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La TERRA

ed
il BAMBU'

Architettura e Cooperazione: materiali, cultura, esempi, processi

LEZIONE 1.a
In architettura esiste una dialettica tra materiali leggeri-flessibili-elastici e materiali pesanti-
rigidi-plastici.
Nella tradizione europea, pietra e legno rappresentano i due poli di questa dialettica. Calcestruzzo
ed acciaio ne sono invece un esempio tra i materiali industriali, mentre terra e bambù sono i migliori
candidati ai rispettivi ruoli in Africa (e non solo).
Su questi due materiali esiste una bibliografia piuttosto scarsa, perlopiù divisibile in letteratura
tecnica e raccolte di architetture costruite. La prima è utile dal punto di vista soprattutto tecnologico
(per evitare di fare errori da inesperti) mentre le seconde possono dare qualche suggestione
interessante, su cui lavorare come spunto progettuale.
Quello che invece pare mancare quasi del tutto è un punto di vista sintetico, capace di mettere in
relazione le proprietà tecniche dei materiali con i loro impieghi architettonici.
E' apprezzabile in questo senso il trattato di costruzione in terra cruda del CRATerre1, così come
anche il manuale di Minke2, unici sforzi fatti in questa direzione, che io sappia.

A questa carenza bibliografica è legata una generalizzata lacuna nella preparazione dei progettisti,
che – non conoscendo i dispositivi interni dei materiali più “poveri” – impiegano il bambù come un
surrogato del legno o dell'acciaio, e la terra come se fosse un cemento di pessima qualità.

In queste pagine non si intende sopperire alla lacuna menzionata, cosa che richiederebbe sforzi ben
più grandi rispetto a questo scritto, ma semplicemente fornire gli strumenti metodologici corretti, al
progettista che ne fosse interessato, per approcciare a questi (ed altri) materiali nella maniera più
opportuna e completa.
Oltre alle due opere appena citate sulla terra cruda, è opportuno menzionare anche il capolavoro di
Jim Gordon3, dove si parla di una vasta gamma di materiali organici, tra cui il bambù.

Per un approfondimento, su www.academia.org, è inoltre possibile scaricare gratuitamente il libro


“Lezioni Africane”, del sottoscritto, dove si cerca di mettere in relazione questi materiali con le
strutture che essi generano, queste con gli impianti che ne derivano ed infine i rapporti tra
l'organismo edilizio con i loro materiali, le loro strutture ed il loro impianto.

Figura 1: Il mercato coperto di Simon Velez, Hannover, 2000. Il bambù è usato in modo improprio (compressione).
Si noti la differenza rispetto al modulo abitativo raffigurato in copertina progettato dall'Arch. Alex Riolfo,
in cui le caratteristiche uniche e peculiari del materiale vengono sfruttate ed interpretate.

1 AA.VV., Traite de construction en Terre, Grenoble, 1998 e successive edizioni


2 G. Minke, Earth construction book, London, 2004
3 J. E. Gordon, Strutture sotto sforzo, Bologna, 1991
La terra

La terra è un materiale pesante, resistente a compressione, opaco-plastico; che si presta a realizzare


strutture portanti-chiudenti, continue, taglio-compresse; che costruisce spazi chiusi, organici,
aggregati; che infine si presta ad originare individui architettonici avvolgenti, con prevalenza dei
pieni sui vuoti, organizzati gerarchicamente.
Si compone di sabbia (grani grandi), limo (grani medi) ed argilla (grani piccoli); quest'ultima ha il
ruolo del legante, come il cemento nel calcestruzzo. Essa per contro ritira molto in fase di
asciugatura provocando spaccature, mentre sabbia e limo quasi per nulla.

Figura 2: Struttura a pacchetti dell'argilla, osservata al microscopio elettronico

Da qui l'esigenza, per uso costruttivo, di una terra con un contenuto d'argilla ragionevole, né troppo
alto (troppe fessurazioni) né troppo basso (troppo poca coesione).
Inoltre esistono diverse qualità di argilla (si pensi alla varietà dei colori della terra) differenti per
composizione chimica e proprietà.
La caolinite4 per esempio è un'argilla molto pura. Bianca, mischiata agli altri elementi dà luogo a
terre chiare, grige o beige. Incolla molto e si ritira poco: è l'ideale per costruire.
La montmorillonite è la peggiore delle argille5, si ritira fino a perdere il 40% del volume ed ha
proprietà coesive molto blande. Purtroppo non esiste un'analisi scientifica semplice per capire quale
tipo di argilla ci sia in una terra: esistono analisi scientifiche per nulla semplici come quella dello
spettro ai raggi X o la termogravimetria comparata, e poi ne esiste una semplice ma per nulla
scientifica, che consiste banalmente nel toccarla, provarla.

