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LEONARDO E LA MUSICA

CANTÒ DIVINAMENTE ALL’IMPROVVISO

Con queste parole dal tono fortemente encomiastico e celebrativo Giorgio Vasari
apre la narrazione della vita di Leonardo da Vinci:

[...] in Lionardo da Vinci, oltre alla bellezza del corpo, non lodata mai a
bastanza era la grazia più che infinita in qualunque sua azione; e tanta e sì
fatta poi la virtù, che dovunque l’animo volse nelle cose difficili, con facilità
le rendeva assolute.
[...] Dette alquanto d’opera alla musica; ma tosto si risolvè a imparare a
suonare la lira, come quello che dalla natura aveva spirito elevatissimo e
pieno di leggiadria, onde sopra quella cantò divinamente all’improvviso.1

Non è difficile scorgere nelle parole vasariane una riverente e retoricamente


iperbolica esaltazione di Leonardo genio universale e quindi anche genio della musica.
Le “divine” doti musicali che Vasari attribuisce a Leonardo potrebbero dunque a prima
vista essere interpretate come un ennesimo, ma infondato, riconoscimento di eccellenza
tributato in un importante campo del sapere e del fare umano - la musica - a colui che
ancora oggi viene definito, talvolta con abusato luogo, il genio universale del
rinascimento italiano. Non si può tuttavia escludere che quanto asserito dallo
storiografo aretino a proposito delle doti musicali di Leonardo risponda, sia pur
parzialmente, a verità. Non sono poche infatti, come vedremo, le tracce che confermano
la profondità dell’interesse nutrito da Leonardo per la musica.
A testimonianza del fatto che le doti musicali dovevano aver giocato una parte di
rilievo nell’alimentare la fama goduta dall’artista toscano presso i contemporanei, Vasari
indicava nella straordinaria abilità di Leonardo come suonatore di lira e come
improvvisatore di versi la ragione prima del trasferimento dell’artista dalla Firenze dei
Medici alla Milano degli Sforza:

Avvenne che, morto Giovan Galeazzo duca di Milano e creato Lodovico


Sforza nel grado medesimo l’anno 1494, fu condotto a Milano con gran
riputazione Lionardo al duca, il quale molto si dilettava del suono della lira,
perché sonasse.2

Tutti conoscono la celeberrima lettera con la quale Leonardo offriva a Ludovico


Sforza i propri servigi in qualità di ingegnere, architetto ed artista. 3 Con quella lettera
Leonardo sosteneva di poter realizzare con successo uno strabiliante campionario di
opere di ingegneria civile e militare (“ho modi de ponti leggerissimi e forti”), di poter
produrre eccellenti lavori in scultura e in pittura (“conducerò in scultura di marmore, di
bronzo e di terra, similiter in pictura, ciò che si possa fare ad paragone de omni altro”)
ma non faceva menzione alcuna delle proprie capacità musicali. Che Leonardo
giungesse finalmente nella capitale lombarda accompagnato da Atalante Migliorotti, un
giovane fiorentino di sedici anni eccellente suonatore di lira,4 può tuttavia rappresentare
una parziale conferma del fatto che l’artista toscano, come asserito dal Vasari, si distinse
in principio presso la corte sforzesca proprio in virtù delle proprie straordinarie capacità
di suonatore di lira e di cantore all’improvviso.
Leonardo giunse dunque a Milano preceduto da una certa fama di architetto,
ingegnere, pittore, scultore e, probabilmente, anche di musicista. Ma dell’argentea lira a

2 Lastraioli – Leonardo e la Musica


forma di teschio di cavallo che Leonardo suonò al cospetto di Ludovico il Moro non
esiste oggi memoria alcuna se non quella rimasta nelle parole dei biografi vinciani. Così,
infatti, il Vasari:

[...] Lionardo portò quello strumento ch’egli aveva di sua mano


fabbricato d’argento gran parte, in forma di teschio di cavallo, cosa bizzarra
e nuova, acciocché l’armonia fosse con maggior tuba e più sonora di voce;
laonde superò tutti i musici che quivi erano concorsi a sonare.5

Così, invece, il cosiddetto Anonimo Magliabechiano:

[...] fu mandato al duca di Milano a presentargli [...] una lira, che unico
era in sonare tale strumento. 6

Così, infine, lo storiografo cinquecentesco Paolo Giovio:

Et cum elegantie omnis delitiarumque maxime theatralium mirificus


inventor ac arbiter esset, ad lyramque scire caneret, cunctis per omnem
aetatem principibus mire placuit.

