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CARYL CHURCHILL
UN TEATRO NECESSARIO
Proprietà letteraria riservata Caryl Churchill. Un teatro necessario /
© 2012 ed.it, Firenze a cura di Mariacristina Cavecchi e
Via Lorenzo Viani, 74 Margaret Rose. -
50142 Firenze - Italy Firenze : ed.it, 2012. -
www.editpress.it 252 p. ; 21 cm
info@editpress.it ( Studi ; 10. )
Prima edizione: febbraio 2012 ISBN 978-88-89726-98-3
Printed in Italy ISBN eBook 978-88-97826-00-2
Permalink formato digitale:
<digital.casalini.it/9788897826002>
227 Bibliografia
235 Indice dei nomi
241 Autori
Prefazione
di Laura Caretti
tro di guerra, il profetico Far Away (2000) e il più recente Drunk Enough
to Say I Love You? (2006), Soncini esplora il nuovo linguaggio ideato
da Churchill per parlare delle “neoguerre” che in questi testi vengo-
no evocate. Paola Bono, infine, evidenzia alcuni elementi tematici che
ricorrono in combinatorie variabili nella sua drammaturgia: la fami-
glia e la società, la norma e la devianza, le relazioni di potere, il cor-
po e la sua significazione.
mondi alla regia di Sette bambine ebree e Far Away (2010). Churchill
non manca invece nei festival teatrali. Massimiliano Farau ha pre-
sentato Far Away nell’ambito del Teatro Festival Parma del 2003
e Sette bambine ebree ha debuttato nel 2009 nell’ambito della quar-
ta edizione della rassegna romana di drammaturgia contempora-
nea “In altre parole” per la regia di Francesco Randazzo. Quest’an-
no il cartellone di “Trend - nuove frontiere della scena britanni-
ca”, la rassegna ideata dal critico teatrale Rodolfo di Giammarco
giunta alla sua decima edizione e in cui, nel 2004, ha debuttato A
Number di Malosti, includeva una mise en espace di Far Away a cura
di Andrea Baracco, nella traduzione di Massimiliano Farau. D’al-
tro canto, come ricorda Marco Ghelardi che si è cimentato nella
messa in scena di Vinegar Tom con gli studenti della scuola di re-
citazione “Giovanni Poli” presso il teatro a l’Avogaria di Venezia,
«i testi di Caryl Churchill sono una buona occasione per diffon-
dere quei valori teatrali ed estetici che restano in ombra o ai mar-
gini della nostra cultura».
E mentre sul palcoscenico londinese del Trafalgar Studios un Top
Girls diretto da Max Stafford-Clark, collaboratore storico di Chur-
chill, nei mesi scorsi ha registrato il tutto esaurito, in Italia il teatro
di Churchill è un teatro ancora per pochi, benché ci sia grande at-
tesa a Milano per il debutto al Teatro Elfo Puccini di Abbastanza sbron-
zo da dire ti amo?, una produzione del Teatro Stabile delle Marche,
per la regia di Carlo Cecchi – una prima assoluta per l’Italia.
Lentamente, stagione dopo stagione, forse qualcosa si muove.
Il nostro è allora lo sforzo di offrire un ritratto di quest’autrice stra-
ordinaria e di scrivere una prima breve storia delle rappresentazio-
ni dei suoi testi in Italia in modo da ricordare alcuni allestimenti
a cui non sempre è stata dedicata dalla critica e dalle istituzioni ade-
guata attenzione. Ci auguriamo che questo volume possa suscita-
re in registi e attori, accademici e studenti la curiosità di scoprire
o riscoprire una delle autrici indubbiamente più interessanti della
scena contemporanea e il desiderio di cimentarsi con la messa in
scena o lo studio del suo teatro.
Parte Prima. Sguardi critici
2. Reading di Light Shining in Buckinghamshire presso Teatro i di Milano (30 gennaio 2009) con Bryan Dick,
Daniel Evans, Emmas Lowndes, Justin Salinger, Matt Smith, Nina Sosanya. Regia di Mark Ravenhill. ©
Federica Anchieri (2009).
I puritani ci hanno insegnato a mettere il mondo sot-
tosopra? Lettura di L i g h t S h i n i n g i n B u c k i n g h a m s h i r e
di Marialuisa Bignami
assai frequentato in quegli stessi anni settanta, i testi con cui pos-
siamo paragonare più da vicino l’opera di Churchill sono soprat-
tutto il quasi contemporaneo dramma The World Turned Upside Down
di Keith Dewhurst, messo in scena nel 19784, e la pellicola Win-
stanley di Kevin Brownlow e Andrew Mollo del 19755, i quali en-
trambi, secondo i loro diversi codici, mettono in scena episodi sto-
rici del Seicento rivoluzionario.
Vi è poi, d’altro canto, tutto il vasto ambito degli studi storici
stricto sensu, alla cui lettura la stessa autrice allude, quando, nell’In-
troduzione, ci comunica di non essersi fermata alle fonti storiche
più ovvie: «La semplice storia di “Cavalieri e teste rotonde” inse-
gnata a scuola nasconde la complessità dei fini e dei conflitti di co-
loro che si trovavano alla sinistra del Parlamento»6. Con questo ri-
ferimento assai moderno alla sinistra extraparlamentare diventa al-
lora centrale il richiamo allo studio dello storico oxoniense Chri-
stopher Hill, autore per primo di quel titolo così incisivo, The World
Turned Upside Down7, reso ancora più emblematico ed autorevole
dal richiamo biblico (Atti, 17:6). Per noi spettatori e lettori non in-
glesi, solo marginalmente coinvolti in quella svolta cruciale della
storia inglese che fu la rivoluzione puritana e non sempre piena-
mente consapevoli del suo significato nella storia europea, è mol-
to utile continuare a seguire dunque la rivelatrice Introduzione che
si manifesta come assai densa, pur nella sua brevità. Così Churchill
a proposito del momento storico: «Per un breve periodo, dopo che
il re era stato sconfitto, tutto sembrava possibile e il dramma mostra
lo stupore e l’eccitazione da parte del popolo che prendeva in mano
la propria vita». E più avanti, nella stessa Introduzione, su cui pare
opportuno fermarci ancora: «il credo anarchico a proposito della
libertà economica e sessuale fu l’ultimo disperato scoppio di sen-
timenti rivoluzionari prima della restaurazione» – e su questa at-
mosfera di ripiegamento dopo la grande esplosione creativa do-
vremo tornare a proposito dell’ultima scena. Churchill sente poi
il bisogno di mettere in risalto il contrasto tra due atteggiamenti
politici che caratterizzarono gli anni quaranta del Seicento: quel-
lo della rivoluzione “ufficiale”, nata nelle aule del Parlamento e gui-
26 Caryl Churchill. Un teatro necessario
po che si colloca tra il 1647 e il 1649, cioè quando i giochi della lot-
ta rivoluzionaria sono oramai fatti ed il re esce di scena (viene de-
capitato nel gennaio 1649); a questa compatta cronologia fa ecce-
zione la breve scena finale, collocata dopo la Restaurazione. Il dram-
ma si articola in ventuno scene, ora ampie ora rapide, sostanzialmen-
te indipendenti tra di loro, ma raggruppate in due atti ed una sorta
di breve epilogo (“After”, che allude appunto agli anni dopo la Re-
staurazione del 1660). Dato che, al modo postmoderno, esse non
hanno interesse a configurare uno “sviluppo”, le scene non sono nu-
merate, ma semplicemente presentano ciascuna un titolo che ce ne
anticipa il contenuto. Il dramma offre cioè un fermo-immagine del
momento di speranza dell’Inghilterra sospesa tra monarchia e re-
pubblica, con un triste finale che ha luogo una dozzina di anni più
tardi: un intervallo di tempo quest’ultimo che non viene presenta-
to sulla scena da Churchill, che evidentemente non ha interesse a que-
sti anni che potremmo chiamare di “normalizzazione” della rivolu-
zione, in cui il mondo sembra quasi essersi raddrizzato.
Il primo atto ci presenta le due facce della rivoluzione purita-
na, iniziando con quella degli emarginati, che per la prima volta nel-
la storia hanno voce, e presentando in seguito quella del dibatti-
to politico maggiore: si veda a questo proposito la lunga scena che
ci restituisce “Dibattiti di Putney” (una realtà storica rivisitata da
Churchill), che chiude il primo atto; in essa compaiono, trasfor-
mati in personaggi teatrali, tra gli altri, significativi personaggi sto-
rici quali Cromwell e Ireton, cioè vengono fatti agire in scena co-
loro che hanno sviluppato una visione politica più vasta dei sem-
plici sovvertitori dell’ordine quotidiano; si tratta quindi di quei po-
litici che impronteranno di sé il decennio immediatamente succes-
sivo della vita pubblica inglese, quello del Commonwealth, sino alla
Restaurazione monarchica.
Ma, prima della rievocazione assai seria del dibattito politico mag-
giore, il primo atto contiene la più riuscita scena di invenzione (“Mar-
garet Brotherton is tried”), tutto sommato gustosa, che ha per pro-
tagonista la mendicante Margaret Brotherton (destinata a ricom-
parire più volte nel testo), qui alle prese con una giustizia per lei in-
Parte Prima. Sguardi critici 29
Note
1
V. Fortunati, “Introduzione” a Conflitti: strategie di rappresentazione della guerra nella cultura contempo-
ranea, a cura di M. Ascari, V. Fortunati, D. Fortezza, Meltemi, Roma 2008, p. 20.
2
Non esiste una traduzione italiana pubblicata dell’opera. L’unica disponibile è una traduzione di
lavoro, condotta in verità con perizia da Salvatore Cabras per accompagnare la lettura fatta del te-
sto al Teatro i di Milano nel gennaio 2009. Voglio qui ringraziare il traduttore per averci genero-
samente messo a disposizione il suo lavoro.
3
C. Churchill, Light Shining in Buckinghamshire, in Plays: One, Methuen, London 1993, p. 183. Tutte
le citazioni saranno tratte da questa edizione, a cui quindi si riferiscono i numeri di pagina.
4
Pubblicato (assieme ad altri drammi dello stesso autore) nella raccolta War Plays nel 1996 a Lon-
dra da Oberon Books.
5
Vale la pena ricordare anche, tra le rivisitazioni novecentesche in chiave politica della rivoluzio-
ne puritana, un mediocre romanzo del 1962, Comrade Jacob di David Caute, che fu allievo di Chri-
stopher Hill all’università di Oxford.
6
Le citazioni in italiano dall’“Introduzione” di C. Churchill a Light Shining in Buckinghamshire nel vo-
lume Plays: One sono di chi scrive.
7
C. Hill, The World Turned Upside Down, Maurice Temple Smith, London 1972. Ma l‘autrice dice di
annoverare, tra le sue letture storiche, anche, dello stesso Hill, Puritanism and Revolution: Studies in
Interpretation of the English Revolution in the17th Century, Secker & Warburg, London 1958, nonché The
Pursuit of the Millennium di N. Cohn (originariamente pubblicato nel 1957, ma più volte aggiorna-
to e ristampato) e i vari studi di A.L. Morton, in particolare quelli sui Ranter.
8
«I dibattiti di Putney, 28 ottobre 1647: sono il colonnello Thomas Rainborough, un Livellatore».
9
«che, per il fatto che un uomo nasca qui, egli partecipi di quel potere che potrà disporre delle ter-
re qui. Non credo che sia terreno sufficiente».
10
«Non trovo nulla nella legge di Dio secondo cui un lord possa designare venti membri [del par-
lamento], un gentiluomo soltanto due e un povero non ne designi nessuno».
11
«L’Inghilterra non sarà abitata da un popolo libero finché i poveri, che non hanno terra, non avran-
no il permesso gratuito di dissodare e lavorare le terre comuni».
12
HOSKINS Vieni qui, c’è da bere a volontà
BROTHERTON Che cosa devo fare?
COBBE Quello che ti pare. Io ti venero, più della Vergine Maria.
HOSKINS Non era vergine
CLAXTON Cristo era un bastardo.
HOSKINS È ancora un bastardo.
BROTHERON Credevo che tu avessi detto che questo era un incontro di preghiera.
CLAXTON Lo è. Questa è la mia unica carne.
13
BROTHERTON Quando arriva?
COBBE Chi?
BROTHERTON Il predicatore.
COBBE Sei tu il predicatore.
BROTHERTON Che cosa? No. Non posso.
14
C. Hill, The Experience of Defeat. Milton and Some Contemporaries, Faber and Faber, London 1984.
T o p G i r l s e il collage postmoderno
di Anna Anzi
La risposta postmoderna al moderno consiste nel
riconoscere che il passato, visto che non può essere
distrutto, perché la sua distruzione porta al silenzio, deve
essere rivisitato: con ironia in modo non innocente1.
NIJO [...] Don’t you like getting dressed? I adored my clothes./ When I was
chosen to give sake to his Majesty brother,
MARLENE You had prettier colours than Isabella.
NIJO The Emperor Kameyana, on his formal visit, I wore raw silk plea-
ted trousers and a seven layered gown in shades of red, and two outer gar-
ments,/ yellow lined with green and a light
MARLENE Yes, all that silk must have been very...
The WAITRESS starts to clear the first course.
JOAN I dressed as a boy when I left home*.
NIJO Green jacket. Lady Betto had a five-layered gown in shades of gre-
en and purple.
ISABELLA * You dressed as a boy?
MARLENE Of course,/ for safety7.
Note
1
U. Eco, Postille a Il nome della rosa, Bompiani, Milano 1983, p. 136.
2
“Care” sta per “accudimento”, dedizione agli altri, alla famiglia, ai figli ma anche attenzione, pre-
mura e sensibilità. “Empowerment” è “la concessione di autorità”, il rendere qualcuno capace di
imporsi, di emergere, di soddisfare le proprie ambizioni come, ad esempio, ottenere successo nel-
l’ambito del lavoro, salire nella scala sociale, realizzare se stessi.
3
M. Rose ricorda che Churchill «preferisce non definirsi “femminista” ma le si può attribuire un
costante punto di vista femminile». Cfr. M. Rose, Storia del teatro inglese. L’Ottocento e il Novecento,
Carocci, Roma 2002, p. 194.