Non essendo un materiale standardizzato, è importante ogni volta analizzarlo e verificarne l'idoneità
per la costruzione. Esiste un'infinita varietà di prove meccaniche ed idrauliche per la
caratterizzazione di una terra, mi limiterò qui ad esporre le 6 più importanti. Non tanto per
descriverne il procedimento quanto per individuare le caratteristiche di questo materiale la cui
conoscenza è imprescindibile per il costruttore.

4 La formula chimica del caolino puro è: Al2 (OH) 4S i2O5


5 La prima volta che sentii il nome “montmorillonite” fu dal compianto Professor Mattone del Politecnico di Torino,
che me ne mise in guardia. Ero andato a mostrargli dei campioni di terra per sentire cosa ne pensava, e ricordo che
mi disse quel nome sillabandolo quasi terrorizzato, con gli occhi sbarrati, come se stesse nominando un demonio o
una maledizione: “Mont-mo-ril-lo-ni-te!”. Grazie al cielo poi nei miei campioni non ce ne era, altrimenti sono certo
che li avrebbe sottoposti ad un esorcismo.
La formula chimica è (Al2 - yMgy ) (S i4 - xAlx )O1 0 (OH) 2Ex+ y · n[H2O]
I – Resistenza a compressione

Figura 3: Prova a compressione monoassiale a dilatazione non impedita su un provino di terra

Vengono prodotti dei provini cubici di 10 centimetri di lato con la terra da analizzare. Si lasciano
stagionare per almeno un paio di settimane dopodiché si mettono nella pressa e si schiacciano.
Bisogna fare una media dei valori di rottura per ottenere quella di riferimento: considerata l'area di
100cmq del provino, la forza indicata dalla macchina (in Newton) va divisa per quell'area:
srottura=N/A. In fase di progettazione è poi necessario tenere un certo coefficiente di sicurezza e
dunque fare in modo che la sezione più sollecitata dell'edificio non superi, per esempio, un
cinquantesimo della tensione di rottura. In formula, max < rottura/50.
Se questa relazione è vera, la resistenza è verificata.
Alcune presse da laboratorio più sofisticate, dotate di sensibilissimi deformometri assiali e laterali,
possono anche disegnare il diagramma - del materiale fino alla rottura e determinarne il
coefficiente di Poisson.

Figura 4: Diagramma tensioni/deformazioni di cinque diversi tipi di terra in campo elastico

Oltre alla resistenza però c'è sempre un'altra condizione da verificare: la stabilità.
Bisogna cioè verificare che i muri non siano troppo snelli, condizione che potrebbe mettere la
struttura in pericolo anche senza superare i limiti di resistenza. Per questa verifica occorre
considerare un parametro che si chiama snellezza virtuale, che dipende dal rapporto tra altezza e
spessore del muro ma anche dalla distanza tra due muri di spina consecutivi.
La formula della snellezza virtuale delle murature è: s=Lb/d, secondo la formula del Rondelet6, che
pure non è del tutto corretta, ma è semplice e dèvia a favore di sicurezza. Per le murature in terra
cruda possiamo assumere una snellezza massima di 10 o di 12, a seconda che i muri siano realizzati
con precisione da manodopera esperta o con dei fuori-piombo significativi.

6 J. Rondelet, Trattato teorico e pratico dell'arte di edificare. S è la snellezza, L è la distanza tra due muri di spina
consecutivi, d è la diagonale del muro, B è il coefficiente da assegnare per lo spessore in assenza di vincoli laterali.
II – Peso specifico

Figura 5: Determinazione del peso specifico attraverso il metodo della pesata idrostatica

Qualunque progettista moderno, interrogato su quale sia il parametro più importante per definire la
resistenza di un materiale che servirà per costruire una muratura, risponderebbe proprio con la
rottura di cui al punto precedente.
Gli ingegneri dell'800 però usavano un'altra grandezza che simboleggiavano con la lettera H, ed era
definita dall'altezza massima della colonna a sezione costante, composta di un determinato
materiale, appena prima che la base della colonna collassi sotto il suo stesso peso.
Immaginiamo per esempio di iniziare ad impilare uno sopra all'altro dei blocchi perfettamente
cubici di un metro di lato in marmo: il materiale è molto resistente ma anche molto pesante, per cui
arrivati ad una certa altezza il primo cubo si romperà sotto il peso del resto della colonna. Se
usassimo un materiale altrettanto resistente ma molto più leggero, come l'alluminio, il valore di H
sarebbe molto più alto, indicando una maggior resistenza pur a parità di rottura. In formula H non è
altro che la rottura divisa per il peso specifico del materiale (H= rottura/g), ed è in assoluto il
parametro più interessante per i materiali da muratura: esso ci dice infatti quanto di sé stesso quel
materiale è disposto a portare, contando sia la propria resistenza sia il suo peso.