Poiché era un meraviglioso arbitro e inventore d’ogni eleganza e


soprattutto di spettacoli teatrali, e sapeva cantare egregiamente
accompagnandosi sulla lira, ebbe larga accoglienza da tutti i prìncipi del suo
tempo.7

LA FESTA DEL PARADISO

Si è appena visto come Paolo Giovio affermi che Leonardo ebbe modo di distinguersi
come “inventore d’ogni eleganza e soprattutto di spettacoli teatrali”. In effetti, durante
gli anni trascorsi presso gli Sforza, Leonardo si dedicò in più di una circostanza
all’ideazione e all’allestimento di spettacoli per la corte, compito questo che doveva
essergli, possiamo immaginare, particolarmente gradito.
I disegni leonardeschi raffiguranti i costumi, gli apparati scenici ed i macchinismi
teatrali ideati per gli spettacoli della corte milanese sono purtroppo andati perduti. 8 E’
invece sopravvissuta una dettagliata descrizione della Festa del Paradiso, una
rappresentazione teatrale che Leonardo allestì il 13 gennaio del 1490 in una sala del
castello sforzesco, in onore di Isabella d’Aragona, moglie del duca Gian Galeazzo. La
narrazione, opera di un anonimo testimone oculare dell’avvenimento, si sofferma a
lungo nel descrivere l’apparato scenico ideato da Leonardo. Apprendiamo dunque che
la scena della Festa del Paradiso - allietata da “molti canti et soni molto dolci et suavi”
- rappresentava la volta celeste: era infatti formata da una semisfera dipinta a oro,
animata da personaggi che raffiguravano i “sette pianiti” e i dodici “signi” dello zodiaco.
Non sappiamo chi sia stato l’autore delle musiche della Festa del Paradiso.9 In ogni
caso non è azzardato supporre che Leonardo si sia interessato personalmente della loro
appropriata collocazione all’interno dello spettacolo. L’anonimo cronista milanese
sottolinea infatti più di una volta il ruolo fondamentale svolto dalla musica nel ricreare
con “suavi soni et canti” quella armonia delle lontane sfere celesti che, sicuramente,

3 Lastraioli – Leonardo e la Musica


Leonardo fece percepire, anche soltanto all’interno della finzione allegorica della festa,
ai fortunati spettatori del suo “paradixo” milanese:

El Paradixo era fatto a la similitudine de uno mezo ovo, el quale dal lato
dentro era tutto messo a horo, con grandissimo numero de lume ricontro de
stelle, con certi fessi dove stava tutti li sette pianiti, segondo il loro grado
alti e bassi. A torno l’orlo de sopra del ditto mezo tondo era li XII signi, con
certi lumi dentro dal vedro, che facevano un galante et bel vedere: nel quale
Paradixo era molti canti et soni molto dolci et suavi.
Trete10 certi schioppi, et ad uno tratto cade zoso el panno de razo che era
dinanti al Paradixo, dinanti al quale remase uno sarzo 11 fino a tanto che uno
putino vestito a mo’ de Angelo have annuntiato la ditta representatione.
Livro de dire le parole cade a terra ditto sarzo, et fu tanto sì grande
ornamento et splendore che parse vedere nel principio uno naturale
paradixo, et così ne lo audito, per li suavi soni et canti che v’erano dentro.
Nel mezo del quale era Jove con li altri pianiti apreso, segondo el loro
grado. Cantato et sonato che se have un pezo, se fece pore scilentio ad ogni
casa; et Jove con alchune acomodate et bone parole rengratiò el summo
Idio che li avesse conceduto de creare al mondo una così bella, legiadra,
ma ma a
formosa et virtuosa donna come era la Ill. et Ex. M. duchessa
Isabella.12