4
Pieter Bruegel, Dulle Griet (c. 1562), olio su tela, 117.4 x 162 cm, Museo Mayer van den Bergh,
Anversa.
5
P. Bertinetti, Il teatro inglese del Novecento, Einaudi, Torino 1992, p. 261.
6
Ibidem.
7
C. Churchill, Top Girls, Methuen, London 1991, p. 8. Trad. it. di Margaret Rose e Laura Caretti,
copione di scena, Milano, Teatro i, 28 gennaio 2009, p. 12:
NIJO A te non piace vestirti? Io adoravo i miei vestiti.
Quando fui eletta a versare saké al fratello di Sua maestà,
MARLENE Tu avevi dei colori più belli di Isabella.
NIJO L’imperatore Kameyana, in visita ufficiale, indossava dei pantaloni a pieghe di seta pura, con
sopra una veste sfumata nelle tonalità del rosso, a sette veli e due casacche
foderate di giallo e verde, e una giacca
MARLENE Certo, tutta quella seta doveva essere molto….
LA CAMERIERA incomincia a portare via i piatti della prima portata.
JOAN ero vestita da ragazzo, quando me ne sono andata via di casa.*
NIJO verde chiaro. Lady Betto indossava un abito a cinque veli con sfumature verde e porpora.
ISABELLA *eri vestita da ragazzo?
MARLENE Certo. / Per prudenza.
Gli asterischi stanno ad indicare una frase che si ricollega a una frase non immediatamente prece-
dente. Il segno “ / ” segnala che un personaggio continua a parlare sovrapponendo le sue parole
a quelle di un altro personaggio.
8
Entrambi i giudizi sono riportati in Churchill, Top Girls, cit., p. l.
9
Rose, op. cit., p. 195.
10
Cfr. R.H. Marijnissen, Brueghel, Rizzoli, Milano 1990.
11
L. Truss, “A Fair Cop” (intervista a C. Churchill), «Plays and Players», January, 1984, p. 12.
12
Bill Naismith in Churchill, Top Girls, cit., p. LIII. Trad. it. di chi scrive.
13
U. Eco, Postille a Il nome della rosa, cit., p. 529.
14
Cfr. B. McHale, Postmodernist Fiction, Methuen, New York & London 1987.
3. Reading di Light Shining in Buckinghamshire presso Teatro i di Milano (30 gennaio 2009). Regia di Mark
Ravenhill. © Federica Anchieri (2009).
Amati fantasmi: la papessa Giovanna e altri r o l e
m o d e l s della rivolta
di Luca Scarlini
A partire dagli anni settanta il teatro inglese apre uno spazio a una
serie di autrici che affermano se stesse in toni e modi ben diversi
da quelli usati nel decennio precedente da Joan Littlewood o Ann
Jellicoe e Shelagh Delaney. Il femminismo era spesso la linea esat-
ta di demarcazione, nel momento in cui si formarono gruppi co-
me The Monstrous Regiment (che inaugura le proprie attività nel
1976 con Scum di Claire Luckham). In quel nome si evocavano i
precetti misogini della cultura occidentale, facendo un chiaro rife-
rimento al famigerato sermone di John Knox, che evocava squil-
li di trombe contro il mondo femminile visto come fonte di tutti
i mali del genere umano (The First Blast of the Trumpet Against the
Monstrous Regiment of Women, 1558). Un concetto oggi tutt’altro
che tramontato in questa novella epoca teocratica, se proprio
questa espressione è stata recentemente usata oggi negli USA co-
me titolo di un violento documentario dei cattolicissimi fratelli
Gunn, The Monstrous Regiment of Women (2007). Non stupisce,
quindi, che in breve sia iniziata la caccia ai role models, alla ricerca
delle donne di altre epoche che hanno messo in discussione lo
status quo e dichiarato un progetto esistenziale diverso da quello
che ci si attendeva da loro.
Timberlake Wertenbaker si fece notare nel 1981 all’ICA di Lon-
dra con New Anatomies, appassionata biografia immaginaria di Isa-
belle Eberhardt, viaggiatrice attratta dall’Islam, che decise di vive-
re in abiti maschili in Nord-Africa, per diventare mistico sufi. Fi-
delis Morgan, attrice e scrittrice, divenuta celebre nell’ultimo decen-
nio per i suoi gialli ambientati al tempo della Restaurazione che han-
no come protagonista la contessa-detective Ashby de la Zouche,
46 Caryl Churchill. Un teatro necessario
Note
1
«donne cattive/ è quello che volete?/ È quello che volete vedere?/ Sullo schermo cinematogra-
fico/ dei vostri sogni bagnati?». La trad. it. è di chi scrive.
S e r i o u s M o n e y e il Big Bang nella City1
di Margaret Rose
They call me a tart who can hardly fart when it’s bedlam in the pit
I’m the local tootsie playing footsie but I don’t mind a bit
Cos my future trusts my money lusts as far as it can spit
And my sterling works on mouthy jerks whose bids are full of shit.
(p. 61)22
Parte Prima. Sguardi critici 61
Note
1
Una parte del presente capitolo è stata pubblicata in lingua inglese in La città delle donne. Immagi-
nario urbano e letteratura del Novecento, a cura di Oriana Palusci, Tirrenia Stampatori, Torino, 1992.
2
C. Churchill, Serious Money, Methuen, London 1987. Le traduzioni dei brani citati sono di chi scri-
ve.
3
Per ulteriori informazioni sul “Royal Exchange” e il suo fondatore, Sir Thomas Gresham cfr. “The
Royal Exchange”, in W. Thornbury, Old and New London, vol. I, Cassell, Petter and Galpin, Lon-
don 1878, pp. 494-513.
4
Cfr. P. Hentzner, Travels in England during the Reign of Elizabeth I (prima pubblicazione in tedesco
nel 1612); trad. di Horace Walpole, Late Earl of Orford, Edward Jeffery, London 1797, p. 29.
5
Cfr. T. Shadwell, The Volonteers or the Stockjobbers, a cura di D.M. Walmsley, Heath and Company,
London 1930.
6
Quest’affermazione e quelle che seguono fanno parte di una intervista con Caryl Churchill, con-
cessami nell’aprile del 1987 presso il Royal Court di Londra (d’ora in poi: “The Royal Court In-
terview”). Parte dell’intervista è stata pubblicata in Sguardo al femminile. «Sipario» incontra Caryl
Churchill, drammaturgo inglese di successo, «Sipario», novembre-dicembre, 1987, pp. 98-101.
7
Churchill ha espresso perplessità riguardo all’etichetta di “femminista” con cui parte della criti-
ca l’ha spesso definita: «Per tanti anni ho pensato a me stessa come scrittore tout court, senza pen-
sarmi in termini di gender. Recentemente ho però scoperto in me un lato femminista, forse per la
mia frequentazione di ambienti che hanno a che fare con le problematiche femminili. Ciò filtra in-
dubbiamente in quello che scrivo. Comunque, la mia posizione è lontana da certe femministe che
vogliono a tutti i costi porre delle questioni femministe». Cfr. l’intervista con A. McFerran pub-
blicata su «Time Out», 21-27 October 1977.
8
Autrici e drammaturghe femminista, come Micheline Wandor, non hanno accettato la posizione
di Churchill e hanno sottolineato l’ambiguità di alcune delle sue pièce. Cfr. M. Wandor, Carry on
Understudies. Theatre and Sexual Politics, Methuen, London 1981, pp. 167-174.
9
Cfr. The Joint Stock Book, a cura di R. Ritchie, Methuen, London 1987. Churchill ha collaborato
con “Joint Stock” per Light Shining in Buckingamshire (1976), Cloud Nine (1979), Fen (1983) e A Mou-
thful of Birds (1986).
10
M. McLuhan, Understanding Media, McGraw Hill, New York 1965, p. 104 e passim.
11
GRIMES Senti, Nomura sta reclutando un sacco di Sloanes.
Ai clienti piace sentirli parlare al telefono
perché il loro accento non è giapponese.
Se vuoi buttarti in qualcosa di grosso -
SCILLA Grimes, non essere sciocco.
Tu sai bene che papà avrebbe potuto farmi entrare con un bella raccomandazione,
ma sai anche che io preferisco stare in basso.
Mi piace stare con i pivelli: è più divertente!
12
L’autrice collabora con Joint Stock frequentando assiduamente le prove, cambiando il testo e di-
scutendo la scenografia, i costumi, le luci e la musica. Questo è il motivo per il quale le didascalie
sono minimali in tante sue opere. In Serious Money le didascalie iniziali indicano tre diverse sale, si-
multaneamente presenti sul palco e dotate di computer e telefoni (p. 14).
13
Cfr. M. Rose, Un viaggio nel tempo e lo spazio del teatro di Caryl Churchill in Forme drammatiche e tradi-
zione al femminile nel teatro inglese, a cura di R. Baccolini, V. Fortunati e R. Zacchi, Quattroventi, Ur-
bino 1992, pp. 192-211.
Parte Prima. Sguardi critici 63
14
JACINTA Zac, sei così affascinante. Mi piaci quasi quanto un eurobond.
ZAC Ero convinto che non saremmo mai riusciti a vederci.
Sei più eccitante di un tasso di interesse fluttuante.
JACINTA Questo è un posto troppo pubblico per un incontro.
ZAC Forse sarebbe meglio andare nella tua suite.
Si alzano e se ne vanno.
ZAC Hai mai giocato a hula-hop quando eri piccola? Hai in mente quando smette di girare e cade
a terra? Ecco, mi sento proprio così.
JACINTA Sono molto felice. Ti voglio tanto bene.
Ma ti dispiacerebbe se andiamo a dormire?
15
«La borsa era una stradina di paese
La si percorreva e ci si incontrava con gli amici
Ora nessuno si incontra mai
Non mi invitano mai a uscire nel fine settimana».
16
«L’avidità non è un problema. L’avidità è sana. Puoi essere avido e sentirti perfettamente in pace
con te stesso».
17
«Lavoro venti ore al giorno e prendo le pastiglie contro l’acidità di stomaco –
per questo le aziende si lasciano comprare tanto facilmente.
Questo significa eliminare lavori superflui, tagliare ciò che è inutile,
il tipo di cose che rende schifiltosi i tuoi oziosi dipendenti.
Se consideriamo quanto bene facciamo all’economia statunitense,
Credo che dovrebbero trattarci con maggiore rispetto e cura.
Ho centocinquanta telefoni perché io dipendo dalle informazioni».
18
«Non preoccuparti, Jake. Non ho intenzione di abbandonarti.
Ti offro tutto il mio sostegno – ma non la mia cocaina.
E ovviamente mi terrò la casa e l’aereo.
Il mio paese è meraviglioso, Jake: ci sono montagne e giungle verdissime. E la mia gente vi mori-
rà di fame. (Che marciscano. Non ne posso più!)».
19
Cfr. The Royal Court Interview, cit.
20
Cfr. K.O’Dean, “Bear Hugs and Bo Dereks on Wall Street” per una discussione dell’evoluzio-
ne del linguaggio all’interno della borsa americana, che è facilmente paragonabile a ciò che è suc-
cesso in Inghilterra, in The State of Language, a cura di L. Michaels and C. Ricks, University of Ca-
lifornia Press, Berkeley 1980, pp. 226-227.
21
GRIMES (al telefono) Cosa fai stasera?
SCILLA (telefono 1) Esco più tardi – Rimani in linea.
(telefono 2) 4 a 10 niente da fare. Non arriva a 5?
5 a 10! 5 a 10!
GRIMES (telefono 2) Offri 28.
MATES (a GRIMES) Sto solo facendo uno scatto.
GRIMES (a MATES) Lascia perdere.
SCILLA (al telefono) Grimes?
GRIMES (a MATES) I futures sono saliti.
(al telefono) Champagne bar alle 6?
MATES (al telefono) Ne vendo uno a questo prezzo.
(a GRIMES) Sto alzando l’offerta.
SCILLA (al telefono 2) Ti abbiamo rimediato un’offerta da 5 a 10, va bene?
(al telefono 1) Va bene, champagne bar alle 6.
64 Caryl Churchill. Un teatro necessario
Un surrealismo epico
MARY: [...] there was a holdup on the tube it stopped in the tunnel for about
five minutes people were starting to get nervous you could see from the way
they kept on reading or just staring into space but deliberately because they
were getting nervous [...] (p. 9)17
74 Caryl Churchill. Un teatro necessario
Eric: I’m going to have a bath I had a bath yesterday I don’t feel like a bath.
(p. 31)18
Note
1
P. Roberts, About Churchill: The Playwright and the Work, Faber and Faber, London 2008, p. XXVI.
2
C. Churchill, Traps, note di regia, Nick Hern Books, London 1978. Cfr. D. Jernigan, Traps, Soft-
cops, Blue Heart, and This is a Chair: Tracking Epistemological Upheaval in Caryl Churchill’s Shorter Plays,
«Modern Drama», XLVII, 1, 2004, Spring 4, pp. 33-43.
3
P. Roberts, op. cit., p. XXVI.
4
Churchill s’imbatte in Brecht presto, quando, nel 1958, a Oxford, prende parte come attrice ad
una messa in scena del Cerchio di gesso del Caucaso. Sul suo rapporto con il drammaturgo tede-
sco cfr. il capitolo “Caryl Churchill: Socialist Feminism and Brechtian Dramaturgy” in J. Reinelt,
After Brecht. British Epic Theater, The University of Michigan Press, Ann Arbor 1996, pp. 81-107.
5
Ivi, p. 86.
6
B. Brecht, Schriften zum Theater. Über eine nicht-aristotelische Dramatik, Suhrkamp Verlag, Frankfurt
am Main 1957; trad. it. Scritti teatrali, Einaudi, Torino 1962, pp. 37-42.
7
C. Churchill, This is a Chair, Nick Hern Books, London, 1999. Le traduzioni da questo testo sono
di chi scrive.
8
R. Magritte, La Trahison des images, olio su tela, 59x65cm, Art Institute, Chicago.
9
P. Roberts, op. cit., p. 250.
10
M. Cavecchi, “Nel museo di Samuel Beckett: alcune stanze”, in Tra le lingue, tra i linguaggi. Cen-
t’anni di Samuel Beckett, a cura di M. Cavecchi e C. Patey, Quaderni di Acme 97, Cisalpino, Milano
2007, pp. 235-262; E. Brater, “The Seated Figure on Beckett’s Stage” in The Tragic Comedy of Sa-
muel Beckett, a cura di D. Guardamagna e R.M. Sebellin, Laterza, Bari 2009, pp. 259-276.