Un modo semplice per determinare il peso specifico di un certo materiale (purché più pesante
dell'acqua) con un buon livello di precisione è la pesata idrostatica, che necessita di una bilancia
precisa in grado di pesare da un gancio inferiore anziché da un piatto superiore.
L'esperimento consiste nel pesare due volte lo stesso provino, una volta normalmente e la seconda
immergendolo in acqua.
Per evitare che l'acqua penetri nel materiale rovinando la prova, lo si può spalmare con un sottile
strato di impermeabilizzante (cera, vaselina o grasso). La formula per ottenere il peso specifico,
detta Paria la prima lettura e Pacqua la seconda, è la seguente:

Pacqua = Paria / (Paria - Pacqua)

Quando si trasporta terra smossa, per esempio a voler calcolare il numero di carri di terra necessari
per fare un certo numero di blocchi, bisogna considerare mediamente che essa, una volta compattata
in blocchetti, diminuirà di volume riducendosi ad un terzo.
Più precisamente, tre metri cubi di terra possono costruire circa 0,9 metri cubi di blocchi pressati o
1,2 metri cubi di blocchi formati a mano senza pressa.
III – Trazione

Figura 6: Prova di resistenza a trazione su un provino di terra fatto a forma di “8), con la sezione più sottile di 10cmq

Alla terra, generalmente, non è mai richiesto di resistere a trazione.


Questa prova infatti non ha un'utilità fine a sé stessa, ma diventa estremamente interessante
considerato che tutti i tipi di terra hanno una resistenza a compressione tra le otto e le undici volte
maggiore di quella a trazione.

Testare un provino a trazione quindi ci dà delle informazioni indirette (anche se non precisissime)
sul comportamento di quel materiale a compressione, e considerata la semplicità di questa prova
(che si fa con un secchio ed una bilancia) rispetto a quella rigorosa a compressione (che richiede
una macchina sofisticata e costosissima reperibile solo in pochi laboratori scientifici), per le prove
preliminari in situ essa sarà più che sufficiente.

Per una terra standard, ad esempio con rottura = 25kg/cm2, a fronte di uno sforzo di 2,5 tonnellate
necessarie per rompere il provino a compressione (A=100cm2), la prova per trazione si esaurirà con
appena 25kg (A=10cm2).

Esiste poi anche una prova detta “a trazione indotta”, o “brasiliana”, che consiste nel comprimere
un provino cilindrico (diametro 4cm, altezza 1cm) in verticale, ossia nella direzione del diametro.
Questo induce una trazione sui diametri perpendicolari, che finiscono per generare fessurazioni di
trazione. Tuttavia si tratta di una prova di compressione che genera trazione per dare informazioni
nuovamente sulla compressione, una strada un po' troppo tortuosa, che sconsiglio, in favore di
questa “casereccia” prova di trazione diretta. Ha senso ricorrere alla brasiliana solo quando il
materiale a disposizione per fare i provini fosse insufficiente anche per una serie di prove a trazione.
IV – Taglio

Figura 7: Prova di resistenza al taglio con martinetto fisso in verticale e martinetto variabile in orizzontale

Oltre alla compressione, l'altro sforzo tipico delle murature è il taglio. Qualora si progettasse una
cupola per esempio lungo i paralleli si avranno degli stati tensionali di trazione. L'apparecchio
murario dei blocchi trasferisce questa trazione nei giunti, trasformandola così in taglio, ed è
necessario un criterio di verifica che dica se il giunto è in condizioni ti portare questo sforzo oppure
no.
La resistenza a taglio di un giunto dipende direttamente dal peso applicato sopra alla muratura e da
altri fattori che qualificano le proprietà del giunto tra i blocchi: scabrosità, elasticità, presenza di
incastri.

E' possibile fare delle prove di laboratorio con martinetti idraulici orizzontali e verticali7, per
disegnare la retta di proporzionalità tra sovraccarico verticale e sforzo tagliante orizzontale.

