i
consumi
anche
nel
2013,
specialmente
attraverso
il
turismo:
in
Europa
i
turisti
provenienti
dalla
Cina
spendono
per
lo
shopping
19
miliardi
di
euro,
seguiti
dagli
asiatici
con
7
miliardi
e
dagli
americani
con
4.105
Le
imprese
del
Lusso
italiano
dovranno
essere
quindi
sempre
più
abili
a
bilanciare
la
propria
geografia
delle
vendite,
per
evitare
di
essere
troppo
esposte
alle
oscillazioni
dei
singoli
mercati,
e
dovranno
inoltre
dotarsi
delle
risorse
finanziarie
necessarie
per
cogliere
le
opportunità
che
un
mercato
globale
è
in
grado
di
offrire.106
Salvatore
Ferragamo
è
un
valido
esempio
di
successo
di
questo
tipo
di
strategia.
Pur
fatturando
1153
milioni
di
Euro
e
diversificando
sia
la
propria
presenza
geografica,
sia
il
modo
di
diffusione
nei
vari
mercati,
è
riuscito
a
mantenere
ancora
lo
spirito
delle
piccole
imprese
artigiane
tipiche
del
Made
in
Italy,
restando
anche
saldamente
in
mano
agli
eredi
del
suo
fondatore.
Il
Made
in
Italy,
specialmente
nell’industria
della
moda
di
lusso,
continua
ad
affascinare
gli
occhi
del
mondo,
racconta
la
creatività,
la
qualità,
il
“saper
fare”
che
sta
dietro
alla
manifattura,
l’abilità
degli
artigiani
che
lavorano,
meraviglia
chi
osserva,
gratifica
chi
acquista.
È
un
valore
da
preservare
e
da
incrementare,
è
la
chiave
del
successo
per
le
nostre
imprese.
105
Dati
contenuti
nel
report
“All
about
China”,
a
cura
di
Luca
Solca,
Paola
Bertini
e
Hui
Fan
per
Exane
Bnp
Paribas;
Cfr.
BOTTELLI
P.,
Tra
moda
e
lusso
in
Europa
i
cinesi
spendono
19
miliardi,
Moda
24,
Il
Sole
24
ore,
15
marzo
2013,
disponibile
all’indirizzo:
www.moda24.ilsole24ore.com/art/industria-‐finanza/2013-‐03-‐14/moda-‐lusso-‐
europa-‐cinesi-‐181241.php,
consultato
in
data
25
marzo
2013.
106
PAMBIANCO
NEWS,
L’Asia
e
il
lusso
italiano
dominano
i
listini
nel
2012,
8
185
CAPITOLO
4
già
detto,
il
mercato
tedesco
e
quello
statunitense,
ai
quali
si
sono
poi
aggiunti
quello
francese,
la
Russia,
il
Giappone
e
la
Cina.
108
Dal
1998
Rivamonti
S.p.A..
186
Nel
1992,
attraverso
l’acquisto
da
parte
di
Cucinelli
di
una
partecipazione
in
Gunex
S.r.l.,
l’offerta
di
prodotti
si
estese
anche
a
pantaloni
e
gonne
per
donna
a
marchio
Gunex.
109
Dal
2011
la
partecipazione
in
Gunex
è
pari
al
100%.
Il
primo
negozio
monomarca
in
franchising
fu
aperto
solo
nel
1994
a
Porto
Cervo,
in
contemporanea
con
il
lancio
della
prima
collezione
uomo
a
marchio
Brunello
Cucinelli,
al
quale
seguì
nel
1998
il
monomarca
in
franchising
di
Capri
e
nel
2002
quello
di
Saint
Tropez.
Con
l’obiettivo
di
fornire
un’offerta
total
look,
cioè
una
linea
di
prodotti
completa,
comprensiva
di
capi
di
abbigliamento
e
accessori,
nel
2002
iniziò
la
produzione
di
capispalla
per
uomo
e
nel
2003
quella
di
capispalla
per
donna.
Pur
restando
l’attività
incentrata
sulla
produzione
di
maglieria
in
cashmere,
si
volevano
sviluppare
competenze
interne
per
la
realizzazione
di
nuovi
prodotti
(camicie
per
uomo
e
donna,
accessori,
sciarpe,
borse)
che
completassero
le
collezioni
dei
capi
in
maglieria,
senza
concedere
a
terzi
licenze
per
l’uso
dei
propri
marchi.
Nel
2005
la
strategia
di
sviluppo
del
Gruppo
ha
portato
all’apertura
di
negozi
monomarca
sia
in
franchising
sia
DOS,
espandendosi
ulteriormente
sia
in
Italia
sia
all’estero.
Le
azioni
della
società
sono
negoziate
sul
Mercato
Telematico
Azionario
organizzato
e
gestito
da
Borsa
Italiana
S.p.A.
dal
27
aprile
2012,
in
risposta
alla
volontà
del
Gruppo
di
acquisire
lo
status
di
società
quotata
così
da
poter
raggiungere
maggiore
visibilità
sul
mercato
di
riferimento
e
accrescere
la
capacità
di
accesso
ai
mercati
di
capitale.
In
particolare,
il
Gruppo
intende
consolidare
la
propria
posizione
nell’ambito
del
mercato
del
lusso,
incrementando
i
canali
di
distribuzione
e
ampliando
la
propria
presenza
sul
territorio
mondiale.
109
Dal
1999
Gunex
S.p.A..
187
Il
Gruppo
non
è
attivo
esclusivamente
nell’ambito
strettamente
aziendale,
ma
è
molto
sensibile
anche
all’importanza
della
conservazione
del
patrimonio
storico
artistico
e
della
tutela
paesaggistica
e
ambientale
ed
è
attivo
in
ambito
culturale
e
sociale.
Per
quanto
riguarda
la
conservazione
del
patrimonio
artistico,
dalla
prima
metà
degli
anni
Ottanta
Brunello
Cucinelli
ha
avviato,
in
collaborazione
con
istituzioni
e
organizzazioni
pubbliche,
una
vasta
opera
di
riqualificazione
del
borgo
di
Solomeo,
attraverso
il
restauro
e
l’adeguamento
funzionale
del
castello
medievale,
di
Villa
Antinori
e
di
edifici,
vie,
piazze,
giardini,
spazi
pubblici
e
costruzioni
adiacenti
al
centro
storico.
Sta
inoltre
finanziando
i
lavori
di
restauro
dell’Arco
Etrusco
di
Perugia,
comune
di
cui
fa
parte
Solomeo.110
Per
quanto
riguarda
invece
l’attività
culturale,
Brunello
Cucinelli
ha
inaugurato
nel
2008
il
Teatro
Cucinelli,
che
ospita
ogni
anno
stagioni
di
musica,
prosa
e
balletto.
Il
progetto
del
Teatro
vuole
ispirarsi
al
ginnasio
dell’Antica
Grecia,
nel
quale
i
giovani
si
esercitavano
nella
ginnastica
e
venivano
istruiti
nella
musica,
nella
filosofia
e
nelle
lettere.
Il
Teatro
fa
parte
del
complesso
denominato
“Foro
delle
Arti”,
che
rappresenta
un
luogo
d’incontro,
di
creatività
e
cultura.
Del
Foro
fanno
anche
parte
un
anfiteatro
e
un
giardino
pensile
detto
“Giardino
dei
Filosofi”.
Nel
2010
è
stata
inaugurata
l’Accademia
Neoumanistica,
al
cui
interno
c’è
anche
la
Biblioteca
Neoumanistica,
che
contiene
testi
originali
nelle
discipline
storiche,
artistiche
e
filosofiche
di
varie
culture
mondiali.
All’interno
dell’Accademia
si
svolgono
corsi
di
formazione
culturale
e
manuale,
riunioni
di
lavoro
e
corsi
di
aggiornamento
professionale.
110
Si
veda
UMBRIA
24,
Arco
etrusco,
arriva
l’ufficialità:
da
Brunello
Cucinelli
1,1
188
Nel
2012
è
stata
inoltre
creata
la
Fondazione
Brunello
Cucinelli111 ,
finalizzata
ad
iniziative
di
tipo
culturale,
relative
all’ambito
umanistico
ed
etico,
con
pubblicazione
di
saggi
e
studi
specialistici,
istituzione
di
borse
di
studio,
corsi
di
aggiornamento
e
di
formazione
culturale.
Cucinelli,
in
un’intervista
a
Marie
Claire
del
16
aprile
2012112,
a
proposito
delle
ragioni
alla
base
dell’approdo
a
Piazza
Affari
sostiene
che
le
aziende
non
si
ereditano
e
nemmeno
la
capacità
di
fare
impresa,
per
cui
non
è
detto
che
chi
eredita
un’azienda
sia
in
grado
di
amministrarla.
Si
ha
quindi
il
dovere
di
immaginare
come
la
propria
azienda
possa
vivere
nel
futuro,
anche
quando
non
ci
sarà
più
chi
l’ha
fondata.
L’imprenditore
deve
chiedersi
se
si
sente
più
custode
o
proprietario
di
quello
che
ha,
e
se
si
sente
più
custode
invece
che
padrone,
può
rendere
quasi
eterna
qualunque
cosa,
poiché
in
questo
caso
preferirà
restaurare
invece
che
costruire,
poiché
penserà
in
una
prospettiva
diversa,
mediterà
sul
concetto
di
abbellimento
dell’umanità.
Concetto
questo,
che
riprende
da
Marco
Aurelio,
“Vivi
come
se
fosse
l’ultimo
giorno,
progetta
come
se
avessi
davanti
l’eternità”.
Le
industrie
dovrebbero
dunque
fare
programmi
di
sviluppo
che
guardano
a
un
futuro
lontanissimo.
Cucinelli
si
definisce
un
Umanista
che
crede
in
un
nuovo
Rinascimento,
ma
in
quanto
industriale
non
può
non
avere
fiducia
nel
Capitalismo:
ci
si
chiede
come
possa
dunque
conciliare
l’aspirazione
al
profitto
con
l’ideale
di
etica,
dignità
e
morale.
Egli
sostiene
che
nonostante
si
dica
che
i
suoi
capi
siano
cari,
essi
siano
invece
“costosi”,
perché
riconoscono
l’opera
di
chi
ci
ha
lavorato.
Fossero
semplicemente
cari,
significherebbe
che
qualcuno
ne
ha
approfittato.
Per
111 informazioni
sulla
Fondazione,
si
veda
l’indirizzo
www.brunellocucinelli.com/it/la-‐fondazione/la-‐fondazione.
112
Per
l’intervista
a
Cucinelli
si
veda
MANCINELLI
A.,
Conciliare
il
lusso
e
la
189
Perché
dunque
Cucinelli
ha
deciso
di
quotarsi
in
Borsa?
Perché
in
Italia
il
90%
delle
imprese
familiare
muore
con
il
loro
fondatore,
e
Cucinelli
non
vuole
che
questo
succeda
alla
sua.
Figura 15 -‐ Organigramma del Gruppo Brunello Cucinelli S.p.A. Fonte: Cucinelli.
190
Il
Gruppo
è
uno
dei
principali
player
del
settore
dei
beni
di
lusso113 ,
attivo
nella
creazione
artigianale
(design),
produzione
e
vendita
di
collezioni
di
capi
di
abbigliamento
e
accessori
di
lusso.
Il
marchio
113
I
prodotti
Cucinelli
si
collocano
nel
segmento
del
cosiddetto
lusso
assoluto,
uno
delle
categorie
di
mercato
in
cui
il
lusso
può
essere
suddiviso.
Danielle
Allérès
(Cfr.
ALLERES
D.,
Luxe…:
strategies
–
marketing,
Parigi,
Economica,
1997),
infatti,
ha
proposto
una
struttura
piramidale
per
la
definizione
delle
categorie
del
lusso.