11
Così scrive Foucault: «dietro quel disegno e quelle parole, prima che si fossero formati il dise-
gno del quadro e il disegno della pipa dentro di esso, prima che lassù fosse comparsa la grossa pipa
fluttuante, credo necessario supporre che fosse stato formato un calligramma, che poi si è decom-
posto» (M. Foucault, Ceci n’est pas une pipe, Editions Fata Morgana, Montpellier 1973; trad. it. Que-
sto non è una pipa, SE, Milano 1988, p. 26).
12
Ivi, p. 30.
13
Cfr. D. Conversi, “Moral Relativism and Equidistance in British Attitudes to the War in the For-
mer Yugoslavia”, in This Time We Knew: Western Responses to Genocide in Bosnia, a cura di S.G. Meštro-
vic e T. Cushman, New York University Press, New York 1996, pp. 244-281.
14
«Muriel, se non mangi la tua cena sai cosa ti succede».
15
R. Magritte, “Les mots et les images”, in La Révolution Surréaliste, 12, 15 Décembre 1929, pp. 32-
33; trad. it. “Le parole e le immagini” in S. Gablik, Magritte. La vita e le opere, Rusconi, Milano 1988,
p. 133.
16
D. Barrit in Roberts, op. cit., p. 251.
17
«[...] c’è stato un intoppo nella metro si è fermata nel tunnel per cinque minuti circa la gente ini-
ziava a innervosirsi si vedeva dal modo con cui continuava a leggere o fissava lo spazio ma volu-
tamente perché iniziavano a innervosirsi».
18
«Ho intenzione di fare un bagno ho fatto un bagno ieri non mi va di fare un bagno».
Copertina del volume This is a Chair, Nick Hern Books, London 1999.
«This is Not a War»: le neoguerre nel teatro di
Caryl Churchill
di Sara Soncini
L’approccio antimimetico
Come nel magrittiano This is a Chair, anche nei war plays successi-
vi quelle di Caryl Churchill sono guerre di volta in volta annun-
ciate, raccontate, citate, rievocate, ma mai mostrate. Così, ad esem-
Parte Prima. Sguardi critici 79
lico («I’m not surprised you can’t sleep, what an upsetting thing to
see. But now you understand, it’s not so bad. You’re part of a mo-
vement now to make things better»)9.
La seconda parte di Far Away si svolge «alcuni anni dopo» (p. 16)
ed è ambientata in un cappellificio dove Joan, fresca di laurea in mo-
disteria, vince nell’arco di una settimana sia la diffidenza di Todd,
il suo collega senior, sia l’ambitissimo primo premio alla parata del
venerdì alla quale, scopriamo, le loro stravaganti creazioni sono de-
stinate. La scena muta in «una processione di prigionieri stremati,
vestiti di stracci, incatenati, ognuno con in testa un cappello» (p. 24)
che s’incamminano al patibolo ed è realizzata coreograficamente come
una sfilata di moda: i condannati quasi schiacciati dagli enormi cap-
pelli che vengono a esibire in proscenio. Il lunedì successivo, all’ini-
zio di una nuova settimana di lavoro, Joan continua a spronare Todd
a battersi contro l’economia corrotta dell’industria dei cappelli e in-
tanto si rammarica con agghiacciante indifferenza per la sorte effi-
mera delle loro opere, condannate, dopo tanto sforzo creativo, a es-
sere bruciate insieme ai corpi dei prigionieri, mentre solo alla vin-
citrice spetta l’onore del museo. Con altrettanta leggerezza Todd esal-
ta la bellezza fugace dell’arte («Tu crei bellezza e la bellezza svani-
sce. Lo trovo stupendo», p. 25) ma, soprattutto, ricorda alla nuova
arrivata che la distruzione dei cappelli è essenziale alla logica del con-
sumo, senza la quale il sistema produttivo che remunera la loro crea-
tività non potrebbe esistere10. Nella parte centrale della pièce, dun-
que, l’orrore della guerra è soggetto a un processo di spostamento
doppio e complementare: è sostituito dalle scene di vita lavorativa
di Joan e Todd, con la loro abitudine indotta alla rimozione e la con-
seguente incapacità di vedere oltre la micro-conflittualità del vive-
re quotidiano; ed è camuffato sotto le spoglie dell’arte nell’assurdo,
atroce show dei prigionieri – una forma di estetizzazione e spetta-
colarizzazione della violenza del tutto simile a quella dei processi a
carico dei nemici dello Stato che Todd guarda in TV fino alle quat-
tro del mattino «bevendo pernod» (p. 18).
È nella terza ed ultima parte dello spettacolo che il ruolo fonda-
mentale delle rappresentazioni nel creare, sostenere e perpetuare le
Parte Prima. Sguardi critici 83
bientale (scena ottava). Ogni scena passa in rassegna gli episodi sa-
lienti che attestano l’assidua frequentazione da parte statunitense
dell’una o dell’altra strategia bellica dal secondo dopoguerra a oggi:
così nella scena settima, che tratta dell’impiego sistematico della
tortura, si parte dalla Grecia dei colonnelli per poi spostarsi al Viet-
nam, alle dittature centro e sudamericane, all’Afghanistan e infi-
ne a Guantanamo. Ad ogni cambio di situazione, sottolineato da
uno stacco musicale, l’orologio viene riportato indietro e la storia
ricomincia dal principio, anche se con modalità e attori diversi, giun-
gendo a un nuovo climax con l’approdo ai giorni nostri. L’effet-
to complessivo è quello di una genealogia delle forme del conflit-
to contemporaneo che condivide l’andamento circolare e ripeti-
tivo della storia d’amore: al termine della scena sesta Jack lascia Sam
per tornare dalla famiglia, ma in quella seguente torna, dichiara di
non poter vivere senza di lui, e il ménage riprende identico a pri-
ma; il finale aperto dell’ultima scena, nella quale Jack manifesta nuo-
vamente il proposito di andarsene, sembra prefigurare beckettia-
namente il ripetersi di uno schema ormai divenuto abituale. Un pro-
cesso corrispondente interessa il piano della trama bellica: al ter-
mine di ogni scena la progressione lineare degli eventi sembra tro-
vare un punto d’arrivo nel presente, mentre in realtà la guerra muta
sembianze per ricominciare daccapo nella scena successiva. A sim-
boleggiare l’impossibilità di mettere la parola “fine” alla trama amo-
rosa, la pièce si chiude con una battuta sospesa di Sam che, a fron-
te dell’ennesimo tentennamento di Jack, gli intima «love me love
me, you have to love me, you» (p. 42)25. Analogamente, la litania
di bombardamenti condivisa da Sam e Jack e inframmezzata alle
altre battute di dialogo nella terza scena, anziché concludersi, vie-
ne semplicemente interrotta, trasmettendo la sensazione di un pro-
liferare dei conflitti che finisce per eccedere i limiti formali della
scrittura drammatica:
JACK carbon
SAM can’t see it in the air, so
JACK Kyoto?
SAM price of electricity in California
JACK but
SAM nuclear
JACK danger
SAM efficient
JACK waste
SAM solution
JACK Iran? (p. 40)32
Note
1
Cfr. U. Eco, Guerra diffusa, «L’Espresso», 12 settembre 2002, pp. 44-50; V. Coralluzzo, Nuovi nomi
per nuove guerre, in Guerre globali. Capire i conflitti del XXI secolo, a cura di A. d’Orsi, Carocci, Roma 2003,
pp. 51-67; M. Kaldor, New and Old Wars: Organized Violence in a Global Era, Polity Press, Oxford 1999
(trad. it. Le nuove guerre: la violenza organizzata nell’era globale, Carocci, Roma 1999).
2
J. Baudrillard, La guerre du Golfe n’a pas eu lieu, Éd. Galilée, Paris 1991, p. 49.
3
A. Asor Rosa, La guerra. Sulle forme attuali della convivenza umana, Einaudi, Torino 2002, p. 47.
4
C. Churchill cit. in M. Brown, Royal Court acts fast with Gaza crisis play, in «The Guardian» (edizio-
ne elettronica), 24 January 2009. A conferma della natura innanzitutto politica dell’evento, agli spet-
tatori non veniva chiesto di pagare il biglietto ma semplicemente di fare una donazione all’asso-
ciazione Medical Aid for Palestinians. Il testo dello spettacolo è stato messo da subito a disposi-
zione sul web, dove poteva essere scaricato gratuitamente e rappresentato ovunque, da chiunque,
senza bisogno di acquistarne i diritti, a patto di mantenere il format dell’ingresso libero unito alla
raccolta di fondi per Gaza. In Italia Sette bambine ebree è andato in scena nel settembre 2009 al Tea-
tro Lo Spazio di Roma, nell’ambito della rassegna di drammaturgia contemporanea internaziona-
le In altre parole. Negli ultimi anni l’impegno politico di Caryl Churchill contro la guerra è stato par-
ticolarmente intenso. Nel marzo 2003 la scrittrice ha partecipato al Lysistrata Project, l’iniziativa di
protesta contro l’intervento in Iraq che ha dato luogo a eventi e interventi teatrali in oltre cinquan-
ta nazioni di tutto il mondo; successivamente ha contribuito con Iraq.doc (un collage di citazioni
sulla guerra in Iraq raccolte da una chat su internet) alla serata con cui il Royal Court dava il suo
polemico benvenuto a G.W. Bush in visita a Londra (A Royal Welcome, 19 novembre 2003); nel-
l’aprile del 2004 è stata tra i protagonisti di War Correspondence, una rassegna, sempre a cura del Ro-
yal Court, di brevi reazioni a caldo sullo stesso conflitto; nello medesimo periodo è stata tra i fir-
matari di due lettere al «Guardian» contro l’appoggio americano alle attività di Israele nella striscia
di Gaza e in Cisgiordania; nel febbraio 2007 si è unita alla mobilitazione generale con cui il mon-
do del teatro ha lanciato un appello al governo britannico per il ritiro delle truppe dall‘Iraq e ha
invitato il parlamento a votare contro il rinnovo del programma di missili nucleari Trident.
5
Niente di tutto ciò è specificato nel testo a stampa, nel quale non compaiono didascalie. Le in-
formazioni sulla realizzazione scenica sono state tratte dalle recensioni dello spettacolo e dal vo-
lume di P. Roberts, About Churchill: The Playwright and the Work, Faber & Faber, London 2008.
6
Sull’insorgenza e le caratteristiche del nuovo paradigma dell’information warfare si cfr. F. Roncaro-
lo, La guerra tra informazione e propaganda. Vecchi e nuovi paradigmi della rappresentazione e del controllo, in
Guerre globali, a cura di A. D’Orsi, op. cit., pp. 225-251, in particolare il par. 17.I.3. Importanti stu-
di sul rapporto tra guerra e media che sostanziano le considerazioni presenti in questo saggio sono:
M. Ignatieff, Virtual War: Kosovo and Beyond, Chatto & Windus, London 2000; S.L. Carruthers, The
Media at War. Communication and Conflict in the 20th Century, Macmillan, London, 2000; F. Tonello, La
nuova macchina dell’informazione. Culture, tecnologie e uomini nell’industria americana dei media, Feltrinelli, Mi-
lano 1999.
7
Così, ad esempio, nella recensione di Paul Taylor dell’allestimento curato da Peter Brook al Bouf-
fes du Nord nel gennaio 2002. Cfr. P. Taylor, Peter Brook: An open brook, in «The Independent» (edi-
zione elettronica), 30 January 2002.
8
Anche queste sono aggiunte registiche elaborate nel corso delle prove (alle quali, com’è noto, Ca-
ryl Churchill prende regolarmente parte). Chi scrive ha potuto consultare la videoregistrazione del-
lo spettacolo presso l’archivio del “Theatre Museum”; alcuni dettagli sono stati tratti dalle recen-
sioni e dal già citato volume di Brown.
Parte Prima. Sguardi critici 97
9
«picchiava solo i traditori»; «Per forza non riesci a dormire, con le cose impressionanti che hai
visto. Ma ora che sai non è più così brutto. Ora fai parte di un movimento che vuole migliorare le
cose». Churchill, Far Away, Nick Hern, London 2000, p. 14. D’ora in avanti le citazioni dal testo
inglese saranno indicate nel corpo del testo con il numero di pagina tra parentesi. Le traduzioni in
nota sono di chi scrive.
10
Per una sorprendente coincidenza, i cappelli sono un elemento centrale anche in Homebody/Ka-
bul (2000) di Tony Kushner, l’altro grande testo “profetico” sulle guerre del nuovo millennio. Su
questo rimando alla mia analisi dettagliata nel saggio The ‘Translation Turn’ in Contemporary War Plays:
Tony Kushner’s Homebody/Kabul, in One of Us. Studi inglesi e conradiani offerti a Mario Curreli, a cura di
F. Ciompi, ETS, Pisa 2009, pp. 367-384. I cappelli di Kushner e Churchill sono posti a confronto
nell’articolo di U. Chaudhury, Different Hats, «Theater» 33:3 (2003), pp. 132-134.
11
HARPER I gatti sono passati dalla parte dei francesi.
[...]
TODD Ma noi non stiamo esattamente contro i francesi. In fondo non sono mica i marocchini
e le formiche.
HARPER Non sono mica i canadesi, i venezuelani e le zanzare.
TODD Non sono mica gli ingegneri, gli chef, i bambini sotto i cinque anni, i musicisti.
HARPER I venditori d’auto.
TODD I venditori d’auto portoghesi.
HARPER I nuotatori russi.
TODD I macellai tailandesi.
HARPER I dentisti lettoni.
TODD No, i dentisti lettoni stanno facendo un buon lavoro a Cuba. Hanno una casa fuori L’Ava-
na.
HARPER Ma la Lettonia manda maiali in Svezia. I dentisti sono legati all’odontoiatria internazio-
nale ed è con loro che stanno veramente, con i dentisti di Dar-es-Salaam.
12
«Era molto fredda, ma per il momento tutto qua. Appena messo dentro il piede non puoi sape-
re cosa accadrà. L’acqua ti circonda le caviglie comunque sia».
