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Università Degli Studi di Torino

Dipartimento di Filosofia e Scienze della Formazione


Corso di Laurea Magistrale in
Programmazione e gestione dei servizi educativi e formativi

Tesi di Laurea

TECNICA E PROBLEMATICHE DEL TEATRO INVISIBILE:


TRA INVISIBILITÀ E SVELAMENTI

Laureando: Luca Costello


Relatore: Prof. Alessandro Pontremoli

Anno Accademico 2014 – 2015


Introduzione p. 4

1 - MITOLOGIA FONDATIVA:
IL POTERE TRASFORMATIVO DEGLI INCONTRI p. 12
1.1 Condivisione del mito: una narrazione di riferimento p. 12
1.2 Freire e l'incontro con la realtà operaia p. 14
1.3 Boal e l'incontro con la realtà contadina p. 17
1.4 Odin Teatret, la differenza come metro dell'incontro p. 22
1.5 Interpretazione del dilemma disorientante p. 25

2 - ATTORI PER RESISTENZA, INVISIBILI PER NECESSITÀ:


RAGIONI STORICHE E ANTESIGNANI TEATRALI p. 27
2.1 Interpretazione di ruoli attoriali come strategia di resistenza p. 27
2.2 Agitprop: caratteristiche di un teatro politico militante p. 30
2.3 Agitprop: repressione e necessità di forme di teatro clandestino p. 32

3 - TEATRO INVISIBILE:
TEORIA E PRATICA p. 37
3.1 Luoghi e spettatori in trasformazione p. 39
3.2 Il piano d'azione invisibile e la costruzione del percorso p. 41
3.3 Un esempio chiarificatore: Treno-Teatro: di chi è la colpa? p. 44
3.4 Questione ecologica e vivibilità: una proposta conviviale p. 46
3.5 Reclaim the streets: affinità critiche e convergenze performative p. 49
3.6 Connessioni storiche: il Teatro-Guerriglia risignifica le strade p. 52

4 - TEATRO FORUM:
TEORIA E PRATICA p. 55
4.1 Traccia di base e drammaturgia simultanea p. 56
4.2 Nascita del teatro forum, l'agorà pragmatico di una comunità teatrale p. 62
4.3 Lo sviluppo dell'azione: ruolo del jolly e la partecipazione degli spett-attori p. 64
4.4 Collegamenti tra pedagogia sociale e teatro forum p. 68

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5 - THEATRE OF THE OPPRESSED AGAINST RACISM p. 73
5.1 Razzismo: tra teoria scientifica, giustificazione coloniale e nuovi paradigmi p. 74
5.2 Lingue native e lingue coloniali, quale idioma per quale soggetto? p. 77
5.3 Il teatro invisibile in azione contro il pregiudizio razzista p. 82
5.4 Roleplaying to train for resistance: the civil rights experience p. 87
5.5 Uso del teatro forum per elaborare la condizione migrante, il caso Rosarno p. 89
5.6 La spremutina africana: costruzione dello spettacolo p. 93
5.7 La spremutina africana: le messe in scena p. 96

6 - L'ESPERIENZA ATTORIALE NEL TEATRO INVISIBILE p. 102


6.1 Laboratorio, conduzione, tema p. 103
6.2 Il corpo: luogo politico e campo di battaglia p. 105
6.3 La fluidità dei gruppi di TdO e l'importanza dell'improvvisazione p. 108
6.4 Pedagogia cooperativa e peer education nel TdO p. 111
6.5 Essere attori: la possibilità di esprimere un dividuo molteplice p. 114
6.6 Il fattore di rischio in quanto acceleratore esperienziale p. 117

7 - ALTRE ESPERIENZE DI ROTTURA


DELLA DICOTOMIA ATTORE/SPETTATORE p. 126
7.1 La relativizzazione della pretesa solitudine del TdO p. 127
7.2 The Performance Group: Dyonisus in '69 e Commune p. 129
7.3 Teatro-Guerriglia: San Francisco Mime Troupe p. 137
7.4 L'azione diretta nonviolenta come strategia politica p. 145
7.5 Teatro-Guerriglia: The Diggers p. 147
7.6 Una ricognizione ampliante p. 154
7.7 Odin Teatret: il tempo dei baratti p. 155

8 - QUESTIONI ETICHE NELLA TECNICA INVISIBILE p. 169


8.1 Il teatro invisibile nell'azione di Liegi: complessità inattese p. 170
8.2 Interrogativi e limiti delle riflessioni di Boal p. 175
8.3 La trasformazione del soggetto tra rito e teatro: sguardi antropologici p. 182
8.4 Conseguenze delle azioni invisibili e il principio di non-manipolazione p. 193
8.5 Verità sincronica e verità diacronica
nelle molteplicità di coesistenza del reale p. 195

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8.6 La vita quotidiana come rappresentazione p. 205
8.7 La pratica della tecnica invisibile in condizioni di emergenza p. 210
8.8 Interpretazioni fuorvianti della tecnica invisibile
e possibilità di una pratica etica p. 219

9 - IMPIEGO DI PRATICHE INVISIBILI NELLA RICERCA SOCIALE


E PROPOSTE DI UTILIZZO IN EDUCAZIONE p. 234
9.1 L'etnografia coperta: pratica di ricerca invisibile in antropologia p. 234
9.2 La ricerca coperta di LaPiere: Attitudini ed azioni p. 236
9.3 Il caso Humphreys e la riproposizione della questione etica in etnografia p. 239
9.4 Altri impieghi di pratiche invisibili: dal documentario alla street art p. 249
9.5 Proposte di utilizzo del teatro invisibile in educazione sociale p. 259

Bibliografia p. 268
Sitografia p. 273
Videografia p. 274

Ringraziamenti p. 275

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Introduzione

In questo lavoro di tesi si vuole indagare in profondità la tecnica del teatro invisibile ideata
da Augusto Boal all'interno dell'articolata metodologia del teatro dell'oppresso ed
elaborarne le possibilità d'impiego come strumento operativo nelle pratiche dell'educazione
sociale. Il teatro invisibile presentandosi con specifiche caratteristiche di compresenza ed
attraversamento delle dimensioni del teatro e della realtà quotidiana, rappresenta un campo
di azione e di ricerca particolarmente complesso ed interessante, foriero di possibilità
d'utilizzo ed interrogativi etici e pragmatici che coinvolgono al medesimo tempo le
differenti discipline delle scienze sociali. Il presente studio si pone in tale senso all'interno
di una prospettiva multidisciplinare che convoca principalmente, per attuare un'analisi il
più possibile completa della tecnica invisibile, elementi pedagogici, antropologici,
sociologici, storici, di psicologia sociale e delle teorie del teatro.
Le domande guida che orientano il percorso di ricerca sono: quali sono le premesse sociali,
storiche, teatrali e pedagogiche per l'emergere della tecnica di teatro invisibile? Secondo
quali caratteristiche teoriche e pragmatiche si svolge l'azione invisibile nella sua
formulazione originaria? In quale rapporto si pone la tecnica invisibile rispetto all'insieme
del teatro dell'oppresso ed in particolare nei confronti della tecnica del teatro forum? Quali
possono essere gli impieghi del teatro dell'oppresso ed in particolare del teatro invisibile
all'interno degli scenari sociali attuali? Con quali caratteristiche si determina l'esperienza
attoriale e la costruzione dell'azione nel teatro invisibile? Cosa significa la rottura ed il
superamento della dicotomia attori/spettatori per il teatro invisibile e dell'oppresso più in
generale, e quali altre esperienze teatrali elaborano questo tentativo dialogico e
sperimentale? Quali sono le problematiche etiche e gli interrogativi che occorre porsi nella
pratica del teatro invisibile? Quali possono essere gli impieghi di strategie invisibili per la
ricerca sociale ed in particolare quale può essere l'utilizzo del teatro invisibile nelle
pratiche di educazione sociale e a quali condizioni?
Ci si rende pienamente conto dell'ampiezza di questioni sollevate dal numero e dalla
complessità delle domande guida della ricerca, ma è proprio nell'intreccio problematico dei
differenti elementi della tecnica invisibile che risiede la sua forza, il suo caratteristico
interesse, le problematiche peculiari che provoca e la sua propria ambiguità strutturale.
Lo scopo ultimo al quale compartecipa l'insieme complessivo del disegno di ricerca è
quello di sottoporre la tecnica del teatro invisibile al vaglio delle possibilità d'impiego
all'interno di percorsi educativi e animativi nelle realtà sociali delle società complesse

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postindustriali.
Queste realtà, delle quali fa parte la città di Torino, sono caratterizzate da una elevata
atomizzazione degli individui e dalla carenza di riferimenti e luoghi culturali di comunità
ai quali aderire e che diano una collocazione sociale riconosciuta al bisogno di
identificazione e di costruzione di significato nella vita delle singole persone.
Si individua nei percorsi del sociale una risorsa per la costruzione di luoghi territoriali e
simbolici che permettano l'aggregazione e il riconoscimento comunitario; percorsi
caratterizzati pedagogicamente da cooperazione ed espressione di tensioni e creatività. Tra
i percorsi di educazioni sociali possibili, quelli contraddistinti dall'impiego del teatro
determinano particolare interesse per il fatto che quest'arte rappresenta dalle sue origini:
una forma di metacommento sociale, uno spazio di espressione delle vicende e delle
contraddizioni umane (sia soggettive che collettive) e costituisce un luogo altro nel quale
sperimentare alternativa.
La collocazione all'interno di una dinamica creativa nei percorsi del teatro sociale, delle
energie di specifici territori e dei soggetti partecipi, permette concretamente di riformare
un luogo di relazione significativa. All'interno del teatro sociale succede di ri-agire
un'impresa comune, in cui ogni persona coinvolta possa esprimere la propria soggettività in
uno spazio cooperativo e possa allo stesso tempo trovare un posizionamento significante in
ambito collettivo, costituendo nella propositività un'azione di riconoscimento ed
empowerment di comunità.
Il teatro dell'oppresso, in una caratterizzazione particolarmente schierata politicamente, si
pone all'interno del teatro educativo e sociale. La proposta di questa metodologia ideata da
Boal ha un tratto pedagogico e comunitario che ne costituisce la base: l'acquisizione di
consapevolezza, all'interno di una dinamica dialogica, nella quale i convocati da soggetti
passivi sperimentano le possibilità del protagonismo alla storia sociale, accedendo in tale
modo ad un patrimonio co-costruito che orienti l'azione delle comunità in senso di
partecipazione democratica.
La differenza delle tecniche, l'ampiezza delle possibilità d'impiego e la fluidità con la quale
può essere declinato rendono il teatro dell'oppresso uno strumento estremamente valido per
interrogare il sociale nelle sue problematiche, bellezze e dinamiche di potere.
All'interno di questo quadro la tecnica del teatro invisibile, nata per garantire una
continuità di azione al teatro sociale politico in regimi di dittatura, costituisce un caso
particolare che vivendo di una dimensione clandestina costruisce la sua azione nella non
esposizione del come se teatrale e sul coinvolgimento degli spettatori nella loro

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inconsapevolezza. Queste caratteristiche portano all'attuazione delle azioni in situazioni
pubbliche e pur mantenendo per obiettivo la formazione di consapevolezza nei soggetti
coinvolti, recano importanti interrogativi etici e pragmatici.
Forse proprio per queste caratteristiche problematiche e per la non semplice possibilità di
rilevazione delle azioni, la tecnica del teatro invisibile è stata fatta limitatamente oggetto di
ricerca, a differenza dell'insieme del teatro dell'oppresso sul quale è stato scritto e viene
scritto molto: saggi, articoli su riviste specializzate di teatro e di pedagogia, report di
progetti e di spettacoli delle compagnie che lo applicano; la tecnica invisibile risulta poco
studiata in particolare in Italia.
Questo elemento, carenza di materiali specifici sul teatro invisibile in lingua italiana, lungi
dallo scoraggiare la ricerca ne è un motore di interesse che ha portato all'identificazione di
un corpus di bibliografia accuratamente ricercato in differenti ambiti disciplinari e nelle
produzioni della letteratura provenienti da tutto il globo; caratteristica di questo lavoro è
l'accesso a molte fonti di lingua inglese e qualche caso di lingua francese e portoghese-
brasiliana, provenienti da molte parti di Europa, Sud e Nord America costituiscono un
patrimonio di materiali interculturali di grande ricchezza qualitativa e stimolo.
I percorsi bibliografici che hanno fornito il quadro di analisi all'interno del quale strutturare
la ricerca sono principalmente quattro: il primo chiaramente consiste nelle opere di
Augusto Boal, ideatore e teorico del teatro dell'oppresso nelle sue varie forme, teatro del
quale ha elaborato la teoria, registrato le evoluzioni ed interpretato la pratica con
instancabile convinzione, perseveranza e volontà d'incontro; il secondo nel corpus della
pedagogia sociale, in particolare gli studi sulla formazione cooperativa e la peer education
e con un riferimento particolare e continuo all'opera di Paulo Freire ed alla sua pedagogia
dialogica, coscientizzante e democratica; il terzo nel corpus degli studi teatrali e delle
teorie della performance, in particolare la letteratura sul teatro sociale e di ricerca; il quarto
nel corpus dell'antropologia, in particolare la letteratura riguardante gli studi e
l'interpretazione del rito ed i casi monografici per i quali i ricercatori hanno utilizzato una
particolare tecnica di ricerca sul campo, l'etnografia coperta; altri importanti apporti
vengono dalla sociologia, dalla psicologia sociale, dalla storiografia e dagli studi
postcoloniali; costituendo così un insieme bibliografico composito e interdisciplinare che
ben si presta ad elaborare gli importanti interrogativi individuati nella costruzione della
ricerca.
Di rilevante importanza per le analisi svolte è il confronto con alcune esperienze
significative e continuative di teatro dell'oppresso presenti sul territorio italiano. I gruppi

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alla cui attività ci si riferisce lungo la tesi sono: “Giollicoop” cooperativa, l'associazione
“Livres como o vento” e il gruppo “PartecipArte”; anche se l'attività di questi gruppi non è
particolarmente improntata al teatro invisibile, essi costituiscono dei riferimenti importanti
e di grande valore per chiunque voglia occuparsi di teatro dell'oppresso. Il confronto con
questi gruppi consta principalmente nel riferirsi ai materiali prodotti attraverso
pubblicazione e sui siti di ciascuno, ma seppur breve vi è traccia di esperienze laboratoriali
dirette da me effettuate, con tempi e modi differenti, con ognuno dei gruppi citati.
Di grande importanza è stato, per me e per la ricerca, il confronto stimolante, dialogico e
ricco di suggestioni con il Professor Alessandro Pontremoli, relatore di questa tesi.
Si procede ora alla descrizione dello svolgimento dell'argomentazione di tesi seguendo i
nove capitoli che la compongono.
Nel Capitolo 1, Mitologia fondativa: il potere trasformativo degli incontri, si è presa in
analisi la narrazione degli episodi mitici che esplicano simbolicamente il fondamentale
passaggio per l'insegnante e l'attore che stravolgono la propria ottica interpretativa,
passando dall'essere detentori di un sapere prevaricante i soggetti subalterni ad essere co-
costruttori di conoscenza e pratica liberatoria con l'oppresso. Questa variazione radicale
sposta sul piano di riconoscimento dialogico le pratiche sociali e segna propriamente la
nascita della pedagogia degli oppressi di Freire e del teatro dell'oppresso di Boal.
Nell'interpretazione di questi racconti mitici si ritrovano alcuni elementi che fanno
identificare Freire e Boal in quanto professionisti riflessivi in grado di cogliere in senso
maieutico le trasformazioni e capaci di apprezzare le ricchezze e i rischi che i dilemmi
disorientanti provocano nelle situazioni di confronto con l'alterità.
Nel Capitolo 2, Attori per resistenza, invisibili per necessità: ragioni storiche e
antesignani teatrali, si sono indagati i precedenti storici di utilizzo di tecniche invisibili e
di interpretazione di ruoli attoriali come strategie di resistenza e lotta alle oppressioni; per
poi approfondire l'esperienza storica dei gruppi di teatro politico militante Agitprop che
attivi negli anni '20 e '30 in Germania rappresentano a pieno titolo gli antesignani del teatro
invisibile. Infatti questi gruppi d'ispirazione comunista e antifascista, con l'avanzare delle
forze reazionarie e della censura repressiva, sono costretti a inventare forme di teatro
clandestino che agendo le rappresentazioni senza dichiararsi agiscono nel medesimo spazio
di inconsapevolezza per il pubblico con la medesima volontà di propagazione di
partecipazione attiva e messaggio resistenziale, della tecnica invisibile di Boal.
Nel capitolo 3, Teatro invisibile: teoria e pratica, si prendono in analisi le caratteristiche
che denotano la tecnica del teatro invisibile sia a livello teoretico che a livello pratico,

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ponendo in primo piano i fattori di rappresentazione di situazioni d'oppressione, della
mancanza di esposizione del come se che determina inconsapevolezza della matrice
teatrale dell'azione negli astanti e della dinamica di coinvolgimento che porta
all'attivazione degli spett-attori. Gli spett-attori sono coloro che coinvolti nell'azione, loro
malgrado, nel divenire dell'esperienza passano dall'essere spettatori passivi all'essere attori
protagonisti delle vicende che si gli manifestano di fronte e che con il passaggio all'azione
partecipano a co-costruire. Inoltre viene evidenziato il ruolo trasformativo che il teatro
invisibile ha rispetto ai luoghi in cui viene attuato determinando una situazione che
travolge l'andamento della vita quotidiana, qui la condizione di provocazione scatena sia
l'azione che gli interrogativi. Vengono riportati alcuni casi esemplificatori dello
svolgimento pragmatico delle azioni invisibili e del valore contenutistico delle questioni
affrontate; sul finire del capitolo si attua una comparazione basata sulla coincidenza di
alcuni significativi elementi con due esperienze storiche di altri movimenti performativi.
Nel capitolo 4, Teatro forum: teoria e pratica, si prende in analisi quest'altra tecnica del
teatro dell'oppresso sai per mantenere uno sguardo aperto sull'insieme della metodologia
sia per mettere questa tecnica a confronto con il teatro invisibile, evidenziandone affinità e
divergenze. Della tecnica di teatro forum si analizzano le caratteristiche, in particolare la
condizione di circolazione dell'interpretazione di ruolo nel come se riconosciuto che
permette agli spett-attori consapevoli di essere protagonisti della scena e tracciare le ipotesi
di una pragmatica teatrale di risoluzione dei conflitti elaborata dalla comunità partecipante.
Altro elemento cardine del forum è il ruolo del jolly, soggetto di collegamento che funge da
ponte maieutico tra attori e pubblico, spettatori e scena.
Nel Capitolo 5, Theatre of the oppressed against racism, si sceglie di prendere in analisi il
caso specifico del razzismo e di come il teatro dell'oppresso risponde a questa condizione
di oppressione che persevera nel manifestarsi nella storia evolvendo in differenti forme. Si
riportano due casi in cui discriminazioni razziste vengono inscenate da gruppi di teatro
invisibile condotti da Boal a Stoccolma, nei quali si denota la doppia funzione di
attivazione del pubblico nell'immediato e di sviluppo di un discorso culturale democratico
partecipativo più generale. Viene poi posta l'attenzione sull'utilizzo del role-playing teatrale
come strumento formativo e preparatorio nei training di disobbedienza civile non-violenta
– in piena condivisione con l'idea di Boal secondo cui il teatro è una prova della
rivoluzione – attuati da gruppi che si opponevano alla segregazione razziale negli Stati
Uniti nel contesto della lotta per i diritti civili della popolazione nera. Infine si riporta un
progetto di teatro forum attuato di recente (2010) a Roma in cui la questione del razzismo e

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della condizione migrante è stato elaborato dall'incontro tra la compagnia di TdO
“PartecipArte” e un gruppo di lavoratori migranti espulsi dopo le manifestazioni di
autodifesa da Rosarno, di questo progetto si ripercorrono sia la costruzione dello spettacolo
sia le messe in scena e l'incontro maieutico con il pubblico.
Nel Capitolo 6, L'esperienza attoriale del teatro invisibile, si approfondisce l'analisi sul
gruppo proponente, sulla dimensione pedagogica e cooperativa del lavoro laboratoriale che
porta all'individuazione dei temi e delle strategie d'azione, focalizzando l'attenzione sul
ruolo maieutico del conduttore e sulle dinamiche di peer education costituentesi nella
comunità dei partecipanti. Si individua la centralità del corpo quale elemento centrale di
elaborazione delle esperienze e territorio di lotta sul quale si inscrivono oppressioni e
resistenze personali e culturali, quest'elemento trova nello spazio teatrale possibilità di
espressione inedite e di comunicazione con le altre parti del sé; così come
nell'interpretazione di ruolo teatrale trovano espressione gli altri sé possibili del soggetto
dividuo e nell'improvvisazione avviene l'emersione nella dialogicità di elementi latenti del
desiderio personale e si sperimenta l'attuazione della creatività non mediata. Infine si da
una lettura del fenomeno dell'azione di teatro invisibile in quanto acceleratore
dell'esperienza del dramma sociale e per quanto riguarda l'interpretazione attoriale si
individua nel fattore di rischio, dovuto all'impersonificazione di ruolo nella realtà non
mediata dal riconoscimento della teatralità, l'elemento di accelerazione esperienziale che
porta ad uno stato di coscienza profondo.
Nel Capitolo 7, Altre esperienze di rottura della dicotomia attore/spettatore, partendo
dall'esperienza del teatro dell'oppresso di riconfigurazione del concetto teatrale secondo il
superamento della separazione tra soggetto fautore e soggetto fruitore attraverso il
protagonismo dello spett-attore, si prendono in considerazione altre esperienze di teatro
sperimentale che si muovono secondo altri tracciati per l'abolizione del medesimo muro
separatorio e per la costituzione di spazi performativi creativi ove potersi riconoscere e
dialogare, in alcuni casi fondere la sfera teatrale e quella del quotidiano. Si prende in
analisi l'esperienza di quattro gruppi: tre Statunitensi, il The Performance Group, i due
gruppi protagonisti del teatro guerriglia, il San Francisco Mime Troupe e i Diggers, e un
gruppo Europeo, l'Odin Teatret che attraverso l'esperienza dei baratti innesca uno scambio
di materiali culturali con le popolazioni con le quali entra in contatto. In questo capitolo si
denota come lungi dall'essere solo nell'impresa trasformativa del teatro, l'operato di Boal si
pone all'interno di un contesto internazionale che rivoluziona radicalmente le pratiche della
tradizione dicotomica.

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Nel capitolo 8, Questioni etiche nella tecnica invisibile, si affronta nelle sue molteplici
problematicità la questione etica, partendo dagli interrogativi e dalle riflessioni effettuate
da Boal in merito, si provvede alla lettura multidisciplinare della condizione di
compenetrazione delle sfere del teatrale e del quotidiano da parte del teatro invisibile,
ponendo come questione di maggior rilievo il fondamento della tecnica su un inganno
primario, il celare il come se teatrale dell'azione innescata dagli attori. Attraverso la lettura
storica si procede all'ammissibilità della pratica in condizioni di emergenza, ovvero nelle
situazioni in cui le possibilità di espressione culturale sono precluse. Si interroga la tecnica
con strumenti antropologici in relazione ai concetti di fenomeno liminale e fenomeno
liminoide, comprendendo che pur partecipando di elementi comuni ad entrambi, il teatro
invisibile occupa uno spazio di attraversamento di frontiera che impone allo spett-attore
coinvolto suo malgrado di caricarsi del lavoro di costruzione del significato
dell'esperienza, mancando così ad una delle prerogative fondamentali dei processi di
coscientizzazione che prevedono necessariamente la consapevolezza dei soggetti che
mettono in essere quest'evoluzione ed il riconoscimento del percorso stesso in termini
individuali e collettivi. Inoltre vine fatta un'accurata analisi degli impieghi della tecnica
invisibile dal punto di vista pedagogico, che secondo il principio di non-manipolazione
degli educandi pone in crisi l'impianto invisibili rispetto a possibilità di utilizzo in ambito
pedagogico. Espandendo questa riflessione si indagano approfonditamente le possibilità e
le proposte per orientare eticamente la tecnica, cercando di elaborare possibilità di
declinazione che scompaginino l'ortodossia della tecnica ma che ne permettano un impiego
propositivo anche nei territori dell'educazione sociale, possibilità operative vengono qui
analizzate e proposte.
Nel Capitolo 9, Impiego di pratiche invisibili nella ricerca sociale e proposte di utilizzo in
educazione, viene preso in analisi il caso dell'utilizzo di ruoli attoriali che si denotano in
quanto invisibili in antropologia nel metodo di ricerca detto dell'etnografia coperta, a
differenza che nel teatro invisibile che provoca la situazione, qui l'artifizio viene agito a
scopo osservativo, ciò non di meno provoca questioni etiche analoghe. In particolare si fa
una lettura di alcune ricerche etnografiche particolarmente significative rispetto
all'argomento e se ne mettono in luce le implicazioni all'interno dell'intricato insieme di
forze costituito dallo studio sul campo, dal soggetto di ricerca e dal problematico
coinvolgimento del ricercatore stesso. In questo senso il caso di Humphreys è
emblematico. Inoltre si analizzano altre possibilità d'impiego di alcune caratteristiche di
invisibilità performativa in alti campi d'azione, quali il documentario e la street art. Il

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capitolo si chiude con l'evocazione delle possibilità d'impiego del teatro invisibile
all'interno della pratica di ricerca qualitativa comunitaria della ricerca-azione,
considerandola una possibilità per il reperimento e la comunicazione di informazioni
significative. Si procede infine ad un riepilogo conclusivo che mette in luce alcune delle
più significative variabili contestuali e di scelta secondo le quali poter orientare eticamente,
pedagogicamente e nel senso della coscientizzazione alla partecipazione diretta
democratica della tecnica del teatro invisibile; ritenendo ciò possibile se riconfigurato in
maniera creativa e lungo percorsi di riconoscimento comunitario che prevedano anche il
suo svelamento e quindi la fuoriuscita dalla sua caratteristica invisibilità.

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1 - MITOLOGIA FONDATIVA:
IL POTERE TRASFORMATIVO DEGLI INCONTRI

In questo lavoro di tesi si vuole focalizzare l'analisi sul Teatro Invisibile, tecnica
appartenente al Teatro dell'Oppresso1 (d'ora in poi TdO), modello di teatro nato in Brasile
alla fine degli anni Cinquanta dalle idee di Augusto Boal che si fonda sulla proposta di
questa forma espressiva come dialogicità che permetta al popolo di sperimentare il suo
protagonismo nell'azione scenica ed in tale esperienza assumere consapevolezza, sapere
collettivo e capacità trasformativa. Il TdO trae ispirazione e dispiega la sua azione in
rapporto alla concezione di educazione sociale democratica e maieutica di Paulo Freire che
a partire dal 1946, lavorando alla direzione del Dipartimento di Educazione e Cultura del
SESI2 (Serviço Social da Indústria), nella sua pratica d'insegnamento sviluppa la filosofia
secondo la quale attraverso l'apprendimento della parola nell'alfabetizzazione si apprenda
ad interpretare il mondo. Il processo di interpretazione del mondo avviene per la
popolazione contadina ed operaia, con la quale Freire lavora, attraverso la comprensione
della propria condizione storica ed economica che porta alla formazione di una coscienza
critica, attitudine con la quale interrogare la situazione sociale e agire come soggetto
protagonista nella formazione di una società democratica e partecipava (cosa nuova per il
Brasile di quei tempi). A questa teoria ed azione educativa viene dato il nome di
Pedagogia degli oppressi3, essa prevede uno scambio dialogico tra educatori ed educandi,
in cui si promuove la valorizzazione dei saperi locali popolari e delle situazioni sociali, in
cui entrambi i soggetti del rapporto educativo imparano, interrogano e si interrogano,
riflettono e partecipano alla costruzione di significato.

1.1 Condivisione del mito: una narrazione di riferimento

Boal e Freire, entrambi Brasiliani, entrambi fautori nel loro specifico dell'incontro
dialogico con gli oppressi, hanno una caratteristica comune (tra le tante) particolarmente
interessante, un punto di incontro nel proprio background: la narrazione mitologica.
1
A. BOAL, Il teatro degli oppressi, Molfetta (BA), La Meridiana, 2011.
2
Il SESI è un istituzione industriale brasiliana che si occupa anche di welfare e formazione, dal sito
ufficiale, http://www.portaldaindustria.com.br/sesi, si legge: «Criado em 1º de julho de 1946, o Serviço
Social da Indústria (SESI) tem como desafio desenvolver uma educação de excelência voltada para o
mundo do trabalho e aumentar a produtividade da indústria, promovendo o bem-estar do trabalhador. O
SESI oferece soluções para as empresas industriais brasileiras por meio de uma rede integrada, que
engloba atividades de educação, segurança e saúde do trabalho e qualidade de vida».
3
P. FREIRE, La pedagogia degli oppressi, Torino, Gruppo Abele, 2002.

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Entrambi hanno per riferimento il raccontato di un episodio mitico che esplica una rottura
ed un cambiamento di rotta, tanto drastico quanto necessario. Un racconto di rottura e di
insegnamento che funge da ispirazione, da paradigma d'interpretazione della realtà e da
richiamo regolatore al costante impiego di onestà intellettuale e di impegno solidale
nell'azione teatrale ed educativa.
In entrambi i racconti mitici vi è un mentore, un uomo simbolico, un oppresso che ascolta e
percepisce la lezione di Freire e lo spettacolo di Boal. Dopo aver accolto le istanze altrui, il
soggetto oppresso interviene, con la presa di parola avviene la trasfigurazione da soggetto
individuale (operaio-contadino) a metaconcetto rappresentativo collettivo (popolo). La
parola fulcro significante emerge attraverso l'individuo ma è voce in quanto popolo, in
questo modo il soggetto assurge ad una statura simbolica che attraverso la parola svela,
una voce che si eleva in quanto verità.
Il racconto mitico dell'intervento operaio e contadino svela la presunzione di un sapere che
vuole rivolgersi all'oppresso per liberarlo fornendogli analisi, rappresentazioni e soluzioni
formulate lontano da lui, in un altrove che gli è distante. Quest'insieme teorico articolato
sull'oppresso da qualcuno che non sa, che non conosce cosa significhi vivere lo
sfruttamento quotidiano addosso perché non vi è partecipe, costituisce la reificazione del
soggetto oppresso. Il sapere che viene messo in questione è quello che presume di poter
parlare per ed offrire soluzioni a, senza aver idea del cosa si stia trattando veramente, delle
implicazioni della condizione oppressa.
Nel tempo sospeso di un dialogo epistemologico avviene la detronizzazione senza ritorno,
quella che Freire definisce «la più chiara e acuta lezione che io abbia mai ricevuto in tutta
la mia vita di educatore»4.
Il momento narrato è mitologico perché questo episodio assurge allo status di vera e
propria cosmogonia pedagogica alla quale fare riferimento e perché in questo luogo si
gioca tutto: o lasciarsi spodestare e cogliere la possibilità di un incontro vitale nella
profondità del essere con o arroccarsi nella torre d'avorio, sordi alla parola-realtà dell'altro,
componendo e solidificando una distanza che non preveda con-tatto ma rassicurazione
nella sfera del sapere tecnico autogiustificatorio.
Atterriti nelle proprie certezze professionali, spaesati nel trovarsi all'improvviso a
confrontarsi con il mondo vero dell'altro, quel mondo che solo pochi minuti prima di
questo momento stravolgente si credeva di conoscere e capire, attraverso una simpatia
solidale nelle intenzioni ed attraverso elaborate analisi d'indagine sociale e capacità
4
P. FREIRE, La pedagogia della speranza, Torino, Gruppo Abele, 2014, pg. 29.

13
rappresentative pedagogicamente orientate.

1.2 Freire e l'incontro con la realtà operaia

Freire5 arriva a Casa Amerela, centro sociale del SESI a Recife, per presentare uno studio
sul rapporto fra scuola e famiglia ed in particolare sulla questione del rapporto d'autorità
operato attraverso i castighi dei figli e sulla percezione e reazione dei bambini; quindi
intervenendo su una delicata questione di educazione familiare. Basandosi su uno studio di
Piaget6, Freire difende «un rapporto dialogico, amoroso tra papà e mamme, figli e figlie
che potesse sostituire l'uso dei castighi violenti»7.
Boal e la sua compagnia arrivano in un paese campesino del Brasile rurale rappresentando
uno spettacolo sulla riforma agraria, in questo contesto la redistribuzione delle terre e
l'abolizione del latifondo è evidentemente una questione molto sentita. Lo spettacolo
terminava con tutti gli attori e tutte le attrici che in linea avanzano verso il pubblico
recitando le parole «dobbiamo versare il nostro sangue per liberare le nostre terre»8, una
presa di posizione politica netta ed al tempo stesso una rappresentazione catartica collettiva
dell'idea di lotta nella tragedia.
Sia la platea operaia di Freire che il pubblico contadino di Boal, seguono con attenzione il
discorso dell'uno e lo spettacolo dell'altro, gli occhi si protendono e le orecchie sono tese
per recepire il discorso proposto. L'ascolto è la premessa della disarticolazione del
discorso colonizzante sull'oppresso.
Terminata la dissertazione sulla questione dell'autorità, della libertà, del castigo e del
premio in educazione; tra gli ascoltatori chiede la parola un uomo di circa quarant'anni ma
con il volto segnato dalla fatica e già incrinato; domanda la parola e inizia dicendo
«abbiamo appena ascoltato alcune belle parole del dottor Paulo Freire. Proprio parole belle.
Dette bene. Alcune persino semplici e le abbiamo capite al volo. Altre più complesse; ma
siamo riusciti a capire le cose più importanti e il loro significato d'insieme»9.

5
Per la narrazione dell'incontro tra Paulo Freire e l'operaio di Recife si fa riferimento al racconto che ne fa
lo stesso Freire in La pedagogia della speranza, cit., pp. 28-32.
6
Jean Piaget (1896-1980), psicologo Svizzero, noto per i suoi studi sull'età evolutiva attraverso i quali
sviluppò la teoria del stadi dello sviluppo cognitivo. Cfr. www.piaget.org
7
P. FREIRE, La pedagogia della speranza, cit., p. 29.
8
Per la narrazione dell'incontro tra Augusto Boal e il contadino Virgilio si fa riferimento al video
dell'incontro di Julian Boal (figlio di Augusto): «Six idées qui changent le monde - Le spectacle terminé, la
lutte commence», https://www.youtube.com/watch?v=_OGyIeNzqw0. I successivi virgolettati riguardanti la
narrazione dell'episodio fanno riferimento a questo video, la traduzione dal francese è ad opera dello
scrivente.
9
P. FREIRE, La pedagogia della speranza, cit., p. 30.

14
La premessa è quella di un ascolto attento, che si sforza di focalizzare i concetti espressi
per quanto difficilmente espressi nel linguaggio10; l'operaio prosegue autoeleggendosi con
delicata pacatezza portavoce del popolo locale, dei suoi compagni di lavoro e della loro
condizione sociale: «ora, io vorrei dire qualcosa al dottore; penso di essere interprete di ciò
che i miei compagni pensano e su cui si trovano d'accordo». È la voce operaia che
sostenuta dallo sguardo penetrante di quest'uomo interroga con lucido disincanto il
Professore: «Dottor Paulo, lei sa dove noi abitiamo? Lei è già stato a casa di uno di noi?»11.
Inizia così la descrizione delle case di queste persone e delle loro famiglie, locali fatiscenti,
stanze sovraffollate in cui ogni giorno si lotta per la sopravvivenza tra miseria e
malnutrizione, parole che parlano della stanchezza e della fatica del corpo,
dell'impossibilità di nutrire dei sogni e dell'eclissarsi di ogni spiraglio di speranza. La
parola-verità manifesta la vita per intero della condizione di oppressione.
Gli argomenti del Professor Freire, per quanto solidi in termini scientifici, crepano e si
sgretolano al susseguirsi delle frasi che con ruvida chiarezza dipingono il contesto in cui si
inserisce la criticata educazione familiare. A fronte dello svelamento (peraltro noto, ma non
percepito sensibilmente) del microcosmo dell'oppresso le sensazioni di Freire sono queste:
«ero seduto, ma se devo essere sincero, sprofondavo sempre di più sulla sedia, nella
necessità della mia immaginazione e del desiderio di fuggire; cercavo un buco ove
nascondermi»12, e appare qui scottante il tema educativo del giudizio aproblematico della
condotta dell'altro, del soggetto in-formazione.
La voce operaia procede dopo aver interrogato il professore su quanti figli avesse, alla
ipotetica descrizione della casa di quest'ultimo: partendo dalla struttura architettonica, la
casa viene chiamata oitão livre13 e ne vengono enumerate le stanze; nell'immagine evocata,
la casa dai fianchi liberi con spazio intorno che determina possibilità di riservatezza si
raffronta immediatamente all'ammasso di costruzioni della baraccopoli ed alla sua
commistione di presenze che rendono saturo ogni spazio.
L'ipotetica descrizione coglie in pieno la realtà casalinga di Freire, che in questa narrazione
assume a sua volta condizione di soggetto rappresentativo dei Professori in quanto

10
A proposito della funzionalità linguistica rispetto all'affermazione di una determinata interpretazione
culturale, citiamo le parole di Fanon: «Parler, c'est être à même d'employer une certaine syntaxe, posséder
la morphologie de telle ou telle langue, mais c'est surtout assumer une culture, supporter le poids d'une
civilisation». F. FANON, Peau noir masques blancs. Frantz Fanon Ouvres, Paris, La Découverte, 2011,
p. 71.
11
P. FREIRE, La pedagogia della speranza, cit., p. 31.
12
Ivi, p. 30.
13
Oitão livre significa in Brasiliano «casa dai fianchi liberi», ossia un edificio che è stato costruito
rispettando uno spazio libero fra esso e il muro.

15
categoria, detentori del potere della sapienza eternamente in bilico tra il trattenerla ed il
svelarla, tra l'autoritaria separatezza e l'empatia cooperativa; e l'operaio di Recife conclude:

ora, dottore ecco la differenza. Lei arriva a casa stanco. […] Ma una cosa è arrivare a casa, anche se stanco, e
trovare i bambini che hanno già fatto il loro bagno, che sono ben vestiti, puliti, che hanno mangiato bene, che
sono senza fame, e un'altra è trovare i figli sporchi, affamati, che urlano, che fanno chiasso. E noi che
dobbiamo svegliarci alle quattro del giorno dopo per cominciare tutto da capo, nella sofferenza, nella
tristezza, nell'assoluta mancanza di speranza. Se picchiamo i nostri figli e andiamo persino oltre i limiti
dovuti, non è perché noi non li amiamo, no. È perché la dura realtà della vita non ci dà modo di scegliere

molto14.

Un'eloquenza inaspettata, una lezione di inestimabile valore, un dilemma disorientante15; è


la richiesta degna di un popolo che non chiede di essere giustificato, ma che chiede di
essere compreso nelle sue premesse di esistenza, poiché un microsistema quale è quello
familiare e la conseguente educazione applicatavi è sempre inserito in un mesosistema ed
in un macrosistema. Inevitabilmente la concatenazione tra micro, meso e macro determina
un’influenza reciproca e condizionante.
Proprio laddove è maggiormente carente la coscienza di sé, delle proprie potenzialità in
quanto individuo, gruppo sociale e classe che il macrosistema è macigno sul mesosistema e
si fa valanga sul micro, senza lasciare altro scampo che vie di fuga abbruttenti quali le
punizioni corporali dei bambini nel contesto dell'educazione famigliare del nord-est
Brasiliano.
Tornando a La pedagogia della speranza in cui si narra di quest'episodio-mito,
nell'intervento operaio si comprende una richiesta che conteneva al medesimo tempo un
insegnamento ed una domanda: che il professore (ed i detentori istituzionali del sapere) si
rendesse conto in profondità di ciò di cui stava parlando per rendersi partecipe, sortire dal
per gli altri per immergersi nel con gli altri, «egli [l'operaio] parlava della necessità che
l'educatore, quando si rivolge alla gente semplice, sappia comprenderne la visione del
mondo che, condizionata dalla realtà concreta che parzialmente la spiega, può
incominciare a cambiare mediante il cambiamento del tessuto concreto»16. Parafrasando: se
non vieni tra noi con la volontà e la capacità di compromettere quello che presumibilmente
sai su di noi, aprendoti alla possibilità di ricevere oltre ad avere l'intento di dare, sarai
14
Ivi, p. 31.
15
Faccio qui riferimento alla teoria dell'apprendimento trasformativo esposta in J. MEZIROW,
Apprendimento e trasformazione. Il significato e il valore della riflessione nell'apprendimento degli
adulti, Milano, Cortina, 2003.
16
P. FREIRE, La pedagogia della speranza, cit., pp. 31-32.

16
sempre uno di meno tra noi.
«Inoltre [la] comprensione del mondo […] può cominciare a cambiare proprio nel
momento in cui lo svelamento della realtà concreta mette in evidenza le ragioni d'essere
della stessa visione che si è avuta sino allora» 17; dunque non si tratta di illuminare gli
oppressi sulla loro situazione umana e sociale, attraverso la presunzione di dar loro
coscienza nelle elaborazione del sapere reificante, in quanto detentori di saperi su di loro.
È l'abolizione del sapere demagogico reificante e l'accettazione della faticosa apertura alla
reciprocità dell'altro che crea le premesse per l'educazione coscientizzante e per una
pedagogia degli oppressi effettivamente praticata con essi.
Denunciare pubblicamente una condizione di esistenza marcata dall'oppressione, anche
quando dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti, significa in termini metaforici fotografarla,
cristallizzarla e renderla evidente e più difficilmente ignorabile. Dicendola la si spiega,
poiché chi la dice riconoscendovisi pone le premesse per riconoscere la potenzialità di
trasformarla, e «se la conoscenza è una delle condizioni necessarie, anche se non
sufficiente, a promuovere il cambiamento, le narrazioni di comunità hanno, tra l'altro,
come finalità anche quella di produrre conoscenza»18, è proprio per questo che i processi di
empowerment comunitario sono un capitolo fondamentale della pedagogia democratica.

1.3 Boal e l'incontro con la realtà contadina

Augusto Boal in riferimento all'esposizione cosciente di situazioni di oppressione parla di


concretizzazione dell'astrazione19, ciò consiste nel ridonare significato a parole e fatti che a
causa di un eccessivo utilizzo inconsapevole hanno perso la referenzialità con le vicende
alle quali si riferiscono e che quindi hanno perso la capacità di risvegliare nel lettore o
nello spettatore le emozioni corrispondenti.
A tale proposito inseriamo la riflessione di Beneduce, con la quale si concorda, secondo cui
la disponibilità di informazioni che contraddistinguente l'epoca attuale, in continua e
costante crescita in termini di possibilità di accesso: «non necessariamente si traduce in
consapevolezza storica o politica, o in un'accresciuta sensibilità nei confronti di vittime di
violenze e atrocità»20. Viene qui chiamato in causa il concetto di anestesia culturale

17
Ivi, p.32.
18
N. DE PICCOLI, Comunità: un concetto, molti significati, in A. PONTREMOLI, Teorie e tecniche del
teatro educativo e sociale, Novara, UTET Universitaria De Agostini Scuola, 2007, pg. 109.
19
Sul concetto di concretizzazione dell'astrazione cfr. A. BOAL, Il teatro degli oppressi, cit., pp. 72-73.
20
R. BENEDUCE, Archeologie del trauma. Un'antropologia del sottosuolo, Roma-Bari, Laterza, 2010, p.
26.

17
elaborato da Feldman21, per il quale nella scelta delle immagini da proporre e
nell'interpretazione che ne da il potere vi è una deliberata volontà di rendere invisibile le
sofferenze delle popolazioni oppresse. Questo fattore congiunto all'enorme mole di
informazioni di ogni genere che quotidianamente arrivano alla percezione del pubblico,
producono una dispersione di attenzione sociale; quindi avere una larga possibilità di
accesso informativo non determina una conseguente disponibilità alla coscientizzazione
(anche per mancanza di un educazione critica) ed ad una empatica attivazione personale.
Infatti, perché un'attivazione empatica avvenga è necessaria una risignificazione che
avvicini o riavvicini i soggetti sociali ai fatti di oppressione, collegando il fatto al contesto
e generalizzando il dato umano in quanto potenzialmente replicantesi nella vita di chiunque
(soggetto oppresso inconsapevole). Ciò può essere elaborato nel TdO cercando, dice Boal,
quell'immagine viva capace di agire come certe parole morte o consumate non riescono più
a fare, un'immagine di concretizzazione:

La concretizzazione può avvenire in forma diretta (illustrare fisicamente e concretamente un'azione, far
vedere chiaramente come muore un minatore chiuso in una miniera a causa di una carica di esplosivo mal
collocata, per economizzare l'esplosivo; far vedere graficamente i polmoni di un lavoratore della
metropolitana dopo che per 30 anni respira aria viziata per 8 ore al giorno) o indiretta: esposizione di viscere
animali, morte di piccoli animali come colombe, conigli, ecc. per simboleggiare la morte di esseri umani,
bruciare delle bambole, ecc. Le forme per concretizzare l'astrazione possono essere le più svariate;
l'importante è che lo spettatore tenga sveglia la sua sensibilità in modo da assorbire la notizia come qualcosa
di reale e concreto.22

La questione del cogliere la sfera di significato, il mondo simbolico degli oppressi viene
nuovamente centrata quando Boal ci dice che «accade spesso che gruppi teatrali con buoni
propositi non riescano a intendersi con un pubblico popolare perché utilizzano simboli che
per questo pubblico non significano nulla»23. Per farci comprendere questa problematica
effettua il racconto di un laboratorio di TdO, tenutosi a Lima in Perù, nel quale alla
domanda su cosa fosse lo sfruttamento e con a disposizione una macchina fotografica per
dare una risposta: un bambino portò una fotografia in cui si trovava raffigurato un chiodo
conficcato in una parete. Se in molti non capirono il significato della fotografia, la reazione
di tutti i bambini presenti fu di perfetto accordo sul fatto che il chiodo rappresentasse in

21
A. FELDMAN, On Cultural Anaesthesia: from Desert Storm to Rodney King, in «American
Ethnologist», Vol. 21, No. 2, 1994, pp. 404-418.
22
A. BOAL, Il teatro degli oppressi, cit., pp. 72-73.
23
Ivi, p. 28.

18
pieno il loro sfruttamento.
La discussione sulla foto rivelò l'arcano: quei bambini di appena 5 o 6 anni dei quartieri
popolari fanno i lustrascarpe nelle zone del centro, e quel chiodo è il posto al quale
appendere la loro cassettina di attrezzi minimi per fare questo mestiere, non potendola
portare avanti e indietro ogni giorno per evidenti motivi pratici, sono costretti ad affittare
un chiodo sulla parete della bottega di un uomo che si fa pagare due o tre soles per notte a
chiodo occupato. È quel chiodo che questi bambini individuano come simbolo concreto del
loro sfruttamento e della speculazione altrui, un chiodo e non grandi simboli o complicati
discorsi: un chiodo che trafigge l'infanzia e condensa la rabbia di piccoli uomini, costretti
al lustrare le scarpe ai signori che lesinando briciole preservano il divario, mantenendo chi
offre loro un umile servizio nelle condizioni di rimanere a correre scalzo.
La possibilità di leggere questo chiodo insieme e comprendere i meccanismi che lo
determinano potrebbe creare la possibilità di costruire una tenaglia per estirparlo dalla
parete, quell'odiato chiodo e tanti altri dai tanti muri che generano sopruso. L'intento del
teatro e della pedagogia degli oppressi è proprio questo. Occorre accettare l'inversione di
ruolo educativo e saper cogliere lo svelamento della realtà significante del soggetto
oppresso.
Torniamo ora alla compagnia Brasiliana di teatro politico che rappresenta uno spettacolo
sulla riforma agraria con finale inneggiante alla rivolta popolare, davanti ad un pubblico
contadino.
Questo spettacolo, racconta Julian Boal (figlio di Augusto) in occasione di un incontro sul
tema della povertà tenutosi a Montreal nel 201224, viene rappresentato in lungo e in largo
nelle campagne Brasiliane raccogliendo a volte più, a volte meno successo. Un giorno la
compagnia arriva in un villaggio nel quale immediatamente il coinvolgimento del pubblico
si fa acceso, gli spettatori piangono, si alzano, applaudono e incitano fragorosamente. Gli
attori e le attrici sono molto contenti di questo feedback ma non sanno esattamente a cosa
ricondurlo, e come mai in questo villaggio il successo sia tanto caloroso. Alla fine dello
spettacolo un contadino di nome Virgilio va verso la compagnia e dice:

ascoltatemi, noi abbiamo adorato la vostra rappresentazione e ci ha toccato molto perché la settimana scorsa
un grande proprietario terriero ha rubato la terra di uno di noi, dunque vedere voi che venite da San Paolo che
è la più grande città del Brasile e la pensate come noi che siamo di questo piccolo villaggio è molto toccante,
vedere voi che siete per la maggior parte bianchi che la pensate come noi che per la maggior parte siamo neri

24
Si torna qui a fare riferimento al video «Six idées qui changent le monde - Le spectacle terminé, la lutte
commence», introdotto in nota 8.

19
è molto toccante, vedere voi che siete degli artisti e degli intellettuali che la pensate come noi che per la
maggior parte siamo analfabeti è molto toccante, è molto forte.

E fin qui, Boal e compagni a queste parole sono molto contenti e soddisfatti; solo che il
contadino continua a parlare e la questione si fa più problematica:

dunque, visto che pensiamo esattamente la stessa cosa, visto che siamo d'accordo su tutto, perché ora non
andate a riposarvi e domattina vi svegliate ben riposati e venite con i fucili che avete mostrato in scena e
andiamo tutti insieme a lottare contro il proprietario terriero che ha rubato la terra e andiamo a versare il
nostro sangue per liberare la nostra terra come voi dite alla fine della scena.

È a questo punto che la compagnia inizia ad essere meno contenta delle implicazioni
pratiche proposte dall'uomo che ha di fronte. Uomo, contadino, la cui voce si fa popolo,
come abbiamo precedentemente visto con l'operaio che parla a Freire. Le parole di questo
contadino portano la voce di tutti i dannati della terra, di tutti i campesinos sem terra25
delle sterminate campagne Brasiliane.
Per rispondere, Boal comincia a spiegare al contadino che i fucili utilizzati sulla scena non
sono veri fucili, e Virgilio non capisce bene che senso abbia avere dei fucili che non
sparano26, gli attori continuano nelle spiegazioni e nell'affermare l'impossibilità di
utilizzare le armi di scena, cercano di esplicare che purtroppo sono incorsi in un malinteso,
ma il contadino ben agguerrito e disposto ad affermare i propri diritti, alla fine dice:

va bene, non ci siamo capiti, c'è stato un malinteso, i vostri fucili non sparano, non vi preoccupate: noi
abbiamo fucili per tutti! Dunque questa sera riposatevi, prendetevi il tempo, e domani vi diamo le armi e
venite con noi a lottare tutti insieme per le nostre terre, andiamo a versare il nostro sangue per liberare le
nostre terre come dite nella vostra scena.

Arriva così il momento di svelarsi, Boal si trova in una situazione molto imbarazzante in

25
Oltre ad essere un modo di dire per indicare la mancanza di terra da parte dei contadini, Sem Terra è
anche l'abbreviativo per definire il Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra, movimento politico
di base brasiliano che si batte per la riforma agraria. Come dice il sito di questa organizzazione
www.mst.org.br: “O Movimento Sem Terra está organizado em 24 estados nas cinco regiões do país. No
total, são cerca de 350 mil famílias que conquistaram a terra por meio da luta e da organização dos
trabalhadores rurais. Mesmo depois de assentadas, estas famílias permanecem organizadas no MST, pois
a conquista da terra é apenas o primeiro passo para a realização da Reforma Agrária”.
26
Laddove non c'è presenza, né tradizione del teatro non vi è comprensione del come se della
rappresentazione, è perciò che Virgilio non capisce quale sia il senso di avere dei fucili che non
funzionano, poiché a quel punto sarebbe stato più funzionale per imprimere colpi in caso di scontro, avere
attrezzi di lavoro contadino come la zappa, il forcale o il machete e gli altri strumenti da taglio utilizzati
nella raccolta della canna da zucchero.

20
cui deve spiegare che c'era un altro malinteso e che loro sono degli attori e delle attrici che
non sanno sparare, che non hanno addestramento e che non conoscono le tattiche della
guerriglia. Boal dichiara che se partecipassero ad un'azione di scontro con i gruppi armati
dei latifondisti, l'unico risultato ottenuto sarebbe quello di farsi uccidere nel giro di pochi
secondi, di lasciare ai contadini la stessa sorte poco oltre, con il risolversi dell'azione in un
fallimento totale. Mentre la loro intenzione è del tutto differente, continuare a
rappresentare questo spettacolo così bello che i contadini sono venuti a vedere ed ai quali è
piaciuto tanto.
A quel punto il contadino risponde:

d'accordo, non ci sono più malintesi, ho effettivamente capito tutto, quando voi cantate sulla scena
“dobbiamo versare il nostro sangue per liberare le nostre terre”, è il nostro sangue, di noi contadini del quale
parlate, e non è del vostro sangue, di voi artisti che parlate, molte grazie.

Così Virgilio prende la via dell'uscita, lasciando ai teatranti di riflettere sul divario tra il
loro essere soggetti in una realtà storico-sociale determinata e i ruoli teatrali interpretati
che orientati in senso propagandistico suggeriscono azioni che altri devono compiere e
sostenere davvero.
Ancora una volta lo svelamento della realtà disarciona e detronizza l'esperto venuto da
altrove per donare soluzioni senza compromettersi in prima persona nella realizzazione
delle stesse. Questo Virgilio a differenza di quello Dantesco, accompagnatore descrittore
della complessità delle rappresentazioni dell'aldilà, è portatore di uno schianto diretto; di
nuovo come per Freire avviene per Boal un metaforico bagno di realtà, come uno schiaffo
in pieno volto a mano aperta, che mette l'esperto a nudo di fronte alla spietata verità
demistificata.

L'episodio è rivelatore per Boal – che fa riferimento al detto di Che Guevara che affermava che «essere
solidali significa correre gli stessi rischi» - del fatto che gli attori non erano, in quella situazione, portatori di
una reale solidarietà. Tutti […] di razza bianca, provenienti dalla ricca città non «correvano» di certo «gli
stessi rischi» dei contadini, delle donne e della gente di colore cui il loro teatro si rivolgeva. Da quel giorno,
Boal e la sua compagnia smettono di viaggiare per il paese ad insegnare paternalisticamente alla gente cosa
doveva fare per liberarsi dalle proprie oppressioni e iniziano invece ad elaborare nuove forme di
drammaturgia sociale27.

27
A. PONTREMOLI, Teorie e tecniche, cit., p. 65.

21
Avviene, nell'incontro più duro con l'oppresso che afferma la sua condizione reale e
completa, la possibilità di aprire il proprio specifico teatrale ad una nuova dimensione di
pratica politica. L'insegnamento ricevuto dalla voce contadina di Virgilio diventa l'episodio
mitico al quale fare riferimento per esemplificare la svolta, tutta la storia del TdO avrà per
volontà il coinvolgimento degli attori con il soggetto oppresso nella ricerca di possibilità di
lotta elaborate nel contesto e non astratte da esso. Nel tentativo di non commettere mai più
l'errore effettuato con Virgilio e la sua gente, non più affermare rappresentazioni imposte
dall'alto ma co-costruire ipotesi di partecipazione specificamente determinate dalle
comunità in movimento.

1.4 Odin Teatret, la differenza come metro dell'incontro

Dopo aver visto la conflittuale e maieutica dinamica di incontro avvenuta tra Freire e Boal
e gli operai e contadini Brasiliani; introduciamo ora un affiancamento, tutt'altro che un
paragone, il quale non avrebbe né senso esperienziale né ragione intellettuale: l'esperienza
dell'Odin Teatret28 a contatto con la realtà rurale Italiana degli anni Settanta.
Quest'esperienza si svolge nel cuore Mediterraneo dell'Europa, in un tempo storico
successivo all'avvio della pedagogia e del teatro degli oppressi e con premesse ed
intenzionalità differenti. Differenze, similitudini e punti di contatto tra le diverse
esperienze si vedranno nell'analisi della rottura della dicotomia attori/spettatori più innanzi
in questo studio.
Qui si vuole partire da uno dei punti di contatto tra le esperienze Brasiliane trattate e
l'esperienza effettuata dall'Odin, teatro laboratorio Nordeuropeo, nell'incontro con la
popolazione subalterna in Sardegna e Puglia: la presenza di un evento-mito che segna
l'apertura di una possibilità d'incontro nel segno della reciprocità e della dialogicità,
precedentemente ignota.
A proposito dell'idea di incontro con un alterità così differente da quella del teatrante in
questione è interessante la visione di Eugenio Barba che nel 1974 a proposito

28
L'Odin Teatret è una compagnia attiva dal 1964, si definisce Teatro Laboratorio ed ha sede a Holstebro in
Danimarca. Eugenio Barba, fondatore e regista, è uno degli iniziatori del filone di ricerca detto
dell'antropologia teatrale che «si interroga […] su cosa faccia del teatro il luogo privilegiato di
un'esperienza totalizzante, destrutturante e “altra” nei confronti della realtà quotidiana, e cosa, a un livello
più profondo, la renda forza di integrazione e aggregazione, che diviene progetto sul mondo in grado di
promuovere e favorire il cambiamento», in A. PONTREMOLI, Teorie e tecniche, cit., p. 41. Per
approfondimento sull'attività dell'Odin e l'esperienza nell'Italia rurale si rimanda a T. D'URSO, F.
TAVIANI, Lo straniero che danza. Album dell'Odin Teatret 1972/77, Torino, Studio Forma, 1977. Inoltre
per l'approfondimento dell'esperienza del baratto dell'Odin Teatret si rimanda al Capitolo 7.