Al
primo
posto
si
trova
il
lusso
inaccessibile,
seguito
dal
lusso
intermedio
e
infine
dal
lusso
accessibile:
• Il
lusso
inaccessibile
(absolute
o
super
lusso)
è
rappresentato
da
prodotti
disponibili
in
serie
molto
limitata
o
addirittura
da
pezzi
unici,
realizzati
su
misura,
caratterizzati
da
elevata
qualità
ed
artigianalità,
distribuiti
in
modo
molto
esclusivo
o
altamente
selettivo
e
a
prezzi
insostenibili
per
la
maggior
parte
dei
potenziali
consumatori.
Appartengono
a
questa
categoria
i
prodotti
di
haute
couture
e
i
gioielli
di
lusso.
• Il
lusso
intermedio
(aspirational)
comprende
prodotti
meno
ricercati,
non
personalizzati,
disponibili
a
prezzi
molto
elevati
e
a
distribuzione
comunque
limitata
e
molto
selezionata.
Il
livello
qualitativo
rimane
comunque
altissimo,
la
riconoscibilità
e
l’identificabilità
del
marchio
rivestono
un
ruolo
fondamentale.
In
questa
categoria
rientra
il
lusso
aspirazionale,
attraverso
il
quale
il
consumatore
riesce
contemporaneamente
a
differenziarsi
e
a
riconoscersi.
In
questa
categoria
si
collocano
il
prêt-‐à-‐porter
e
le
calzature.
• Il
lusso
accessibile
(accessible)
è,
infine,
la
categoria
che
comprende
prodotti
il
cui
design
(di
buona
qualità
ma
prodotto
su
larga
scala)
e
il
prezzo
(più
appetibile),
consentono
ad
una
platea
molto
più
ampia
di
potenziali
consumatori
di
accedervi.
L’acquisto
di
prodotti
appartenenti
a
questa
categoria
garantisce
senso
di
appartenenza
al
consumatore.
Fanno
parte
di
questa
categoria
profumi
e
occhiali.
Nueno
e
Quelch
(1998)
propongono
una
distinzione
simile,
dividendo
i
beni
di
lusso
in
tre
categorie:
1.
le
marche
a
notorietà
limitata,
dedicate
ad
un
mercato
di
nicchia,
molto
sofisticato
ed
esclusivo;
2.
I
prodotti
della
tradizione
del
lusso,
venduti
a
prezzi
elevati
e
dunque
distribuiti
limitatamente
ad
una
fascia
di
mercato
ristretta;
3.
I
beni
diffusi
in
categorie
di
prodotto
di
minor
livello,
disponibili
ad
un
mercato
di
massa,
sia
per
il
prezzo
inferiore
sia
per
la
più
ampia
distribuzione.
Anche
Kapferer
(1997)
propone
una
triplice
categorizzazione
del
lusso:
1.
La
griffe;
2.
La
marca
di
lusso;
3.
I
prodotti
di
alta
gamma.
Le
caratteristiche
sono
pressoché
le
stesse
individuate
dagli
autori
sopra
citati.
Si
vedano
NUENO
J.L.,
QUELCH
J.
A.,
“The
Mass
marketing
of
Luxury”,
in
Business
Horizon,
november-‐december
1998,
pp.
62-‐63
e
KAPFERER
J.
N.,
Strategic
Brand
Management,
Kogan
page,
2nd
edition,
London,
1997;
Cfr.
BRIOSCHI
A.,
Comunicare
il
lusso.
Congresso
internazionale
“Le
tendenze
del
Marketing”,
Università
Ca’
Foscari
Venezia,
24
novembre
2000
e
AIELLO
G.,
DONVITO
R.,
L’evoluzione
del
concetto
di
lusso
e
la
gestione
strategica
della
marca.
Un’analisi
qualitativa
delle
percezioni
sul
concetto,
sulla
marca
e
su
un
prodotto
di
lusso.
Congresso
internazionale
“Le
tendenze
del
Marketing”,
Università
Ca’
Foscari
Venezia,
20-‐21
gennaio
2006.
191
Brunello
Cucinelli
è,
infatti,
uno
dei
marchi
più
esclusivi
della
moda
casual-‐chic
di
lusso.
La
linea
di
prodotti
realizzata
dalla
Società
comprende
l’intera
gamma
di
capi
di
abbigliamento
per
uomo
e
per
donna,
in
particolare
maglieria
in
cashmere,
capispalla,
pantaloni
e
gonne,
camiceria,
t-‐
shirteria,
abiti
da
uomo,
abiti
da
donna,
pelletteria,
abbigliamento
per
lo
sport,
ma
anche
una
linea
di
accessori
(in
particolare
borse,
scarpe,
gioielli,
cinture,
sciarpe,
cappelli
e
portafogli).
Brunello
Cucinelli
rappresenta
un
vero
e
proprio
esempio
di
Made
in
Italy,
basato
sull’attività
di
oltre
trecento
micro-‐imprese
artigianali
indipendenti,
altamente
qualificate
e
fidelizzate,
la
maggior
parte
delle
quali
localizzata
in
Umbria.114
Il
successo
dell’azienda
è
legato
proprio
all’associazione
delle
competenze
di
queste
imprese
con
le
maestranze
interne
all’azienda
e
al
continuo
scambio
di
informazioni
tra
gli
oltre
330
façonisti115
e
la
società.
Il
processo
produttivo
si
svolge
interamente
in
Italia,
articolato
in
diverse
fasi
che
si
svolgono
sotto
il
controllo
di
qualità
della
Società.
L’attività
imprenditoriale
del
Gruppo
è
pervasa
da
una
vocazione
etica
e
umanistica,
basata
su
valori
come
la
dignità
dell’uomo
e
del
lavoro,
che
associano
l’efficienza
aziendale
alla
missione
sociale.
Lo
sviluppo
aziendale
è
indissolubilmente
legato
alla
grande
attenzione
per
la
qualità
114
Le
materie
prime
di
cui
la
Società
si
avvale
per
la
produzione
sono
acquistate
esclusivamente
da
fornitori
italiani,
ad
eccezione
solo
del
denim,
che
viene
acquistato
direttamente
in
Giappone.
I
principali
fornitori
sono
Cariaggi
Lanificio
S.p.A.,
Loro
Piana
S.p.A.
e
Filati
Biagioli
Modesto
S.p.A..
115
Per
façonisti
si
intendono
produttori
terzi
rispetto
al
Gruppo,
artigiani
192
della
vita
e
per
il
capitale
umano
dell’impresa,
nonché
allo
sviluppo
socio-‐
economico
e
al
rispetto
e
all’integrazione
con
il
territorio.116
Brunello
Cucinelli
effettua
l’attività
di
vendita
dei
propri
prodotti
attraverso:
• Il
canale
retail,
che
comprende
i
negozi
monomarca
(DOS)117 ,
gli
outlet
gestiti
dal
Gruppo
e
la
boutique
online;
• Il
canale
wholesale
monomarca,
che
fa
riferimento
alle
boutique
monomarca.
Storicamente
queste
sono
gestite
in
franchising,
tramite
rapporti
commerciali
consolidati
con
partner
locali;
Figura
16
-‐
Totale
punti
vendita
monobrand
al
31
dicembre
2012,
al
31
dicembre
2011
e
al
31
dicembre
2010.
Fonte:
Cucinelli.
• Il
canale
wholesale
multimarca,
che
comprende
750
clienti
multimarca
selezionati,
per
un
totale
di
circa
1000
porte.
Inclusi
in
questa
categoria
sono
i
department
store
più
116
Brunello
Cucinelli
il
26
novembre
2012
ha
annunciato
che
i
5
milioni
di
Euro
di
utili
conseguiti
nell’esercizio
sarebbero
stati
divisi
tra
i
propri
783
dipendenti,
per
un
totale
di
6385
euro
ciascuno.
117
Tra
i
negozi
monomarca
gestiti
direttamente
ci
sono
quelli
di
New
York,
East
193
prestigiosi
del
mondo,
che
dedicano
al
marchio
spazi
sempre
più
importanti.118
Cucinelli
alla
data
del
31
dicembre
2011
era
presente
complessivamente
in
53
Paesi
del
mondo,
attraverso
una
rete
di
23
DOS,
39
negozi
monomarca
in
franchising 119 ,
e
di
oltre
1000
negozi
multimarca.
Figura
17
-‐
DOS
e
Punti
vendita
Wholesale
monomarca
al
31
dicembre
2012
e
la
loro
localizzazione
geografica.
Fonte:
Cucinelli.
118
Tipologia
di
negozio
multimarca
indipendente
rispetto
al
Gruppo.
In
particolare
si
tratta
di
un
grande
magazzino
suddiviso
internamente
in
reparti
dedicati
alla
vendita
di
beni
di
diversa
tipologia
e
di
diversi
brand.
119
I
negozi
monomarca
in
franchising
sono
siti
nelle
principali
città
italiane
e
straniere
e
nelle
località
e
nei
resort
più
esclusivi,
tra
cui
Londra,
Mosca,
San
Pietroburgo,
Cortina,
Porto
Cervo,
Saint
Tropez
e
Sylt.
194
A
partire
dall’esercizio
2011
inoltre,
il
Gruppo
si
serve
della
boutique
monomarca
online
per
la
vendita
dei
prodotti
a
marchio
Brunello
Cucinelli.120
Alla
data
del
31
dicembre
2012
la
rete
di
vendita
ha
visto
il
passaggio
a
81
boutique
monomarca,
sia
dirette
sia
wholesale,
in
aumento
rispetto
alle
62
unità
del
2011.
In
particolare
il
canale
retail
è
rappresentato
da
46
DOS,
in
aumento
rispetto
alle
23
unità
dell’esercizio
2011.
L’aumento
di
23
unità
comprende
24
aperture
(di
cui
9
sono
conversioni
da
wholesale
monomarca
e
15
sono
effettivi
nuovi
punti
vendita)
e
la
chiusura
del
negozio
sito
nell’aeroporto
di
Milano
Malpensa,
avvenuta
in
data
31
gennaio
2012.
Il
wholesale
monobrand
diminuisce
invece
di
4
unità,
passando
da
39
nell’esercizio
2011
a
35
nell’esercizio
2012.
Questa
variazione
può
essere
ricondotta
in
parte
al
passaggio
di
alcuni
punti
vendita
wholesale
a
DOS
(9
unità)
e
in
parte
all’apertura
di
5
nuovi
punti
vendita.
Complessivamente
quindi
il
totale
dei
punti
vendita
monobrand
è
aumentato
di
19
unità
al
31
dicembre
2012.
120
In
data
19
gennaio
2011
la
Brunello
Cucinelli
S.p.A.
ha
stipulato
con
YOOX
195
Il
Gruppo
intende
nei
prossimi
anni
ampliare
ulteriormente
la
propria
rete
di
distribuzione
nei
mercati
internazionali.
È
interessante
notare
come
il
mercato
in
cui
opera
il
Gruppo
sia
un
mercato
particolare,
dominato
da
fenomeni
di
stagionalità
che
hanno
evidentemente
un
forte
impatto
sui
risultati
economici.
Innanzitutto
la
stagionalità
può
essere
ricollegata
alle
modalità
di
vendita
proprie
dei
canali
distributivi
wholesale
monomarca
e
wholesale
multimarca:
i
ricavi
si
concentrano,
infatti,
nel
primo
e
nel
terzo
trimestre
di
ogni
esercizio,
in
corrispondenza
della
presentazione
rispettivamente
della
collezione
primavera-‐estate
(gennaio-‐marzo)
e
di
quella
autunno-‐
inverno
(luglio-‐settembre).
In
secondo
luogo
si
può
notare
come
invece
per
quanto
concerne
il
canale
retail,
le
vendite
di
prodotti
a
marchio
Cucinelli
si
concentrino
soprattutto
nell’ultimo
trimestre
di
ogni
esercizio,
periodo
durante
il
quale
si
vendono
principalmente
i
prodotti
dal
valore
unitario
più
elevato.