LA VIOLA ORGANISTA

Il composito e fantastico mondo degli strumenti musicali non poteva certamente


rimanere alieno all’attenzione del genio leonardesco. Non ci meravigliamo quindi di
rintracciare, nell’ampio corpo dei fogli manoscritti che l’artista andò disordinatamente
accumulando nel corso dei suoi studi, numerosi appunti e schizzi che descrivono o
rappresentano strumenti e macchine musicali di ogni sorta. 13
Come sovente si riscontra negli studi di carattere tecnico, scientifico ed artistico,
anche nelle annotazioni e nei disegni relativi alle “invenzioni musicali” Leonardo sembra
a prima vista voler raffigurare o descrivere - piuttosto che progetti interamente compiuti
e concretamente realizzabili - soltanto semplici intuizioni o idee frammentarie che si
riservava di sviluppare compiutamente in un secondo momento. Pur ipotizzando in molti
casi la costruzione di congegni assolutamente fantastici e talvolta addirittura
praticamente inutilizzabili, gli schizzi leonardeschi di oggetto organologico-musicale
rivestono tuttavia grande interesse: essi permettono infatti di evidenziare le vaste ed
originali conoscenze di Leonardo in materia di meccanica, ed il modo in cui essa veniva
applicata alla progettazione di strumenti musicali di ogni tipo.
Dei numerosi strumenti e macchine musicali nati nella fantasia di Leonardo la viola
organista è al contempo il più complesso ed il più vicino ad una reale utilizzazione nella
pratica musicale dell’epoca.14 Leonardo dovette essere pie-namente consapevole delle
concrete possibilità che il suo strumento avrebbe potuto offrire: la viola organista
avrebbe infatti combinato le possibilità polifoniche tipiche degli strumenti a tastiera con
il colore timbrico e le possibilità dinamiche caratteristiche degli strumenti ad arco. Non
ci meravigliamo quindi di rintracciare nei manoscritti leonardeschi almeno sei pagine
nelle quali appaiono schizzi, descrizioni e progetti tutti dedicati alla viola organista.

4 Lastraioli – Leonardo e la Musica


Anche se nessuno dei disegni in cui lo strumento appare raffigurato può essere
considerato come un progetto compiuto, gli studi per la viola organista sono incentrati
sulla ricorrente idea di uno strumento munito di corde e dotato di una tastiera simile a
quella di un clavicembalo o di un clavicordo. Le corde della viola organista non
vengono però pizzicate per mezzo di plettri azionati dai tasti (come nel caso del
clavicembalo) o percosse da martelletti (come nel caso del clavicordo) bensì, punto
nodale dell’invenzione leonardesca, messe in vibrazione grazie all’attrito che su di esse
esercita un nastro di crini cosparso di pece.
Il disegno più dettagliato della viola organista è quello che si trova sul verso del
foglio 45 del codice leonardesco tradizionalmente conosciuto come manoscritto H. 15 Il
disegno, perfettamente definito, mostra un strumento a tastiera che dall’esterno ricorda
un clavicembalo. Lo spaccato del disegno mostra però, all’interno della cassa armonica,
una sorta di “arco senza fine” - che Leonardo chiama archetto - formato da un nastro di
crini teso ad una minima distanza dal piano delle corde. Il nastro di crini, un anello in
realtà, non è fisso: esso viene infatti messo in movimento da due dischi - imperniati
ciascuno alle due estremità laterali dello strumento - intorno ai quali l’anello stesso
ruota. L’azione esercitata su una manovella applicata esternamente ad uno dei due
dischi fa sì che l’anello di crini si muova velocemente ed ininterrottamente sopra il piano
delle corde dello strumento.
Le corde della viola organista non toccano normalmente l’archetto se non quando il
suonatore, premendo un tasto, mette in azione una serie di rinvii e di leve meccaniche
che sollevano la corda corrispondente e la spingono a contatto con l’archetto che, grazie
alla rotazione dei due dischi, è già in movimento rettilineo sopra il piano delle corde.
Una volta venuta a contatto con l’archetto, la corda entra in vibrazione ed il suono
prodotto perdura, come nel caso dell’organo, fin quando il dito dell’esecutore tiene
premuto il tasto.
Grazie al sistema di rinvii e di leve ideato da Leonardo, al suonatore della viola
organista sarebbe stato possibile graduare accuratamente, tramite l’intensità della
pressione esercitata dalle dita sui singoli tasti, la forza con cui le corde corrispondenti
avrebbero fatto attrito contro l’archetto. Di conseguenza, l’esecutore avrebbe avuto in
ogni istante pieno controllo sul volume di ogni singolo suono, caratteristica, questa,
estranea sia all’organo che al clavicembalo, strumenti nei quali è infatti assente ogni
possibilità di gradazione dinamica.
Leonardo era pienamente consapevole del fatto che la buona riuscita della viola
organista dipendeva in gran parte dalla uniformità del movimento dell’archetto. Un
movimento a strappi di quest’ultimo avrebbe infatti gravemente danneggiato
l’omogeneità dinamica del pezzo musicale eseguito. Per questo motivo si rendeva
necessario che il movimento rotatorio applicato ai due dischi della viola organista - e di
conseguenza la velocità rettilinea dell’archetto - si mantenessero il più uniformi
possibile.
Per dare all’archetto un movimento senza strappi Leonardo ideò allora un sistema di
trasmissione indiretto tra la fonte di energia - non pù la mano dell’uomo che azionava la
manovella bensì un peso attaccato ad un filo - ed il disco sul quale la forza stessa andava
ad applicarsi. Il sistema di trasmissione ad ingranaggi ideato da Leonardo per la viola
organista è rappresentato in uno schizzo del verso del foglio 50 del cosiddetto
manoscritto B.16 Il disegno rappresenta il nastro di crini, l’archetto, messo in movimento
grazie ad un meccanismo di ruote dentate paragonabile a quello che in orologeria si
chiama “ruota Caterina”. Lo schizzo di Leonardo è accompagnato da una didascalia