22
dell'esperienza in Salento scrive: «noi siamo differenti dai contadini di Carpignano, ed è
questa differenza che deve divenire il metro del nostro incontro»29; il presupposto di
partenza qui è l'immediato riconoscimento di un alterità definita dalla differenza dei
soggetti in campo.
Ma come arriva l'Odin dalle lande danesi a scegliere di trascorrere dieci mesi tra il maggio
1974 e il settembre 1975 nella ruralità peninsulare e isolana? Un primo periodo nel
Salento, la provincia di Bergamo, poi Sardegna, nuovamente Carpignano in Puglia, Ollolai
in Barbagia e a seguire una presenza in alcuni paesi del Veneto.
La genealogia di questa permanenza si innesta nel solco aperto dall'esperienza di uno
stupore catalizzante, vissuto attraverso l'evoluzione della rappresentazione di Min Fars
Hus, spettacolo risultato dell'incontro tra Dostoevskij (nella sua opera) e l'Odin, nel quale
la vita dello scrittore ed i personaggi dei suoi romanzi si intrecciano alle verità, alle
esperienze e ai rimpianti dei teatranti.
Min Fars Hus dato (o rappresentato) 314 volte tra l'aprile del '72 e il gennaio del '74.
Vediamo come viene elaborata la volontà di incontro continuativo con il pubblico dopo la
fine della rappresentazione. Al termine dello spettacolo chi vi ha assistito riceve un invito
stampato a ciclostile firmato Odin Teatret recante tali parole:

Vorremmo prolungare il nostro dialogo con te. Negli altri nostri spettacoli avevamo spesso una discussione
alla fine. Ma in presenza di molte persone non tutti si sentivano liberi di esprimersi completamente con
sicurezza. Noi vorremmo conoscere l'impressione individuale, diretta, di ogni nostro visitatore. Per questo ti
preghiamo, se ne senti il bisogno, di mettere sulla carta le tue reazioni al nostro spettacolo, per iscritto, con
un disegno o come desideri30.

Questo invito riceve 652 risposte, 652 spettatori che dalle loro case, dalla riflessione
condotta tra mura amiche donano le loro reazioni, trasmettono ciò che hanno percepito
attraverso lo spettacolo in un feedback esplicito sotto forma di scrittura, un personalissimo
materiale culturale. Questi spettatori seguendo la mano protesa del messaggio dell'Odin
sentono un bisogno di esprimere una reciprocità, di comunicare all'interno di una relazione,
in un linguaggio immediato che a volte, dice Barba, «sbocca in poesia».
Una selezione di più di cento lettere di risposta viene in seguito pubblicata 31 a cura

29
T. D'URSO, F. TAVIANI, Lo straniero che danza, cit., p. 63.
30
Trasposizione del messaggio che l'Odin rivolge agli spettatori attraverso comunicazione cartacea
personale, istituendo in questo modo una formalizzazione (nel senso di dare forma) allo scambio tra
compagnia e pubblico. In T. D'URSO, F. TAVIANI, Lo straniero che danza, cit., p. 20.
31
Breve tȉl Min Fars Hus è pubblicato all'interno del filone delle operazioni editoriali dell'Odin, volte alla
documentazione, discussione e diffusione della loro opera teatrale e delle riflessioni ed esperienze

23
dell'Odin Teatret nel Giugno del '74 con il titolo Breve tȉl Min Fars Hus, questa
pubblicazione è qualcosa di particolare, in un certo senso può essere definita la
continuazione con altri mezzi del rapporto avviato tra compagnia e pubblico durante lo
spettacolo. Al punto che Barba ne parla come di una rara testimonianza, che «gli psicologi
e i sociologi del teatro definirebbero un materiale unico», e che sopra a tutto «nel loro
linguaggio personale e suggestivo richiamano alla prudenza tutti i capi, che in nome del
popolo giudicano e decidono ciò di cui il popolo si deve interessare o da cui deve lasciarsi
commuovere»32.
Questa richiesta di prolungare il rapporto di scambio (il loop autopoietico dei feedback33)
fra compagnia teatrale e spettatori a proposito di Min Far Huns, rappresenta l'aratro che
scava il solco per il prossimo incantato germoglio che vedrà la luce inatteso, come quei
semi forti che seppur non scelti per essere posti nel terreno trovano un suolo molto fertile
ed affiorano dalla superficie in tutto il loro splendore.
Infatti, non paghi del risultato ottenuto, i membri dell'Odin elaborano la necessità di
ampliare il loro raggio d'azione oltre le delimitazioni dello spettacolo, proponendo la
presentazione dello spettacolo come una tappa di un incontro-seminario che permettesse:
da una parte la trasmissione della decennale esperienza del gruppo e dall'altra la capacità di
darsi, insieme ai partecipanti all'incontro, uno spazio-tempo di ricerca condivisa creatrice
di contatto prolungato. Dal condividere la rappresentazione dello spettacolo allo scegliere
di vivere un'intera giornata, dalla mattina alla sera, in un tempo che si dispiega
circondando lo spettacolo, in un superamento degli steccati dell'orto del teatro.
In questo modo nel gennaio del '74, guidati nell'alleanza artistica dal gruppo teatrale
Alkestis di Cagliari, l'Odin porta Mir Far Hus a spettatori considerati discriminati
geograficamente e socialmente, ai contadini di San Sperate nel sud della Sardegna e ad
Orgosolo nella regione centrale della Barbagia di Ollolai34. Un territorio impervio come
quello del Supramonte Orgosolese, irto e frastagliato nell'intricato collimare di rocce
calcaree, ampie distese pietrose, il verde sottobosco e le foreste di lecci laddove giunge
l'acqua. Luoghi contraddistinti dalle dolci doline e da repentine gole che precipitano nel
terreno, con numerose grotte che offrono possibilità di riparo nella conformazione

dell'antropologia teatrale.
32
E. BARBA cit. in T. D'URSO, F. TAVIANI, Lo straniero che danza, cit., p. 21.
33
Il rapporto di scambio tra performer e pubblico è definito con il concetto di loop autopoietico dei
feedback da Erika Fischer-Lichte nel quadro degli studi della performance in E. FISCHER-LICHTE,
Estetica del performativo. Una teoria del teatro e dell'arte, Roma, Carocci, 2014.
34
Per avere un'idea del contesto territoriale in questione si veda il documentario di etnografia visuale Un
Giorno in Barbagia, girato da Vittorio De Seta (1923-2011) nel 1958 ad Orgosolo in provincia di Nuoro,
cuore della regione Sarda denominata Barbagia. reperibile su www.youtube.com/watch?v=56TLF2fSMgk

24
geologica. Cosa succederà in queste terre che non conoscono il teatro in quanto tale al
momento della rappresentazione di un gruppo nordeuropeo proveniente da mondi così
distanti? Cosa accadrà di fronte al pubblico di questi margini geografici e sociali?
Importanti interrogativi ed una sfida aperta alle ipotesi dell'incontro. Sfida per l'Odin
stesso, sfida nell'incertezza degli esiti delle ipotesi, e non ultimo, sfida a quei critici che
affermavano l'elitarietà dell'Odin e l'incapacità di far arrivare la propria voce al di là dello
steccato di una stretta cerchia.

I pastori di Orgosolo, i contadini di San Sperate dicevano di “non capire” lo spettacolo. Affermavano, però,
di non essersi annoiati, di essere restati affascinati, a volte. Si posero di fronte allo spettacolo con qualcosa
che aveva la sua stessa valenza. Risposero a Min Far Hus coi loro canti e i loro balli35.

È qui che il germoglio affiora come affermazione di presenza e impostazione di un


colloquio nella reciproca presentazione di materiali culturali specifici. Ancora una volta,
dopo Freire e Boal, è da una situazione imprevista che nasce la possibilità del ri-
conoscersi. Perché questo sia possibile è necessario che il contadino che aveva preparato il
terreno fertile riesca a cogliere la presenza dell'inaspettato germoglio, senza estirparlo e
senza coglierlo prematuramente, e dunque attendere che si faccia albero tra gli alberi,
riconoscendogli legittimità e rispetto. Gli episodi sardi di risposta, con canti e balli locali,
alla rappresentazione di Mir Far Hus sono il precedente sul quale si fonda la dinamica del
baratto nei successivi mesi di permanenza dell'Odin nelle realtà dell'Italia rurale e povera.
Quest'episodio rivelatore costituisce il presagire di una nuova possibilità d'incontro.
L'ultimo e inutile trucco, come ben dice Taviani a proposito di quest'esperienza, sarebbe
stato quello «di rifiutare la cultura egemonica e... voler dirigere quella subalterna» 36, ma
degli sviluppi della dinamica di baratto tra Odin e popolazioni locali ci occuperemo più
avanti.

1.5 Interpretazione del dilemma disorientante

Tornando a Virgilio e allo svelamento avvenuto di fronte e nei confronti di Boal e


compagni, ci troviamo di nuovo con un dilemma disorientante molto chiaro, questione di
sangue37, il mettere a repentaglio la propria vicenda umana nel convivere la presenza,
35
E. BARBA in T. D'URSO, F. TAVIANI, Lo straniero che danza, cit., p.63.
36
F. TAVIANI, Lo spreco del teatro, in T. D'URSO, F. TAVIANI, Lo straniero che danza, cit., p. 81.
37
Al proposito ritengo interessante citare E. Barba, quando utilizza il sangue come metafora di
dissipamento energetico al confronto con le contraddizioni sociali e necessità di nutrimento nel teatro,

25
oppure lo scegliere di non farlo.
L'interrogativo che apre la strada al teatro dell'oppresso è: condividere quale vicenda
umana? Poiché dal giorno del mitologico incontro con Virgilio il contadino, la voce fatta
popolo, nulla sarà più come prima. Tutto il Teatro dell'Oppresso si fonda sull'intenzione di
non ripetere più questo errore, non più essere missionari, pedagoghi illuminati o artisti
militanti, la questione diventa apprendere nella reciprocità e coprodurre una risposta
inedita.
In tal senso possiamo pensare a Freire e alla sua équipe, a Boal e alla sua compagnia ed
anche a Barba ed agli attori dell'Odin come a dei professionisti

in grado di intessere con la società una conversazione [...] riflessiva, che ri-legge la pratica professionale in
una prospettiva di dialogo con il cambiamento e con l'evoluzione della società non unicamente in termini di
adattamento, ma anche di possibile rottura. I professionisti riflessivi sono impegnati a leggere, interpretare,
vedere e “costruire” la situazione e in questa operazione è possibile [...] far emergere «la risposta

impertinente» che prende forma di significati, problemi e dilemmi non previsti38.

E la pedagogia di Freire, il teatro dell'oppresso di Boal ed il baratto di materiali culturali


dell'Odin39, sono risposte impertinenti che faranno molta strada.

dando sponda a un'altra corrispondenza che fa incontrare piano reale e piano simbolico: “penso al teatro
come a un corpo che perde continuamente sangue. Ogni volta che scende nelle vie, che si scontra con la
realtà, subisce colpi, perde sangue da ferite che non si rimarginano. Il corpo del teatro non può vivere del
proprio sangue , la sua emofilia lo obbliga a nutrirsi di sangue che proviene da altri corpi. Ha bisogno
sempre di nuovo sangue, non può vivere su di sé”. In T. D'URSO, F. TAVIANI, Lo straniero che danza,
cit., p.134 (corsivo nostro).
38
D. A. SCHÖN, Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica professionale, Bari,
Dedalo, 1993, p. 348.
39
Si pensi all'esperienza dell'ISTA, l'International School of Theatre Anthropology,
www.odinteatret.dk/research/ista.aspx

26
2 - ATTORI PER RESISTENZA, INVISIBILI PER NECESSITÀ:
RAGIONI STORICHE E ANTESIGNANI TEATRALI

Il teatro dell'oppresso come complesso teorico e metodologico è unanimemente


considerato e riconosciuto in quanto ideazione di Augusto Boal, ma per ciò che concerne la
tecnica del teatro invisibile che del TdO fa parte, ci troviamo di fronte a una
riformulazione di precedenti esperienze.
Boal stesso in uno dei suoi scritti più rappresentativi riguardo l'utilizzo della tecnica
invisibile, dice: nell'articolo che analizza l'insieme dell'esperienza di Liegi, azione di TI
compresa, a dire:

I did not invented invisible theatre. I did not wake up one morning with a good idea. Rudimentary forms of
invisible theatre, or partial invisible theatre techniques have always existed. In espionage, for instance, spies
use techniques such as camouflage, interpretation of roles, and simulated realities – wich are all invisible
theatre techniques. Even in the supermarkets, where we regurarly play invisibile theatre, tehre are “invisible
police”, thet is, women and men who complement the closed-circuit TV's function of discouraging and

detecting shoplifting40.

2.1 Interpretazione di ruoli attoriali come strategia di resistenza

Nel frammento sopra riportato, Boal attua una collocazione sociale delle tecniche
invisibili, denotandone l'utilizzo come strumento di spionaggio e di controllo. Ci si chiede
come mai l'ideatore del TdO, attivista politico della sinistra di base, non faccia riferimento
a casi storici nei quali travestimento ed interpretazione di ruoli invisibili sono stati
utilizzati come strategie di lotta sociale e resistenza politica. Considerando l'orientamento
politico del TdO si ritiene importante recuperare traccia di questo impiego.
Prendiamo in considerazione le imprese del gruppo di anarchici travailleurs de la nuit41,
40
A. BOAL, S. EPSTEIN, Invisibile Theatre: Liege, Belgium, 1978, «The Drama Rewiew», Vol. 34, No. 3
(Autumn, 1990), p. 32.
41
In particolare Alexsandre-Marius Jacob, membro di punta del gruppo, divenne noto per il mimetismo dei
travestimenti, le straordinarie capacità attoriali e l'ironica irriverenza con la quale per tre anni, dal 1900 al
1903 (anno dell'arresto di tutti i lavoratori della notte), e più di 150 azioni sbeffeggiò e derubò l'alta
società francese. Memorabili colpi furono perpetrati con l'utilizzo di strategie direttamente correlabili al
teatro invisibile. Il furto al casinò di Montercarlo, in cui elegantemente vestito gioca alla roulette attirando
l'ammirazione dei presenti, finché finge uno svenimento improvviso che provoca la confusione necessaria
perché un complice approfitti del momento per incassare le giocate più grosse e darsi alla fuga. L'ancora
più clamoroso furto al Monte di Pietà, quando si presenta come commissario di polizia con tanto di fascia
tricolore sul petto, tre complici ed un falso mandato di perquisizione sostenendo che nel banco dei pegni
si trovi la refurtiva di un colpo in cui è stato commesso un quadruplo omicidio; non solo gli anarchici
hanno tutto il tempo di inventariare e selezionare la refurtiva, ma alla fine Jacob infila le manette ai polsi

27
attivi nei primissimi anni del '900 in Francia, che fondarono la loro pratica politica sul
furto in quanto metodo di riappropriazione e ridistribuzione, infatti i proventi di queste
attività, oltre ad essere fonte di sostentamento per gli autori, venivano utilizzati per
finanziare i circoli anarchici, le lotte operaie e le pubblicazioni rivoluzionarie
antiautoritarie.
I colpi venivano perpetrati ai danni di ricchi facoltosi, baroni, industriali, sfruttatori delle
classi subalterne. Principalmente il gruppo agiva di notte, ma la storia comprende
interessanti eccezioni, dal punto di vista dell'impiego delle tecniche invisibili, alla luce del
sole con l'uso sfrontato di dettagliati travestimenti e di impersonificazione di ruolo in stile
teatrale.
Michael Collins, leader della lotta anticoloniale Irlandese che portò nel 1921 al
riconoscimento dell'indipendenza della Repubblica d'Irlanda, era noto per le sue qualità
teatrali che gli permisero di compiere audaci azioni. La più memorabile tra le quali fu
infiltrarsi nel castello di Dublino, sede delle forze di occupazione Britanniche, per
consultare durante la notte l'archivio poliziesco che deteneva i dossier degli attivisti
ricercati e le indagini in corso, reperendo così informazioni importanti per la resistenza, ed
uscirne la mattina passando dal cancello principale e salutando le guardie di turno 42. In
Italia troviamo l'utilizzo di modalità invisibili nelle operazioni di guerriglia urbana delle
brigate partigiane GAP (Gruppi di Azione Patriottica)43 durante la resistenza antifascista
negli anni dal '43 al '45. Grazie all'utilizzo di impersonificazioni di ruolo di tipo teatrale
riescono a reperire importanti informazioni per l'azione antifascista e a svincolarsi dai
controlli repressivi, potenzialmente mortali in tempi di guerra. Riportiamo un caso in cui la
brigata GAP di Milano fece impersonare ad una militante il ruolo di una donna disperata
che in tal modo riusciva ad avvicinare l'alto dirigente della polizia fascista che in seguito
doveva essere ucciso:

del direttore che insieme all'impiegato viene inconsapevolmente sequestrato e trasportato in carrozza fin
dentro al palazzo di giustizia, davanti alla porta del Procuratore della Repubblica affermando che
dovranno riferire della complicità nella ricettazione dei preziosi derivanti dalla rapina con omicidio. Jacob
sfila le manette al direttore ed intima ai due di rimanere in attesa e meditare sulla gravità della situazione,
al momento della chiusura del palazzo i due continuano ad attendere senza che nessuno stia attendendo di
interrogarli, vengono rinchiusi in cella per la notte, l'indomani mattina, scoperto l'abile trucco, verranno
liberati. Le cronache ne vengono a conoscenza, i titoli non si faranno attendere e tutta Marsiglia riderà
dell'impresa. Sulla storia dei travallieurs de la nuit Cfr. J.M. DELPECH, Rubare per l'anarchia.
Alexsandre Marius Jacob, ovvero la singolare guerra di classe di un sovversivo della belle èpoque,
Milano, Elèuthera, 2012; e dello stesso A. JACOB, I lavoratori della notte, Lecce, Bepress, 2010.
42
R. KEE, Storia dell'Irlanda. Un'eredità rischiosa, Milano, Bompiani, 2001.
43
Sull'esperienza e sulle strategie dei GAP nella resistenza antifascista cfr. G. PESCE, Senza tregua. La
guerra dei GAP, Milano, Feltrinelli, 2005.

28
Da giorni Italo Busetto, “Franco”, ispettore delle “Garibaldi”, mi aveva segnalato [a Giovanni Pesce,
comandante della Brigata GAP] l'esistenza di un misterioso personaggio, l'Avvocato Domenico De Martino,
legato agli ambienti della Questura di Milano, dedito alla delazione. Era urgente sbarazzarcene ma c'era un
problema. Nessuno l'aveva mai visto bene in volto. Fu a questo punto che utilizzammo “Sandra” mandandola
nell'ufficio del professionista in via Telesio 8 con una scusa qualsiasi. “Sandra” si dimostrò abilissima. Si
fece ricevere, raccontò una storiella strappa-lacrime, invocò l'intervento del partito fascista a favore della
sorella rimasta vedova di un camerata caduto sul fronte di guerra, ottenne delle assicurazioni per il figlio in
grembo. Soprattutto potè vedere bene in faccia l'uomo. Studiammo l'azione, i tempi, i modi. Decidemmo per
l'ora di pranzo. Due gappisti si piazzarono ai lati della strada, la macchina arrivò puntuale, “Sandra”
riconobbe dai vetri il delatore, partì l'ordine, i gappisti, appena il De Martino pose il piede a terra, fecero
fuoco. La scorta non ebbe neppure il tempo di reagire. Era il 30 agosto 194444.

Sicuramente più vicini nel tempo e nello spazio a Boal sono i movimenti di guerriglia
sudamericana e le gesta di un combattente che per lungo tempo sarà riferimento per i
movimenti rivoluzionari comunisti e lotte anticoloniali di tutto il mondo, Ernesto Guevara
de La Serna detto “Che”.
Nelle biografie del guerrigliero argentino si racconta di come per preparare la spedizione in
Bolivia del 1966 viene elaborato un travestimento perfetto che gli consenta di arrivare in
incognito a destinazione: «si taglia i capelli e tinge di bianco i pochi che lascia, veste in
modo impeccabile con abiti borghesi, occhiali da vista, e si mette una protesi dentale che
ne modifica i lineamenti. Il camuffamento lo invecchia almeno di quindici anni,
rendendolo irriconoscibile»45.
Numerose fotografie, non ultima quella del falso passaporto con cui attraversa le frontiere,
testimoniano la qualità della tramutazione estetica. La riprova avviene anche al momento
della presentazione del comandante Ramon (nome di battaglia) agli uomini scelti (16
volontari) per formare il gruppo guerrigliero, la maggior parte dei quali erano stati stretti
collaboratori di Guevara e veterani della colonna da lui guidata nella guerriglia anti-Batista
che portò alla liberazione di Cuba.
Giunti al termine dell'addestramento e con la partenza che si avvicinava, giunge il
momento di far le presentazioni tra il comandante e i guerriglieri che dovrà guidare:

44
F. GIANNANTONI, I. PAOLUCCI, Giovanni Pesce “Visone” un comunista che ha fatto l'Italia;
L'emigrazione, la guerra di Spagna, Ventotene, i Gap, il dopoguerra (Togliatti, Terracini, Feltrinelli),
Varese, Arterigere – EsseZeta, 2005, pp. 134-135.
Inoltre nella stessa pubblicazione si riporta l'episodio in cui un gappista detto il “soldato” che,
adeguatamente travestito, riuscì «a superare i controlli alla stazione Centrale [di Milano, dopo un attentato
dinamitardo al locale-ristoro frequentato dai soldati nazisti] spacciandosi per un milite fascista reduce dal
fronte, bisognoso di soccorso». Ivi, pp. 135-136.
45
R. OCCHI, Che Guevara, La più completa biografia, Baiso (RE), Verdechiaro, 2007, p. 238.

29
Mentre gli uomini sono sull'attenti in attesa dell'arrivo del comandante, vedono spuntare un uomo in
borghese. Secondo la testimonianza di Daniel Alarcón (Benigno), «un vero signore vestito alla “parigina”,
camicia, occhiali, cravatta, scarpe di città belle lucide. Calvo in cima al cranio, con qualche capello bianco,
[…] fumava la pipa. Mi son detto: “Non è possibile, non si può andare a combattere con un tipo simile” »46.

Nell'episodio che inquadra il misto di ironia e di messa alla prova decisiva del
travestimento, lo spagnolo Ramon si presenta agli uomini che dovrà guidare stringendo a
ciascuno la mano e dicendo il nome di battaglia scelto per la missione, finito il giro si
rivolge al comandante responsabile dell'addestramento apostrofando provocatoriamente il
gruppo di guerriglieri con aria disgustata come comemierda [mangiamerda].
L'indignazione dei soldati che conoscono bene il proprio valore si mantiene inespressa nel
quadro della disciplina militare, abbozzano di fronte al futuro comandante che nessuno ha
ancora riconosciuto. È solo dopo un più approfondito scambio di battute con Pinares che
Jesùs Suàrez Gayoll (El Rubio), collaboratore per lungo tempo al Ministero dell'Industria,
resosi conto dell'accento argentino riconosce in Ramon, Ernesto Guevara. La scena,
perché di ciò si tratta, evolve in un prorompere di gioia dei convenuti allo svelamento della
vera identità del proprio comandante, le preoccupazioni legate all'impressione
dell'impersonificazione attoriale si traducono nella contentezza del ritrovamento di un
compagno di battaglie dalle riconosciute abilità strategiche, dal temperamento indomito e
con grandi qualità umane.
Certamente l'arte del travestimento e l'assunzione di ruolo come copertura d'azione sono
tecniche che vengono caratterizzate politicamente attraverso l'utilizzo che se ne fa, quindi
non è la tecnica che determina l'etica ma l'etica che orienta la tecnica. È quindi importante
l'attenzione riportata da Boal nell'articolo sul TI, in cui denota la presenza di poliziotti
invisibili, ponendo l'attenzione sulle possibili strumentalizzazioni reazionarie della tecnica.

2.2 Agitprop: caratteristiche di un teatro politico militante

L'utilizzo dell'invisibilità come strategia d'azione teatrale ha un importante precedente


storico: l'attività dei gruppi teatrali chiamati agitprop attivi in Germania negli anni '20 e '30
del secolo scorso. Il loro caso rappresenta il vero e proprio antesignano nello specifico
della rappresentazione teatrale della tecnica invisibile rielaborata da Boal.
Le compagnie agitprop erano composte principalmente da attori-operai di aperta adesione

46
Ivi, p. 239.

30
ai pensieri socialista e comunista, costituite su base volontaria utilizzavano il mezzo
teatrale come strumento di lotta politica e propaganda rivoluzionaria. Questi gruppi si
autofinanziavano imponendosi una tassazione ed inizialmente non vi erano
specializzazioni: insieme si elaboravano le drammaturgie e le soluzioni sceniche
maggiormente convenienti, i compiti venivano divisi volta per volta secondo le necessità
del momento; in seguito si organizzarono in settori di competenza così da migliorare e
rendere più agile la pratica teatrale ma sempre mantenendo spirito e concretezza di
strettissima e continua collaborazione.
Lo scopo del teatro agitprop era aprire gli occhi alla classe operaia e conquistarla alla causa
comunista47 attraverso argomenti di attualità, di satira sulla situazione politica e di
denuncia dell'oppressione e corruzione della società capitalista. I testi erano scritti in modo
da coinvolgere emotivamente nell'immediato il pubblico, puntando sul livello della
comunicazione piuttosto che sul piano estetico; la messa in scena era semplice e
schematica, con pochi ed efficaci elementi scenografici (grosse sagome di cartone
rappresentanti i nemici, striscioni, cartelli) ed in cui gli attori-operai scandivano le battute
per permetterne meglio la comprensione, accentuando ora il lati satirici della denuncia, ora
i risvolti epici della lotta chiamando il pubblico direttamente in causa per commentare
l'azione. Il teatro Agitprop ha «una struttura oratorio-didascalico-dimostrativa dotata di un
forte impatto emotivo tendente alla persuasione»48.
Da una prospettiva dilettantistica vi è una condivisione con alcune caratteristiche del teatro
politico di Erwin Piscator, autore e regista di grande rilevanza nella storia del teatro
moderno, attivo negli stessi anni. Gli obiettivi di questo teatro erano: indurre lo spettatore a
prendere una decisa posizione politica da trasferire successivamente in azione, l'utilizzo dei
più svariati mezzi per raggiungere l'obiettivo politicizzante, la totale subordinazione dei
punti di vista estetici ai punti di vista politici.
Riguardo al rapporto fra teatro rivoluzionario professionale e gruppi dilettantistici, Piscator
scrive:

Di fronte al teatro rivoluzionario di mestiere, che per la sua complessità e le sue proporzioni è fatalmente
legato a un solo luogo, i gruppi e le collettività di dilettanti, che sono sorte a centinaia in tutta la Germania,
possono effettivamente fare propaganda tra il proletariato in mille punti, in ampiezza e profondità. Viceversa

47
«Si consideri che l'azione propagandistica dei gruppi si trasformava in una vera campagna di proselitismo
attraverso il tesseramento immediato del pubblico alle organizzazioni operaie di partito e l'abbonamento
alla stampa comunista», E. CASINI ROPA, La danza e l'agitprop, I teatri-non-teatrali nella cultura
tedesca del primo Novecento, Bologna, Il Mulino, 1988, p. 150.
48
Ivi, p. 151.

31
il teatro di mestiere ha a sua volta la possibilità, al contrario dei dilettanti, di attirare quei ceti che altrimenti
rimarrebbero sempre estranei al nostro movimento. (Prescindendo naturalmente da tutte le possibilità di
grandi esperimenti in campo drammatico, tecnico, interpretativo). Mi sembrerebbe ozioso ricercare quale dei
due compiti sia più importante. Ritengo che le rappresentazioni proletarie di dilettanti, in quanto si
subordinano politicamente senza equivoci agli scopi della propaganda e non tentano di imitare il teatro
dell'arte, siano altrettanto importanti e abbiano lo stesso valore della mia attività personale49.

Secondo Piscator la forza del teatro dilettantistico rivoluzionario sta nell'avere come target
la classe proletaria (del quale è peraltro espressione e parte50), lasciando alle compagnie di
professionisti schierate politicamente (come la sua) l'interazione con gli altri ceti, in questo
modo pone teatro professionistico e teatro dilettantistico fianco a fianco nella comune
battaglia rivoluzionaria. Inoltre viene evidenziato l'impatto di un chiaro messaggio
rivoluzionario che segue soluzioni pragmatiche piuttosto che rincorrere il piano estetico
artistico.
Lo svolgimento degli spettacoli Agitprop e il pubblico che incontravano è così descritto:

Spostandosi velocemente con ogni genere di mezzi di trasporto (solitamente motociclette o vecchi camion), [i
gruppi agitprop] agivano dovunque: molto raramente nei teatri (il luogo delegato), più spesso nello spazio del
vissuto, in sale di ritrovo di ogni tipo e dimensioni e all'aperto, nelle strade e nelle piazze, nei cortili, davanti
alle fabbriche e alle scuole, su carri e camion, su tavoli e casse rovesciate. In tanto variare di luoghi e di
ambienti, a cui d'altronde si adattavano con disinvolta elasticità, un elemento rimaneva tuttavia invariato, il
pubblico, che era quello a cui gli agitprop volevano e sapevano rivolgersi: il proletariato, la classe operai, i
comunisti51.

2.3 Agitprop: repressione e necessità di forme di teatro clandestino

I gruppi Agitprop utilizzarono delle strategie teatrali che precorrono, senza nominarsi in tal
modo, il teatro invisibile, utilizzandole per sensibilizzare le masse operaie proletarie delle
quali facevano parte e focalizzando l'attenzione sullo smascheramento di situazioni di
dominio in continuità con il loro precedente operato.
Precursori del TI, gli Agitprop scelsero di utilizzare azioni di teatro clandestino quando
questa strategia si rese necessaria; infatti dal 1929 questi gruppi cominciarono a subire le
ostilità della polizia ed andarono incontro a divieti di vario genere volti a impedire le

49
E. PISCATOR, Il teatro politico, Torino, Einaudi, 1976, pp. 58-59, corsivi miei.
50
«Il collettivo agitprop nel suo valore etico-politico rispecchiava il più vasto collettivo del pubblico, del
quale non era che un sottoinsieme». E. CASINI ROPA, La danza e l'agirprop, cit., p. 170.
51
Ivi, pp. 151-152.

32
rappresentazioni d'ispirazione comunista. L'apice della censura avvenne con l'emanazione
dell'Ordinanza d'urgenza per la lotta ai tumulti politici, con cui venivano espressamente
vietate tutte le manifestazioni che incitassero all'insubordinazione e mettessero in pericolo
l'ordine pubblico, a cui fu presto aggiunta una postilla che vietava esplicitamente le
rappresentazioni agitprop.
Dall'impossibilità di svolgere la propria azione come soggetti riconosciuti, nacque l'idea di
«cogliere ogni occasione propizia ad un intervento di agitazione e propaganda politica
adeguandosi all'ambiente e all'uditorio del momento. I luoghi più affollati e movimentati,
propizi quindi ai rapidi dileguarsi in caso di intervento della polizia, divennero allora teatro
di 'azioni' repentine e imprevedibili degli agitprop»52.
L'elemento dell'intensificazione repressiva nei confronti di forme culturali ed espressive
rivoluzionarie, tratto caratteristico dell'ascesa al potere di regimi dittatoriali, accomuna
l'esperienza degli Agitprop negli anni '20 e '30 a quella di Boal e compagni negli anni '60 e
'70. La scelta di praticare azioni di teatro invisibile si determina in quanto necessità e
diviene in questi casi una delle poche possibilità di continuare l'azione di teatro politico in
contesti come quello della fine degli anni '20 e inizio anni '30 che videro l'ascesa al potere
del regime Nazista, così come negli anni '60 e '70 con l'affermarsi di dittature militari
estremamente autoritarie e repressive nel continente sudamericano.
Boal racconta così in un'intervista l'escalation repressiva in Brasile:

Fino al '64, in Brasile il teatro popolare lo si poteva fare per le strade, nelle piazze, per il popolo, senza alcun
problema. Dal '64 al '68 il governo utilizzò una nuova tattica, quella di permettere gli spettacoli popolari
senza però permettere la partecipazione del popolo. Dal '68 in poi, non si permisero né spettacoli popolari né
partecipazione del popolare. Da allora, per esempio, il Teatro Arena iniziò a subire una persecuzione
violentissima che portò anche alla mia incarcerazione, e che contemplava anche altre accuse oltre a quelle
d'argomento specificamente teatrale. In seguito, furono imprigionati l'amministratore del teatro, l'elettricista,
il mio assistente e la mia ragazza. Ma questo succede a chi svolge un'attività di un certo tipo. Che cosa
bisognerebbe fare, per non essere messi in prigione? Non svolgerla, certo. E allora? Allora dobbiamo
continuare a fare delle cose pericolose, altrimenti cadremmo in una forma di autocensura che equivarrebbe a
una resa53.

Con cose pericolose, Boal intende il continuare a interrogare e ad interrogarsi, a esporre ed


esporsi, insieme artisticamente e politicamente, essendo consapevoli delle possibili
violente ripercussioni del proprio agire. Ed è in condizioni di grave pericolo repressivo che

52
E. Casini Ropa, La danza e l'agitprop, cit., p. 167
53
A. BOAL, Il teatro degli oppressi, cit., p. 18.

33
viene messa in campo un inventiva artistica pragmatica che rielaborando le esperienze del
passato, coniuga nel TI le possibilità d'azione date dal contesto e l'efficacia comunicativo-
partecipativa caratteristica del TdO.
Tornando alla fine degli anni '20, per cogliere le modalità d'azione della pratica clandestina
agitprop è significativo questo episodio riferito da Béla Balázs:

Due giovani dall'aspetto di disoccupati giungono di fronte a una vetrina di Delikatessen; uno dei due sviene e
l'altro lo soccorre. Subito si raduna un capannello di gente tra cui altri disoccupati e tra i presenti nasce una
vivace discussione sul tema del giorno: la fame. Due, tre minuti e si sente il fischio della polizia che trascina
al commissariato gli ignari cittadini accusandoli di far parte di un gruppo agitprop; i due giovani disoccupati
frattanto sono spariti. La stessa scena si ripete varie volte nello stesso giorno davanti ai più forniti negozi di
alimentari di Berlino54.

Per sottolinearne la similitudine, si evidenzia come in questo caso siano presenti tutti gli
elementi teorizzati da Boal nella definizione del teatro invisibile (che si vedrà in dettaglio
nel prossimo capitolo): il luogo scelto per l'azione è pubblico e di larga affluenza; la scena
posta in essere mira a denunciare una condizione sociale di sopruso ed a spingere il
pubblico a prenderne coscienza; le persone che assistono alla scena non hanno
consapevolezza di essere spettatori di un'azione teatrale, esse credono di avere di fronte e
di intervenire in una situazione di realtà dalla quale vengono coinvolte ed i cui effetti
durano fino a molto tempo dopo il termine della scena (presa di coscienza e conseguenze
repressive); gli attori che hanno dato origine all'azione non si sono svelati.
Questa azione di teatro clandestino agitprop come ogni azione di TI merita ulteriori
considerazioni: il fatto che alcuni cittadini che originariamente assistevano alla scena
vengano portati in commissariato dalla polizia ci fa domandare fino a che punto le
conseguenze delle azioni di teatro pubblico non-dichiarato vadano a condizionare la vita
dei soggetti che vi si ritrovano loro malgrado coinvolti55; il fatto che intervenendo la
polizia accusi i fermati di far parte di gruppi agitprop pone l'accento sull'ampia diffusione
di queste compagnie e di pratiche teatrali politicamente impegnate e dell'attenzione che i
tutori dell'ordine costituito vi prestano; il fatto di riportare nella descrizione che nello
stesso giorno azioni simili vengono svolte varie volte ed in luoghi ben mirati (i negozi
maggiormente riforniti delle città) da ulteriore elemento di considerazione
sull'organizzazione e capacità di questi gruppi di agitatori berlinesi di agire in maniera
54
B. BALÁZS, Theater auf der Strasse, in Theater der Welt. Ein Almanach, Berlin, Henschelverlag, 1949;
cit. in E. CASINI ROPA, La danza e l'agitprop, cit., p. 167.
55
Si tratterà in profondità questo punto nel Capitolo 8 riguardante le questioni etiche nella tecnica invisibile.

34
diffusa e simultanea.
Un'altra descrizione di azione teatrale agitprop è riportata da Giancarlo Bonfino:

[…] sul tram che conduceva gli operai al lavoro un agitprop cominciava a gridare di aver trovato una busta
paga. Dopo aver così richiamato l'attenzione elencava le trattenute, l'importo, le multe, gli straordinari, ecc. e
poi si univa agli altri componenti del gruppo che si trovavano sul tram e iniziava il brano agitprop vero e
proprio. Durante le interdizioni dei loro giornali [pochi mesi dopo l'editto di polizia] gli agitprop tentarono di
sostituirli in questo modo: si presentavano imbavagliati in un luogo pubblico, recitavano mimicamente
qualche battuta e alla fine liberatisi dal bavaglio leggevano gli articoli che il giornale avrebbe dovuto
pubblicare56.

Nel primo caso, con la lettura della busta paga sul tram, l'innesco dell'azione è pienamente
attinente ai criteri della tecnica invisibile che più di tre decenni dopo formulerà Boal,
l'azione prosegue con l'esplicitazione dell'azione teatrale e con lo svelamento del gruppo di
attori agitprop; nel secondo caso, denuncia della censura politica e lettura dei giornali
interdetti, si rientra nella sfera del teatro pubblico militante. Qui, attraverso la scelta
scenica del soggetto imbavagliato e l'uso della corporeità, si attua una metafora simbolica
dello stato di censura mirante al produrre attenzione del pubblico in luogo aperto; una volta
catalizzati gli sguardi dei presenti si svela l'intento metaforico, completato dall'espressione
del contenuto della stampa rivoluzionaria non più stampata.
Direttamente collegato all'intensificarsi degli attacchi reazionari sempre più strutturati e
numerosi che preparano l'avvento del nazismo, l'ultimo periodo di vita del teatro operaio
rivoluzionario tedesco denota due tendenze diverse dovute a opposte scelte di carattere
comunicativo. Da un lato la tendenza, come abbiamo visto approfonditamente, ad una
estremizzazione del momento comunicativo in azioni invisibili clandestine (di fronte al
Delikatessen) e in trovate a sensazione (imbavagliamento dell'attore), moduli totalmente
estranei alla tradizione teatrale che si realizzano negli interventi attuati tra la folla, nelle
fugacità momentanee, nel richiamo provocatorio, nell'interazione diretta con le persone
presenti; dall'altro lato una tendenza al riavvicinamento a moduli più istituzionalmente
teatrali che si esprime nella collaborazione con professionisti dello spettacolo, in una
maggior rilevanza del dato drammaturgico e nelle accresciute esigenze artistiche della
recitazione, sempre più prossimi al teatro d'avanguardia professionistico di Piscator e
Brecht. Per entrambe le tendenze la necessità è di allargare la fruizione del teatro agitprop
e giungere così in un ultimo tentativo di resistenza a scagliare il proprio messaggio verso
56
G. BUONFINO, Agitprop e «controcultura» operaia, pp. 114-115. Cit. in E. CASINI ROPA, La danza e
l'agitprop, cit., p. 167.

35
un pubblico ampio e maggiormente rappresentativo di tutta la società.
Nel marzo del 1932 ebbe luogo l'ultimo congresso dell'ATBD (Arbeiter-Theater-Bund
Deutschland, Lega del teatro operaio di Germania) che riuniva a questo momento intorno
ai 500 gruppi operai. In questa occasione la Lega cercò attraverso una riorganizzazione
territoriale di far fronte alle rappresaglie naziste, di approfondire teoricamente le
problematiche politiche e teatrali per l'elaborazione di nuove forme idonee al contesto di
azione clandestina, di essere polo d'unione per tutti i gruppi teatrali antifascisti nella lotta
contro il nemico comune (appello al quale risposero tra i primi i gruppi teatrali
rivoluzionari professionistici). L'ATBD nel suo ultimo periodo di attività divenne in questo
modo riferimento e associazione di tutto il teatro rivoluzionario antifascista.
Come sia stato possibile distruggere una tale forza non è qui dato di analizzare, ma la storia
scrive che:

Con la presa del potere da parte di Hitler fu stroncata ogni possibilità di sopravvivenza dell'ATBD come ogni
altro movimento operaio di sinistra. Dirigenti e membri del teatro agitprop furono ricercati e perseguitati,
molti di essi emigrarono, salvando nella fuga i materiali più tardi recuperati dagli studiosi della DDR, molti
preferirono rimanere dedicandosi alla lotta politica clandestina, tanti furono imprigionati ed alcuni uccisi57.

Dell'esperienza agitprop rimangono i capisaldi di un teatro sperimentale che, proponendosi


come strumento rivoluzionario, si appropria di questa forma rappresentativa come modalità
comunicativa. Mettendo in discussione il ruolo della drammaturgia e quello dell'attore e
prevedendovi una adesione proletaria, pone progettualmente spettacolo e pubblico
all'interno di un rapporto organico di omogeneità costruito sulla provenienza di classe
comune e sull'ambizione all'ideale comunista. Fa vivere nella sfera teatrale la tensione fra
etica e pragmatica trovando soluzioni efficaci per affrontare il cambiamento, elaborando
strategie e sperimentando tecniche, tra le quali le azioni di teatro clandestino non-
dichiarato.
Terminiamo dicendo che il prodursi storico dell'esperienza del teatro agitprop ed in
particolare delle pratiche invisibili, lascia la traccia di una possibilità inspirativa per coloro
che si troveranno ad affrontare situazioni di drammatica repressione nelle quali saranno
costretti a scelte espressivi d'emergenza, come avverrà negli anni '70 per il teatro invisibile
sudamericano.

57
E. CASINI ROPA, La danza e gli agitprop, cit., p. 169.

36
3 - TEATRO INVISIBILE:
TEORIA E PRATICA

Il teatro invisibile nasce dalla necessità di elaborare una forma per il teatro politico che sia
irriconoscibile al potere autoritario dei regimi dittatoriali Latinoamericani, in Brasile la
dittatura comincia con un colpo di stato nel 1964 e dura con l'alternarsi di diverse giunte
militari fino al 198558. Boal e il Teatro Arena a causa della loro attivismo democratico nel
teatro politico sono considerati una minaccia dalla dittatura. Per questa ragione una sera
tornando a casa dopo una rappresentazione da lui diretta all'Arena dello spettacolo di
Brecht La resistibile ascesa di Arturo Ui, Boal viene sequestrato dalla strada, arrestato,
torturato e successivamente esiliato in Argentina59.
In questa situazione repressiva viene elaborata una tecnica in cui gli attori possano agire in
quanto tali senza mostrare di esserlo e lo spettacolo essendo clandestino non sia
rintracciabile dalla censura, questa tecnica del TdO «consiste nel rappresentare una scena
in un ambiente che non sia il teatro e di fronte a persone che non siano spettatori»60.
È in Argentina dove viene esiliato nel 1971 che fa la sua comparsa il teatro invisibile, lo
stesso Boal racconta:

In Argentina I had to do something else, and I like to do tehatre in the street. But my friend said don't do
theatre in the street because if you got arrested again here in Argentina they're going to send you back to
Brazil. And in Brazil they do not arrest teh same person twice. The second time they kill directly. So Simona
had a good idea, he said, why don't we do the play, but we don't tell anybody that's a play. So you can be
there and no one's responsabile for anything because you explode the scene in front of everyone. Everyone
can participate. So we did that. We did what they call Invisible Theatre61.

Le caratteristiche peculiari dell'azione di TI sono: non dichiarazione dell'azione, scelta di


affrontare una questione politica rilevante nel contesto (situazione di oppressione),

58
Riportando da una nota storica presente in La pedagogia della speranza: «I governi militari in Brasile
furono composti dai seguenti mandatari: maresciallo Humberto de Alencar Castelo Blanco, dal 15 aprile
1964 al 15 marzo 1967; generale Arthur de Costa e Silva, dal 15 marzo 1967 al 31 agosto 1969 [sic!
1968] quando, impedito di governare a causa di malattia, fu sostituito da una giunta militare composta da
Aurélio Lyra Tavares, dal brigadiere Marcio de Souza e Melo e dall'ammiraglio Augusto Rademeker
Grunerwald, dal 31 agosto 1968 al 30 ottobre 1969; generale Emílio Garrastazu Médici, dal 30 ottobre
1969 al 15 marzo 1974; generale Ernesto Geisel, dal 15 marzo 1974 al 15 marzo 1979 e g.le João Batista
Figueredo, dal 15 marzo 1979 al 15 marzo 1985». Cit. da P. FREIRE, La pedagogia della speranza, cit.,
p. 220.
59
Si fa riferimento per la biografia di Boal al sito Pedagogy and Theatre of the Oppressed: www.ptoweb.org
60
A. BOAL, Il teatro degli oppressi, cit., p. 40.
61
M. CAHNMANN-TAYLOR, M. SOUTO-MANNING, Teachers Act Up! Creating multicultural learning
communities through theatre, New York and London, Teachers College Press, 2010, p. 32.

37
attuazione in un luogo pubblico, gli attori interpretano il proprio ruolo agendo come se
fossero persone normali, coinvolgimento delle persone presenti nell'azione teatrale senza
che siano consapevoli della dimensione rappresentativa, non svelamento della
performatività dell'accaduto, percezione per le persone coinvolte di aver vissuto un
esperienza esistenziale concreta, risultato dell'esperienza dell'azione – secondo Boal – in
una coscientizzazione del soggetto spett-attore intervenuto.
Per chiarire cosa si intende per coscientizzazione, facciamo riferimento all'elaborazione di
Freire. La concezione Freiriana considera gli uomini come esseri in situazione, radicati in
condizioni spaziali e temporali dalle quali ricevono e a cui danno impronta; la riflessione
su questa situazione nei suoi differenti livelli di coscienza: immersione, constatazione,
emersione, coscienza storica, inserimento; può generare la coscientizzazone del soggetto.

Questa riflessione comporta […] qualcosa di più che essere in situazione, che è la loro [degli uomini]
posizione fondamentale. Gli uomini sono perché stanno in situazione. E tanto più “saranno” quanto più
penseranno criticamente il loro “stare” e agiranno criticamente su di esso.
Questa situazione sull'essere in situazione equivale a un pensare la propria condizione di esistenza. Un
pensare critico attraverso il quale gli uomini si scoprono “in situazione”. Solo nella misura in cui questa
smette di sembrar loro una realtà opaca che li avvolge, qualcosa di più o meno nebuloso in cui e sotto cui si
trovano, comincia a esistere l'impegno. Dall'immersione in cui si trovavano, emergono, rendendosi capaci di
inserimento nella realtà che si va rivelando.
L'inserimento è una fase più avanzata dell'emergere e risulta dalla presa di coscienza della situazione. È la
coscienza storica. Quindi la coscientizzazione è l'approfondimento della presa di coscienza, che è
caratteristica a sua volta di chi emerge dalla realtà.
In questo senso ogni ricerca tematica coscientizzaznte diviene pedagogica, e ogni educazione autentica si fa
indagine del pensiero62.

Si è ritenuto importante chiarificare il concetto di coscientizzazione poiché nella tecnica del


teatro invisibile e nell'intera pratica del teatro dell'oppresso vi si fa riferimento
costantemente.
Per quanto concerne più specificamente gli intenti della pratica invisibile, rivolgiamoci
all'analisi chiarificante di Pontremoli:

Il Teatro Invisibile focalizza problematiche conflittuali specifiche per un determinato luogo, per una
determinata città, per un gruppo di persone direttamente coinvolto nella situazione che viene rappresentata.
Nella sua versione più spettacolare, mette in scena azioni basate sui meccanismi di ribaltamento dei ruoli,
all'interno di un contenitore rituale che dovrebbe stimolare i presenti a reagire alle provocazioni degli attori, a
62
P. FREIRE, La pedagogia degli oppressi, cit., pp. 102-103.

38
discutere, a prendere posizione, a entrare in situazione dialogica, attivando un progressivo processo di
autocoscienza63.

3.1 Luoghi e spettatori in trasformazione

Il luogo scelto per dare attuazione al teatro invisibile non è adibito a questo scopo ma è uno
spazio pubblico aperto (possibilmente frequentabile da chiunque) che proprio per tale
motivo è di per sé adatto a questo tipo di azioni. Può essere un ristorante, un bar, una fila
di persone in un ufficio o alla cassa di un supermercato, una strada, un mercato all'aperto,
un treno e tutti quei luoghi che si possano prestare ad una rappresentazione invisibile
dinamica.
Gli spettatori non sapendo di essere tali possono intervenire nell'azione scenica senza
inibizioni, possono partecipare alla pari con gli attori che si pretendono persone normali, in
tale senso le condizioni di partecipazione sono non discriminatorie. Non si può parlare di
condizioni di uguaglianza in quanto differenti sono le condizioni di consapevolezza64,
completa per gli attori, inesistente per gli spett-attori65.
Le persone che assistono e partecipano alla scena in qualità di spett-attori sono uomini e
donne che si trovano in quel determinato luogo seguendo i propri itinerari esistenziali
quotidiani. Per tutto il tempo dell'azione di TI, le persone che vi entrano in contatto non
devono avere il minimo sospetto di trovarsi in presenza di uno spettacolo, perché questo li
ri-trasformerebbe in spettatori, riconducendo il tutto su binari scontati. È proprio
l'elemento d'inconsapevolezza che permette di liberare la «straordinaria energia del
fenomeno teatrale» altrimenti imbrigliata in staticizzanti rituali, primo fra tutti quello che
si costituisce sulla dicotomica divisione tra spettatore e attore: da una parte chi osserva,
guarda e riceve lo spettacolo; dall'altra chi ne è fautore agente, proponente e interprete.
All'interno di questa dicotomia ognuno conosce già il suo ruolo specifico, non vi è il
territorio per una elaborazione creativa comune, il preciso ruolo di fruitore o interprete
definisce gli steccati all'interno dei quali viene delimitato il territorio di azione, in queste
condizioni è già tutto noto.
Nel teatro dicotomico è già prescritto chi dovrà recitare e chi dovrà assistere alla
rappresentazione. Boal sostiene che in questo modo si eriga un muro che priva i soggetti
63
A. PONTREMOLI, Teoria e tecniche, cit., p. 67.
64
Si intende qui consapevolezza del fatto teatrale.
65
Boal conia questo neologismo per dare cittadinanza alla nuova concezione di spettatore che nella
dinamica delle tecniche del TdO diventa attore, di fatto rompendo la dicotomia spettatore/attore per
interpretare un attraversamento di confine essendo spett-attore in azione.

39
coinvolti di una vera comunicazione, mantenendoli invero in una posizione di polarità
alternativa: positiva (attore) e negativa (spettatore).
Il teatro invisibile, come particolare declinazione strategica del TdO, mira a destrutturare e
sconvolgere completamente la separazione primaria insita nella rappresentazione,
compromettendo le caratteristiche stesse che contraddistinguono l'evento teatrale66.
È molto importante insistere sul fatto che gli attori non si possono rivelare tali: il carattere
invisibile di questa forma teatrale consiste proprio in questo. E sarà proprio questa
caratteristica che farà in modo che lo spettatore agisca libero come se stesse vivendo una
situazione reale: dopotutto si tratta di una situazione reale! Non più spettatore ma attore-
persona nella scena di teatro-realtà. Inoltre il carattere invisibile dell'azione permette agli
attori, in caso di regimi repressivi, di non subire conseguenze permanendo nell'anonimato.
Ecco qui lo schianto di un altro edificio primario, di un'altra cattedrale costituente del
teatro:

Il come se, che restringe, in qualche modo, il campo dei fenomeni ascrivibili alla sfera teatrale: la legge più
importante del teatro sta tutta in queste due parole, che rivelano la necessità di un patto fra l'emittente e il
destinatario di una comunicazione molto simile a quella interpersonale e nel contempo molto diversa. Questo
patto fa si che chi si pone in situazione di rappresentazione agisca come se facesse sul serio, mentre in realtà
non è così: ciò che viene agìto abita una sfera diversa da quella del quotidiano, vive nella dimensione
dell'immaginario, dove tutto è possibile67.

Nella sua prorompente azione destrutturante il TI pone questione sulla possibilità stessa di
annoverarlo tra le forme teatrali o ci si chiede se ci troviamo di fronte ad un difficilmente
qualificabile altro. Ci avvaliamo di un'epochè, una sospensione del giudizio necessaria a
cogliere le particolarità e sfumature di questa tecnica per addentrarci con maggiori
elementi in questo interrogativo. Vediamo dunque obiettivi e modalità operative.
L'obiettivo del TI è accendere i riflettori su una situazione di oppressione, focalizzare una
contraddizione, operare nella realtà per trasformarla, coinvolgere gli spettatori
inconsapevoli nella rappresentazione per accelerarne una presa di coscienza sulla specifica
problematica affrontata.
Gruppi sociali oppressi, territori sfruttati, microfisica delle relazioni di dominio nei rapporti
umani, ingiustizie più o meno celate da smascherare: questi sono i territori sui quali

66
Prendiamo come riferimento la definizione di A. CASCETTA che parla di teatro come di un'«azione agita
da un corpo in carne ed ossa davanti ad un pubblico nel come se della scena» in Elementi di
drammaturgia, Milano, ISU-Università Cattolica, 1994, p. 5.
67
A. PONTREMOLI, Teorie e tecniche, cit., p. 8.

40
provoca il suo esperire il TdO in generale e il teatro invisibile come sua parte
coerentemente orientata alla lotta trasformativa della società in senso democratico.
Il teatro invisibile ha una struttura conflittuale che mira a far emergere una situazione di
oppressione. Rendere nota una contraddizione sociale attraverso il suo inscenarsi, produce
materiale vivente sul quale costruire le condizioni per un intervento da parte degli
spettatori inconsapevoli, i quali prendendo posizione diventano soggetti agenti,
protagonisti co-produttori dell'azione, per questi spett-attori la matrice teatrale della
situazione resta celata.
Gli spettatori partecipando si attivano e sperimentano in questo modo alcune possibilità di
affrontamento delle iniquità evidenziatesi, l'idea pedagogica di questa tecnica è che
inducendo il pubblico ad avere un comportamento empatico e solidale nei confronti del
soggetto oppresso, questa possibilità ed attitudine diventi patrimonio dei soggetti
intervenuti. Così che in prossime occasioni reali (non indotte da una scena di TI) le persone
(spett-attori intervenuti) abbiano un precedente di resistenza al quale fare riferimento.
Si tratta di costruire una sensibilità critica e attiva da riproporre al di fuori del TI, ma per
gli spettatori-attori, de facto, non farà alcuna differenza: in quanto non essendo stati messi
al corrente di essere all'interno di una situazione indotta da un gruppo di attori (mancanza
di evidenza del come se teatrale) considerano la scena stessa del TI come fatto reale e non
come situazione innescata teatralmente.
Una differenza importante potrebbe essere riscontrata nel fatto che l'agire attuato nel
contesto del TI possa essere per alcuni spett-attori l'occasione di esordio per una presa di
posizione attiva nei confronti di una determinata problematica concreta che gli si manifesta
di fronte agli occhi. Sulla provocazione di questo esordio e sul fornire evidenza e
informazione sulla situazione oppressiva rappresentata, si impernia la valenza pedagogica
di questa tecnica del TdO.