121
L’area
denominata
Greater
China
comprende
la
Cina
continentale,
Hong
Kong,
Macao
e
Taiwan.
196
Tabella
94
-‐
Ricavi
per
area
geografica
al
31
dicembre
2012
e
al
31
dicembre
2011.
Fonte:
Cucinelli.
Figura 18 -‐ Ricavi suddivisi per area geografica 2012 e 2011. Fonte: Cucinelli.
• Italia:
i
ricavi
provenienti
dall’Italia
scendono
a
68,6
milioni
di
Euro
e
rappresentano
il
24,6%
del
totale
dei
ricavi,
in
calo
rispetto
al
30,8%
conseguito
nell’esercizio
2011.
Il
dato
rispecchia
l’apporto
positivo
generato
dal
flusso
dei
turisti
stranieri
in
visita
nelle
principali
città
e
nei
resort.
• Europa:
il
contributo
dato
dalle
vendite
a
livello
europeo
vale
il
32,2%
dei
ricavi
totali,
in
aumento
del
20,4%
rispetto
all’esercizio
precedente.
L’incremento
dei
ricavi
europei
in
valore
assoluto
è
pari
a
15,2
milioni
di
Euro,
che
segnano
il
passaggio
dai
74,7
milioni
di
Euro
del
2011
agli
89,9
milioni
di
Euro
del
2012.
In
particolare
l’incremento
è
dovuto
alle
ottime
performances
ottenute
in
Russia
e
nei
paesi
dell’Europa
Orientale,
legate
principalmente
all’incremento
197
del
numero
dei
negozi
del
canale
wholesale
monomarca
e
multimarca
in
quella
zona.
• Stati
Uniti:
i
ricavi
provenienti
dall’area
nord
americana
rappresentano
il
31,7%
del
totale
dei
ricavi,
in
crescita
del
28,4%
rispetto
all’esercizio
precedente,
passando
dai
69
milioni
di
Euro
del
2011
agli
88,5
milioni
di
Euro
del
2012.
• Greater
China:
per
quanto
riguarda
la
zona
denominata
“Greater
China”,
i
ricavi
si
avvicinano
al
4%
del
totale,
in
leggera
crescita
rispetto
all’esercizio
2011.
Essi
ammontano
a
10,3
milioni
di
Euro,
in
aumento
del
21%
rispetto
agli
8,5
milioni
di
Euro
del
2011.
Dal
1°
ottobre
2012
6
negozi
del
canale
wholesale
monobrand
sono
stati
convertiti
in
DOS,
e
questo
ha
chiaramente
avuto
risvolti
sui
risultati
annuali:
solo
nel
primo
semestre
del
2013
si
potrà
vedere
il
contributo
di
questi
punti
vendita
convertiti
sul
fatturato.
• Resto
del
mondo:
i
ricavi
netti
del
Resto
del
Mondo
crescendo
del
40,0%
durante
l’esercizio
2012,
confermano
il
trend
positivo
di
crescita,
passando
da
15,6
milioni
di
Euro
a
21,9
milioni
di
Euro
nel
2012.
Sicuramente
contribuisce
all’ottenimento
di
questo
risultato
l’apporto
positivo
delle
vendite
in
Giappone
e
Corea.
198
che
incidono
per
il
60,8%
sul
totale,
in
aumento
del
5%
rispetto
all’esercizio
2011.
Tabella
95
-‐
Ricavi
per
canale
distributivo
al
31
dicembre
2012
e
al
31
dicembre
2011.
Fonte:
Cucinelli.
Figura 19 -‐ Ricavi suddivisi per canale distributivo 2012 e 2011. Fonte: Cucinelli.
199
vendita
siano
in
crescita
continua
da
un
esercizio
all’altro,
evidenziando
variazioni
in
aumento
del
73%
nel
2010
rispetto
al
2009
e
del
59,7%
nel
2011
rispetto
al
2010.
Come
già
detto
in
precedenza,
il
trend
positivo
è
confermato
anche
dai
dati
2012,
con
un
aumento
quasi
del
43%
nel
2012
rispetto
al
2011.
Tabella
96
-‐
Dettaglio
della
composizione
dei
Ricavi
netti
derivanti
dal
canale
Retail
del
Gruppo
per
gli
esercizi
2011,
2010,
2009
suddivisi
per
area
geografica.
Fonte:
Cucinelli.
200
rispetto
al
2009
e
del
36,5%
nel
2011
rispetto
al
2010.
Come
già
anticipato,
il
trend
positivo
si
conferma
anche
nel
2012,
con
un
aumento
di
oltre
il
20%
nel
2012
rispetto
al
2011.
Tabella
97
-‐
Dettaglio
della
composizione
dei
Ricavi
netti
derivanti
dal
canale
Wholesale
monomarca
del
Gruppo
per
gli
esercizi
2011,
2010,
2009
suddivisi
per
area
geografica.
Fonte:
Cucinelli.
201
Tabella
98
-‐
Dettaglio
della
composizione
dei
Ricavi
netti
derivanti
dal
canale
Wholesale
multimarca
del
Gruppo
per
gli
esercizi
2011,
2010,
2009
suddivisi
per
area
geografica.
Fonte:
Cucinelli.
Come
si
vede
dai
dati,
la
percentuale
d’incidenza
sui
Ricavi
Netti
totali
dei
ricavi
derivanti
da
questo
canale
di
vendita
è
in
progressivo
calo
negli
ultimi
esercizi;
di
contro
si
nota
invece
un
aumento
dell’incidenza
percentuale
sui
Ricavi
totali
dei
ricavi
provenienti
dal
canale
wholesale
monomarca
e
retail
(come
evidenziato
dalle
tabelle
nei
paragrafi
rispettivamente
4.3.2.2
e
4.3.2.1).
Questo
fenomeno
può
essere
ricondotto
al
fatto
che
spesso
i
negozi
sono
gestiti
da
imprenditori
locali,
che
pertanto
hanno
esperienza
e
ottima
conoscenza
del
mercato
di
riferimento.
Succede
quindi
spesso
che
rivenditori
multimarca
chiedano
in
una
fase
successiva
di
sottoscrivere
accordi
di
franchising.
202
Rispetto
all’esercizio
precedente,
in
cui
contribuivano
per
l’11,7%,
gli
accessori
guadagnano
oltre
due
punti
percentuali,
come
si
può
vedere
nel
grafico
seguente.
Figura 20 – Ricavi suddivisi per linea di prodotto 2012 e 2011. Fonte: Cucinelli.
Nella
tabella
che
segue
si
presenta
la
composizione
dei
Ricavi
netti
del
Gruppo
per
gli
esercizi
2011,
2010,
2009
suddivisi
per
linea
di
prodotto.
Tabella
99
–
Dettaglio
della
composizione
dei
Ricavi
netti
del
Gruppo
per
gli
esercizi
2011,
2010,
2009
suddivisi
per
linea
di
prodotto.
Fonte:
Cucinelli.
È
evidente
come
negli
ultimi
quattro
esercizi
si
sia
verificato
un
importante
incremento
dei
ricavi
di
vendita
degli
accessori
e
con
essi
anche
della
loro
incidenza
percentuale
sul
totale
dei
ricavi:
dal
2009
al
203
2012,
infatti,
il
contributo
percentuale
degli
accessori
al
totale
dei
ricavi
è
più
che
raddoppiato,
passando
dal
6,6%
del
2009
al
13,9%
di
fine
esercizio
2012.
Figura 21 – Ricavi suddivisi per tipologia di cliente finale 2012 e 2011. Fonte: Cucinelli.
Dal
grafico
seguente
si
può
notare
come
la
composizione
dei
ricavi
suddivisa
in
base
alla
tipologia
di
cliente
finale
si
mantenga
comunque
sostanzialmente
stabile
nel
corso
degli
ultimi
quattro
esercizi:
i
valori
204
oscillano
intorno
al
70%
per
quanto
riguarda
le
vendite
di
prodotti
per
donna
e
al
30%
per
i
prodotti
destinati
all’uomo.
122
Tabella
100
–
Dettaglio
della
composizione
dei
Ricavi
netti
del
Gruppo
per
gli
esercizi
2011,
2010,
2009
suddivisi
per
linea
di
prodotto.
Fonte:
Cucinelli.
122
A
fine
esercizio
2010
i
ricavi
provenienti
dalle
vendite
maschili
superavano
i
60
milioni
di
Euro
pari
al
29,8%
del
totale
dei
ricavi,
in
aumento
a
fine
2011
di
14
milioni
–
raggiungendo
quota
74,8
milioni
di
Euro
–
corrispondenti
al
30,8%
del
totale.
I
ricavi
provenienti
dalle
vendite
di
prodotti
destinati
alla
donna
ammontano
a
quasi
143
milioni
di
Euro
nel
2010,
corrispondenti
al
70,2%
del
totale,
in
crescita
ulteriore
nel
2011,
quando
raggiungono
167,8
milioni
di
Euro,
pari
al
69,2%
del
totale.
205
Tabella
101
-‐
Prospetto
contabile
di
Conto
Economico
Consolidato
di
sintesi
al
31
dicembre
2012
e
al
31
dicembre
2011.
Fonte:
Cucinelli.
Anche
per
quanto
riguarda
i
Ricavi
Netti
si
assiste
a
un
incremento
pari
al
15,1%
(aumento
pari
a
36686
migliaia
di
Euro):
rispetto
all’esercizio
2011,
in
cui
il
Gruppo
chiudeva
con
242635
migliaia
di
Euro,
l’esercizio
2012
raggiunge
279321
migliaia
di
Euro,
dei
quali
il
75,4%
è
fatturato
all’estero.
Sicuramente
si
può
ricondurre
questo
incremento:
• all’aumento
dei
punti
vendita
DOS
e
al
generale
ampliamento
dei
punti
vendita
esistenti
(canale
retail);
• all’espansione
del
canale
wholesale
monomarca
e
multimarca,
specialmente
nel
Nord
America
e
in
Asia;
• al
consolidamento
della
presenza
all’interno
dei
department
store
di
lusso,
con
conseguente
ampliamento
degli
spazi
espositivi,
e
alla
sempre
crescente
brand
awareness 123
presso
i
clienti.
Di
particolare
interesse
risulta
l’EBITDA,
che
risente
degli
oneri
non
ricorrenti
–
pari
a
6241
migliaia
di
Euro
–
legati
al
progetto
di
IPO124 ,
e
si
ferma
dunque
a
quota
42869
migliaia
di
Euro,
con
incidenza
123
Per
“brand
awareness”
si
intende
il
grado
di
riconoscibilità
e
di
diffusione
di
un
marchio.
124
Offerta
Pubblica
Iniziale
(Initial
Public
Offering),
l’offerta
al
pubblico
dei
titoli
di
una
società
che
intende
quotarsi
sui
mercati
regolamentati
per
la
prima
volta.
Il
Gruppo
Cucinelli
si
è
quotato
presso
il
Mercato
Telematico
di
Borsa
Valori
S.p.A.
il
27
aprile
2012.
206
percentuale
sui
ricavi
pari
al
15,2%.
In
realtà,
neutralizzando125
l’effetto
degli
oneri
non
ricorrenti
l’EBITDA
sarebbe
pari
a
49110
migliaia
di
Euro,
corrispondente
al
17,5%
dei
Ricavi
di
vendita,
in
crescita
del
22,3%
rispetto
al
precedente
esercizio.
Per
quanto
riguarda
invece
l’Utile
netto,
esso
mostra
un
incremento
del
7,9%
rispetto
all’esercizio
2011,
passando
da
21025
migliaia
a
22243
migliaia
di
Euro.
La
percentuale
di
incidenza
sui
Ricavi
è
quindi
pari
al
7,9%.
Come
precedentemente
detto
per
l’EBITDA,
anche
il
Risultato
netto
può
essere
normalizzato
al
fine
di
neutralizzare
l’effetto
degli
oneri
non
ricorrenti
sostenuti
per
il
processo
di
quotazione.