5 Lastraioli – Leonardo e la Musica


che, pur non risultando di facile interpretazione per quanto concerne il funzionamento
del congegno, ne definisce comunque con chiarezza lo scopo:

Questo e il modo del moto dello archetto della viola organista e se farai
le crene della rota de 2 tempi che siano minori l’una quantita de denti che
l’altra e che non si schontrino insieme chome apare in a. b. sara all’archetto
uno cho equale movimento se non e andra a scosse esse farai a mio modo la
rochetta f. senpre andera equale.

Non sappiamo se Leonardo - al tempo del soggiorno milanese oppure in seguito, a


Roma, nel laboratorio messogli a disposizione da Papa Leone X - costruì un esemplare
funzionante di viola oganista; e non crediamo che ad un tale interrogativo potrà mai
essere data risposta certa. Ma il fatto che una ipotetica viola organista non sia giunta
sino a noi non significa necessariamente che un tale strumento non sia mai stato
realizzato dall’inventore: la qualità sonora di uno strumento musicale è infatti
generalmente proporzionale alla sua fragilità, e difficilmente la viola organista di
Leonardo, se mai costruita, avrebbe potuto sopravvivere per cinque secoli alle ingiurie
del tempo, dell’umidità, della temperatura, dei tarli e degli uomini.
A confermare la validità dell’intuizione di Leonardo rimane tuttavia il fatto che la
costruzione di uno strumento simile alla viola organista rappresentò per secoli il sogno
di più di un costruttore di strumenti musicali: dalla metà del Cinquecento in poi
strumenti basati sul principio della viola organista vennero infatti continuamente
inventati, costruiti, e ancora reinventati.
Nel 1581, ad esempio, il compositore e teorico fiorentino Vincenzo Galilei
descriveva con entusiasmo nel Dialogo della musica antica e moderna uno strumento a
tastiera - munito di corde messe in vibrazione da un arco - che aveva avuto modo di
udire presso la corte di Alberto di Baviera. Lo strumento descritto dal Galilei ricorda
molto da vicino, nel funzionamento, la viola organista ideata - e costruita? - da
Leonardo circa un secolo avanti:

Strumento di tasti molto artificioso e bello.


Un altro esempio, d’uno strumento di tasti, che già l’Elettore Augusto
Duca di Sassonia donò alla felice memoria del Grande Alberto di Baviera,
mi sovviene in questo proposito, più di ogni altro efficace, il quale
strumento ha le corde secondo l’uso di quelle del liuto, e vengono secate à
guisa di quelle della viola da un’accomodata matasssa artifitiosamente fatta
delle medesime setole di che si fanno le corde à gli archi delle viole; la qual
matassa con assai facilità, viene menata in giro con un piede da quello
istesso che lo suona, e ne seca continuamente col mezzo d’una ruota sopra
la quale passa, quella quantità che vogliano le dita di lui, il quale strumento,
due anni sono che io fui a qualla corte, temperai secondo l’uso del liuto, e
faceva di poi ben sonato, non altramente che un corpo di viole, dolcissimo
udire.17