13
Brown, op. cit., p. 261.
14
Il riferimento, nello scambio citato in precedenza, a Dar-es-Salaam, recente teatro di un atten-
tato all’ambasciata americana rivendicato da al Quaeda, è l’unica eccezione alla regola della decon-
testualizzazione.
15
Todd a un certo punto fa vedere a Harper la cicatrice di una ferita per dimostrarle che conosce
bene il potenziale offensivo dei cervi. Tuttavia, quando Harper gli chiede se sia stata opera di un
cervo, Todd ammette: «In realtà è stato un orso. Non mi piace non essere creduto». Le circostan-
ze del presunto attacco, inoltre, non vengono chiarite.
16
«In Etiopia ho sparato al bestiame e ai bambini. Ho gassato reggimenti misti di spagnoli, pro-
grammatori informatici e cani. Ho squarciato storni a mani nude».
17
«Hai visto il programma sui coccodrilli?» chiede a Todd, per poi decretare, sulla base delle as-
surde nefandezze denunciate dal documentario, che «i coccodrilli sono cattivi e bisogna sempre sta-
re contro i coccodrilli».
18
L’affermazione risale a un dibattito pubblico nel corso della trasmissione 60 minutes del 12 mag-
gio 1996. All’intervistatrice che le faceva notare che erano morti più bambini in Iraq per via delle
sanzioni ONU che non a Hiroshima e le domandava se il prezzo di quelle morti fosse giustifica-
to, la Albright rispose: «I think this is a very hard choice, but the price – we think the price is worth
it» («Ritengo che sia una scelta molto difficile, ma il prezzo – riteniamo sia un prezzo che vale la
pena di pagare»).
98 Caryl Churchill. Un teatro necessario
19
Far Away ha anticipato l’insistenza con cui, nell’imminenza della seconda guerra del Golfo e poi
durante le ostilità, la macchina dell’informazione ha messo in luce il potenziale bellico del regno
animale. Per alcuni esempi relativi ai media italiani si veda cfr. S. Soncini, Stage Wars: The Representa-
tion of Conflict in Contemporary British Theatre, in Conflict Zones: Actions Languages Mediations, a cura di
C. Dente e S. Soncini, ETS, Pisa 2004, pp. 85-101.
20
Riprendendo un argomento che sappiamo essere stato storicamente usato per demonizzare l’Al-
tro, che si trattasse degli ebrei nella propaganda nazista o dei comunisti durante la Guerra Fredda,
nei discorsi di Harper la prova dell’intrinseca malvagità del nemico è più volte indicata in presun-
ti infanticidi: Harper riferisce di gatti che, nell’opportunamente lontana Cina, balzano di nascosto
nelle culle e uccidono i bambini, e di coccodrilli che, invisibili nel buio della notte, si spingono nei
villaggi e li portano via per poi mangiarseli. Nei mesi precedenti la prima guerra del Golfo, l’asso
nella manica della black propaganda orchestrata dalla Hill & Knowlton, la più grande agenzia di pub-
bliche relazioni del mondo, su mandato del governo dell’emiro e con l’appoggio del congresso sta-
tunitense, fu la notizia dei prematuri degli ospedali di Kuwait City strappati alle incubatrici dai sol-
dati iracheni e lasciati a morire (sul pavimento.) Dopo aver circolato per mesi senza essere verifi-
cata, e corroborata da false testimonianze, la storia venne smascherata come una bufala; nel frat-
tempo, però, il battage mediatico con il quale era stata sapientemente amplificata aveva contribui-
to in modo determinante nel creare un clima d’opinione favorevole all’intervento. A questo pro-
posito cfr. F. Roncarolo, art. cit., pp. 235-36.
21
Il saggio di Francesco Tuccari Dopo il 1989. Scenari della politica mondiale (in Guerre globali, cit., pp.
35-49) riprende da Ronald Robertson il concetto di «glocalizzazione» per designare la «complessa
miscela di globalizzazione e frammentazione» che caratterizza il mondo post-bipolare: da un lato
«sempre più interdipendente e uniforme, caratterizzato dal trionfo irresistibile dei mercati integra-
ti, attraversato e tenuto insieme da potenti e veloci autostrade informatiche, proiettato da una pro-
gressiva omologazione dei consumi, delle culture, degli stili di vita [...]; e dall’altro lato il profilo di
un “mondo in frammenti”, sempre più diviso, segnato da una imponente proliferazione di parti-
colarismi, dalla ricerca spasmodica delle “piccole patrie”, dal moltiplicarsi di fedi contrapposte e
di identità etniche, culturali, religiose, tribali sempre più esclusive, da inventare, costruire e difen-
dere con ogni mezzo e a ogni costo» (p. 37).
22
R. Koenig, recensione di Far Away, “The Independent”, 2 December 2000, in Theatre Record, 18
November-1 December 2000, pp. 1575-76, qui 1576.
23
Cfr. U. Eco, art. cit.
24
L’espressione «degenerate warfare» viene utilizzata da Martin Shaw per designare il venir meno
della distinzione tra guerra, crimine organizzato e violazioni sistematiche e massicce dei diritti uma-
ni che caratterizza le neoguerre, con particolare riferimento al conflitto etnico. Cfr. M. Shaw, War
and globality: the role and character of war in the global transition, in The New Agenda for Peace Research, a
cura di Ho-Won Jeong, Aldershot 1999, pp. 61-80.
25
«amarmi amarmi, tu devi amarmi, tu» o anche, interpretando la prima parte della battuta come
un’esortazione, «amami amami, tu devi amarmi, tu».
26
SAM ora bombardiamo il Vietnam, bombardiamo
Grenada, bombardiamo la Corea, bombardiamo il Laos,
bombardiamo il Guatemala, bombardiamo Cuba,
bombardiamo El Salvador, bombardiamo l’Iraq,
bombardiamo la Somalia, bombardiamo il Libano
JACK ma è Israele che bombarda
SAM e allora? bombardiamo la Bosnia, bombardiamo la Cambogia,
bombardiamo la Libia, bombardiamo
Parte Prima. Sguardi critici 99
dalizio politico tra Bush e Blair durante la campagna irachena, è difficile, anche alla luce dell’udien-
za dell’ex premier laburista davanti la commissione d’inchiesta Chilton del gennaio di quest’anno,
non porre in relazione il “patto intimo” del prologo con il famigerato tête à tête nel ranch texano
nel corso del quale Blair si sarebbe impegnato a intervenire in Iraq a fianco degli Stati Uniti ben
prima di avere ottenuto l’autorizzazione dal parlamento britannico.
31
Nell’episodio intitolato «Hong Kong» Tom e Leo, i partner di una coppia omosessuale, litigano
finché l’arrivo di un amico scatena una dinamica di contrapposizione sé/altro che li porta a rap-
pacificarsi: un meccanismo del tutto simile a quello di cui si nutre il rapporto tra Sam e Jack. I dia-
loghi tra i personaggi sono frammenti di una conversazione più lunga che si deve supporre avve-
nuta in un arco di tempo di ventiquattr’ore; come in Drunk Enough to Say I Love you?, si tratta di fra-
si incomplete e pressoché prive di punteggiatura (nell’intera scena si contano solo tre punti di do-
manda e quattro punti fermi, tutti in corrispondenza della fine di una sequenza dialogica); la bat-
tuta conclusiva dello sketch, «love it when you», sembra prefigurare quella di Sam su cui si chiude
il testo del 2006.
32
JACK carbonio
SAM nell’aria non si vede, quindi
JACK Kyoto?
SAM costo dell’elettricità in California
JACK ma
SAM nucleare
JACK pericolo
SAM efficiente
JACK scorie
SAM soluzione
Iran?
Strategie di sovversione: ricorrenze tematiche e in-
novazione formale
di Paola Bono
Alice and Maisie. Alice setting knives and forks on table, Maisie fidgets about the room.
Brian enters putting on a red sweater.
BRIAN She’s taking her time.
ALICE Not really.
They all stop, Brian goes out. Others reset to beginning and do exactly what they did be-
fore as Brian enters putting on a tweed jacket.
BRIAN She’s taking her time.
ALICE Not really.
(p. 5)14
burst in and kill them all, then leave», «A ten foot tall bird enters»
(pp. 15, 17, 32)16. Alice, Brian e Maisie continuano ad attendere,
mentre sembrano emergere (ma saranno veri?) inquietanti ricor-
di del passato – un cadavere trovato in giardino, una storia adul-
terina di Alice – e certamente si disvelano tensioni irrisolte, ad esem-
pio nel rapporto dei genitori, in particolare del padre, con il figlio
disadattato e alcolista, nelle paure notturne di Maisie, nel deside-
rio auto-cannibalistico di Brian17, negli accenni a un suo possibi-
le desiderio incestuoso per la figlia.
Inoltre – e solo nella concretezza della messa in scena se ne può
fino in fondo avvertire l’effetto estraniante – accade che il dialo-
go cambi ritmo, pronunciato a velocità doppia per poi tornare a
quella normale, mentre anche i movimenti accelerano e nuovamen-
te rallentano; c’è però una possibile sfasatura, segnalata nelle di-
dascalie che sottolineano l’importanza dell’accuratezza e precisio-
ne dei movimenti, mentre non è essenziale la comprensibilità del-
le parole18. L’espressività corporea si accompagna ma anche si se-
para dal linguaggio verbale, cui viene disconosciuto il valore pri-
mario di mezzo di comunicazione – un processo di disfacimento
del sistema di segni linguistico che si accentua in corrispondenza
a interruzioni e/o a situazioni di più forte attrito nella coppia, con
la frammentazione delle battute, deformazioni e trasposizioni or-
tografiche e fonetiche, disgregazioni della sintassi.
In diversi momenti i personaggi pronunciano solo l’inizio o l’ul-
tima parola delle frasi – sempre sintonizzandole con i relativi mo-
vimenti (pp. 17-18; 24-25). Alice commenta l’atteggiamento del ma-
rito riguardo al ritorno di Susy attraverso un fantasioso rimesco-
lamento delle lettere all’interno della frase: «You don’t sleem pea-
sed – you don’t pleem seased –», chiarendo il senso dell’afferma-
zione solo nella ripresa immediatamente successiva: «You don’t seem
pleased, you seem cross» (p. 14)19. Brian a sua volta la incolpa, par-
lando a grande velocità, di sciupargli consapevolmente e maligna-
mente i possibili momenti di gioia: «It’s not that you don’t have a
sense of occasion. You know exactly what an occasion is and you
deliberately set out to ruin it. I’ve thought for forty years you were
Parte Prima. Sguardi critici 107
a stupid woman, now I know you’re simply nasty», per poi ripe-
tere l’accusa, dopo l’irruzione dell’uccello gigante, in modo insen-
satamente succinto: «It’s not occasion occasion deliberately ruin
it forty years stupid nasty» (pp. 31-32)20.
L’occasione è naturalmente l’arrivo di Susy, che sembra realiz-
zarsi tre volte – e dunque mai davvero. Dapprima la lungamen-
te attesa riunione familiare viene rappresentata in forma idealiz-
zata, con dimostrazioni di affetto quasi mielose: Alice e Brian si
abbracciano emozionati mentre Maisie va ad aprire, si sentono
esclamazioni di benvenuto, e Susy commossa dice: «Mummy. Dad-
dy. How wonderful to be home». Nel secondo caso è invece la ma-
dre, Alice, che va ad accoglierla, e Brian risponde al sobrio e fat-
tuale «Here I am» di Susy con un contenuto eppure emozionato
«You are my heart’s desire» (pp. 27, 33)21. Ma intanto è arrivata una
giovane donna australiana, che nega che Susy – che in Australia
convive con lei (altro potenziale elemento di disturbo rispetto alla
famiglia patriarcale a ai suoi codici di comportamento sessuale:
si tratta di una relazione lesbica?) – abbia davvero pensato di tor-
nare a casa. Finché la terza volta, dopo dichiarazioni fàtiche che
denunciano l’imbarazzo di una riunione carica di non detti, s’in-
terrompe sulla dichiarazione d’amore di Brian, in un ultimo ritor-
no indietro che ci riporta circolarmente all’inizio dell’attesa, smen-
tendo o forse solo rinviando ancora una volta la realtà della sua
conclusione:
it’s not all about excitement. I’ve done boring jobs. I’ve worked in
abattoirs stunning pigs and musicians and by the end of the day
your back aches and all you can see when you shut your eyes is peo-
ple hanging upside down by their feet» (p. 41)30.
Agghiacciante ritratto di un mondo preso in una guerra dav-
vero globale, Far Away è una «topografia grottesca [...] in cui “tut-
to è stato reclutato”; nell’ultima scena i tre personaggi ci fornisco-
no un ameno elenco dei combattenti: uccelli, gatti, bambini sot-
to i cinque anni, venditori di automobili portoghesi, venezuelani,
zanzare, coccodrilli, cervi, dentisti lettoni»31. Il testo ripropone estre-
mizzandola la coesistenza tra riconoscibile e assurdo presente in
Heart’s Desire, anche qui smentendo il supposto ruolo positivo del-
la famiglia, che per la piccola Joan si mostra invece luogo della men-
zogna e della “normalizzazione” dell’orrore: nella scena di aper-
tura la zia dapprima nega le brutalità che la bambina ha visto com-
mettere dallo zio, e poi le giustifica in nome di un bene superio-
re. Viene consegnata a un mondo di paura, come succedeva a An-
gie in Top Girls – “Frightening”, spaventoso, è la sua battuta che
chiude il dramma32 – e iniziata a sfuggirne gli orrori con la voluta
cecità che nel secondo atto la immunizza davanti alla parata di don-
ne e uomini in catene verso il macello, con in testa i cappelli in cui
insieme a Todd ha profuso la sua creatività: parabola di grande im-
patto visivo sulla necessità di non separare mai etica, estetica e po-
litica. L’eredità avvelenata di sopraffazione, pregiudizi e menzogne
che viene trasmessa di generazione in generazione, e di converso
l’appello a interrompere questo meccanismo, come riescono a fare
i personaggi di Cloud Nine, sono un altro tema ricorrente nei lavo-
ri di Churchill33, non ultimo il controverso Seven Jewish Children (“Set-
te bambine ebree”, 2008)34.