Con questo dato si riesce a verificare la resistenza a pseudo-trazione della cupola ma anche la
resistenza a cedimenti fondazionali nei muri, quella al vento ed ai terremoti.

7 Eseguite nel Lab.MAC nel 2007, con il Prof. Massimo Corradi e l'Arch. Davide Pedemonte
V – Imbibizione e dilavamento

Figura 8: Provino di terra sottoposto ad una prova comparativa di dilavamento

Esaurite le prove di tipo strettamente resistenziale-meccanico, rimane da verificare la capacità della


terra di mantenere le proprie caratteristiche all'acqua.
I legami tra le argille infatti, al contrario di quelli del cemento o della calce idraulica, rimangono
reversibili a meno di non eliminare tutta l'acqua di struttura, cosa che si ottiene solo attorno agli 800
gradi centigradi, cuocendo cioè il mattone.
Tuttavia anche l'argilla non cotta ha un suo meccanismo di protezione dall'acqua: quando si bagna si
espande, creando una sorta di camicia fangosa che non si lascia penetrare e protegge la parte interna
che rimane asciutta. La protezione non è perfetta, in tanti luoghi dell'Africa gli intonaci in terra si
rifanno ogni anno dopo le grandi piogge, ma il fatto stesso che utilizzando terre di ottima qualità
una stagione di tempeste porti via non più di 4 o 5 centimetri di intonaco, indica che la terra non è
poi del tutto indifesa di fronte all'azione dell'acqua.
Da questo punto di vista, due sono le caratteristiche interessanti per la fase di progettazione: la
resistenza ad imbibizione, ossia la capacità di un provino di rimanere immerso in acqua mantenendo
la forma, e la resistenza al dilavamento, cioè la capacità del provino di conservare la sua consistenza
sotto l'effetto dell'impatto meccanico delle gocce d'acqua battente.

Figura 9: Prova comparativa di imbibizione, con 6 provini della stessa terra con diverse percentuali di stabilizzante

La prima dà indicazioni utili per progettare le fondazioni e le murature conoscendone la resistenza a


fenomeni come l'umidità di risalita. La seconda prova invece serve per gli intonaci e gli esterni
direttamente esposti alla pioggia.
Esistono dei criteri standard per fare queste prove, ma perlopiù l'utilizzo più intelligente di questo
tipo di analisi è quello comparativo, confrontando l'esito della medesima prova (non ha importanza
in quali condizioni, purché siano sempre le stesse in tutti i provini) sui campioni di tutte le terre
che si hanno a disposizione, scegliendo la migliore pur senza poterne quantificare numericamente
le caratteristiche.
VI – Il modulo di elasticità

Figura 10: Prova di flessione con flessimetro centesimale, per un'approssimativa determinazione del modulo elastico

Il modulo di elasticità, o modulo di Young (E), rappresenta la costante di proporzionalità tra


tensione e deformazione dei solidi elastici lineari; si determina, in campo elastico-lineare, attraverso
la legge di Hooke-Bernoulli: E = /.

diagramma tensioni/deformazioni diagramma - di un tessuto diagramma s-e di una gomma in Energia elastica accumulata da
in un solido lineare elastico organico in campo elastico campo elastico due differenti materiali

In un riferimento cartesiano ortogonale, il termine E è rappresentato dall’arco-tangente del


coefficiente angolare della retta (). Si noti però che il rapporto di proporzionalità diretta tra
tensione e deformazione è una semplificazione ammissibile solo in campo elastico e solo per alcune
classi di materiali.
Le gomme, ad esempio, hanno un diagramma - per nulla rettilineo, dal momento che la quasi
totalità della deformazione elastica avviene in un intervallo limitato di tensione (Δ), mentre prima
e dopo il materiale risulta essere più tenace.
I tessuti organici molli, invece, hanno un diagramma - simile ad una curva esponenziale, detto
diagramma a “J”, e ciò è facilmente verificabile provando a mettere in trazione un qualunque
tessuto molle, come il lobo di un orecchio: basta esercitare una piccola forza per provocare grandi
deformazioni, ma a forze doppie o triple non corrisponderanno certamente allungamenti doppi o
tripli.
L’incremento di deformazione diminuisce all’aumentare del valore della tensione.
Il motivo di questo comportamento è da ricercare nelle grandi deformazioni a cui sono sottoposti i
tessuti molli, poiché il corpo deve potersi muovere senza accumulare energia; essendo l’energia
elastica rappresentata dall’area sottesa alla curva -, la curva a “J” minimizza l’accumulo di
energia a parità di deformazione. In questi schemi sono illustrati alcuni diagrammi tensioni-
deformazioni di materiali omogenei sottoposti a prove di trazione entro il limite elastico.
Per la terra non è valida la semplificazione data dalla formula E = /, che prevede E costante in
tutto il campo elastico.
Ai fini di calcolo si può fingere che sia così, non è importante, anzi per la maggior parte degli
edifici in terra si può utilizzare il modello rigido-fragile senza considerazione alcuna per le
deformazioni.
L’interesse di quanto sopra enunciato non risiede dunque nel calcolo strutturale, quanto nel
considerare che elementi quali la ghiaia, la sabbia, i silicati o il cemento, se composti con il
materiale terroso, tendono a far assumere alla terra un comportamento elasto-plastico, con
considerevole accumulo di energia elastica, mentre elementi quali paglia, calce, fibre vegetali,
sterco, caseina e, in misura minore, argilla e colloidi tendono a far diminuire la quantità di
energia accumulata dal composto.