In
questo
caso
il
Risultato
netto
normalizzato
sarebbe
pari
a
26,5
milioni
di
Euro
(con
incidenza
percentuale
sui
Ricavi
di
vendita
pari
al
9,4%),
registrando
un
aumento
del
26,2%
rispetto
al
corrispondente
valore
dell’esercizio
2011.
Il
Risultato
Operativo
è
anch’esso
influenzato
dalle
operazioni
di
quotazione
e
passa
da
34,9
milioni
di
Euro,
pari
al
14,3%
dei
ricavi,
del
2011,
a
35744
migliaia
di
Euro,
pari
al
12,7%
dei
ricavi,
nel
2012.
Attraverso
la
neutralizzazione
degli
oneri
non
ricorrenti,
il
Risultato
Operativo
al
31
dicembre
2012
arriverebbe
appena
sotto
quota
42
milioni
di
Euro,
mostrando
un
incremento
del
20,3%
rispetto
al
2011.
125
Si
può
calcolare
cioè
il
valore
dell’EBITDA
normalizzato,
al
netto
degli
oneri
207
I
Ricavi
netti
del
Gruppo
nei
primi
tre
mesi
del
2013
crescono
del
14,4%
rispetto
al
primo
trimestre
2012,
raggiungendo
gli
88,8
milioni
di
Euro.
I
ricavi
di
vendita
e
delle
prestazioni
crescono
del
14,0%
rispetto
ai
78,8
milioni
di
Euro
dell’esercizio
2012,
raggiungendo
quota
89,9
milioni
di
Euro.
Analizzando
i
ricavi
per
area
geografica,
si
conferma
il
trend
di
crescita
nei
mercati
stranieri,
con
un
aumento
delle
vendite
pari
al
21,6%,
incrementando
il
peso
sul
totale
dei
ricavi
di
4
punti
percentuali
rispetto
al
69,1%
del
primo
trimestre
2012.
208
Tabella
102
-‐
Revenues
by
region
del
Gruppo
Cucinelli
al
31
marzo
2013.
Fonte:
Cucinelli.
Il
mercato
statunitense
incrementa
il
fatturato
del
26,5%
con
22,8
milioni
di
Euro,
contro
i
18,0
milioni
di
Euro
dei
primi
tre
mesi
del
2012.
Il
peso
di
questo
segmento
sul
totale
dei
ricavi
netti
(25,6%)
aumenta
di
oltre
2
punti
percentuali
rispetto
al
corrispondente
periodo
del
2013.
Aumentano
anche
i
ricavi
provenienti
dalle
vendite
europee,
con
28,6
milioni
di
Euro,
in
aumento
del
18,3%
rispetto
ai
24,2
milioni
di
Euro
del
primo
trimestre
2012.
L’Europa
pesa
per
il
32,2%
sul
totale
dei
ricavi.
Contribuiscono
a
questo
risultato
i
flussi
turistici
e
le
vendite
in
Russia
e
nei
paesi
dell’Est
europeo.
209
La
zona
denominata
“Greater
China”
vede
i
ricavi
in
crescita
quasi
del
70%
rispetto
al
corrispondente
periodo
del
2012.
Essi
raggiungono
i
5
milioni
di
Euro,
incrementando
anche
il
peso
sul
totale
dei
ricavi
rispetto
allo
scorso
anno
(5,6%
contro
il
3,8%
del
primo
trimestre
2012).
Per
quanto
riguarda
invece
il
“Resto
del
Mondo”,
i
ricavi
crescono
del
4,1%
rispetto
al
primo
trimestre
2012,
andando
a
pesare
per
il
9,9%
sul
totale
delle
vendite
(in
calo
di
1
punto
percentuale
rispetto
al
2012).
Figura
22
-‐
Breakdown
by
countries
del
Gruppo
Cucinelli
al
31
marzo
2013.
Fonte:
Cucinelli.
L’unico
mercato
in
leggero
calo
è
proprio
quello
italiano,
con
ricavi
che
calano
dell’1,6%
rispetto
al
primo
trimestre
2012:
con
23,6
milioni
di
Euro
cala
anche
l’incidenza
percentuale
sul
fatturato
totale,
pari
a
26,6%
del
totale
(30,9%
nel
2012).
210
Figura
23
-‐
International
Market
Revenues
del
Gruppo
Cucinelli
al
31
marzo
2013.
Fonte:
Cucinelli.
Analizzando
i
ricavi
classificati
secondo
il
canale
distributivo,
i
monomarca
retail
con
26,5
milioni
di
Euro
incrementano
le
vendite
del
75,7%
rispetto
al
primo
trimestre
2012,
in
cui
si
fermavano
a
15,1
milioni
di
Euro.
Contribuisce
a
questo
risultato
l’incremento
delle
unità
di
vendita:
al
31
marzo
2013
si
contano,
infatti,
51
negozi
(erano
25
al
termine
del
corrispondente
periodo
dello
scorso
anno).
Di
questi,
16
sono
nuove
aperture
(Shangai,
Barcellona
e
Torino,
tra
le
altre),
10
sono
invece
conversioni
dalla
rete
wholesale
monomarca.
211
Figura
24
-‐
Revenues
by
distribution
channels
del
Gruppo
Cucinelli
al
31
marzo
2013:
Retail
monobrand.
Fonte:
Cucinelli.
Il
monomarca
wholesale
cresce
del
7,5%,
raggiungendo
gli
11,4
milioni
di
Euro.
Il
numero
totale
di
boutique
al
31
marzo
2013
raggiunge
le
85
unità
(erano
63
al
31
marzo
2012).
Impatta
su
questo
risultato
la
conversione
di
10
unità
alla
rete
diretta,
ma
i
minori
ricavi
sono
bilanciati
dalle
6
nuove
aperture
effettuate
nel
corso
del
2012.
Nel
2013
è
stata
aperta
una
nuova
boutique
a
Tokio,
portando
il
numero
delle
boutique
monomarca
wholesale
a
34,
rispetto
alle
38
del
primo
trimestre
2012.
In
aprile
sono
state
inaugurate
4
nuove
boutique
monobrand
a
Pechino,
Napoli,
Doha
e
Hong
Kong.
212
Figura
25
-‐
Revenues
by
distribution
channel
del
Gruppo
Cucinelli
al
31
marzo
2013.
Fonte:
Cucinelli.
Per
quanto
riguarda
il
canale
wholesale
multibrand
infine,
il
fatturato
è
in
leggera
flessione
(-‐2,0%)
rispetto
al
primo
trimestre
2012,
con
50,9
milioni
di
Euro,
che
incidono
per
il
57%
sul
fatturato
complessivo.
Il
risultato
è
coerente
con
le
dinamiche
di
consegna
della
collezione
Primavera/Estate.
Figura
26
-‐
Revenues
by
distribution
channel
del
Gruppo
Cucinelli
al
31
marzo
2013.
Fonte:
Cucinelli.
Nella
figura
che
segue
si
riporta
la
situazione
al
31
marzo
2013
della
rete
dei
negozi
Cucinelli
nel
mondo.
213
Figura
27
-‐
Rete
dei
negozi
Cucinelli
al
31
marzo
2013.
Fonte:
Cucinelli.
Per
quanto
riguarda
i
risultati
operativi,
l’EBITDA
normalizzato
(al
netto
della
cessione
dei
marchi
“Solomei”
e
“Solomeo”
e
dello
stemma
alla
Fedone
s.r.l.)
ammonta
a
15,3
milioni
di
Euro,
in
crescita
del
18,6%
rispetto
ai
quasi
13
milioni
di
Euro
del
primo
trimestre
2013.
L’EBITDA
incide
per
il
17,1%
sul
totale
dei
Ricavi
delle
vendite
e
delle
prestazioni,
in
aumento
dello
0,6%
rispetto
al
16,5%
registrato
nel
marzo
2012.
L’utile
netto
normalizzato
raggiunge
8,2
milioni
di
Euro,
in
aumento
di
poco
meno
del
15%
rispetto
al
primo
trimestre
2012.
Crescono
in
modo
evidente
anche
gli
investimenti
totali,
che
nei
primi
tre
mesi
del
2013
raggiungono
gli
oltre
16
milioni
di
Euro,
contro
i
3,7
milioni
del
corrispondente
periodo
del
2012.
L’incremento
è
legato
sia
al
programma
di
apertura
di
nuove
boutique,
sia
all’ampliamento
della
fabbrica
e
del
polo
logistico.
L’Indebitamento
Finanziario
Netto
sfiora
in
questo
primo
trimestre
2013
i
15
milioni
di
euro,
beneficiando
della
liquidità
generata
dalla
quotazione
in
Borsa
della
società,
che
ne
ha
permesso
una
riduzione
di
oltre
40
milioni
di
Euro.
214
Il
Capitale
Circolante
Netto
tocca
infine
i
70
milioni
di
Euro,
con
un
incremento
di
oltre
12
milioni
rispetto
ai
58
milioni
del
primo
trimestre
2012.
Il
dato
si
spiega
con
la
crescita
del
business
e
dunque
del
magazzino.
Tabella
103
-‐
Stato
Patrimoniale
Consolidato
-‐
Attività
al
31
dicembre
2012
e
al
31
dicembre
2011.
Fonte:
Cucinelli.
215
Tabella
104
-‐
Stato
Patrimoniale
Consolidato
-‐
Passività
e
Patrimonio
Netto
al
31
dicembre
2012
e
al
31
dicembre
2011.
Fonte:
Cucinelli.
216
Tabella
105
-‐
Conto
Economico
Consolidato
2012
e
2011.
Fonte:
Cucinelli.
Tabella 106 -‐ Conto Economico Complessivo Consolidato 2012 e 2011. Fonte: Cucinelli.
126
Per
eventuali
indicazioni
teoriche
si
faccia
riferimento
al
capitolo
3
e
ai
corrispondenti
sottoparagrafi.
217
Si
ricorda
che
i
valori
risultanti
dal
Bilancio
chiuso
in
data
31
dicembre
2012
risentono
dell’operazione
di
IPO
di
cui
s’è
detto
in
precedenza,
e
che
dunque
i
confronti
con
i
corrispondenti
valori
dell’esercizio
2011
dovranno
tenere
conto
di
questo.
Tabella
107
-‐
ROE
(Utile
netto
dell'esercizio/Patrimonio
netto
medio
dell'esercizio)
2012,
2011
e
2010.
Fonte:
Cucinelli.
Qui
sopra
si
riportano
i
dati
riguardanti
gli
esercizi
2012
e
2011.
Come
si
vede
dalla
tabella,
il
ROE
subisce
un
calo
netto
nell’esercizio
2012.
Questo
va
spiegato
con
il
fatto
che
nel
2012
l’indice
è
218
calcolato
sul
valore
di
Patrimonio
Netto
che
segue
l’operazione
di
IPO,
dunque
di
molto
superiore
rispetto
al
corrispondente
valore
raggiunto
nell’esercizio
2011.
Tabella 108 -‐ Calcolo del ROE 2012 e 2011. Fonte: nostre elaborazioni su dati Cucinelli.
Il
ROE
nel
2011
era
migliorato
rispetto
a
quello
del
2010,
in
cui
si
fermava
al
40,4%,
per
effetto
dell’incremento
dell’Utile
netto
dell’esercizio
per
9589
migliaia
di
Euro
pari
all’83,9%,
in
misura
più
che
proporzionale
rispetto
all’incremento
subito
dal
Patrimonio
netto
medio
del
Gruppo.
219
Il
ROI
è
l’indice
che
fornisce
informazioni
sulla
capacità
aziendale
di
remunerare
i
fattori
produttivi
tramite
lo
svolgimento
dell’attività
caratteristica.