3.2 Il piano d'azione invisibile e la costruzione del percorso

Il tipo di performance previsto nell'azione di TI ha un programma ben definito ed una forte


disciplina della rappresentazione. Le vaste possibilità di intrecci ignoti e le larghe sfere di
imprevedibilità non lasciano possibilità a che l'azione abbia luogo in maniera confusa o
dettata dalla casualità. Alla quantità di variabili prevedibilmente presenti corrisponde un
impegno a predisporre dettagliatamente gli scenari immaginabili, con uno sforzo
immaginativo per ipotizzare anche quelli più difficilmente immaginabili.

41
Il teatro Invisibile ha bisogno di una scrupolosa preparazione di ogni scena, con testi
preparati e copione delle parti; un copione che comprenda idealmente bivi multipli nella
previsione di reazioni e contro-reazioni che possono verificarsi a seconda degli agiti dei
presenti coinvolti. Una sorta di copione a intreccio in divenire che serve per preparare il
gruppo di attori ad affrontare lo svilupparsi degli eventi, situazioni critiche (quali
l'insorgere di comportamenti violenti o l'intervento delle forze dell'ordine) comprese.
Sull'importanza di prepararsi alla possibilità che intervenga la polizia è interessante quanto
riportato nell'articolo che descrive l'Operation Mallfinger68, azione con molte
caratteristiche riconducibili al TI messa in atto nel 1991 in una città della Louisiana negli
Stati Uniti. Nei preparativi dell'azione ci furono lunghe discussioni tra i performer sulla
seria possibilità di attrarre l'attenzione delle forze dell'ordine e su come prevenirsi dal
«finire in seri guai con qualche agente».
Come mediazione, tra gli attori che temevano molto questa possibilità e quelli che
dicevano «facciamolo e basta», decisero di inserire in ogni oggetto (buste e valigette) che
veniva scambiato durante l'azione un volantino che recasse scritto sopra: «“Operation
Mallfinger”, “Invisible theater in a Public Place”» e tutti i nomi degli attori del gruppo. Un
flyer pubblicitario, come se si trattasse di un evento reclamizzato, così che nel caso del
sorgere di difficoltà importanti, avrebbero potuto svelare il fatto di non essere agenti
segreti coinvolti in un'azione di spionaggio bensì attori impegnati in una performance69.
Augusto Boal dal punto di vista tecnico sostiene che sia:

necessario comunque provare varie volte la scena affinché gli attori possano inserire nel loro gioco e nelle
loro azioni le interferenze degli spettatori. Nelle prove è necessario comprendere anche tutti gli interventi
possibili e immaginabili degli spettatori; queste possibilità formeranno una specie di testo con varie scelte70.

Quindi nelle prove dell'azione gli attori attueranno uno sforzo immaginario non
indifferente, impersonando soggetti con i più svariati caratteri e dalle reazioni molteplici:
dagli inamovibili ai reazionari, dai solidali senza timori ai discriminatori senza ritegno
alcuno.
Torniamo ora ai luoghi in cui il Teatro Invisibile viene messo in azione. Consideriamo che
lo spazio pubblico scelto, in cui la presenza e il transito di persone sia assicurato, non sarà
68
J. M. GRAY, “Operation Mallfinger”: Invisibile Theatre in a Popular Context, «The Drama Rewiew»,
Vol. 37, No. 4 (Winter, 1993), pp. 128-142
69
Questo strumento per la tutela degli attori nel caso in cui fosse stato utilizzato, cosa che non accadde,
avrebbe svelato il fatto teatrale e conseguentemente sarebbe venuto meno uno delle caratteristiche
fondamentali di questa tecnica, l'invisibilità.
70
A. BOAL, Il teatro degli oppressi, cit., p. 40.

42
in alcun modo modificato per le necessità dell'interpretazione. Il fatto stesso di essere
pubblico e attraversato determina la dimensione propizia per l'azione di innesco
performativa e la co-produzione della scena di TI. Naturale antropizzata predisposizione,
motivo per cui Boal dice :

Quando si fa teatro in un treno non si può definire questo fatto teatro-nel-treno, ma treno-teatro. Teatro nel
treno sarebbe una forma di far teatro in luogo già adibito a questo fine: il treno stesso. Con teatro-treno
invece intendiamo significare che il locale scelto, un treno, si trasforma in teatro. Lo stesso si potrebbe dire
per altri luoghi, non teatro nella hall del Colón, ma hall del Colón-teatro; non teatro in coda ma coda-teatro e

così via71.

Per la scelta del luogo è necessario compiere un sopralluogo che dia il maggior numero
possibile di informazioni inerenti l'azione, come scrive Paolo Senor: «per poter effettuare
efficacemente e in tutta sicurezza un'azione invisibile bisogna avere una chiara conoscenza
del luogo che la ospiterà»72.
Conoscere l'ampiezza e la conformazione degli spazi, le possibilità di propagazione
dell'azione, la posizione delle entrate e delle uscite, i flussi di presenza di persone, le
tipologie dei frequentatori, le presenze sonore che possano disturbare l'azione, presenza o
meno di personale dedito alla sicurezza e i tempi di intervento della stessa, conoscere le vie
per lo sganciamento e le molte altre informazioni che un attenta osservazione può dare.
Per quanto riguarda il pubblico, si presume che tutte le persone che si trovano vicino
all'azione di TI rimangono coinvolte nello svolgimento, evidentemente i livelli di
partecipazione saranno differenti ma comunque si tratta di un fatto performativo aperto,
che crea uno spazio di nuova possibilità e travolge il luogo in cui si attua con la sua
presenza performativa.
Essendo praticato in un luogo pubblico, il teatro invisibile è percepito da tutti i presenti,
può anche accadere che un passante decida di disinteressarsi di quanto accade ma anche
questa scelta rientra nelle reazioni all'azione prodotta. Boal afferma che nel TI sono
«aboliti i riti teatrali: esiste solo il teatro, senza la varie diramazioni vecchie e consumate;
l'energia teatrale ha modo di sprigionarsi completamente, e l'impatto che questo teatro
libero provoca è molto più violento e duraturo»73, gli effetti durano fino a molto dopo che
la scena è terminata.
71
Ivi, p. 94.
72
P. SENOR, La ribalta degli invisibili, Storie e strumenti del Teatro dell'Oppresso, Milano, Terre di
Mezzo, 1994, p. 72.
73
A. BOAL, Il teatro degli oppressi, cit., p. 42.

43
Esemplificativo degli effetti continuativi prodotti dal TI nel tempo è l'episodio riportato nel
libro di Paolo Senor74, La ribalta degli invisibili. In questo episodio una delle attrici
promotrici dell'azione racconta di aver assistito, qualche giorno dopo l'intervento di TI,
durante una festa di compleanno al racconto di una ragazza che riportava ai presenti
proprio «di una strana situazione a cui aveva assistito dentro un certo bar di Novara». E
proseguendo narrava di come «un tipo si è alzato e voleva scacciare due ragazze dal bar
solo perché si scambiavano tenere effusioni... vi rendete conto? Allora un bel po' di
persone si sono scatenate in un'accesa discussione sul senso dell'accaduto»75.
Ecco che l'energia della situazione creata dal TI e le riflessioni scatenate dall'intervento si
ripropongono nel tempo oltre lo svolgimento dello stesso, sia su un piano individuale che
di narrazione e condivisione collettiva. In questo modo la forza esperienziale propagatrice
dell'accadimento perdura e si ripropone con tempi e modalità differenti e poco prevedibili,
ma certamente significativi.

3.3 Un esempio chiarificatore: Treno-Teatro: di chi è la colpa?

Nel saggio Teatro non istituzionalizzabile: teatro invisibile76, Boal riporta sei tracce
esemplificative della messa in opera di questa tecnica del TdO, per comprendere come
l'ideatore di questa strategia concepisse la formulazione dell'azione, ne riportiamo una in
sintesi: Treno-teatro: di chi è la colpa?
L'azione si prepara: gli attori entrano nel vagone, si sparpagliano, chiudono le finestre per
favorire l'acustica e si premurano di avere un buon margine di sicurezza (verificando
l'assenza di agenti di polizia e controllori), dopo di che cominciano a interagire con i
viaggiatori ignari a mezzo di conversazioni per scaldare l'atmosfera.
L'azione comincia: fatta qualche fermata, due attori inscenano un incontro fortuito e
iniziano una chiacchierata amichevole fatta di convenevoli e domande basilari su come
vanno le cose. Il primo attore dice di lavorare per la Standard Oil77 e racconta di aver
conseguito da poco un aumento di stipendio dopo averne fatto richiesta, subito aggiunge
74
Paolo Senor regista e formatore, in veste personale e con l'associazione “Livres como o Vento” si occupa
della sperimentazione e divulgazione del Teatro dell'Oppresso e di altre forme artistiche finalizzate
all'impegno civile. Per quanto riguarda il TdO è uno dei riferimenti in Italia.
75
P. SENOR, La ribalta degli invisibili, cit., p. 14.
76
A. BOAL, Il teatro degli oppressi, cit., pp. 93-99.
77
Standard Oil, compagnia petrolifera completamente integrata nei settori della produzione, trasporto,
raffinazione e commercializzazione. Costituita dalla famiglia Rockefeller è stata una delle prime
multinazionali statunitensi. Nella scelta di porre l'attenzione su questa compagnia vi è l'intento
informativo di denunciare l'ingerenza economica e politica delle imprese multinazionali statunitensi sulle
vicende del Sud America.

44
che molto presto il costo della vita è continuato a salire; quindi si è trovato punto e a capo
ad affrontare prezzi troppo cari. I due attori si chiedono, retoricamente, di chi sia la colpa
di questa corsa all'aumento dei prezzi.
Il primo attore afferma che per lui la colpa è dei fruttivendoli che profittandosi della
preclusione al consumo di carne degli strati popolari argentini78 a causa del costo troppo
elevato, aumentano i prezzi della verdura costantemente.
Fino a questo momento gli altri attori non partecipano direttamente allo scambio di battute
ma sollecitano gli altri viaggiatori a fare attenzione alla conversazione inscenata, questa
funzione di stimolo è molto importante, compartecipa a creare il contesto ricettivo.
La prima scena deve durare il tempo di percorrenza tra una stazione e l'altra, stimato di
circa tre minuti (treno interurbano con fermate a breve distanza l'una dall'altra), al
momento della fermata sta agli attori stessi capire se sia necessario fermarsi o proseguire, a
seconda dell'afflusso e del deflusso di passeggeri.
Il viaggio riprende e l'attore rimarca la colpa dei fruttivendoli; a questo punto un'attrice
protesta, si dice moglie di fruttivendolo e afferma che non sia accettabile incolpare così la
categoria, spiegando che l'aumento del prezzo della verdura è dovuto all'aumento del costo
dei trasporti e che il ricavo per i venditori è rimasto invariato. Dopo di che interviene un
altro attore che interpreta un autista di camion che si vede costretto a prendere il treno
poiché ha forato una gomma e non ha i soldi per cambiarla. Costui afferma di aver dovuto
alzare il prezzo del trasporto a causa dell'innalzamento del costo della benzina!
Un signore79 dichiarandosi nazionalista convinto sostiene che non si può biasimare la
Standard Oil per l'aumento dei carburanti, dovuto alle pretese operaie di aumenti che
innescano una reazione a catena sull'aumento dei prezzi; il soggetto da biasimare è dunque
l'attore che è intervenuto per primo, il lavoratore che con la sua richiesta ha dato l'avvio a
tutto il ciclo di aumenti dei prezzi.
L'operaio chiamato in causa si difende dicendo che la causa della sua richiesta sono le
continue lamentazioni della moglie sulla mancanza di denaro, c'è lei all'origine di tutto il
processo rialzista. L'attrice moglie è al suo fianco, incinta e con una enorme pancia finta,
spiega che la richiesta è dovuta al fatto che se i soldi non bastano per due figurarsi per tre.
Tutti gli attori intervenuti concordano nel dare la colpa al bambino che non ancora nato già
sta disorganizzando il sistema economico della nazione80.
78
L'azione è effettuata nell'Argentina degli anni '70.
79
Nella traccia di Boal non è chiaro se sia attore o interveniente dal pubblico, si presume si un altro attore,
qui anche la narrazione sta nello spirito dell'imprevedibilità del contesto.
80
Questa scena venne rappresentata dal gruppo teatrale argentino “Once Al Sur” su un autobus della città di
El Salvador in America Centrale. In questo caso, l'attrice incinta colpiva ripetutamente e con foga il suo

45
Arrivati a questa conclusione gli attori protagonisti della scena scendono dal treno, gli
appartenenti al gruppo teatrale che fungevano da animatori delle discussioni e da supporto
all'azione rimangono, prendendo nota degli effetti dell'azione sul pubblico ed
eventualmente continuando, sempre senza svelarsi, nell'opera di elaborazione delle
questioni emerse. L'appunto finale di Boal a questa scena è:

in scene come queste è conveniente che i passeggeri non si rendano conto che si tratta di scena e attori. Dal
momento in cui prendono coscienza che si tratta di teatro, immediatamente tutte le reazioni si ritualizzano, i
passeggeri cioè si riducono alla loro qualità di spettatori passivi e poi destinati a subire uno stimolo, ma
niente più81.

Secondo questa riflessione viene riconfermata la necessità pregnante del non svelamento e
del mantenimento dell'invisibilità celata nella tecnica.

3.4 Questione ecologica e vivibilità: una proposta conviviale

In Il poliziotto e la maschera si narra l'azione di TI che stravolse l'utilizzo degli spazi


stradali destinati al traffico nella città di Stoccolma. In questa occasione, l'utilizzo dello
spazio fisico venne ribaltato, la legge di normatività sociale che prevede soggetti umani
incastonati nelle proprie automobili e aggrovigliati nel traffico urbano all'ora di punta,
viene sospesa da una famiglia di attori che pazientemente e con disinvoltura si mette a
gustare il suo te su una tavola appositamente imbandita.
La tavola apparecchiata con tovaglia, fiori, tazze da tè e biscotti, è inizialmente posta sul
marciapiede e la famiglia vi è intenta ad assaporare la sua merenda. Poco distante
stazionano tre automobili di attori pronte ad entrare successivamente in azione. Due attori
che interpretano il ruolo di passanti protestano sul fatto che il passaggio sia ostruito e
affermano che il marciapiede non è luogo per banchettare; dopo una piccola discussione la
famiglia decide di trasferirsi direttamente sulla strada.
Le tre macchine complici entrano immediatamente in azione ed ai cenni di fermarsi dei
componenti della famiglia si arrestano, bloccando la strada e paralizzando completamente
la circolazione; a questo punto la bella tavola imbandita viene riposizionata ed il tea time
riprende imperturbabile.

ventre esasperando tragicamente la situazione, i passeggeri-spettatori cercavano di impedirglielo


bloccandola afferrandole le braccia. Durante una di queste rappresentazioni l'autista fermò l'autobus e
chiamò le forze dell'ordine.
81
A. BOAL, Il teatro degli oppressi, cit., p. 96.

46
Gli attori delle tre vetture agiscono come automobilisti e cominciano a discutere con la
famiglia asserendo che la strada è fatta per il transito delle vetture e non per desinare; in
breve tempo le carreggiate si riempirono fino a saturazione con ogni tipo di mezzi di
locomozione, e scattò una sorta di gioco fra la famiglia di attori e gli attori-autisti, con gli
uni che cercavano di convincere gli automobilisti fermi a prendere un tè e rilassarsi
insieme e gli altri che peroravano la necessità di sgomberare la sede stradale e permettere il
normale svolgersi della circolazione. Ogni parte così facendo cercava di innescare una
presa di posizione negli spett-attori, cercando di portarli ad appoggiare la propria causa.
Si determinò un vivace dibattito che vide spett-attori accettare l'invito e accompagnarsi
all'allegra famigliola nella degustazione di questa particolare merenda ed altri opporsi
risolutamente a quanto stava accadendo. Qui un passaggio del report di Boal sull'azione:

S'indignarono: «perché non andate a casa vostra a prendere il tè?». «Perché noi non abbiamo una vettura così
bella come la vostra. Perché non abbiamo abbastanza tempo; noi abbiamo giusto un'ora di pausa nel nostro
lavoro. Vedi, noi lavoriamo a Stoccolma e viviamo a Saltsjobaden, a quasi un'ora da qui! Perché... ecc».
Gli argomenti si contrapponevano, Gli attori si entusiasmarono e continuarono a improvvisare ben oltre il
testo. Siccome gli spettatori rispondevano meravigliosamente bene, l'improvvisazione durò ancora un quarto
d'ora, cosa enorme per questo tipo di manifestazione teatrale e in tali circostanze. Le giustificazioni andavano
di buon passo... Fino all'arrivo della polizia!82

Con questo intervento avviene una risignificazione dello spazio attraverso il TI, per il
tempo dell'azione avviene il riappropriarsi del soggetto umano del non-luogo83,
luoghizzandolo. La sede stradale è vissuta quotidianamente nell'alienazione del traffic jam,
in una geografia delle infrastrutture descritta secondo le funzionalità per le quali sono state
costruite. I Non-luoghi sono gli spazio dell'anonimato dequalificante, in cui avviene uno
svuotamento di significato dell'essere che li attraversa, esemplificazione di questa
condizione sono le arterie stradali periferiche delle metropoli e le autostrade.
Il luogo, secondo Marc Augè, ha tre caratteristiche essenziali: essere identitario - in grado
quindi di individuare l’identità di chi lo abita - essere relazionale - stabilendo una
reciprocità dei rapporti tra gli individui funzionale ad una comune appartenenza - essere
storico - mantenendo la consapevolezza delle proprie radici in chi lo abita.
Luoghizzare temporaneamente, nel caso dell'azione del tè a Stoccolma, significa soddisfare

82
A. BOAL, Il poliziotto e la maschera. Giochi, esercizi e tecniche del Teatro dell'Oppresso, Molfetta (BA),
La Meridiana, 2009., p. 44.
83
Si fa qui riferimento al concetto elaborato da M. AUGÈ, Non luoghi, Introduzione a una antropologia
della surmodernità, Milano, Elèuthera, 2009.

47
le prime due caratteristiche: individuare l'identità dei soggetti84 che popolano lo spazio
temporaneamente e determinare nel vissuto contraddittorio dell'azione e nella discussione
che ne ha origine lo spazio relazionale. Non si da soddisfazione alla qualità storica in
quanto si tratta di un'azione temporanea, la storicità può forse essere rilevata nell'infrazione
della destinazione d'uso che rompe con l'usualità del non-luogo in quanto tale85, per poi
ricomporsi nella sua estraneità funzionale al termine dell'azione.
Altra lente interessante attraverso la quale prendere in analisi la condizione di alienazione
determinata da fattori di iperproduzione (automobili) ed iperspecializzazione (strade
destinate unicamente al traffico) è la teorizzazione che Ivan Illich, in La convivialità, fa del
concetto di strumento. Per strumento egli intende qualunque prodotto culturale (sia esso un
oggetto, un bene o un servizio) che serve a sopperire alle naturali carenze umane e a
soddisfare i suoi bisogni. Più precisamente: «La categoria degli strumenti abbraccia i
mezzi ragionati dell'azione umana […]. Ogni oggetto assunto come mezzo di un fine
diviene strumento, ogni mezzo concepito apposta per un fine è uno strumento ragionato»86.
Dato un insieme di strumenti, il cui patrimonio varia da una civiltà all'altra, esso può essere
usato in due modi: «Nelle misura in cui io padroneggio lo strumento conferisco al mondo
un mio significato; nella misura in cui lo strumento mi domina, è la sua struttura che mi
plasma e informa la rappresentazione che io ho di me stesso»87. L'ipertrofia generata dal
traffico automobilistico è un chiaro esempio di uno strumento che si riversa per inversione
in elemento di dominio.
Nell'azione di TI che si è presa qui in analisi, di fatto un'occupazione temporanea delle
strade di Stoccolma, oltre alla risignificazione dello spazio attraverso la performance,
emerge il costituirsi di una zona di ascolto. La discussione allargata che si viene a creare
determina un riconoscimento di reciprocità tra posizioni differenti, l'argomentazione
vivente delle contraddizioni critiche: meccanizzazione della società, tempi di lavoro e
tempi della convivialità, vivibilità e destinazione d'uso degli spazi urbani tra luoghi e non-
luoghi, stili di vita e problematiche ecologiche.
Paolo Perticari domandandosi «chi educa gli educatori?» nella sua discussione sul rapporto
che intercorre tra etica e scienze dell'educazione parla della necessità di spazi di
riconoscimento della reciprocità in questi termini:

84
Seppur gli attori interpretano un'identità fittizia è comunque un'identità sociale che stanno impersonando.
85
Non solo si attua una rottura dell'usualità d'uso ma si abita questo spazio rendendolo temporaneamente un
nodo semantico d'intreccio relazionale.
86
I. ILLICH, La convivialità, Milano, Mondadori, 1974, p. 50.
87
Ivi, p. 51.

48
La zona dell'ascolto, della conversazione emerge […] come critica della comunicazione, come archeologia
dei processi formativi e come contropotere diffuso rispetto agli apparati della comunicazione generalizzata.
Nel tempo di ora può prodursi il resto. Un resto, un luogo – una conversazione – in cui trovarsi vis-à-vis con
l'altro, con il senso di ignoranza, di imprevedibilità e indeterminatezza che ciò comporta oltre ogni sistemica
e prima di ogni forma di comunicazione88.

Va notato nell'azione di TI riportata viene esposta una problematica oppressiva, ma ciò


viene fatto attraverso l'inscenamento di una proposta positiva, per svelare l'annichilimento
della metropoli si ricorre all'offerta di convivialità. La tavola condivisa è la proposta di uno
spazio tempo differente, lo spazio dell'ascolto e dell'incontro, determina la possibilità di
fermarsi e di accorgersi del mondo con la prospettiva di un altro sguardo.

3.5 Reclaim the streets: affinità critiche e convergenze performative

A proposito della questione ecologica, il gruppo di Teatro Invisibile attivo con Boal a
Stoccolma, attuata nel periodo di permanenza Europea di Boal tra il 1977 e il 1979 è
precursore di tematiche sociali e movimenti d'attivismo che sbocceranno e conquisteranno
lo spazio pubblico ed il dibattito politico negli anni '90 e 2000, come Raclaim The Streets
e le coincidenze organizzate di ciclisti delle Critical Mass. Con la riappropriazione delle
strade ed al grido di «Noi non blocchiamo il traffico, noi siamo il traffico», questi
movimenti impongono al convenzionale utilizzo degli spazi pubblici stradali nelle città e
nei loro dintorni un vero e proprio stravolgimento di senso, attraverso pratiche temporanee
di liberazione e di condivisione dell'evento da parte di una comunità di soggetti che si
riconosce attraverso la co-produzione di queste pratiche. Avviene così una concreta
liberazione dello spazio pubblico che almeno per qualche ora elimina le traccie dl traffico,
commercio e produzioni inquinanti.
Si riporta una significativa citazione, descrittiva delle manifestazioni di Reclaim The
Streets (d'ora in poi RTS) tratta da No logo di Naomi Klein, per l'importanza che questo
movimento assumerà a livello globale e per la particolare affinità di alcuni dettagli con le
tecniche del teatro invisibile. RTS riuscirà nel 1998 a coinvolgere in contemporanea più di
venti città in altrettanti paesi sparsi per il globo in una giornata di riappropriazione delle
strade e di ripensamento ecologico delle esistenze chiamata Global Street Party:

88
P. PERTICARI, Pedagogia e etica, ovvero quel che resta dell'altro, in P. PERTICARI (a cura di),
Pedagogia degli apprendimenti difficili e degli attraversamenti di confine, Milano, Guerini, 2001, p. 41.

49
Since 1995, RTS has been hijacking busy streets, major intersections and even stretches of highways for
spontaneous gatherings. In an istant, a crowd of seemengly impromptu partyers transforms a terrific artery
into a surrealist playpen. Here's how it works. Like the locations of the original raves, the RTS party's venue
is kept secret until the day. Thousands gather at the designated meeting place, from which they depart en
masse to a destination known only to a handful of organizer. Before the crowds arrive, a van rigged up with a
powerful sound system is surreptitiously parked on the soon-to-be-reclaimed street. Next, some theatrical
means of blocking traffick is devised – for example, two old cars deliberately crash into each other and a
mock fight is staged between the drivers. Another technique is to plant twenty-foot scaffoldings tripods in the
middle of the roadway with a brave lone activist suspended high up the top – the tripod poles prevent cars
from passing but people can wave between them freely; and since to knock the tripod over would send the
person on top crashing to the ground, the police have no recourse but to stand by and watch the events
unfold. With traffick safely blocked, the roadway is decleared a “street now open”. Sings go up say
“Breathe”, “Car Free”, and “Reclaim Space”. The RTS flag – a bolt of lightning on different colored
backdrops – goes up and the sound system begins to blast everything from teh leatest electronic offerings to
Louis Armstrong's “What a Wonderful World.”
Then seemingly out of nowhere comes the traveling carnival of RTSers: bikers, stilt walkers, ravers,
drummers. At previous parties, jungle gyms have been set up in the middle of intersections, as well as giant
sandboxes, swing sets, wading pools, couches, throw rugs and volleyball nets. Hundreds of Frisbees sail
through the air, free food is circulated and teh dancing begins – on cars, at bus stops, on roofs and near
signposts. Organizers describe their road-napings as anything from the realization of “a collective daydream”

to “a large-scale coincidence”89.

Gli elementi che maggiormente ci interessano di questo movimento rispetto alle strategie
del Teatro dell'Oppresso sono tre: la capacità di RTS di creare le condizioni per un
coinvolgimento attivo della comunità partecipante, rompendo molti degli schemi
precostituiti di tante manifestazioni politiche si allargano le sfere di commistione fra
organizzatori e soggetti intervenuti all'evento; il coinvolgimento attraverso la presenza
fisica e la condizione di percezione comunitaria dei partecipanti che realizzando «un sogno
ad occhi aperti collettivo» integrano la liberazione delle strade e le dinamiche della festa,
luogo simbolico e concreto dell'espressione di una volontà orizzontale della collettività
temporanea che costituendola la produce90; la presenza di azioni esplicitamente
teatralizzate.
Vediamo nel dettaglio alcune di queste scene teatralizzate agite nel Luglio 1996 durante
l'occupazione dell'autostrada a sei corsie M41 alla periferia di Londra. Pensiamo
all'innesco dell'azione riportata nella citazione, due automobilisti-attivisti (dei quali
89
N. KLEIN, No Logo, London, Flamingo HarperCollinsPublishers, 2000, pp. 312-13.
90
In riferimento alle comunità temporanee espressione delle controculture radicali, cfr. H. BEY, T.A.Z. Zone
Temporaneamente Autonome, Milano, ShaKe, 2007.

50
possiamo denotare la condizione attoriale) fanno scontrare volontariamente le loro
automobili, due vecchie bagnarole appositamente predisposte per l'occasione, causando un
incidente vero (per quanto modulato) che blocca fisicamente il traffico. In seguito al crash
si precipitano repentinamente al di fuori delle vetture per intraprendere una discussione
animata, un litigio fra automobilisti stressati che arriva ad essere parodia di una rissa. A
questo punto con precisa sincronia, da una strada laterale giunge sonante il furgone di RTS
attrezzato con un potente sound system ed addobbato di striscioni colorati recanti slogan
ecologisti, seguito dalla sua comunità festante. Il sound va a posizionarsi oltre il luogo
dell'incidente, dove il normale deflusso del senso di marcia (sede autostradale) ha lasciato
lo spazio sgombro, le auto che seguivano rimangono ferme, i conducenti ignari restano
attoniti e sbigottiti (in qualche caso divertiti) da questa scena surreale, e le loro auto
bloccate.
L'autostrada è ora occupata, l'innesco teatralizzato ha funzionato e l'azione di
riappropriazione dello spazio prende vita nell'avverarsi della festa, così per buona pace
degli animi dei loro personaggi, gli attori-attivisti automobilisti infervorati possono unirsi
ad essa e far così defluire lo stress dei loro ruoli e i personaggi stessi in questa nuova
condizione liberatoria.
Nell'avvio teatrale di quest'azione troviamo evidentemente elementi di teatro invisibile, la
regia organizzata degli eventi, l'iniziale inconsapevolezza del pubblico, l'intento
pedagogico, l'esposizione di una condizione di oppressione rappresentata dall'alienazione
dello spazio trafficato e dal deturpamento ed inquinamento del territorio.
Altro elemento performativo agito durante la stessa azione, fondente in sé presenza scenica
e protesta ecologista, sono le due maschere giganti vestite con elaborati costumi
carnevaleschi elevantesi a svariati metri di altezza sulla strada, sorrette da elaborate
impalcature in legno e ferro e ricoperte da enormi gonne circolari di stoffa.
Esse non avevano solo una funzione scenica ma anche una funzionale al sabotaggio fisico
del manto stradale, le grandi sottane coprivano l'azione di attivisti che rifacendosi alla
filosofia del Guerrila Gardening intervenivano con martelli pneumatici sull'asfalto, il
rumore degli attrezzi a compressione veniva completamente coperto dall'alto volume della
musica, nei solchi ricavati venivano piantati piccoli alberi ed arbusti. L'innesco aveva
prodotto un innesto, e un'anomalia significante aveva temporaneamente travolto
l'autostrada. Gli attivisti di RTS rielaborano a modo loro uno slogan del '68 Parigino, «Sus
les pavés... la plage», con un riattualizzato «Sotto l'asfalto... una foresta».
Boal termina il racconto dell'azione di Stoccolma su una dimensione di ambivalenza,

51
l'emergere di una situazione di festa e l'arrivo del controllo della polizia, come non vedere
in questo caso l'esprimersi di quella tensione anti-strutturale che secondo Turner è insita
nel teatro e visto che questa proposta erompe in quanto non dichiarata nell'esperienza del
reale, come immediatamente le normativizzazione accorre a ricomporre la crisi e a
riposizionare la normalità del razionalismo consumista e del non luogo:

Se la scena fosse durata il tempo previsto, i protagonisti del gioco avrebbero avuto il tempo di fare bagagli e
andarsene in santa pace. Ma l'entusiasmo degli attori e degli spettatori (erano giunti a formare un cerchio e a
ballare al ritmo dei colpi di clacson dei bus e dei taxi!) ha fatto si che i poliziotti disponessero del tempo
necessario per la loro entrata spettacolare91.

Si decreta così l'avverarsi di un diacronico incontro speculare: un'azione di Teatro


Invisibile che sfocia con le improvvisate danze circolari in una dinamica festiva e un'azione
ecologista di occupazione urbana attraverso una dinamica di festa92 peculiarmente
organizzata che prende l'avvio da una scena in stile invisibile.

3.6 Connessioni storiche: il Teatro-Guerriglia risignifica le strade

Ritenuto terminato il capitolo a questo punto, necessita ora un ampliamento, essendosi


verificato un interessante sviluppo di conoscenza che analogicamente all'espressione
learning by doing posso definire learning by writing. Infatti rivolgendomi alla letteratura
esistente sul teatro politico, nello scrivere il capitolo di questo lavoro che prende in analisi
la rottura della dicotomia attore/spettatore, mi sono imbattuto nell'esperienza dei Diggers,
definiti da Really Free Culture, vera e propria enciclopedia delle esperienze radicali
espresse dai movimenti libertari nella storia e in tutto il globo, in questo modo:

[they] were a radical community-action group of activists and Improvisational actors operating from 1967 to
1968, based in the Haight-Ashbury neighborhood of San Francisco. Their politics have been categorized as
“left-wing"; more accurately, they were “community anarchists" who blended a desire for freedom with a

91
A. BOAL, Il poliziotto e la maschera, Cit., p. 44.
92
L'importanza della festa nel vivere sociale umano è fatta oggetto di narrazioni e miti in ogni cultura, come
ad esempio la leggenda degli Inuit Alaskani “Il dono della festa” raccontata da Sadluaq a Knud
Rasmussen nel 1923, nel quale l'aquila, rappresentante della saggezza nel regno animale, trasmetteva
dopo aver minacciato di morte un Inuit se non avesse acconsentito a celebrare una grande festa di canti,
l'uomo pur non sapendo di cosa si trattasse acconsentì e fu allora che l'aquila donò agli umani il sapere
della festa.
Poiché senza la festa il cuore dell'uomo si consuma nella solitudine. L'uomo solo deve trovarsi di fronte
alla propria fine perché impari a far festa. È necessaria la disperazione. Cfr. K. RASMUSSEN, Il grande
viaggio in slitta, Macerata, Quodlibet, 2011.

52
consciousness of the community in which they lived93.

In quel prossimo capitolo cercherò di porre le istanze rivoluzionarie del TdO in materia di
superamento dicotomico, all'interno di un quadro internazionale che nella molteplicità
delle esperienze metteva al centro della propria riflessione pratica proprio tale volontà di
coinvolgimento del pubblico. Quindi l'interrogazione del rapporto tra vita e teatro, e
dell'accedere a una consapevolezza politica critica e agente attraverso l'esperienza
performativa.
In quella sede si parlerà più approfonditamente di questo gruppo teatrale politico, e se il
processo di learning by writing è fisiologico ad ogni ricerca, il ritrovare la descrizione di
eventi che paiono gli antesignani dell'azione Reclaim the street appena descritta è stato
come l'annodare gli estremi di una stessa corda che per qualche motivo era stata recisa.
Come se un coincidente evento si fosse già storicamente determinato in un altro luogo e in
un altro momento, similmente alla coincidenza tra pratiche clandestine agitprop e teatro
invisibile. Vediamo di cosa si tratta riportando le descrizioni degli eventi: Full Moon
Celebration of Halloween dell'ottobre 1966,

in cui uno spettacolo-gioco con due enormi pupazzi riesce a coinvolgere automobilisti e passanti, raduna una
larga folla, e provoca l'intervento della polizia per il blocco del traffico. La polizia, come il «Berkley Barb»
riporta, arresta burattini e burattinai mentre la folla danza intorno al cellulare al suono di giradischi portatili94.

e Death and Rebirth of Haight Ashbury, avvenuta nel quartiere Hippy di San Francisco nel
dicembre del 1966,

I Diggers raccolgono decine di specchietti nei cimiteri d'auto, si procurano qualche centinaio di fischietti,
candele, bastoncini d'incenso e preparano grandi manifesti con la scritta NOW (adesso). L'azione comincia
senza alcun preavviso con la distribuzione dei manifesti, specchi e fischietti ai passanti, mentre membri della
Mime Troupe marciano cantando lungo i lati della strada. Gruppi di ragazze, in ampie tuniche bianche,
offrono fiori e incenso ai passanti. L'atmosfera consueta della strada si trasforma. L'autista di autobus ferma il
veicolo, esce e comincia a danzare. I passeggeri scendono e si mescolano alla folla. Si radunano parecchie
centinaia di persone che partecipano alle danze e ai giochi che si accendono spontaneamente. Le regole che

93
L. TUSMAN, Really Free Culture: Anarchist Movements, Radical Movements and Public Practices, p.
156, consultabile e scaricabile in rete all'indirizzo https://en.wikipedia.org/w/index.php
title=Special:Book&bookcmd=download&collection_id=3940c29eb6a69bc0d268b9c14ba66b8cc4dd44c
3&writer=rdf2latex&return_to=Book%3AReally+Free+Culture; coerentemente con le filosofie per la
liberazione dei saperi che si vogliono pubblici, liberi e gratuiti.
94
C. VICENTINI, La teoria del teatro politico, Firenze, Sansoni, 1981, pp. 151-152; che si riferisce
all'articolo: Diggers New Game: the Frame, «Berkley Barb.», 4 dicembre 1966.

53
determinano il nostro comportamento quotidiano svaniscono, la zona è quindi liberata95.

Come non vedere le similitudini tra gli eventi teatrali dei Diggers del 1966 e l'azione
Reclaim the streets del 1996, che portano entrambe alla costituzione di zone liberate. E se
ci sono importanti differenze sul territorio d'azione e nell'identificazione delle finalità, i
fattori in comune sono evidenti. Vi è la comunanza in alcuni degli elementi strutturali: il
coinvolgimento dei partecipanti, lo stravolgimento nei comportamenti attuati, la
risignificazione degli spazi; e in molti elementi scenici e pragmatici: il blocco del traffico, i
pupazzi giganti, i cartelli inneggianti ad altre forme di esistenza, il richiamo dell'attenzione
della polizia, la diffusione della musica propria ai movimenti, la pratica del gioco, la danza.
Dal Now dei cartelli dei Diggers al Reclaim Space di RTS, dai giradischi portatili ai potenti
sound system, dal backgroud dei movimenti radicali negli Stati Uniti dei 60s a quello
dell'Europa dei 90s; ci si può azzardare a dire, senza implicare il richiamo a idee copiative
e di replica, ma trovando in questa comunanza una linea di continuità liberatoria: declinare
nuove forme per far emergere antiche sostanze.

95
C. VICENTINI, La teoria del teatro politico, cit., p. 151; cit. basata sulla descrizione di E. GROGAN,
Ringolevio, Boston, Little, Brown and Company, 1972, p. 259.

54
4 - TEATRO FORUM:
TEORIA E PRATICA

Dopo aver visto i fondamenti teorici e i caratteri pratici del teatro invisibile, prendiamo ora
in analisi un'altra tecnica del TdO, il teatro forum (d'ora in poi possibilmente TF). Due
sono i motivi dell'ampliamento di analisi a questa tecnica: il primo attiene alla volontà di
mantenere uno sguardo d'insieme sulla metodologia TdO composta dalle differenti
tecniche, il secondo è di tipo comparativo, prendendo le due tecniche invisibile e forum e
mettendole a confronto si può dare vita ad un dialogo virtuoso che metta in luce
caratteristiche e riflessioni altrimenti difficili da esprimere.
Infatti è molto importante comprendere l'intento complessivo del TdO e quindi non
isolarne una singola tecnica dall'insieme; ritengo che per ben comprendere le motivazioni,
le riflessioni e le pratiche di ogni singolo ramo sia importante conoscere l'albero nel suo
insieme e nelle sue diverse componenti: apparato radicale, tronco, insieme della chioma, i
rami e il fogliame, e non ultimo il suolo (inteso come ecosistema) in cui è immerso96.
Inoltre conoscere nello specifico anche il teatro forum può dare un'interessante sponda per
un raffronto con l'invisibile per individuarne affinità e divergenze salienti. Di rilevante
interesse, in questo senso, è denotare la continuità con la quale vengono intese le differenti
tecniche di TdO dal suo fondatore. Boal, nell'introdurre la spiegazione del funzionamento
del teatro forum, in Il poliziotto e la maschera, dice:

nel teatro invisibile lo spettatore si trasforma in protagonista dell'azione senza averne coscienza. Egli è il
protagonista della realtà che vede, perché ne ignora l'origine fittizia. Ecco perché è indispensabile andare più

lontano e far partecipare lo spettatore a un'azione drammatica, ma con piena coscienza di causa97.

È proprio nel teatro forum che ciò accade, lo spettatore è chiamato ad essere partecipe, ad
entrare nella scena drammatica, a uscire dalla posizione di fruitore passivo. Ma a differenza
dell'invisibile ciò avviene nella piena consapevolezza dell'accadimento, nel quadro del
come se riconosciuto, permettendo ai soggetti di prendere voce e di esprimersi liberamente
sulle proprie problematiche. Nel TF vengono agiti attraverso la teatralizzazione i tentativi
di cambiamento, sperimentando nello spazio riconosciuto della scena ipotesi di azione. Il
teatro è pensato in questa tecnica come luogo di elaborazione della realtà sociale ed

96
Si fa riferimento diretto all'albero del Teatro dell'Oppresso, immagine formulata e adottata dall'intero
movimento.
97
A. BOAL, Il poliziotto e la maschera, cit., p. 45.

55
esperimento di pratiche attive volte alla modifica di stati di oppressione, in tal senso il
forum attivando la consapevolezza collettiva, vuole mettere in moto un'intelligenza
comune e diventare campo di allenamento. Lo spazio allenante è inteso in funzione
preparatoria, nell'ottica proiettiva successiva di applicare quanto sperimentato e appreso
nel luogo teatrale alla realtà effettiva laddove tali problematiche prevaricanti si
determinino.
È opportuno dire che come per il teatro in generale, anche per il TdO non esiste
l'anagrafica reificata del gruppo che lo attua, bensì una galassia di soggetti che ne
utilizzano le tecniche e le elaborazioni con diverse forme e nei più svariati ambiti. Ma oggi
ci si chiede quali sono e quali possano essere i territori di impegno del TdO? In quali
campi può servire tale elaborazione e con quali tecniche? Cerchiamo le risposte a queste
domande seguendo quanto dice Roberto Mazzini98 al riguardo; considerando che il TdO
(banalità?) serve a costruire mondi di possibilità nel modificare il mondo attuale verso
condizioni di giustizia sociale, serve a cercare soluzioni efficaci per un mondo migliore.
Mazzini sostiene che il TdO, oggi, può essere impiegato attivamente nei seguenti territori
semantici: in campo politico, per dare voce alla base, per dare spazio pubblico alle
discussioni della polis, per dare strumenti ai percorsi di attivismo, come strumento di
proposta e controllo popolare delle istituzioni (con il Teatro Legislativo); in campo sociale,
per rafforzare i processi di liberazione dei gruppi discriminati e oppressi, come strumento
d'indagine delle condotte quotidiane per individuarne i nodi problematici da modificare; in
campo educativo, per sviluppare strumenti di analisi della realtà, di espressione e gestione
dei conflitti, costruire dinamiche di comunicazione costruttiva, creazione di autostima, agio
e fiducia nei singoli soggetti e nei gruppi; in campo terapeutico, «per non lasciare che la
terapia operi il suo riduzionismo trasformando il malessere sociale in problema psicologico
individuale, affinché si riescano ad individuare i legami tra “sofferenza individuale” e
“contraddizioni sociali”»99; in campo teatrale, per porvi una forte proposta a matrice
sociale che ne avversi la commercializzazione e la mera funzione di intrattenimento
disimpegnato.

4.1 Traccia di base e drammaturgia simultanea

Individuiamo ora alcune caratteristiche comuni al TF e alla drammaturgia simultanea, la

98
R. MAZZINI, Introduzione in A. BOAL, Il teatro degli oppressi, cit., pp. 7-10.
99
Ivi, p. 8.

56
seconda è un'esperienza sperimentale che prefigura l'avvento del primo. Viene individuata
una questione sociale e politica problematica, ciò è comune a tutte le tecniche del TdO, che
possa suscitare molto interesse nelle persone, una tematica sentita che diventa la questione
sulla quale lavorare teatralmente. Scelto il tema da cui partire, si elabora un canovaccio,
improvvisando e provando finché non si ha uno spettacolo di 10, 15, 20 minuti; anche qui
la variabilità temporale dipende dal gruppo proponente, va comunque mantenuta
l'attenzione sul costruire una rappresentazione efficace che non si dilunghi troppo nei
tempi.
Lo spettacolo, di TF e in precedenza di drammaturgia simultanea, inizialmente riproduce
una scena che centri la questione, come se fosse uno spettacolo di teatro convenzionale,
con un inizio, uno svolgimento ed una conclusione ben definiti; con gli attori che
interpretano lo spettacolo ed il pubblico che ne segue lo svolgimento.
In questa parte iniziale della rappresentazione ci sono alcuni elementi teorici cardine che
vanno osservati. Il primo elemento prevede che ogni personaggio abbia caratteristiche
peculiari per permettere di identificarlo con precisione e al quale gli spettatori possano
riconoscere facilmente la collocazione nel rapporto di oppressione. Portando in evidenza
situazioni di oppressione caratterizzate da rapporti di subalternità si definisca una
polarizzazione dei personaggi, viene rappresentato un conflitto tra l'oppressore e
l'oppresso. A propria volta ogni soggetto nella realtà determina un insieme complesso di
rapporti e di poteri, ma almeno inizialmente è importante ricondurre i personaggi a queste
due polarità espresse nella dimensione del rapporto prevaricante. Attraverso le peculiarità
caratteristiche si riconosce facilmente anche il backgound ideologico del personaggio, il
suo insieme organizzato di riferimenti simbolici, sociali ed individuali.
Per rendere più chiaro quanto affermato fin qui, vediamo alcuni esempi di situazione
oppressiva e relativi personaggi: l'imposizione di condizioni nocive di lavoro per
determinare maggiori profitti, oppressore, l'imprenditore proprietario della fabbrica,
oppresso, l'operaio che deve mettere a repentaglio la propria salute per mantenere il posto
di lavoro; l'operarsi di una discriminazione razzista nel quadro dell'affitto di una casa,
oppressore, il proprietario di casa che in nome del pregiudizio razzista preclude l'affitto
della proprietà, oppresso, la persona migrante discriminata nella possibilità di accedere
normalmente ad un contratto di locazione; la costruzione di un edificio privato a scopo
meramente speculatorio in una delle poche aree verdi di un quartiere residenziale,
oppressore, l'amministratore corrotto che accetta tangenti in cambio di concessioni edilizie
una speculazione, oppresso, la popolazione locale usufruente dello spazio pubblico; una

57
situazione di violenza, ricatto e pressione emotiva all'interno di una relazione di coppia,
oppressore, chi attua la violenza, oppresso, chi subisce la violenza; forme di trasmissione
autoritaria del sapere a scuola in una concezione educativa di tipo depositario o bancario,
oppressore, l'educatore che impone le sue conoscenze in maniera aproblematica e
autoritaria, oppresso, l'educando al quale viene inculcato un sapere statico e conservatore;
uno spettacolo teatrale ideologico nel quale gli artisti indicano la via da intraprendere al
pubblico100, oppressori, gli attori che si presumono conoscitori della giusta direzione da
intraprendere, oppressi, gli spettatori che ne subiscono la suggestione sia in termini di
contenuti imposti, sia nella funzione inferenziale di controllo sociale nella produzione
catartica.
Si potrebbe continuare con molti altre situazioni esemplificative che evidenzierebbero
altrettanti ambiti di possibile intervento, ci si ferma, lasciando al lettore formulare altri
esempi attinenti ai suoi vissuti e al suo contesto sociale.
Il secondo elemento cardine della rappresentazione iniziale sta nella proposta di soluzioni
operata dal protagonista soggetto all'oppressione, le azioni praticate per tentare di
modificare la sua condizione di oppresso debbono contenere errori evidenti dal punto di
vista sociale, tattico, politico; almeno un errore eclatante e conclamato. Gli errori devono
essere ben definiti all'interno dell'azione. La presenza dell'errore, il riconoscersi la
possibilità di sbagliare, permette di elaborare una crescita creativa. Per ampliare in senso
pedagogico la valenza dell'errore da elaborare citiamo la pedagogia dell'errare di
Massimiliano Filoni, che dice:

per fortuna il teatro ( come la cultura, come la società ) è una lingua viva. La sua sintassi, la sua grammatica,
le sue regole e le sue figure retoriche sanno trasformarsi; sono capaci di farsi strumenti di espressione adatti a
forme e a contenuti nuovi e differenti. Nel talento è contenuta l’opportunità di uscire dalle regole, dalle
consuetudini, sono previsti l’incontro e la sperimentazione dell’errore. Il talento di chi erra consiste proprio
nell’abilità di presupporre e di sperimentare il cambiamento, la trasformazione. Errare significa percorrere la
soglia che separa il mondo così com’è dal mondo che potrebbe essere. In questo errare, qui inteso tanto
come vagabondare, viaggiare, quanto come sbagliare, risiede la possibilità di scoprire e di conoscere e quindi
di scegliere101.

Evidentemente se il protagonista proponesse e perseguisse soluzioni intelligenti, pacate,

100
Si fa qui una generalizzazione dell'episodio riportato nel Capitolo 1 dell'incontro tra Boal e Virgilio.
101
M. FILONI dal sito di Cooperativa Giolli – Teatro dell'Oppresso, Centro permanente di sperimentazione e
ricerca teatrale sui metodi Boal e Freire, http://www.giollicoop.it/index.php/it/chi-siamo/75-i-soci-di-
giolli/201-massimiliano-filoni

58
coinvolgenti e strategicamente efficaci, ci sarebbe ben poco da modificare e si tornerebbe a
fare un teatro (come avveniva ai tempi dell'incontro con Virgilio) che invece di cercare
soluzioni insieme, ne da di già preconfezionate. L'errore costituisce il momento critico nel
quale i fatti si determinano, il momento della crisi e la possibilità d'intervento.
Terzo elemento, il pezzo non può perseguire dimensioni irrazionali o surrealiste, in quanto
l'obiettivo è quello di discutere e sperimentare modalità di trasformazione su situazioni
concrete, verosimilmente esistenti e praticabili, oltre che nel setting protetto del come se
teatrale, nella realtà.
Dopo aver definito le caratteristiche della traccia di base di teatro forum e drammaturgia
simultaneo, passiamo ora a descrivere il funzionamento di quest'ultima che costituisce un
passaggio essenziale per l'elaborazione della possibilità di attivazione attoriale degli
spettatori.
Per drammaturgia s'intende scrittura del testo teatrale, per simultanea s'intende in l'avvenire
in diretta, si intenda che la scrittura è intesa in senso figurato in quanto avviene oralmente.
Questa proposta sperimentale vuole, seguendo l'impianto rappresentativo iniziale visto
sopra, che una prima volta lo spettacolo venga proposto e portato a termine secondo i
canoni convenzionali; successivamente viene riproposto una seconda volta con il
medesimo svolgimento ed al momento critico, nel quale il protagonista deve intraprendere
le decisioni decisive per l'evoluzione della vicenda, la rappresentazione viene interrotta
dagli attori. Al che, nel trepidare della suspance, gli interpreti interpellano il pubblico sul
da farsi, su come orientare l'azione per farla evolvere altrimenti, ne scaturisce un animato
dibattito tra gli spettatori e la scrittura in diretta avviene in questo modo:

il pubblico interagisce, consiglia, propone gesti, battute, per la risoluzione del problema posto. In tal modo,
secondo una modalità maieutica, non è più l'attore o il regista, dall'alto della sua posizione privilegiata, a
suggerire le azioni adeguate alla situazione problematica, ma è la gente a ricercare dentro il proprio
patrimonio culturale e umano gli strumenti adatti al superamento del problema. Non solo: gli attori, docili
alle indicazioni della platea, mettono in scena ora l'una ora l'altra proposta, incarnando di fronte al pubblico i

diversi possibili di volta in volta suscitati dal dibattito102.

Dunque nella drammaturgia simultanea si rimette al pubblico, al popolo, il mezzo di


produzione della scrittura della scena, che non si scrive ma si dice e che gli attori
interpretano secondo istruzione. Le proposte, le tensioni, i comportamenti pensati dagli

102
A. PONTREMOLI, Teoria e tecniche, cit., p. 66.

59
spettatori vengono discussi teatralmente sulla scena, gli attori si mettono a disposizione
nell'interpretazione.
Attraverso questa forma di teatro comincia la demolizione consapevolmente declinata del
muro tra attori e spettatori. Continua ad esistere una divisione di ruoli, gli spettatori
discutendo e proponendo, scrivono la storia, gli attori la interpretano; ma l'elemento di
continuità che unisce scrittura e azione si fa evidente all'interno di una cornice di
cooperazione, elaborazione e co-costruzione dello spettacolo.
Lo spettatore non resta passivo, è coinvolto, partecipe del play nella sua scrittura; entrando
in dialettica con l'attore, il pubblico coincidente con l'oppresso prende tra le mani, come
insegna Freire, la possibilità di scrivere il suo mondo, per trasformarlo e scriverne la storia
senza limitarsi a subirla. Nel teatro e, fuori da esso, nel mondo. È proprio la visione
dialettica che

ci indica l'incompatibilità tra essa e l'idea di un domani inesorabile […]. Non interessa che il domani sia la
semplice ripetizione dell'oggi o che il domani sia qualcosa di preconcepito o, come l'ho chiamato, di un dato
dato. Questa visione “addomesticata” del futuro, a cui partecipano reazionari e “rivoluzionari”, ognuno
certamente alla sua maniera, pone ai primi il futuro come ripetizione del presente che però dovrà passare per
cambiamenti avverbiali, e ai secondi il futuro come «progresso inesorabile». Le due visioni comportano
un'intelligenza fatalistica della storia, dove non c'è posto per la speranza autentica103.

Dialettica animata da una temporalità consecutiva che ha un primo momento nella scrittura
ed un secondo nell'interpretazione, ciò fa dello spettatore prima lo scrivente e poi (nel
passaggio al teatro forum) l'attore e non viceversa, ciò è dato importante in quanto
costituisce la premessa dell'evoluzione verso il TF.
Pensiamo a come sarebbe stato altrimenti, se invece di porre la scrittura come ambito
d'intervento primario si fosse posta l'interpretazione dei ruoli e solo quella come modalità
di coinvolgimento: singoli spettatori chiamati dal pubblico per recitare personaggi fatti e
finiti, con delle storie calate dall'alto, lontano dalla possibilità della proposta di sé come
soggetto individuale e collettivo. In tal caso lo spettatore sarebbe divenuto strumento nelle
mani della compagnia teatrale, invece all'inverso il TdO vuole fare del campo teatrale il
luogo d'incontro per la costruzione del possibile; non per il pubblico, non del pubblico, ma
con il pubblico, definendo così il campo teatrale in quanto strumento proposto e condiviso
in modalità maieutica con le comunità di soggetti oppressi.
È la discussione nell'ottica dialogico-maieutica a permettere la coscientizzazione.
103
P. FREIRE, Pedagogia della speranza, cit., pp. 106-107.

60
Attraverso il riconoscimento di sé, dello spettatore e dell'oppresso, come soggetto
pienamente inserito nel mondo culturale si apre lo spazio per non accettare la realtà
esistente come dato statico (così com'è). É l'inizio della trasformazione! In particolare, il
riconoscersi all'interno di una situazione di oppressione, rendersi conto che si condivide
questo essere oppressi con altri e altre, è l'acquisizione di una lente attraverso la quale
leggere le proprie vite ed iniziare a trasformarle.
La pratica teatrale incontra, qui con precisione, la sua funzione pedagogica: «l'azione
smette di essere rappresentata deterministicamente, come per una fatalità, per un Destino»;
lo spettatore, il popolo, sperimenta nel teatro la pluralità di voice104 inesplorate (in quanto
delegittimate), si mette alla prova, sbaglia nel tentare e trova nel ricercare le strade
possibili per risolvere i propri problemi. L'atto teatrale diviene così una prova, per poi
potenzialmente accadere nelle strade, sul lavoro, nelle case, nelle scuole, ovunque si
presentino necessità di intervento liberatorio.
É qui che ci si rende conto che è l'uomo ad essere il destino dell'uomo; è da ora, nel
passaggio da una narrazione subita ad una agita, che tutto può essere criticato, decostruito,
trasformato. Ogni spettatore può provare la sua versione senza alcuna precedente censura.
Per ciò che attiene agli attori, essi continuano nella loro funzione d'interpretazione dei
personaggi, ciò che cambia radicalmente è che ora dovevano interpretare i ruoli secondo
agiti dettati da un pubblico popolare, «chi stava in scena faceva del suo meglio,
improvvisando, per tradurre le parole in azione, in modo che il pubblico potesse osservare
quanto funzionali al cambiamento fossero le proprie idee. Ma gli spettatori continuavano a
rimanere lì, in platea. E non sempre la traduzione era corretta»105.
Il confronto aperto nel TdO avviene, almeno agli albori, nei luoghi in cui il popolo si
riunisce, nelle sedi o negli spazi significanti (qualsiasi luogo pubblico può diventarlo) delle
aggregazioni di base: comitati di quartiere, scuole popolari, sindacati, leghe contadine,
comitati di agitazione, gruppi di donne organizzate. Quindi se lo spettatore entra in pieno
nel teatro attraverso la sua scrittura, l'attore incontra lo spettatore, il pubblico, il popolo; e
così smette di interpretare il play dell'individuo (l'autore teatrale riconosciuto) per passare a
interpretare la drammaturgia del gruppo (la voce e l'azione dell'oppresso); questo, secondo
Boal, è molto più difficile, ma allo stesso tempo molto più creativo.

104
Sul concetto di voice dei soggetti subalterni negli studi postcoloniali, cfr. B. ASHCROFT, G:
GRIFFITHS, H. TIFFIN, The Post-Colonial Studies Reader, New York & London, Routledge, 1995.
105
P. SENOR, La ribalta degli invisibili, cit., p. 83.