Nel valutare il tipo di stabilizzazione da adottare, dunque, conviene tenere presenti questi dati,
soprattutto in zone sismiche, dove un minor accumulo di energia da parte delle masse
architettoniche potrebbe essere determinante per la stabilità dell’edificio.

Le tecniche costruttive in terra

Figura 11: Le tecniche costruttive in terra cruda, secondo la schematizzazione del CRATerre

Esistono molte tecniche costruttive impiegabili per edificare in terra, i meticolosi professori del
CRATerre di Grenoble, con il prospetto qui riportato, hanno raffigurato la fabbricazione di tutti i
tipi di muro costruibili in terra cruda.
Facendo un ulteriore sforzo di sintesi, si potrà concordare che tutte le tecniche possono essere
raggruppate in tre fondamentali categorie:

 il telaio leggero con chiusura o tamponamento in terra (tecniche che chiameremo, con una
certa approssimazione, con il termine francese torchis)
 la muratura a blocchi (tecniche adobe)
 la scultura monolitica (tecniche pisè, in inglese “rammed earth”)
Il torchis

Quello vero e proprio è fatto da una grata di legni o bambù disposti in verticale (per piantarsi nel
suolo) ed in orizzontale (per collegare i verticali tra di loro e reggere il rinzaffo di terra), inchiodati
o legati e ricoperti da uno strato di terra (o, più spesso, di terra-paglia8).

Solo impropriamente si può dire che questo genere di case sono in terra cruda, perché in realtà tutta
la responsabilità strutturale è affidata allo scheletro ligneo. Proprio per questa caratteristica, però, le
tecniche torchis si prestano magnificamente qualora la terra di cui si disponga sia di cattiva o anche
pessima qualità.

La durabilità di un manufatto in torchis è molto contenuta nel tempo e questo ne rappresenta il


principale difetto: le termiti, l'umidità del suolo, i funghi e le muffe impiegano qualche anno o
decennio (dipende molto dalle condizioni climatiche) a deteriorare l'ossatura resistente, e perciò
questa tecnica si trova molto spesso utilizzata in contesti nomadi, semi-nomadi o neo-stanziali.
Richiede una gran quantità di legno: se si usa per esempio l'eucalipto, serviranno 20-30 alberi per
costruire una piccola capanna da tre metri di diametro, e questo dato nuovamente lega il torchis alla
vita nomade, ossia all'utilizzo spregiudicato delle risorse dettato dalla vastità del territorio a
disposizione.

8 Molto spesso la terra non viene utilizzata pura ma viene additivata con qualche sostanza in grado di migliorarne le
caratteristiche, che prende il nome di stabilizzante.
Nella storia si sono utilizzati stabilizzanti vegetali (paglia, gomma, resina, olio), animali (sugna di maiale, sangue, peli
e setole) e minerali (pece, calce, bitume), oggi inoltre esistono anche quelli sintetici (silicati, gomme plastiche,
paraffina, vaselina).
L'inserimento della paglia nell'impasto però sembra essere quasi una costante. In tutte le tecniche costruttive è prevista,
almeno tra le varianti.
Una spiegazione unica non è possibile, ce ne sono almeno sei:
 essendo cava all'interno la paglia alleggerisce l'impasto, ed il minor peso specifico rende il blocco migliore
 conferisce resistenza a trazione alla terra come il ferro la dà al cemento
 i colloidi della paglia aiutano l'argilla a tenere insieme i grani di terra
 aumenta l'elasticità e la plasticità dell'impasto
 in caso di rottura del pezzo, la paglia tiene assieme i cocci evitando pericoli
 riduce il fenomeno di fessurazione in fase di asciugatura
In altre parole: paglia e terra sono nate per stare assieme, e sarebbe riduttivo volerne individuare un'unica ragione, è così
semplicemente perchè è nella natura delle cose.
L'adobe