IL PARAGONE

La profonda attrazione che la musica esercitò sullo spirito magno di Leonardo da


Vinci non rimase circoscritta alle belle doti musicali naturali, alle buone conoscenze di
musica pratica ed alla fervida attività creativa ed immaginativa che l’inventore, con

6 Lastraioli – Leonardo e la Musica


instancabile fantasia, finalizzò all’ideazione di una vasta gamma di strumenti e macchine
musicali. Non ci meravigliamo dunque di rintracciare nell’opera leonardesca alcuni
scritti di carattere speculativo nei quali l’autore espose una propria “teoria della
musica”.
Stimolato dal vivo dibattito sorto nella cultura del suo tempo per stabilire quale arte
fosse superiore alle altre, Leonardo lasciò nel Paragone, uno scritto facente parte del
più ampio Trattato della pittura,18 una nutrita serie di riflessioni in merito alla natura
della musica e circa il rapporto che intercorre tra questa e le altre discipline artistiche
quali la pittura e la poesia.
Punto di partenza della speculazione leonardesca è l’affermazione secondo cui
un’arte è tanto superiore alle altre quanto più per suo tramite l’artista è in grado di
presentare simultaneamente tutti i molteplici elementi che compongono la totalità
dell’oggetto che con la sua opera egli intende rappresentare o raffigurare.
Forte di questa premessa, Leonardo sostiene che la pittura e la musica sono superiori
alla poesia in quanto, a differenza di quest’ultima, esse possono presentare in un unico
istante tutte le singole parti che costituiscono il tutto di un’opera. Leonardo afferma
dunque che il pittore è in grado di mostrare in un colpo d’occhio tutte le singole
membra che formano un unico corpo; la stessa possibilità viene riconosciuta anche al
musicista: eseguendo una composizione polifonica si odono infatti, simultaneamente, le
singole voci che contrappuntisticamente costituiscono, di fatto, un tutt’uno.

[...] sì come di molte varie voci [musicali] insieme aggionte ad un


medesimo tempo, ne risulta una proporzione armonica, la quale contenta
tanto il senso dello audito che li auditori restano con stupente ammirazione
quasi semivivi,, [similmente] farnno le proporzionali bellezze d’un angelico
viso posto in pittura, della quale proporzionalità ne risulta un armonico
concento, il quale serve a l’occhio in un medesimo tempo che si faccia la
musica a l’orecchio.
E se tal armonia delle bellezze sarà mostra allo amante di chi tale bellezze
sonno immitate, sanza dubbio esso restarà con istupenda admirazione e
gaudio incomparabile e superiore a tutti gli altri sensi.19

Una possibilità analoga a quella riconosciuta al pittore ed al compositore è invece


negata al poeta. Leonardo paragona infatti la poesia ad un quadro di cui si mostrasse
all’osservatore soltanto una parte alla volta, tenendo celate con un panno tutte le altre:
un tale tipo di fruizione del quadro annullerebbe l’effetto di “proporzionalità armonica”
che, secondo Leonardo, intercorre invece tra le singole parti che compongono una
raffigurazione pittorica. L’effetto di “proporzionalità armonica” non viene quindi
riconosciuto alla poesia; quest’ultima infatti non è in grado di presentare i propri
contenuti se non in maniera sequenziale:

Tal diferenzia è, in quanto alla figurazione delle cose corporee, da pittore


e poeta, quanto dalli corpi smembrati a li uniti, perché il poeta, nel
descrivere la bellezza o bruttezza di qualonche corpo, te lo dimostra a
membro a membro et in diversi tempi, et il pittore tel fa vedere tutto in un
tempo [...]
Ma della poesia [...] non ne risulta altra grazia [...] come se volessino
mostrare un volto a parte a parte, sempre ricoprendo quelle che prima si
mostrano, delle quali dimostrazioni l’oblivione non lascia comporre alcuna

7 Lastraioli – Leonardo e la Musica


proporzionalità d’armonia, perché l’occhio non le abbraccia con la sua virtù
visiva a un medesimo tempo. In simile accade nelle bellezze di qualonque
cosa finita dal poeta, le quali, per essere le sue parti dette separatamente in
separati tempi, la memoria non ne riceve alcuna armonia.20