61
4.2 Nascita del teatro forum, l'agorà pragmatico di una comunità teatrale

Se per molti episodi e fatti del TdO non esistono datazioni precise, si può invece dare al
teatro forum un luogo e u tempo di nascita precisi: Chaclacayo, una piccola cittadina
peruviana nei dintorni di Lima, nell'agosto del 1973.
Prima di raccontarne i natali occorre però dare spazio ad una chiarificazione, sono infatti
presenti in letteratura delle comparazioni fra teatro dell'oppresso e psicodramma
Moreniano106 (un intero capitolo in Playing Boal107 vi è dedicato) che riconducono il primo
al secondo. Certamente lo psicodramma vide la nascita molto tempo prima del TdO, nella
Vienna degli anni venti, e sicuramente esistono punti di contatto ma la differenza di
obiettivi è molto chiara: mentre Moreno attraverso il teatro si occupa delle patologie
psicologiche individuali e famigliari, Boal interroga politicamente e collettivamente il
sistema sociale. Meldolesi, attualizzando la questione, sostiene in proposito che vi sia

l'urgenza e la necessità di un teatro capace di intervenire socialmente in un'epoca di rapporti comunitari


distrutti. L'esperienza di Boal è centrale in tal senso per la forte capacità di muoversi all'intersezione tra
diverse discipline: il teatro e le scienze sociali, in particolar modo la politica si incontrano nel suo lavoro,
ponendo il Teatro dell'Oppresso in stretto contatto con le riflessioni di Turner e Goffman, riuscendo
ampiamente a superare l'impasse moreniano. Con Boal le tecniche psicodrammatiche diventano strumento
capace di interrogare la società108.

Sarebbe sicuramente interessante approfondire la comparazione tra l'opera di Moreno e


quella di Boal, possibile campo di prossime analisi, e certamente non basta una citazione a
dichiarare terminato l'argomento, quello che ai fini della nostra trattazione va rilevato è la
precipua dimensione pubblico politica del teatro dell'oppresso e che ne permette l'utilizzo a
quanti scorgano in esso un possibile strumento di liberazione e di creazione sociale.
Riprendendo il filo della genealogia che ci porta all'episodio natale del TF bisogna
ricordare che abbiamo già avuto modo di conoscere la rilevanza della dimensione narrativa
che opera da tracciato mitologico per il TdO; anche la nascita del forum è avvolta in questo

106
«Lo Psicodramma è una tecnica teatrale terapeutica che ha lo scopo di rimuovere, attraverso
un'esperienza laboratoriale di gruppo, le barriere che impediscono al soggetto di realizzarsi, intervenendo
con gli strumenti propri del teatro e della psicologia sul sintomo per rimuoverlo e sulla patologia per
affrontarla e curarla», cit. in A. PONTREMOLI, Teorie e tecniche, cit., p. 74.
107
Cfr. D. FELDHENDLER, Augusto Boal and Jacob L. Moreno. Theatre and therapy, in M.
SCHUTZMAN and J. COHEN-CRUZ, Playing Boal. Theatre, therapy, activism, New York & London,
Routledge, 2002.
108
Cit in G. ZANLONGHI, L'altro sguardo del teatro. Il teatro educativo e sociale, «Il castello di Elsinore»,
a. XX, n. 56, 2007, p. 99.

62
alone epico, in cui fatti accaduti evolvono e prendono forma nel loro raccontarsi.
E così torniamo a Chaclacayo nel '73: Boal è coinvolto in un programma di
alfabetizzazione e animazione culturale ispirato dalle idee di Freire in cui è prevista anche
l'educazione ad alcuni linguaggi artistici, lavora coi contadini e con la popolazione
indigena ed utilizza la drammaturgia simultanea come strumento d'educazione sociale.
Leggiamo il racconto che ne danno Senor e Mazzini, il primo scrive che

Una sera rappresentò coi suoi attori la storia di una donna (emblematica di una certa condizione femminile)
presente tra il pubblico: lei, lavoratrice analfabeta, consegnava tutti i suoi risparmi al marito, che diceva di
utilizzarli per la costruzione della “loro casa”. Lei però non era mai riuscita a vederla. In cambio ogni tanto il
marito le dava delle ricevute profumate. Un giorno, mentre l'uomo era assente per un presunto lavoro, decise
di far leggere le ricevute ad una sua vicina. La quale constatò che non erano altro che lettere d'amore che il
marito riceveva dall'amante.
Arrivò il momento della crisi: era sera, il marito stava per rientrare. Che fare? Le donne presenti in sala,
evidentemente coinvolte dal problema, fecero piovere le loro soluzioni: instillare nel marito i peggiori sensi
di colpa, chiuderlo fuori casa, andarsene via abbandonandolo al suo destino. Gli attori, dal canto loro,
facevano del loro meglio per improvvisare queste proposte. Ma non sempre le soluzioni suonavano
soddisfacenti.
[…] in particolare, in terza fila, un donnone continuava a sbuffare. Sensibile a tanta insoddisfazione, [Boal]
chiese alla signora se aveva anche lei qualche idea da proporre. Lei finalmente liberò quello che aveva in
testa: la protagonista doveva avere un bel chiarimento col marito, così dopo avrebbe potuto perdonarlo. Un
po' deluso da una proposta che si attendeva più forte, Boal fece improvvisare la scena agli attori più volte, ma
la donna continuava ad essere insoddisfatta di quello che vedeva e il suo nervosismo aumentava sempre più.
Esasperato, a un certo punto Boal le chiese se voleva farlo vedere lei, agli attori e al pubblico, questo bel
chiarimento. Con sua grande sorpresa vide la donna illuminarsi, salire trionfante sul palcoscenico, prendere
una scopa e, con tutta la forza e la rabbia che aveva in corpo, bastonare il povero attore-marito (Boal e gli
altri attori ci provarono a fermarla, ma non ci riuscirono) dicendo tutto quello che pensava di lui e del loro
rapporto. Infine, soddisfatta di questo chiarimento – visibilmente rilassata posò la scopa e sedette.
Concedendo al marito, dopo quella conversazione così sincera, di andare in cucina e portarle la minestra109.

Mazzini, premettendo che questa storia è narrata in tante versioni diverse, scrive in
proposito:

Boal usa anche la “drammaturgia simultanea”, ovvero la messa in scena di un problema e l’invito al pubblico
a dire quali soluzioni proporrebbe, agli attori; costoro improvvisano le soluzioni e Boal conduce, nel ruolo
già di Jolly, la riflessione e la ricerca fino alla soluzione prediletta dal pubblico.
A un certo punto una signora analfabeta del popolo chiede di poter entrare in scena, non vedendo ben

109
P. SENOR, La ribalta degli invisibili, pp. 83-84.

63
realizzata la propria idea dagli attori... la proposta potrebbe essere rigettata ma Boal, curioso esploratore di
mondi possibili e trasgressore, accetta; il momento potrebbe poi passare inosservato come un’anomalia,
invece Boal ne trae spunto, come una “turbolenza” utile, e rivede la sua tecnica, inserendo stabilmente

l’intervento degli spettatori nella scena; nasce il Teatro-Forum110.

Va notato come in una versione sia Boal ad invitare la prima spett-attrice


all'interpretazione e nell'altra sia essa stessa a proporsi, ma, è evidente, questa storia
troverà le coloriture di mille versioni, in altre saranno gli altri spettatori del pubblico a
richiedere l'intervento della donna e in altre ancora l'attrice esasperata nel non sapere come
fare ad eseguire le istruzioni, ma come nella migliore tradizione epica, la funzione
dell'oralità e dell'evoluzione delle storie trova qui il suo spazio.
Due elementi di questo episodio mitico per la genealogia del teatro forum sono da
sottolineare. Il primo elemento è che solo a condizione della presenza dello spazio
dialogico la sperimentazione trova il suo campo, la drammaturgia simultanea accoglie la
proposta di un livello più elevato di partecipazione, non basta scrivere l'azione
trasformativa bisogna praticarla, quindi il TdO dà possibilità. Il secondo elemento risiede
nel continuo divenire evolutivo del TdO, e nell'attenzione e sensibilità del suo metodo,
pronto ad interagire ed arricchirsi di novità sperimentali; trova, quindi, al suo interno, lo
spazio culturale e teatrale per generalizzare la possibilità d'irruzione dello spettatore sulla
scena, ha così origine il TF, una maieutica sperimentale che trasforma non solo le scene ma
anche le tecniche, una nuova forma del darsi la possibilità di dare possibilità.

4.3 Lo sviluppo dell'azione: il ruolo del jolly e la partecipazione degli spett-attori

Lo spettacolo di teatro forum è un gioco artistico e intellettuale tra artisti e spettatori. I


soggetti coinvolti in questo gioco sono: i componenti del gruppo proponente, tra i quali c'è
il jolly che ha il ruolo di conduttore maieutico e gli attori, e gli spettatori.
Il jolly è una figura chiave della dinamica, ponte conduttore che unisce platea e
palcoscenico, in principio riscalda l'atmosfera per dissolvere timori e dicotomie, propone
giochi ed esercizi divertenti ed ironici che coinvolgono attori e pubblico insieme; questo
momento preparatorio è fondamentale per rompere le meccanizzazioni funzionali fisiche e
mentali che porterebbero a mantenere lo spettatore nel suo ruolo passivo, invece questa
110
R. MAZZINI, Le tormentate tappe del lungo percorso di Boal, Roberto Mazzini, articolo tratto dal sito di
Stalkerteatro, http://www.stalkerteatro.net/ufficiostampa/stagione09/mazzini.pdf la Compagnia Stalker
Teatro opera a Torino ed è attiva professionalmente dal 1975 nel campo dell'educazione e della
sperimentazione teatrale.

64
prima attivazione comune a tutti i presenti, premette la partecipazione. Rompe con un
rituale statico per dar luogo ad un rituale dinamico. Nel tempo Boal formulerà un vero e
proprio armamentario di quelli che chiama giochiesercizi.
Del Jolly identifica le caratteristiche Pontremoli:

non è detentore di un sapere preventivo rispetto alla rappresentazione e non direziona il pubblico verso una
certa idea o una certa strategia, ma soprattutto evita e bandisce ogni atteggiamento giudicante rispetto alle
soluzioni che entrano in gioco nel corso della seduta. È fondamentalmente un ascoltatore, uno che facilita la
comunicazione, che pone delle domande, possibilità aperte, in una situazione dove c'è sempre la possibilità di
fare e di non fare, dove la persona aderisce all'esercizio o entra in scena solo se vuole, nella più totale

libertà111.

Una volta effettuato il riscaldamento viene presentato al pubblico il modello, la matrice di


base, la rappresentazione della situazione di oppressione come se fosse un breve spettacolo
di teatro tradizionale, essa mette in evidenza la condizione problematica che costituisce il
tema sul quale deve muoversi e lavorare l'immaginario e sul quale in seguito intervenire.
Durante la rappresentazione del modello di base si evidenziano le scelte discutibili operate
dal protagonista per tentare di modificare la sua situazione, ma che non essendo efficaci
hanno come esito il permanere della condizione di oppressione.
Il jolly (o italianizzato giolli) a questo punto verifica se il pubblico riconosce come reale
quanto rappresentato e se identifica il protagonista come oppresso, sarà principalmente
questo ruolo che gli spett-attori una volta cominciato il forum interpreteranno. Il jolly
domanda agli spettatori se siano d'accordo con quanto accaduto, se lo spettacolo ha
espresso efficacemente una problematica sentita, la risposta non si farà attendere. Esiste la
possibilità che più personaggi vengano identificati come oppressi e quindi diventino a loro
volta soggetti da interpretare per gli spett-attori, in questo caso il forum assume un
carattere di esplorazione multipla in cui il conflitto sarà affrontato da più punti di vista.
Ancora in questa fase iniziale di presentazione può accadere che il pubblico senta un'altra
esigenza oltre a quella di riconoscere i soggetti oppressi, vediamo quanto dice Senor:

Alcune volte il pubblico ha l'esigenza di saperne qualcosa in più sui personaggi in gioco: informazioni
spicciole, ma anche cosa pensano quali sono i loro sentimenti, cosa desiderano veramente. In quei casi lascio
[…] che gli spettatori facciano le loro domande direttamente ai personaggi, i quali (e questa è una splendida
opportunità che il teatro offre) non potranno far altro che rivelarsi in tutta sincerità112.
111
A. PONTREMOLI, Teoria e tecniche, cit., p. 67.
112
P. SENOR, La ribalta degli invisibili, cit., 87.

65
Può avvenire quindi un approfondimento su caratteristiche, storia e contesto sociale e
riferimenti ideologici dei singoli personaggi, questo permetterà di collocare con più
profondità l'azione degli spett-attori una volta in scena.
A questo punto il jolly avvisa il pubblico che la scena verrà riproposta nella stessa maniera
ma che ora ciascuno spettatore può chiedere che la rappresentazione sia interrotta ed
entrare in scena per prendere il ruolo del protagonista. Gli spettatori possono individuare a
proprio piacimento il momento in cui intervenire, il punto in cui secondo uno di essi è più
evidente l'oppressione o dove più propizio sarebbe un intervento, un'alternativa d'azione a
quanto fatto nella rappresentazione modello.
La lotta-gioco sta nell'opposizione tra attori oppressori che vogliono portare a termine la
scena alla stessa maniera mantenendo l'oppressione e gli spett-attori che intervenendo
direttamente sulla scena tentano ogni via per trasformarla e modificarne gli esiti verso
possibili liberazioni. Evidentemente se nessuno intervenisse, il dipanarsi degli eventi non
cambierebbe e la condizione di oppressione permarrebbe, ma le questioni sentite non
necessitano ulteriori inviti e lo scatenarsi delle volontà attoriali non si fa attendere. In
questo momento nasce lo spett-attore.
Lo spettatore si alza e si fa attore, chiama uno stop! all'azione scenica determina il punto da
cui ripartire. Lo spett-attore sostituisce l'attore che impersona il protagonista oppresso, ora
è lui ad essere il fautore del suo destino teatrale, attore tra gli attori, libero di tentare,
errare, provare, imparare, ritentare. Questo lavoro si configura come una costruzione alla
quale ciascuno e ciascuna dei presenti apportano una parte, un tentare collettivo nel
divenire teatrale.
L'attore sostituito attende fuori dallo spazio della scena, pronto a reinserirsi al termine del
tentativo, quando il partecipante dal pubblico ritenga finito il suo intervento; lo spett-attore
nei panni attoriali agisce proponendo la sua alternativa e gli altri attori devono affrontare la
nuova situazione creatasi improvvisando di conseguenza, operazione per la quale è
necessario che capacità analitica fulminea e creatività abbiano una certa dimestichezza tra
loro.
Agli spett-attori intervenienti si chiede di essere attori a tutti gli effetti, non è permesso –
secondo Boal – interrompere la scena, entrarvi ed iniziare ad argomentare parlando e
disquisendo su ciò che andrebbe fatto. Nel TF la dialettica è impersonificata, nel mettersi
nei panni, per mostrare come si agirebbe in una situazione determinata. Coloro che
intervengono dal pubblico:

66
devono compiere lo stesso lavoro e le stesse attività degli attori che erano al loro posto. L'azione teatrale deve
continuare allo stesso modo sulla scena. Si può proporre qualsiasi soluzione, ma sulla scena, lavorando,
mettendo in atto, facendo varie cose e non parlando da una comoda poltrona. Spesso si è molto rivoluzionari
quando si indicano o si suggeriscono in una piazza azioni rivoluzionarie o eroiche; al contrario spesso ci si
rende conto che le cose non sono così facili, specie si deve attuare personalmente ciò che si suggerisce113.

Agendo la sua propria specifica speciale scrittura mentale, lo spett-attore pone un saper
pratico interpretativo in circolo, fatto vivere nell'impersonificazione di ruolo nella
condivisione del foro.
Ma lo spett-attore non ha gioco facile nel modificare positivamente l'andamento scenico,
l'intento degli attori è infatti quello di dimostrare quanto nei fatti sia difficoltoso e faticoso
modificare la realtà; faranno quindi di tutto per contrastare, intensificando il livello e
moltiplicando le strategie repressive, le azioni che tendono alla ricerca di liberazione dello
spett-attore per ricondurre la scena sui binari dell'oppressione.
Se lo spett-attore trova molta difficoltà e si trova spesso impossibilitato, per errori di
azione o per eccessiva preclusione del contesto, a modificare lo stato di cose, ripassa il
testimone dell'interpretazione all'attore del modello che riprende il suo ruolo.
La scena modello viene ricominciata dal gruppo di attori proponenti, si svolge attendendo
il prossimo stop e l'intervento di un altro spett-attore o spett-attrice, così da sperimentare
una nuovo tentativo risolutorio. La nuova azione messa in campo dallo spett-attore, oltre
ad avere un suo carattere di originalità, esordirà dal patrimonio di esperienza delle altre
azioni già intraprese dagli spett-attori precedenti e che si sono rivelate inefficaci, dunque
l'intervento di ciascun spett-attore assume la doppia valenza di attivazione individuale e di
co-costruzione collettiva di una cassetta degli attrezzi alla quale far riferimento nel caso si
incontri una similare situazione nella propria realtà.
Elaborare insieme quanto è avvenuto in scena, attraverso l'azione maieutica del jolly, è il
momento dell'approfondimento e dell'esplicazione delle dinamiche tra forze contrastanti,
quella dell'oppressore e quella dell'oppresso nel tentativo di liberarsi, avvenute sulla scena.

In uno spettacolo di teatro-forum gli interventi possono essere numerosi: è importante dopo ognuno di essi
ascoltare i pareri del pubblico per saggiarne la funzionalità. Ma anche sentire lo stesso spett-attore, verificare
se è riuscito a portare avanti quello che aveva in testa, quali ostacoli si è trovato a fronteggiare, dove si è
sentito debole, dove ha avuto l'impressione di riuscire a mettere in difficoltà gli antagonisti. Infine io di solito

113
A. BOAL, Il teatro degli oppressi, cit., pp. 37-38.

67
ascolto anche i personaggi in scena, soprattutto gli oppressori: domando loro come si sono trovati con il
protagonista, se ha mutato il loro stato d'animo, se li ha messi in difficoltà o fatti sentire più potenti, se li ha
costretti a fare qualcosa di diverso o se in prospettiva ne avrebbe avuto la facoltà. È il momento del
confronto, della riflessione, dell'apprendimento collettivo114.

Nel momento in cui, dopo svariati tentativi, uno spett-attore riesce a incrinare l'oppressione
imposta dagli attori e trova le azioni trasformative efficaci; gli attori, uno alla volta o tutti
insieme devono abdicare. A questo punto può venir proposto agli spett-attori di prendere il
posto degli altri attori, impersonando essi stessi gli oppressori, di modo da mostrare forme
diverse e nuove di dominio che gli attori non avevano già contemplato. In questo modo il
gioco si sposta tra spett-attore protagonista e spett-attori oppressori.
Attraverso il coinvolgimento diretto nel teatro forum, si costruisce, dice Boal, «la migliore
conoscenza che quel gruppo sociale e umano potrà raggiungere»; la piena sperimentazione
del come se teatrale permette il confronto con le difficoltà dell'azione, mette in moto
energie e sensibilità, ha una funzione di empowerment per il soggetto e la comunità.
Cruciale è il collocare le azioni effettuate da ciascun spett-attore nel come se teatrale
all'interno di una storia comune, nel territorio di una condizione sociale avvertita dalla
collettività. La comunità che si riunisce nell'agorà del teatro forum diviene partecipe di un
processo di deindividualizzazione, nel riconoscimento della problematica oppressiva.
Collocati in una dimensione narrativa comune, le azioni tentate o da tentare divengono
parti della storia di una comunità, in questo modo anche tentativi generosi ma fallimentari
piuttosto che essere fonte di frustrazione individuale divengono pezzi di percorsi nei molti
tentativi di liberazione di una collettività umana in movimento.

4.4 Collegamenti tra pedagogia sociale e teatro forum

Colleghiamo in questo finale di capitolo la valenza del teatro forum con la riflessione
teorica della pedagogia sociale, in particolare con gli studi di Gaston Pineau e di Lev
Semënovič Vygotskij.
Pineau, tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, con i suoi studi porta a rilevare
l'importanza dell'autoformazione nell'adult education. Questo percorso di ricerca cerca di
individuare le caratteristiche della sfera dell'autoformativo e darne una definizione che ne
evidenzi le differenti modalità e possibilità.

114
P. SENOR, La ribalta degli invisibili, cit., p. 88.

68
Pineau costruisce la sua definizione teorica sull'azione e interazione di tre maestri,
costituendo una visione tripolare interattiva della formazione, essi sono: le soi (il sé) –
autoformazione, les autres (gli altri) – eteroformazione, les choses (le cose) –
ecoformazione. Questa elaborazione è rivoluzionaria poiché comporta il coinvolgimento
nel percorso formativo di elementi precedentemente tenuti ai margini del concetto
relazionale storicamente imperante, quello tra soggetto educante e soggetto educando.
Viene dato riconoscimento al ruolo del soggetto stesso nella sua propria formazione come
ricettore, mediatore e soggetto agente che ha possibilità di scegliere, Pineau riconosce il
soggetto come protagonista nella sfera dell'autoformazione. Insieme al Sé, trovano uno
spazio paritario in questa visione complessa e stratificata, la sfera del contesto ambientale –
ecoformazione, e quella della socialità prossima raggruppabile nel prefisso co o com –
coformazione (affine al ruolo della peer education) che partecipa alla sfera
dell'eteroformazione (formazione proveniente dagli altri).
Approfondiamo questi studi attraverso quanto ne scrive Lorena Milani in Collettiva-Mente:

L'autore pone al centro della sua riflessione il concetto di forma anziché quello di educazione e la riflessione
si pone quindi sul dar forma e sul prender forma e sostiene. “Formarsi, darsi una forma, è un'attività più
fondamentale, più ontologica che educarsi”. Il Sé o polo dell'Autoformazione richiama le capacità del
soggetto di darsi forma, partendo dall'ipotesi […] che l'essere umano sia naturalmente in grado di decidere la
sua forma nell'articolazione con gli altri momenti della formazione ossia quello del polo degli Altri o
Eteroformazione che implica la presenza di un soggetto che dà forma e di un altro che si dispone a prender
forma e un polo di formazione attraverso le Cose (o il Mondo) o polo dell'Ecoformazione che evoca la
formazione attraverso l'esperienza, nel e per il lavoro o nella vita quotidiana, ossia quella formazione che
avviene nel contesto di vita del soggetto o nell'ambiente115.

Possiamo riscontrare nel TF proprio l'insieme complesso del quale parla Pineau, lo spett-
attore operatore del suo sé si incarica del tratto autoformativo partecipando, scegliendo,
analizzando; la comunità teatrale formantesi nel forum, l'agorà in cui si incontrano attori e
pubblico costituisce il tratto dell'eteroformazione co-costruita dai soggetti che vi
partecipano; il come se teatrale rappresenta lo strumento ambientale, la riflessione
problematica sulle situazioni contestuali rappresenta l'ambiente di provenienza, quindi
spazio del teatro e ambiente locale costituiscono il tratto dell'ecoformazione. l'intreccio
teatrale si incontra nel teatro forum con l'intreccio formativo e con la sua stratificata
complessità.

115
L. MILANI, Collettiva-Mente, Competenze e pratica per le équipe educative, Torino, SEI, 2013, p. 113.

69
L'altro corpus di studi con il quale mettere in rapporto il TF è il concetto di zona di
sviluppo prossimale della teoria psicologica di Lev Semënovič Vygotskij elaborata negli
anni trenta del secolo scorso. Riportiamo una parte di definizione tratta dal Dizionario di
psicologia dello sviluppo Einaudi:

La teoria di L. S. Vygotskij si fonda sull'assunto che lo sviluppo cognitivo individuale non possa essere
compreso e studiato senza far riferimento al contesto storico-culturale al quale il soggetto appartiene.
Secondo questa prospettiva , le funzioni mentali più complesse hanno origine nel patrimonio culturale di ogni
società; essa da un lato produce gli strumenti appresi dai bambini e dall'altro caratterizza la trama di relazioni
sociali all'interno delle quali vengono attivati tali funzioni mentali. A questo proposito viene introdotto il
concetto di zona di sviluppo prossimale, per intendere la differenza fra il livello di sviluppo di un individuo a
un momento dato e il suo livello potenziale ancora non espresso. In altri termini, questo concetto indica la
differenza fra il livello di risposta a un compito risolto da un individuo che opera da solo e il livello di
risposta prodotto quando il medesimo individuo opera con l'aiuto di uno più abile. Si tratta di una concezione
che considera l'attività interindividuale come il momento in cui i partecipanti esercitano un ruolo diverso in
relazione al diverso grado di competenza rispetto al compito da svolgere116.

Secondo lo psicologo sovietico, che indirizzò la sua ricerca sul periodo dello sviluppo del
soggetto, i processi cognitivi vengono attivati quando il bambino interagisce con persone
del suo ambiente sociale e in cooperazione con il suo gruppo di pari, attraverso questo
confronto la persona in formazione viene indotta a riflettere sulle proprie azione ed
acquisisce competenze sociali comportamentali. Una volta che tali processi sono
interiorizzati, diventano parte del risultato evolutivo autonomo del bambino. Il processo di
interiorizzazione è stimolato dalla possibilità di riflettere su quanto si sta facendo, di
attuare confronti significativi nella reciprocità, di chiarire meglio le proprie posizioni
difendendole dalle altrui obiezioni, di spiegare le proprie idee in modo che chi ascolta
capisca effettivamente quello che si vuole esprimere.
Altro elemento della teoria Vygotskijana è la disponibilità di un contesto positivo in cui
sviluppare le conoscenze e l'apprendimento, in cui si sviluppino positive esperienze di
successo permesse, sollecitate e sostenute da un clima cooperativo e dalla collaborazione
diretta all'interno del gruppo dei pari, sia in classe che fuori.
Tornando al concetto di zona di sviluppo prossimale, una persona sia nel periodo dello
sviluppo che in età adulta dovrebbe essere considerata la protagonista attiva e
partecipativamente responsabile della sua crescita e non considerata come soggetto passivo

116
S. BONINO (diretto da), Dizionario di psicologia dello sviluppo, Torino, Einaudi, 2000, p. 787.

70
di un apprendimento deciso da altri, come avviene nell'educazione depositaria117. Un
apprendimento significativo viene generato dall’elaborazione attiva delle informazioni che
giungono al soggetto, delle sue osservazioni, dalla comprensione, del confronto, della
valutazione e dell'interazione di più fonti informative; così imparando a confrontarsi
attivamente nella complessità può avvenire lo sviluppo dell’intelligenza critica.
L'importanza dell'essere partecipe di un gruppo al quale il soggetto si sente di appartenere
è, secondo la teoria dell'apprendimento sociale, generativa di sviluppo cognitivo e di
competenza individuale e relazionale-sociale.
Vygotskij definisce la zona di sviluppo prossimale come «la distanza tra il livello effettivo
di sviluppo, così com’è determinato da problem-solving autonomo, e il livello di sviluppo
potenziale, così com’è determinato attraverso il problem-solving sotto la guida di un adulto
o in collaborazione con i propri pari più capaci»118. La zona di sviluppo prossimale
definisce quelle funzioni che non sono ancora mature nel soggetto, ma che sono nel
processo di maturazione, funzioni che matureranno domani e che sono al momento ancora
ad uno stadio embrionale.
Perché rifarsi ad un concetto della psicologia dello sviluppo in un'analisi del Teatro
Forum? La risposta sta nel reperire nella zona di sviluppo potenziale una dimensione
concettuale, essa è lo spazio di possibilità dell'apprendimento e dell'espressione, implica un
coinvolgimento cooperativo che vede un soggetto più competente che ne affianca uno non
ancora competente allo stesso livello. È proprio in questa attivazione cooperativa che
sperimenta questo spazio di possibilità che si trova la vicinanza del concetto di zona di
sviluppo prossimale con il teatro forum. Sono consapevole che Vygotskij effettua la sua
analisi sul periodo di vita dello sviluppo e che il TF si rivolge ad un pubblico
tendenzialmente adulto, ma è nel procedere all'esplorazione di una zona di sviluppo
prossimale particolare, partendo da un presupposto di partecipazione cooperativa
comunitaria tra attori e spett-attori, che non prevede un soggetto competente particolare ma
che individua ciascuno dei soggetti partecipanti come soggetto competente che reca dentro
di sé alcune risorse importanti che espresse determinano apprendimento sociale. L'insieme
degli interventi nella zona del come se teatrale e la riflessione su di essi costituiscono la
maturazione comune del soggetto sociale aggregato nell'occasione. L'acquisizione di
informazione, la condivisione di strategie, l'accrescimento delle competenze latenti e la
maturazione di un autostima del gruppo: determinano il processo di coscientizzazione e

117
L'educazione depositaria è il nome che Paulo Freire da alla pedagogia autoritaria ed adialogica.
118
L. S. VYGOTSKIJ, Pensiero e linguaggio. Ricerche psicologiche, Bari, Laterza, 2001.

71
l'empowerment comunitario emerso proprio in questa area di possibilità.

72
5 - THEATRE OF THE OPPRESSED AGAINST RACISM

In questo capitolo si vuole proporre una visione di caso, analizzare l'elaborazione del TdO
rispetto ad una specifica questione sociale oppressiva. Questo interessa sia in chiave
metodologica, nel senso di osservare come il TdO nelle tecniche del teatro invisibile e del
teatro forum affronta una determinata oppressione, sia il contenuto dell'analisi e le forme
creative dell'azione messe in campo; il tema-problema oppressivo è il manifestarsi di
forme di razzismo.
Le discriminazioni razziste hanno una lunga storia, compito del TdO è di identificarle,
esporle e combatterle in quanto oppressioni presenti e radicate in ogni società umana
secondo l'espandersi smisurato dell'influenza del concetto etnocentrico che presuppone una
distinzione (impressa nell'inconscio collettivo) tra sé gruppale in quanto rappresentante
univoco di uomo e l'altro, determinando di conseguenza una gerarchizzazione che vede
l'altro differire da sé e quindi dal concetto di uomo.
L'etnocentrismo costituisce una tendenza quasi-universale (in molte società si manifesta
nei miti, nei riti e nei nomi stessi che si danno le rispettive popolazioni) che non
necessariamente porta alla xenofobia e al razzismo; esso prevede di pensare un noi
collocato storicamente, territorialmente e culturalmente; noi nel quale gli appartenenti ad
un particolare gruppo sociale possano riconoscersi e definirsi, il quale a sua volta definisce,
accentrandolo su di sé, il concetto di uomo. Esplicativa in tal senso è la spiegazione di
Edward Leach, antropologo inglese, se «“noi” siamo al centro dell'universo, e siamo quindi
i soli veri esseri umani, ne segue allora che “gli altri” […] sono in un certo senso “altro”
che umani»119.
Sebbene sia evidente la dimensione oppressiva della questione razzista, la finalità della
quale – dice Memmi – «sta nella dominanza»120, sia come ambito di pratiche
discriminatorie e violente, che come fattore costituente in termini argomentativi; è
importante avere dei riferimenti critici che permettano all'azione pratico-teorica del TdO di
ricorrere a strumenti analitici capaci di decostruire i paradigmi del discorso e delle pratiche
razziste.

119
E. LEACH, Etnocentrismi, in Enciclopedia, vol. V, Torino, Einaudi, 1978, p.959.
120
A. MEMMI, Il razzismo. Paura dell'altro e diritti della differenza, Genova, Costa & Nolan, 1989, p. 40.

73
5.1 Razzismo: tra teoria scientifica, giustificazione coloniale e nuovi paradigmi

A fondamento della teoria razzista scientificamente giustificata venne posta l'idea


dell'esistenza di gruppi umani fenotipicamente diversi tra loro, ovvero che la specie umana
fosse costituita da razze diverse, ognuna ad un grado di evoluzione differente dalle altre.
La teorizzazione del razzismo con argomentazioni scientifiche, filosofiche, storiche,
teologiche è legato da una parte al solidificarsi in Europa dell'organizzazione politica degli
stati nazione121 e dall'altra all'espansione territoriale di questi attraverso le imprese
coloniali, con l'assoggettamento strutturale di territori e popolazioni extra-europee.

A partire del XVII e XVIII secolo si diffondono rappresentazioni dell'Altro che potrebbero essere definite
protorazziste. Sulla base delle differenze, somatiche, considerate causa dell'inferiorità, e sulla base di
caratteristiche ambientali, quali, ad esempio, il clima, l'habitat naturale e la cultura, l'Altro viene concepito
come un selvaggio che può essere assimilato al Paese colonizzatore ed educato122.

Il sostanziarsi e diffondersi del razzismo scientifico permette ai governi degli stati nazione
Europei di giustificare teoricamente e garantire la continuità del dominio del vecchio
continente sul resto del globo, costituisce l'elaborazione di un sistema pienamente
funzionale al mantenimento e all'espansione del potere coloniale.
Difatti se la colonizzazione, come pratica di espansione e sfruttamento di territori
considerati conquistabili senza remore di sopraffazione delle popolazioni locali, esiste
documentatamente già dalla Grecia antica dell'epoca micenea123; è con la scoperta
dell'America124 del XV secolo che ha avvio la conquista di vastissimi territori da parte degli
121
Sayad esprime con chiarezza il processo di identificazione tra stato nazione e cittadini nazionali,
costituendo in questo modo l'apparato politico della separazione dall'altro straniero non-nazionale. «Lo
stato, per sua stessa natura, discrimina e così si dota preventivamente di tutti i criteri appropriati,
necessari per procedere alla discriminazione, senza la quale non esiste stato nazionale. Lo stato riconosce
come tali i “nazionali” e inoltre si riconosce in loro, proprio come loro si riconoscono in esso, (con un
effetto di doppio riconoscimento reciproco che è indispensabile per l'esistenza e la funzione dello stato).
La discriminazione avviene dunque tra i “nazionali” e gli “altri”, che lo stato è tenuto a conoscere solo
“materialmente” o strumentalmente, semplicemente per il fatto che sono presenti nel campo della sua
sovranità nazionale e sul territorio nazionale occupato da questa sovranità», A. SAYAD, La doppia
assenza. Dalle illusioni dell'emigrato alle sofferenze dell'immigrato, Milano, Cortina, 2002, p. 369.
122
F. CORRADI, Bambini e insegnanti a scuola. Modelli educativi, relazioni intergenerazionali e
interculturali in Italia e in Francia, Roma, Nuova Cultura, 2011, p.23.
123
Il periodo di massima espansione del movimento coloniale greco si colloca tra il 750 e il 550 a.C. circa.
fonte Enciclopedia Treccani, http://www.treccani.it/enciclopedia/colonizzazione_%28Dizionario-di-
Storia%29/
124
Nell'utilizzo del termine scoperta è insita l'idea di qualcosa di completamente nuovo, misconoscendo
completamente l'esistenza pregressa di popolazioni locali che abitavano questi territori e dell'esistenza
stessa di questi territori a prescindere dalla conoscenza della società europea del XV secolo. Dunque a
quella che viene definita erroneamente scoperta sarebbe più corretto dirne il suo carattere di invasione
coloniale e genocida. Si cita a titolo di esempio la parte di una lettera indirizzata da Enrico VII, re

74
stati nazionali Europei. In questa fase a fungere da giustificazione è la sfera del teologico,
come scrive Di Fazio in Gli Indiani e l'America: «i fondamenti giuridici della conquista del
Nuovo Mondo furono dapprima reperiti nel diritto alla scoperta ed occupazione di terre
non appartenenti a prìncipi cristiani, e poi fissati con autonomo atto deliberativo nella
famosa bolla papale»125 emessa da Alessandro VI nel 1493 per dirimere le contese
territoriali tra Portogallo e Regno di Castiglia.
Ma con l'avvento dell'epoca dei lumi e della rivoluzione industriale la giustificazione
teologica e la benedizione delle gerarchie ecclesiastiche cristiane non bastava più come
argomentazione per continuare a decretare le popolazioni native, aborigene o indie che dir
si voglia, come non umanamente pari in quanto non cristiane e che quindi potessero per il
loro bene essere sottoposte a processi di deculturazione e ridotte in schiavitù.
È a questo punto che nel XIX secolo si afferma come discorso dominante quello del
razzismo scientifico che permette di congiungere la conquista del Nuovo Mondo con gli
imperi coloniali del XIX e XX secolo, il commercio degli schiavi e l'affermarsi
dell'eugenetica come strategia medica di difesa della razza superiore, l'antisemitismo
storico e il progetto di sterminio finale nazista, il genocidio dei nativi americani con i
retaggi di discriminazione etnica inculcati dal colonialismo nei gruppi sociali locali126, i
regimi di apartheid, la definizione politica del campo e l'esclusione dai diritti di
cittadinanza nell'attualità postcoloniale.
Quando ogni pretesa scientificità biologica del discorso razzista si sgretolerà di fronte
all'evidenza avviene un passaggio filosofico a segnare l'evoluzione della continuità della
discriminazione che conduce dal razzismo scientifico al razzismo della differenza
culturale, Rivera ben esprime il nesso in questo frammento:

d'Inghilterra dal 1485 al 1509. a Giovanni Caboto, comandante navigatore ed invasore, autorizzandolo a
scoprire «qualunque isola, nazione, regione o provincia dei pagani e infedeli […] che prima di adesso era
sconosciuta a tutti i cristiani, […] e sottomettere, occupare e possedere tutti i paesi, le città, i castelli e le
isole da loro scoperti», W. E. WASHBURN, Red Man's Land/ White Man's Law: a study of the past and
present status of the American Idian, New York, Charles Scribner's Sons, 1971, p. 28, cit. in M. S.
ABATE, Il culto del peyote. Storia del movimento di liberazione degli indiani nordamericani, Roma,
DeriveApprodi, 2002, p. 18.
125
A. DI FAZIO, Gli Indiani e l'America, La tenace resistenza al capitalismo americano, Casalvelino Scalo
(SA), Galzerano, 2009, p. 23.
126
Si pensi al caso paradigmatico di Utu e Tutsi in Ruanda e Burundi, etnie fittizie selezionate in base al
differente ruolo nella società assunto dai soggetti, le popolazioni locali furono soggette ad un
etichettamento sociale elaborato dal governo coloniale belga al fine di dividere il popolo e sfruttarne una
parte come alleato subordinato per mantenerne il resto in stato di completo dominio. Da questa selezione
originaria hanno avuto origine le guerre etniche che hanno imperversato nella regione africana a più
riprese nel XX secolo, violenze a carattere genocida. Cfr. su questo argomento e sulla violenza razzista di
massa come strategia politica l'importante studio comparativo di J. SÉMELIN, Purificare e distruggere.
Usi politici dei massacri e dei genocidi, Torino, Einaudi, 2007.

75
La mitologia della razza, di conio ottocentesco, aveva preteso di descrivere e classificare ciò che è
squisitamente storico e sociale a partire da un fondamento biologico, a sua volta arbitrario: se nei secoli
precedenti il fondamento delle differenze e delle gerarchie era collocato in una sfera esterna agli esseri umani
(Dio o l'ambiente), l'ideologia ottocentesca – colonialista e antisemita, ma anche intrisa di pregiudizi verso le
«classi pericolose» - coerentemente con la propria concezione della natura lo colloca all'interno stesso della
materia vivente. Questo processo di essenzializzazione e naturalizzazione delle differenze sarà la base per
costruire nuove gerarchie fra «le» umanità a giustificazione delle imprese coloniali: i confini simbolici fra le
«razze», le «etnie», le culture, postulati come netti e invalicabili, correranno lungo la frontiera eretta a
separare le metropoli dai territori coloniali. La segregazione delle popolazioni dominate, sul versante esterno,
e, su quello interno, la stigmatizzazione delle classi subalterne e la discriminazione e persecuzione delle
minoranze fino allo sterminio si avvarranno di tale processo di biologizzazione del sociale e dello storico.
L'epoca postcoloniale certamente eredita gli esiti, i motivi, le strutture di tale processo, ma li ritraduce
secondo un idioma che riafferma la subordinazione, l'esclusione e la segregazione di alterità indesiderabili e
disturbanti attraverso la retorica del «diritto alla differenza»127.
Oltre a prendere consapevolezza degli argomenti storici del razzismo che vedeva nella
differenziazione e gerarchizzazione biologica delle razze il suo presupposto, occorre, con il
cadere in disuso smentito dalle verifiche della scienza del mito bio-inegualitario, indagare
gli argomenti del nuovo razzismo. Per capire in quale direzione muove il declinarsi del
discorso razzista odierno facciamo riferimento a due concetti: «il razzismo differenzialista»
coniato da Taguieff e «l'eterofobia» analizzata da Memmi.

Il discorso razzista contemporaneo, afferma Taguieff, fa proprio e rovescia il valore-norma della differenza
culturale per irrigidirlo, assolutizzarlo, eternizzarlo quasi come dato della natura: i limiti tra i gruppi umani
diventano così frontiere invalicabili e le differenze che li separano incommensurabili e inconciliabili. In tal
modo viene giustificata l'affermazione che certi gruppi non sono in alcun modo integrabili a causa della loro
radicale differenza. Al criterio di superiore/inferiore, proprio delle vecchie classificazioni razziali, viene
sostituito «il criterio apparentemente meno brutale» di assimilabile/inassimilabile. Ciò che rende
particolarmente ambiguo e ingannevole il discorso neorazzista – continua Taguieff – è «l'alta accettabilità
ideologica» dei due schemi fondamentali su cui esso poggia: la difesa delle identità culturali e l'elogio della
differenza hanno ricevuto una doppia legittimazione dal lungo soggiorno nella cultura di sinistra e dall'uso
antirazzista dell'imperativo cristiano del «rispetto dell'altro»128.

Molta gente, che ha atteggiamenti e comportamenti di rifiuto, insiste sul fatto che non lo fa in nome di una
filosofia biologica. Sarebbe ingiusto non prenderne atto, salvo svelare il loro razzismo latente se esiste. Mi è
sembrato che la parola “eterofobia” si addicesse bene a questa categoria di persone. “Eterofobia” potrebbe
designare quelle configurazioni fobiche e aggressive, dirette verso agli altri e che pretendono e che

127
A. RIVERA, Estranei e nemici, Discriminazione e violenza razzista in Italia, Roma, DeriveApprodi,
2003, p. 18.
128
R. GALLISSOT, Razzismo e antirazzismo. La sfida dell'immigrazione, Bari, Dedalo, 1992, pp. 8-9.

76
pretendono di legittimarsi con argomenti diversi, psicologici, culturali, sociali o metafisici, di cui il razzismo
in senso biologico, sarebbe una variante. […] Molte persone si ritengono monde dal peccato razzista se non
fanno molta attenzione al colore della pelle, alla forma del naso o allo spessore delle labbra: sono meno
condannabili, mentre aggrediscono gli altri per una fede o dei costumi diversi?129

Con questi due ultimi contributi ci si ritiene dotati di un bagaglio minimo analitico sulla
questione razzista che possa funzionare da base per ulteriori ricerche ed azioni.

5.2 Lingue native e lingue coloniali, quale idioma per quale soggetto?

Dopo esserci dotati di un impianto interpretativo minimo sul discorso razzista ed il suo
utilizzo coloniale e prima di prendere in analisi le azioni di TI che affrontano direttamente
l'affronto del pregiudizio razzista, osserviamo come Boal interpreta un caso di teatro
strettamente intrecciato con la questione coloniale, i suoi retaggi e strategie di resistenza
performativa. Altro aspetto collegato alle politiche culturali dell'identità e della storia delle
popolazioni è la questione della lingua e del suo utilizzo, approfondire le dinamiche di
scontro e incontro tra lingue native e lingue coloniali, tra rifiuto e reinterpretazione è una
traccia da seguire per approfondire i temi pedagogici del multiculturalismo e
dell'accoglienza migrante.
In Tecniche latinoamericane di teatro popolare130, Boal scrive di come in Paraguay, il
Teatro Popular de Vanguardia131 scelse di rappresentare la vita di Cristo al pubblico
campesino. L'elemento rivoluzionario fu la scelta comunicativa dell'utilizzo della lingua
guaraní. Per comprendere bene la forza di questo orientamento è importante conoscere due
elementi caratteristici del Paraguay dell'epoca: negli anni '60 vigeva un regime dittatoriale
di grande repressione ed il paese era interamente bilingue. Il 90% della popolazione,
afferma l'autore, parla prevalentemente il guaraní, la lingua autoctona; il restante 10%
appartenente alla classe dirigente parla il castigliano, la lingua proveniente dalla
colonizzazione, avendo nei confronti del guaraní un sentimento di vergogna. È evidente
come in questo contesto la polarizzazione linguistica assuma i contorni di un tracciato
oppressivo in cui il castigliano è la lingua del dominio importato prima dagli spagnoli e poi
dall'ingerenza statunitense, e il guaraní sia la lingua del popolo, depositario del rapporto
precolombiano con il territorio.
È proprio su questa linea di tensione che decide di agire il TPV, scegliendo di far parlare il
129
A. MEMMI, Il razzismo, cit., p. 85.
130
A. BOAL, Il teatro degli oppressi, cit., pp. 81-82.
131
D'ora in avanti TPV nel testo.

77
castigliano a tutti i personaggi dell'opera che rappresentavano il potere come apparato
repressivo e conservatore, e di far parlare il guaraní a Gesù, ai suoi apostoli ed ai
personaggi del popolo.
In questo modo, insieme ad una lettura del vangelo imperniata sugli elementi rivoluzionari
del messaggio profetico, avveniva l'identificazione fra le lotte del popolo paraguayano ed i
coraggiosi discorsi del Cristo. La lingua è così utilizzata come marcatore di denuncia del
colonialismo storico e dell'oppressione attuale e identificatore proiettivo di rinforzo per i
soggetti subalterni attraverso il mitico simbolico cristiano.
Sulla questione linguistica Boal non si limita a riportare il caso del Paraguay, ma prende in
analisi successivamente il caso del Perù: in cui si parlano 40 differenti lingue autoctone di
derivazione quechua e aymara. Il governo democratico e popolare del Perù con la
Operación Alfabetiscación Integral del Ministero de Educación, all'epoca aveva come
obiettivo di alfabetizzare 4 milioni di peruviani, per lo più bilingui; in questo caso il
castigliano diventava la lingua funzionale alla comunicazione inter-linguistica
rappresentando un elemento unificatore della spinta democratica.

Il governo non impone il castigliano, anzi, cerca di dimostrare che, come i contadini riscattano la loro terra,
proprietà un tempo dei latifondisti, allo stesso modo possono ora e devono accettare la lingua parlata in tutto
il paese. L'alfabetizzazione viene impartita in due lingue: nella lingua materna originale, affinché si sviluppi
la cultura di ogni gruppo etnico, e in castigliano, affinché il popolo possa esercitare, nazionalmente, il
potere132.

Nel senso di doppia opportunità di conoscenza ed utilizzo linguistico si esprime anche


Freire quando suggerisce alle ex-colonie la rottura radicale con il colonialismo e il rifiuto
ugualmente radicale del neocolonialismo, proponendo: «il superamento della burocrazia
coloniale, […] il superamento della scuola coloniale, la formulazione di una politica
culturale che consideri seriamente la questione delle lingue nazionali, che dai colonizzatori
venivano degradate alla stregua di dialetti». Procedendo nel discorso, afferma che «in
verità, nessun colonizzato, come individuo o come nazione, sigilla la sua libertà, conquista
o riconquista l'identità culturale senza assumere il proprio linguaggio, il proprio discorso e
senza essere da essi assunto»; per poi affermare che «non solo è corretto, ma necessario,
che la ex colonia portoghese, che la ex colonia francese, che la ex colonia inglese, non
rinuncino a queste lingue e alla loro cultura, che le usino, che le studino, che traggano

132
A. BOAL, Il teatro degli oppressi, cit., p. 81; corsivi miei per evidenziare lo stridere tra la non
imposizione governativa dell'apprendimento del castigliano e il dovere morale e culturale richiesto in
nome del progresso democratico della nazione.

78
profitto dalle loro positività»133.

La questione linguistica ha continuato ad interrogare soggetti sociali, ricercatori ed


intellettuali, mantenendo una posizione centrale negli studi postcoloniali134. Come abbiamo
visto, durante il colonialismo i colonizzatori imponevano la loro lingua alle popolazioni
colonizzate, spesso con la proibizione per i nativi di parlare le proprie lingue autoctone.
Molti scrittori scolarizzati durante il regime coloniale raccontano come fossero stati
degradati, umiliati e anche puniti corporalmente per aver parlato nelle loro lingue native
nelle scuole coloniali. In risposta alla sistematica imposizione delle lingue coloniali, alcuni
scrittori ed attivisti postcoloniali sostengono un completo ritorno all'utilizzo delle lingue
indigene. Altri vedono le lingue (per esempio l'Inglese) imposte dei colonizzatori come
un'alternativa più pratica, usare la lingua coloniale sia per incrementare la comunicazione
iter-nation (es. persone che vivono in Djibouti, Cameroon, Morocco, Haiti, Cambogia e
Francia possono parlare tra loro usando il Francese) e per controbattere al passato coloniale
de-formando una lingua Europea standard e ri-formarla in una nuova forma letteraria.
Il più radicale tra gli scrittori che hanno scelto di abbandonare l'Inglese, Ngũgĩ wa
Thiong'o, scrittore Gikuyu del Kenya, che ha cominciato la sua affermata carriera
scrivendo in Inglese prima di scegliere di lavorare completamente nella sua lingua nativa.
In Decolonising the Mind, il suo addio all'Inglese del 1986, Ngũgĩ afferma che attraverso il
linguaggio non solo le persone descrivono il mondo, ma attraverso esso capiscono e
interpretano sé stesse. Per lui, L'inglese in Africa è una bomba culturale che continua un
processo di cancellazione delle memorie e della storia pre-coloniali e installa un dominio
nuovo, una più insidiosa forma di colonialismo. Scrivere in Gikuyu, quindi, è per Ngũgĩ
non solo il modo per dare ascolto alle tradizioni Gikuyu, ma anche per coscientizzare e
comunicare la loro continuità nel presente. Ngũgĩ non è preoccupato principalmente
dell'universalismo, poiché modelli di lotta possono sempre essere comunicati e tradotti per
altre culture, ma preservando la specificità dei gruppi particolari. Nel suo discorso, Ngũgĩ
dice che lingua e cultura sono inseparabili, e che quindi la perdita della prima si manifesta
nella perdita della seconda:

[A] specific culture is not transmitted through language in its universality, but in its particularity as the

133
P. FREIRE, Pedagogia della speranza, cit., p. 182.
134
Dalla fine del capoverso precedente, questa parte di tesi costituisce la traduzione dell'articolo «Language»
dal sito Postcolonial Studies @ Emory, reperibile all'indirizzo
https://scholarblogs.emory.edu/postcolonialstudies/2014/06/21/language/ si è ritenuto importante fare
questo inserto vista la pregnanza degli argomenti e la carenza di materiali attinenti in lingua Italiana.

79
language of a specific community with a specific history. Written literature and orature are the main means
by which a particular language transmits the images of the world contained in the culture it carries.
Language as communication and as culture are then products of each other … Language carries culture, and
culture carries, particularly through orature and literature, the entire body of values by which we perceive
ourselves and our place in the world … Language is thus inseparable from ourselves as a community of
human beings with a specific form and character, a specific history, a specific relationship to the world135.

Dall'altro lato della discussione sulla lingua c'è Salman Rushdie. Seppur i romanzi di
Rushdie spesso affrontano la storia di India, Pakistan, Bangladesh e Gran Bretagna, i suoi
commenti hanno una rilevanza più allargata, in particolare considerando il suo status nella
letteratura mondiale. La sua idea è che lavorare in nuovi Inglesi può essere un atto
terapeutico di resistenza, rielaborare una lingua coloniale per riflettere l'esperienza
postcoloniale (vedi i romanzi postcoloniali). Nel saggio Imaginary Homelands, spiega che,
lontano dall'essere qualcosa che possa essere semplicemente ignorato o del quale
sbarazzarsi, la lingua Inglese è il luogo in cui gli scrittori possono e devono elaborare i
problemi che affrontano le ex colonie emergenti o recentemente resesi indipendenti:

One of the changes [in the location of anglophone writers of Indian descent] has to do with attitudes towards
the use of English. Many have referred to the argument about the appropriateness of this language to Indian
themes. And I hope all of us share the opinion that we can’t simply use the language the way the British did;
that it needs remaking for our own purposes. Those of us who do use English do so in spite of our ambiguity
towards it, or perhaps because of that, perhaps because we can find in that linguistic struggle a reflection of
other struggles taking place in the real world, struggles between the cultures within ourselves and the
influences at work upon our societies. To conquer English may be to complete the process of making
ourselves free136.

Il dibattito teoretico ed accademico riguardante la lingua è affrontato nel dettaglio in The


Empire Writes Back. Bill Ashcroft, Gareth Griffiths e Helen Tiffin esplorano i differenti
modi in cui gli scrittori incontrano una lingua coloniale dominante. Descrivono un
processo composto da due parti attraverso il quale gli scrittori nel mondo post-coloniale
sostituiscono la lingua standard (denotata dalla e maiuscola in English) e la sostituiscono
con una variante locale che non ha la percezione di essere macchiata di inferiorità, ma che
piuttosto riflette un distinto sguardo culturale attraverso l'utilizzo locale. I termini che
danno a questi due processi sono abrogazione e accomodamento:
135
N. WA THIONG'O, Decolonising the mind. The politics of language in African Literature, London, James
Curray, 2004, pp. 15-16.
136
B. ASHCROFT, G. GRIFFITHS, H. TIFFIN, The Empire Writes Back: Theory and Practice in Post-
Colonial Literature, London and New York, Routledge, 2002, p. 17.

80
Abrogation is a refusal of the categories of the imperial culture, its aesthetic, its illusory standard of
normative or “correct” usage, and its assumption of a traditional and fixed meaning “inscribed” in the
words137.

Appropriation is the process by which the language is made to “bear the burden” of one’s own cultural
experience … Language is adopted as a tool and utilized to express widely differing cultural experiences138.

Gli autori sono attenti nell'osservare che, comunque, l'abrogazione da sola, per quanto sia
un passo fondamentale della decolonizzazione (vedi Ngũgĩ) non è sufficiente, poiché
esporrebbe al pericolo che i ruoli vengano invertiti e un che insieme di pratiche normative
subentri.
Un altro tema che Ashcroft e i suoi coautori descrivono è l'identificazione di tre tipi di
comunità linguistica: la monoglossica, la diglossica e la poliglossica. La comunità
monoglossica, corrisponderebbe approssimativamente ai vecchi insediamenti di coloni,
luoghi dove l'inglese (la e in minuscolo in english denota l'uso di un inglese locale non
standard) è la lingua nativa. La comunità diglossica, fino ad ora la più comune delle tre,
accade quando il bilinguismo è diventato un duraturo accordo sociale, per esempio in
India, Africa, nel Sud Pacifico, per le popolazioni indigene delle colonie e in Canada, dove
la cultura Québecois ha creato una società bilingue artificiale. Ultima, la comunità
poliglossica è presente principalmente nei Caraibi, dove una moltitudine di dialetti
interagiscono per formare un continuum generalmente comprensibile.
Molte delle questioni sulla lingua dei Nativi Americani affrontano un parallelo dibattito
postcoloniale, seppur lo status dei Nativi Americani rimane non chiaro per gli studi
accademici postcoloniali. Gerald Vizenor, scrittore e critico, ha celebrato l'inglese come
strumento di resistenza:

The English language has been the linear tongue of the colonial discoveries, racial cruelties, invented names,
the simulation of tribal cultures, manifest manners, and the unheard literature of dominance in tribal
communities; at the same time, this mother tongue of para-colonialism has been a language of invincible
imagination and liberation for many people of the post-indian worlds. English … has carried some of the best
stories of endurance, the shadows of tribal creative literature, and now that same language of dominance
bears the creative literature of distinguished post-indian authors in cities … The shadows and language of
tribal poets and novelists could be the new ghost dance literature, the shadow literature of liberation that

137
Ivi, p. 38.
138
Ivi, pp. 38-39.

81
enlivens tribal survivance139.

La questione della lingua solleva molte questioni problematiche da considerare nello studio
dei testi letterari: l'autore sceglie di lavorare in una lingua locale o in una lingua Europea
maggiore? Se la prima – in che modo il lavoro viene tradotto e da chi? Quali possono
essere le modifiche che la traduzione ha fatto al lavoro? Quale tipo di processo semantico
di abrogazione/deformazione e appropriazione/riformazione accade al lavoro? Quando una
lingua locale fornisce i termini, in che contesto si presentano? Infine, cosa implica l'utilizzo
della lingua rispetto alle teorie implicite di resistenza140?

5.3 Il teatro invisibile in azione contro il pregiudizio razzista

Veniamo ora al Teatro Invisibile a scena aperta nell'esposizione del pregiudizio razzista e
delle reazioni che scatena. Boal in Il poliziotto e la maschera141 riporta due differenti azioni
di teatro invisibile aventi come tema centrale il razzismo. Le azioni descritte si svolgono in
Svezia, territorio che a livello di sperimentazione della tecnica invisibile ha portato
importanti casi in letteratura, il tema del razzismo emerse dalla proposta dei convenuti al
laboratorio condotto dal regista brasiliano in quanto preoccupante presenza nel paese; il
pregiudizio verso gli stranieri – spiega Boal – viene esemplificato nell'accezione Occhio di
cane, utilizzata per definire gli occhi di tutti i colori tranne il blu, colore che caratterizza gli
occhi della grande maggioranza della popolazione svedese. L'obiettivo in queste azioni è di
smascherare questa oppressione nelle sue rappresentazioni e nelle manifestazioni pratiche
discriminatorie.
La prima azione è nominata Razzismo I: il greco; la scena viene recitata in due ristoranti
diversi, entrambi all'aperto. I temi che vengono utilizzati e al tempo stesso esposti per
arrivare al tema centrale sono: la preservazione della monogamia come elemento
strutturante del rapporto di coppia; la iniqua distribuzione del lavoro di cura riguardante la
casa e l'educazione dei figli fra uomo e donna; le differenti aspettative di comportamento
legate all'appartenenza di genere.