Si tratta del blocco artificiale più antico della storia, e di tutte le sue varianti riscontrabili.
Dai ladiri sardi, enormi blocchi praticamente insollevabili, ai thub arabi, delle dimensioni che lo
rendono il progenitore dei moderni mattoni cotti: 5,5x12x25.
Le dimensioni del thub sono determinate a partire da quale è il massimo peso che la mano
dell'operaio può agevolmente movimentare e collocare con precisione, dunque senza la minima
fatica: tre chili circa. La lunghezza è stabilita in base allo spessore dei muri che si vogliono
ottenere con un muro a due teste (25cm, in grado di portare una casa di due piani, come gli edifici di
tradizione araba).
La larghezza è la sua metà diminuita di mezzo centimetro, in modo tale che due mattoni accostati
di taglio con un centimetro di malta in mezzo siano lunghi complessivamente tanto quanto un
mattone di piatto. La terza dimensione è scelta dimezzando ulteriormente: un blocco molto più
alto darebbe dei muri poco resistenti a causa del grande angolo di ammorsamento, mentre blocchi
troppo sottili finirebbero per lo spezzarsi già in fase di asciugatura.
Ogni tipo di blocco, con le sue tre dimensioni, il suo peso e la sua consistenza, racconta sia quale
tipo di terra lo ha costituito, sia con quale intento costruttivo è stato fabbricato.

Figura 12: l'angolo di ammorsamento della muratura varia a seconda


del rapporto tra lunghezza ed altezza del mattone.
Minore è il suo valore, maggiore la resistenza globale del muro
Il pisè

La parola significa “pestato”, e si riferisce alla tecnica costruttiva: due assi di legno vengono fissate
in verticale con dei distanziali ad una certa distanza tra loro, lo spazio intermedio viene riempito di
terra umida che viene pestata con un maglio battitore, il tutto su successivi strati orizzontali.
Quando la terra pressata ha raggiunto in altezza il livello superiore delle assi, esse vengono rimosse
e soprelevate, dunque si procede. Si ottiene così una muratura monolitica continua ed omogenea,
generalmente di grande spessore.

Figura 13: struttura in terra impilata, tecnica genitrice del pisè

A differenza dell'adobe, le tecniche pisè non richiedono prefabbricazione, consistono di un solo


gesto: la terra viene scavata ed immediatamente usata per costruire. Spesso è sufficiente l'umidità
naturale del terreno, non serve neppure aggiungere acqua.

Le varianti più primordiali sono la terra scavata e quella impilata, sempre monolitiche ma di minor
raffinatezza realizzativa, non prevedendo cassero e dunque controllo geometrico.
Il bambù (e il legno)

Il bambù è senza dubbio l'essenza vegetale esistente meglio ottimizzata dal punto di vista della
resistenza strutturale. E' un albero, dunque nel linguaggio dei meccanici diremmo che è una
mensola verticale sottoposta a carico orizzontale, infatti il carico verticale del peso proprio è
assolutamente trascurabile rispetto all'azione orizzontale del vento che viene captato dal fogliame
e la cui forza viene trasmessa al tronco centrale, sottoposto dunque a flessione pura o addirittura
tenso-flessione. Il bambù è stato progettato da Madre Natura al meglio per poter essere quello che è:
una struttura temporanea (il bambù ha la vita molto più breve di un albero) che lavora per
inflessione. Se il progettista che costruisce con questo materiale se ne ricorderà, otterrà tutto ciò che
desidera dalla riconoscenza del materiale stesso; ma se se ne dimentica sia dannato per sempre, la
vendetta del bambù sarà feroce. Vediamo nel dettaglio gli espedienti usati da Madre Natura per
rendere il bambù così straordinario.