I
valori
risultanti
dal
Bilancio
di
Cucinelli
permettono
di
ottenere
i
seguenti
risultati:
Tabella
109
-‐
ROI
(Risultato
operativo/Capitale
investito
medio
netto
dell'esercizio)
2012,
2011,
2010.
Fonte:
Cucinelli.
Guardando
al
valore
dell’indice
normalizzato,
vediamo
che
il
ROI
si
mantiene
sostanzialmente
stabile
da
un
esercizio
all’altro.
220
Tabella
110
-‐
Calcolo
del
ROI
2012
e
2011.
Fonte:
nostre
elaborazioni
su
dati
Cucinelli.
Il
ROI
del
2011
era
migliorato
di
oltre
17
punti
percentuali
rispetto
a
quello
del
2010,
grazie
all’incremento
del
Risultato
operativo,
che
era
cresciuto
del
73,4%
raggiungendo
34907
migliaia
di
Euro,
mentre
il
Capitale
Investito
medio
era
rimasto
sostanzialmente
stabile.
Nel
2012
il
Capitale
Investito
medio
è
pari
a
oltre
103
milioni
di
Euro,
in
forte
aumento
rispetto
agli
oltre
85
milioni
di
Euro
del
2011,
mentre
il
Risultato
Operativo
resta
sostanzialmente
stabile
al
termine
dei
due
esercizi:
questo
spiega
la
diminuzione
del
valore
dell’indice
nel
corso
del
2012.
221
Il
Return
on
Sales
è
un
indice
che
si
compone
del
rapporto
tra
il
reddito
operativo
che
deriva
dalla
gestione
tipica
aziendale
al
numeratore
e
il
volume
dei
ricavi
derivanti
da
essa
al
denominatore.
Il
ROS
esprime
quindi
il
margine
di
profitto
sulle
vendite,
cioè
la
redditività
derivante
da
esse.
Il
Gruppo
Cucinelli
riporta
i
seguenti
dati
per
gli
esercizi
2012
e
2011.
Tabella
111
-‐
ROS
(Risultato
operativo/Ricavi
delle
vendite
e
delle
prestazioni)
2012
e
2011.
Fonte:
Cucinelli.
Come
si
vede
dai
dati
il
ROS
del
Gruppo
Cucinelli
è
positivo,
ampiamente
sopra
lo
zero,
dunque
l’azienda
ha
una
buona
copertura
dei
costi
attraverso
i
ricavi.
Tabella 112 -‐ Calcolo del ROS 2012 e 2011. Fonte: nostre elaborazioni su dati Cucinelli.
222
Il
Risultato
Operativo
al
termine
degli
esercizi
2012
e
2011
resta
sostanzialmente
stabile,
con
un
incremento
meno
che
proporzionale
rispetto
a
quello
registrato
dai
Ricavi
caratteristici.
Questo
spiega
la
lieve
diminuzione
del
valore
dell’indice,
che
nel
2011
era
invece
in
miglioramento
del
4,5%
rispetto
al
9,8%
del
2010.
Il
Risultato
Operativo
era
migliorato,
infatti,
in
modo
più
che
proporzionale
(73,4%)
rispetto
all’incremento
subito
dai
ricavi
di
vendita
(19,1%).
223
Tabella
113
-‐
Calcolo
della
rotazione
2012
e
2011
e
della
rotazione
2012
e
2011
in
numero
di
giorni.
Fonte:
nostre
elaborazioni
su
dati
Cucinelli.
Il
Gruppo
Cucinelli,
come
emerge
dai
dati,
risente
leggermente
dell’operazione
di
IPO
mostrando
un
lieve
rallentamento
in
termini
di
giorni
della
rotazione
delle
vendite:
il
capitale
impiega,
infatti,
134
giorni
a
ritornare
in
forma
liquida
al
termine
dell’esercizio
2012,
invece
dei
129
giorni
del
precedente
esercizio.
Nel
2011
il
turnover
era
migliorato
passando
a
2,8
volte,
segnando
un
miglioramento
di
0,4
rispetto
alle
2,4
volte
raggiunte
nel
2010,
con
le
224
quali
il
numero
di
giorni
di
turnover
era
addirittura
pari
a
152
giorni.127
Questo
poteva
essere
spiegato
con
l’incremento
più
che
proporzionale
dei
ricavi
di
vendita
rispetto
al
Capitale
Investito,
che
restava
sostanzialmente
stabile
(85978
migliaia
di
Euro
nel
2011,
85271
migliaia
di
Euro
nel
2010).
Nel
2012
è
avvenuto
esattamente
l’opposto,
spiegando
così
il
lieve
rallentamento
del
valore
dell’indice:
il
Capitale
Investito
è
cresciuto
più
che
proporzionalmente
al
valore
dei
Ricavi,
segnando
un
incremento
di
oltre
il
40%
nel
2012,
contro
un
incremento
di
solo
il
15,6%
per
quanto
riguarda
i
Ricavi
delle
vendite
e
delle
prestazioni.
!"#
127
𝑅𝑅𝑂𝑂𝑂𝑂𝑂𝑂𝑂𝑂𝑂𝑂𝑂𝑂𝑂𝑂𝑂𝑂 𝐼𝐼𝐼𝐼 𝑁𝑁𝑁𝑁𝑁𝑁𝑁𝑁𝑁𝑁𝑁𝑁 𝐷𝐷𝐷𝐷 𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺𝐺 = = 152,00
!"#" !"##$%"""
(!"#$#%%%!!"#$%&&&)
!
225
Tabella
114
-‐
Calcolo
dell'indice
di
disponibilità
2012
e
2011.
Fonte:
nostre
elaborazioni
su
dati
Cucinelli.
Dai
dati
di
bilancio
dell’azienda
determiniamo
che
il
Gruppo
non
ha
problemi
di
solvibilità
nel
breve
periodo,
gli
investimenti
destinati
a
ritornare
in
forma
liquida
nel
breve
termine
sono
sufficienti
ad
assicurare
un
tempestivo
pagamento
del
passivo
corrente.
Rispetto
all’esercizio
precedente,
nel
2012
il
Gruppo
Cucinelli
migliora
la
già
buona
solvibilità
nel
breve
termine,
raggiungendo
una
situazione
di
tranquillità
finanziaria.
L’indice
di
liquidità
immediata
esprime
invece
la
capacità
aziendale
di
coprire
gli
impegni
finanziari
a
breve
termine,
senza
considerare
le
rimanenze.
226
Tabella
115
-‐
Calcolo
dell'indice
di
liquidità
2012
e
2011.
Fonte:
nostre
elaborazioni
su
dati
Cucinelli.
Dai
dati
di
bilancio
forniti
dal
Gruppo
Cucinelli,
emerge
un
netto
miglioramento
della
liquidità
aziendale
dall’esercizio
2011
a
quello
2012.
Il
Gruppo
si
impegna
per
ottenere
una
buona
liquidità
per
poter
far
fronte
ai
pagamenti
ai
fornitori
senza
che
si
comprometta
l’equilibrio
a
breve
della
tesoreria.
Questo
è
utile
anche
per
evitare
criticità
e
tensioni
nella
liquidità
corrente.
Sicuramente
contribuisce
a
questo
risultato
l’operazione
di
quotazione,
che
ha
generato
liquidità
in
grado
di
ridurre
l’indebitamento
finanziario
del
Gruppo.
227
4.7.3.1
Indice
di
copertura
del
Patrimonio
Netto
sull’Attivo
(Mezzi
propri/Capitale
investito)
Questo
indicatore
permette
di
ottenere
informazioni
riguardo
alla
capacità
del
capitale
apportato
dai
soci
o
dai
terzi
di
coprire
la
necessità
di
investimenti:
valutando
quanto
un’impresa
sia
effettivamente
in
grado
di
coprire
il
costo
degli
investimenti
con
il
capitale
proprio
si
può
determinare
cioè
il
suo
grado
di
indipendenza
finanziaria.
Un
valore
elevato
dell’indicatore
evidenzia
una
maggiore
capitalizzazione
dell’azienda
e
dunque
può
essere
considerato
un
segnale
di
buona
solidità
strutturale.
Tabella
116
-‐
Calcolo
dell'indice
di
copertura
dell'attivo
2012
e
2011.
Fonte:
nostre
elaborazioni
su
dati
Cucinelli.
Dai
dati
di
bilancio
del
Gruppo
Cucinelli
emerge
un
buon
valore
di
questo
indicatore,
che
migliora
nell’esercizio
2012
per
effetto
dell’incremento
del
Patrimonio
netto
in
misura
più
che
proporzionale
rispetto
all’incremento
dell’Attivo
totale.
L’incremento
del
Patrimonio
netto
può
essere
ricondotto
all’operazione
di
quotazione,
con
la
quale
sono
stati
emessi
228
complessivamente
8
milioni
di
azioni.
128
Il
Patrimonio
Netto
è,
infatti,
cresciuto
di
81633
migliaia
di
Euro,
segnando
una
variazione
in
aumento
di
più
del
100%
rispetto
al
2011
nel
corso
dell’esercizio
2012,
raggiungendo
gli
oltre
119
milioni
di
Euro.
Nel
corso
del
triennio
precedente
questo
indicatore
si
assestava
su
valori
simili
a
quelli
del
2011,
segnando
il
20,6%
nel
2010
e
il
17,3%
nel
2009.129
128
Altre
variazioni
nel
Patrimonio
Netto
derivano
dai
risultati
complessivi
dell’esercizio
e
dalla
distribuzione
dei
dividendi.
129
Gli
indici
sono
calcolati
sulla
base
dei
bilanci
forniti
dal
Gruppo
Cucinelli
per
229
Tabella
117
-‐
Calcolo
dell'indice
di
copertura
delle
immobilizzazioni
2012
e
2011.
Fonte:
nostre
elaborazioni
su
dati
Cucinelli.
Il
margine
di
struttura
primario
è
stato
in
costante
aumento
nel
corso
del
triennio
passato:
a
fine
esercizio
2009
segnava
58,9%,
nel
2010
raggiungeva
il
72,5%,
per
poi
toccare
il
90,1%
al
31
dicembre
2011.
230
Tabella
118
-‐
Calcolo
dell'indice
di
autonomia
finanziaria
2012
e
2011.
Fonte:
nostre
elaborazioni
su
dati
Cucinelli.
231
Tabella
119
-‐
Calcolo
dell'indice
di
dipendenza
finanziaria
2012
e
2011.
Fonte:
nostre
elaborazioni
su
dati
Cucinelli.
232
Tabella
120
-‐
Calcolo
del
rapporto
di
indebitamento
2012
e
2011.
Fonte:
nostre
elaborazioni
su
dati
Cucinelli.
Dai
dati
di
bilancio
calcoliamo
il
grado
di
indebitamento
di
Cucinelli
per
gli
esercizi
2012
e
2011:
come
già
ci
si
può
aspettare
dalla
lettura
dei
due
paragrafi
precedenti
(4.7.3.3
e
4.7.3.4),
il
grado
di
indebitamento
raggiunge
un
ottimo
1,09
al
termine
dell’esercizio
2012.
Il
Patrimonio
netto
ha
subito
un
grande
incremento
in
seguito
all’operazione
di
IPO
e
questo
spiega
la
forte
diminuzione
del
valore
dell’indice.
La
struttura
finanziaria
ha
un
ottimo
grado
di
indipendenza
alla
fine
del
2012.
233
Di
contro
è
auspicabile
avere
un
basso
grado
di
elasticità
delle
fonti:
qualora
l’indicatore
assumesse
un
valore
elevato,
infatti,
la
situazione
aziendale
sarebbe
caratterizzata
da
forte
rigidità
degli
investimenti.
Tabella
121
-‐
Calcolo
dell'elasticità
degli
impieghi
2012
e
2011.
Fonte:
nostre
elaborazioni
su
dati
Cucinelli.