Primo modulo142 - La scena ha origine con moglie e marito (due attori) seduti a un tavolo
139
G. R. VIZENOR, Manifest Manners. Narratives on postindian survivance, Middletown, Wesleyan
University Press, 1994, pp.105-6.
140
Fine traduzione articolo di cui alla nota 134.
141
A. BOAL, Il poliziotto e la maschera, cit., pp. 40-45.
142
Per descrivere le parti della rappresentazione si fa utilizzo del termine modulo per indicare un segmento
dell'azione che coerentemente collegato in maniera progressiva e consequenziale compone l'insieme della

82
del ristorante, comincia una discussione svolta ad alta voce. Lei rimprovera risentita al
marito di interessarsi troppo alle altre donne e di non partecipare all'adempimento delle
faccende di casa, trascurando i figli. «Lui cerca di affermare i suoi diritti di uomo»143.

Secondo modulo - Entra una donna (attrice) nella zona all'aperto del ristorante e si siede a
un tavolo, è un'amica del marito. Lui all'avvedersi dell'arrivo lascia sfacciatamente la
moglie al tavolo da sola malgrado le proteste di lei e va a sedersi con l'amica. Iniziando un
dialogo a tema amoroso.

Terzo modulo - Arriva un giovane Greco (attore), guardando lo spazio cerca un luogo in
cui sedersi, la moglie della coppia da cui ha origine la scena lo invita ad accomodarsi al
suo tavolo. Lui accetta volentieri e lei comincia un tentativo di seduzione.

Quarto modulo – Il marito si avvede della presenza di un altro uomo in compagnia della
moglie, torna al tavolo e vuole allontanare il ragazzo greco. «Lo attacca sulla sua
nazionalità. La moglie esige che il Greco resti con lei. Il cameriere è obbligato a
intervenire, poiché il Marito gli chiede di cacciare il Greco dal ristorante e la Moglie gli
chiede di cacciare il Marito»144.

A questo punto si innesca una discussione generale, con il pubblico che smette la veste di
osservatore passivo e diventa spett-attore partecipe degli argomenti nella discussione
aperta e interattiva. Si riporta che in ambedue le azioni nelle quali questa scena venne
proposta, la partecipazione del pubblico fu molto forte e non solo si discusse di pregiudizio
e comportamenti razzisti ma anche del diritto delle donne di attuare azioni di risposta alle
discriminazioni di genere e alle giustificazioni maschiliste addotte dagli uomini (siano
questi i loro compagni e mariti o chiunque altro).
Al termine del racconto di questa azione quando si riportano le reazioni del pubblico Boal
scrive:

La seconda volta ero seduto a fianco di una giornalista svedese in servizio. A un tavolo più lontano c'erano
alcuni suoi amici. Secondo lei tutti si dicevano antirazzisti. E si recitava, si viveva questa scena razzista. Ora,
i soli che non hanno voluto partecipare erano gli amici della giornalista. Ciò fu un'eccezione e il dibattito fu

scena. Si preferisce il termine modulo a quello di azione utilizzato da Boal per la descrizione, poiché con
questa si intende l'insieme dell'intervento di TI e non una singola parte segmentaria dell'insieme.
143
Ivi, p. 42.
144
Ivi, p. 43.

83
intenso145.

Non si capisce esattamente cosa Boal intenda dire con questa affermazione, forse sta
presumendo una divergenza fra modo di rappresentarsi (dirsi antirazzisti) e conseguenze
pratiche (nell'intervenire in una situazione di discriminazione)? La mancanza di dati e di
ulteriori spiegazioni risulta in una lacuna incomprensibile per il lettore al quale viene
lanciata un'affermazione implicante qualcosa che viene a cadere nel nulla.
Possono solo emergere molti interrogativi: cosa ci fa Boal seduto a fianco di una
giornalista in servizio? Come mai è in servizio proprio in questo luogo e in questo
momento? Cosa sanno gli amici della giornalista di ciò che sta accadendo davanti ai loro
occhi? Conoscono già il TdO e le sue tecniche compresa quella del TI? Pensano di trovarsi
di fronte a una situazione reale o sono consapevoli della dimensione teatrale di ciò che
stanno osservando?
Queste domande sorgono a maggior ragione per il fatto che poche pagine prima, nella
pubblicazione, si dice di una eccessiva diffusione delle informazioni sul lavoro dei
numerosi laboratori (nei quali si elaborano azioni di TI) tenuti a Stoccolma durante il
Festival di Skeppsholm. Al punto che il giorno programmato per lo svolgersi delle azioni di
TI nella metropolitana cittadina:

«Svennska Dagbladet», uno dei principali giornali svedesi, pubblicò la mia foto [di Boal] con un'enorme
legenda che annunciava la prima del teatro-invisibile nella metropolitana di Stoccolma e consigliava ai
passeggeri di non lasciarsi sorprendere da questa nuova espressione teatrale146.

Non siamo a conoscenza della sequenzialità temporale degli eventi, ma queste condizioni
ci pongono certamente in condizione di attenzione, se i signori antirazzisti dei quali ci
avvisa Boal fossero stati acuti osservatori dell'attualità locale e del lavoro del TdO
avrebbero potuto riconoscere Boal, collegare la sua presenza ad un'azione non dichiarata e
porsi conseguentemente nelle vesti di classici spettatori osservatori dell'insieme degli
eventi in quanto esperimento sociale.
Inoltre sappiamo dell'interesse dei mezzi di informazione per le pratiche di TdO, in
particolare di quelle più spettacolari (come testimonia la citazione riportata), e del fatto che
lo stesso Boal in alcune occasioni abbia accettato che le azioni di teatro invisibile venissero
sia documentate giornalisticamente che filmate come avviene nel caso di Liegi del 1978 147.
145
Ibidem.
146
Ivi, p. 42.
147
A. BOAL, S. EPSTEIN Invisible Theahtre, cit., pp. 27-38.

84
Da cui sorge la ragionevole domanda sull'obiettivo della presenza della giornalista in
servizio a fianco del regista e sulla possibilità che il gruppo di amici (antirazzisti) chiamato
in causa fosse a conoscenza della dimensione rappresentativa-attiva della situazione in
quanto azione di TI.
Comunque queste argomentazioni si mantengono ad un livello interrogativo di ipotesi, il
dato certo è che in questo caso Boal è poco chiaro e pertinente.

La seconda azione viene nominata: Razzismo II: la donna nera; la scena venne interpretata
su un ferry-boat. Stoccolma in termini territoriali è un arcipelago: quattordici isole al
centro che affiorano li dove il lago di Mälaren incontra il Mar Baltico, la presenza di spazi
acquatici nella città metropolitana è un dato costitutivo, per questa caratteristica è stata
soprannominata la Venezia del nord. Questo ci fa capire quanto alla fine degli anni '70, le
piccole imbarcazioni mobili adibite al trasporto passeggeri (come i vaporetti per la città
lagunare veneta) fossero fondamentali per il trasporto pubblico. Contestualizzato il luogo
della scena passiamo ora a vederne i moduli.

Primo modulo – Il gruppo di TI sale sul ferry-boat, ciascun attore e attrice con il suo ruolo.
Un'attrice nera si accomoda su un sedile centrale e ben visibile da ogni direzione. Gli altri
attori che impersonano un Italiano, una donna Svedese ubriaca ed un impiegato Svedese, si
posizionano poco distanti restando in piedi. L'ubriaca (attrice eccellente), tra le prime a
salire, con in mano una bottiglia di birra e la disinibizione caratteristica del suo stato di
alterazione alcolica, saluta con loquacità ogni passeggero che entra, «diceva delle cortesie
agli uni, provocava altri, scandalizzava la maggior parte delle persone con il suo
comportamento»148.

Secondo modulo – Il battello parte, e dopo poco l'Italiano si avvicina alla donna nera
domandandole cosa ci fa lì; una persona nera seduta e un uomo bianco in piedi, com'è
possibile. Sorge una violenta discussione sulla questione razziale, la giovane donna nera
furiosa si alza lasciando il posto libero per l'Italiano che si siede e comincia a leggere un
giornale italiano (per palesare la sua provenienza). L'ubriaca, che dalla sua postazione
aveva assistito alla scena come tutto il pubblico, si avvicina all'attore sedutosi sul sedile
oggetto simbolico di contesa.

148
A. BOAL, Il poliziotto e la maschera, cit., p. 43.

85
Terzo modulo – L'ubriaca approccia l'Italiano con la pretesa che si alzi, argomentando che
effettivamente la Svezia sia un paese di bianchi, ma bianchi Svedesi, e che quindi lui,
essendo un immigrato Italiano deve lasciare il posto a lei che è svedese. E gli intima di
alzarsi.
Si accende una nuova discussione sulle provenienze, le nazionalità, le razze e i diritti
dell'uomo. Al termine della quale l'Italiano si alza lasciando il posto ed esce di scena.

Quarto modulo – Ora è l'impiegato ad avvicinarsi al posto occupato dall'ubriaca; egli esige
che essa si alzi e gli lasci libero il sedile, sarà anche vero che lei è Svedese ma ubriaca ed
improduttiva e, secondo una retorica di discriminazione cumulativa, la priorità per i posti a
sedere non solo è una questione di razza e di nazionalità ma anche di classe e di normalità
rispetto alle condizioni di devianza: lui è bianco, Svedese, impiegato di banca e
(apparentemente) normale. La concatenazione di discriminazioni è qui esplosiva e di
grande effetto. A questo punto il pubblico, saturato dall'escalation pregiudiziale, interviene
con decisione in difesa dell'ubriaca; una folla di spett-attori che protestando e criticando
agisce contro le discriminazioni siano esse di diritto, di nazionalità, di razza, di classe o di
comportamento sociale.

Quinto modulo – Un attore non precedentemente intervenuto cerca di convincere la donna


nera a rioccupare il posto sul quale era originariamente seduta. Ma la scena prosegue con
un intervento ancora più incisivo degli spett-attori:

Ella rifiuta la carità. Diversi spettatori seduti qua e là si alzano per protestare contro il pregiudizio e ciascuno
adduce una ragione:
«io mi alzo perché sono brasiliano»!
«io mi alzo perché sono indiano»!
«io mi alzo perché sono povero».
«io mi alzo, ecc...».
Il risultato fu incredibile e stupendo. Oltre all'efficacia della discussione, era così bello vedere tanti posti
liberi in segno di protesta mentre tutti erano pigiati e compressi!

In entrambi i casi di teatro invisibile raccontati da Boal sulla questione del razzismo,
inscenati in luoghi pubblici estemporaneamente determinati, vi è una sostanziale efficacia
metodologica e raggiungimento degli obiettivi preposti: di denuncia, emergenza della
questione, attivazione del pubblico nell'azione e nella discussione sull'argomento.

86
5.4 Roleplayng to train for resistance: the civil rights experience

Nell'azione di TI sopra riportata si utilizza un tòpos simbolo dei diritti civili e della lotta
alle discriminazioni razziali, infatti il 1 Dicembre 1955 a Montgomery in Alabama, Rosa
Parks, donna nera, alla richiesta del conducente dell'autobus di alzarsi dal posto che stava
occupando per cederlo a un passeggero bianco, oppone il suo pacato rifiuto. È un pieno
affronto alle norme segregazioniste degli Stati Uniti, il regolamento cittadino prevede che i
neri abbiano l'obbligo di cedere il proprio posto ai bianchi nel caso non ci siano altri posti
disponibili. L'autobus si ferma, la polizia è chiamata ad intervenire, la Parks è tratta in
arresto per condotta impropria.
Questo è uno di quegli episodi storici che per chiara evidenza dell'ingiustizia e cogliendo
una necessità condivisa socialmente, diventa un catalizzatore di eventi, un punto di rottura
simbolico sul quale costruire l'aggregazione di una progressione politica determinata, un
riferimento figurativo.
Il sito dell'NAACP (National Association for the Advancement of Coloured People),
organizzazione nella quale Rosa Parks militò dal 1943 scrive: «she had been a
knowledgeable NAACP stalwart for many years, and gave the organisation the incident it
needed to move against segregation in the unreconstructed heart of the Confederacy,
Montgomery, AL»149.
Dal giorno successivo infatti cominciò il boicottaggio da parte della comunità afro-
americana dei mezzi del trasporto pubblico di Montgomery, durato un intero anno, che
costituì al tempo stesso una forte forma di pressione economica ed un'imponente
testimonianza collettiva di dignità umana. Come scrisse in seguito Martin Luther King:
«Giunsi a percepire che ciò che stavamo realmente facendo fosse ritirare la nostra
cooperazione ad un sistema perverso anziché semplicemente ritirare il nostro sostegno
economico alla compagnia degli autobus»150.
Nel 1960, studenti attivisti sia neri che bianchi si incontrarono alla Shaw University in
Raleigh, NC, e fondarono l'SNCC (Student Nonviolent Coordinating Committee). Questa
organizzazione ebbe un ruolo importante nel movimento per i diritti civili e fu
fondamentale per l'organizzazione di sit-ins, freedom rides e altre forme di azione diretta.

Esempio tipico d'azione diretta sono i sit-in nelle tavole calde segregate. Alcuni bianchi insieme ad alcuni
neri si siedono al banco e rifiutano di lasciare il loro posto finché anche i neri non saranno serviti.
149
Cit. tratta dal sito ufficiale dell'NAACP: www.naacp.org/pages/naacp-history-rosa-parks
150
M. L. KING, Stride forward freedom, Cit. in C. VICENTINI, La teoria del teatro politico, cit., p. 142.

87
L'intervento consiste nell'affermare nel modo più clamoroso e immediato possibile all'interno della situazione
particolare la propria coscienza dei diritti dei neri, impedendo praticamente, nello stesso tempo, lo
svolgimento di un'attività iniqua: il servizio di ristorante riservato ai soli bianchi151.

Per prepararsi alle reazioni di odio e alla violenza ai quali sarebbero andati incontro, gli
studenti praticavano un training di resistenza passiva. Qui di seguito la definizione data dal
gruppo di attivisti ACT UP di New York:

Civil disobedience training: the purpose of training is for participants to form a common understanding of the
use of nonviolence. It gives a forum to share ideas about nonviolence, oppression, fears and feelings. It
allows people to meet and build solidarity with each other and provides an opportunity to form affinity
groups. It is often used as preparation for action and gives people a chance to learn about an action, its tone,
and legal ramifications. It helps people to decide whether or not they will participate in an action. Through
role playing, people learn what to expect from police, officials, other people in the action and themselves152.

Anche se l'SNCC era un organizzazione non-violenta, il tipo di training che gli studenti
dovevano affrontare includeva l'offesa verbale, il tirare i capelli, lo sputo in faccia e
l'escalation dell'aggressione fisica. Queste sessioni di training erano un lavoro molto duro
in termini fisici, emotivi e psicologici; spesso includevano il fatto che i membri bianchi del
gruppo dovessero impersonare i comportamenti razzisti che si stavano combattendo.
Durante i training di disobbedienza civile avviene l'utilizzo di strategie teatrali di role-
playing all'interno di un piccolo gruppo di attivisti estremamente motivati a portare la
propria volontà di cambiamento nella società; l'obiettivo del movimento per i diritti civili è
rompere il silenzio, infrangere l'accettazione passiva, la pratica prevede l'azione delle
contraddizioni in campo pubblico e l'assunzione dei rischi e delle conseguenze
dell'attivismo, dall'arresto al subire aggressioni dirette.
Attraverso il training si tratta di imparare a resistere, a controllare le proprie reazioni,
costituisce un allenamento per abituarsi allo stress psico-fisico del confronto con la
violenza e alla possibilità che venga perpetrata, non solo subire i colpi ma prepararsi ad
affrontare lo stato di minaccia nel quale la mente vacilla, non solo accettare di ricevere
violenza su di sé personalmente ma anche che a subirla saranno i propri compagni e le
proprie compagne di militanza.

151
Ivi, p. 143.
152
Si usa questa definizione di training non violento come riferimento, in quanto particolarmente esaustiva
sul significato e gli obiettivi di questa tecnica, tratta dal sito di Act Up (AIDS Coalition To Unleash
Power) organizzazione nata nel 1987 a New York per contrastare il propagarsi dell'AIDS e per assumere
questa malattia in quanto problematica socio-politica; Cfr. http://www.actupny.org

88
Questo genere di training permette agli attivisti di sperimentare seppur in maniera attenuata
quello a cui andranno incontro, interpretando una prova chiarisce il livello a cui è
necessario coinvolgersi; inoltre l'esperienza permette al gruppo di cementarsi nella sua
affinità e solidarietà interna, gettando così le premesse per attuare l'azione. In questo senso
si pensi alla fatica emotiva di questi attivisti nell'interpretare e nel subire comportamenti
violenti tra compagni153 che condividono la stessa lotta. A cosa è dovuta la pratica del
training di disobbedienza civile dunque? Alla necessità di prepararsi a una realtà ben più
cruenta e reazionaria, ma l'idea – come dice Martin Luther King – che «l'azione coerente al
principio – la percezione e l'esecuzione di ciò che è giusto – muta le cose e le relazioni; è
essenzialmente rivoluzionaria» spinge gli attivisti all'azione radicale per mirare ad un
limpido obiettivo di liberazione, la fine della segregazione razziale negli Stati Uniti.
Abbiamo visto qual è la dinamica della preparazione dell'azione, vediamo ora quali sono le
caratteristiche della pratica nonviolenta:

È un intervento diretto portato all'interno di una situazione ingiusta che si vuole trasformare. L'intervento ha
due caratteri che si potenziano a vicenda. È un'azione capace di esercitare una concreta pressione pratica per
impedire il prolungamento della situazione, ed è una testimonianza morale capace di manifestare nel modo
più imponente l'autenticità delle convinzioni morali di chi agisce. La pressione pratica esercitata dall'azione
impedisce all'avversario di ignorare la testimonianza morale, mentre questa moltiplica l'efficacia
dell'intervento pratico che di per sé sarebbe insufficiente a costringere l'avversario alla resa154.

Riprendendo un concetto teorico importante del Teatro dell'Oppresso, possiamo parlare


dell'utilizzo di strategie teatrali nel training di azione nonviolenta come di un dispositivo
che assume responsabilità e incrina le dinamiche di passività e di delega. Possiamo
affermare anche che non solo è teatro come «prova della rivoluzione», come afferma Boal
per il Tdo, ma è anche utilizzo di un teatro rivoluzionario in sé, in quanto porta alla
trasformazione ed evoluzione dei rapporti umani e sociali in chi lo attua ed è agente di
trasformazione sociale in senso democratico e di liberazione.

5.5 Uso del teatro forum per elaborare la condizione migrante, il caso Rosarno

Prendiamo ora in analisi un progetto di TdO attuato con la tecnica del teatro forum a Roma

153
In particolare gli attivisti banchi, interpretando nel training il razzismo presente nella società, agiscono
l'opposto della scelta eticamente attuata nel loro percorso di lotta, sperimentando così l'altra possibilità
insita del loro essere bianchi in uno stato segregazionista.
154
C. VICENTINI, La teoria del teatro politico, cit., 143.

89
tra febbraio e luglio del 2010, La spremutina africana rappresenta la situazione degli AWR
(African Workers of Rosarno), identificando le strutture della loro oppressione. Il progetto
è stato costruito e sviluppato dal gruppo di TdO PartecipArte (risolvere i problemi con
l'intelligenza collettiva)155 insieme ad un gruppo di migranti costretti ad abbandonare
Rosarno156, dopo lo scontro sociale avvenuto nel gennaio 2010 tra lavoratori migranti e
alcuni residenti, in cui i lavoratori risposero con proteste pubbliche ad alcuni violenti
attacchi razzisti (quattro braccianti africani furono feriti a colpi di arma da fuoco), facendo
in questo modo emergere alla ribalta delle cronache la propria situazione di grave
sfruttamento.
L'obiettivo del progetto è, attraverso il TF, di permettere l'informazione delle condizioni di
oppressione incontrate (sfruttamento sul lavoro, aggressioni razziste, espressioni di falsa
solidarietà) e attraverso l'elaborazione comune nel come se teatrale provare a modificarle.
Il gruppo teatrale proponente lo spettacolo è composto sia da migranti che da italiani, la
presenza di soggetti che abbiano direttamente subito le situazioni di oppressione
rappresentate determina un forte elemento caratterizzante di questo progetto. La
partecipazione di un gruppo di AWR determina che all'interno del forum vi sia una
coincidenza tra soggetti storici e ruoli rappresentati, questo porta ad una elevata veridicità
delle scene rappresentate e ad un alto coinvolgimento emotivo della comunità che ad ogni
spettacolo si aggrega, che prende consapevolezza della durezza delle condizioni a cui sono
sottoposti i lavoratori migranti mantenuti in uno stato di profonda oppressione ed
invisibilità.
Altro obiettivo del progetto è di coinvolgere il pubblico, ingaggiandolo in possibilità di
interpretare in teatro i ruoli sociali delle vicende rappresentate e a partire da ciò interessarlo
ed invogliarlo ad agire in prima persona in azioni di solidarietà reale. Lo spettacolo
interroga e denuncia le questioni dello sfruttamento lavorativo, del razzismo,
dell'indifferenza, della paura e della falsa solidarietà.
Il titolo del progetto: La spremutina africana (African juice)157 si riferisce al lavoro di
155
Per ulteriori informazioni sul gruppo di TdO PartecipArte con sede a Roma si rimanda al sito
www.parteciparte.com
156
Per avere idea delle condizioni di vita dei lavoratori migranti impegnati nelle raccolte stagionali delle
campagne calabresi (e di tutta Italia) si consiglia la visione del documentario Il tempo delle arance:
https://vimeo.com/8812128.
Prodotto dal gruppo di mediattivisti napoletani InsuTV, collettivo che «in maniera radicale cercano
diverse chiavi di lettura per trasformare semplici narrazioni in strumento di lotta e di liberazione dal giogo
della dis-informazione del potere» Cit. http://www.distribuzionidalbasso.com/nicola-angrisano/.
157
Per la ricostruzione del progetto e le considerazioni che lo riguardano si fa riferimento al documento di
report finale: R. MATHIJSSEN, O. MALCOR, La spremutina africana. The african juice, Parteciparte,
2011, reperibile al sito del gruppo, www.parteciparte.com/home/wp-
content/uploads/2011/01/AfricanJuice-report-version-RM.pdf; e del video realizzato sul progetto:

90
raccolta della frutta, attività effettuata in larga maggioranza da migranti nel contesto
italiano ed europeo.
I lavoratori svolgono spesso quest'attività in condizioni inumane, come nel caso di Rosarno
in Calabria, senza aver accesso ai diritti umani basilari. Il concetto di farne spremuta,
spremere fino all'osso, è una metafora comunemente utilizzata in Italia per esprimere
figurativamente il concetto di elevato sfruttamento ed oppressione.
Lo spettacolo vuole porre in luce la contraddizione delle istituzioni europee ed italiane e
delle loro leggi, che da una parte affermano di voler limitare, gestire e selezionare i flussi
migratori, dall'altra permettono lo sfruttamento della manodopera migrante al di fuori di
qualsiasi regolamentazione e garanzia attraverso il lavoro irregolare, il così detto lavoro
nero.
In questo meccanismo di sfruttamento e irregolarità è la grande distribuzione alimentare a
generare enormi profitti. I guadagni elevati vengono prodotti al prezzo della drastica
riduzione del costo del lavoro ed incrementandone costantemente i ritmi, questi due fattori
fanno emergere l'evidenza di come si stia configurando la riemersione di un fenomeno che
disponendo dei soggetti nell'interezza del loro tempo vita, si avvicina pericolosamente ad
una condizione neoschiavistica.
Sottoterra, l'indagine sul lavoro sommerso in agricoltura effettuata da Eurispes e UILA nel
2014 parla chiaro:

I settori in cui è più diffuso il lavoro sommerso (lavoro domestico, servizi di cura, costruzioni, agricoltura)
sono anche quelli in cui è più elevata la presenza di lavoratori migranti. […] La manodopera straniera mostra
caratteristiche di stabilità della presenza, sebbene sia una tipologia di lavoro principalmente stagionale,
caratterizzata da una forte mobilità. […] La semi schiavitù dei braccianti è una condizione reale nei campi di
raccolta italiani, con paghe pen al di sotto dei contratti nazionali e decisamente misere rispetto all'impegno
richiesto. […] I lavoratori in nero dei campi di tanta parte del territorio italiano sono dunque i nuovi schiavi.
Isolati ed invisibili, vivono spesso in baraccopoli che costituiscono veri e propri ghetti158.

Per permettere il funzionamento di questa macchina produttiva di sfruttamento sommerso è


necessario il coinvolgimento delle organizzazioni criminali mafiose che «cercano di
controllare pezzi sempre più ampi del comparto agroalimentare, in tutta la sua filiera, dai

https://www.youtube.com/watch?v=pvdGYmwC6fM.
158
Cit. Eurispes, UILA, #sottoterra – indagine sul lavoro sommerso in agricoltura, www.eurispes.eu, 2014.
L'indagine è reperibile all'indirizzo http://www.eurispes.eu/content/eurispes-sottoterra-indagine-lavoro-
sommerso-agricoltura-eurispes-uila; l’Eurispes è un istituto di ricerca di studi politici, economici e
sociali che ha contribuito all’emersione di numerosi fenomeni sociali nascosti o poco noti.

91
campi agli scaffali»159. Sia nell'organizzazione e gestione dei viaggi della speranza,
trasporti eccezionali che a fronte di prezzi elevatissimi e indebitamenti trasnazionali
portano i migranti a rischiare la vita in attraversamenti marittimi sfidando i limiti della
provvidenza; sia nella gestione della manodopera attraverso il caporalato, mantenendo la
precarietà d'impiego a livello quotidiano e ponendo le persone migranti continuamente
sotto il ricatto di vedersi negata la possibilità di lavorare; sia nel mantenere uno stato di
paura volto a generare silenzio e rassegnazione.
La spremutina africana vuole mettere in rilievo l'ambivalenza della condizione migrante:
«tries to connect and question the two sides of the coin: on the one side immigrants are
problematic and there should be control, on the other they produce wealth, and are
indispensable»160.
La situazione dei lavoratori migranti è nota ma invisibile al tempo stesso e deve rimanere
tale secondo il paradigma di mantenimento dello sfruttamento produttivo. Gli incidenti di
Rosarno sono cominciati il 7 gennaio 2010 quando due migranti sono andati a comprare
del cibo al supermercato in pieno giorno, «in the words of Rosarno residents: “going to the
supermarket at daylight, at the face of everybody, isn't that shocking...”» 161. Come
conseguenza dell'uscita diurna dalla loro condizione invisibile, i due vengono attaccati a
colpi di proiettile sulla strada del ritorno all'accampamento dove vivono in condizioni di
miseria estrema, un migrante riporta gravi ferite.
La serietà dell'aggressione e la percezione comune della messa in pericolo dell'incolumità
dei lavoratori migranti porta a una forte reazione della comunità Africana presente a
Rosarno, un gruppo dei quali porta la protesta nel paese, consapevole dei rischi ai quali va
in contro ma sapendo di non avere altra scelta che rivendicare i propri diritti all'esistenza
degna.
Alla protesta dei lavoratori migranti che marciano in corteo nel paese e chiedono di
incontrare il sindaco, parte della popolazione locale reagisce molto negativamente, nella
considerazione che le persone Africane sfruttate debbano rimanere nell'invisibilità e
concepiscono come un affronto il loro prendere parola. Alcuni gruppi di residenti
cominciarono ad organizzare giri di intimidazione con le macchine (dalle quali in più
occasioni erano stati effettuati gli spari) ma i migranti in protesta costituiscono un folto
gruppo di più di 150 persone, fermano le macchine e le ribaltano come risposta di
autodifesa e cominciano scontri tra le parti. La polizia interviene a interporsi e costringe i
159
Ibidem.
160
R. MATHIJSSEN, O. MALCOR, La spremutina africana, cit., p. 3.
161
Ibidem.

92
migranti a fare ritorno al campo. Nei giorni successivi il governo decide di trasferire tutti i
migranti, di fatto costringendoli ad abbandonare Rosarno; questa decisione costituisce
l'evidenza della mancanza della presa in carico del problema sociale e politico,
nell'affermazione di una politica che produce invisibilità su invisibilità.
Il ruolo dei media dell'informazione è stato di massima attenzione per una settimana,
spesso dando notizie in modo parziale e scientemente superficiale162, dando enorme risalto
alla reazione decisa dei lavoratori migranti senza indagarne a fondo le cause. Il ministro
dell'Interno dell'epoca, Roberto Maroni commentando i fatti, di fronte a lavoratori che
denunciavano il loro stato di sfruttamento e reclamavano il loro diritto a non venire fatti
oggetto di tiri di proiettile, disse: «In questi anni è stata tollerata l'immigrazione
clandestina che ha alimentato la criminalità e ha generato situazioni di forte degrado» 163.
Presto comunque la notizia venne abbandonata e rimossa dall'evidenza collettiva per
tornare al suo inconscio collettivo, lasciando spazio a nuove notizie di altre catastrofi
temporaneamente alla ribalta delle cronache.

5.6 La spremutina africana: costruzione dello spettacolo

Prendiamo ora in analisi le differenti fasi di costruzione dello spettacolo di teatro forum
progettato.
La prima scena elaborata dal TF si svolge nel sud Italia da cui hanno origine le vicende
trattate, le restanti focalizzano l'attenzione sul resto del paese ed in particolare su Roma
dove gli AWR coinvolti vivono dopo l'espulsione da Rosarno. Nello spettacolo si cerca di
dare risalto alla dimensione europea del problema, che non costituisce solo un fatto
italiano. La legislazione europea e la grande distribuzione commerciale dei grandi
supermercati sono altri elementi che compongono l'oppressione e che vengono posti in
attenzione. Inoltre sotto accusa sono tutte le proposte demagogiche di cambiamento che
rimangono lettera morta: «a lot was said about the issue, actions were promised, be it in the
media, be it by the politicians, be it by the grassroots organisations, the African Workers
had the feeling that absolutely nothing was done. This also had to be staged»164.

162
Per approfondire le scelte di utilizzo manipolatorio dell'informazione sulla condizione migrante in Italia si
rimanda a: A. ERTA, Migranti in cronaca. La stampa italiana e la rappresentazione dell'”altro”: la
rivolta di Rosarno, Verona, Ombre Corte, 2014.
163
Cit. dall'articolo apparso sulla testata Corriere della sera online, del 8-1-2010, al quale si rimanda anche
per la cronaca dei fatti: http://www.corriere.it/cronache/10_gennaio_08/rosarno-scontri-
maroni_cef157a6-fc32-11de-98e4-00144f02aabe.shtml
164
R. MATHIJSSEN, O. MALCOR, La spremutina africana, cit., p. 3.

93
Il primo passo per costruire lo spettacolo è un laboratorio di teatro immagine con 6
lavoratori africani e 12 persone italiane. La tecnica del TdO chiamata teatro immagine
funziona in questo modo:

Si chiede ai partecipanti di esprimere la loro opinione, senza però parlare, servendosi esclusivamente dei
corpi degli altri partecipanti, “scolpendo” attraverso di loro un complesso statuario in modo che risultino
evidenti le loro opinioni e sensazioni. Il partecipante dovrà usare i corpi degli altri come se lui fosse lo
scultore e gli altri fossero fatti di argilla: dovrà decidere la posizione di ogni corpo, fin nei più sottili
particolari delle sue espressioni fisiognomiche165.

Dopo qualche semplice immagine composta attraverso esercizi teatrali, ai partecipanti


viene chiesto di creare immagini di oppressione.
− la prima immagine mostra i lavoratori nel tentativo di farsi pagare per il lavoro
svolto (sfruttamento);
− la seconda immagine mostra una scena nella quale persone africane si scontrano
con persone italiane (auto-difesa);
− la terza immagine rappresenta un migrante trattato malamente su un tram per il
fatto di non avere il biglietto (razzismo istituzionalizzato);
− la quarta immagine rappresenta una ragazza che fa una fotografia ad un migrante
contro la sua volontà (razzismo comune).
Queste immagini divengono le basi per lo spettacolo. La prima immagine viene
raddoppiata: il lavoratore migrante nello sforzo di reperire informazioni sulla paga (quanto
compenso per quante ore di lavoro) prima di cominciare il rapporto di lavoro (per quanto
lavoro irregolare, in nero) e un'immagine dei lavoratori a lavoro finito che cercano di farsi
pagare. Nel mezzo si sarebbero mostrate in scena le condizioni di lavoro, con altri stranieri
(nordafricani o est europei) che urlando tutto il tempo per velocizzare la raccolta e sono
specificamente assoldati per mettere sotto pressione la manodopera.
Nel mezzo della scena viene introdotto anche uno spot pubblicitario reclamizzante una
spremuta d'arancia, con una felice famiglia di bianchi europei che beve il succo pressato
sulla testa di un lavoratore africano. Con questo escamotage metaforico viene inscenato il
diretto collegamento tra le condizioni di produzione e quelle di consumo con un
riferimento diretto al titolo dello spettacolo.
La seconda immagine viene considerata non utilizzabile poiché lo scontro presume la

165
A. BOAL, Teatro degli oppressi, cit., pp. 34-35.

94
dimensione razzista del contesto, tema per il quale la terza immagine provvede di una
scena con maggiori possibilità per la dinamica del teatro forum. La seconda immagine
venne integrata nella scena della ribellione di Rosarno, che mostra come i lavoratori non
stiano danneggiando le automobili dei residenti per moto vandalico, come molti media
asserirono, ma sono fermate e ribaltate per renderle inutilizzabili. Infatti è dalle automobili
in movimento vengono eseguiti la maggior parte degli attacchi violenti contro i migranti,
attuati a mezzo investimento o scagliando oggetti e sparando.
La scena più rilevante per il teatro forum è basata sulla terza immagine. Nella quale il
protagonista Yusuf, dopo essere stato cacciato da Rosarno dove gli è stata negata pure la
possibilità di recuperare le poche cose di suo possesso e senza essere pagato per il lavoro
svolto, arriva a Roma. Nella capitale sale su un tram, dove viene aggredito da una donna
che afferma il suo diritto razzista ad occupare il posto a discapito del migrante166.
Come se questo non bastasse, arriva il controllore che perquisisce lo zaino di Yusuf con
l'aiuto di alcuni passeggeri, il quale non avendo né biglietto né documenti viene fatto
scendere dal tram. Una ragazza presente a fianco a lui al momento della perquisizione
mostra una solidarietà molto dubbia ed esitante con frasi tipo «“this is a shit country,
people are all racist, nobody ever does anything” a sentence that has become a ritual to
walk away from action lately»167.
Scesi entrambi dal tram, la ragazza raggiunge Yusuf in strada per parlare, mostrando un
interesse stereotipato segno di falsa solidarietà: gli chiede se suona i tamburi e balla bene
come tutti gli africani. Quando scopre che di non avere davanti il cliché Africano presente
nelle rappresentazioni dell'europeo, ma un protagonista delle proteste di Rosarno gli
propone lo scatto di una fotografia da mettere su facebook per donargli visibilità (proprio
ciò che Yusuf cerca di evitare), segno anche questo di una promozione disimpegnata
dell'immagine dell'oppresso che viene trattato come soggetto esotico da mostrare nelle
pubbliche vetrine telematiche. Mentre Yusuf cerca di spiegarle la sua situazione la ragazza
effettua la fotografia e se ne va.
Andando avanti nel tour delle rappresentazioni pubbliche dello spettacolo di TF, questa
scena venne estesa. Yusuf rimasto con la sua rabbia da solo dopo aver subito l'attenzione
fotografica della ragazza, viene raggiunto da un amico africano che gli chiede cosa non va.
Soma, questo il nome dell'amico, comprende immediatamente la paura di Yusuf di

166
Nel tempo e nello spazio si replica l'affermazione del privilegio razzista, vertendo in termini simbolici e
pragmatici sull'occupazione del posto a sedere di un mezzo pubblico, così come per Rosa Parks
nell'Alabama segregazionista degli anni '50 e per l'azione di TI inscenata a Stoccolma sul ferry-boat.
167
R. MATHIJSSEN, O. MALCOR, La spremutina africana, cit., p. 5.

95
diventare visibile in una situazione nella quale gli immigrati sentono molto violentemente
la costrizione di restare invisibili e silenziosi. Insieme decidono di rincorrere la ragazza per
chiederle di cancellare la foto. Lei esprime l'idea che siano paranoici, concezione condivisa
da molte persone, (anche alcune persone del pubblico alle quali viene chiesto di astenersi
dal fare scatti fotografici) e comincia a fare battute. La questione della gestione delle
immagini si intreccia tra i piani della realtà e la rappresentazione: durante la stessa messa
in scena di La spremutina africana occorre chiedere al pubblico di astenersi dal fate
fotagrafie e riprese.
Tornando alla scena del TF, di fronte all'insensibilità e allo sbeffeggio della ragazza i
migranti cominciano ad arrabbiarsi, la tensione sale, le persone per la strada iniziano a
preoccuparsi e chiamano la polizia. Yusuf e Soma vengono arrestati e sbattuti nei titoli di
telegiornale in quanto aggressori: «the TV news is able to announce: “once more
immigrants have tried to abuse one of our women, fortunately the police has arrested
them”»168.
Negli spettacoli, il notiziario della TV prosegue con la successiva notizia che parla di
floride notizie per la grande industria agroalimentare, mettendo di nuovo in luce la
contraddizione tra sfruttati che subiscono irrimediabilmente la condizione di oppressione e
sfruttatori che su di essa speculano: «“great news for the fruit economy, 300% profit and
more than 7 billion turnover in Italy in 2009. Furthemore, to face the crisis better, our local
supermarkets have united with the grand French hypermarket Carrefour. Our neighbours
from France have been welcomed with open arms!”»169.
Durante queste due notizie del telegiornale un uomo d'affari sale in scena e lancia
banconote all'aria, poi il businessman francese, rappresentante della grande distribuzione
multinazionale abbraccia calorosamente il suo omologo italiano ed il proprietario terriero,
dando un'ultima immagine di saldatura tra i differenti oppressori nella concatenazione
complessa e consequenziale della subalternità economica ed esistenziale imposta ai
lavoratori migranti.

5.7 La spremutina africana: le messe in scena

Qui vengono prese in considerazione le messe in scena dello spettacolo di teatro forum La
spremutina africana in diversi luoghi e le conseguenti reazioni del pubblico.

168
Ibidem.
169
Ibidem.

96
Il teatro-forum favorisce l'elaborazione del cambiamento meglio dell'usuale sfilza di lunghi
discorsi, il gruppo decide quindi di effettuare la prima rappresentazione (14-3-2010)170
dello spettacolo durante una delle prime assemblee dei lavoratori africani (AWR) tenuta a
Roma in uno dei centri sociali cittadini. In questa occasione moltissimi dei lavoratori
africani erano presenti ma anche molte persone italiane interessate alla questione,
l'interesse è talmente alto che in molti non riuscirono ad entrare nella sala.
Un buona preparazione con un buon riscaldamento effettuati dal jolly creano un'atmosfera
positiva e di partecipazione. La scena modello viene rappresentata come da copione e
successivamente il pubblico viene invitato ad intervenire.
Durante la scena del tram in cui Yusuf è costretto s lasciare il suo posto ad una donna che
esprime una posizione apertamente razzista, alcuni spett-attori salgono sul palco per
interpretare altri viaggiatori che cercano di calmare la signora offrendole il proprio posto,
in questo modo suggeriscono di limitare i danni ed aggirare la questione oppressiva senza
essere scortesi; ma il pubblico interrogato dal jolly non accetta questa soluzione come
valida ed efficace. Altri spett-attori provano la carta dell'aggressività verbale nei confronti
della donna, ma anche questa ipotesi interpretativa non riscuote il consenso del pubblico in
quanto non riesce a decostruire il discorso razzista e ne rimane coinvolto nella
problematica spirale aggressiva senza ottenere risultati degni di nota.
Il gruppo in questo momento si interroga ancora se lasciare intervenire gli spett-attori nel
ruolo del protagonista oppresso Yusuf. La questione interrogativa, laddove sappiamo sia
usuale l'impersonificazione del protagonista da parte dello spett-attore, è dovuta alla
difficoltà di attuare un role-playing della condizione di migrante irregolare tracciata dalle
frontiere della cittadinanza, linea di demarcazione che pone le persone in tale differenza di
condizione di diritto da rendere difficile la proiezione di chi non ha esperienza delle
estreme difficoltà della precarietà esistenziale migrante per chi, i cittadini Europei, non ha
minimamente idea esperienziale di cosa ciò significhi e comporti.
Come spesso accade nel TdO la pratica apporta nuovi elementi alla riflessione e un uomo
Africano, in Italia da 10 anni sale in scena e chiede di impersonare Yousuf e prendendo il
suo posto per la prima volta fa un intervento stupendo. Egli lascia il posto alla signora con
un movimento del corpo e un discorso talmente eloquente e convincente che la signora
razzista si vergogna del suo comportamento e che porta gli altri passeggeri presenti sul
tram a esprimere il proprio supporto all'oppresso.
Quest'intervento mostra con efficacia riconosciuta da tutti i presenti come si può
170
Ivi, pp. 5-6.

97
intervenire in situazioni di questo tipo che si verificano nella quotidianità. Mostra anche
che una società umana è un lavoro di tutti e che è troppo facile lamentarsi senza agire;
inoltre rappresenta un esempio per le persone Africane di come non siano condannate al
silenzio e ad accettare supinamente le azioni razziste. Quest'intervento esemplifica un atto
strategico che permette a una persona di difendere se stessa senza innescare una dinamica
violenta.
In un'altra rappresentazione (21-3-2010)171, una spett-attrice insiste nel voler prendere la
parete di Yusuf; gli attori rispondono con brusca decisione alla sua interpretazione, questo
per cercare di farle provare cosa significhi essere tagliati fuori dai diritti legati alla
cittadinanza ed essere migranti africani in un paese bianco.
Il gruppo proponente continua nella sua riflessione sul significato dell'interpretazione del
ruolo del protagonista oppresso da parte degli spett-attori. Per quanto la problematica
rimanga aperta, viene considerato potenzialmente utile per il pubblico vestire i panni dei
migranti e in particolare Yusuf considera personalmente interessante vedere come le
persone si comporterebbero nella sua situazione. In ogni caso è da considerare che gli
spett-attori oltre una certa soglia non possono essere maltrattati sulla scena e perciò il rischi
è quello di ricreare un rappresentazione molto attenuata di ciò che accade nella realtà, con
la possibilità che lasciando interpretare a spett-attori che vivono una condizione di pieno
diritto il ruolo della vittima, questi potrebbero facilmente cominciare a pensare che è la
vittima stessa a dover essere responsabile nel cambiare la sua situazione e non il contesto a
farsi attivo di istanze radicali di cambiamento sociale.
Uno degli scopi del TF è quello di attivare solidarietà, perciò diviene necessario far capire
che difendersi in una situazione di sopruso come quella inscenata è sensibilmente più
semplice per una persona bianca con cittadinanza europea che per un lavoratore migrante
discriminato come Yusuf.
In un'altra rappresentazione (24-4-2010)172, il gruppo decide di distinguere le scene di
razzismo e di falsa solidarietà per creare una variante parallela dello spettacolo che mostri
come medesime strutture di oppressione sono presenti in contesti che coinvolgono
prettamente persone Italiane. L'obiettivo è quello di coinvolgere le persone su entrambi i
livelli, secondo l'idea lottare per i diritti altrui significhi anche rafforzare i propri, perché
questo sia compreso occorre una continua costruzione di consapevolezza in quanto questo
principio è costantemente minato dal discorso demagogico razzista che vede

171
Ivi, p. 6.
172
Ibidem.

98
nell'affermazione dei diritti migranti la limitazione dei diritti dei residenti: «interventing
for the rights of migrants is also interventing for one's own rights. We are all on a same
boat and as long as some are vulnerable, we are all vulnerable»173.
Dunque l'ambientazione scelta è quella di un contesto di sfruttamento che possa essere
accessibile a tutti, il call center e le modalità di raggiro che vengono attuate al momento
dell'ingaggio dei lavoratori. L'oppressione è più sottile e dettagliata che nel caso palese del
lavoro nero migrante, ma le strutture e le parole chiave degli oppressori vengono lasciate
intatte, le stesse per migranti e italiani. La scena si svolge intorno alla modalità di
reclutamento dei giovani lavoratori, la questione verte sul divario tra ciò che si pensa di
guadagnare da parte dei lavoratori e ciò che realmente è scritto sui contratti, in particolare
viene messo evidenziato il fatto che spesso al momento della firma non viene esplicitato
che la paga segue il meccanismo del cottimo invece della paga fissa per ora lavorata. Il
meccanismo del cottimo in ambito commerciale scarica completamente addosso al
lavoratore la responsabilità degli effettivi risultati dell'azienda e lo mette in una condizione
di stress da prestazione continua, non ultimo pone potenzialmente i lavoratori in
competizione tra di loro piuttosto che instaurare dinamiche cooperative. Al momento del
contratto il datore di lavoro che rappresenta l'oppressione paventa la possibilità di paga (se
i contratti sono portati a termine) e non la paga effettiva che dipende dal numero dei
contratti effettuati ed è imprevedibile; ma questo particolare diviene noto solo con il
passare dei giorni e delle settimane lavorative.
Il messaggio è chiaro, bisogna saper vendere e sapersi vendere, la firma al momento della
stipula del contratto di lavoro è posta senza adeguata attenzione ed informazione, prendere
o lasciare; storia sociale italiana delle relazioni sul lavoro. Una volta palesatesi le
condizioni contrattuali in molti se ne vanno senza nemmeno venire pagati per i giorni di
lavoro svolto.
Le persone che intervengono dal pubblico, alcuni nella scena dei lavoratori africani, altri
nella scena italianizzata provarono a negoziare chiaramente i termini del contratto; queste
azioni rivelano però che non c'è educazione a proposito di diritti dei lavoratori e poiché il
primo contatto con il datore di lavoro deve essere molto cordiale, i candidati troppo
richiedenti potrebbero determinare una distanza e probabilmente perdere l'occasione di
assunzione.
Gran parte del pubblico attua considerazioni su quanto inscenato del tenore che sia meglio
perdere un lavoro del genere che trovarlo, qui i lavoratori africani ricordano agli spett-
173
Ivi, p. 7.

99
attori che non tutti sono nelle condizioni di poter perdere il lavoro e che questa condizione
non è una prerogativa dei migranti ma condizione comune a molti lavoratori. Prove, parole
e strategie vengono tentate per cercare di avere chiara la situazione contrattuale da subito.
Ciò che viene imparato sicuramente da tutti i presenti è che bisogna essere molto attenti al
primo colloquio, non fare interventi bruschi ma allo stesso tempo cercare di rendere i
termini dell'assunzione il più chiaramente possibile.
Gli AWR alla fine dello spettacolo ricordano al pubblico le proprie capacità lavorative e
invitano tutti e tutte a partecipare alle assemblee di solidarietà e ad incontrarli, si saldano in
questo modo i momenti della rappresentazione con le possibilità di intervento attivo reale.
Questa serata di rappresentazione nel forum della teatralità democratica si risolve in un
vero successo anche se nessuna soluzione perfetta viene trovata nelle scene, caratteristica
di questa tecnica è di non dover necessariamente arrivare ad una scena risolutiva.
All'appello di incontro dei lavoratori africani rispondono molte persone che si fermano a
parlare con tutti gli attori generando un clima positivo di confronto, interesse e solidarietà.
Dal report del progetto si legge: «from this point friendship in the group became stronger
and stronger. The Italians (especially the one playing the oppressor) were involved daily
with the African workers to manage administrative procedures for getting visa, jobs,
trainings...»174. In questo modo, con gli attivisti Italiani che rappresentano sulla scena
l'oppressore e nella vita quotidiana sono impegnati in prima linea con i migranti per
l'affermazione di diritti concreti, si denota una linea di continuità con l'esperienza dei
training non-violenti di preparazione ai sit-in di protesta del movimento per i diritti civili
Statunitense; inoltre viene ben messa in luce la funzione aggregativa e di costruzione
sociale di solidi legami interni al gruppo che condivide l'impresa teatrale dello spettacolo
di teatro forum.
Nelle conclusioni gli autori Mathijssen e Malcor scrivono:

First of all, we were very happy to see that Theatre of the Oppressed worked for the African Workers of
Rosarno as means of social and political struggle. As an instrument of analysis and dialogue it also served
many activists who took part in the process. People involved in this project have passed through very intense
moments were they have been able to question their relation to the Other, to exchange feelings, to express
their oppressions. A very strong group has born. Most of the cast, be it Africans or Italians, are still very
involved in the Theatre of the Oppressed meetings. Africans attend projections of movies about TO in
languages they don’t understand. But they feel strongly empowered and they consider TO as an enormously
valuable tool.

174
Ibidem.

100
The general public also responded very well to the issues presented to them, recognizing that exploitation is
still part of our economy and that racism and exploitation go hand in hand. The Forum was also able to raise
the issue of false solidarity, which is liable to cement racism instead of countering it. The image of the ‘poor’
African who only becomes interesting to us if he shares horrible details of his life, so that we can feel better,
was destroyed by The African Juice175.

Quindi dalle riflessioni finali si evince che lo spettacolo di teatro forum La spremutina
africana sia stato uno strumento importante per i lavoratori migranti di Rosarno, sia per la
rivendicazione nella sfera dei diritti, sia nel coinvolgimento in una possibilità di dialogo e
analisi pratica con gli attivisti antirazzisti romani, sia per la costruzione di legami di
amicizia e di solidarietà sociale. Lo spettacolo ha ingaggiato il pubblico di ogni
rappresentazione in una riflessione profonda, permettendo a molte persone di rendersi
conto come il razzismo sia una problematica complessa e presente a più livelli nella
società; non ultimo La spremutina africana contribuisce a decostruire e combattere lo
stereotipo del migrante come vittima reso interessante dalle drammatiche vicende che ha
dovuto attraversale, rendendolo invece nella sua complessità di soggetto umano agente nel
mondo.

175
Ivi, p. 10.

101
6 - L'ESPERIENZA ATTORALE NEL TEATRO INVISIBILE

Dopo aver analizzato le caratteristiche teoretiche, le modalità di funzionamento e le


dinamiche tra attori proponenti e pubblico spett-attore nel teatro invisibile; cerchiamo ora
di entrare nel merito del ruolo di chi, iniziatore della dinamica agente sceglie di
determinarne l'accadimento. Coloro che ideando e costruendo l'azione, interpretandola le
danno vita. Focalizziamo ora l'attenzione sugli attori del gruppo promotore ed in
particolare sui soggetti attorialmente protagonisti delle vicende inscenate.
Approfondire questo aspetto dell'invisibile è particolarmente interessante poiché il soggetto
attore mettendosi in scena nella non-scena del quotidiano, sceglie di porsi su un piano
attoriale di consapevolezza unica, della quale lui solo e i suoi compagni d'azione sono a
conoscenza. Come scrive Pontremoli:

Dal punto di vista attoriale […] il Teatro Invisibile rappresenta un'esperienza unica: l'attore si prepara ad
incarnare un personaggio in una situazione priva di ogni tipo di protezione, costretto in ogni momento del
percorso a mantenere vigile l'attenzione al proprio vissuto e a quello del personaggio, per infondere a
quest'ultimo quei tratti di autenticità che solo il teatro possiede e senza i quali l'esperimento fallirebbe176.

Soggetti agenti consapevoli, attorniati dall'inconsapevolezza diffusa di chi non


conoscendone la radice teatrale interagisce con l'azione. Le domande da porsi sono: quali
generatività provoca nell'esperienza attoriale questa discrepanza? Cosa muove in termini
emozionali ed esperienziali l'inscenarsi in quanto attore unico, in condizione non saputa da
alcun altro, se non dai componenti del gruppo a loro volta impegnati in ruoli altri da sé,
buttati in un mondo preteso vero? Come si preparano l'attore e il gruppo d'azione al TI?
E poi ancora, può definirsi effettivamente attore una tale interpretazione di ruolo? Orfano
non solo di palcoscenico ma anche di pubblico; finanche di un pubblico possibilmente
interagente: nella dinamica del loop autopoietico dei feedback177, nello sconvolgimento
della passività ricettiva attraverso la partecipazione attiva alle azioni performance,
nell'assunzione di ruolo dello spett-attore del teatro forum178.
Attore orfano delle caratteristiche di riconoscibilità che lo rendono tale, attore nella
mancanza del riconoscimento del come se teatrale. Attore coinvolto in un affiatato gruppo
di compartecipi che arbitrariamente decidono di innescare una situazione, in un
determinato luogo e momento, avente come obiettivo la coscientizzazione di chi, ignaro,
176
A. PONTREMOLI, Teoria e tecniche, cit., p. 68.
177
Dinamica individuata da E. FICHER-LICHTE, Estetica del performativo, Cit.
178
Altra tecnica del teatro dell'oppresso che si prenderà specificamente in analisi nel Capitolo 4.

102
ne viene investito e coinvolto con elevati livelli di imprevedibilità situazionale. Ne
prendiamo ora in analisi i differenti fattori coinvolti.

6.1 Laboratorio, conduzione, tema

Oltre all'evidente volontà di chiamare in causa il piano emotivo delle percezioni che
vengono messe in moto nel TI, è da osservare l'insieme della fase preparatoria, il
laboratorio creativo ed interrogativo che detta agenda e canovaccio, ruoli e fasi della
vicenda invisibile. Sebbene tutto verta verso il momento culmine del percorso del TI,
ovvero la realizzazione dell'azione pubblica, occorre fare due passi indietro ed un tuffo in
profondità nella complessa fucina registica condivisa del TdO.
In ogni gruppo o laboratorio di TdO è presente la figura del conduttore, essa può
coincidere con una persona particolare o può essere assunta da soggetti differenti a seconda
del momento storico179, della tecnica o del tema affrontato. Il conduttore e la conduttrice
sono i soggetti conoscitori del patrimonio del TdO in termini politico-problematici,
maieutico-metodologici e tecnico-attuativi; essi guidano il gruppo negli esercizi,
nell'individuazione delle situazioni-problema180 che sottendono i temi generatori, nella
riflessione e nella messa in scena dell'azione invisibile e del forum.
La conduzione avviene assumendo un atteggiamento maieutico che non dà risposte ma
pone domande, creando contesti protetti utili per la ricerca collettiva di proposte e
soluzioni attraverso le differenti tecniche. In questo senso Pontremoli afferma che il gruppo
«si realizza (cioè diventa reale) e si struttura attraverso le fasi processuali della
conduzione: il training, l'improvvisazione, la narrazione ed eventualmente la
rappresentazione spettacolare»181; senza una adeguata conduzione non vi è percorso di
definizione del sé gruppale e dei conseguenti risultati sia formativi che performativi.
Propriamente:

Il cardine di ogni azione di teatro sociale è il conduttore. Figura di facilitatore dei processi teatrali all'interno
del laboratorio, deve possedere anzitutto due competenze: una specificamente teatrale (e quindi relativa alle
tecniche del teatro) e l'altra di tipo relazionale. […].
Nel lavoro di conduzione si verifica una identificazione con il gruppo, che permette di colmare le distanze
che eventualmente la differenza di posizione spesso crea all'interno del laboratorio; nel contempo è

179
Si intende qui il momento storico del gruppo promotore.
180
Si fa qui riferimento ai concetti elaborati da Paulo Freire di situazione-problema e tema generatore in La
pedagogia degli oppressi. P. FREIRE, La pedagogia degli oppressi,cit.
181
A. PONTREMOLI, Teoria e tecniche, cit., p. 55.

103
necessaria, da parte del conduttore, una capacità di separazione dal gruppo, che serve a ribadire, senza
lacerazioni né fratture, che è solo per il bene del gruppo stesso che il conduttore può scegliere, a seconda
della necessità, di porsi all'interno dell'esperienza o osservarla da un esterno ravvicinato e contiguo. Fra le
dicotomie che il conduttore deve, inoltre, saper gestire c'è quella statutaria di ogni intervento di teatro sociale,
vale a dire il fatto che la sua è, contemporaneamente, un'azione teatrale e un'azione sociale182.