 La leggenda narra che Jigoro Kano, fondatore dell'arte marziale del Judo, prese ispirazione
per la sua arte del combattimento proprio osservando una canna di bambù palustre, incurvata
sotto il peso della neve che si era depositata sulle foglie.
A suo fianco c'era una grande quercia, che invece era forte ed orgogliosa, e la presenza della
neve non sembrava darle nessun pensiero. Lui meditava e la tempesta non passava, e allo
spropositato aumentare della neve Jigoro notò che la situazione si era invertita: il bambù,
con il suo incurvarsi, aveva finito per andare talmente giù che tutta la neve era scivolata ed il
fusto, di nuovo libero, era tornato dritto. La quercia invece, pur con tutti i suoi bicipiti, con
la sua rigidità non riuscì a reggere il troppo peso e schiantò a terra. L'incredibile flessibilità
del bambù è la sua prima forza.

Figura 15: Jigoro Kano, inventore dell'arte marziale del judo

 Il diagramma del momento, che è sempre quello che bisogna guardare quando si parla di
elementi inflessi, segnala che il punto più sollecitato della struttura è alla base del tronco,
con tensioni che via via diminuiscono andando verso l'alto. Per questa ragione la sezione del
fusto si restringe verso l'alto: per essere equiresistente su tutta l'altezza.
 La sezione circolare del tronco è cava, il che da una parte alleggerisce la struttura, e
dall'altra dispone il materiale in maniera ottimale, ossia più lontano possibile dall'asse
baricentrico. E' lo stesso principio utilizzato nelle travi di acciaio a doppio T. Con la
differenza che la trave di acciaio sa da quale direzione le verrà la spinta, e dunque il
materiale viene concentrato tutto nelle due ali in alto e in basso. Il bambù invece si aspetta
vento da qualunque lato, e dunque la sezione è cava-circolare.

 Una trave snella di queste proporzioni, sottoposta a flessione, si dimostrerebbe debole al


fenomeno locale dell'imbozzamento, ossia la perdita di circolarità in una sezione, che quindi
metterebbe in crisi la stabilità di tutto il sistema. A questo, come i fazzoletti rompitratta
vengono posti ad intervalli regolari nelle travi di acciaio, servono i diaframmi che
ritmicamente irrigidiscono la sezione della canna.

 In realtà la sezione non è perfettamente circolare, ma contiene una piccola irregolarità sul
perimetro. Questa irregolarità è sempre presente ma cambia direzione in ogni internodo,
girando su sé stessa a spirale. Dal punto di vista biologico serve per fare spazio al ramo che
si diparte dal tronco all'altezza del diaframma inferiore, ma strutturalmente offre uno
splendido ritegno torsionale, che impedisce alla canna di avvitarsi su sé stessa e collassare.

 L'attacco a terra, come abbiamo visto, rappresenta il punto più sollecitato. Per resistere
anche a forti sollecitazioni, ha bisogno di un vincolo forte e per nulla cedevole. Un
fittissimo apparato radicale svolge questo ruolo, ancorando la canna al suolo in maniera
indissolubile. Presso alcune culture costruttive indiane, si pensi, la terra attorno a dove
nascono i bambù viene tagliata in zolle con il machete e queste zolle rafforzate dalle piccole
e fittissime radici, una volta seccate vengono direttamente usate come mattoni, stabilizzati
da uno scheletro organico sottile ma molto resistente.

 Se si osserva la sezione di un bambù si nota che le fibre diventano più fitte e resistenti verso
l'esterno, e più rade verso l'interno. Questo crea delle autotensioni assiali, le stesse che
fanno incurvare le due metà di un bambù tagliato fresco e lasciate a seccare. Le autotensioni
stabilizzano il fusto all'imbozzamento.

L'albero, pur avendo sostanzialmente lo stesso schema statico, rispetto al bambù ha dovuto
prendere altre strade, e fondare i propri criteri di resistenza in modo diverso. La condizione
biologica di partenza è la differente strategia accrescitiva: mentre il bambù ha una matrice interrata
che getta fuori un nodo dopo l'altro come se fosse una trafila e cresce dunque in verticale, l'albero
cresce invece concentricamente, uno strato sopra all'altro.
Non gli è quindi possibile avere la sezione cava perchè il centro è proprio la prima parte ad essere
occupata, seguita negli anni dagli strati successivi fino a quelli più esterni.
Questo cambia tutto, ed impone di trovare altri stratagemmi, che poi sono sostanzialmente tre.
 la sezione circolare dell'albero è composta da una serie di anelli concentrici più chiari e più
scuri, intervallati. Permettono di contare l'età della pianta perchè in estate la linfa scorre
vitale, e dunque la crescita è bianca. In inverno invece rallenta enormemente, ce ne è molta
meno in circolazione, l'albero è meno ossigenato e dunque l'anello di accrescimento
corrispondente è più scuro. Alla differenza di colore che li rende visibili, si aggiunge una
differenza resistenziale che alla struttura albero torna molto comoda: le parti chiare sono più
elastiche e morbide, quelle scure sono invece più rigide e coriacee, la differenza si può
facilmente sperimentare affondando un'unghia su una tavola di legno nelle due parti. Questo
rende il legno un materiale anisotropo, e cioè più resistente.