In The Hospital il padre di Françoise, burocrate disposto ad as-
sumersi altri compiti, è un torturatore che con le parole vorrebbe
dominare il senso delle cose, e la moglie Madame gli è complice
quando accetta la sua versione: «There is no war and there is no
revolution»; «The violence is committed by criminals. It is not part
of any revolution. [...] And it is only the French who can pacify
112 Caryl Churchill. Un teatro necessario
the land» (p. 110)35. In un’ala in disuso della loro casa, Monsieur
sevizia i “criminali” algerini; notte dopo notte, Françoise ne sen-
te le urla e pur nella sua impotenza rifiuta di esserne complice nel
silenzio; rifiuta di tacere, mettendo a rischio l’immagine che i ge-
nitori vogliono dare di lei e della famiglia. Come per Joan in Far
Away, la verità delle sue percezioni viene disconosciuta, cercando
di farle passare per prodotti malati della sua immaginazione; fin-
ché di fronte al suo crescente disagio psichico, che arriva a farle
sentire la propria vita minacciata dai genitori, questi la portano al-
l’ospedale in una manovra di distanziamento che confina il com-
portamento di Françoise nella devianza. Per la giovane donna la
follia che la emargina è anche il solo possibile rifugio, la sola pos-
sibilità di libera espressione nel momento in cui i segreti innomi-
nabili della sua famiglia, e più ampiamente della società colonia-
le, le esplodono dilaniandola nella mente e nel cuore.
Nell’ospedale tutti i pazienti, colonizzati e colonizzatori, sono
sintomi della patologia del sistema coloniale, con le sue gerarchie
di razza e i suoi meccanismi di identificazione coatta in una spi-
rale perversa di violenza; le morti che ha provocato mettendo una
bomba in un bar perseguitano il Paziente A, la tortura messa in atto
e subita lacera l’Ispettore e il Paziente B, la sua pelle chiara ango-
scia il Paziente C, mettendo in forse la sua appartenenza e confi-
gurandosi come indicatore di viltà e tradimento. Per Françoise –
non a caso una donna – agente patogeno è anche la famiglia, fun-
zionale al sistema patriarcale, disfunzionale nei termini dell’antip-
sichiatria di Laing, ai cui scritti Churchill ha attinto per creare que-
sto personaggio36. Intrappolata nella contraddizione tra il privile-
gio che essere bianca comporta e il destino di minorità e sottomis-
sione che la segna perché donna, si sottrae a entrambi imboccan-
do la strada della follia. Alla fine diventa incarnazione dell’intrec-
cio mortale tra relazioni di potere che nella sfera pubblica come
in quella privata si fondano sulla violenza e la cancellazione del-
l’altro; non vi è più distinzione per lei tra il terrore dei torturati e
il suo, tra l’annullamento che li minaccia e quello che la sommer-
ge nel suo monologo finale, «evocativo a molti livelli per il modo
Parte Prima. Sguardi critici 113
Note
1
M. Ravenhill, ‘She made us raise our game’, in «The Guardian», 3 September 2008, disponibile an-
che in rete sul sito <http://www.guardian.co.uk/stage/sep3/carylchurchill.theatre>: «it’s her abi-
lity to continually reinvent the form that most writers would identify as her genius. In Churchill’s
plays, there is a constant search for new kinds of language and theatrical structures: devices that
can reveal the essence of a moment. [...] Of course it’s possible to trace recurring themes in Chur-
chill’s work [...]. But it is the variety of her work that is most striking». Qui come altrove, le tradu-
zioni da testi non disponibili in edizione italiana, ivi inclusi i lavori di Churchill, si devono all’au-
trice di questo contributo. [N.d.A.]
2
C. Churchill, Blue Heart, Nick Hearn Books, London 1997.
3
Cfr. E. Aston, Caryl Churchill, Northcote House, London 2001, cap. 5: “Exploding Words and
Worlds”, pp. 80-102, dedicato a A Mouthful of Birds, Icecream, Hot Fudge, Lives of the Great Poisoners,
e The Skriker.
4
Ivi, p. 80: «deformation or explosion of the word, of language, the sign-system through which
we mediate and make sense of the world».
5
J. Reinelt, Caryl Churchill and the Politics of Style, in The Cambridge Companion to Modern British Women
Playwrights, a cura di E. Aston e J. Reinelt, Cambridge University Press, Cambridge 2000, p. 189.
La traduzione è di chi scrive.
6
C. Churchill, Plays 1. Owners, Traps, Vinegar Tom, Light Shining in Buckinghsmshire, Cloud Nine, Me-
thuen, Londra 1985.
7
C. Churchill, Plays 2. Softcops, Top Girls, Fen, Serious Money, Methuen, Londra 1990.
8
Churchill, Plays 1, cit., p. 71: «like an Escher drawing, where things can exist on paper, but would
be impossible in life»; «the characters can be thought of as living many of their possibilities at once».
Nota introduttiva dell’autrice a Traps. [N.d.A]
9
C. Churchill, Plays 3. Icecream, Mad Forest, Thyestes, The Skriker, Lives of the Great Poisoners, A Mou-
thful of Birds (with David Lan), Nick Hern Books, Londra 1998.
10
Cfr. C. Amich, Bringing the Global Home: The Commitment of Caryl Churchill’s The Skriker, «Modern
Drama», vol. 50, 2007, n. 33, pp. 394-413.
11
C. Churchill, Shorts. Three More Sleepless Nights, Lovesick, The After-Dinner Joke, Abortive, Schreber’s
Nervous Illness, The Judge’s Wife, The Hospital at the Time of the Revolution, Hot Fudge, Not Not Not Not
Not En ough Oxygen, Seagulls, Nick Hern Books, Londra 1990.
12
Cfr. a tale proposito l’interessante notazione sulla disgiunzione tra elementi visivi e audiviti pro-
posta in A.H. Kritzer, The Plays of Caryl Churchill. Theatre of Empowerment, Macmillan, London 1991,
p. 48.
13
Cfr. I. Lavell, Caryl Churchill. Representational Negotiations and Provisional Truths, tesi di dottorato ine-
dita, Murdoch University, 2004, cap. 6.
14
Alice e Maisie. Alice dispone coltelli e forchette sul tavolo, Maisie si muove irrequieta per la stanza. Brian en-
tra infilandosi un maglione rosso.
BRIAN Ci sta mettendo un sacco di tempo.
ALICE Non proprio.
Si fermano, Brian esce. Le altre tornano all’inizio e rifanno esattamente quel che hanno fatto prima, mentre
BRIAN entra infilandosi una giacca di tweed.
BRIAN Ci sta mettendo un sacco di tempo. Alice Non proprio.
15
In successive riprese del segmento, Brian cambia nuovamente capo di vestiario, forse segnalan-
do il suo nervosismo e l’ansia all’idea di rivedere la figlia Susy, ma anche un difficile rapporto con
Parte Prima. Sguardi critici 115
il proprio corpo, di cui gli abiti diventano proiezione di sé, elementi dell’immagine che cerca di co-
struirsi e di mostrare all’esterno. Si veda in proposito E. Monforte Rabascall, Gender, Politics, Sub-
jectivity. Reading Caryl Churchill, tesi inedita di dottorato, Universitat de Barcelona, 2000, pp. 243-45.
16
«Un’orda di bambini si precipita nella stanza correndo in giro, poi esce», «Due SICARI fanno
irruzione e sparano uccidendo tutti, poi se ne vanno», «Entra un uccello alto tre metri».
17
In un crescendo angoscioso, Brian confessa questa sua fame distruttiva, l’impulso a mordere e
masticare tutto se stesso riducendosi a un’enorme bocca spalancata e vorace che fagocita prima le
mani, poi le braccia, il torso, il pene, le gambe, finché restano solo i piedi – «solo i piedi che spor-
gono dalla mia bocca adesso gnam gnam ho inghiottito i piedi, c’è solo la mia testa e la mia boc-
ca enorme la vuole, la mia bocca enorme si torce e ahhh ecco la testa se ne va nella mia bocca ho
inghiottito la testa ho inghittitto tutto intero me stesso sono solo bocca ci riesce la mia bocca a in-
ghiottire la mia bocca sì sì la mia bocca sta facendone un gran boccone ahh». C. Churchill, Blue He-
art, cit., p. 22: «just the feet sticking out of my mouth now gollop gollop I’ve swallowed my feet,
there’s only my head and my big mouth wants it, my big mouth turns round and ahh there goes
my head into my mouth I’ve swallowed my head I’ve swallowed my whole self up I’m all mouth
can my mouth swallow my mouth yes yes my mouth’s taking a big bite ahh» (p. 22).
18
Ad esempio, ivi, pp. 11 e 29: «Questa volta ripetete a doppia velocità, tutti i movimenti accurati sebbene ve-
loci» («This time do the repeat at double speed, all movements accurate though fast»), mentre in una successi-
va ripetizione, l’istruzione richiede di essere «il più veloci possibile. La precisione è importante, l’intelligibi-
lità no» («as fast as possible. Precision matters, intelligibility doesn’t»).
19
«Non stembri cotento – non cembri sontento», «Non sembri contento, sembri seccato».
20
«Non è che tu non abbia il senso delle occasioni importanti. Sai perfettamente cos’è un’occasione
e deliberatamente cerchi di rovinarla. Per quarant’anni ho pensato che tu fossi stupida, ora so che sei
solo cattiva». «Non è occasione occasione deliberatamente rovinarla quarant’anni stupida cattiva».
21
«Mamma. Papà. Che bello essere a casa». «Eccomi qui». «Sei il desiderio del mio cuore».
22
SUSY Eccomi qui.
BRIAN Eccoti qui.
ALICE Sì eccola qui.
SUSY Ciao zia.
BRIAN Sei il desiderio –
Tornare all’inizio. Brian entra infilandosi un vecchio cardigan.
BRIAN Ci sta mettendo un sacco di tempo..
23
Cfr. il dialogo tra Derek e Mrs Plant e quello tra Derek e Mrs Oliver (pp. 39, 41-42).
24
MRS PLANT R r hai una madre?
DEREK B.
MRS PLANT U lu b successo?
DEREK Olli morta bo ero piccolo.
MRS PLANT Lu lu bo u u u scusa?
DEREK Bo u pare. Oppure no.
MRS PLANT B b c’è nessuna parentela. B nome b John b b? B b b Tommy b b John. B b b mor-
ta b b b credo una parola. B b Derek.
DEREK U.
MRS PLANT Olli odio b poi b, b lu lu lu lu sconvolta.
DEREK B, r vedere lu.
MRS PLANT L b b b b t?
DEREK B. K.
25
In C. Churchill, Shorts, cit.
116 Caryl Churchill. Un teatro necessario
26
F. Fanon, I dannati della terra, Einaudi, Torino 1962 (Les Damnés de la terre, Maspero, Parigi 1961).
27
«No no no. Non lasciate che mi riporti là. Lasciatemi morire. Non posso tornare là».
28
«Il lavoro è troppo duro e mi sta buttando giù. Quello che proprio mi uccide è la tortura. Nes-
suno pensa a quanto è dura per chi la fa. I prigionieri dovrebbero avere più riguardi invece di ob-
bligarci a continuare a farlo, e dirci tranquillamente quel che vogliamo sapere. Perché non è uno
scherzo torturare qualcuno per dieci ore di fila». La figura dell’Ispettore è basata in modo ricono-
scibile, a volte fin quasi alla parafrasi, come per la citazione appena riportata, su due casi della Se-
rie A – il n. 4 (dove si trova anche l’ispirazione per il Paziente B) e il n. 5 – presentati nel capitolo
5 di I dannati della terra di Franz Fanon, cit. [N.d.A.]
29
C. Churchill, Far Away, Nick Hern, London 2004.
30
«E lo so che non sono sempre cose eccitanti. Ho fatto anche dei lavori noiosi. Ho lavorato nei
mattatoi abbattendo maiali e musicisti e alla fine della giornata la schiena ti fa male e quando chiu-
di gli occhi vedi solo gente appesa per i piedi a testa in giù».
31
E. Diamond, On Churchill and Terror, in The Cambridge Companion to Caryl Churchill, a cura di E. Aston
e E. Diamond, Cambridge University Press, Cambridge 2009, p. 139.
32
Churchill, in Plays 2, cit., p. 141.
33
Cfr. le interessanti osservazioni in A.H. Kritzer, Political Theatre in Post-Thatcher Britain. New Wri-
ting 1995-2005, Palgrave Macmillan, Houndmills, Basingstoke, Hamps. 2008, pp. 68-77
34
C. Churchill, Seven Jewish Children. A Play for Gaza (2008); il testo può essere scaricato dal sito del
Royal Court Theatre (< http://www.royalcourttheatre.com/whats-on/seven-jewish-children-a-play-
for-gaza>).
35
«Non c’è nessuna guerra e nessuna rivoluzione», «La violenze sono opera di criminali. Non fan-
no parte di nessuna rivoluzione. [...] E solo i francesi possono pacificare questa terra».
36
Punto di partenza si può ritenere il caso n. 3 della Serie B presentato sempre nel capitolo 5 del
già citato libro di Fanon, in cui però il padre della paziente, che è maggiorenne e vive per proprio
conto, è morto in un attentato. Nella figura di Françoise si possono rintracciare inoltre elementi
del resoconto sul caso della famiglia Abbott e di quello sul caso di Julie, analizzati rispettivamen-
te in R. Laing e A. Esterton, Normalità e follia nella famiglia. Undici storie di donne, a cura di L. Jervis
Comba, Einaudi, Torino 1970 (Sanity, Madness and the Family. Families of Schizophrenics, Penguin Bo-
oks, London 1964) e in R. Laing, L’io diviso. Studi di psichiatria esistenziale, Einaudi, Torino 1969, (The
Divided Self. An Existential Study in Sanity and Madness, Tavistock Publications, London 1960). Come
Françoise, Maya Abbott vede le sue esperienze e percezioni costantemente negate, e a diciotto anni
viene ricoverata in ospedale, convinta che i genitori vogliano ucciderla; dal canto suo, come osser-
va Elaine Aston, Julie (ventisei anni, in ospedale da nove), viene infantilizzata dai genitori in modi
che ricordano il comportamento di Monsieur e Madame (vedi E. Aston, op. cit., p. 12).