Boal definisce la struttura usuale dei laboratori da lui condotti, all'inizio dell'articolo
Invisible Theatre183, in questa scansione: i primi tre giorni sono di lavoro residenziale con
esercizi di gruppo, giochi e discussioni sulle diverse forme del TdO; il quarto giorno
prevede azioni di teatro invisibile in differenti luoghi pubblici a seconda del tema scelto;
nell'ultimo giorno è programmata una performance pubblica di teatro forum con la
partecipazione attiva degli spett-attori consapevoli.
Riguardo la scelta delle questioni sulle quali intervenire con l'invisibile, proprio in virtù
della funzione maieutica del conduttore, spesso viene lasciata all'espressione collettiva del
gruppo; in questo modo si dà ampliamento democratico ad un principio cardine elaborato
da Dewey che in Esperienza ed educazione, dice:

Una delle principali responsabilità dell'educatore è che egli non solo deve essere attento al principio generale
della formazione dell'esperienza mediante le condizioni circostanti, ma che riconosca pure in concreto quali
sono le condizioni che facilitano le esperienze che conducono alla crescita. Soprattutto, egli dovrebbe
conoscere in che modo utilizzare la situazione circostante, fisica e sociale, per estrarne tutti gli elementi che
debbono contribuire a promuovere esperienze di valore184.

Delegando al gruppo laboratoriale la scelta del tema sul quale elaborare l'azione, viene
applicato un principio qualitativo di riconoscimento di competenze. Da una parte,
trattandosi (nella pratica dell'invisibile) di gruppi di adulti185, si riconosce la capacità di
poter cogliere situazioni di oppressione che interessino l'agenda delle problematiche socio-
politiche di più pressante attualità (siano esse esplicitamente espresse o implicitamente
celate al grande pubblico); dall'altra vi è un riconoscimento di competenza territoriale,
legato alla conoscenza dei luoghi ed alle relative criticità da parte di chi li vive.
Esempio di questo approccio è il laboratorio condotto da Boal a Stoccolma su

182
Ivi, p. 56.
183
A. BOAL, Invisibile Theatre, cit.
184
J. DEWEY, Esperienza e educazione, Milano, Cortina, 2014, p. 27.
185
Non si vuole qui incorrere nell'errore di isolare il concetto di adultità rispetto alle precedenti fasi della
crescita personale dei soggetti, bensì si vuole mettere in evidenza che tendenzialmente le azioni invisibili
sono attuate da gruppi di adulti che aderiscono ai laboratori in maniera volontaria e manifestando dunque
interesse e volontà per i temi trattati e le tecniche utilizzate.

104
inquinamento, invasività dell'automobile e destinazione d'uso degli spazi urbani186; i
partecipanti scelsero questa problematica sentendola molto pressante, costitutiva in quanto
«dicono che la città è pianificata per le automobili e non per i pedoni»187. Ma questa
problematica era ben distante dalla percezione del conduttore: Boal proveniendo da San
Paolo, megalopoli Brasiliana188, con una viabilità talmente contorta ed un traffico frenetico
tale che avvertiva la capitale Svedese come «una città dolce». É qui evidente come i diversi
dati esperienziali e biografici determinino differenti percezioni rispetto a medesimi
fenomeni incontrati ed osservati. Senor comincia il capitolo Uno sguardo diverso,
attingendo alla sua esperienza di conduttore e dicendo: «quando faccio sperimentare lo
strumento del teatro invisibile lascio che sia il gruppo a identificare i temi su cui lavorare, a
partire dai conflitti sociali che percepisce nodali per il territorio»189, mettendo così in
evidenza la competenza territoriale dei gruppi.
Dopo aver visto il ruolo del conduttore e le modalità di scelta delle tematiche da affrontare,
si vuole approfondire ora la dimensione di processo formativo che avviene all'interno del
gruppo. Infatti l'esperienza laboratoriale di preparazione all'azione di TI non è
semplicemente un andare verso ma è precipuamente un essere nell'esperienza ed in essa
imparare, evolvere, formarsi e sperimentare. Ogni soggetto partecipe al gruppo di attori si
pone in una situazione di apprendimento, di approfondimento, di confronto con diversità di
presenza, di opinioni e di sensibilità; arrivando (se voluto) in maniera dolce alla messa in
discussione dei suoi propri paradigmi interpretativi.
Possiamo affermare che la costruzione stessa di un'azione di TI sia un meccanismo di
coscientizzazione ed approfondimento esistenziale, relazionale e politico.

6.2 Il corpo: luogo politico e campo di battaglia

Raro caso nella cultura occidentale, l'arte teatrale interpreta la possibilità del ricongiungersi
di un’atroce dicotomia generatrice di contrasti archeologici190 e di enormi sfere
186
Per la trattazione di quest'azione di TI si rimanda al capitolo 3.
187
A. BOAL, Il poliziotto e la maschera, cit., p. 43.
188
San Paolo, capitale del Brasile, ha oggi più di 11 milioni di abitanti in area urbana e più di 20 milioni in
area metropolitana, fonte sito ufficiale della città, www.capital.sp.gov.br.
189
P. SENOR, La ribalta degli invisibili, cit., p. 9.
190
Ci si riferisce all'accezione che Foucault dà di archeologia dei saperi, espressa in questi termini: «In ogni
cultura esiste quindi, fra l'impegno di quelli che potremmo chiamare i codici ordinatori e le riflessioni
sull'ordine, l'esperienza nuda dell'ordine e dei suoi modi d'essere […]. Si tratta di mostrare quali modalità
dell'ordine siano state riconosciute, poste, riferite allo spazio e al tempo, per formare il basamento
positivo delle conoscenze dispiegate» e «ritrovare ciò a partire da cui conoscenze e teorie sono state
possibili; in base a quale spazio d'ordine si è costituito il sapere; sullo sfondo di quale a priori storico e
nell'elemento di quale positività idee potranno apparire, scienze costituirsi, esperienze riflettersi in

105
d'inibizione personale e di interdetti sociali: l'opposizione tra corpo e mente, tra fisicità ed
intelletto.
Boal parla di due globalità del soggetto umano: la prima globalità è quella degli apparati
fisico e psichico; la seconda globalità è quella dei cinque sensi, nessuno dei quali esiste
separatamente191, essendo tutti collegati in un permanente processo di
input/elaborazione/output comune.
Infatti rimettere, porre (e non riporre) al centro il corpo nel percorso di coscientizzazione
significa identificarlo come entità politica e campo di battaglia, dei codici che vi sono
inscritti, delle funzionalità che vi sono imposte, dei sopimenti repressivi che vi si
annidano192, delle sintomatologie che vi si descrivono193, delle potenzialità insite nella ri-
scoperta, nel training, nell'allenamento, nel gioco e nell'esperimento.
Boal a questo proposito propone una dialettica tra corpo e mondo, affermando che nella
lotta del corpo contro il mondo i sensi194 soffrono, andando in crisi rispetto alla propria
filosofie, razionalità formarsi per, subito forse, disfarsi e 'svanire' […]; ciò che vorremmo mettere in luce,
è il campo epistemologico, l'episteme in cui le conoscenze […] affondano la loro positività manifestando
in tal modo una storia che non coincide con quella loro perfezione crescente, ma è piuttosto la storia delle
loro condizioni di possibilità», M. FOUCAULT, Le parole e le cose. Archeologia delle scienze umane,
Milano, Rizzoli, 1978, pp. 11-12.
191
«Il nostro pensiero non è se non un gioco molto raffinato della vista, dell'udito, del tatto; le forme logiche
sono leggi fisiologiche delle percezioni dei sensi», Friederich Nietzche, cit. in I. GAMELLI, Pedagogia
del corpo, Roma, Meltemi, 2001, p. 73.
192
Particolarmente attinente la lettura che dà Crapanzano al mito di Lacan che fa risalire al momento in cui
l'enfant si rispecchia nella propria immagine, la comprensione della propria insufficienza; dice: «Il suo [di
Lacan] mito di fondazione pone il corpo in una struttura di anticipazione (sufficienza, soddisfazione e
completamento) votata al fallimento. Egli riesce a restituire al corpo la dimensione temporale che viene
negata o sistematizzata (secondo una terminologia biologico-evolutiva) fino ad esserne negata in quella
che è la nostra immagine costitutiva di un corpo “integrale”. Visione peculiare, culturalmente e
storicamente specifica che fonda un pessimismo che noi correliamo ad un realismo e che interpretiamo
come alienazione del “sé” dal sé, del “corpo” dal corpo; una frattura tra il mondo interiore e il mondo
esteriore, una ferita primordiale, un trauma, una cesura che (secondo la psicanalisi) è stata metaforizzata
come castrazione e relativa angoscia». V. CRAPANZANO, Riflessioni frammentarie sul corpo, il dolore,
la memoria, in M. PANDOLFI (a cura di), Perché il corpo. Utopia, sofferenza, desiderio, Roma,
Meltemi, 1996, p. 157.
193
«La riflessione psicoanalitica e psicosomatica […] ha a lungo esplorato il valore simbolico della pelle,
non sorprende allora che proprio affezioni di tipo dermatologico siano così frequenti in quegli immigrati
che questa sintesi [tra provenienza e approdo] non riescono a comporre in modo soddisfacente: eczemi,
psoriasi “allergie”, dermatiti localizzate perlopiù alle mani – inspiegabili e resistenti ad ogni trattamento –
sembrano indicare questa difficoltà di definire un confine appropriato che consenta un rapporto
gratificante e un contatto sereno (cioè non invadente né distruttivo) con il nuovo contesto», qui le mani
sono investite sintomatologicamente in quanto membrana simbolica di contatto tra soggetto e mondo, R.
BENEDUCE, Frontiere dell'identità e della memoria. Etnopsichiatria e migrazioni in un mondo creolo,
Milano, FrancoAngeli, 1998, pp. 94-95.
194
Per ciò che riguarda gli aspetti psicofisici e la mediazione che i sensi operano tra soggetto e mondo è
d'interesse quanto disse Grotowski nel 1982 in occasione di una conferenza tenuta all'Università di Roma,
«i nostri sensi sono come ricoperti da una membrana, che ci divide da una percezione diretta. Abbiamo
due muri: uno dentro di noi, le energie tagliate fuori; l'altro davanti a noi, la percezione diretta bloccata.
Ma in realtà questi due blocchi sono un blocco solo. E quando nell'azione ci facciamo strada attraverso di
essi, agendo organicamente con noi stessi, allora è difficile dire se noi siamo in sincronia col mondo dato
dalla percezione sensoriale, o se il mondo è in sincronia con noi. Semplicemente c'è sincronia». Cit. in I.
GAMELLI, Pedagogia del corpo, Roma, Meltemi, 2001, p. 60.

106
funzione: si sente poco ciò che si tocca, si ascolta poco ciò che si ode, si vede poco ciò che
si osserva. Questo è dovuto ad una iperspecializzazione produttivista per cui il corpo si
adatta al lavoro professionale che deve realizzare, determinando atrofia ed ipertrofia al
tempo stesso. Elabora dunque una proposta operativa constante in cinque categorie di
giochi ed esercizi.

Affinché il corpo sia capace di emettere e ricevere tutti i messaggi possibili, bisogna che sia riarmonizzato. È
per questo fine che abbiamo scelto gli esercizi e i giochi di de-specializzazione. Nella prima categoria, si
cerca di diminuire lo scarto tra sentire e toccare. Nella seconda, tra ascoltare e udire. Nella terza, si cerca di
sviluppare più sensi alla volta. Nella quarta categoria si cerca di vedere tutto ciò che si guarda. Infine, perché
i sensi hanno anche una memoria, si cerca di risvegliarla195.

Dare voce al corpo come analisi del potere, significa metabolizzare che in esso vi sono
incisi e localizzati i segni del dominio, facendo riferimento a Foucault, «il potere si è
addentrato nel corpo, in esso vi è esposto», ma che in esso vi sono anche «insite le
possibilità di resistenza».
Marcare la ri-scoperta del corpo attraverso la sua defunzionalizzazione significa
determinare un nuovo spazio semantico, nella reinterpretazione dello spazio-tempo del
reale il mondo può assumersi in quanto altra possibilità. Non si tratta qui di un'altra tra le
infinite possibilità interpretative della funzionalità, bensì una fuoriuscita da tale
paradigmaticità per assurgere attraverso il ritorno alla potenzialità latente, ad una
sensibilità nascosta, sopita. Disposizione sensibile, nell'accoglimento del possibile, che
chiama in causa il senso del mondo significante attraverso i sensi della percezione umana,
intesi come intermediazione tra corpo e mente, tra mondo e soggetto, tra intorno e interno.
Pensare al corpo come possibilità piuttosto che come funzionalità produttiva si può
figurativamente pensare come ad un bosco nel suo essere sistema biologico intrecciato di
vitalità. Nella pensabilità, in quanto luogo di possibile viaggio (senso di scoperta), e nella
permanenza (dinamica conoscitiva) piuttosto che nell'osservazione dalla prospettiva
dell'impellente necessità di attraversamento per sfuggire al confronto con l'ignoto
imprevedibile delle sfere irrazionali e razionalissime al tempo stesso della natura
(dinamica funzional-produttivista), avendo a riferimento unicamente una concezione di
governo del territorio orientato e antropizzato in subordine al costrutto umano totale.
Nella direzione della reinterpretazione corporale si indirizza l'antropologia teatrale che
studia i rapporti dell'attore con i gesti che vengono agiti in scena ed il comportamento
195
A. BOAL, Il poliziotto e la maschera, cit., p. 57.

107
scenico pre-espressivo che sta alla base dei differenti generi, stili, ruoli e delle tradizioni
personali o collettive. Sul territorio di indagine del corpo e delle sue potenzialità, si trova
un altro significativo punto di contatto tra antropologia teatrale e il TdO e le sue tecniche:

L'antropologia teatrale, a partire da una concezione olistica del corpo, cerca di superare le dicotomie tipiche
della cultura occidentale, abituata a separare il corpo fisico dalla componente spirituale dell'uomo, mettendo
ben in evidenza il carattere gratuito proprio di ogni esperienza teatrale. Con la nozione di corpo-mente
dimostra che anche in Occidente non tutti i modelli teatrali postulano una differenza tra principio razionale e
impulso irrazionale, soprattutto perché ogni forma di teatro è fondata sull'attore, un uomo in grado di
dispiegare sulla scena tutte le sue potenzialità psicofisiche.
Per tale motivo appare chiaro che educare una persona al teatro, attraverso il possesso delle sue tecniche e la
conoscenza dei suoi principi, permette un arricchimento delle possibilità comunicative e ha come
conseguenza l'empowerment del soggetto, che può così divenire volano di nuove modalità di relazione196.

Oltre alla dimensione del corpo in quanto soggetto, nei laboratori di TdO e più in generale
del teatro sociale, il corpo viene chiamato in causa anche nella sua dimensione relazionale
e sociale; poiché «il teatro, nella sua essenza, è relazione, a tutti i livelli, da quello
personale a quello istituzionale, ed elabora sempre significati sociali»197.
In termini di riconoscimento del corpo come agente relazionale si possono individuare i
giochiesercizi di despecializzazione come agenti di transito, dalla situazione di accettazione
del quotidiano alla sfera di possibilità insita nel laboratorio teatrale. Essi sono la premessa
e la prima esperienza di interazione gruppale che viene successivamente sviluppata nei
giochi di integrazione del gruppo. I quali «sono dei giochi […] che aiutano la gente ad
accettare la possibilità di provare ad accettare la possibilità di provare a recitare come nel
teatro: li aiutiamo a liberarsi dal loro contegno»198.

6.3 La fluidità dei gruppi di TdO e l'importanza dell'improvvisazione

Il TdO avendo una dimensione fluida di pratica e un'ampia diversificazione di soggetti


coinvolti non prevede come requisito necessario l'impiego del training attoriale. Per
spiegare meglio questo concetto: il TdO ha avuto origine in Sud America tra gli anni '60 e
'70, per poi evolversi continuamente, sia in termini di tecniche che in termini di diffusione
nel mondo di singoli e gruppi che ne fanno pratica. Questa diffusione non si basa su criteri

196
A. PONTREMOLI, Teorie e tecniche, cit., p. 45.
197
Ivi, p. 47.
198
A. BOAL, Il poliziotto e la maschera, cit., p. 85.

108
di adesione formale ad un organizzazione ma avviene rizomaticamente199. Esiste The
International Theatre of the Oppressed Organization (ITO)200, organizzazione che ha come
scopi: essere hub (connettore) internazionale per i gruppi di TdO di tutto il mondo;
sviluppare collegamento, promuovere cooperazione e discussione intorno alle tecniche ed
ai progetti; dare sostegno a nuovi gruppi e centri di TdO; avere un ruolo di garanzia
rispetto all'utilizzo delle tecniche in ottica di liberazione promuovendo tra le altre iniziative
una Declaration of principles articolata in 20 punti che faccia da riferimento etico.
Quindi la pratica del TdO si muove su una varietà di livelli: compagnie stabili che lavorano
con costanza; gruppi che si strutturano come comunità di rete, con alcuni soggetti
impegnati costantemente e collaboratori coinvolti secondo necessità e possibilità;
conduttori singoli che propongono laboratori; gruppi che si formano su progetti specifici
per poi svanire, ecc... Quindi gruppi piccoli e grandi, longevi nel tempo o operativi per il
tempo di un progetto, soggetti impegnati stabilmente e soggetti coinvolti occasionalmente,
soggetti formatori e soggetti in-formazione.
Per questa dimensione fluida di diffusione e per la sua stessa scelta costitutiva di essere ed
operare in una zona di confine201, nella quale permette l'incontro esperienziale tra attori e
spettatori; possibilità che il presupposto della pratica di training in quanto lavoro dell'attore
continuativo, disciplinato e puntuale, non permetterebbe. Il training in quanto
addestramento personale dell'attore non detiene nel TdO una posizione definita, mentre nei
Teatri Laboratorio ha un ruolo eminente e fondamentale:

Il training così come è studiato in Occidente da maestri quali Grotowski e Barba ha avuto un suo sviluppo. Si
è iniziato dalla ripresa di esempi e di frammenti di esercizi, come dei patterns che l'attore deve imparare a
padroneggiare, fino a trasformarsi in una capacità, da parte dell'attore, di modellare le proprie energie: per cui
l'attore, in realtà, dopo qualche tempo – dipende dalle capacità individuali e dalla temperatura del processo –
non esegue più gli esercizi che ha imparato, ma padroneggia qualcosa di più completo e profondo, quei
principi cioè che rendono vivo il corpo sulla scena. Sono le leggi dell'equilibrio, delle opposizioni, delle
variazioni di ritmo e di intensità […] che diventano come un riflesso condizionato dell'attore, la base sulla
quale egli può costruire la sua forza e il suo potere di attrazione. Anche per questo motivo può andare bene
un esercizio di qualunque tipo purché si rispettino alcune regole elementari, come la capacità di ripeterlo con
precisione e in un flusso continuo202.
199
Per rizomatico si intende un processo di diffusione per disseminazione che dia spunti e proposte, un
modello alternativo ai processi di diffusione per strutturazione ed affiliazione a modelli e organizzazioni
già definiti.
200
Per approfondimenti sull'ITO si rimanda al sito dell'organizzazione www.theatreoftheoppressed.org.
201
Il TdO basandosi sulla dialogicità, sull'incontro con le situazioni di oppressione e sulla rottura della
dicotomia attore/spettatore opera costantemente in territorii di attraversamento di frontiere, più o meno
metaforiche.
202
N. SAVARESE et C. BRUNETTO, Training! Come l'attore libera se stesso. Un'antologia di classici,

109
Il training svolto quotidianamente e all'interno di una concezione professionale del
mestiere d'attore è quell'addestramento che permette al soggetto di acquisire una struttura
elaborata e temprata nell'esercizio e nella temperatura, intesa come fusione del soggetto
con la sua missione di fissarsi nel mondo in qualità di attore, coniugando mente e corpo,
componendo equilibrio e disequilibrio, fisicità ed interiorità. È questo insieme a permettere
all'attore di bruciare203 nella sua performance in scena204.
Ma se il training non ha un ruolo chiave nel TdO, la pratica dell'improvvisazione ha
tutt'altro rilievo. Abbiamo già visto quale fondamentale funzione abbia al momento della
messa in azione nella tecnica del TI, ma cerchiamo di capire meglio cosa si intende e quali
ne sono gli utilizzi.
Pontremoli scrive che l'improvvisazione «è il luogo dell'emergere della rappresentazione
dei desideri, delle passioni, dei vissuti personali e del gruppo […]; assume spesso la forma
della narrazione, che non necessariamente utilizza la voce, ma può valersi di tutti gli
strumenti espressivi»205. Boal parla dell'improvvisazione sbilanciandosi sul fatto che forse
è la tecnica che più viene utilizzata, in quanto strumento per sua stessa natura
estremamente versatile, poiché può essere fatta a partire da una sceneggiatura o meno, può
(o meglio deve206) essere impiegata nello spettacolo così come nel laboratorio, può perfino
essere usata come scambio di idee.
L'improvvisazione oltre ad essere una pratica necessaria, visti gli alti livelli di
imprevedibilità delle azioni del TI e delle messe in scena dei Forum, funge «da tecnica di
sviluppo degli attori, specialmente quando si tratta di operai e studenti, che non vogliono
trasformarsi in attori [in senso professionale], ma che vogliono semplicemente recitare, o
meglio “fare un'azione”»207.
Sull'impiego dell'improvvisazione per sviluppare la tecnica attoriale, Boal fornisce un
esercizio specifico nei giochi di dinamizzazione emotiva, si riportano le indicazioni
metodologiche per intero in quanto rappresenta non solo la descrizione dell'impiego
tecnico di questo strumento, ma anche la sua funzione pedagogica e sociale:

Roma, Dino Audino Editore, 2004, p. 8.


203
Si fa qui riferimento alla metafora della candela, utilizzata da Ryczard Cieslak in R. SCHECHNER, V.
VALENTINI (a cura di), La teoria della performance. 1970-1983, Roma, Bulzoni, 1984, p. 184.
204
A quest'approfondimento sul training faremo riferimento più avanti nel Capitolo 6, parlando del fattore di
rischio come acceleratore esperienziale nella pratica attoriale del TI.
205
A. PONTREMOLI, Teoria e tecniche, cit., pp. 55-56.
206
Abbiamo già visto le caratteristiche di elevata imprevedibilità sia dell'invisibile che del forum.
207
A. BOAL, Il Teatro degli oppressi, cit., p. 72.

110
Improvvisazione – È l'esercizio classico che consiste nell'improvvisare una scena a partire da alcuni elementi
base. I partecipanti devono credere ai dati che gli altri portano nel corso dell'improvvisazione. Essi devono
cercare di completare l'improvvisazione con i nuovi dati inventati a mano a mano dai loro compagni. È
vietato rifiutare la benché minima invenzione.
Per evitare che l'improvvisazione affondi nell'emozione e affinché sia sempre dinamica è indispensabile che
gli attori facciano funzionare il loro motore, cioè una volontà dominante (risultato di una lotta tra volontà e
controvolontà) capace di determinare un conflitto interno, soggettivo. È indispensabile che questa dominante
si scontri con le dominanti degli altri partecipanti, in modo da formare un conflitto esterno, oggettivo. Infine,
è indispensabile che questo sistema conflittuale evolva quantitativamente e qualitativamente. Non è
sufficiente che un personaggio odi sempre e sempre di più, deve anche mutare quest'odio in colpa o in amore
o in qualsiasi cosa. La variazione puramente quantitativa è molto meno teatrale di quella che è accompagnata
da una vera variazione qualitativa.
Bisogna anche distinguere sempre la volontà (che può essere il risultato di una psicologia capricciosa) dal
bisogno sociale. Le volontà che presentano un interesse di lavoro sono soprattutto quelle che esprimono, nel
settore della psicologia individuale, un bisogno sociale. La volontà è bisogno. Ciò che è anche interessante
sono le volontà contro i bisogni: «voglio ma non devo».
I temi d'improvvisazione devono essere presi – particolarmente per i gruppi di teatro popolare – nell'attualità
del giornale, al fine di facilitare le discussioni ideologiche e politiche; ciò permette di inserire i problemi
individuali in un contesto di vita sociale, politica ed economica più vasta208.

È inoltre essenziale comprendere come sia proprio l'improvvisazione ad essere la pratica in


cui attori e spettatori trovano il campo di interazione all'interno del teatro forum, dal
momento in cui lo spettatore si propone di intervenire sulla scena per assumere uno dei
ruoli della rappresentazione, improvvisa la sua parte, come improvvisano le proprie
risposte gli attori stimolati dal nuovo intervento. Evidentemente nel teatro invisibile
l'improvvisazione accade nel mancato come se della non-rappresentazione e quindi
nell'interazione spontanea che l'azione suscita. La reazione spontanea del pubblico si può
definire come un'improvvisazione del quotidiano e che necessita da parte dell'attore
l'estrosa prontezza e la predisposizione emotiva nel dare risposta ai più disparati stimoli
provenienti dal contesto interattivo.

6.4 Pedagogia cooperativa e peer education nel TdO

Il laboratorio di TdO oltre ad essere luogo di sperimentazione teatrale, è anche luogo di


confronto collettivo e di analisi sociale e politica. Questo spazio di discussione determina
preziosi momenti di scambio e permette un coinvolgimento dell'intero gruppo
208
A. BOAL, Il poliziotto e la maschera, cit., p. 111.

111
nell'elaborazione delle proposte, nell'ipotizzare quale sia la percezione pubblica della
questione che si andrà a sviscerare, nella costruzione dell'interazione con il territorio. Un
laboratorio democratico nel quale, ben guidate dal conduttore, trovano spazio dinamiche
formative di peer education e di learning by doing; Senor a questo proposito dice che le
esperienze di TI forniscono «una nuova consapevolezza agli attori, sia per quel che
riguarda le tematiche trattate, sia (e soprattutto) per quel che riguarda l'esperienza
interpretativa»209.
La componente presente nelle dinamiche di formazione continua, richiama quanto afferma
Pineau riguardo alla long life education:

La formazione nell'arco di tutta la vita è [...] il prodotto di transizioni complesse tra i poli materiali, sociali e
organici, alternanti momenti formali, razionali, chiari, distinti con momenti esperienziali, sensibili ma opachi,
confusi. Queste transizioni formative sono permanenti, ossia giocano un ruolo nell'istante così come per tutta
la vita. Nominarle suppone il trovare una formula sufficientemente complessa per congiungerle
contemporaneamente nella loro istantaneità e nella loro permanenza. Invocando la rapidità e concentrando
l'ipercomplessità, la formula «due tempi, tre movimenti» può essere vista come una parte ologrammatica che
racchiude il tutto nella parte. Essa può permettere anche di affinare le decodifiche di tutte le transazioni tra
organismi e ambiente, transazioni viste come indicatori/operatori di formazione permanente di una unità
vitale a partire dai poli e dai movimenti del mondo vissuto. L'analisi di queste transazioni, punto di
scissione/incontro di questi poli e movimenti, diviene il punto di partenza della ricerca che può così
identificare le dominanze210.

Ma soprattutto quello del laboratorio di TdO è un contesto di apprendimento partecipato,


in questo caso non faccio riferimento alla letteratura bensì all'esperienza personale. Infatti
ben prima di farne il mio argomento di tesi, il TdO mi aveva colpito nell'enunciazione delle
sue intenzioni: prendere una forma artistica ed espressiva quale è il teatro e metterla a
disposizione delle persone per affrontare le problematiche sociali e cercare di trasformare
concretamente alcune condizioni di oppressione. Un metodo sperimentale che coniugasse
espressione, attivismo politico e intenzionalità formativa; non poteva che incuriosirmi ed
interessarmi.
Nel tempo ho partecipato in tre diverse occasioni a laboratori di TdO (la prima risale a
qualche fa, le altre due sono molto recenti211): nel Maggio del 2011 a Lamezia Terme in

209
P. SENOR, La ribalta degli invisibili, cit., p. 69.
210
G. PINEAU, Temporalités en Formation. Vers de nouveaux synchroniseurs, Paris, Anthropos, 2000, p.
135.
211
In queste due esperienze laboratoriali già si intrecciava all'esperienza l'interesse di farne ambito di ricerca
teorico ed argomento di tesi.

112
Calabria, conduzione di Olivier Malcor attivo con la compagnia PartcipArte con sede a
Roma; nell'Aprile 2015 a Torino, conduzione di Paolo Senor attivo in passato con la
compagnia Livres Como O Vento con sede a Torino, nel Giugno 2015 a Milano,
conduzione di Massimiliano Filoni attivo con la cooperativa Giollicoop con sede a Parma.
Sebbene la partecipazione a questi laboratori mi abbia dato la possibilità di cogliere alcune
importanti differenze negli stili e nelle modalità di conduzione e di lavoro, come è naturale
ed importante che sia, quello che qui mi interessa far emergere è il dato che in ciascuno di
questi laboratori si sia venuta a creare una piccola comunità cooperante e creativa.
Il laboratorio di Lamezia Terme della durata di tre giorni, prevedeva una rappresentazione
finale di teatro forum nelle strade della città e quindi tutta la precedente elaborazione del
tema da affrontare e della preparazione attoriale, la scelta andò sui rapporti di potere
all'interno delle relazioni tra generi con particolare attenzione alla violenza simbolica
maschile; il laboratorio di Torino della durata di due giorni aveva come titolo Rituali e
maschere e non prevedeva rappresentazione; il laboratorio di Milano della durata di un
giorno aveva come titolo Io sono qui?, tematizzando la pervasività e problematicità dei
socialnetwork all'interno delle relazioni interpersonali e intergenerazionali, non prevedeva
rappresentazione finale.
In ognuno di questi laboratori tutti e tutte i soggetti partecipanti, dopo una prima parte di
giochiesercizi volti alla conoscenza e a liberare corpo e mente per entrare nella nuova
dimensione laboratoriale, posero le proprie sensibilità, conoscenze e competenze
individuali a disposizione del gruppo e al tempo stesso si determinò un clima di ricettività
diffusa per le idee e le esperienze di ciascuno, con possibilità di confronto verbalizzato nei
momenti riflessivi di cerchio. Nella sperimentazione degli esercizi, nell'interpretazione e
discussione dei momenti di teatro-immagine; nella condivisione dei temi caldi della
discussione politica e locale, nei momenti di improvvisazione e rappresentazione (interni
al laboratorio o esterni), nel momento di riflessione e verifica finale: si crearono veri e
propri laboratori di partecipazione e creatività democratica.
La costituzione di un clima di condivisone sul quale costruire pratiche di apprendimento e
sperimentazione cooperativa sono il dato comune della mia, seppur limitata, esperienza
laboratoriale di TdO.
Nello sviluppo di una pratica pedagogica cooperativa che trova il suo spazio di azione
attraverso il riconoscimento della reciprocità, è specifico il tratto dell'eteroformazione,
ovvero quel polo formativo definito dal confronto con gli altri soggetti e che nella
dialogicità si definisce co-formazione. Come dice Milani, «l'aspetto della co-formazione è

113
stato evidenziato dalla riflessione pedagogica ed educativa in particolare nell'ambito della
cooperazione in educazione con tutto il filone dell'apprendimento cooperativo e della peer
education»212.

6.5 Essere attori: la possibilità di esprimere un dividuo molteplice

Nella progettazione ed elaborazione dell'azione invisibile si determinano le caratteristiche


dei personaggi da interpretare. Nella rappresentazione di situazioni di oppressione saranno
previsti ruoli di oppressori, ruoli di oppressi e ruoli che non sono completamente
polarizzati in un verso o nell'altro, assumono in essi una parte oppressiva ed una oppressa.
Gli attori, nei casi in cui interpretano il ruolo di oppressori, ricalcano riferimenti ideali e
esprimono comportamenti subordinanti decisamente avversi ai propri universi etici di
riferimento, in questo senso presumiamo con nozione di causa che i partecipanti alle azioni
di teatro invisibile siano persone, se non attiviste, improntate a riferirsi a teorie e pratiche
democratiche.
Ma ciò che ciascuno, ogni persona è, viene determinato dall'insieme delle rappresentazioni
del sé e dalla condizione di identità che permette di assumere il tratto di continuità
caratteristico della persona. La continuità permessa dall'identità riconosciuta del sé
permette le modifiche evolutive e le svolte d'interpretazione paradigmatica del mondo
presenti nella storia personale di ciascuna persona,

il termine identità è spesso messo in relazione con quello di Sé in molti studi psicologici ed è legato alla
memoria che genererebbe il senso di continuità della persona nella discontinuità degli eventi, delle
esperienze, dei vissuti e delle trasformazioni messe in atto dalla persona o favorite da processi educativi e
dall'ambiente/contesto di vita e dalla cultura. La memoria costituisce lo strumento per intrecciare la trama
della nostra identità, la quale risente della cultura e delle rappresentazioni o immagini che ci vengono
rimandate da altri213.

Se quest'accezione di identità ha piena legittimità nei campi della psicologia dello sviluppo
e della pedagogia, evochiamo la riflessione filosofica di Deleuze che nell'irriducibilità
della molteplicità all'identità ci dona l'ampliamento prospettico per contemplare le
espressioni dell'essere dividuo (non solo dunque individuo indivisibile) insite nella
possibilità teatrale dell'attingere dal sé, senza per questo essere meno sé, per

212
L. MILANI, Collettiva-Mente, cit., p. 114.
213
Ivi, p. 129.

114
l'interpretazione di ruolo di un personaggio altro. Infatti Deleuze in Differenza e
ripetizione afferma che «il primato dell'identità, comunque sia concepita, definisce il
mondo della rappresentazione. Ma il pensiero moderno nasce dal fallimento della
rappresentazione, come dalla perdita delle identità e dalla scoperta di tutte le forze che
agiscono sotto la rappresentazione dell'identico»214. Rossi spiega così come Deleuze muova

una serrata critica alla rappresentazione, al pensiero rappresentativo, al fondamento come ragione che
subordina il molteplice all'uno, che nega la realtà del molteplice a meno che esso non si raccolga nell'identità
del concetto, fondamento a cui inesorabilmente il mondo dei simulacri, l'insondabile Oceano della
dissomiglianza, della diversità o alterità. Il mondo del fondamento inaugura il mondo della rappresentazione
quale luogo dell'illusione trascendentale su cui si è edificata l'immagine dogmatica del pensiero, ovvero
quell'operazione che il pensiero compie quando si dispone a comprendere il mondo – comprendendo la
molteplicità nell'unità del concetto215.

Così, in ognuno di noi la persona, o sarebbe meglio dire le persone, non si rivela mai
completamente. Nella contrattata co-costruzione tra soggetto, acculturazione e
posizionamento sociale, la persona si riduce a diventare personalità improntata da un
determinato carattere ed alla quale è richiesta un certo grado di coerenza nella continuità
storica216. La presenza nella persona di dualismi e molteplicità che possono trovare
espressione nel teatro è ben espressa da Boal quando dice: «la personalità non è che una
manifestazione possibile della persona. Il personaggio ne è un'altra. I due, personalità e
personaggio, emanano dalla stessa persona»217.
Quindi per dare vita al proprio personaggio, l'attore deve abbandonare la sua personalità
collocata, effettuare un tuffo nelle recondite possibilità della propria persona ed attingere
gli elementi emozionali che gli possano servire alla costruzione dell'altro sé possibile del
personaggio impersonato, vissuto in scena e poi lì abbandonato.
Sempre all'interno di questa discussione sul dibattersi del soggetto tra le espressioni
possibili della persona, riportiamo le parole scritte da Park in Race and Culture:

Probabilmente non è un caso che la parola «persona», nel suo significato originale, volesse dire maschera.
Questo implica il riconoscimento del fatto che ognuno sempre e dappertutto, più o meno coscientemente,
impersona una parte... È in questi ruoli che ci conosciamo gli uni gli altri; è in questi ruoli che conosciamo
214
G. DELEUZE, Differenza e ripetizione, Milano, Cortina, 1997, p. 1.
215
K. ROSSI, L'estetica di Gilles Deleuze. Bergsonismo e fenomenologia a confronto, Bologna, Pendragon,
2005, p. 42.
216
Per approfondire la questione della contraddizione tra possibilità soggettive e determinazione sociale si
rimanda al Capitolo 8.
217
A. BOAL, Il poliziotto e la maschera, cit., p. 110.

115
noi stessi.
In un certo senso, e in quanto questa maschera rappresenta il concetto che ci siamo fatti di noi stessi – il ruolo
di cui cerchiamo di essere all'altezza -, questa maschera rappresenta il nostro vero «io», l'io che vorremmo
essere. Alla fine la concezione del nostro ruolo diventa una seconda natura e parte integrante della nostra
personalità. Entriamo nel mondo come individui, acquistiamo un carattere e diventiamo persone218.

Nella pratica teatrale avviene un riconoscimento cosciente della possibilità polisemica del
soggetto, questo riconoscimento viene applicato e gestito nell'assunzione di ruolo. Nel
teatro di comunità219 la questione dell'identità ha un ruolo particolarmente rilevante, ovvero
offre attraverso i suoi progetti la possibilità all'individuo di affermare la propria identità in
una dimensione di riconoscimento comunitario, fondamentale perché la percezione di sé si
determini come allineamento tra piano soggettivo e piano sociale. In questo senso si può
affermare che attraverso la gestione teatrale nell'impersonificazione dei ruoli dell'attore
della molteplicità, emerge all'interno di un quadro collettivo riconosciuto la possibilità
affermativa dell'identità personale.

Essere come l'attore […] dà la sensazione di poter essere capaci di dominare questo gioco [di interpretazione
delle performance quotidiane affrontate da ogni persona], che invece più spesso ci domina. L'attore è
considerato colui che è in grado di gestire in piena autonomia la dinamica delle transazioni sociali, perché sa
controllare nel quotidiano la sua vita interiore, le sue emozioni, i suoi pensieri, anche mentre recita una parte,
dalla quale è consapevole di essere distinto e con la quale non opera mai una totale identificazione,
salvaguardando sé come nucleo dal pathos originario della vita. Scoprire se stessi attraverso le possibilità che
sono offerte all'attore significa poter andare al di là dei ruoli e delle immagini sociali, per riconoscere proprio
quel plesso unitario che è la nostra identità, irriducibile a qualsiasi rappresentazione, ma coglibile nello
sguardo dell'altro che ci riconosce. Si arriva alla verità di se stessi quando è un altro a rivelarcela, quando
incontriamo uno sguardo riconoscente mentre lo riconosciamo220.

Nel caso del TdO le sfaccettature di questo discorso cambiano a seconda della tecnica
utilizzata e del setting di lavoro. Nella dimensione laboratoriale avviene chiaramente
un'affermazione dell'identità personale all'interno di un quadro collettivo sperimentale che
permette la gestione della molteplicità in una sfera protetta. Nell'azione invisibile, la
gestione della molteplicità dei sé possibili appartiene unicamente agli attori promotori che
non la condividono con il pubblico; infatti il pubblico ha esperienza dell'altro sé degli
218
R. E. PARK, Race and Culture, Glencoe, Free Press, 1950, pp. 249-250; cit. in E. GOFFMAN, La vita
quotidiana come rappresentazione, Bologna, Il Mulino, 1969, p. 31.
219
Per approfondimenti sul teatro di comunità si rimanda a: G. LIMONE, Teatro comunità, pp. 122-138; in
A. PONTREMOLI, Teorie e tecniche, cit.
220
A. PONTREMOLI, Teorie e tecniche, cit., p. 48.

116
attori, mentre non è messo nella condizione di riconoscere l'esprimersi della molteplicità.
Nella pratica del TI, la possibilità di riconoscimento della molteplicità dei sé insita nella
rappresentazione è sacrificata in nome della forte aggregazione collettiva determinata
dall'invisibilità degli attori e catalizzata sul ruolo di attivismo maieutico messo in azione
per uno scopo più elevato, quello di far emergere la situazione oppressiva ed agire in
termini pedagogici sulla sfera del sociale allargato. Nel Teatro Forum avviene la piena
assunzione problematica della questione della molteplicità identitaria, prevedendo un tale
approfondito riconoscimento comunitario, quando si tratta di comunità specificamente
collocate e non estemporaneamente aggregate, da poter parlare di antropopoiesi221
comunitaria attraverso la pratica democratico-maieutica del forum teatrale.

6.6 Il fattore di rischio in quanto acceleratore esperienziale

Per quanto concerne la tecnica invisibile, ci sono modalità di verificare l'effetto immediato
dell'azione sugli inconsapevoli astanti che ne sono destinatari, oltre che nelle reazioni
espresse anche attraverso la permanenza di attori non-protagonisti sul luogo
dell'inscenamento dopo il raggiungimento del climax e conseguente sganciamento dei
protagonisti.
Gli attori non-protagonisti restano in loco per facilitare e mantenere alto il livello di
discussione post-climax e per raccogliere reazioni, commenti, riflessioni e criticità del
pubblico. Ma non sappiamo e non abbiamo possibilità di sapere, proprio in ragione del
non svelamento previsto dalla tecnica, quanto i soggetti investiti dall'azione di TI e per
conseguenza di essa, abbiano aumentato la propria consapevolezza e sensibilità sulle
questioni esposte. Mentre per la dimensione attoriale: il vestire i panni, il compromettersi
nel ruolo, il vivere la tensione determinata dall'interpretazione; fanno sicuramente
raggiungere elevati livelli di coscientizzazione al gruppo proponente, soggetti già sensibili,
o meglio già disposti alla sensibilizzazione.
Senor in La ribalta degli invisibili arriva a definire illuminante il punto di vista
interpretativo in questa tecnica, componenti dell'illuminazione sono: l'intensa esperienza di

221
Questo termine, antropopoiesi, è utilizzato da Remotti per sintetizzare il processo di fare l'umanità,
ovvero l'andare «decisamente oltre ciò che la natura può dare in questo campo […], sembra essere un
compito che molte società si sono assunte in modo esplicito e forse temerario: un compito comunque
curiosamente collimante con la teoria dell'uomo come essere biologicamente 'carente', il quale proprio per
questo ha da farsi, da completarsi o da perfezionarsi mediante l'acquisizione di specifici modelli culturali
e anzi modelli di umanità», F. REMOTTI, Cultura. Dalla complessità all'impoverimento, Roma, Laterza,
2011, p. 77.

117
gruppo che si fa nell'elaborare un'azione con caratteristiche di segretezza che necessitano
forte intesa e fiducia; l'elevata tensione dell'interpretazione e il fattore bio-chimico di
rilascio di adrenalina (principale mediatrice di una risposta fisiologica detta combatti o
fuggi, un meccanismo ancestrale che serviva all'uomo per prepararsi a combattere)222;
l'immergere il proprio personaggio nella realtà non mediata dalle protezioni che sono
ritualmente garantite dalla rappresentazione teatrale riconosciuta, l'esperienza del fattore di
rischio.
Focalizziamo ora l'attenzione su quest'ultimo elemento, per fattore di rischio intendo la
possibilità di trovarsi in una condizione di pericolo personale. La condizione di pericolo si
determina su due livelli: quello emotivo, per la responsabilità d'interpretazione dell'azione
rispetto ai compagni (presente anche nel teatro del come se, ma con ben altri contorni) e
per la responsabilità dell'innesco emotivo negli spett-attori; e quello fisico, riferito alle
possibili reazioni fisiche dei soggetti con i quali si vuole ed in certo senso pretende
interagire.
Tutta la condizione di pericolo si regge sulla credibilità dell'interpretazione, se questa viene
meno tutto l'impianto crolla. Metaforicamente si può pensare all'attore protagonista del
teatro invisibile come ad un funambolo, non assicurato da imbragatura o cavi di sicurezza,
che cammina su una corda tesa sopra un profondo dirupo223.
Facendo riferimento ad azioni avvenute e documentate: l'attore Francois nell'azione di
Liegi224 del gruppo di Boal fa esperienza del fattore di rischio ponendosi nella possibilità di
pericolo della reazione della manager del negozio, della sicurezza interna, della polizia e di
un qualsivoglia spett-attore che per qualunque motivo agisca in modo offensivo in termini
emotivi o fisici nei suoi confronti.
Nel caso riportato più avanti, Christina interpreta, nella scena di TI, una ragazza che viene
a conoscenza, tramite confessione dello stesso, del tradimento del fidanzato con donne che
si prostituiscono, il rischio avrebbe potuto essere quello di reazioni emotivamente provanti
(quale l'irrisione da parte dei presenti); sempre presente, occorre ripeterlo visto la rilevanza
cruciale di questo elemento, è il rischio di non essere credibili nell'interpretazione ed essere
di conseguenza smascherati.
In Israel/Palestine Conflict – The Traitor225, per quanto costruita nel modo più etico e

222
Cfr. Adrenalina in www.treccani.it/enciclopedia/adrenalina/
223
È da dire che l'attore non è da solo e che la presenza dei compagni d'azione rappresenta una rete tesa in
caso di caduta, ma quest'evenienza d'emergenza prevede comunque uno schianto d'imprevedibile portata.
224
A. BOAL, S. EPSTEIN, Invisble theatre, cit.
225
B. BURSTOW, Invisible theatre, ethics, and the adult educator, «International Journal of Lifelong
Education», Vol. 27, No. 3 (May-June 2008), pp. 273-278.

118
maieutico possibile, Jessica si espone nel sostenere le sue posizioni pro-pace nel conflitto
mediorientale ed attaccando manifesti in un luogo pubblico quale è il ristorante di Toronto
nel quale la scena è ambientata. Sappiamo dall'articolo che documenta quest'azione che
avvengono reazioni solidali al suo gesto ma avrebbero potuto avvenire anche reazioni
avverse su una tematica così complessa e storicamente densa di rivendicazioni ed accuse,
quindi anche Jessica fa esperienza d'esposizione al determinante fattore di rischio.
Proprio il fatto di calare completamente il personaggio nella realtà, in una situazione nella
quale alla gente che lo incontra sia impossibile la distinzione tra ruolo attoriale e persona,
permette l'occasione di accedere ad uno stato di libertà abitando esperienzialmente la
soglia, il limen, tra mondi sociali e rappresentazionali nell'azione. L'esperienza della soglia
nella quale il protagonista vive ad uno stadio elevatamente pervasivo la condizione del
non-essere più unicamente sé stesso come persona determinata socialmente, sperimentando
il ruolo di un personaggio totale, essendo attraverso esso nella presunzione di un altro
reale, in quanto vero soggetto determinato socialmente in maniera temporanea. In questa
condizione Senor sostiene che

l'attore faccia l'esperienza di uno stato di grazia: la capacità di vivere pienamente il personaggio, mantenendo
però un controllo totale sullo stesso; la possibilità di auto-osservarsi, e allo stesso tempo osservare con
straordinaria efficacia quello che accade intorno; una straordinaria lucidità nel calcolare i tempi e nel

determinare le azioni; una percezione sensoriale e temporale dilatata226.

L'iperpercettività dello stato dell'attore protagonista è ben resa dalla testimonianza di


Christina attrice impegnata in un’azione invisibile giocata a Pisa nel 2003 che trovandosi al
centro dell'attenzione di un centinaio di persone tra i tavoli di un bar all'aperto sul Lungo
Arno dice:

Durante il culmine dell'azione sentivo in pieno il personaggio che recitavo, con tutte le sue contraddizioni e
le sue sfumature: mi sentivo sorpresa, arrabbiata, delusa, vedevo la mia vita crollata, pensavo alle
conseguenze, mi sentivo sola, piangevo, pregavo, ridevo della mia posizione. Allo stesso tempo però sentivo
di avere un controllo della situazione inaspettato, riuscivo a vedere tutti e a calcolare con lucidità le
informazioni che urlando facevo passare. Il tempo sembrava dilatato, in modo tale da poter riflettere mentre
agivo. Non so se a questo ha contribuito il grande senso di responsabilità, o il fatto di saper perfettamente
perché stavo recitando in quel momento, o l'adrenalina alle stelle, oppure il semplice fatto che dopo i primi
minuti di azione la gente sembrava che credesse davvero alla finzione, che si fosse creata un'immagine di me

226
P. SENOR, La ribalta degli invisibili, cit., p.70.

119
e un'aspettativa da me227.

L'insieme degli elementi sopra descritti permettono che nel TI avvenga un'accelerazione ed
una calata nelle profondità della pratica attoriale, tra tutti si individua come principalmente
operante il fattore di rischio al quale si espone il soggetto interpretante. Questo fattore a
livello di stato di coscienza psico-fisico determina l'avvenimento di un'esperienza, in
alcune descrizioni elegiache l'avvento di un'illuminazione, che trova delle similitudini nella
ricerca di uno dei grandi maestri del teatro del novecento, Jerzy Grotowski.
Evidentemente quando parliamo del lavoro di Grotowski e del Teatro Laboratorio,
compagnia della quale fu ideatore, artefice, regista e Maestro, ci stiamo richiamando ad un
mondo in cui come dice Peter Brook «la recitazione viene considerata un'arte di dedizione
assoluta, monastica e totale» nel quale «la frase ormai vieta di Artaud “crudele verso me
stesso” è un autentico sistema di vita , in un posto e per un gruppo di una decina di
persone»228.
Quindi senza voler fare comparazioni tra pratiche diverse, con concezioni, presupposti e
obiettivi molto differenti, si possono trovare come cauto proponimento alcune similitudini:
Grotowski utilizza il termine trance, intendendo «la capacità di concentrarsi in uno
speciale modo teatrale» e sostiene che «può essere ottenuta con un minimo di buona
volontà», sebbene si potrebbe molto discutere sul concetto di minimo qui espresso da
Grotowski, riportiamo un frammento esplicativo tratto da Il Nuovo Testamento del teatro:

Se dovessi spiegare tutto questo con una sola frase, direi che si tratta soltanto di dare se stessi. Bisogna darsi
in modo totale, nella propria intimità più profonda, con fiducia, come ci si dà nell'atto d'amore. Questa è la
chiave del problema: l'auto-penetrazione, la trance, l'eccesso, la stessa disciplina formale possono essere
realizzati solo a condizione di un dono completo, umile e senza riserve. Tale atto culmina in un apice che
apporta sollievo. Nessuno degli esercizi, nei vari settori dell'allenamento di un attore, devono essere prova di
abilità: essi devono, piuttosto, servire a sviluppare un sistema di allusioni che spianino la strada a questo
indefinibile ed indescrivibile processo di offerta del proprio essere229.

E qui riprendiamo la testimonianza di Christina, attrice in azione nell'Invisibile, che


commentando la conclusione della messa in scena dice:

Venendo via dopo l'azione ero emozionata, ma presto mi sono calmata. E mi sembrava di aver avuto una

227
Ivi, p. 71.
228
P. BROOK in J. GROTOWSKI, Per un teatro povero, Roma, Bulzoni, 1970, p. 16.
229
J. GROTOWSKI, Ivi, pp. 46-47.

120
rivelazione, di aver digerito finalmente tutta la teoria di teatro in pochi minuti. Essere e allo stesso tempo
non essere il personaggio. L'essenza del teatro secondo le poetiche dei maestri, sia che si tratti di
Stanislavskij, di Brecht o di Barba. Una nozione semplice, ma difficilmente vissuta sul palcoscenico, anche
se ci si prova. Ho avuto la sensazione in questa breve azione di teatro invisibile, di averla capita in
profondità. Forse, una volta vissuta, questa esperienza può essere utile anche sotto condizioni diverse, anche

nel teatro “vero”230.

Qui si esplicita come, attraverso l'azione invisibile si abbia accesso ad una sfera
dell'interpretazione considerata rivelatoria e totale, ricercata, ma mai precedente raggiunta
in quello che è in questa testimonianza viene considerato il vero teatro. Affermare di aver
avuto accesso all'essenza del teatro facendo riferimento a Stanislavskij, Brecht e Barba (a
sua volta discepolo di Grotowski) è il riconoscimento dell'accelerazione e profondità
ottenuta calandosi completamente nella dimensione teatrale, non attraverso un continuo
esercizio volto all'auto-penetrazione e alla ricerca disciplinata e liberatoria dei Teatri
Laboratorio, ma attraverso la costituzione di un'azione segreta e nell'immersione
esperienziale del fattore di rischio. In questo caso il fattore di rischio è elemento al
medesimo tempo di esperienza e di auto-formazione nell'esperienza.
A conferma della particolare funzione catalizzante del fattore di rischio anche per attori
professionisti, si riportano le parole di Boal a commento di un'azione svolta a Stoccolma
sul tema del razzismo231, che dice: «dopo lo spettacolo, l'attore che interpretava il ruolo
dell'impiegato [uno dei protagonisti], un professionista di lunga carriera, mi confessò che
non era mai stato così nervoso ad una prima, che non aveva mai avuto così paura»232.
Nel resoconto di un'altra azione di teatro invisibile, Senor racconta di come la scena viene
riscaldata teatralmente da un'attrice cinquantenne che interpreta il ruolo di moglie e madre
di figli grandi, in piena crisi famigliare e della sua identità materna. L'azione si svolge
all'interno del Disney store di Firenze nel periodo prenatalizio in cui la corsa ai regali e al
consumo spasmodico è imperante. In tale cornice la signora si aggira per il negozio alla
ricerca di regali che le possano permettere di riallaciare il legame con i figli, incerta ed in
difficoltà cerca il riscontro di altri acquirenti: domandando se i regali che seleziona,
secondo loro, possano riavvicinarla ai figli e se le permetteranno di ricevere un po' della

230
Paolo Senor, La ribalta degli invisibili, cit., pp. 71-72.
231
Questa azione è stata presa approfonditamente in analisi nel Capitolo 5.
232
A. BOAL, Il poliziotto e la maschera, cit., p. 43. Il commento prosegue dicendo che l'attore professionista
«riconobbe anche che raramente era stato così felice di partecipare a uno spettacolo». In
quest'affermazione si coglie la positività dell'esperienza ma non ci è dato sapere a cosa ricondurla
specificamente: alla dimensione attoriale, alla rilevanza pedagogicamente sociale o ad entrambe (o ad
altri fattori non noti).

121
loro attenzione e a lei di donarne, ricollocando così il suo ruolo materno in crisi.
Per quanto riguarda l'interpretazione emerge nuovamente il fattore della sperimentazione
sul campo come cruciale per il compiersi di un'esperienza efficace dal punto di vista
attoriale:

durante le prove Rosalba [l'attrice di cui sopra] quasi non riusciva ad entrare nel personaggio, che forse era
troppo vicino alla sua persona; ma attraverso l'azione, in lei scattò qualcosa (succede spesso, nell'invisibile) e
tutta la sua vocazione teatrale […] venne fuori, permettendole di coinvolgere molte persone con le sue
domande. Tra le altre alcune commesse che, nonostante la mole di lavoro e le nostre previsioni,
incredibilmente la stavano ad ascoltare, la consigliavano e partecipavano ai suoi problemi233.

Martin Seel afferma che «c'è un'esigenza di sentire l'essere presente della nostra vita», che
«desideriamo vivere i presenti in cui noi siamo, anche come presenti percepibili alla
sensazione»234; è come se, attraverso la scelta teatrale, nell'esperienza
dell'impersonificazione del personaggio sia portata ad estrema tensione quella necessità di
fissarsi nel mondo, dell'affermare la propria altrimenti difficilmente spiegabile vita.
Viene attuato uno sforzo di verità nel vissuto della presenza nel presente, nello spazio-
tempo destoricizzato, ma qui si tratta di una destoricizzazione che non si avvale di una fuga
dalla responsabilità, ma destoricizza per appropriarsi appieno della vita, accettando di
affrancarsi da ciò che Nietzsche chiama con precisione allusiva, eccesso di memoria, e di
sospendere per il tempo della recita, la recitazione sociale di un continuo protendersi verso
il futuro senza nell'effettività vivere il presente, e con ciò fare la radicale esperienza
dell'hic et nunc.
Nuovamente Grotowski, alla domanda postagli da Denis Bablet su cosa intendesse con
l'espressione atto totale, risponde essere

atto di denudamento, il laceramento della propria maschera d'ogni giorno, l'esternamento del proprio essere.
Non allo scopo di “mostrare se stessi”, poiché in questo caso si tratterebbe di esibizionismo. È un atto grave e
solenne di rivelazione. L'attore deve essere disposto ad una sincerità assoluta. È come un passo verso l'apice
dell'organismo dell'attore in cui la consapevolezza e l'istinto si congiungono235.

233
P. SENOR, La ribalta degli invisibili, cit., p. 17
234
M. SEEL, Inszenieren als Erscheinenlassen. Thesen über die Reichweite eines, in J. ZIMMERMANN
(Hrsg.), Ästhetik der Inszenierung, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 2001, pp. 48-62, cit. in E. FISHER-
LICHTE, Estetica del performativo, cit., p. 171.
235
J. GROTOWSKI, Per un teatro povero, cit., p. 240.