Il
Gruppo
Cucinelli
mostra
un
buon
livello
di
elasticità
in
entrambi
gli
esercizi,
anche
se
nel
2012
ha
perso
quasi
un
punto
percentuale:
l’Attivo
corrente
è,
infatti,
aumentato
meno
che
proporzionalmente
dell’Attivo
totale,
sul
quale
incide
il
peso
dell’Attivo
non
corrente
più
che
al
termine
del
2011.
Per
quanto
riguarda
l’elasticità
delle
fonti,
come
già
detto,
si
spera
di
ottenere
un
dato
quanto
più
possibile
basso.
234
Tabella
122
-‐
Calcolo
dell'elasticità
delle
fonti
2012
e
2011.
Fonte:
nostre
elaborazioni
su
dati
Cucinelli.
Dai
dati
di
bilancio
del
Gruppo,
Cucinelli
diminuisce
nettamente
il
valore
dell’elasticità,
ottenendo
un
valore
molto
buono:
non
solo
è
diminuito
il
Passivo
corrente,
ma
è
di
molto
calata
anche
la
sua
incidenza
sul
totale
delle
fonti,
che
sono
cresciute
più
che
proporzionalmente,
grazie
al
forte
incremento
del
Patrimonio
netto
dopo
l’operazione
di
quotazione
dell’azienda.
235
essere
spiegato
dal
fatto
che
l’incidenza
dell’Attivo
immobilizzato
sul
totale
dell’Attivo
è
aumentata
rispetto
al
2011.
Tabella
123
-‐
Calcolo
della
rigidità
degli
impieghi
2012
e
2011.
Fonte:
nostre
elaborazioni
su
dati
Cucinelli.
La
rigidità
delle
fonti
del
Gruppo
Cucinelli
segna
questi
valori
al
termine
dell’esercizio
2012.
Il
valore
dell’indice
per
l’anno
2012
è
in
aumento
rispetto
al
2011:
questo
può
essere
spiegato
con
l’incremento
del
valore
posto
al
numeratore,
che
comprende
il
Patrimonio
netto,
derivante
dall’operazione
di
quotazione
in
Borsa
del
Gruppo.
In
seguito
all’IPO
il
Patrimonio
netto
ha
subito
un
notevole
incremento,
che
si
ripercuote
sul
valore
della
rigidità
delle
fonti,
espresso
nella
tabella
che
segue.
236
Tabella
124
-‐
Calcolo
della
rigidità
delle
fonti
2012
e
2011.
Fonte:
nostre
elaborazioni
su
dati
Cucinelli.
237
CONCLUSIONI
La
ricerca
condotta
in
questa
tesi
ha
messo
in
luce
varie
questioni
che
vanno
considerate
singolarmente
con
attenzione.
Innanzitutto
nell’attività
di
ricerca
dei
dati,
e
di
successiva
analisi
degli
stessi,
si
sono
riscontrate
non
poche
difficoltà,
per
due
ordini
di
ragioni:
in
primo
luogo
non
è
stato
sempre
agevole
reperire
dati
aggiornati;
in
secondo
luogo,
la
disponibilità
di
dati
aggiornati
riguardava,
nella
maggior
parte
dei
casi,
singoli
comparti
della
filiera,
addirittura
singole
categorie
di
prodotti,
quasi
a
sottintendere
una
mancata
coesione
interna
o
poca
collaborazione
tra
gli
organi
e
le
istituzioni
preposti
al
settore.
In
molti
casi
i
dati
o
sono
comunicati
solo
alle
aziende
operanti
nel
settore,
o
sono
scaricabili
a
pagamento,
o
infine
sono
disponibili
per
i
soli
utenti
registrati,
senza
che
però
si
possano
effettivamente
ottenere
le
credenziali
d’accesso,
rendendo
davvero
impegnativa
la
ricerca.
Per
l’analisi
svolta
in
questo
lavoro
ci
si
è
quindi
basati
su
dati
pubblicati
in
ricerche,
report,
banche
dati
di
pubblico
accesso,
articoli
di
quotidiani
e
riviste
di
settore.
Sarebbe,
inoltre,
stato
di
poca
utilità
considerare
dati
risalenti
al
2010
o
al
2011,
poiché
avrebbero
riflettuto
la
situazione
dopo
la
crisi
del
2008-‐2009,
senza
quindi
tenere
conto
dell’attuale
quadro
macroeconomico,
che
risente
della
“ricaduta”
del
2012.
Si
è
quindi
scelto
di
considerare
solo
i
dati
più
recenti,
commentando
l’andamento
dei
singoli
comparti
all’interno
della
filiera
tessile-‐abbigliamento,
le
singole
categorie
di
prodotto
e
i
vari
distretti.
Il
quadro
emerso
dai
vari
dati
presi
in
esame
è
sostanzialmente
omogeneo.
Il
calo
registrato
dall’intero
settore
si
presenta
in
modo
evidente
lungo
tutta
la
filiera,
ma
altrettanto
generale
è
la
tendenza
alla
238
tenuta
grazie
alla
crescita
delle
esportazioni
verso
l’estero,
specialmente
verso
i
paesi
extraeuropei,
mercati
emergenti
in
testa.
Il
mercato
europeo
risente
della
crisi
generale
dei
consumi,
ma
viene
compensato
dai
flussi
turistici
provenienti
soprattutto
dalla
Cina
e
dall’Asia
intera.
In
Italia
il
mercato
interno
è
invece
fermo,
e
questo
costituisce
un
grosso
elemento
di
criticità,
dato
che
nelle
economie
mature
esso
rappresenta
uno
degli
elementi
portanti
della
crescita
produttiva.
La
crisi
degli
ultimi
anni
ha
indebolito
in
modo
drammatico
la
capacità
di
spesa
e
di
risparmio
delle
famiglie.
Questo
inevitabilmente
ha
avuto
effetti
molto
negativi
sul
settore,
che
si
è
ridimensionato
in
seguito
alla
scomparsa
di
moltissime
piccole
imprese,
non
in
grado
di
riorientarsi
verso
i
mercati
esteri.
Le
previsioni
ad
oggi
per
i
prossimi
cinque
anni
indicano
una
prosecuzione
del
trend
di
crescita
della
propensione
all’export
delle
aziende
del
settore
moda.
Questo
dato
viene
rafforzato
da
vari
fattori,
tra
i
quali
l’emergere
dei
nuovi
mercati
(in
particolare
Russia,
Emirati
Arabi
Uniti,
Brasile
e
Cina,
ma
anche
Indonesia,
Egitto
e
Marocco),
al
cui
interno
sta
mutando
la
composizione
sociale
e
dunque
la
distribuzione
dei
redditi:
i
nuovi
consumatori
saranno
più
giovani,
più
disposti
ad
utilizzare
i
nuovi
canali
di
acquisto
(come
per
esempio
l’e-‐commerce),
più
benestanti
e
più
sensibili
alle
tematiche
ambientali
e
alla
sostenibilità,
rispetto
a
quelli
appartenenti
alle
economie
mature.
E
soprattutto
è
interessante
il
peso
che
potranno
avere
le
donne,
in
grado
di
influenzare
le
scelte
familiari
di
acquisto
in
modo
superiore
a
quanto
accade
ora.
Purtroppo
all’interno
del
settore
in
genere
emergono
anche
molti
fattori
critici,
come
il
rapido
cambiamento
della
domanda
di
prodotti
di
moda
italiani
da
parte
dei
paesi
emergenti
stessi:
sembra,
infatti,
che
i
prodotti
di
fascia
media
stiano
progressivamente
cedendo
il
passo
a
prodotti
di
gamma
superiore.
Questo
può
essere
facilmente
spiegato
considerando
che
molti
paesi
che
una
volta
importavano
prodotti
della
239
filiera
abbigliamento-‐moda
di
fabbricazione
italiana,
sono
ora
in
grado
di
produrli
internamente,
preferendo
invece
importare
creazioni
artigianali
di
moda
di
lusso.
Il
Made
in
Italy,
infatti,
continua
ad
avere
un
fascino
incredibile
agli
occhi
del
mondo,
come
sinonimo
di
creatività,
lavoro
artigiano
e
qualità.
Tra
i
freni
all’internazionalizzazione
delle
aziende
del
sistema
moda
italiano,
le
aziende
stesse
individuano
i
vincoli
burocratici
che
gravano
sulle
imprese,
che
andrebbero
snelliti
addirittura
prima
di
mettere
in
atto
altre
politiche
industriali;
la
capacità
finanziaria
delle
imprese
è
molto
limitata,
così
come
grandi
sono
le
difficoltà
nell’accesso
al
credito,
soprattutto
nel
caso
delle
imprese
di
piccola
e
media
dimensione;
nei
nuovi
paesi
emergenti,
inoltre,
il
quadro
normativo
e
gli
oneri
amministrativi
o
procedurali
in
vigore,
costituiscono
un
grosso
ostacolo
all’accesso
al
mercato,
con
barriere
tariffarie
e
non,
che
possono
decisamente
disincentivare
le
imprese
dall’esportare
verso
quei
paesi.
Altri
problemi,
che
non
vanno
trascurati,
sono
anche
quello
della
contraffazione
delle
merci
e
della
tutela
della
proprietà
intellettuale,
nonché
l’evoluzione
costante
dei
canali
distributivi,
che
impone
alle
aziende
italiane
la
necessità
di
operare
tramite
intermediari
locali.
In
questo
quadro
estremamente
complicato
emerge
comunque
l’importanza
che
ancora
riflette
il
modello
distrettuale
italiano
all’interno
dell’economia
del
settore.
I
distretti
manifatturieri
della
moda,
nonostante
la
crisi,
stanno
riorganizzando
le
proprie
risorse
per
adattarsi
ai
nuovi
modelli
competitivi
internazionali.
Si
assiste
ad
una
sempre
crescente
collaborazione
tra
i
centri
di
ricerca
e
di
formazione
e
i
sistemi
distrettuali,
e
tra
i
distretti
della
moda
e
i
distretti
della
meccanica,
altra
eccellenza
del
Made
in
Italy.
Le
piccole
imprese
di
distretto
in
alcuni
casi,
come
è
avvenuto
per
esempio
all’interno
del
Distretto
fiorentino
della
Pelletteria,
stanno
progressivamente
scegliendo
di
rinunciare
alle
240
produzioni
a
marchio
proprio,
dedicandosi
al
contoterzismo
per
i
marchi
della
moda
di
lusso
che
producono
in
Italia.
Sono
proprio
i
marchi
della
moda
di
lusso,
come
Ferragamo
e
Cucinelli,
che,
come
emerge
dai
rispettivi
bilanci
d’esercizio
2012
e
dai
risultati
del
primo
trimestre
2013,
sembrano
resistere
meglio
alla
crisi,
al
punto
di
scegliere
di
quotarsi
in
borsa
proprio
in
questi
ultimi
due
anni.
La
scelta
è
ricaduta
non
a
caso
su
queste
aziende,
accomunate
da
tanti
fattori
e
allo
stesso
tempo
diverse
sotto
altrettanti
aspetti.
La
Salvatore
Ferragamo
S.p.A.
è
un’azienda
con
una
storia
ormai
ottuagenaria,
non
più
di
prima
generazione,
ma
saldamente
in
mano
alla
famiglia
e
agli
eredi
del
fondatore.
Il
Gruppo
Brunello
Cucinelli
è
invece
ancora
un’azienda
di
prima
generazione,
in
quanto
fondata
trentacinque
anni
fa
nel
cuore
dell’Umbria
dall’attuale
Presidente
e
Amministratore
Delegato
Brunello
Cucinelli.
Entrambe
le
aziende
operano
all’interno
dei
segmenti
del
lusso
aspirazionale
e
assoluto,
dove
sono
attive
anche
aziende
come
Christian
Dior,
Bottega
Veneta,
Ermenegildo
Zegna,
Prada,
Gucci,
Louis
Vuitton,
Hèrmes
Etro
e
Loro
Piana.