37
I. Lavell, op. cit., p. 166. La traduzione è di chi scrive.
38
«Il vestito era proprio bello ma sotto io marcivo. Sparivo poco a poco. Il vestito se ne andava in
giro con nessuno dentro. Lo sbottono e ci infilo la mano. Sotto il vestito non trovo dove sono. Per-
ciò quando me lo levo non c’è nessuno. [...] Mia madre ha cucito quel vestito per uccidermi. Mi
ha mangiato; era un vestito velenoso quello che ho indossato».
39
G. Cousin, Churchill. The Playwright, Methuen, London 1989.
Parte Seconda. In scena
4. Da sin.: Federica Fracassi - Sabrina Colle - Laura Pasetti - Raffaella Boscolo - Debora Virello - Elena Russo
Arman interpreti del reading di Top Girls presso Teatro i di Milano (28 gennaio 2009). Regia di Renzo Martinelli.
Teatro i chiama Caryl Churchill
*
Cogliamo ancora una volta l’occasione per ringraziare il Comune di Milano, nella persona di
Antonio Calbi, Direttore del Settore Spettacolo, che ha saputo cogliere quest’occasione preziosa
e che ha contribuito in modo sostanziale alla realizzazione del progetto e l’Università degli Studi
di Milano, nelle persone di Margaret Rose e di Mariacristina Cavecchi, consulenti letterarie del
progetto, che hanno condiviso il percorso di questa collaborazione.
Parte Seconda. In scena 127
Note
1
Teatro i, la cui esperienza produttiva si lega ai nomi dei due fondatori, Renzo Martinelli e Feder-
ica Fracassi, sceglie di rappresentarsi attraverso un segno semplice e fragile, la lettera “i”, un logo
in dialogo con una realtà artistica che, mantenendo un’identità forte, è pronta ad aprirsi a ogni nuo-
vo incontro. Teatro i realizza il suo progetto attraverso le proprie produzioni (si ricordano tra le
altre La Santa (2000), Prima della Pensione (2006), Dare al Buio (2007), Lait (2009)) e l’ospitalità di artisti
nazionali e internazionali che presentano le proprie creazioni nella sala di via Gaudenzio Ferrari,
11 a Milano, inaugurata nel 2003. Gli artisti ospiti scelgono questo luogo per proporre la loro ricer-
ca attraverso spettacoli, ma anche dibattiti, incontri, concerti, alla ricerca di un dialogo con un pub-
blico che Teatro i ha fatto crescere insieme alle sue stagioni. Molti sono i risultati a oggi raggiun-
ti, come il Premio Hystrio - Provincia di Milano (2007) e i numerosi riconoscimenti per l’attività
artistica di produzione (Federica Fracassi ha vinto il Premio Adelaide Ristori nel 2008 per la sua
interpretazione in Dare al buio, il Premio ETI “Gli Olimpici del Teatro” 2007 come attrice emer-
gente e la menzione d’onore quale miglior attrice emergente al Premio Duse 2006 che ha poi ot-
tenuto nel 2011). L’esperienza di Teatro i mostra inoltre importanti risultati per quanto riguarda
la propria attività sul territorio e sulla città, come il costante aumento dell’afflusso di pubblico, del-
l’attenzione della stampa, del riconoscimento presso gli enti pubblici.
8. Da sin: Federica Fracassi, Elena Russo Arman, Laura Pasetti, interpreti del reding di Top Girls presso Teatro
i di Milano (28 gennaio 2009). Regia di Renzo Martinelli. © Federica Anchieri (2009)
Il teatro di Churchill. Un alfabeto
di Marco Ghelardi
non realismo non viene mai giustificato. In questo modo: “nel tea-
tro tutto è possibile”5.
ISRAELE. Oggetto del testo Seven Jewish Children: A Play for Gaza
(“Sette bambine ebree: uno spettacolo per Gaza”). Il testo è del
2009 e dura solo dieci minuti. Ha causato polemiche: l’autrice è sta-
ta accusata di antisemitismo ma è stata altrettanto difesa7. Ha pro-
vocato la pressoché immediata scrittura di altri due testi teatrali in
reazione e contrapposizione: Seven Other Children (“Altri sette bam-
bini”) di Richard Stirling e What Strong Fences Make (“Che cosa fan-
no le forti barriere”) di Israel Horovitz. L’essenzialità linguistica
e la musicalità del dialogo (v.) degli ultimi due testi di Churchill (Se-
ven Jewish Children e Drunk Enough to Say I Love You? [v. USA]) si col-
legano idealmente allo stile dei suoi primi testi (v. You’ve no Need to
be Frightened).
136 Caryl Churchill. Un teatro necessario
con capacità inferiore per testi dal botteghino meno sicuro (v. Right
to Fail). Il primo testo di Churchill per il Royal Court è Owners (1972).
Nel 1974-1975 Churchill è resident dramatist al Royal Court, con cui
costruisce negli anni un reciproco rapporto artistico che dura tut-
tora.
VINEGAR TOM. Testo che Churchill scrive nel 1976 per la com-
pagnia teatrale Monstrous Regiment (il nome è preso dal titolo di
un pamphlet misogino scritto nel 1558 da John Knox: The First Blast
of the Trumpet against the Monstrous Regiment of Women (“Il primo squil-
lo di tromba contro il mostruoso reggimento delle donne”). Vi-
negar Tom usa la caccia alle streghe nel diciassettesimo secolo come
metafora dell’oppressione femminile anche contemporanea. La sto-
ria di una piccola comunità inglese del Seicento è declinata in 21
scene alternate da canzoni che traducono in chiave contempora-
nea le tematiche della storia17. Il testo si chiude con Kramer e Spren-
ger, i due frati domenicani autori del Malleus Maleficarum (“martel-
lo delle streghe”), che espongono la propria misogina teologia in
chiave ironica e burlesca, secondo le convenzioni del music-hall.
L’economia e la tensione di una storia che incide nel presente sen-
za tuttavia sconfessare le idiosincrasie del passato ne fanno un pic-
colo capolavoro di equilibrio e determinazione e dimostrano che,
finché le è interessato, Churchill è stata uno dei più completi nar-
ratori della scena (v. Narrazione).
Parte Seconda. In scena 141
Note
1
Cfr. L. Fitzsimmons, File on Churchill, Methuen, London 1989, p. 85.
2
C. Churchill, Top Girls, in C. Churchill Plays: 2, Methuen, London 1990, p. 134. Trad. mia.
3
L. Prebble, Enron, Methuen, London 2009.
4
V. Woolf, A Room of One’s Own, Penguin, London (1929) 2004, p. 78. Trad. mia.
5
L. Fitzsimmons, op. cit., pp. 61-62.
6
G. O’Brien, A Northern New Jersey of the Mind, «The New York Review of Books», vol. 54, XIII,
2008, nota 3. L’articolo tratta della serie televisiva The Sopranos.
7
Una difesa su tutte: T. Kushner e A. Solomon, Tell her the Truth, “The Nation”, 13 April 2009.
8
L. Fitzsimmons, op. cit., p. 86
9
Cfr., per un punto di vista extrachurchilliano, quanto racconta David Hare in D. Hare Plays:2, Fa-
ber and Faber, London 1997, pp. VII-XVII.
10
L. Fitzsimmons, op. cit., p. 61.
11
Ivi, p. 73.
12
B.A. Young, in «Financial Times», 4 gennaio 1975, cit. in L. Fittzsimmons, op. cit., p. 26.
13
E. Aston, Caryl Churchill, Northcote House, Plymouth 1997, p. 88. Trad. mia.
14
R. Findlater, At the Royal Court, Amber Press, London 1981, p. 155 e Appendix 2.
15
Ivi, p. 84.
16
E. Aston, op. cit., pp. 96-97.
17
L. Fitzsimmons, op. cit., pp. 34-35.
18
Affascinanti paragoni possono essere tratti con le più avanzate tecniche di creazione nei mass me-
dia contemporanei, come i cartoni animati Pixar (E. Catmull, How Pixar Fosters Collective Creativity, «Har-
vard Business Review», September 2008) e la serie televisiva The Sopranos (G. O’Brien, op. cit.).
19
A.H. Kritzer, The Plays of Caryl Churchill, Macmillan, London 1991, pp. 15-16.
20
L. Fitzsimmons, op. cit., p. 85.
Bambine d’Israele
di Francesco Randazzo
9. Da sin.: Rossana Veracierta, Caterina Intelisano, Brunilde Maffucci, Giorgina Cantalini, Rebecca
Braccialarghe, Clara Costanzo, Matilde Piana, in Sette bambine ebree presso il Teatro Lo Spazio di Roma (17 set-
tembre 2009). Regia Francesco Randazzo.
(4)
Non le dite chi sono loro
Ditele qualcosa
Ditele che sono beduini, che sono sempre in viaggio
Ditele di cammelli nel deserto e di datteri
Ditele che vivono nelle tende
Ditele che questa non era casa loro
Non ditele casa, non parlate di casa, ditele che loro vanno via
...
(6)
Non le dite
Non le dite delle difficoltà per la piscina
Ditele che l’acqua è nostra, che abbiamo il diritto
Ditele che non è l’acqua per i loro campi
Non le dite niente dell’acqua.
Non le dite del bulldozer
Non le dite di non guardare il bulldozer
146 Caryl Churchill. Un teatro necessario
nelle necessità tribali attuali. [...] In breve, basta “dirle” che a vol-
te dobbiamo essere vittime innocenti, mentre altre volte razziamo,
uccidiamo e lanciamo armi di distruzione di massa. Dipende da ciò
che meglio risponde ai nostri interessi tribali in quel dato momen-
to»4. Non è dunque un’opera antisemita, ma sicuramente antisio-
nista. Antisionista l’autrice lo è, e di contro ai suoi detrattori, le opi-
nioni favorevoli sono di intellettuali ed artisti ebrei antisionisti.
Seven Jewish Children è un testo controverso e fastidioso. Vuole
scuotere, far discutere, mettere in dubbio, avviare pensiero e azio-
ne critica. Nasce per questo. Vive per questo. Certamente nel suo
risultato finale è un atto d’accusa, ma contro la guerra e la sopraf-
fazione, il calcolo e l’interesse. Soprattutto, ha l’urticante pregio di
mettere in evidenza le contraddizioni e le oscillazioni della coscien-
za di un popolo. Ed è proprio questa linea continua di affermazio-
ni di princìpi e immediati capovolgimenti, di certezze sobillate dal
dubbio, di scelte estreme che subito affiorano nella consapevolez-
za dell’errore che mi sembra il tratto essenziale di questo testo. Fon-
damentale, dal mio punto di vista, il lato femminile della storia ebrai-
ca, ed è per questo, almeno così a me è sembrato, che la destina-
taria è una bambina. Sempre Atzmon scrive che: «... la bambina cui
si riferisce Churchill è una metafora del “popolo di Israele”. Il neo-
nato Stato ebraico è di fatto un concetto molto giovane permeato
da un senso di rettitudine e innocenza. La bambina del monologo
serve a trasmettere un’immagine di ingenuità e innocenza. Ma è an-
che quella metaforica innocenza della bambina a rendere i crimini
di Israele così sinistri. Alla luce della propaganda israeliana che pre-
senta lo Stato ebraico come un’entità vulnerabile e innocente, la re-
altà devastante della brutalità israeliana conduce a un’inevitabile dis-
sonanza cognitiva»5. Ipotesi interessante che mi ha particolarmen-
te stimolato in sede d’interpretazione e regia del testo, nella mes-
sa in scena italiana che è stata rappresentata a Roma nel settembre
del 2009 nell’ambito della IV edizione della Rassegna di dramma-
turgia contemporanea internazionale “In altre parole”6. In partico-
lare sono stato stimolato soprattutto pensando alla linea matrilinea-
re dell’ebraicità, intesa come una sorta d’identità femminile che si
148 Caryl Churchill. Un teatro necessario
Note
1
J. Goldberg, Caryl Churchill: Gaza’s Shakespeare, or Fetid Jew-Baiter?, in «Atlantic Monthly», March
25, 2009.
2
T. Kushner e A. Solomon, Tell Her the Truth, in «The Nation», April 13, 2009.
3
C. Churchill, My Play is not anti-Semitic, in «The Independent», 21 February 2009.
4
<http://www.gilad.co.uk/writings/from-victimhood-to-aggression-jewish-identity-in-the-light-
o.html> (ultimo accesso: 21 marzo 2010).
5
Ibidem.
6
Sette bambine ebree ha debuttato il 17 settembre 2009 nell’ambito della IV edizione della rassegna
“In altre parole: rassegna di drammaturgia contemporanea internazionale”, a cura di Marco Beloc-
chi e Pino Tierno, presso il Teatro Lo Spazio di Roma. Interpreti (in ordine di apparizione): Gior-
gina Cantalini, Clara Costanzo, Rossana Veracierta, Caterina Intelisano, Brunilde Maffucci, Matil-
de Piana, Rebecca Braccialarghe. Regia: Francesco Randazzo. Assistente alla regia: Annalisa Pao-
lucci.
Abbastanza sbronzo da dire ti amo?
di Carlo Cecchi
sona aveva provveduto già nel decennio 1520 alla traduzione te-
desca. Così come quest’ultima rappresentò un forte strumento di
unificazione linguistica delle popolazioni germaniche, la versione
giacobita non mancò di esercitare un’analoga influenza su quelle
britanniche, anche se non bisogna dimenticare la sua quasi perfet-
ta coincidenza temporale con la produzione shakespeariana e con
la fioritura letteraria degli elisabettiani. Tuttavia, a differenza di quel-
li, il King James Version si tiene costantemente e comprensibilmen-
te su un registro colto di inderogabile predicazione.