122
Arrivati a questo punto si vuole ora interrogare più ampiamente il concetto 236 fattore di
rischio, per fare ciò ci rivolgiamo all'arte delle performance. In particolare a due casi in cui
gli artisti hanno scelto di compiere la loro azione condividendo la scena e interagendola
direttamente con animali selvatici non addomesticati, una scelta di presenza.
Presenza di un pericolo che potrebbe mettere a repentaglio l'incolumità degli artisti in ogni
momento, l'animale selvatico rappresenta simbolicamente il pericolo della natura, il
sequestro dal suo habitat e il trasferimento coatto in una galleria d'arte significa scegliere
l'assenza di ogni garanzia rispetto alle possibili reazioni e comportamenti aggressivi
dell'animale, determinando un posizionamento esistenziale nel confronto umano-animale
di estrema imprevedibilità sullo svolgersi degli eventi.
Nei casi di Beyus e Abramovic237, ci troviamo di fronte alla congiunzione di
consapevolezza e istinto, con l'innestamento dell'elemento fattore di rischio sulla
predisposizione sensibile dell'artista. Differentemente ampliato, rischiosamente rapportato
alla presenza animale e non a quella umana tipica del TI, nell'effettiva presenza scelta del
pericolo animale non vi è la possibilità di mediazione del verbo comune, nel possibile
momento di rottura il linguaggio di comunicazione è quello del corpo e del comportamento
e non quello della parola. La possibilità insita nel fattore di rischio è che si stabilisca un
punto di rottura nella performance che provochi un attacco aggressivo e potenzialmente
letale per l'artista.
Gli animali selvatici con cui scelsero di interagire gli artisti furono: per Joseph Beuys un
Coyote e Marina Abramovic dei Pitoni; l'intento affermato è quello di porsi nella ricerca di
una comunicazione energetica, di un canale di incontro che permetta un sentir-si
reciprocamente nell'interazione.
La costituzione del canale comunicativo attraverso lo scambio energetico tra umano e
animale è lo spazio determinante all'interno del quale porre il prodursi dell'incontro nello
stare insieme interspecista. Il canale comunicativo - secondo gli autori della performance -
dovrebbe permettere un'implicita negazione delle possibilità violente, ma soprattutto
determinare lo sprigionarsi di forme energetiche nel rapporto. La Abramovic a proposito
della sua interazione con i pitoni dice:

Sedevo immobile sulla sedia con cinque pitoni attorcigliati intorno al corpo. Avevano una lunghezza che
andava dai tre ai quattro metri e mezzo e nelle due settimane immediatamente precedenti la performance non

236
Ricadendo così nella trappola teoretica (radicalmente criticata da Deleuze) di ricondurre il molteplice
all'uno.
237
Ci si riferisce per la descrizione delle performance a E. FISHER-LICHTE, Estetica del performativo, cit.

123
avevano ricevuto cibo. Ero circondata da un cerchio di blocchi di ghiaccio. I serpenti, durante la performance
si muovevano seguendo le mie linee di energia238.

La performance di Marina Abramovic della durata di 60 minuti si svolse nella galleria


Mediale Daichtorhalle ad Amburgo nel 1992; quella di Beuys si svolse dal 23 al 25 maggio
1974 alla René Block Gallery di New York tra le 10:00 e le 18:00 di ciascuno dei tre giorni
interessati. Secondo l'intenzione dell'artista, l'azione doveva riallacciare il nodo reciso nella
storia Americana tra comunità umana e Coyote, in quanto animale detentore della sapienza
dei linguaggi e capace di inviare sventura ed effettuare guarigioni. Difatti

secondo gli indiani il coyote comprendeva tutte le lingue e riusciva a parlare anche con le recinzioni per
convincerle a lasciarlo passare attraverso di esse. Se adirato, poteva attirare calamità sugli uomini, ma se si
placava, poteva guarire dalle malattie. Nei riti di guarigione che duravano nove notti, gli sciamani Navjo
portavano maschere da coyote per evocare la forza di quest'animale e utilizzarla per la guarigione dei malati.
L'arrivo dell'uomo bianco cambiò lo status del coyote. La sua capacità di adattamento, la sua inventiva,
qualità che erano state precedentemente ammirate e venerate dagli indiani come segno di una forza
sovversiva, venivano ora considerate meramente una forma di astuzia. Il coyote divenne così il «mean
coyote», una sorta di capro espiatorio da cacciare e uccidere239.

L'intenzione di Beuys era quella di dar vita ad un rito riconciliatorio, con elementi di
critica verso l'organizzazione politico-economica occidentale negli elementi: della
tecnologia imperante, rappresentata dallo stridore meccanico della registrazione che veniva
attivata e fatta recepire al coyote; e della «scheletrica rigidità cadaverica del pensiero sul
CAPITALE» rappresentata dalle cinquanta copie, più quelle quotidiane che venivano
aggiunte alle già presenti, del Wall Street Journal, emblematico organo informativo del
capitalismo finanziario statunitense che veniva letto e mostrato al coyote. Ma ciò che ci
interessa mettere in luce è la forza del fattore di imprevedibilità, di come la possibilità di
pericolo costituita dalla presenza animale generasse in questi casi una situazione di
approfondita esperienzialità, scardinando il blocco dicotomico uomo-animale.
Con l'assunzione dell'esperienza del rischio, l'artista determina il costituirsi di un ponte,
nominativamente detto energetico, che estende deduttivamente la collocazione di
appartenenza di uomo e coyote, di donna e pitone, di umano e animale, per condividere le
similitudini interspeciste piuttosto che le differenze nettamente tracciate culturalmente.

238
T. STOSS, Marina Abramović Artist Body, Performances 1969-1997, Milano, Charta, 1998, p. 326; cit. in
Ivi, p. 181.
239
E. FISHER-LICHTE, Estetica del performativo, cit., p. 185.

124
In ciò, «il corpo animale vivente […] rimane a-disposizionale. Ad esso, esattamente come
al corpo umano, non si addice il carattere di opera, ma quello di evento»240. In questo caso
non avviene una forzata antropizzazione dell'animale, bensì nella condivisione dell'evento
performativo è l'umano che mettendosi a confronto con il soggetto animale, si rapporta
esso stesso con la propria presenza completa che comprende anche i tratti di animalità.
Trovando un canale di contatto e comunicazione energetica, permesso (e non mediato)
dalla presenza del fattore di rischio; avviene nella condivisione dello spazio-tempo e delle
azioni della performance la possibilità di ritrovarsi in uno spazio di vastità meno
definitorio e maggiormente liberatorio, la comunanza dell'essere tra umano e animale,
insieme organismi viventi.

240
Ivi, p. 187.

125
7 - ALTRE ESPERIENZE DI ROTTURA
DELLA DICOTOMIA ATTORE/SPETTATORE

Descrivendo la teorizzazione e la dinamica pratica del teatro invisibile e del teatro forum
abbiamo già tracciato un chiaro disegno propositivo che pone quale cardine dell'impianto
metodologico del TdO: la partecipazione attiva condivisa tra attori e spettatori, la rottura di
questa dicotomia ed il suo superamento.
Boal sulla questione è drastico ed assume dal momento della svolta dialogica
compartecipativa, successiva alla prima dura lezione ricevuta da Virgilio, una posizione
radicale in tutta la sua pratica teatrale politica. L'ideatore del TdO afferma: «spettatore, che
parola oscena!», non lo fa in un'ottica di critica statica ed anestetica; se si limitasse a
denunciare la provata colpevolezza di un sistema, quello del teatro tradizionale,
obsolescente e conservatore si bloccherebbe nella definizione di un'altra condizione di
vittimizzazione; un nuovo pezzo di una collezione di cristalleria immobile da riguardare e
compatire.
Senza alcun dubbio, uno dei maggiori pregi del TdO e del suo iniziatore è quello di dare
adito all'azione, fuoco alle polveri, la sua critica è tanto acuta quanto dotata di
un'intenzionalità lucidamente furibonda che si trasforma in possibilità d'esperienza di
nuova pragmatica.
L'affermazione sopra riportata è il titolo del paragrafo che va a concludere il saggio
Un'esperienza di teatro popolare in Perù, primo capitolo nella pubblicazione che per prima
teorizza e da pubblicità al nuovo metodo, Il teatro degli oppressi, edito per la prima volta
in Italia nel 1977. Lo status di spettatore è qui definito in quanto condizione subumana,
«lo spettatore è inferiore a un uomo naturale; bisogna quindi renderlo nuovamente umano e
restituirgli la sua capacità di azione in tutta la sua pienezza»241; è un soggetto al quale è
stata tolta la capacità fautrice, per essere invece relegato in una condizione d'impossibilità
data dal ruolo immobilizzante assegnatogli.
Missione pedagogica, politica e artistica di tutta la pratica del TdO è di elaborare una
nuova antropopoiesi che renda nuovamente umano lo spettatore, restituendogli così la
possibilità di agire, in quanto uomo nuovo e donna nuova. L'obiettivo è preciso: la
liberazione dello spettatore, su cui il teatro ha imposto visioni compiute, finite del mondo.
Si evidenzia così la diretta correlazione fra spettatore e oppresso.
Per lo spettatore esiste una sola storia, una storia già scritta, prescritta come – dice Freire –
241
A. BOAL, Il teatro degli oppressi, cit., p. 47.

126
quella dell'oppresso:

Uno degli elementi fondamentali nel processo di mediazione oppressi/oppressori è la prescrizione. Ogni
prescrizione è l'imposizione di una scelta, esercitata da una coscienza su un'altra. Perciò il significato della
prescrizione è alienante, perché trasforma la coscienza di colui che la riceve in una coscienza ospite
dell'oppressore. Il comportamento degli oppressi è una specie di comportamento “prescritto”. Si struttura su
criteri estranei, che sono quelli degli oppressori242.

Il TdO rompe con una tradizione teatrale contraddistinta storicamente da una pratica
attoriale ad uso e consumo delle classi agiate e dominanti, per renderla e donarla al popolo,
marxianamente243 rimettendo agli oppressi il mezzo di produzione artistica teatro. Solo nel
farsi popolo del teatro e nel farsi teatro del popolo è permessa la trasfigurazione ed il
disciogliersi della dicotomia attore/spettatore: il soggetto può così divenire attore egli
stesso, co-protagonista della proprie vicende e fautore della realtà teatrale condivisa, pari
tra pari nella costruzione cooperativa di una nuova interscambiabilità tra produttori e
fruitori.
Troviamo nello spazio cooperativo definito dal TdO, un luogo di comunione esperienziale
che trova corrispondenze nel concetto di communitas in Turner, definito come «la
liberazione delle potenzialità umane di conoscenza, sentimento, volizione, creatività ecc.,
dalle costrizioni normative che impongono di occupare una serie di status sociali, di
impersonare una molteplicità di ruoli»244. Una communitas quella del TdO che crea
presupposti d'azione nuovi e che fabbrica culturalmente un soggetto nuovo, lo spett-attore;
anche se è importante notare che la liberazione dalle costrizioni normative resta vincolata,
in questo metodo, al riconoscimento del proprio status sociale di oppresso, potenzialmente
rivoluzionario ma comunque tale.

7.1 La relativizzazione della pretesa solitudine del TdO

Come fare a definire i movimenti sociali, politici, artistici e culturali (o controculturali) che
attraversarono e furono protagonisti (sperarono e disperarono) degli anni '60 e '70 del
secolo scorso? Partendo dal panorama Italiano e per dare voce alla complessità degli
eventi e dei soggetti sociali in campo, prendiamo a riferimento l'importante opera di Primo
242
P. FREIRE, La pedagogia degli oppressi, cit., p. 32.
243
Secondo Marx «la proprietà sociale dei mezzi di produzione è la pietra angolare del regime socio-
economico che [dopo la rivoluzione comunista] subentra al capitalismo». G. GALLI, Storia delle dottrine
politiche, Milano, Mondadori, 2000, p. 238.
244
V. TURNER, Il processo rituale. Struttura e anti-struttura, Brescia, Morcelliana, 1972, pp. 147-148.

127
Moroni e Nanni Balestrini, L'orda d'oro; la grande ondata rivoluzionaria e creativa,
politica ed esistenziale. La cui quarta di copertina recita:

Anni di piombo, corpi separati dello Stato, terrorismo, emergenza, eversione, o al contrario: gli anni più belli
che ci sia stato dato di vivere, rivoluzione, modifica radicale del vissuto quotidiano, utopia, bisogno di
comunismo, lotta armata, rivoluzione sessuale, eccetera eccetera. […] Come raccontare senza appiccicare
definizioni, senza cadere nelle trappole dell'ideologia, senza gratificare l'avversario di sempre con la
costruzione di mappe e geometrie? Forse attraverso frammenti. Dentro i sentieri labili della memoria e
lasciando parlare le differenze. Non una storia quindi, ma un percorso per sollecitare riflessioni, per
sottolineare la felicità e la ricchezza, per aiutare a cercare le ragioni di una lunga primavera di intelligenze245.

Questo per dire che quei due decenni non furono anni cheti, è anche vero che mai nella
storia dell'umanità ce ne furono, ma si può affermare che il periodo storico a cui si fa
riferimento fu eccezionalmente florido a livello mondiale di movimenti sociali improntati
su un riconoscimento collettivo e volti a stravolgere lo stato di cose in una prospettiva
rivoluzionaria, fosse esistenziale, politica, culturale.
Di questo mondo in subbuglio, il teatro non fa eccezione. Vicentini esordisce nella
prefazione al suo testo La teoria del teatro politico in questo modo:

All'inizio degli anni sessanta la questione del teatro politico si è posta, inaspettatamente, al centro del
dibattito teatrale. […]. Gli anni sessanta corrispondono infatti a un momento particolarmente intenso nello
sviluppo della teoria e della pratica teatrale. Sono l'epoca in cui il teatro riesce a recuperare, dopo una lunga
crisi, un'importanza essenziale all'interno della vita culturale e del costume diventando uno dei temi obbligati
della discussione estetica e della pratica artistica246.

Secondo quanto scritto la centralità riacquistata si impernia sul rapporto tra attività teatrale
e lotta politica, interrogando dialetticamente i concetti di funzionalità e/o reciprocità tra
artistico e politico; ma un altro stravolgimento complessivo si andava affermando
determinando la caduta delle barriere tra le diverse forme d'arte ed il passaggio concettuale
dall'opera all'evento, dall'oggetto allo spettacolo; si avverava in tutta la sua forza una
svolta! Infatti:

Nella cultura occidentale dei primi anni sessanta si affermò inequivocabilmente una svolta performativa che
portò non solo a una spinta performativa nelle singole arti, ma anche alla costituzione di un nuovo genere
artistico: la cosiddetta performance art o arte di azione (Aktionkunst). I confini tra le diverse arti divennero
245
N. BALESTRINI, P. MORONI, L' orda d'oro. 1968-1977: la grande ondata rivoluzionaria e creativa,
politica ed esistenziale, Milano, Feltrinelli, 1997.
246
C. VICENTINI, La teoria del teatro politico, cit., p. 1.

128
sempre più fluttuanti, esse tesero sempre più spesso a creare eventi al posto di opere e a concretizzarsi in
spettacoli (Aufführungen)247.

Uno stravolgimento semantico che chiama proprio in causa la dicotomia


produttore/fruitore, laddove con la presenza di un'opera le possibilità per il fruitore era
unicamente di tipo contemplativo ed interpretativo, nella dinamica dell'evento si crea il
campo della possibilità d'interazione tra artista e pubblico, chiamando quest'ultimo a
operare il passaggio dall'interpretativo all'interattivo. Attore/spettatore, artista/pubblico,
agente/fruitore, in questo periodo storico tra politico e performativo avviene un dirompente
scardinamento delle dicotomie; è all'interno di questo fertile agorà – checché ne dica Boal
– che occupa un posto di rilievo il Teatro dell'Oppresso.
Se è insensato presumere che l'autore Brasiliano dovesse essere a conoscenza
dell'effervescenza qualitativa del panorama teatrale e performativo internazionale, è certo
che elevandosi ad unico vero trasformatore rivoluzionario del teatro e solo a riuscire
nell'impresa di sgretolare la barriera che divide attori e non-attori, non da la giusta
importanza e si astrae da quella pluralità polimorfica contaminante che predispone il
terreno culturale per le grandi trasformazioni.
Non solo Boal in Teatro non istituzionalizzabile: teatro invisibile dimostra un eccesso
smisurato di egocentrismo, ma si espone rovinosamente quando critica con scarse
argomentazioni due importanti compagnie che hanno segnato la storia del teatro negli Stati
Uniti e nel mondo: il Living Theater ed il Performance Group. Queste le parole:

Troviamo […] gli spettacoli del Living (Paradise Now) o del Performance Group (Dyonisos in '69) in cui il
rapporto attore-spettatore arriva quasi all'orgasmo sessuale (non è una metafora, si intenda nel senso più
letterale possibile). Esiste sempre tuttavia l'attore-soggetto e lo spettatore-oggetto anche se occasionalmente
ci può essere uno spettatore ribelle che tenta di far valere la sua condizione di soggetto; dopo gli altri
intervengono e torna la calma e la disciplina propria del rito teatrale: ognuno conosce il suo posto248.

7.2 The Performance Group: Dyonisus in '69 e Commune

Certamente sia per il Living Theater con Paradise Now che per il Performance Group con
Dyonisus in '69, la partecipazione del pubblico era diventata programmatica: gli spettatori
venivano incoraggiati ad intervenire ed esortati ad entrare corporalmente in contatto con gli
attori e con gli altri spettatori nel compimento di una ritualità collettiva. Sono di Julian
247
E. FISCHER-LICHTE, Estetica del performativo, cit., p. 33.
248
A. BOAL, Il teatro dell'oppresso, cit., p. 93.

129
Beck, fondatore del Living, le similitudini tra artista e stregone guaritore e l'azione teatrale
come codice divino della vita249.
In questi spettacoli veniva risignificato il rapporto tra attori e pubblico nello spostamento
del significante dalla sfera delle azioni alla loro specifica corporeità e al prorompere
dell'effetto suscitato tra i partecipanti attori e non-attori nelle reazioni fisiche, emozionali
ed energetiche scaturite da questa reciprocità promiscua.
Dionysus in '69 (1968, tratto dalle Baccanti di Euripide) fu la prima produzione del The
Performance Group. La rappresentazione è basata sulla concezione poetica di performance
vissuta come evento e sentita come rituale, distinguendola così dal play (il teatro basato su
una drammaturgia scritta):

We are now returning to an older tradition-performance. This older tradition is political in the widest sense. It
cannot be created outside of a group, a community; and it annot function without direct reference to the
society in which it is embedded. It does not ignore the repertory, but neither does it «express» it. Performance
uses the repertory-as material from which to construct new artworks. The Performance Group is now
working on a production of Euripides' The Bacchae that treats the text as if it were part of an oral tradition250.

In questa prima performance, la volontà di Schechner era quella di stabilire un rapporto tra
soggetti paritetici, ovvero che gli spettatori si sentissero liberi di entrare a far parte della
performance da eguali e secondo un modello democratico: «lasciare le persone libere di
fare […] esattamente quello che facevano gli attori: “prendere parte alla storia”»251.
All'inizio dello spettacolo il pubblico poteva partecipare ai riti per i natali di Dioniso,
successivamente prendere parte al commiato funerario di Penteo così come al conseguente
rituale baccanale fatto di danze. I performer durante la prima esecuzione indossavano
ancora vestiti leggeri che provvederono ad eliminare nelle riprese successive, anche gli
spettatori potevano partecipare solo se nudi252. Scenicamente veniva formato con i corpi
degli attori e delle attrici un tunnel che rappresentava il canale della nascita, utero
249
«Io concepisco il teatro come un codice che secerne messaggi segreti in un mondo gravido di pericoli per
ciascuno dei membri del pubblico, io concepisco il teatro come una serie di dispositivi d'allarme eretti
sulla confluenza della passività installata nelle nostre vene dall'ignoranza e dalle buone intenzioni del
nostro sistema gonfio di errori. Stiamo morendo di medicina ufficiale che non funziona. L'artista è come
lo stregone, il sacro guaritore che danza il codice divino della vita. Chi guarda è ispirato, chi beve è
salvato». È possibile trovare nelle parole di Beck una convergenza tra critica antiautoritaria e
rivolgimento a forme di spiritualità ancestrali che comprendendo il pubblico come soggetto al quale si
rivolge la terapeuticità mistica del rito teatrale ne differenzia qualitativamente le possibilità di adesione:
ispirazione per gli osservatori, salvazioni per i partecipanti. J. BECK, cit. in F. TRASATTI, Lessico
minimo di pedagogia libertaria, Milano, Elèuthera, 2004, p. 162.
250
R. SCHECHNER, The politics of ecstasy, in Public Domain: essays on the theater, New York, Avon,
1969, p. 227.
251
E. FISCHER-LICHTE, Estetica del performativo, cit., p. 72.
252
Determinando una parità di condizione e condizionamento fisico tra gruppo dei performer e pubblico.

130
primigenio e passaggio regolatore della vita e della morte.

All'inizio dello spettacolo l'attore nei panni di Dioniso rinasceva come divinità e veniva sospinto dal ritmico
movimento dei fianchi lungo il “canale della nascita”. Per la morte di Penteo, invece, questo movimento
veniva ripetuto nella direzione opposta. Lo spettacolo terminava con un rito di incorporazione: performer e
spettatori insieme formavano una processione, lasciavano il luogo dello spettacolo – il cosiddetto
Performance Garage – dalla porta spalancata e sfilavano per le strade di New York253.

Seguendo la scrittura di Schechner, egli stesso effettua l'analisi del confronto tra performer
e pubblico come una messa in gioco ed in pericolo al tempo stesso. Scrive di una scena di
Dionysus in '69 nella quale Dioniso offre a Penteo una qualsiasi delle donne presenti nella
sala tra attrici e pubblico, Penteo oppone il suo diniego alla proposta affermando che non
ha bisogno d'aiuto. Dioniso replica di provarci da solo e lascia Penteo da solo in mezzo alla
stanza. «Quasi ogni sera qualche donna va da lui e gli offre aiuto. La scena è recitata
privatamente tra loro e termina con il ritorno della donna al suo posto e Penteo, sconfitto, è
sacrificato»254.
Ma per due volte il paradigma non si svolse in tale modo, seguiamo il racconto dei
protagonisti, William Shephard interpretava Penteo:

The one time the sequence was completed was when Katherine Turner came out into the room. It was a
unique experience […]. I was afraid of what might happen. But when Katherine came to me, in May 1968,
my score for the role was concrete. The confrontation between us was irrational. Her concern for me was not
based on the play, my playing a role, whether or not I was going to die, or any of that. What happened was
that I recognized in one moment that the emotional energy Katherine was spending on me lifted me out of the
play, as though someone had grabbed me by the hair and pulled me up to the ceiling. I looked around and I
saw the garage and the other actors and I said: “It finally happened”. The play fell away, like shackles, being
struck from my hands. The way the play is set up, Pentheus is trapped inside its structure. But on that night it
all seemed to fall away and I walked out the door.255

Queste invece le riflessioni di Joan MacIntosh, che aveva il ruolo di Dioniso:

«One Sunday night when I was playing Dionysus, a woman came out to Bill Shephard and satisfied him. I
went to break it up and get on with the play. Bill said: “I’m sorry, Joan, you lose”. I answered: “Well, what
are you going to do now?” And Bill got up and left the theatre with the woman. I announced that the play was
over: “Ladies and gentlemen, tonight for the first time since the play has been running, Pentheus, a man, has
253
E. FISCHER-LICHTE, Estetica del performativo, cit., p. 73.
254
R. SCHECHNER, La teoria della performance, cit., p. 66.
255
R. SCHECHNER, Dionysus in 69, New York, Farrar, Straus and Giroux, 1970, pp. 116-117.

131
won over Dionysus, the god. The play is over»256.

La sola altra volta in cui la performance non avvenne secondo la partitura fu quando un
gruppo di studenti universitari del Queens College decise di sequestrare Penteo per evitare
che venisse sacrificato. Il fatto avvenne nel Giugno del '69 e l'azione si svolse contro la
volontà di Shepard che rimase ferito nella colluttazione. Molti spettatori sentirono
l'esigenza di proseguire la performance poiché Penteo non era stato tratto in salvo in
maniera genuina, ma attraverso un'imposizione coatta. Shechner fu d'accordo e dal
pubblico si offrì volontario un ragazzo per interpretare il ruolo vacante, egli avendo visto
per ben cinque volte lo spettacolo sapeva come muoversi e interpretò molto bene il
personaggio. Anche se qui non è prevista la sistematica possibilità di circolazione
dell'interpretazione del ruolo attoriale, ne è insita una latente potenzialità che si è espressa
storicamente nell'occasione dei due episodi riportati.
Inoltre, sia nella sfera dell'esplorazione della corporeità, attraverso la nudità come requisito
e il contatto fisicamente tattile tra attori e spettatori257 che nella condivisione del rituale
finale che univa attori e pubblico in una processione, determinando la rottura della
divisione schematica che si discioglie della dimensione comune. La processione partiva dal
luogo della rappresentazione e usciva per le strade della città, immettendo in questo modo
il tempo liminoide della rappresentazione nello spazio-tempo della metropoli, la
performance torna così a far riferimento alla sfera del rituale, dopo aver introdotto lo
spettatore a denudarsi e ad elaborare un rinnovamento soggettuale attraverso la
partecipazione allo spettacolo, lo riaccompagna trasformato nella dimensione dello spazi-
tempo quotidiano.
Inseriamo a questo punto l'importante definizione di loop autopoietico di feedback
formulata da Fischer-Lichte:

Qualsiasi cosa facciano gli attori ha delle ripercussioni sullo spettatore e qualsiasi cosa facciano gli spettatori
ha delle ripercussioni sugli attori e sugli altri spettatori. In questo senso si può affermare che lo spettacolo
viene regolato e prodotto da un loop di feedback autoreferenziale e continuamente in divenire, il cui
andamento non è completamente predeterminato e pianificabile258.
256
Ivi, p. 117.
257
Si determinarono durante le rappresentazioni alcuni problemi: gli spettatori come co-soggetti si presero
spesso libertà tali da degradare il performer a oggetto, le attrici si sentirono in più occasioni violate e il
già citato caso del rapimento di uno dei protagonisti; si evidenziò un paradosso, «l'“emancipazione” degli
spettatori, innalzati a co-soggetti, finiva spesso per causare atti violenti nei confronti dei performer e il
loro asservimento da parte degli spettatori emancipati». Cit. in E. FISCHER-LICHTE, L'estetica del
performativo, p. 74.
258
Ivi, p. 68.

132
Utilizziamo questo concetto259 per dare lettura di un'altra performance del TPG, Commune.
Questo è il terzo spettacolo della compagnia, dopo Dionysus in '69 e Makbeth, nato da un
laboratorio tenuto da Schechner all'Università di New Platz e datato 1970. A differenza dei
precedenti, che per quanto cercassero di dinamizzarne l'espressione erano basati su una
drammaturgia (play), questo spettacolo nasce senza testo, ma utilizza varie fonti: brani di
Moby Dick, della Bibbia, fatti di cronaca come il massacro dei vietnamiti a MyLay,
l'assassinio di Sharon Tate ed altri.
Nell'environment elaborato per Commune è prevista e incentivata la possibilità di spostarsi
e cambiare punto di vista, è spostandosi che lo spettatore scopre il suo atteggiamento
riguardo all'evento osservato. Si è qui ancora in uno stadio osservativo ma dinamizzato e
improntato all'autoformazione contestuale che sottintende la successiva possibilità/richiesta
partecipativa.

Gli spostamenti degli spettatori stimolano un atteggiamento critico e distaccato, perché ognuno è
sufficientemente consapevole da seguire l'azione, scegliersi un posto da cui può vedere bene e decidere quale
deve essere il suo rapporto con il teatro. Abbastanza spesso le persone cambiano posto a metà della scena,
questo […], vuol dire che ogni tipo di pubblico si autoeduca a riconoscere la differenza tra performance e
teatro260.

La scelta su quale deve essere il rapporto dello spettatore con il teatro però non è astraibile
dal contesto. In particolare va considerato che la situazionalità (creare la situazione) degli
spettacoli del TPG sta proprio nell'ampliamento del teatro alla sfera del performativo.
Quindi, al pubblico viene dedicata la possibilità, attraverso il movimento di dislocazione
spaziale, di avvicinarsi gradualmente al riconoscersi ingaggiato all'interno di una dinamica
performativa nella quale ha un ruolo rilevante. Difatti in Commune, nella parte in cui viene
affrontato il drammatico eccidio di My Lai, «uno dei performer (James Griffith) sceglieva
a caso quindici spettatori che dovevano entrare in un cerchio al centro della stanza per
rappresentare gli abitanti»261 del villaggio vietnamita. Per rendere maggiormente
comprensibile la complessità problematica della partecipazione a questa specifica
performance, occorre dire che il massacro di My Lai262 fu un episodio particolarmente

259
Concetto, quello di loop autopoietico dei feedback, già utilizzato più volte nei precedenti capitoli.
260
R. SCHECHNER, La teoria dalla performance, cit., p. 87.
261
E. FSCHER LICHTE, Estetica del performativo, p. 74.
262
William Calley, tenente dell'esercito USA durante la guerra in Vietnam, quarant'anni dopo gli
accadimenti, nel corso di una cerimonia pubblica di commemorazione confessò di essere stato lui stesso
ad ordinare il massacro di My Lai, durante il quale 347 civili - principalmente vecchi, donne, bambini e

133
sconcertante della guerra del Vietnam, la quale a sua volta fu generatrice di profonde
spaccature all'interno della società Statunitense.
In questa guerra combattuta per quindici anni si condensarono un insieme di caratteristiche
che ne determinarono la centralità mediatico-simbolica: la strenua difesa dell'imposizione
coloniale dell'occidente su quello che hai tempi era detto terzo mondo in un momento
storico in cui i movimenti di liberazione nazionale andavano affermandosi sia in Asia che
in Africa; la crucialità del fronte vietnamita in funzione anti-comunista all'interno del
quadro della Guerra fredda e del rivolgersi al modello economico-politico comunista dei
movimenti anti-coloniali in tutto il mondo; la capacità militare di resistenza dell'esercito
vietnamita e la sua caratteristica capacità di determinarsi in quanto struttura fluida
nell'interscambio tra esercito e popolo263, conseguentemente a ciò, l'esercito statunitense
non combatteva solo contro un altro esercito ma contro un'intera popolazione e lavorava
per la sistematica devastazione del territorio in termini ambientali.
Ma questi fattori non bastano a spiegare quanto l'intervento in Vietnam fu dirompente per
la società statunitense, negli Usa degli anni '60 e '70 provocò una vera e propria cesura
sociale e generazionale tra chi supportava e chi si opponeva alla guerra. La tensione era
alta al punto che uno degli slogan che accompagnavano la diserzione di massa e i
movimenti antimilitaristi fu: bring the war home!264, chiamando per la prima volta (come
questione sociale ed etica) direttamente in causa l'opinione pubblica del paese ad
esprimersi sulle scelte di politica estera internazionale del governo.
Tornando a Commune, nella maggioranza dei casi gli spettatori seguivano accortamente le
indicazioni, ma vi erano anche taluni che si opponevano. In questi casi l'attore si toglieva la
camicia per marcare l'interruzione della performance e metteva i renitenti di fronte a
quattro possibilità: la prima prevedeva di seguire le istruzioni, entrare nel cerchio e
procedere con la performance; la seconda di trovare qualcuno in sala disposto a sostituire il
soggetto prescelto per poi riprendere; nella terza si dava la possibilità di rimanere al
neonati – furono «gettati in fosse comuni da parte dei soldati statunitensi dopo aver avuto cura d'incidere
sul loro corpo una “C”: a firmare, con la sigla della divisione, l'operazione». Beneduce dopo aver fatto
notare che il nome del villaggio vietnamita suona in inglese come «la mia menzogna», definisce come per
macabra ironia della storia si sia potuto parlare, nei media e nelle riviste specializzate di psichiatria, della
“coraggiosa” confessione del tenente che per tanti anni aveva dovuto convivere con i rimorsi di
quell'incubo ed al tempo stesso disinteressarsi (nella maggior parte dei casi) del dolore e degli effetti
psichici provocati nella popolazione locale da quella carneficina. Cfr. R. BENEDUCE, Archeologia del
trauma, cit., p. 113.
263
Si rimanda sull'argomento a V. N. GIAP, Guerra del popolo, esercito del popolo, Milano, Feltrinelli,
1977.
264
Si veda a proposito del gruppo dei Weathermen che applico radicalmente questa parola d'ordine, attuando
azioni di guerriglia all'interno degli Stati Uniti: H. JACOBS (a cura di), Weathermen, i fuorilegge
d'America, Milano, Feltrinelli, 1973; M. RUDD, Underground: My life with SDS and Weathermen, New
York, W. Morrow, 2009.

134
proprio posto ma ciò provocava una situazione di stallo; la quarta possibilità era quella di
andarsene, con l'uscita di scena dell'oppositore che avrebbe decretato la continuazione
dello spettacolo. Dunque agli spettatori venivano offerte queste alternative che:

finivano per farne in ogni caso degli attori, dal momento che anche chi rimaneva immobile finiva per essere
responsabile dell'interruzione dello spettacolo. L'alternativa scelta dallo spettatore, e cioè quella di continuare
a osservare in qualità di spettatore le azioni compiute dai performer senza esporsi personalmente, gli veniva
infatti preclusa. Si formava così una situazione nella quale le posizioni di soggetto e oggetto non si
distinguevano più con chiarezza265.

Si pone qui una questione impositiva: chi vuole imporre con la forza la sua volontà e
contro chi? Il TPG che nella performance vuole costringere lo spettatore a vestire parti
attoriali, o lo spettatore che rifiutando la partecipazione attiva determina l'interruzione
dello spettacolo ed implicitamente o esplicitamente ne richiede la continuazione
contraddicendo il progetto performativo degli artisti?
Richiamiamo qui il passaggio in cui Boal parlando della trasformazione di ruolo dello
spettatore in attore, prevede anche il conseguente scambio di ruolo che avviene tra questi, e
dunque la trasformazione a sua volta dell'attore in spettatore: «anche lui [lo spettatore]
deve essere soggetto, attore, deve sentirsi pari agli altri [gli attori], che diventano a loro
volta spettatori»266.
Oltre al diritto dello spettatore all'espressione, vi è dunque anche il diritto dell'attore
all'osservazione, nell'inversione dinamica dei ruoli interni allo spettacolo performativo.
Soggetto di diritto e oggetto al diritto, due facce della stessa medaglia. In condizioni di
opposizione le facce sono irriducibili l'una all'altra, se una guarda il cielo l'altra è
schiacciata a terra, e viceversa. La ricerca di un punto di equilibrio che preveda per
entrambe l'esposizione alla luce del sole è un'ipotesi empirica che può sperimentarsi
unicamente a condizione di una forte dinamica, si pensi alla moneta che colpita in maniera
secca comincia a girare e volteggiare velocemente su un estemporaneo punto, come si
approssima la condizione statica, inevitabilmente la situazione alternativa
esposizione/imposizione viene a ricrearsi, e la medaglia crolla su una delle due parti.
Nel caso di Commune, ognuno dei partecipanti (attori e spettatori) rivendicava per sé la
condizione di soggetto, cercando di imporre all'altro la posizione di oggetto. Ma se durante
le tre ore di contrattazione raccontate da Schechner nei dettagli, grazie alle annotazioni da

265
E. FISCHER-LICHTE, Estetica del performativo, cit., p. 74.
266
A. BOAL, Il teatro degli oppressi, cit., p. 47.

135
cartografo del suo diario, il teatro si era fermato, l'evento performativo che lo avvolge
continuava. In questo senso ha ragione Fischer-Lichte quando afferma che si tratta di un
proseguimento dello spettacolo in un'altra forma. Particolarmente interessanti sono i
termini di metacommento sul funzionamento del loop autopoietico di feedback e
l'imprevedibilità dello svolgimento performativo determinata dall'inversione di ruolo.
L'interesse particolare risiede nell'esposizione della contraddizione performativa, infatti:

con il loro rifiuto [gli spettatori] compirono proprio ciò che si rifiutavano di fare. Furono proprio loro a
provocare una discussione, parteciparono attivamente alla negoziazione dei rapporti e fu in quanto attori che
essi insistettero nel voler partecipare da spettatori allo spettacolo. Nel processo di negoziazione, inoltre,
anche alcuni performer rivendicarono, in virtù del principio di uguaglianza, il diritto di chiedere ad altri
spettatori di prendere il loro posto nello spettacolo ed essere essi stessi liberi di lasciare quel luogo. Due di
loro [attori] trovarono degli spettatori disposti a farlo, ma solo con riserva, perché non conoscevano né i
“ruoli” da interpretare, né il prosieguo dello spettacolo. In questo modo le situazioni imprevedibili venivano
moltiplicate ulteriormente267.

Più o meno consapevoli dell'essere diventati attori loro malgrado, dopo tre ore di
negoziazione, tre degli spettatori che si erano rifiutati di cambiare di ruolo entrando nel
cerchio di My Lai decisero di lasciare la sala ed il quarto, decise al fine di prenderne parte
e partecipare, forse spinto anche dall'adesione già avvenuta della sua compagna al cerchio.
Considerato l'insieme degli elementi presi in analisi, in cui la rottura della dicotomia
attore/spettatore trova espressione in forme e contenuti pregnanti ed in evoluzione
(arricchendosi nel corso delle diverse produzioni), termino questa parziale trattazione
dell'opera del The Performance Group sintetizzando l'evidenza dell'allargamento di
prospettive praticata nelle performance teatrali con le parole di Schechner, nelle quali si
denota come l'azione della compagnia:

dinamizzava non soltanto il rapporto dicotomico tra soggetto e oggetto, ma anche quello tra evento artistico-
teatrale ed evento sociale e rendeva esperibile da tutti i partecipanti il fatto che uno spettacolo rappresenta
sempre un evento sociale: in esso si tratta sempre, per quanto celatamente ciò possa avvenire, di una
negoziazione o della definizione di posizioni e relazioni, e quindi di rapporti di forza. Nello spettacolo

l'estetico, il sociale e il politico sono indissolubilmente connessi tra loro268.

Proprio per questo non solo si ritiene poco appropriato e ingeneroso il giudizio di Boal sul

267
E. FISCHER-LICHTE, Estetica del performativo, cit., p. 75.
268
Ivi, pp.76-77.

136
TPG, ma se ne vede anche la manchevolezza (o forse l'incapacità) di una volontà di
confronto dialettico con altre realtà teatrali sperimentali dell'epoca. Ci si interroga se
questa mancanza non sia dovuta a una troppo stretta adesione all'utilizzo del paradigma
marxista per l'interpretazione della realtà o se invece non sia dovuta alla carenza di
informazioni qualitative sugli altrui percorsi.

7.3 Teatro-Guerriglia: San Francisco Mime Troupe

Vediamo ora, sempre tenendo come bussola orientativa la rottura della dicotomia
attori/spettatori nella pratica teatrale e la sfera del politico che si intreccia al discorso
estetico-artistico, l'origine dell'esperienza del teatro-guerriglia che comincia a muovere i
suoi passi negli anni '60 negli USA, proprio mentre Boal in Brasile è impegnato con le
rappresentazioni politicamente schierate e sperimentalmente orientate del Teatro Arena.
Come abbiamo già detto, gli anni Sessanta e Settanta furono attraversati globalmente da
movimenti politici progressisti e rivoluzionari, alla ricerca di forme espressive nuove e
pronti a supportare le realtà che esprimevano il proprio impegno attraverso l'attivismo
artistico, come il teatro politico. Guardando agli Stati Uniti:

In 1959, […] the San Francisco Mime Troupe was created in the wake of the free speech movement in
Berkley. In 1965 Luis Valdez founded El Teatro Campesino to support the Chicano farworkers' struggle. In
1963 John O'Neal and Gil Moses created the Free Southern Theater as a cultural wing to the civil rights
movement. The Bread and Puppet Theatre, begun by Peter Schumann in 1961, reached national attention in
the mid-1960s as the unofficial mascot of nearly every major anti-Vietnam War march in the east. It's All
RIGHT to BE Woman Theatre was one of the first all women's companies in the early 1970s, reflecting the
vigorous feminist mouvement building momentum around the country269.

Queste esperienze rappresentano una parte della galassia di realtà che trasformarono
pratiche di teatro di strada in forme di attivismo politico e partecipazione comunitaria;
visto il numero e la ricchezza di queste esperienze contemporanee all'azione di Boal non ci
si può che chiedere come sia stato possibile un distanziamento così netto. Perché non
sentirsi alleati comuni di una lotta che intersecando arte e politica poteva vederli parti
compartecipi nella stessa comunità d'intenti. Riferendosi ai gruppi attivi negli USA, David
S. George, nel suo articolo Theatre of the Oppressed and Teatro Arena: In and Out of
Context, critica duramente Boal per la sua continua ed animata negazione dell'utilizzo di
269
M. SCHUTZMAN e J. COHEN-CRUZ, Playing Boal, cit., p. 110.

137
modelli provenienti dagli Stati Uniti. George afferma che non solo non ci sia un
riconoscimento delle esperienze Nordamericane di teatro politico sperimentale da parte di
Boal, ma dice anche che esse vengono indifferenziatamente e aproblematicamente
accomunate al teatro tradizionale e definite imperialiste270 tout court.
Si prendono qui in analisi tra i differenti gruppi di teatro politico dei 60s Statunitensi, la
San Francisco Mime Troupe (da ora possibilmente SFMT) e originati da una sua costola, i
Diggers.
Questa scelta è dovuta a tre motivazioni: la prima di tipo anagrafico, essendo stato fondato
nel '59, il SFMT risulta precursore rispetto all'ondata di teatro politico d'avanguardia del
decennio successivo; la seconda di ordine teorico-pratico, il Mime è il primo gruppo a
definirsi di teatro-guerriglia e ad elaborarne una teoria e una pratica coerente, proseguita
ed ampliata dai Diggers; la terza motivazione riguarda il riposizionamento dei soggetti
coinvolti nella rappresentazione di cui i due gruppi sono interpreti. In questo ultimo campo
tra i due gruppi avviene un vero e proprio scontro: con il Mime che prevede il
mantenimento del come se teatrale in quanto elemento irrinunciabile e i Diggers che
propongono il disciogliersi di quello stesso come se nella fusione tra arte rappresentativa,
protesta e vita.
Il San Francisco Mime Troupe venne fondato nel 1959 come emanazione del progetto
sperimentale Actors' Workshop di Irving e Blau. Il primo utilizzo del concetto di «azione di
guerriglia», ispirato dalle strategie militari e dalla vittoria dell'Ejército Rebelde271 dei
rivoluzionari cubani sulla dittatura di Batista proprio all'inizio dello stesso anno di
fondazione del gruppo (1 Gennaio 1959), in campo teatrale è datato dicembre 1963. Sul
manifesto che annuncia la messa in scena dello spettacolo Ubu Roi in una chiesa
abbandonata, si legge: «il teatro [...] è guerra di guerriglia. Ogni spettacolo è un'incursione
notturna, in cui bisogna attaccare, ingaggiare il combattimento e fuggire»272.
L'articolo che sviluppa l'analogia tra teatro e guerriglia e ne descrive la pratica, intitolato
appunto Guerrilla Theatre, è firmato da Ron Davis, fondatore del gruppo, e pubblicato
sulla «Tulane Drama Rewiew» nel 1964. Nell'articolo si legge: «I modi, le aspirazioni, la
pratica del teatro negli Stati Uniti devono essere riadattati allo scopo di : insegnare,

270
La citazione esatta è, «regarding various theatrical forms of community involvement […] “imperialist”
models are heatedly denied», in D. S. GEORGE, Theatre of the Oppressed and Teatro Arena: In and Out
of Context, Latin, University of Kansas, «Latin America Theatre Rewiew», Spring 1995, p. 43.
271
Cfr. E. CHE GUEVARA, La guerra rivoluzionaria, Opere, a cura di C. VARELA, vol. I, Milano,
Feltrinelli, 1968.
272
Il manifesto è riportato in R. DAVIS, The San Francisco Mime Troupe: The First Ten Years, Palo Alto,
Rampart Press, 1975, p. 26; cit. in C. VICENTINI, La teoria del teatro politico, cit., p. 126.

138
dirigere verso il cambiamento, essere un esempio di cambiamento»273; e prosegue

La critica, la discussione, la presa di posizione su problemi sociali vengono ammesse solo finché si rimane
del tutto inefficaci... La nostra esperienza nel trattare con la polizia e con la commissione dei parchi ci ha
insegnato che quando il nostro commento sociale è stato chiaro e diretto e non confuso dall'“arte” o offuscato
della “distanza estetica” abbiamo avuto problemi, arresti vessazioni, perdita di entrate274.

In questa fase il SFMT prevede un intervento che sia indicatore di controcondotte radicali e
trasformative, ma è già ben evidente che la censura e la repressione sono pronte ad
intervenire non appena si varchi la soglia dello sterile dissenso passivo funzionale al
mantenimento dell'ordine. Sono difatti già arrivate le prime attenzioni della forza pubblica
in tale direzione, è nel 1963 che «the city's Recreation and Park Commission denied the
Troupe a permit to perform, on grounds of "obscenity"»275, in cui l'impiego della categoria
morale di oscenità, concettualmente arbitraria di per sé, è pienamente funzionale al
discorso disciplinare.
E se si trovano similitudini – tra Boal e l'SFMT – localmente declinate nelle strategie di
resistenza, anche se hanno difficoltà a riconoscersi e relazionarsi, sicuramente ve ne sono a
livello di modalità repressive subite. Quando Boal parla di teatro a contenuto esplicito,
sostiene che in genere interviene la censura:

A São Paulo rappresentammo una Feria Paulista di Opinión […]. Lo spettacolo si trasformò in un vero e
proprio processo al governo locale. Naturalmente fu proibito dalla censura, ma avevamo ancora la possibilità
di ricorrere ai tribunali [ciò sarebbe divenuto impossibile durante la dittatura], che alla fine autorizzarono lo
spettacolo. […]. Un'opera raccontava il caso di un pescatore che fu arrestato perché era l'unico in quella
spiaggia che sapeva leggere, ragione per cui le autorità non si fidavano assolutamente di lui; […] oppure si
rappresentava un collage di testi di Fidel Castro e di Che Guevara, sulla guerra di guerriglia. Come si può
immaginare, questo tipo di teatro è possibile solamente in momenti di particolare liberalismo276.

Da parte sia di Boal che di Davis vi è la consapevolezza dell'azione di controllo del potere
dominante, dell'utilizzo di dispositivi inibitori quali quello della censura, della possibilità
di appellarsi al diritto e di ottenerne i risultati di garanzia. Ma è anche chiaro agli autori che
le possibilità di appello alle istituzioni è garantito solo nei momenti in cui ciò è tollerabile
per il sistema di governo, che molto in fretta può volgersi alla totale chiusura di qualsiasi

273
R. DAVIS, The San Francisco, cit. p. 149; cit. in Ivi, p. 127.
274
Ibidem.
275
Dal sito ufficiale del San Francisco Mime Troupe, www.sfmt.org/company/history.php
276
A. BOAL, Il Teatro degli oppressi, cit., p. 60.

139
apparenza democratica, decretando il termine dello stato di diritto per instaurare
autoritariamente lo stato di dittatura.
Il sito del SFMT da informazione che l'appello portato in tribunale, contro la negazione di
poter inscenare le performance nei parchi pubblici della città, decretò il diritto di
rappresentazione senza censura277; ma questo avvenne dopo che Davis (arrestato in questa
occasione) e l'intero gruppo rispondessero pubblicamente al divieto, denunciandone il
carattere pretestuoso e di violazione della loro libertà d'espressione e affermando
l'imperturbabile idea che le loro pratiche non sarebbero state interrotte da quel tentativo di
normalizzazione, le parole di sfida dell'SFMT furono «we'll see you in the park and we'll
see you in court».

The controversy was simultaneously a farce about civil authorities policing public morality and a publicity
stunt in one act crafted out of Davis's principled chutzpa and Bill Graham's promotional savvy. A small
crowd of free-speech proponents and curious onlookers turned out to see the show. When one of the
commissioners tried to prevent the Troupe from erecting its stage, Davis maneuvered in front of the milling
audience and announced: "Ladieeeees and Gentlemen, Il Troupo di Mimo di San Francisco Presents for your
enjoyment this afternoon ... AN ARREST!!!" And with these words he flung himself into the upraised arms
of the police. "The job of the artist in politics is to take leaps the politicos never take," Davis afterward wryly
observed278.

Altro punto di contatto tra Teatro Arena e SFMT è la condivisione della guerra di guerriglia
cubana come riferimento simbolico e ideologico: per l'Arena è anche argomento narrativo
da rappresentare in scena, per anche un'indicazione strategica, per l'SFMT è indicazione
strategica da riportare nella predisposizione operativa della pratica teatrale oltre che come
contenuto rivoluzionario.
Seguendo questa interpretazione, per Davis l'azione teatrale deve scegliere i propri terreni
di battaglia senza lasciarsi impantanare su questioni sbagliate, la compagnia deve costituire
un gruppo indipendente d'azione, preparato e versatile, pronto a produrre spettacoli con
pochi mezzi e senza dipendere in alcun modo dalle istituzioni. Il TG deve corrispondere
alle caratteristiche di mobilità e flessibilità.
A proposito del pubblico e dell'interazione con il contesto ambientale il teatro-guerriglia
prevede:
277
Il sito www.sfmt.org dà avviso inoltre che «The SFMT has opened a new show in the parks every
summer since».
278
Cit. dal sito Diggers archives, http://www.diggers.org/guerrilla_theater.htm#N_12_ M. W. DOYLE,
Staging the Revolution: Guerrilla Theater as a Countercultural Practice, 1965-1968, New York:
Routledge, 2002.

140
Vai dove va la gente – angoli di strada, aree inutilizzate, parchi. Sistema un palcoscenico portatile... Tutto
l'equipaggiamento deve essere portatile […]. La durata dello spettacolo sotto l'ora, bisogna muoversi con
agilità ed adattarsi con facilità agli incidenti, cani, campane, bambini. Improvvisa sugli errori, sui rumori che
capitano per coincidenza come le sirene della polizia durante una scena di inseguimento279.

L'improvvisazione assume due funzioni precise: in primo luogo richiede la prontezza di


un'inventiva guizzante all'attore che coglie dall'intorno elementi scenici e occasioni
propizie, rielaborando simultaneamente con i compagni la condizione di coproduzione
scenica simultanea liberata da script e drammaturgia; in secondo luogo serve a mantenere
interessato il pubblico occasionale al quale si propongono gli spettacoli
estemporaneamente allestiti senza preavviso, il modo migliore è coinvolgere almeno
verbalmente lo spettatore nell'azione, con un interazione diretta, improvvisata e che sappia
convocare le spinose questioni d'attualità.
In questo modo lo spettacolo dell'SFMT assume come proprio cardine l'interscambio tra
l'azione scenica e la situazione quotidiana. Inoltre rappresentava una soluzione produttiva
radicalmente diversa da quelle del teatro ufficiale: gli spettacoli erano estremamente
economici, erano mobili ed adattabili per colpire nei luoghi pubblici ritenuti più
interessanti, erano pubblici nel senso lato del termine e gratuiti. Chiunque poteva disporne
senza timore d'esclusione e si determinava in questo modo un teatro libero da ogni
pressione commerciale e dalle preoccupazioni di assicurarsi la benevolenza delle
istituzioni, senza dover sottostare così a fattori di imbonimento delle forme e dei contenuti.
Altro elemento di novità: l'SFMT, al di fuori di qualsiasi rappresentazione di compatibilità
con la società dominante, fa apologia dei soggetti della devianza sociale e delle potenzialità
creative in essi inscritte, fa ciò compromettendosi in prima linea, nel rivendicarsi, esso
stesso, eccentrico tra gli eccentrici e deviante con i devianti. «Personalmente – dice Davis
– mi piace lavorare con i folli, con quelli che hanno disturbi mentali, i violenti, i cattolici
apostati, gli ebrei non-ebrei. Come tipi, come persone, esplodono, e fanno ciò che un attore
ben addestrato ma vuoto, non può fare mai: creare»280.
Come non rilevare in queste parole d'impiego nell'espressione teatrale della saldatura tra
attivismo politico e coinvolgimento creativo dei soggetti devianti le premesse per lo
sviluppo della cultura di un teatro sociale orientato all'azione con le minoranze e le sacche

279
R. DAVIS, The San Francisco Mime Troupe: The First Ten Years, Palo Alto, Rampart Press, 1975, p.
152.
280
C. VICENTINI, La teoria del teatro politico, cit., pp. 133-4.

141
di marginalità presenti nella società. Infatti qui si manifesta quell'interesse per l'alterità
(riconoscendosene partecipi) che molti anni dopo darà vita al movimento, o probabilmente
è meglio dire alla galassia, del teatro sociale. Davis mette in luce la possibilità creativa
deflagrante dei soggetti detti devianti, più avanti se ne metterà in luce la possibilità di
espressività curante nella dimensione della terapeuticità e dell'empowerment. A questo
proposito Cascetta dice:

Il teatro è […] il luogo delle relazioni. Un ottimo strumento diagnostico per capire le dinamiche di gruppo e
il tipo di comunicazione e di problemi che ognuno ha con gli altri. Essendo un luogo in cui si costruiscono e
si scoprono le relazioni è anche terapeutico e socializzante per sua natura. Nello spazio protetto del teatro si
rinnovano i riti quotidiani e nascono idee e progetti per il cambiamento non solo dell'individuo, ma della
stessa società. Il dramma porta sempre a miglioramenti negli ambienti in cui opera281.

E se il teatro sperimentale del SFMT è un fenomeno estraneo ai modi e alle regole della
società costituita, inizialmente gli spettacoli sono privi di connotazioni esplicitamente
politica, la carica di radicalità sta nella messa in pratica dell'azione scenica. In termini di
contenuto, nei primi tempi il gruppo era interessato solo alla sperimentazione teatrale, ma
la scelta anticonvenzionale e l'immersione nelle spinte controculturali dell'epoca erano
destinate ad imprimere un preciso carattere politico alla loro pratica.
Del 1964 è la messa in scena del Tartuffe di Molière, la produzione non conteneva alcun
messaggio politico esplicito immediato. Arthur Holden, membro del gruppo dal 1962, dice
a riguardo: «eravamo consapevoli che la commedia aveva un carattere politico ed aveva
avuto ripercussioni politiche in Francia nel XVII secolo. Ma non eravamo consapevoli
delle possibilità di applicare il messaggio politico dell'opera al nostro tempo»282 .
È interessante constatare che la produzione O Tartufo di Molière del Teatro Arena è dello
stesso anno, il 1964. Questo fu il periodo per il Teatro di San Paolo – chiamato da Boal –
de la nazionalizzazione dei classici, oltre a Molière furono rappresentati La Mandragola di
Niccolò Macchiavelli, El novicio di Martins Penna, El mejor alcalde, el Rey di Lope de
Vega e L'ispettore generale di Gogol.
Il processo di nazionalizzazione (rendere caratterizzata contestualmente alla società
brasiliana degli anni Sessanta opere di teatro considerate universali) avveniva tenendo
conto degli obiettivi sociali del momento, di conseguenza alcuni testi dovettero essere
modificati strutturalmente nell'adattamento. Ma questo non accade per Tartufo che viene

281
A. CASCETTA, Elementi di drammaturgia, cit., pp. 23-30.
282
C. VICENTINI, La teoria del teatro politico, cit., p. 135.

142
messo in scena senza modifiche, intatto, «senza l'alterazione di un solo alessandrino»283
dalla versione originale. L'autore francese evidenzia l'ipocrisia religiosa dei tartufi, che si
richiamano all'immagine di Dio per comminare i loro giudizi di valore, nel nome della
morale borghese e della triade autoritaria: Ecclesia, Patria, Patriarcato. Tartufo smaschera
profondamente il meccanismo che consiste nel trasformare Dio in un alleato funzionale
alla preservazione di un sistema ingiusto piuttosto che attribuirgli la posizione che gli
spetterebbe idealmente di giudice super partes. Boal dice:

Non era necessario aggiungere né togliere nulla al testo originale neppure considerando il fatto che lo stesso
Molière, per evitare censure tartufesche, si era visto obbligato a fare, alla fine dell'opera, un immenso elogio
dal governo: bastava dire il testo in assoluta semplicità perché il pubblico ridesse: l'opera era così
nazionalizzata284.

La conoscenza dell'opera ne denota la forza e constata che la dissimulazione della critica


attraverso l'elogio governativo si autoevidenzia in quanto grottesca parodia e non fa altro
che rinforzarne il messaggio. Ritornando al SFMT, seppur il messaggio politico esplicito
non fosse ancora la preoccupazione immediata del gruppo, nel programma che annunciava
il loro adattamento del Tartuffe, si leggeva:

La San Francisco Mime Troupe ha recitato e provocato nella Bay Area e in tutta la California per cinque
anni. Il nostro scopo è intrattenere, ma anche provocare... La domanda ormai non è più: «da quale parte
state?» ma «fino a che punto accetteremo il ruolo di vittime»285.