La
prima
produce
calzature,
accessori
di
pelletteria,
seta,
profumi
e
abbigliamento,
la
seconda
è
attiva
nel
segmento
del
lusso
assoluto
tramite
la
creazione
di
una
linea
di
abbigliamento
“total
look”
in
cachemire.
La
quotazione
in
Borsa
Italiana
di
entrambe
le
aziende
costituisce
un
elemento
comune.
Ferragamo
ha
scelto
di
quotarsi
in
Borsa
nel
giugno
2011,
proprio
per
risolvere
il
complesso
problema
del
passaggio
generazionale.
Cucinelli
ha
seguito
l’esempio
di
Ferragamo
nell’aprile
2012,
con
l’intento
di
“custodire”
l’impresa
dopo
la
morte
del
suo
fondatore.
E
le
cose
sono
andate
bene
per
entrambe
le
società,
dato
che
tra
i
migliori
quattro
titoli
del
2012
Cucinelli
occupa
il
quarto
posto,
mentre
a
livello
europeo
Salvatore
Ferragamo
si
è
classificata
terza.
241
Altro
elemento
comune
alle
aziende
prese
in
esame
è
la
produzione,
interamente
effettuata
in
Italia:
Ferragamo
produce
nel
Napoletano,
Cucinelli
si
serve
di
oltre
300
aziende,
l’80%
delle
quali
aventi
sede
in
territorio
umbro.
Per
quanto
riguarda
la
pellicceria,
la
produzione
avviene
nelle
Marche,
le
calzature
da
donna
vengono
prodotte
in
Toscana
mentre
quelle
da
uomo
in
Veneto.
Infine
da
parte
di
entrambe
le
aziende
c’è
un
grande
interesse
per
la
conservazione
dell’eredità
del
marchio
e
il
passaggio
alle
nuove
generazioni
del
know
how
artigianale
che
caratterizza
le
rispettive
produzioni.
Questo
avviene
per
la
prima
azienda
tramite
l’attività
del
Museo
Ferragamo,
il
tipico
museo
d’impresa
che
conserva
la
storia
e
la
produzione
aziendale,
e
della
Fondazione
omonima,
che
insieme
collaborano
nell’organizzazione
di
borse
di
studio,
laboratori
e
corsi
di
formazione
per
giovani
stilisti
delle
calzature.
Cucinelli
si
dedica
invece
all’arte
e
alla
cultura
tramite
l’organizzazione
di
concerti,
eventi
e
spettacoli
teatrali
tramite
la
propria
Fondazione,
che
cura
l’Accademia
Neoumanistica,
la
Biblioteca,
il
Teatro,
il
Giardino
dei
Filosofi
e
il
Foro
delle
Arti.
Concludendo
questo
lavoro,
si
può
dire
che
quello
che
è
fin
qui
emerso
mette
in
luce
i
numerosi
punti
di
forza
e
le
tante
debolezze
del
settore
moda
italiano.
Quello
che
stupisce
è
lo
scarso
interesse
da
parte
degli
organi
istituzionali
verso
questa
“A”
del
Made
in
Italy,
che
invece
meriterebbe
un’attenzione
maggiore,
visti
i
risultati
che
continua
a
ottenere
anche
in
questo
nuovo
periodo
di
recessione.
L’assenza
inoltre
di
un
organo
che
coordini
il
settore,
accomunando
l’intera
filiera,
dai
produttori
di
materie
e
fibre
tessili
allo
stilista,
probabilmente
è
una
delle
cause
dell’eterogeneità
dei
dati
disponibili
e
della
difficoltà
di
reperirli.
Questo
può
però
costituire
un
ostacolo
alla
programmazione
di
interventi
politico-‐economici
mirati.
242
In
questa
sede
non
è
stato
possibile
affrontare
anche
il
tema
della
legislazione
attuale
sulla
tutela
del
Made
in
Italy,
che
meriterebbe
invece
particolare
attenzione
proprio
con
particolare
riferimento
alla
filiera
tessile-‐abbigliamento-‐moda.
Si
ritiene
che
questo
argomento
sia
uno
spunto
per
l’ulteriore
approfondimento
dello
stato
attuale
del
settore
tessile
e
della
moda,
poiché
legato
ai
temi
della
sicurezza
dei
prodotti,
della
tracciabilità
e
dell’origine,
della
lotta
alla
contraffazione
e
della
proprietà
intellettuale.
Il
fatto
che
proprio
l’Italia
sia
uno
dei
primi
paesi
consumatori
di
prodotti
di
moda
e
lusso
contraffatti,
pone
anche
un
problema
di
educazione
e
di
informazione
dei
consumatori,
che
spesso
sottovalutano
la
pericolosità
connessa
all’acquisto
di
abbigliamento
o
di
accessori
di
moda
contraffatti.
Se
è
vero
che
la
progressiva
internazionalizzazione
delle
aziende
di
moda
avverrà
anche
tramite
il
commercio
online,
Internet
ha
sicuramente
un
ruolo
importante
nella
diffusione
delle
merci
contraffatte,
e
sarebbe
dunque
auspicabile
l’elaborazione
di
una
soluzione
normativa
che
limiti
l’illegalità,
mantenendo
il
carattere
di
libertà,
tipico
della
rete.
243
APPENDICE
1
130
DANILOV
V.,
A
planning
guide
for
corporate
museums,
galleries,
and
visitors
centers,
Greenwood
Press,
1992,
p.4;
Cfr.
BELLENZIER
V.,
La
gestione
strategica
di
un
brand
del
lusso
in
Cina.
Mostre
top
brand
e
pubblico
cinese
tra
cultura
e
comportamenti
di
consumo,
tesi
di
laurea,
Università
Ca’
Foscari
Venezia,
Corso
di
laurea
magistrale
in
Economia
e
gestione
delle
aziende,
a.a.
2011/2012,
rel.
Calcagno
M.,
p.
71.
244
all’inizio
del
2000
quasi
la
metà
di
tutti
i
musei
d’impresa
esistenti
nel
mondo
sono
siti
in
Italia.131
L’origine
e
il
successivo
sviluppo
dei
musei
d’impresa
possono
essere
spiegati
da
tante
ragioni,
tra
cui
l’interesse
di
ricostruire
la
storia
aziendale
o
la
tradizione
di
un
imprenditore
tramite
un
archivio
storico
che
si
evolve
poi
in
collezione132
e
infine
in
vero
e
proprio
museo,
oppure
la
passione
di
un
imprenditore
per
l’arte,
che
si
trasforma
in
collezionismo,
applicato
poi
al
mondo
industriale.133
Sempre
Danilov
individua
alcune
funzioni
principali
dei
musei
d’impresa,
tra
le
quali
salvaguardare
e
trasferire
la
storia
d’impresa,
sviluppare
il
senso
di
orgoglio
dei
dipendenti
e
la
loro
identificazione
con
l’azienda,
informare
gli
ospiti
e
i
clienti
riguardo
alle
linee
di
prodotti
o
servizi
offerti,
informare
il
pubblico
riguardo
alla
compagnia
e
la
sua
attività.
È
infatti
fondamentale
per
un’azienda
determinare
lo
scopo
con
il
quale
si
intende
aprire
un
museo
d’impresa,
prima
di
imbarcarsi
in
un
progetto
del
genere.134
I
musei
d’impresa
possono
peraltro
adattarsi
praticamente
a
qualsiasi
categoria
merceologica,
alle
automobili
e
all’arredamento,
all’oreficeria
o
al
vetro,
al
tessile,
agli
occhiali
o
ai
prodotti
tipici
del
territorio...
131
BONTI
M.,
“I
musei
d’impresa
e
la
valorizzazione
del
territorio”
in
CIAPPEI
C.,
PADRONI
G.
(a
cura
di),
Le
imprese
nel
rilancio
competitivo
del
Made
e
Service
in
Italy:
settori
a
confronto,
Milano,
Franco
Angeli,
2013,
pp.
298-‐331;
Cfr.
anche
sull’argomento
AMARI
M.,
I
musei
delle
aziende:
la
cultura
della
tecnica
tra
arte
e
storia,
Milano,
Franco
Angeli,
2001,
pp.
346;
NEGRI
M.,
Manuale
di
museologia
per
i
musei
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con
un
testo
inedito
di
Kenneth
Hudson.
Soveria
Mannelli,
Rubbettino
Editore,
2003;
BULEGATO
F.,
I
musei
d’impresa:
dalle
arti
industriali
al
design,
Roma,
Carocci
editore,
2008,
pp.
208.
132
Per
collezione
aziendale
si
intende
“un
insieme
di
oggetti
relativi
all’attività
e
alla
produzione
di
una
o
più
aziende
appartenenti
ad
uno
stesso
settore
merceologico.
Nel
concetto
di
collezione
vi
è
la
esplicita
volontà
di
assemblare
e
conservare
materiali
che
possono
essere
testimonianza
della
produzione
e
della
vita
dell’impresa”
(AMARI
M.,
op.
cit.,
2001,
p.
72).
133
BONTI
M.,
op.
cit.,
p.
308.
134
DANILOV
V.,
op.
cit.,
p.5.
245
Ci
si
chiede
perché
dunque
non
sfruttare
questo
tipo
di
istituzione
culturale
per
valorizzare
le
produzioni
italiane.
“I
musei
d’impresa
rappresentano
strutture
–
emanazione
dell’attività
economica
di
un’impresa,
di
un
distretto,
di
una
tradizione
produttiva
–
connotate
da
significativi
legami
con
il
territorio,
che
attraverso
l’esposizione
di
oggetti,
prodotti,
immagini
e
altri
documenti
testimoniano
il
mutamento
di
un
determinato
settore
dell’industria,
l’evoluzione
delle
tecniche,
la
storia
e
trasformazione
dei
prodotti
di
importanti
imprese
italiane,
dalla
nascita
a
oggi135 .”136
In
Italia
i
musei
d’impresa
possono
quindi
essere
un
valido
strumento
per
la
diffusione
della
storia
e
delle
tradizioni
del
Made
in
Italy
nel
mondo:
non
a
caso
la
distribuzione
stessa
sul
territorio
nazionale
segue
un
pattern
molto
specifico.
I
luoghi
dove
ha
sede
la
maggior
parte
dei
musei
d’impresa
non
sono,
infatti,
gli
stessi
in
cui
hanno
sede
i
classici
musei
d’arte,
ma
sono
le
città
più
piccole,
i
borghi
e
i
piccoli
centri
di
provincia
a
ospitare
queste
istituzioni.137
135
www.museimpresa.it.
136
BONTI
M.,
op.
cit.,
cit.
p.
301.
137
Ed
è
soprattutto
nell’Italia
settentrionale
che
si
trovano
più
facilmente
musei
aziendali,
dove
hanno
cioè
sede
le
rispettive
aziende
proprietarie.
Amari
(2001)
evidenzia
questo
punto,
poiché
rispecchia
l’effettiva
geografia
industriale
italiana:
maggiore
concentrazione
industriale
al
nord,
minore
presenza
di
grandi
imprese
al
sud.
246
Figura
28
-‐
Turismo
industriale
in
Italia.
Fonte:
Associazione
Italiana
Archivi
e
Musei
d’Impresa,
www.museimpresa.it.
Il
Made
in
Italy
è
un
vero
e
proprio
brand,
legato
al
valore
intangibile
dei
prodotti,
al
loro
design,
alla
creatività
di
chi
li
ha
pensati;
ogni
prodotto
racchiude
in
sé
la
storia
e
la
cultura
del
contesto
da
cui
proviene,
e
dunque
anche
la
tradizione
industriale,
la
peculiarità
e
la
vocazione
produttiva
di
una
certa
area
geografica.