La poesia viene in seguito paragonata da Leonardo ad una composizione musicale


polifonica della quale, per paradosso, non si udissero le quattro voci
contemporaneamente ma, separatamente, prima la parte del soprano, poi quella del
tenore, poi quella del contralto e, per ultima, quella del basso. Un tale tipo di
esecuzione, sostiene propriamente Leonardo, annullerebbe tutti gli effetti di
“proporzionalità armonica” che scaturiscono invece da una ortodossa esecuzione
polifonica:

Et al poeta accade il medesimo com’al musico, che canta un sol canto


composto di quatro cantori, e canta prima il canto, poi il tenore, e così
seguita il contr’alto e poi il basso; e di costui non risulta la grazia della
proporzionalità armonica, a quale si rinchiude in tempi armonici. E la
musica fa ancora nel suo tempo armonico le suavi melodie composte delle
sue varie voci, delle quali il poeta è privato della loro discrezione
armonica.21

Proseguendo la discussione in merito alla gerarchia delle arti, Leonardo individua poi
un secondo criterio di discriminazione: la caducità o meno delle opere che le diverse
discipline artistiche producono.
Unica tra le arti la pittura ritiene secondo Leonardo il privilegio dell’eternità. Un
quadro infatti, se opportunamente protetto da un vetro, si conserva intatto per un tempo
pressoché infinito. Solo la pittura può quindi mantenere viva la bellezza di un volto del
quale la natura stessa non può invece impedire l’invecchiamento prima e la morte poi.
Per contro, il carattere dell’eternità non è proprio di musica e poesia. Un brano musicale
infatti, allo stesso modo di una poesia, “si va consummando mentre che nasce”: musica
e poesia sono quindi soggette al fluire ed al passare del tempo, al “nascere e morire”:

Quella cosa è più degna che satisfà a miglior senso. Adonque la pittura,
satisfatrice al senso del vedere, è più nobile che la musica, che solo satisfà
all’udito. Quella cosa è più nobile che ha più eternità; adonque la musica,
che si va consummando mentre ch’ella nasce, è men degna della pittura, che
con vetri si fa eterna [...]
[...] la pittura eccelle e signoreggia la musica perch’essa non more
immediate dopo la sua creazione, come fa la sventurata musica, anzi resta in
essere, e ti si dimostra in vita quel che in fatto è una sola superfizie. O
maravigliosa scienzia, tu risservi in vita le caduche bellezze de’ mortali, e
quali al continuo sonno variate dal tempo, che le conduce alla debita
vecchiezza. E tale scienzia ha tale proporzione con la divina natura, quale
l’ànno le sue opere con l’opere d’essa natura, e per questo è adorata. 22

Considerata tradizionalmente una vile arte “meccanica”, la pittura era dunque, nella
teoria vinciana, la più nobile delle arti. Per questo motivo Leonardo si doleva che ad
essa non fosse ancora stata concessa cittadinanza nel ristretto gruppo delle nobili “arti
liberali”:

8 Lastraioli – Leonardo e la Musica


Con debita lamentatione si dole la pittura per esser lei scacciata della arti
liberali, conciosiaché essa sia vera figliuola della natura et operata da più
degno senso. Onde attorno, o scrittori, l’avete lasciata fori del numero delle
dett’arti liberali; conciosiaché questa, non ch’alle opere di natura, ma ad
infinite attende, che la natura mai creò. 23

Partita dal convincimento - forse anche dal pregiudizio - che il senso della vista è
superiore a quello dell’udito, nella sua completa articolazione la teoria vinciana delle arti
riconosce tuttavia alla musica amplissima dignità: la musica gode infatti, assieme alla
pittura, della proprietà di poter rappresentare simultaneamente tutte le proprie
componenti con “proporzionalità armonica”. Pittura e musica emergono dunque dal
Paragone come discipline complementari o, come ancora una volta si legge nelle parole
di Leonardo stesso, come due sorelle:

La musica non è da esser chiamata altro che sorella della pittura,


conciossiach’essa è subietto dell’audito, secondo senso a l’occhio, e
compone armonia con le congionzioni delle sue parti proporzionali operate
nel medesimo tempo, costrette a nascere e morire in uno o più tempi
armonici, li quali tempi circondano la proporzionalità de’ membri di che tale
armonia si compone, non altrimenti che si faccia la linea circonferenziale le
membra di che si genera la bellezza umana.24