Il processo di traduzione delle citazioni bibliche presenti in Light
Shining in Buckinghamshire si è rivelato piuttosto tortuoso. Vi erano
diverse possibilità: anzitutto quella ovvia del tradurle daccapo. In
secondo luogo si poteva ricorrere a versioni esistenti, antiche o mo-
derne. Tra queste vi sono le edizioni cattoliche contemporanee, e
specificamente quella della Conferenza episcopale italiana (CEI)
– che per combinazione è stata pubblicata in una nuova versione
proprio a metà 2009, sostituendo la precedente post-conciliare del
1971. In alternativa – e all’altro estremo – si poteva pensare a qual-
cosa che in linea di principio fosse filologicamente puntiglioso, come
nel caso di un’edizione protestante in italiano contemporanea al
KJV, come la Bibbia Diodati, edita a Ginevra nel 1607 dal calvi-
nista lucchese in esilio Giovanni Diodati (1576-1649). È la tradu-
zione biblica per eccellenza dei protestanti italiani e, secondo al-
cuni, può essere ritenuta dal punto di vista stilistico uno dei capo-
lavori della lingua italiana del Seicento. Tuttavia, come si può os-
servare di seguito, gli arcaismi della versione Diodati appesantisco-
no il testo fino a sottrarre attenzione al senso; la sonorità è inol-
tre piuttosto sorda. Sarebbero difetti quasi trascurabili in un testo
destinato alla lettura. Noi dobbiamo tuttavia confrontarci con la
scena: per quanto possibile la battuta non deve assumere premi-
nenza sull’insieme del testo. L’opzione è andata quindi verso un
italiano moderno e privo di arcaismi (non sempre le due cose coin-
cidono), che pur facendo tesoro delle possibilità offerte da CEI e
da Diodati fosse lessicalmente più aderente alla versione inglese
utilizzata da Churchill.
160 Caryl Churchill. Un teatro necessario
Note
1
C. Churchill, Light Shining in Buckinghamshire, Methuen, London 1978, p. 183. La trad. it. è di chi
scrive.
2
«It shall come to pass that I will pour out my spirit upon all flesh; and your sons and your dau-
ghters shall prophecy, and your old men shall dream dreams and your young men shall see visions.
And also upon the servants and upon the handmaids in those days will I pour out my spirit» (Gioe-
le 2; 28, 29).
3
G.H. Sabine, The Works of Gerrard Winstanley, Russel & Russell, New York 1965.
4
Churchill, Light Shining, cit., p. 239:
COBBE You are God, I am God , and I love you, God loves God
CLAXTON Oh, God, let me be God, be clear in me –
HOSKINS All the light now –
COBBE Sparks of glory under these ashes –
HOSKINS Light shining from us –.
Parte Terza. Conversazioni
10. Mark Ravenhill e Luca Scarlini in conversazione presso il Teatro I di Milano (28 gennaio 2009). © Federica
Anchieri (2009).
Caryl Churchill ci ha spinto a fare meglio*
di Mark Ravenhill
*
Testo pubblicato su “The Guardian” il 3 settembre 2008 e tradotto da Mauro Spicci.
166 Caryl Churchill. Un teatro necessario
ordinario di testi teatrali, la maggior parte dei quali nati grazie al so-
dalizio con un solo teatro, il Royal Court Theatre di Londra. Ma è
nella sua capacità di rinnovare continuamente la forma che la mag-
gior parte dei drammaturghi scorge la sua genialità. Nei suoi dram-
mi Churchill è sempre alla ricerca di nuove forme di linguaggio e
di nuove strutture teatrali: tutti strumenti che colgono l’essenza di
un preciso momento storico. Il drammaturgo Wallace Shawn mi ha
detto: «Molti di noi amano il teatro, ma spesso lo troviamo privo
di interesse. Ma quando vedi un’opera di Caryl – drammi ricchi e
innovativi come Fen, The Striker, o A Mouthful of Birds – ti accorgi
di quanto possa essere stimolante scrivere per la scena».
Nicholas Wright, che nel 1972 ha curato la regia di Owners, l’ope-
ra con cui Churchill ha debuttato al Royal Court, ricorda il loro pri-
mo incontro: «Ci siamo incontrati in un pub vicino al teatro. Ebbi
l’impressione che si trattasse di una donna molto bella, certamen-
te timida, ma anche acuta e ironica. Lei mi ha chiesto, “vuole che
riscriva tutto il dramma, vero?”. La cosa mi sorprese: era una cosa
alla quale nessuno avrebbe pensato allora. Ma Caryl ha sempre an-
ticipato i tempi».
Per festeggiare il suo settantesimo compleanno, questo mese [set-
tembre 2008], il Royal Court inviterà molti autori teatrali, tra cui
me, a dirigere una serie di letture delle opere della Churchill. Per
due settimane verrà presentata una selezione cronologica dei suoi
lavori, da Owners – che mostra il ritratto presciente di un’ossessio-
ne per la proprietà e in cui si avverte la voce di Joe Orton – fino
alle opere dell’ultimo decennio, tra cui i frammentari antidrammi
che costituiscono il double-bill Blue Heart, e la disturbante favola
di un mondo in guerra di Far Away.
Il mio primo incontro con le opere di Churchill è avvenuto con
una produzione studentesca di Cloud Nine. Ero un giovane anco-
ra incerto sulla mia identità sessuale: per questo trovai la temati-
ca dell’opera – il viaggio dall’Africa coloniale del XIX secolo fino
all’approdo in un moderno parco cittadino di un gruppo di per-
sonaggi che fanno esperienza di nuove libertà sessuali – piuttosto
cupa e inquietante. Quando rividi l’opera dieci anni fa, in una nuo-
Parte Terza. Conversazioni 167
di Francesca Gorini
Note
1
P. Paganini, Una Ventina di Amazzoni all’Assalto del Teatro. Top Girls di Caryl Churchill a San Carpo-
foro in Brera Tutta al Femminile, “La Notte”, 18 giugno 1988, p. 21.
2
Si veda B. Robertson, “Top-Notch Churchill”, “The Spectator”, 11 settembre 1982, p. 25.
3
L’unica eccezione è una lettura scenica di Top Girls presentata appunto nel gennaio 2009 al Tea-
tro i di Milano, per la regia di Renzo Martinelli, all’interno del progetto “Il Teatro di Caryl Chur-
chill - Teatro i chiama Royal Court”.
4
P. Paganini, art. cit., p. 21.
5
M.G. Gregori, Ragazze di successo di ieri e di oggi, “L’Unità”, 19 giugno 1988, p. 17.
6
Marina Bianchi è diplomata in regia presso la Scuola del Piccolo Teatro di Milano, ha lavorato
con registi come Liliana Cavani, Eduardo De Filippo, Giorgio Strehler e Luca Ronconi, e con di-
rettori d’orchestra come Claudio Abbado e Leonard Bernstein. Attualmente collabora come regi-
sta con il Teatro alla Scala di Milano.
7
Daniela Verdenelli ha ricoperto il ruolo di costumista per numerosi progetti teatrali e cinemato-
grafici. Tra i primi ricordiamo i costumi de La Dodicesima notte (regia di Jerome Savary), andato in
scena nel 1991 durante il festival “Estate Teatrale Veronese” e de La bruttina stagionata (regia di Fran-
ca Valeri), andato in scena al Teatro Franco Parenti di Milano nel 1994. Tra i lavori cinematogra-
fici ricordiamo invece i costumi dei film Una Vita al Rovescio (Rolando Colla, 1998) e Oltre il Con-
fine (Rolando Colla, 2002).
8
Nanda Vigo (Milano 1940) è una designer italiana. Ha studiato all’Institute Politechnique di Lo-
sanna e ha collaborato con i designer Gio Ponti e Lucio Fontana. Ha partecipato per due volte alla
Triennale di Milano (nel 1964 e nel 1973) e alla Biennale di Venezia nel 1982.
9
F. Rich, Stage: Caryl Churchill’s Top Girls at the Public, “The New York Times”, 29 December 1982.
10
M.G. Gregori, art. cit., p. 17.
Marina Spreafico. Churchill surreale e assurda
di Chiara Biscella
Note
1
M. Poli, Le moderne Baccanti. Testo un po’ ingenuo e messinscena caotica, “Corriere della Sera”, 29 no-
vembre 1998, p. 53.
2
G. Verna, A piedi nudi sotto le stelle, «Hystrio», 3, 1999, pp. 79-80.
3
Poli, art. cit.
4
M. Poli, Blue Heart all’Arsenale. Tra comicità e tragedia uno spettacolo spumeggiante, “Corriere della Sera”,
11 febbraio 2000, p. 53.
5
Ibidem.
6
A. Ceravolo, La penna della Churchill esala rantoli e malie, «Hystrio», 3, 2000, pp. 74-5.
7
Allieva dell’“École Internationale de Théâtre Jacques Lecoq” di Parigi, Marina Spreafico è oggi
direttrice del Teatro Arsenale di Milano, da lei stessa fondato nel 1978. In questo luogo, che defi-
nisce straordinario, ha formato una compagnia stanziale e ha aperto una scuola di teatro. Attrice,
regista e traduttrice, ha realizzato numerosi spettacoli teatrali e musicali, sia per la propria compa-
gnia sia perché invitata da organizzazioni italiane e straniere, tra le quali La Fenice di Venezia, la
National Opera di Sofia, il Colorado Festival of World Theatre.
Massimiliano Farau dirige F a r A w a y
di Claudia Nocera
12. Tania Rocchetta (zia Harper) e Rossella Canuti (Joan, da bambina) in Far Away di Massimiliano Farau pre-
sentato presso il Teatro Due/Teatro di Parma e Reggio Emilia (14-15 giugno 2003).
il teatro. Non sopporto l’idea che si possa andare a teatro per ve-
dere che cosa ne pensi il regista di un certo testo. Quei registi fa-
rebbero meglio a scrivere un saggio. In Inghilterra mi sembra che
sia diverso. Se tu prendi un programma della stagione della Royal
Shakespeare Company, per esempio, trovi il riassunto della trama
dei testi: «Il principe di Danimarca ha perso il padre, sua madre si
è affrettata a celebrare un secondo matrimonio con il fratello del
re defunto, ma lo spettro del padre appare ad Amleto e gli rivela
una verità agghiacciante... », con tanto di puntini di sospensione!
Gli inglesi si comportano come se la storia fosse nuova; Amleto è
un testo che conoscono tutti, fa parte del curriculum scolastico,
eppure questa cosa ingenua di mettere il riassunto come stimolo
per la curiosità del pubblico mostra che si va a teatro per veder vi-
vere questa storia e per interessarsi a una vicenda umana, non per
assistere alla dimostrazione di una tesi attraverso cui il regista spie-
ga che lui ha capito, e possibilmente corretto, Shakespeare. Uso Sha-
kespeare ovviamente come esempio più alto. Quello che dice Ha-
rold Bloom nel libro Shakespeare: l’Invenzione dell’Umano (Shakespeare:
The Invention of the Human) – attenzione, non pensate di spiegare
Shakespeare, è Shakespeare che spiega noi – penso che sia ovvia-
mente indiscutibile su Shakespeare, ma che possa applicarsi un po’
a tutto il teatro. Un testo drammatico sta lì per dire qualcosa che
non si può dire altrimenti; non perché qualcuno ne riduca la com-
plessità, ne estragga un solo significato e con l’evidenziatore lo sbat-
ta in faccia al pubblico.
CN Oltre alla regia di Far Away, lei ha anche tradotto il testo dal-
l’inglese e altri testi di Churchill. Quali sono le sfide del traduttore?
MF Ho appena letto l’ultimo suo testo, Drunk Enough to Say I Love
You?. Me l’ha mandato l’agente italiano; testo difficilissimo da leg-
gere e difficilissimo da tradurre. Sempre più Churchill scrive in modo
super-ellittico, usa tantissimo il gerundio senza verbo ausiliare, per
cui non sai mai come devi tradurlo; forzare è quasi inevitabile. Ti
chiedi, lo traduco con un infinito o con cosa? Si devono fare del-
le scelte forti che sottraggono ambiguità al testo. È davvero dif-
ficile. È stato così anche per Questa è una sedia, che io ho tradotto
200 Caryl Churchill. Un teatro necessario
13. La scena dei cappelli in Far Away presso il Teatro Due/Teatro di Parma e Reggio Emilia (14-15 giugno 2003).
Regia di Massimiliano Farau.
Parte Terza. Conversazioni 203
14. Paolo Briguglia (Todd) e Noemi Condorelli (Joan) in Far Away presso il Teatro Due/Teatro di Parma e Reg-
gio Emilia (14-15 giugno 2003). Regia di Massimiliano Farau.
15. Da sin.: Paolo Briguglia (Todd), Noemi Condorelli (Joan) e Tania Rocchetta (zia Harper) in Far Away pres-
so il Teatro Due/Teatro di Parma e Reggio Emilia (14-15 giugno 2003). Regia di Massimiliano Farau.
204 Caryl Churchill. Un teatro necessario
Note
1
«A play of terrible, devastating beauty», J. Peter, Conflicts of interest, “The Sunday Times”, 10 Fe-
bruary 2002.
2
D. Papanikas, Innocenti complici del male, «Hystrio», XVI n. 3, luglio-settembre 2003, p. 65.
3
V. Ottolenghi, Far Away. Al Tfp l’educazione a non ascoltare la coscienza, “Gazzetta di Parma”, 17 giu-
gno 2003.
4
Formatosi all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”, Massimiliano Farau
si è perfezionato presso la Guildhall School of Music and Drama di Londra e la Classe de Maitri-
se de Mise en Scène di Pélussin. Ha diretto testi di Shakespeare, John Ford, Euripide, Molière, Gol-
doni, Giovan Battista Andreini, Dylan Thomas, George Bernard Shaw, Harold Pinter, David Ma-
met, Philip Ridley, Arthur Miller, Ionesco, Maricla Boggio, Luigi Maria Musati, Matei Visniec, Mar-
tin Crimp, Stephen Sondheim, Shelagh Stephenson, Wallace Shawn, Michael Frayn, Caryl Chur-
chill, Simon Bent, Eduardo De Filippo, Pirandello, Dario Fo, Bryony Lavery, Anthony Minghel-
la, Duncan Macmillan, Beckett, Mohamed Kacimi, Steven Dietz e Tracy Letts, e ha lavorato, tra
gli altri, per il Teatro Due di Parma, il Centro Servizi e Spettacoli di Udine, Il Teatro Stabile di Na-
poli, il Teatro Stabile di Torino, il Teatro Stabile Abruzzese, il Teatro di Roma, Taormina Arte, il
Festival del Teatro Medievale e Rinascimentale di Anagni, il Wimbledon Theatre di Londra, il Can-
tiere Internazionale d’Arte di Montepulciano e l’American Conservatory Theater di San Franci-
sco. Insegna recitazione all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” e a “Pri-
ma del Teatro - Scuola Europea per l’Arte dell‘Attore”; ha insegnato al Centro Sperimentale di Ci-
nematografia, al Centro Internazionale “La Cometa”, alla Bernstein School of Musical Theatre,
alla New York Film Academy e alla National School of Drama (New Delhi). Svolge un’intensa at-
tività anche come traduttore di testi teatrali, alcuni dei quali sono pubblicati da Reading Theatre,
Melangolo e Besa Editrice.