È
da
qui
che
nasce
la
capacità
attrattiva
del
Made
in
Italy:
i
prodotti
italiani
portano
con
sé
il
territorio
e
la
cultura
italiana
nel
mondo,
o,
al
contrario,
portano
il
mondo
in
Italia,
alimentando
i
“flussi
turistici
di
chi
vuole
vivere
e
assaporare
direttamente
in
loco
l’esperienza
del
made
in
Italy”.138
I
musei
d’impresa
possono
quindi
fornire
un
valido
contributo
all’offerta
turistica
delle
località
più
piccole,
sviluppando
non
solo
il
turismo,
in
particolare
quello
industriale,
ma
anche
valorizzando
la
storia,
l’economia,
l’arte,
la
cultura
e
l’economia
dei
luoghi
in
cui
l’attività
economica
ha
sede.
139
138
BONTI
M.,
op.
cit.,
p.
301.
139
A
proposito
del
turismo
industriale
come
risorsa
per
lo
sviluppo
delle
città
e
delle
imprese
stesse
si
veda
anche
VAN
DEN
BERG
L.,
OTGAAR
A.,
BERGER
C.,
XIANG
FENG
R.,
“Industrial
tourism:
opportunities
for
city
and
enterprise”,
in
Economic
Strategies
for
Mature
Industrial
Economies,
Edited
by
Peter
Karl
Kresl,
Edward
Elgar
Cheltenham,
UK,
Northampton,
MA,
USA,
pp.
201-‐231.
247
Figura
29
-‐
Musei
e
archivi
associati
a
Museimpresa
che
investono
nella
valorizzazione
del
patrimonio
industriale.
Fonte:
Associazione
Italiana
Archivi
e
Musei
d’Impresa,
www.museimpresa.it.
140
Secondo
il
Sistema
Informativo
Unificato
per
le
Soprintendenze
Archivistiche
sugli
allestimenti
e
sul
ruolo
delle
mostre
sulla
moda,
tesi
di
laurea,
Università
Ca’
Foscari
Venezia,
Corso
di
laurea
magistrale
in
Storia
delle
arti
e
Conservazione
dei
beni
artistici,
a.a.
2011/2012,
rel.
Portinari
S..
248
anni
Novanta-‐Duemila
l’apertura
di
un
museo
a
Milano,
che
fosse
in
grado
di
racchiudere
e
conservare
la
storia
del
Made
in
Italy
e
che
nello
stesso
tempo
potesse
servire
anche
come
centro
culturale
e
di
ricerca
a
livello
internazionale.
Gli
stessi
progetti
di
fondare
le
cosiddette
“Città
della
moda”
stentano
a
trovare
realizzazione.
Le
aziende,
in
particolare
in
questo
periodo
di
crisi,
cercano
quindi
autonomamente
di
ricostruire
e
conservare
la
propria
storia
e
tradizione
aziendale
e
la
propria
identità
di
marca.
Il
Brand
Heritage
è
uno
degli
elementi
fondamentali
dell’identità
di
marca,
fonte
di
differenziazione
e
di
affermazione,
“un
concetto
composito
che
incorpora
la
storia
del
brand
in
numero
di
anni
e
nel
potere
della
sua
storia
nel
tempo,
così
come
la
coerenza
e
continuità
dei
valori
chiave,
dei
prodotti
e
dei
simboli
visivi”.142
Esso
diventa
quindi
la
base
sulla
quale
sviluppare
non
solo
la
crescita,
ma
anche
la
credibilità
e
l’affidabilità
di
un’azienda.
Specialmente
nel
campo
della
moda
e
del
lusso
molte
sono
state,
e
continuano
ad
essere,
le
aziende
che
puntano
sulla
valorizzazione
del
proprio
“patrimonio
di
marca”
attraverso
l’organizzazione
di
eventi
ed
attività
con
l’obiettivo
di
tramandare
la
storia
del
brand,
di
migliorare
la
customer
experience
tramite
il
coinvolgimento
diretto
del
pubblico,
e
di
arricchire
quindi
ulteriormente
la
percezione
positiva
che
i
consumatori
hanno
dei
propri
prodotti.
I
brand
operanti
nel
campo
della
moda,
assumendo
che
la
moda
sia
una
vera
forma
d’arte
e
di
bellezza,
sono
forse
ancora
più
favoriti
dalla
possibilità
di
esporre
stabilmente
la
propria
eredità
di
marca
tramite
mostre
e
musei
d’impresa,
rispetto
a
quanto
lo
possano
essere
imprese
142
HAKALA
U.,
LÄTTI
S.,
SANDBERG
B.,
Operationalising
brand
heritage
and
cultural
heritage,
Journal
of
Brand
Management,
Vol.
20,
N.ro
6,
2011,
pp.
447-‐456,
p.454.
Cfr.
BELLENZIER
V.,
op.
cit.,
p.
69.
249
attive
in
altri
settori.
Esporre
“pezzi
di
memoria
dell’impresa”143
per
un
brand
operante
nella
moda
e
nel
lusso,
infatti,
significa
esporre
anche
una
produzione
artistica,
non
soltanto
un
pezzo
di
storia
industriale.
In
Italia,
la
maggior
parte
delle
collezioni
museali
e
degli
enti
che
conservano
abiti
e
accessori
di
moda
sono
istituti
privati,
in
particolare
archivi
aziendali
dedicati
ai
singoli
stilisti
o
musei
locali,
legati
alle
specializzazioni
produttive
radicate
in
uno
specifico
territorio,
come
la
produzione
di
tessuti,
di
accessori
(occhiali
o
calzature),
di
oggetti
di
lusso
(gioielli).
Non
si
tratta
però
di
musei
dedicati
esplicitamente
alla
moda,
ma
piuttosto
di
istituzioni
legate
alla
conservazione
del
patrimonio
industriale
fatto
di
conoscenze,
tecniche
e
creazioni
finali.
Tra
i
musei
italiani
nell’ambito
della
moda
spiccano
proprio
quelli
specialistici
o
d’impresa,
nati
dall’interesse
di
testimoniare
il
lavoro
e
la
capacità
creativa,
di
promuovere
le
collezioni
e
i
prodotti
aziendali.
143
MONTEMAGGI
M.,
SEVERINO
F.,
Heritage
Marketing.
La
Storia
dell’Impresa
3.
250
secondo
luogo
questo
acquista
ulteriore
importanza
dal
momento
che
l’azienda
aveva
a
disposizione
un
patrimonio
archivistico
d’impresa,
lungimirantemente
iniziato
da
Salvatore
Ferragamo
in
persona,
già
negli
anni
venti.
Il
Museo
ha
sede
nel
Palazzo
Spini
Feroni,
di
proprietà
della
famiglia
Ferragamo,
sede
storica
dell’azienda
nel
centro
di
Firenze.
Sicuramente
l’attività
d’archivio
iniziata
da
Ferragamo
in
tempi
così
precoci
diede
un
fondamentale
contributo
alla
moglie
Wanda
a
dare
vita
a
questa
istituzione,
insieme
al
grosso
successo
ottenuto
dalla
prima
mostra
sulla
vita
di
Salvatore,
organizzata
a
Palazzo
Strozzi
nei
primi
anni
Novanta.146
La
mostra,
infatti,
fu
poi
riproposta
nei
musei
delle
città
più
importanti
del
mondo,
al
Guggenheim
di
New
York,
al
Victoria
and
Albert
Museum
di
Londra,
al
County
Museum
di
Los
Angeles,
alla
Sogestu
Kai
Foundation
di
Tokio
e
al
Museos
des
Bellas
Artes
di
Città
del
Messico.
Il
Museo,
ampliato
nel
2006,
si
articola
su
sette
sale
e
raccoglie
oggi
più
di
14000
esemplari
di
calzature,
1000
borse
e
prodotti
di
piccola
pelletteria,
500
brevetti,
strumenti
di
lavoro,
modelli
in
legno
di
piedi,
2300
abiti,
200000
fotografie,
bozzetti,
libri,
riviste
che,
documentando
il
lavoro
di
un
secolo,
testimoniano
il
valore
creativo
e
l’anima
dell’azienda. 147
Data
la
numerosità
degli
oggetti,
essi
sono
esposti
a
rotazione
biennale
o
secondo
un
tema
stabilito.
146
Nel
1985
si
ebbe
l’idea
di
organizzare
una
mostra
retrospettiva
sull’azienda
Ferragamo,
patrocinata
dal
Comune
di
Firenze
e
con
la
collaborazione
della
Galleria
del
Costume
di
Palazzo
Pitti.
147
Tra
i
brevetti
di
invenzione
di
Ferragamo
ci
sono
il
cambrione
(1931,
rinforzo
per
l’arco
del
piede
in
lamina
metallica),
il
gloved
arch
(1952,
scarpa
caratterizzata
dal
fiosso
rivestito
con
la
pelle
della
tomaia,
mentre
la
suola
è
limitata
alla
parte
anteriore
e
al
tacco),
la
suola
a
conchiglia
(1960,
suola
che
risale
sul
tallone
e
diventa
tomaia),
i
tacchi
scultura
(brevettati
anche
dalla
figlia
Fiamma
Ferragamo),
il
kimo
(1951,
nuovo
genere
di
calzatura
femminile
a
giorno,
combinata
con
una
controcalzatura
aderente
al
piede
in
colori
e
materiali
differenti,
ispirati
al
tabi
giapponese),
la
zeppa
in
sughero
(1936).
251
Il
Museo
non
si
occupa
solo
di
mostre
ed
esposizioni,
ma
si
interessa
anche
al
costume,
all’arte
e
al
design
in
generale.
Molto
importante
sono
anche
l’attività
educativa
e
il
contributo
dato
dal
Museo
alla
formazione
di
giovani
stilisti.148
Data
l’importanza
rivestita
dal
Museo
Ferragamo
e
le
diverse
attività
da
esso
svolte,
si
può
quasi
considerarlo
un’istituzione
a
sé
stante,
indipendente
dalla
Società
cui
fa
capo.
Per
quanto
esso
continui
ad
assumere
una
valenza
comunicativa
indispensabile
per
l’azienda
(e
dunque
sia
necessario
coordinare
gli
strumenti
di
comunicazione
rivolti
al
pubblico
–
come
la
pubblicità
o
il
merchandising
–
e
il
museo
stesso,
per
far
sì
che
l’identità
aziendale
e
i
messaggi
trasmessi
dal
museo
coincidano149 )
e
sia
un
fondamentale
veicolo
di
Brand
heritage,
il
Museo
è
ormai
un’istituzione
culturale.
148
Il
costo
del
biglietto
d’ingresso
al
Museo
è
devoluto
alla
creazione
di
borse
di
o di aggiornamento.
252
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24
ore,
19
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paolabottelli.blog.ilsole24ore.com/2012/06/fondazione-‐edison-‐al-‐
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di
Giorgio
Armani:
“Chi
governerà
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Pmi
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Moda
24,
Il
Sole
24
Ore,
15
gennaio
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all’indirizzo:
www.moda24.ilsole24ore.com/art/industria-‐
finanza/2013-‐01-‐15/lappello-‐armani-‐aiuti-‐moda-‐
113157.php;
-‐ I
consumi
interni
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picco
obbligano
all’export
le
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Al
via
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sfilate
di
Milano,
Moda
24,
Il
Sole
24
ore,
20
febbraio
2013,
disponibile
all’indirizzo:
www.moda24.ilsole24ore.com/art/industria-‐finanza/2013-‐
02-‐20/consumi-‐interni-‐picco-‐obbligano-‐092833_PRN.php;
-‐ Tra
moda
e
lusso
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Europa
i
cinesi
spendono
19
miliardi,
Moda
24,
Il
Sole
24
ore,
15
marzo
2013,
disponibile
254
all’indirizzo:
www.moda24.ilsole24ore.com/art/industria-‐
finanza/2013-‐03-‐14/moda-‐lusso-‐europa-‐cinesi-‐181241.php.
BRIOSCHI
A.,
Comunicare
il
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Congresso
internazionale
“Le
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Ca’
Foscari
Venezia,
24
novembre
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CALANCA
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