MADONNA LISA BELLISSIMA

Usovvi ancora questa arte; che essendo madonna Lisa bellissima, teneva,
mentre che la ritraeva, chi sonasse o cantasse, e di continuo buffoni che la
facessino stare allegra, per levar via quel malinconico che suol spesso dare
la pittura a’ ritratti che si fanno: ed in questo di Lionardo vi era un ghigno
tanto piacevole, che era cosa più divina che umana a vederlo, ed era tenuta
cosa maravigliosa, per non essere il vivo altrimenti.25

Non possiamo sapere chi fossero i musici che allietarono “madonna Lisa bellissima”
durante le lunghe sedute necessarie al completamento del suo ritratto. Tuttavia
vogliamo credere con il Vasari che un po’ dell’enigmatico sorriso di “madonna Lisa
bellissima” sia davvero in qualche modo lo specchio della musica, certamente bellissima
anch’essa, che Leonardo faceva eseguire durante le lunghe ore in cui ritraeva quel
sorriso “tanto piacevole, che era cosa più divina che umana a vederlo”.

NOTE

9 Lastraioli – Leonardo e la Musica


1 G. VASARI, Vita di Lionardo da Vinci, in Le vite ..., ed. G. MILANESI, Firenze, 1879, vol. IV, pp. 17-18.
2 Ibid., p. 28. Il racconto di Vasari in merito al trasferimento di Leonardo presso gli Sforza è viziato da una
imprecisione. L'artista si trovava infatti a Milano almeno sin dal 1483, anno in cui aveva sottoscritto con i fratelli De
Predis il contratto per la Vergine delle Rocce.
3 A tutt'oggi la lettera non è ancora datata con certezza.

4 Sarebbe in seguito divenuto, con successo, attore, musicista e pregevole costruttore di strumenti musicali. Nel

1490 avrebbe recitato a Mantova la parte del protagonista nell'Orfeo di Poliziano.


5 Loc. cit., p. 28.

6 Codice Magliabechiano cl. XVII. 17 contenente notizie sopra l'arte degli antichi e quella de' Fiorentini da

Cimabue a Michelangelo Buonarroti, scritte da Anonimo Fiorentino, a cura di K. FREY, Berlin, 1892.
7 Citato in P. BAROCCHI, Scritti d'arte del Cinquecento, vol. I, Torino, 1977, p. 9.

8 Nei pochi disegni teatrali leonardeschi sopravvissuti si raffigurano infatti i costumi di una mascherata ideata

dall'artista in un periodo successivo a quello del suo primo soggiorno milanese.


9 Tra i musicisti vicini in quegli anni alla corte degli Sforza - e di conseguenza in contatto con Leonardo -

ricordiamo qui soltanto il teorico Franchino Gaffuri, al tempo maestro di cappella del Duomo di Milano.
10 Dopo (?)

11 Canapo.

12 Citato in A. PINELLI, I teatri, Firenze, 1973, pp. 49-50.

13 Per le “invenzioni” musicali leonardesche cfr. E. WINTERNITZ, Melodic, Chordal, and other Instruments

invented by Leonardo da Vinci, in “Raccolta Vinciana”, XX, 1954, pp. 47-67.


14 Sulla viola organista cfr. E. WINTERNITZ, Leonardo's Invention of the Viola Organista, in “Raccolta Vinciana”,

XX, 1954, pp. 1-46.


15 Conservato presso l'Institut de France a Parigi.

16 Idem.

17 VINCENZO GALILEI, Dialogo della Musica Antica e Moderna, Firenze, 1581, p. 48.

18 Codex Urbinas Latinus 1270, Biblioteca Apostolico Vaticana.

19 Citato in P. BAROCCHI, Scritti d'arte del Cinquecento, Torino, 1978, vol. II, pp. 247.

20 Ibid., pp. 247 e 242.

21 Ibid, p. 247.

22 Ibid., pp. 249-250.

23 Citato in E. WINTERNITZ, La musica nel “Paragone” di Leonardo da Vinci, in “Studi Musicali”, 1972, p. 85.

24 Citato in BAROCCHI, Scritti d'Arte del Cinquecento, vol. II cit., p. 250.

25 VASARI, op. cit., p. 40

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