Valter Malosti. A N u m b e r : clonazione e autenticità
di Andrea D’Addato
16. Andrea Giordana e Michele di Mauro in A Number di Valter Malosti presso il Teatro Belli di Roma (16-29
febbraio 2004).
ryl Churchill è però sempre riuscita a mantenersi salda in tutti gli aspet-
ti della comunicazione: non ha mai dimenticato di lasciare uno spa-
zio per gli spettatori, ha sempre lasciato “la porta aperta”, come
dice Peter Brook, e questo, a mio avviso, è fondamentale.
AD Dopo l’esperienza di A Number le piacerebbe mettere in sce-
na un’altra opera di Caryl Churchill?
VM Mi piacerebbe molto, ma, purtroppo, le condizioni del teatro
in Italia sono un po’ strane e non è facile lavorare in scioltezza a
testi di teatro contemporaneo. In questo momento per poter es-
sere sul mercato è quasi indispensabile cimentarsi con operazio-
ni che abbiano una sicura vendibilità, oppure poter assicurarsi la
disponibilità di grandi attori per rappresentare testi come quelli di
Caryl Churchill e riuscire così a raggiungere un pubblico impor-
tante. Diciamo che, fantasticando, un’opera che mi piacerebbe rap-
presentare è Far Away.
Parte Terza. Conversazioni 213
Note
1
Valter Malosti, note di regia dello spettacolo teatrale A Number, Più di Uno, disponibili in rete sul
sito http://www.teatromoderno.it/ANumber/Index.html (ultimo accesso 23 ottobre 2011).
2
Ibidem.
3
Richard David James, in arte Aphex Twin, è unanimemente considerato come uno dei principa-
li esponenti della musica elettronica degli ultimi vent’anni. Le sue opere più celebri, come I Care
Because I Do, 1995, e DrukQs, 2001, sono in grado di costruire un collage musicale che parte dalla
musica “techno” e “drum and bass” per spaziare nell’”ambient” e nella musica classica.
4
M. D’Amico, Il futuribile A Number, “La Stampa”, 22 Febbraio 2004, p. 28.
5
P. Petroni, Il padre egoista, il figlio clonato, “Corriere della Sera”, 19 Febbraio 2004, p. 61.
6
Ibidem.
7
Attore, regista e direttore artistico del Teatro di Dioniso, il lavoro di Valter Malosti alterna ope-
re di teatro contemporaneo, spesso rappresentate in prima assoluta per l’Italia, e rivisitazioni di clas-
sici. Attento tanto al linguaggio del corpo, quanto alle arti visive e alla musica, il progetto si con-
solida nel corso degli ultimi anni ricevendo prestigiosi riconoscimenti come il Premio Ubu al mi-
glior testo straniero messo in scena in Italia per la rappresentazione di Inverno di John Fosse nel 2004;
il Premio Hystrio per la regia nel 2004 e il Premio della Critica per la Stagione Teatrale 2009, per
la messinscena di Quattro Atti Profani di Antonio Tarantino e Shakespeare/Venere e Adone da Shake-
speare.
17. Annig Raimondi (Joan) e Riccardo Magherini (Todd) in Far Away per la regia di Annig Raimondi presenta-
to presso Pacta Arsenale dei Teatri di Milano (26 gennaio-13 febbario 2011).
Annig Raimondi. Nelle nebbie della guerra
di Chiara Biscella
19. Riccardo Magherini, Annig Raimondi, e Maria Eugenia D’Aquino in Sette bambine ebree presso Pacta Arsena-
le dei Teatri di Milano (26 gennaio-13 febbario 2011). Regia di Annig Raimondi.
Parte Terza. Conversazioni 223
Note
1
Direttrice artistica di Pacta Arsenale dei Teatri, che ha fondato nel gennaio 2008, Annig Raimon-
di ha lavorato a lungo presso il teatro Arsenale di Milano, di cui è stata non solo co-fondatrice con
Marina Spreafico, ma anche presidente e direttore artistico per dodici anni. La sua è un’attività tea-
trale a tutto tondo: prima di tutto attrice di prosa, è anche regista originale e attenta, che ama ci-
mentarsi non solo con testi teatrali di alcuni dei maggiori drammaturghi, classici e contemporanei
(come Pirandello, Sartre, Ginsberg e ovviamente Churchill), ma anche con altre forme narrative
mettendo in scena testi poetici, come La terra desolata di T.S. Eliot, o romanzi, come Gli indifferen-
ti di Moravia; tiene inoltre stage di preparazione vocale, regia e drammaturgia.
Caryl Churchill. Una breve biografia
di Valentina Berardi
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Light Shining in Buckinghamshire, trad. di S. Cabras, depositato SIAE.
Seven Jewish Children, Sette bambine ebree, trad. di M. D’Amico e P. Tierno, deposita-
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3. Reading di Light Shining in Buckinghamshire presso Teatro i di Milano (30 gen-
naio 2009). Regia di Mark Ravenhill. © Federica Anchieri (2009).
4. Da sin.: Federica Fracassi - Sabrina Colle - Laura Pasetti - Raffaella Bos-
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Morgan, F., 45 Prebble, L., 134, 142
Morton, A.L., 34 Raimondi, A., 9, 214-223
Musati, L.M., 204 Randazzo, F., 20, 149
Naismith, B., 43 Ravenhill, M., 9, 16, 19, 22, 101, 114,
National Theatre of Scotland, 136 121-122, 126, 164
National Theatre of Wales, 136 Reinelt, J., 75, 114
New York Public Theatre, 171 Rich, F., 180
Notte, P., 216 Ricks, C., 63
O’Brien, R., 138, 142 Ridley, P., 204
O’Dean, K., 63 Ritchie, R., 62
Old Vic, 133, 167 Roberts, P., 75, 96
Oldman, G., 55 Robertson, R., 98
Orton, J., 166 Rocchetta, T., 189, 190, 203
Orwell, G., 202 Roncarolo, F., 98
Ostermeier, T., 120 Ronconi, L., 180
Ottolenghi, V., 190, 204 Rose, M., 7, 9, 17, 18, 43, 62, 120,
Out of Joint, 136 126, 176, 183
Pacta Arsenale dei Teatri, 19, 214, Royal Court Theatre, 9-10, 13, 15-
215, 222, 223 18, 41, 49, 52, 54-55, 62, 63, 65,
Paganini, P., 171, 180 70-71, 79, 85, 87, 96, 116, 121-
Paganini, F., 170 123, 136-139, 142, 144, 153, 161,
Palusci, O., 62 166-168, 171, 180, 187, 189-190,
Paolucci, A., 149 197, 200, 220, 225-226
Indice dei nomi 239
Anna Anzi è stata docente di Storia del Teatro Inglese presso l’Università degli
Studi di Milano. Ha pubblicato numerosi saggi su Shakespeare, sul teatro di cor-
te inglese, sulla fortuna di Shakespeare in Italia e sul teatro inglese del Novecen-
to. Tra i volumi: Riscritture nel teatro inglese contemporaneo (1989); Storia del teatro ingle-
se dalle origini al 1660 (1997); Shakespeare e le arti figurative (1998); Varie e strane for-
me. Shakespeare, il masque e il gusto manieristico (1998 (1984); Shakespeare nei teatri mi-
lanesi del Novecento (1980 e 2001). Ha fondato, insieme a Paolo Bosisio e Marga-
ret Rose, TESS - rivista di teatro e spettacolo. Ha curato e diretto seminari su Shake-
speare nel Novecento e il Laboratorio shakespeariano fondato da Agostino Lombar-
do e Giorgio Strehler che, per diciotto anni, ha avuto la sua sede nelle sale del Pic-
colo Teatro di Milano-Teatro d’Europa.
Paola Bono insegna Teatro inglese nel corso di laurea in DAMS dell’Univer-
sità degli Studi Roma Tre. Tra le fondatrici della Società Italiana delle Lette-
rate e sua prima presidente, ha fatto a lungo parte della redazione di DWF e
dello European Journal of Women’s Studies ed è nel comitato consultivo interna-
zionale di Signs. Tra le sue pubblicazioni, oltre a numerosi saggi, Il mito di Di-
done (con M. Vittoria Tessitore, 1998), Esercizi di differenza (1999), Il romanzo del
divenire (a cura sua e di Laura Fortini, 2007), Il bardo in musical (2009). Ha inol-
tre curato con Sandra Kemp due volumi sul femminismo italiano – Italian Fe-
minist Thought. A Reader (1991); The Lonely Mirror. Italian Perspectives on Feminist
Theory (1993) – e due numeri monografici dello European Journal of Women’s Stu-
dies. I suoi ambiti di ricerca includono le riprese e trasformazioni di temi, sto-
rie e figure – nel tempo, tra culture, tra diversi mezzi espressivi – e la scrittu-
ra delle donne, con particolare attenzione alla drammaturgia inglese contem-
poranea.
Carlo Cecchi è uno dei registi più innovativi della scena teatrale contempora-
nea, con una formazione che coniuga Living Theatre ed Eduardo, sceneggia-
ta e Pinter, Shakespeare e teatro dell’assurdo. In qualità di attore e regista rap-
presenta testi di autori come Majakovskij, Brecht, Shakespeare, Cechov, Moliè-
re, e ottiene unanimi consensi per il suo stile che fonde insieme classicità e in-
novazione. Alterna il lavoro di regista teatrale a quello di attore teatrale e cine-
matografico. Memorabili sono la sua interpretazione di Renato Caccioppoli in
Morte di un matematico napoletano (1991) di Mario Martone e di Hamm in un Fi-
nale di partita di cui è anche regista e che si è aggiudicato il Premio Ubu 1995
come miglior spettacolo e miglior regia. Nel 2007 ha vinto il Premio Gassman
come miglior attore teatrale italiano.
gliore novità straniera. È autrice e attrice insieme a Nicola Russo dello spettaco-
lo La regina delle nevi da H.C. Andersen e attrice dello spettacolo Le muse orfane di
M.M. Bouchard per la regia di Nicola Russo, per il quale ha vinto il Premio ETI
“Gli Olimpici del Teatro” 2007 come attrice emergente. Nella stagione 2008/2009
è stata impegnata in Un giorno d’estate di Jon Fosse per la regia di Valerio Binasco,
una produzione del Teatro Eliseo di Roma; nel melologo Parla Persefone compo-
sto dal maestro Fabio Vacchi su testo di Aldo Nove che ha debuttato nell’esecu-
zione dell’Ensemble Sentieri Selvaggi alla Fondazione Arnaldo Pomodoro a Mi-
lano; nello spettacolo Superwoobinda di Aldo Nove per la regia di Monica Nappo
prodotto in collaborazione con Mercadante Teatro Stabile di Napoli; in Lait di
Magdalena Barile per la regia di Renzo Martinelli prodotto da Teatro i. Nella sta-
gione 2009/2010 è protagonista di Donne in Parlamento di Aristofane per la regia di
Nicoletta Robello, prodotto dal Teatro Due di Parma e di Corsia degli incurabili di
Patrizia Valduga per la regia di Valter Malosti prodotto da Teatro di Dioniso, per
cui è stata finalista ai Premi Ubu 2010 come Miglior Attrice. Nel 2010/2011 è at-
trice protagonista di Incendi di Wajdi Mouawad, di Mi chiamo Roberta, ho 40 anni,
guadagno 250 euro al mese di Aldo Nove e di Hilda di Marie NDiaye, regia di Ren-
zo Martinelli, produzione Teatro i. Nel 2012 sarà attrice ne La signorina Giulia di
August Strindberg, regia di Valter Malosti, produzione Teatro Stabile di Torino.
Ha inoltre vinto il premio Eleonora Duse 2011.
Claudia Nocera si è formata tra Italia e Inghilterra, dove nel 2010 ha conse-
guito il Master of Arts in Theory and Practice of Translation alla University
College London e ha vinto una borsa di collaborazione per la DH 2010 Digi-
tal Humanities Annual Conference presso il King’s College London. Vive e la-
vora a Londra.
246 Caryl Churchill. Un teatro necessario
Margaret Rose è docente presso l’Università degli Studi di Milano, dove inse-
gna Storia del Teatro Inglese e Letteratura Inglese. Tra le sue pubblicazioni: Mo-
nologue Plays for Female Voices (1996), Political Satire and Reforming Vision in Eliza Hay-
wood’s Works (1996), Storia del Teatro Inglese. L’Ottocento e il Novecento (2002). È co-
Autori 247
In uscita
Autori Vari, Portella della ginestra: una storia orale
Angelucci M., Autopsia dello sport italiano
Boscarello G., Storia dell’amministrazione imperiale britannica di Cipro
Casmirri S. - Totaro P., Lazio. Asseblea Costituente, Camera dei Deputati 1946-1963 (2)
Cecconi A., I sogni vengono da fuori
Cervi G., Storie a cinque cerchi
Liakopoulos D., Le misure cautelari nel riritto dell’Unione europea
Malot H., Senza famiglia
Mazzullo E., Il trapezzista
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Montes S. - Taverna L., Reflectiones on Prefaces and Reviews
Nucifora S. - Urso A., L’Architettura dei mercati coperti
Paloscia R. (a cura di), Capitale umano e patrimonio territoriale
Pellecchia U. - Lusini V., Incontro, Relazione, Comunicazione
Solinas P.G. (a cura di), Campo, Spazio, Territorio (vol. 2)
Tarsi E., Percorsi d’inclusione
Twain M., Un’americano alla corte di Re Artù
Zappalà Z., Cinemangiare. Cibo e società nel cinema italiano dal dopoguerra ad oggi
Finito di stampare nel mese di febbraio 2012
per conto di ED.IT - Firenze
presso Atena.net - Grisignano (Vicenza)