Si immagini per esempio che, a causa di una folata di vento particolarmente forte durante
una tempesta, un albero superi la soglia della sua resistenza: immediatamente si creerà una
lacerazione nell'estremità in cui il tronco è teso. Se il tronco avesse consistenza omogenea,
la spaccatura passerebbe istantaneamente da parte a parte grazie alla propagazione della
fessura, tranciando il tronco di netto nel punto dove è più sollecitato.
Dover attraversare strati di diversa consistenza invece costringe la fessura a dover trovare
una nuova via per ogni strato attraversato, cioè cambiare direzione e dover trovare un nuovo
inizio parecchie volte ogni centimetro.
E' lo stesso principio che si riscontra nel dispositivo di suture presenti nel cranio umano, in
cui linee ispessite ma prefessurate bloccano ogni possibile frattura che dovesse coinvolgere
una parte del cranio, evitando che prosegua indisturbata dividendo così il cranio in due parti.
Ancora lo stesso sistema, questa volta non in natura ma annoverato tra le astuzie umane, si
trova nei cavo' di molte banche: massicci muri di cemento armato proteggono i preziosi, ma
nello spessore del calcestruzzo i costruttori hanno sparpagliato pezzi di legno. Di per sé essi
sono molto meno resistenti del cemento dunque indeboliscono l'impasto, ma se una trivella
dovesse provare a penetrare il cemento, brucerebbe la testa qualora incontrasse il legno,
perchè proprio la resistenza molto minore la farebbe surriscaldare fino a fondere.

 Anche l'albero è dotato di un suo invisibile dispositivo di autotensioni interne, che ne


aumenta la resistenza in modo significativo. Questa volta le tensioni sono longitudinali,
ossia ortogonali rispetto al piano della sezione circolare.
La parte interna è precompressa mentre quella esterna è pretesa, come disegnato nel
diagramma I.
Per spiegare quale beneficio strutturale derivi da questo assetto, è necessario menzionare
una caratteristica peculiare dei materiali fibrosi come il legno: la resistenza a trazione è
generalmente tra le cinque e le dieci volte maggiore rispetto a quella a compressione9, a
causa della natura stessa del materiale.

Detto questo, se anziché la configurazione a riposo (I) osserviamo quella in cui l'albero è
sottoposto ad una forza orizzontale di una determinata intensità (II) vediamo che ad un
estremo le tensioni di trazione aumentano, ma come abbiamo detto non ci preoccupano, nei
materiali fibrosi, questo tipo di sforzi. Al lato opposto invece la trazione diminuisce. Al
crescere del vento la trazione in questo secondo estremo diventa prima nulla (III) e poi
cambia di segno, per diventare compressione (IV).
Quando la compressione avrà raggiunto il limite accettabile da quel particolare tipo di legno,
l'albero si romperà. Ma è inevitabile notare che se le autotensioni non ci fossero, il limite di
resistenza si sarebbe raggiunto molto prima (III).

 All'interno dell'albero vivo scorre la linfa: trattandosi di un fluido segue le leggi fisiche
dell'idraulica, cosicché sulla base del fusto grava il peso di tutta la colonna di liquido
soprastante. La pressione di questa colonna di liquido, che è alta come tutto il fusto,
determina delle forze idrostatiche orizzontali più forti nella parte bassa dell'albero.
L'incenso, il sangue di drago e tutte le altre resine, infatti, fuoriescono dalla corteccia se
questa viene incisa proprio in virtù della pressione idrostatica interna.
Osservando un fiore reciso e tenuto fuori dall'acqua, si nota che nel giro di pochi minuti il
fusto perde la sua rigidità, e cede sotto al peso del fiore: questo accade perchè il fluido
linfatico, inizialmente in pressione, trova un'uscita dove il gambo è stato reciso, e questo ha
lo stesso effetto di un buco in una gomma dell'automobile.
Lo scheletro rigido fibroso dell'albero è molto più resistente di quello del fiore, dunque
conserva una sua propria resistenza anche da secco, ma indubbiamente l'albero vivo ha
questa risorsa resistenziale aggiuntiva.

9 Tanto la trazione quanto la compressione sono da intendersi in direzione assiale rispetto al fusto

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