Il senso di questo proclama sta nel riconoscersi parte oppressa, non più disposta a subire e
a soccombere nel vittimismo, ma su riconoscimento consapevole della condizione di
subalternità fondare la propria espressione e provocazione, in quanto devianti in una
società altamente repressiva, come antistruttura creativa, nei rapporti di cooperazione e
nella libertà d'espressione porre la testimonianza più autentica di un'alternativa possibile al
sistema, una spina nel fianco con la quale fare i conti.
Così alla metà del decennio, mentre il movimento per i diritti civili, quello per la libertà
d'espressione e l'opposizione alla guerra si incontravano in una definizione di movimento
più allargato, per la Mime Troupe avviene la svolta contenutistica all'esplicito politico. Nel
1965 Davis, Landau e Serrano, diedero origine all'idea per quello che sarebbe diventato lo
283
A. BOAL, Il teatro degli oppressi, cit., p. 134
284
Ibidem.
285
C. VICENTINI, La teoria del teatro politico, cit., p. 135.

143
spettacolo più controverso della produzione del Mime: A Minstrel Show, or Civil Rights in
a Cracker Barrel. Alternativamente sottotitolato Jim Crow a Go-Go.

Lo spettacolo consisteva in una serie di sketch performati da un cast misto di attori bianchi
e neri, tutti i personaggi avevano il volto pitturato di nero, tranne uno, il bianco
eterosessuale detto l'interlocutore. Gli attori auto-designati neri erano agghindati in
costumi di raso bianco avorio e blu, con guanti di cotone bianco e parrucche dai corti
capelli corvini. Il pubblico preso dalla perplessità trovava difficile discernere le vere
caratteristiche somatiche (se fossero neri o bianchi) dei sei performer mascherati,
trasponendo sugli attori un'indifferenziazione turbolenta che provocava inquietudine negli
spettatori. Peter Coyote, veterano dell'SFMT attribuisce il successo dello spettacolo al fatto
che offrisse «a rare cultural epiphany perfectly in synch with the historical moment». The
Minstrel Show apparì in un momento nel quale «the civil rights movement and the
emerging black consciousness fused with a social upheaval in the nation's youth to make
society appear suddenly permeable and open to both self-investigation and change»286.

Davis sperava di affilare la radicalità della sua produzione aggiungendo alla politicità della
forma quella del contenuto. Per questo fine sollecitò i locali attivisti per i diritti civili a
partecipare alle audizioni per scegliere gli attori, sostenendo che se avesse potuto trovare
soggetti che possedevano sia una sensibilità politica progressista che del talento artistico,
avrebbero potuto perfezionare le competenze attoriali durante le prove, l'esperienza
nell'attivismo veniva così considerata indispensabile per far emergere le questioni che il
SFMT aveva elaborato nello spettacolo: esporre il radicamento naturalizzato del
pregiudizio nella società contemporanea.

Con The American minstrel avviene il tentativo di sovvertire gli stereotipi razzisti,
continuando l'operato svolto dal Mime con la commedia, adattare una forma teatrale
popolare per esplorare una serie di problematiche oppressive della società attuale, ma
selezionando in questo caso il materiale dalla storica del discorso di dominio razzista
Statunitense. Nessuna questione era considerata offlimits: le relazioni sessuali interrazziali,
il mito della potenza maschile del maschio afro-americano, i conflitti di casse all'interno
della comunità nera; tutti questi elementi venivano drammatizzati e criticati. In uno sketch,
per esempio, veniva rappresentato il marines nero che uccideva i musi gialli in Vietnam
agli ordini di un'impresa imperialista. Per assicurarsi che lo spettacolo colpisse con le sue
frecciate satiriche gli obiettivi voluti, membri dei gruppi locali delle organizzazioni SNCC
286
P. COYOTE, Sleeping Where I Fall; A Chronicle, Washington D.C, Counterpoint Press, 1998, pp. 39-41.

144
e CORE287 vennero invitati a partecipare al processo di sviluppo della messa in scena,
ponendo critiche costruttive e suggerendo modifiche. The Minstrel Show attrasse
l'attenzione a livello nazionale e diventò la prima produzione dell'SFMT ad essere replicata
in tutto il paese nel tour del 1966.

Nello stesso periodo la compagnia cercò altri modi di stringere relazioni tra le avanguardie
artistiche e i movimenti radicali della Bay Area. La Mime Troupe rese utilizzabili gli spazi
del suo studio affittato per il progetto della New School, la prima esperienza di libera
università nata dal movimento di Berkley. Davis stesso ne era membro e vi tenne un corso
su arte e politica nella sessione estiva del '64. Quando la SFMT si trasferì l'estate
successiva, predispose nella propria sede un ufficio per l'SDS e successivamente gli spazi
vennero condivisi con il San Francisco Newsreel, un collettivo di filmmakers radicali.
Questa connubio tra artisti ed attivisti politici, facilitato dal Mime Troupe, permise il
dialogo e la cooperazione tra cultura sperimentale e attivismo politico nella zona di San
Francisco, senza che le loro strade si biforcassero come avvenne invece in molti altri
luoghi288.

7.4 L'azione diretta nonviolenta come strategia politica

È con l'affermarsi dell'attivismo politico della nuova sinistra, nelle tensioni sociali delle
rivolte studentesche e delle lotte afroamericane che i movimenti elaborano come una delle
possibili strategie l'azione diretta nonviolenta.
Questa tattica si pone su un piano di azione pratica e non solo di denuncia di uno specifico
oppressivo, poiché si rende evidente che dimostrazioni di massa e contro-informazione non
bastano a far avanzare le istanze democratiche di base. È del 1962 la dichiarazione di Port
Huron, importante manifesto della nuova sinistra, nella quale gli Students for a Democratic
Society (SDS) oltre ad attaccare i caratteri militaristi, razzisti ed imperialisti del sistema
economico-politico USA, ne criticano anche l'apparato istituzionale, impermeabile al
cambiamento e resistente a qualsiasi trasformazione, denunciandolo pubblicamente come
armatura subdola del mantenimento dello status quo.
Non sono solo alcuni gruppi di teatro sperimentale ad ispirarsi alla guerriglia, l'ampia
circolazione degli scritti di Guevara e la necessità di attuare degli interventi che portassero
a dei risultati concreti, spinge il passaggio dall'azione prettamente dimostrativa a pratiche
287
Due organizzazioni dell'attivismo radicale di base attive negli Stati Uniti dagli anni Sessanta.
288
Cfr. M. W. DOYLE, Staging the Revolution, cit.

145
che influenzino direttamente lo svolgersi della realtà attraverso l'esercizio di una forte
pressione.
In questa direzione vanno gli shop-in, durante i quali gli studenti riempiono al massimo
della capienza i carrelli dei supermercati, li scaricano alla cassa ed invece di attendere il
calcolo della spesa e riempire normalmente le proprie buste da portare a casa, se ne vanno
abbandonando la merce e lasciando i cassieri sbigottiti a risistemare il tutto. Questo tipo di
azione veniva impartita a quei negozi che attuavano una politica di discriminazione
razziale nell'assunzione del personale. Dopo dieci giorni di shop-in i supermercati sono
costretti a cedere di fronte all'impatto del caos e del blocco produttivo generato dalle
azioni. La riflessione dei movimenti segue questo ragionamento:

I militanti della nuova sinistra sono ormai convinti che non è possibile trasformare l'organizzazione sociale
degli Stati Uniti mantenendo la lotta all'interno dei canali istituzionale. Sembra perciò indispensabile che la
loro azione assuma i modi della guerra di guerriglia. Tuttavia negli Stati Uniti il potere continua ad essere
conferito al governo attraverso una consultazione popolare e permangono gli spazi stabiliti dalla costituzione
per la protesta e l'opposizione politica. Di qui la possibilità di mantenere la guerriglia – secondo i principi
ispiratori della nuova sinistra – nella forma di una lotta incruenta289.

L'attività di guerriglia dell'azione diretta nonviolenta e l'attività di guerriglia dell'SFMT


hanno come denominatore comune il rapporto tra situazione quotidiana, intervento pratico
e testimonianza morale. Ma mentre l'azione diretta della nuova sinistra ha il preciso scopo
di intervenire praticamente per porre termine a una situazione di oppressione, il teatro-
guerriglia del Mime s'inserisce in una situazione quotidiana, effettuando una
rappresentazione che ha i caratteri di testimonianza e proposta, senza aver intenzione di
modificarne direttamente i caratteri politici. Il teatro-guerriglia permane in una posizione
pedagogica d'indicazione, nella sperimentazione artistica e nel rappresentare l'esempio di
cambiamento, ma non si pone in quanto mezzo di pressione in specifiche azioni dirette.
L'autenticità del discorso del SFMT è retto dall'adesione del gruppo ad un sistema morale
composto di creatività, gratuità, solidarietà e cooperazione.
L'efficacia pratica del teatro è indiretta. L'azione politica pragmatica che produce
cambiamento si svolge altrove, successivamente all'indicazione teatrale. Il teatro si
mantiene separato dal reale, legato al come se della dimensione rappresentazionale, pur
essendo attivatore di trasformazione democratica in tutto ciò che la permette e la prepara.

289
C. VICENTINI, Teoria del teatro politico, cit., p. 145.

146
7.5 Teatro-Guerriglia : The Diggers

Davis, in quanto teorico della Mime Troupe, rimarrà sempre ancorato all'idea pedagogica
del teatro-guerriglia, mantenendo rigorosamente separato lo spettacolo teatrale dalla realtà
quotidiana, facendo una scelta di non contaminazione delle due dimensioni. Secondo
quest'interpretazione: il teatro può criticare, indicare, istruire, può creare connessioni
culturali, permettere sperimentazioni di ruolo; ma non è il caso che agisca nella realtà,
confondendosi con essa.
L'obiettivo per l'SFMT resta: presentare ad una comunità di persone una rappresentazione
«che esprima ciò che tutti (come comunità) conoscono, ma che nessuno dice», agendo da
esibitore e valorizzatore dei patrimoni collettivi; che trasmetta informazione e provochi le
persone ad agire.
Ma la consapevolezza non porta al cambiamento di per sé e l'azione non porta al
conseguimento di consapevolezza di per sé; la filosofia politica del SFMT è quella di
fornire coscienza e dare indicazioni pratiche, la scelta di passare all'azione è lasciata ai
soggetti e non perpetrata nella commistione tra rappresentazione ed azione. In questo modo
si lascia alla sfera della scelta personale, l'elaborazione del convincimento e l'incaricarsi
della responsabilità individuale del fare. In questo il discorso di Davis è molto coerente
secondo il suo concetto di responsabilità. Problematica è la validità pedagogica del Mime
in termini di liberazione, considerando l'emergere di parole come: «il nostro lavoro è
intrattenere gli spettatori abbastanza a lungo perché ascoltino le nostre istruzioni sul
mondo»290. Anche qui, come nel primo Boal, si aggira lo spettro dell'imposizione di una
visione del mondo calata dall'alto del teatro sui soggetti sociali, sull'altro, sul popolo.
Sul bisogno di fondere la rappresentazione teatrale con l'azione diretta nella vitalità del
reale si basa proprio la rottura del gruppo dei Diggers che avviene attraverso lo
sganciamento di una ventina di membri dal SFMT. Il Mime basa la sua pratica positiva
sull'interscambio fra teatro-guerriglia e realtà quotidiana nelle strade e nei parchi della
città, Peter Berg, teorico dei Diggers, ne da invece una lettura negativa, secondo la quale la
vita quotidiana è il territorio dell'anestesia culturale, delle regole imposte dal sistema
costituito, della negazione e dei «sonnambuli».
Berg focalizza la sua analisi sulla connotazione dello spazio teatrale come luogo della
sospensione degli schemi e delle regole dell'istituzionalità quotidiana, qui vi è la
condizione di sperimentazione liminoide in cui perde ogni potere la normatività del
290
Ivi, p. 148.

147
dominio. All'attore nell'impersonificazione di ruolo è concesso di assumere comportamenti
inammissibili socialmente, in questo senso il teatro costituisce una zona speciale, un
superluogo di sospensione normativa e catalizzazione creativa in cui i comportamenti
seguono norme altre orientate alla realizzazione di molteplici infinite possibilità, in cui la
fantasia viene liberata dalle gabbie dell'irreggimentazione quotidiana.
Berg scrive: «Sistemando un palcoscenico si proclama una amnistia universale per
l'immaginazione e afferma che «l'intrinseca libertà del teatro» posta all'interno del
quotidiano può «illuminare i muri che ci imprigionano» e «mostrare i punti deboli»
facendo leva su di essi per «praticare una rottura»291.
Boal parla di muro292, interposto tra attore e spettatore; Berg parla di muri che
imprigionano le persone nel loro ruolo quotidiano succube: il teatro per entrambi è il
plastico per far saltare le barriere della storia già scritta che come tradizione vuole, è
sempre e solo scritta dai vincitori.
La seconda fase del Teatro Guerriglia comincia nel 1966, quando un gruppo di membri del
Mime, circa venti componenti, rompe con la compagnia per fondare il collettivo teatrale
chiamato Diggers.
In quanto autore della prima formulazione del T-G, R. Davis fu molto critico verso il
nuovo gruppo, come lo sarebbe stato successivamente con il gruppo degli Yippies;
sostenne che l'azione dei Diggers non era né seria né efficace e i cui criteri non trovavano
legittimazione nella sua concezione di teatro politico. Davis definiva invece la sua azione e
quella del SFMT come professionisti del teatro dedicati alla trasformazione della società
attraverso la pratica della propria arte293.
Mentre al contrario, per i Diggers, la rappresentazione teatrale coinvolgeva tutti i
partecipanti, attori proponenti e spettatori agenti, nella sospensione dello stato di
subordinazione e nella liberazione del possibile. La loro interpretazione del T-G
promuoveva l'estensione della sospensione, per agire in tale spazio liminale l'alternativa
alla connivenza con la cultura repressiva della società borghese. La volontà è qui di
mostrare che esistono delle alternative possibili e nell'attuazione pratica dell'esperienza
della zona liberata dimostrarne l'efficacia e la vitalità, l'atto di fusione tra teatro e vita
quotidiana è la leva per il coinvolgimento del pubblico nella sperimentazione
rivoluzionaria.

291
P. BERG cit. in K. M. TAYLOR, People's Theatre in Amerika, New York, Drama Book, 1972, pp. 309-
310.
292
A. BOAL, Il teatro degli oppressi, cit., p. 93.
293
M. W. DOYLE, Staging the Revolution, cit.

148
In questo modo l'azione teatrale rappresenta il vettore di tramutazione della realtà,
rendendo possibile la sperimentazione di una possibilità, che in virtù di essere emersa nello
stadio liminale può venire assunta a modello ideale e a funzione referenziale per riportarla
nella realtà quotidiana.

Tutti i presenti [alle azioni di T-G dei Diggers] verranno […] trasformati in life-actors che rompendo le
regole di comportamento imposte dalla società costituita possono comunicare realmente tra loro e realizzare
tutto ciò che la loro immaginazione creativa suggerisce. L'azione teatrale assume perciò la forma di una
celebrazione o di un rituale che si svolge per le vie e i luoghi pubblici della città e riesce a coinvolgere tutti i
presenti nello spettacolo inteso come liberazione personale e gioco294.

Il T-G dei Diggers si manifesta in eventi spettacolari che inizialmente hanno luogo nel
quartiere di riferimento della controcultura a San Francisco, Haight Ashbury. In un secondo
momento le azioni vengono agite in altre zone della città, in particolare dove possono
insinuare la contraddizione pratica di sfida all'establishment, come nel quartiere degli affari
e di fronte al palazzo municipale. Ad Haight Ashbury le azioni dei Diggers, propriamente
eventi rituali pubblici della controcultura, avevano luogo, ad intervalli irregolari, ogni
quindicina di giorni. La volontà di questi happening d'avanguardia passava dalle tematiche
di critica alla commercializzazione degli stili di vita alternativi, come nell'azione Death of
Money, Birth of the Haight del dicembre '66, ripresa poi in Death of Hippy, Birth of the
Free Man dell'ottobre '67, in cui si decreta la fine della summer of love295. In questo evento
di T-G si elabora metaforicamente uno scontro: da un lato la critica radicale dei movimenti
controculturali che praticando stili di vita anti-consumistici e comunitari risultano
sovvertitori dell'ordine costituito, dall'altra l'operazione di depotenziamento e graduale
sussunzione degli stessi operata dal sistema di potere attraverso la mediatizzazione estetica
e l'esaltazione dei caratteri più superficiali o facilmente commercializzabili come l'utilizzo
di droghe e la musica. I Diggers con la loro pratica fungono sia da aggregatore delle
istanze radicali che da esorcismo attraverso l'esposizione pubblica e la critica spietata delle
spinte normalizzatrici. L'altro fronte sul quale si muovono le azioni di T-G è permettere
alla comunità della quale sono partecipi di fare l'esperienza di ampie zone liberate di
sperimentazione, nelle quali fondare una propria ritualità e che riscoprano la carica

294
C. VICENTINI, La teoria del teatro politico, cit., p. 150.
295
Summer of love è il nome con il quale venne definita l'estate del '67 nella Bay Area Californiana, questa
fu una stagione particolarmente propizia per le controculture radicali che ebbero la possibilità di
sperimentare nuovi stili di vita senza che questi venissero ancora perturbati dall'acredine del conflitto
sociale che avrebbe contraddistinto gli anni successivi e dai tentativi di sussunzione commerciale dei
modi di vita alternativi da parte del sistema dominante.

149
sovversiva, le possibilità maieutiche e antistrutturali della festa come espressione
coscientemente collettiva. Per dare l'idea di quanto detto, per comprendere la complessità
performativa di questi eventi e la compartecipazione di attori proponenti e life-actors
coinvolti, riportiamo una dettagliata descrizione di come era strutturata la Full Moon
Public Celebration of Halloween296 del 1966:

On the southwest corner of the intersection of Haight and Ashbury Streets, the symbolic heart of some in the
community were calling "Psychedelphia," the Diggers set up their 13-foot tall yellow "Frame of Reference."
Two giant puppets, on loan from the Mime Troupe and resembling Robert Scheer and Berkeley Congressman
Jeffrey Cohelan, performed a skit entitled "Any Fool on the Street." The puppets were maneuvered back and
forth through the frame, as their puppeteers improvised an argument in character about which side was
'inside' and which 'outside.' All the while the eight-foot high puppets encouraged bystanders to follow their
lead and pass through the frame as a way of "changing their frame of reference." Meanwhile, other Diggers
distributed smaller versions of the Frame made out of yellow-painted laths six inches square attached to a
neck strap. These were meant to be worn—not as talismans for warding off baleful influences—but as
reminders that one's point-of-view (and hence waking consciousness) was mutable. Effecting changes in
objective reality, the Diggers maintained, had to be preceded by altering people's perspective on the assumed
fixity of the status quo. Renegotiating those underexamined assumptions might well produce new and more
imaginative ways of organizing social relations.

Next, participants were guided in playing a game called "Intersection," that involved people crossing those
streets in a way which traced as many different kinds of polygons as possible. The intended effect was to
impede vehicular traffic on Haight Street as a way of deterring the growing stream of tourists who had come
to gawk at the hippies. One problem, however, was that as groups like the Diggers acquired a reputation for
creating spectacles in the Haight, such doings inevitably attracted curiosity seekers from outside the
neighborhood. From the Diggers' standpoint, anyone was welcome to join in their events, but mere spectators
were actively discouraged. And they and the other hip residents of the district reserved a special animosity
towards the nonstop, bumper-to-bumper carloads of people who had come to stare at them through rolled-up
windows and locked doors.

Within an hour (at around 6 P.M.) a crowd of some 600 pedestrians had gathered to partake in the Digger
activities. Not long afterward the police arrived in several squad cars and a paddy wagon to disperse the
crowd. In a priceless moment of unscripted theater of the absurd, police officers began a series of verbal
exchanges with the puppets! A journalist on hand captured the ensuing dialogue:

296
L'azione Full Moon Public Celebration of Halloween già citata ed in parte descritta nel Capitolo 3.

150
Police: "We warn you that if you don't remove yourselves from the area you'll be arrested for
blocking a public thoroughfare."

Puppet: "Who is the public?"

Police: "I couldn't care less; I'll take you in. Now get a move on."

Puppet: "I declare myself public—I am a public. The streets are public—the streets are free."

The altercation, it should come as no surprise, resulted in the arrest of five of the Diggers—Grogan, Berg, La
Morticella, Minault, and Brooks Butcher—along with another member of the crowd who objected to the
police's action by insisting that "These are our streets." As the arrestees were being driven away, the crowd
began chanting "Frame-up! Frame-up!" to which the arrested men responded from within the van, "Pub-lic!
Pub-lic!" As many as 200 people remained on the scene afterward in defiance of police orders. They resumed
the Intersection game and, after one of the Diggers set up a phonograph and started playing music, began to
dance in the street. The officers may well have attributed the night's outlandish public behavior to the effects
of a 'blue moon' on All Hallow's Eve. To the Diggers it was a demonstration of their power to confound the
authorities and stake their claim on the urban turf297.

Come tradurre il termine life-actors senza disperderne la polisemicità resa dalla lingua
inglese? Attori-vita, attori nella vita, vita negli attori? Si manifesta con il termine life-
actors la vitalità del coinvolgimento pubblico. Gli attori Diggers che vanno incontro alla
vita, in cui il teatro si fonde nell'esperienza quotidiana influenzandola direttamente,
determinando la partecipazione attiva degli spettatori che non sono più tali, ma diventano
life-actors.
Evidentemente vi è un'impronta registica molto forte nella definizione della struttura
dell'evento, nella scelta dei luoghi, del tipo di azioni, delle metafore da rappresentare, della
preparazione dei costumi e dei materiali, nella volontà comunicativa; ma l'impianto che
permette la riuscita dell'evento è la socializzazione dell'azione, la creazione di un luogo
liminale in cui si faccia esperienza collettiva di liberazione tramite la partecipazione attiva
nelle differenti performance o inventando altri modi secondo la creatività di ciascun
soggetto coinvolto di partecipare in quella medesima cornice di senso.
Sicuramente il life-actors del teatro-guerriglia condivide concettualmente con lo spett-
attore del teatro dell'oppresso la dimensione di passaggio alla partecipazione e di rottura
della dicotomia spettatore/attore. Come abbiamo visto il T-G dei Diggers rompe
completamente con le forme dell'ortodossia teatrale del Mime Groupe, nelle loro azioni
297
Cit. dal sito Diggers archives, http://www.diggers.org/guerrilla_theater.htm#N_12 M. W. DOYLE,
Staging the Revolution, cit.

151
non vi è più play ma viene costruito un event pubblico, in ciò si denotano anche le grandi
differenze strutturali con il TdO, infatti sia nel teatro forum che nell'invisibile viene
proposto un play realistico, nella percezione consapevole degli intervenienti nel primo caso
e nella loro inconsapevolezza nel secondo.
Il T-G dei Diggers invece si riferisce in larga parte alla tradizione del carnevale, delle feste
popolari, del rito e della performance: fluidificando il proprio divenire nella molteplicità
esponenziale delle forme. Inoltre in queste azioni per quanto molto di ciò che succede non
sia chiaro al pubblico e vi si prevede la presenza di vaste zone di imprevedibilità è però
evidente la sua caratteristica di riconoscibilità. È evidente che attraverso l'azione T-G si sta
compiendo uno stravolgimento del reale quotidiano, nel quale ogni interveniente assume la
consapevolezza della partecipazione al rito comunitario. In ciò sta un'altra importante
differenza rispetto al teatro invisibile.
Le azioni T-G dei Diggers afferiscono al medesimo tempo alla sfera del teatro e a quella
del rito: del teatro adottano l'intenzionalità scenica e il come se come innesco fluido, senza
saper dire se sia il come se teatrale che si fonde nella realtà diventandone parte, o se la
realtà ingaggiata dall'ampliamento del come se, ne venga trasformata; dal rito attingono la
dimensione trasformativa della comunità, con i soggetti che da spettatori diventano life-
actors ed in questo modo accedono alla zona liberata che permette l'espressione della
creatività liberatoria. I Diggers fondano un rituale che seguendo la teorizzazione di Turner,
«attraverso i simboli in cui si esprime, ha una funzione attiva, mai sclerotica, formale o
convenzionale, ha la forza di operare modifiche su se stesso e di avere una funzione
trasformatrice. Il rituale muove sempre dal cambiamento, dal conflitto o dalla
trasformazione»298.
Il passaggio successivo dell'evoluzione delle azioni T-G è quello di spostarsi dal favorevole
habitat di Height Ashbury per affrontare il resto della città e portare il proprio messaggio
all'esterno della propria stretta cerchia di riferimento. Luogo di questo ampliamento è
l'utilizzo della scalinata del municipio di San Francisco come spazio scenico, per tre mesi i
Diggers occupano lo spazio antistante la City Hall con rappresentazioni teatrali, reading
poetici, canti corali, concerti e banchetti in forma di distribuzione gratuita di cibo.
L'interazione avveniva con i passanti occasionali ma in particolare con i burocrati e con i
politici locali che frequentavano il municipio come luogo di lavoro, nell'interazione face-
to-face e nell'imposizione della propria presenza, i Diggers ingaggiavano nuovamente uno
scontro liminare tra due concezioni di città: governamentalità versus free city, la
298
V. TURNER, Dal rito al teatro, cit., p. 17.

152
conservazione del potere contro la liberazione delle possibilità e la condivisione delle
responsabilità.
Le azioni non si limitarono alla scalinata del comune ma si inscenarono in tutti i distretti
della città e venne ipotizzata e realizzata un'azione T-G anche nel distretto dove vi era la
più ampia concentrazione di banche ed imprese finanziarie; questo ampliamento
territoriale299 andava di pari passo con l'attività di costruzione di una contro-società fondata
sull'idea di libertà e gratuità, questa proposta alternativa si nutriva concretamente delle
pratiche di recupero300, attraverso la condivisione delle competenze specifiche di ciascuno
e la condivisione di spazi, beni ed esperienze come norma di vita. I Diggers insieme con
altri attivisti presenti sul territorio fondarono progetti in cui accedere gratuitamente a beni
chiamati free shop, progetti di distribuzione di cibo gratuito chiamati free food, una clinica
che forniva prestazioni mediche libere e gratuite, esperienze di consulenza legale, libere
università: tutte esperienze collegate nella più ampia prospettiva di una free city.
Come afferma Phyllis Wilner, attrice del gruppo, «I thought it was very important not to be
academic, not to live in a world apart from everybody else, not to play back and forth
between people who already agreed with you, but a sort of shine out everywhere»301.
L'azione del teatro guerriglia si costituisce qui in quanto intervento che evidenzia una
situazione quotidiana di oppressione nella quale si inserisce e sulla quale inferisce una
pressione pragmatica volta alla sua distruzione. Viene ripercorsa la medesima strategia
dell'azione diretta non-violenta della lotta antisegregazionista e del movimento studentesco
di San Francisco degli shop-in, vestendo questa strategia con caratteristiche sceniche di
teatralità. Infatti: «Identificando lo schema dell'azione diretta nonviolenta con quello del
teatro di guerriglia nasce la possibilità di concepire l'intero scontro politico in termini di
teatro teatrale»302.
Si determina un passaggio interpretativo che vede nel conflitto tra movimenti
comtroculturali di liberazione e sistema conservativo oppressivo, lo scontro tra due opposte
teatralità. In questo senso i Diggers, attraverso la formulazione di Ber, concepiscono
l'insieme del reale in termini di rappresentazione culturale; così il concetto elaborato da
Goffman di situazione rappresentazionale, secondo il quale non esiste un sé individuale
separabile dalle sue performance quotidiane, trova collocazione all'interno di due

299
Il territorio è qui inteso sia in senso spaziale che in senso semantico.
300
Venivano sistematicamente reperiti i beni scartati dal surplus produttivo del boom economico dei 60s, per
esempio cibo e vestiti.
301
Dal documentario di C. DERANSART, A. GAILLARD, J-P. ZIREN, Les Diggers de San Francisco;
reperibile su http://www.diggers.org/les-diggers-de-SF.htm
302
C. VICENTINI, La teoria del teatro politico, cit., p. 152.

153
schieramenti in opposizione tra loro.
Ogni teorizzazione è destinata inevitabilmente a molteplici abbandoni, ed ogni
polarizzazione tende ad annullare tutte le incrinature della variabilità intermedia.
Considerato ciò, sicuramente per ciò che attiene la dimensione di contrasto tra esposizione
innovativa di istanze collettive e loro repressione, la lettura di questo scontro come
conflitto tra un teatro della vita al quale si oppone un teatro della morte trova i suoi dovuti
riscontri.

7.6 Una ricognizione ampliante

Dopo aver visto l'esperienza del The Performance Group, della San Francisco Mime
Troupe e dei Diggers, arriviamo ora all'Odin Teatret. Questa ricognizione qualitativa tra
esperienze significative necessita però una precisazione, per evidenziarne la parzialità.
Infatti si potrebbero chiamare in causa tanti più nomi ed esperienze, poiché sul
superamento della staticità del rapporto tra attore e spettatore si basa parte importante
dell'evoluzione del teatro e del riconoscimento delle sue potenzialità nella sfera del
performativo.
Tra gli altri, occorre citare quanto anche Grotowsky «inseguì l'utopia necessaria di un
lavoro che squarciasse il velo invisibile posto fra gli attori e gli spettatori, desiderando
coinvolgere questi ultimi in una ricerca di se stessi, di “de-condizionamento espressivo”:
“Sto aspettando – ebbe provocatoriamente a dire […] - uno spettatore cui piaccia davvero
vedersi»303.
E di come, nell'ultima fase della sua ricerca, tese progressivamente a decostruire ogni sorta
di separazione tra rappresentazione e vita, mostrando come anche il teatro sia in fin dei
conti una maschera, e riconducendo l'insieme della propria ricerca alle ragioni ultime, al
punto da scrivere:

Non è il teatro che è necessario, ma assolutamente qualcos'altro. Superare le frontiere tra me e te: arrivare a
incontrarti, per non perderci più tra le folla, né tra le parole, né tra le dichiarazioni, né tra idee graziosamente
precisate. In principio, se lavoriamo insieme, toccarti, sentire il tuo tocco, guardarti, rinunciare alla paura e
alla vergogna alle quali mi costringono i tuoi occhi appena gli sono accessibile tutto intero. Non nascondermi
più, essere quello che sono. Almeno qualche minuto, dieci minuti, venti minuti, un'ora. Trovare un luogo
dove un tale essere-in-comune sia possibile304.
303
I. Gamelli, Pedagogia del corpo, cit., p. 59.
304
J. GROTOWSKI, «Jour Saint» e altri testi, in F. QUADRI, L'avanguardia teatrale in Italia (materiali
1960-1976), Torino, Einaudi, 1997, Vol. I, pp. 15-16, cit. in A. PONTREMOLI, Teorie e tecniche, cit., p.

154
Tornando alla scelta effettuata delle esperienze trattate, si sono voluti esaminare questi
quattro casi, sui quali molto altro si potrebbe e dovrebbe dire, sia per apprezzarne seppur
parzialmente le elaborazioni e l'opera, sia in ottica funzionale per porre le sperimentazioni
del teatro dell'oppresso in relazione dialettica con soggetti e gruppi che dando forma ad
altrettante tensioni provavano ad infrangere alcuni medesimi muri.

7.7 Odin Teatret: il tempo dei baratti

Veniamo ora all'esperienza dell'Odin Teatret, con cui abbiamo già avuto un primo incontro
nel capitolo Mitologia fondativa, che approfondiamo qui proprio attraverso l'analisi del
baratto in quanto scambio di materiali culturali.
L'Odin Teatret viene fondato da Eugenio Barba ed un gruppo di attori escluso
dall'Accademia cittadina ad Oslo, in Norvegia, nel 1964. Precedentemente, Barba permane
per qualche anno in qualità di aiuto regista (o apprendista regista) presso Grotowski, in
Polonia. Nel 1966, l'Odin si trasferisce a Holstebro in Danimarca, modificando il suo nome
in Odin Teatret/Nordisk Teaterlaboratorium. Oggi, a testimonianza della grande capacità di
determinare incontro che lo contraddistingue, i suoi membri provengono da una dozzina di
paesi e da tre continenti305.
L'Odin stesso si definisce Teatro-Laboratorio, ma questo concetto è molto difficile da
esprimere. Luogo di ricerca: di una ricerca non casuale, ma non direttamente finalizzata.
Cosa si intende con ciò? Schino, in Alchimisti della scena, conferma la problematica
definitoria ed il suo saggio rende conto proprio della discussione sul senso, l'utilità e la
verità storica di queste esperienze. Consapevole di aver centrato il cuore del problema dice,
aprendo uno spazio di discussione più che dando una definizione:

«laboratorio» è il luogo in cui si ha la possibilità di seguire qualsiasi strada, di sperimentare qualsiasi ramo
dell'arte dell'attore in maniera non condizionata dal fine diretto dello spettacolo. È il luogo dove si accresce la
conoscenza dell'arte dell'attore, non dove si applica306.

Per introdurre al lavoro dell'Odin, facciamo dunque riferimento al concetto di teatro


enclave proposto da Taviani. Secondo cui:

40.
305
Si fa riferimento al sito ufficiale del gruppo teatrale, http://www.odinteatret.dk/about-us/about-odin-
teatret.aspx
306
M. SCHINO, Alchimisti della scena, Teatri laboratorio nel Novecento europeo, Roma, Laterza, 2009, p.
23, a questo lavoro si rimanda per un'approfondita trattazione sull'esperienza dei Teatri laboratorio.

155
Con teatri “enclave” si intendono quelle formazioni teatrali che fanno parte per se stesse e non adottano le
convenzioni tipiche del sistema teatrale in cui vivono (forme artistiche, modi di produzione, organizzazione
interna e modi di entrare in contatto con il pubblico e gli spettatori), […] l'Odin Teatret è l'enclave teatrale più
significativa del Novecento307.

Riprendiamo l'incontro con l'Odin dove lo abbiamo lasciato nel Capitolo 1: abiamo visto
come il gruppo cercasse già nello spettacolo Mir Fars Hus una continuità di rapporto con il
pubblico dopo la fine della rappresentazione, attraverso l'invito agli spettatori della
scrittura di feedback di ritorno e successiva pubblicazione di una selezione di essi. Si
riporta qui, un frammento di uno di questi messaggi, per convocare la portata emotiva e
cogliere quanto la possibilità di scrittura potesse riscontrare una necessità latente di
espressione presente in alcuni spettatori:

Fin dal primo momento dopo lo spettacolo ho sentito il bisogno di comunicare le mie reazioni; ma mi
rendevo conto che bisognava far sedimentare le impressioni, rimettere i piedi per terra, prima di trasformare
in logore parole le proprie vibranti emozioni. Ora sono passati due mesi. La prima volta che ho visto uno
spettacolo teatrale sono rimasta profondamente delusa, con la sensazione che la terra fosse piatta, pur
sapendo che invece doveva essere tonda. Con voi, per la prima volta, ho assistito a ciò che nel mio interno
corrispondeva a uno spettacolo teatrale. Eravate portatori di un messaggio così compiuto che agiva quasi
come un contatto fisico, in cui tutti gli aspetti della vita coesistevano in perfetta fusione – tanto che a volte
non osavo riconoscere tanta naturalezza e mi sentivo imbarazzata. Al tempo stesso avvertivo per la prima
volta le pesanti catene della mia cultura: vedevo infatti balenare nel vostro gioco la libertà primordiale308.

Ma come abbiamo già avuto modo di dire, l'Odin non si fermò a questo: nel 1974 scese per
svariati mesi nelle campagne italiche, scegliendo di permanere a lungo a Carpignano
Salentino, un piccolo paese della Puglia culturalmente isolato. Una sera, dopo circa un
307
Procedendo in questo modo: «non solo la più longeva, ma la più completa, quella che ha meglio
ricostruito al suo interno le complessità e le ramificazioni d'un autonoma tradizione: artigianato, principi
artistici, elaborazioni della memoria, invenzione del valore, indagine scientifica, territorializzazione
(trasformazione dello spazio indifferenziato in un territorio fatto di comunicazione, relazioni e
corrispondenze), costruzione di spettacoli e composizione di libri. Ma a dire la verità c'è anche dell'altro:
sapienza. Una sapienza che non sopporta solennità e obbliga a tenere i piedi per terra, nei busillis
dell'aldiquà. E che si esercita per navigazioni oceaniche in piccoli laghi. Non teme di far ridere per la
propria sproporzione. Perché solo il riso alla fine – dicevano Socrate e i sileni –, tiene sgombre le vie per
la considerazione del vero», F. TAVIANI, Enclave, in M. SCHINO, Alchimisti della scena, cit., pp. 120-
123.
308
Messaggio firmato da Viby. In un altro messaggio si legge, «È solo perchè mi avete invitata
personalmente a farlo che vi esterno il mio turbamento. Durante tutto lo spettacolo non mi sono mossa, e
le lacrime venivano giù senza che potessi trattenerle. Non avrei mai creduto che un attore potesse aprirsi
fino a questo punto, mettersi così allo scoperto, e nello stesso tempo essere mediatore di qualcosa che lo
supera... […] Quest'anno ho scoperto Antonin Artaud, che ha la stessa cieca veggenza che voi avete
saputo tradurre». Entrambi in T. D'URSO, F. TAVIANI, Lo straniero che danza, cit., p. 26 e p. 50.

156
mese di permanenza del gruppo teatrale nel villaggio, gli attori uscirono per andare a
trovare degli amici. Era la prima volta che si presentavano in paese con i vestiti colorati
usati nelle prove e con i loro strumenti. Gli abitanti del paese cominciarono a seguirli con
curiosità, ed arrivati alla casa degli amici suonarono alla porta per scoprire che essi non
erano presenti. Accadde – come dice Barba – che «restammo, così, senza volerlo all'aperto,
in una piazza, circondati da molta gente che si aspettava che noi facessimo qualcosa». Così
per un'ora suonarono e cantarono canzoni popolari Scandinave e fecero alcune
improvvisazioni vocali come quelle svolte nel loro training attoriale. Alla fine
dell'interpretazione (una fine che è un inizio), le persone convenute ad assistere dissero:
«Adesso vi faremo sentire noi le nostre canzoni»309. E cominciarono a condividere con gli
attori dell'Odin le proprie canzoni tradizionali che narravano di lavoro, amore, nascita e
morte.
Da questa situazione imprevista, da questo accadimento incidentale ha origine per l'Odin
l'idea del baratto e del farne un perno fondativo della propria permanenza a Carpignano.
Accadde in Puglia un fatto già sperimentato cinque mesi prima in Sardegna, dove durante
la rappresentazione di Min Far Hus, il pubblico di pastori e contadini con le loro famiglie
reagì in una maniera sconcertante per il gruppo teatrale: essendo per essi sconosciuta la
forma teatrale, si comportarono come se stessero guardando un film al cinema, ovvero
commentando tutto ciò che vedevano, scambiandosi reciprocamente osservazioni e
considerazioni ironiche o serie. Le reazioni di fronte al fatto nuovo teatrale erano non
filtrate dal silenzio e dal contegno dei pubblici disciplinati nella fruizione della
convenzione teatrale; al contrario si manifestavano rumorosamente: commenti,
esclamazioni, possenti risate e a volte profondi silenzi.
Alle reazioni in itinere alla rappresentazione, seguiva sempre un applauso e il proruppere
di domande sul significato di ciò che avevano appena potuto vedere, cercandone
spiegazioni, poiché i popolani rurali credevano di «non aver capito», in quanto privi di
cultura. In questa autorappresentazione di mancanza essi ammettevano implicitamente
tutta la delegittimazione della propria specificità culturale locale.
Ma in particolare nel procedere degli eventi avveniva spesso che:

dopo lo spettacolo, le persone sembravano animate da una voglia di presentarsi anche loro a noi, di farlo con
qualcosa che corrispondeva a quello che avevano visto. Allora cominciavano a cantare, a ballare, le tipiche
forme di cultura popolare, che non si limitano al linguaggio verbale elaborato, ma che attraverso la totalità

309
E. BARBA, Eugenio Barba – Letter from southern Italy, in Ivi, p. 118.

157
della propria presenza fisica svelano la storia e la visione di un gruppo di uomini310.

Si dimostrava dunque atavica una resistenza culturale non riconosciuta in quanto tale, ma
ben presente come patrimonio storico e costituente, per quanto in lento ma inesorabile
disgregamento, della comunità.
Il baratto viene offerto all'Odin e non proposto da esso, Barba e gli attori sono in grado di
cogliere l'occasione e farne patrimonio, pratica significante di reciprocità esistenziale e
culturale.
Per comprendere come si muova l'Odin a contatto con la realtà subalterna del mondo
contadino dell'Italia rurale nel '74, occorre esporne i presupposti. Nell'incontro che si
determina non vi è volontà di svelare vie, di pensarsi missionari tra deboli, di portare la
rivelazione teatrale laddove non se ne sentiva il bisogno. Mai si produce imposizione,
prevaricazione culturale o provocazione (nel senso di volontà violante le norme sociali
locali); ma è nella consapevolezza di essere corpo estraneo, nel rivendicare la propria
diversità e nel riconoscersi in quanto stranieri che si può donare e ricevere, senza
colonizzare né rinunciare a sé stessi; incontrarsi nel riconoscimento reciproco.
Com'è possibile questo? Lo si capisce leggendo lo scritto di Barba, Teatro e rivoluzione del
1968, nel quale afferma: «Il teatro è finzione, visione. Solo l'intensità della suggestione
agisce sugli spettatori. Quando si sforza di diventare ciò che vuol suggerire, allora perde il
suo effetto», e continua più avanti, «Soltanto attraverso un rinnovamento continuo della
nostra coscienza e del nostro atteggiamento personale verso la vita si determinerà un nuovo
approccio alla nostra arte. È il processo che ci trasforma, il modo di affrontare
quotidianamente il nostro lavoro», e termina in questo modo:

Non si tratta più di essere missionari o artisti originali, si tratta d'essere realisti. Il nostro mestiere è la
possibilità di cambiarci e, così, di cambiare la società. Non bisogna domandarci: Che significa il teatro per il
popolo? È un domanda demagogica e sterile. Bisogna domandarci: Che significa il teatro per me? La
risposta, convertita in azione, senza riguardi o compromessi, sarà la rivoluzione nel teatro311.

Perciò appena giunti a Carpignano è l'avvio del lavoro in loco ciò che preme cominciare
all'Odin, attraccare in un nuovo porto dove la presenza del teatro è imprevista, per Barba
oltre ad un nuovo perturbante stimolo anche un ritorno alla terra che gli diede i natali
(Gallipoli) e che lo crebbe in gioventù prima dell'emigrazione. Il gruppo effettua dunque

310
Ivi, pp. 120-121.
311
E. BARBA, Teatro e rivoluzione (1968); in Ivi, pp. 15-16.

158
l'ancoraggio in Salento fondando la propria credibilità sullo specifico del lavoro teatrale.
Non viene cercato da subito un contatto con la popolazione locale ed anzi nelle prime tre
settimane l'Odin si rinchiude in totale isolamento nel suo luogo più sicuro: il lavoro; seppur
geograficamente il luogo di residenza artistica del gruppo sia proprio al centro del paese, i
locali di una ex manifattura di tabacco. In questo inserimento geografico, ciò che è più
importante è non abdicare al significato profondo del proprio essere, ogni membro
partecipa alla continuazione delle regole di vita, al lavoro impegnato e disciplinato,
all'elaborazione di una visione comune della propria attività.
Il lavoro di training prevedeva la sveglia alle cinque di mattina, la stessa ora in cui i
contadini andavano in campagna a lavorare, il luogo delle ore di allenamento sperimentale
erano i campi, distanti dal paese ma dove gli attori agivano allo scoperto e potevano essere
scorti. A volte comparivano i volti segnati dal sole ed impassibili di donne e uomini che
osservavano il training fisico e vocale di questi strani stranieri. Ma, riflette Barba,
«nonostante tutti gli interrogativi che il nostro sconcertante comportamento presentava, la
popolazione sentiva in esso una logica, una necessità e una disciplina il cui senso le
sfuggiva, ma che era consistente, nella sua realtà di lavoro»312.
La presenza degli attori si definisce in quanto polo opposto alla popolazione della periferia
rurale pugliese: nel dato estetico molto variegato, nelle fisionomie e nei lunghi capelli,
nella cultura scandinava, nel comportamento, nei modi di pensiero, nel «loro pregiudizio
della loro apparente mancanza di pregiudizi»: sono completamente differenti dalla società
contadina saldata da profonde norme. Poli opposti ma non in opposizione, definirsi
secondo la propria specificità culturale diventa generativo della possibilità d'incontro,
laddove vi è l'attenzione decretata di non impedirne il compiersi, si tratta così di rispettare
le norme fondanti una società di questo genere, cioè le norme religiose e quelle sessuali,
binomio così reciprocamente avverso e proprio per questo profondamente intrecciato.
Il contesto rurale, il lavoro nei campi, la perifericità economica, le norme sociali arcaiche,
il forte familismo, il trauma diffuso dell'emigrazione forzata, la forza del patrimonio
culturale locale; elementi questi che non confondono ma chiarificano il riconoscimento del
luogo e della popolazione che lo vive e ne è depositaria. È solo nel reciproco
riconoscimento di soggetto agente che lo spazio dello scambio trova disposizione.
Eppure l'Odin è in viaggio, sceglie il lavoro nel contesto subalterno, nel riconoscersi questa
scelta di traslazione geografica trova il saldarsi dei valori propri. Denotare la dimensione di
scelta del viaggio significa riconoscere il dovuto rispetto a chi emigrando forzatamente è
312
E. BARBA, Eugenio Barba – Letter from southern Italy, in Ivi, pp. 128-129.

159
costretto ad abbandonare i propri luoghi d'origine con violenza, infatti si dice: «Se
un'emigrazione è scelta volontaria e non necessità di sopravvivere, se risponde alle proprie
aspirazioni, allora deve risolversi nel contrario dell'emigrazione, sennò sarebbe scherno»313.
Non è neanche il ruolo di antropologi che si addice agli attori, per quanto ci siano alcuni
elementi in comune, De Martino affrontando quindici anni prima un viaggio nella
medesima area territoriale, la terra del rimorso, scrive:

nel viaggio etnografico non si tratta di abbandonare il mondo dal quale ci sentiamo respinti e riguadagnarlo
attraverso la mediazione di una rigenerazione mitica variamente configurata, ma semplicemente si tratta di
una presa di coscienza di certi limiti umanistici della propria civiltà, e di uno stimolo ad andare «al di là» non
dell'umano in generale, ma della propria circoscritta umanità «messa in causa» da una certa congiuntura
storica: presa di coscienza e stimolo che comportano un viaggiare non in senso mitico, ma in quello di
raggiungere sistemi di scelte culturali che sono semplicemente «diversi dal nostro», nel quale siamo «nati e
cresciuti»314.

La presenza dell'Odin si può definire altrimenti rispetto alla ricerca etnografica che fa
dell'altro l'oggetto di studio: nell'opera di stimolo del teatro, si opera un impulso etno-
pratico, per opposizione positiva al gruppo straniero avviene una riaggregazione che
permette alla popolazione locale di ritrovare un legame culturale comune che la
caratterizza in rapporto all'alterità manifesta. L'Odin effettua 83 presenze teatrali, di forma
e durata differenti, in 15 paesi della Puglia e in 13 della Sardegna fra il maggio 1974 e il
settembre 1975315.
Vediamo la descrizione dell'implicazione di questa forma d'incontro performativo, di
Kula316 circolatorio fra Scandinavia e Sud Italia. Nelle rappresentazioni dell'Odin e della
dente di Carpignano avviene una circolazione alternata della polarità performers/pubblico
che genera legame espressivo ed umano. Questo incontro viene descritto nelle parole di
Barba intervistato da Stig Krabbe Barfoed:

abbiamo costruito il nostro soggiorno dall'esperienza del baratto. Immaginati due tribù che sono molto
diverse e che si incontrano sulle rive opposte di un fiume: ogni tribù può vivere per sé stessa, può parlare
dell'altra tribù, forse dirne male o elogiarla. Ma ogni volta che uno rema da una riva all'altra scambia
313
F. TAVIANI, Lo spreco del teatro, in Ivi, p. 83.
314
E. DE MARTINO, La terra del rimorso, Contributo a una storia religiosa del Sud, Milano, Il Saggiatore,
2008, p. 41.
315
Cfr. Dalla relazione dell'équipe di ricerca che ha seguito il lavoro svolto dall'Odin in Italia negli anni
1974-75 in T. D'URSO e F. TAVIANI, Lo straniero che danza, cit., p. 116.
316
È Taviani ad evocare la circolarità del dono nelle isole Trobiand, il Kula, studiato per primo da
Malinowski che ne definì anche la feconda inutilità. Cfr. B. MALINOWSKI, Gli argonauti del pacifico
occidentale; Riti magici e vita quotidiana nella società primitiva, Torino, Bollati Boringhieri, 2011.

160
qualcosa. Uno non passa il fiume per fare ricerche etnografiche, per vedere come gli altri vivono, ma per dare
qualcosa e ricevere qualcosa in cambio: un pugno di sale per un braccio di stoffa, una manciata di perline per
un arco e due frecce. Ma un patrimonio culturale si può barattare? Siamo partiti da situazioni molto semplici
dove gli attori dell'Odin cantavano canzoni scandinave e dove era organico e naturale che i presenti
rispondessero con le loro canzoni. Dopo abbiamo allargato queste situazioni inserendovi alcune danze da noi
preparate a cui la popolazione ha risposto con proprie danze. Quindi apparvero brevi scene e sketches
improvvisati. La situazione comincia a rassomigliare a una festa collettiva a cui tutti partecipano. C'è sempre
qualcuno in ognuno di questi paesi che ha capacità spiccate di entertainer. Abbiamo proceduto in questo
modo non solo a Carpignano ma anche in altri paesi: la gente veniva e ci domandava di presentare le nostre
canzoni, le nostre danze, oppure un piccolo spettacolo di clown che avevamo preparato. “Cosa ci date in
cambio?” domandavamo noi. Dovevano allora radunare persone disposte a “barattare” canzoni e danze.
Nessun professionista, ma contadini e artigiani partecipavano a questo baratto. Allora il nostro arrivo e il
nostro “spettacolo” erano soltanto un pretesto, un impulso concreto per radunare persone e lasciar loro
rilevare la situazione, partendo dalle premesse di una cultura popolare: creare situazioni che saldano e non
dividono.
Alle proprie canzoni, alle proprie danze, tutti possono partecipare. Non esiste un momento di estetizzazione
dello spettacolo: cioè i professionisti che cantano, danzano e recitano e gli altri che passivi li osservano e li
considerano specialisti del canto, della danza e della recitazione. Questo il nostro “baratto”. Noi non abbiamo
rinunciato a quello che era nostro, loro non hanno rinunciato a quello che era loro. Ci siamo definiti
reciprocamente attraverso il nostro patrimonio culturale317.

Riprendendo l'analisi comparativa delle differenti esperienze rispetto alla rottura della
dicotomia statica attore/spettatore, in questo filone di ricerca sperimentale possiamo
pienamente collocare la pratica del baratto di materiali culturali intrapreso dall'Odin con le
popolazioni locali dell'Italia rurale. Anche se in questo caso non avviene una commistione
fra attori e spettatori all'interno della rappresentazione/presentazione del materiale
culturale, sia esso teatro, danza o canto; in quanto non è richiesta la partecipazione di un
gruppo alla produzione dell'altro. Richiesta che avviene invece nel teatro forum e che si
impone al pubblico nel teatro invisibile; come propongono anche i Diggers e il
Performance Group; né vi è un intento d'indicare la via da percorrere come nel Teatro-
Guerriglia del Mime Troupe.
Rifocalizziamo l'attenzione su come nell'esperienza dei baratti vi sia, attraverso la
premessa del riconoscimento reciproco delle differenti specificità culturali, la circolazione
alternata della polarità attori/spettatori, ovvero prima avviene la rappresentazione dell'Odin
osservata dalla comunità, alla quale segue la rappresentazione da parte delle genti
convenute del proprio patrimonio espressivo collettivo con i membri dell'Odin come
317
Intervista di Stig Krabbe Barfoed a Eugenio Barba in T. D'URSO e F. TAVIANI, Lo straniero che danza,
cit., pp. 75-76.

161
spettatori. Non si determina solo un feedback nel frame della proposta ma avviene una vera
e propria contro-proposta reattiva. Inoltre vi è tutta una parte di mediazione socio-culturale
nella quale si stimola il reperimento degli attori locali, come abbiamo visto persone comuni
che possano avviare il processo aggregativo di espressione comunitaria, dare il La al canto
comune. L'insieme della pratica di baratto diviene una cornice performativo-rituale più
ampia alla quale partecipa l'insieme dei convenuti, come afferma Pontremoli:

La pratica del “baratto”, versione liminoide, secondo la terminologia turneriana, del potlach primitivo […], è
un evento festivo che mette in contatto la comunità teatrale con un territorio, che cerca un contatto, uno
scambio, una integrazione culturale con esso, senza per questo rinunciare al lavoro estetico e alla pratica

artistica318.

Il baratto è l'elemento che permette l'attuazione della dinamica reciproca, ma è anche


l'elemento che nutre di nuova/antica vitalità l'esperienza artistica e la ricerca teatrale
dell'Odin, andare con il teatro dove esso assume un senso, «non perché il terreno è vergine,
né perché lì il teatro sarebbe “necessario”, ma anzi perché è inutile (né Prodotto
Commerciale, né Prodotto Culturale) e può tracciare piste cominciando a girare...», in
questo girare di nutrimento e dubbio («cos'è l'attore?»), vortice e danza, amalgamato al
disciplinato lavoro e al percorso sperimentale, prende forma il nuovo spettacolo del gruppo
(che richiederà più di un anno d'impegno quotidiano), Come! And the day will be ours.
Non c'è inganno nella permanenza salentina dell'Odin e se disorientamento provoca, non vi
è dubbio sul procedere del suo percorso come Teatro-Laboratorio, non ci troviamo di
fronte ad un fatto di animazione teatrale, ma è nell'affermazione del proprio specifico
teatrale che l'Odin diviene attivatore di dinamiche culturali.
Tentiamo di dare anche un'altra contestualizzazione al lavoro dell'Odin all'interno di un
insieme performativo più allargato. Fischer-Lichte da voce nel suo Estetica del
performativo alla posizione di Peggy Phelan che «attribuisce alla performance “live”
autenticità e capacità sovversiva», e continua dicendo: «in una cultura sempre più
commercializzata e mediatizzata, la performance “live” rappresenterebbe l'ultimo mezzo in
grado di opporre resistenza al mercato e ai media – e quindi alla cultura dominante»319.
Partendo dalla premessa secondo la quale è necessaria la condizione live, ovvero nella co-
presenza corporea di attori e spettatori, perché avvenga nella performance lo scambio di
ruoli tra attori e spettatori e la formazione di una comunità determinata dal contatto tra
318
A. PONTREMOLI, Teorie tecniche, cit., p. 41.
319
E. FISHER-LICHTE, Estetica del performativo, cit., p. 122.

162
essi; Fischer-Lichte chiama in causa spettacoli degli anni Sessanta e Settanta, come quelli
di Schechner con il Performance Group, di Beyus, di Nitsch con il suo Orgien-Mysterien-
Theater e della Abramovic, in quanto interpreti di una reazione diretta contro la
mediatizzazione e la serializzazione replicante imposte dall'omologazione culturale. Essi
utilizzano in questa lotta le armi dell'immediatezza e dell'autenticità, permettendo
l'apparizione di resti culturali autentici nella performance live. Ora, questa posizione in
termini qualitativi necessità di essere posta all'interno del dibattito interno al filone di
ricerca della teoria della performance: sulla differenza o sulla mancanza di differenze tra
spettacoli live e spettacoli mediatizzati e sulla supremazia dell'uno o dell'altro; ma in
questo luogo ci interessiamo unicamente al dato storico resistenziale delle performance
live.
In questo quadro storico opera anche l'Odin: con i suoi spettacoli, le sue performance live,
la pratica del baratto. Come non vedere l'affermazione di un'unicità ontologica
nell'irriproducibilità della performance, di antitesi alla serializzazione nel permettersi il
lusso (estremamente faticoso) di sprecarsi ogni volta, di autenticità nella molteplicità delle
possibilità umane e delle culture, rispetto all'omologante confezionamento dell'uomo ad
una dimensione320.
Inoltre parlando di resti culturali autentici, occorre dire che l'Odin nell'Italia rurale si
muove sul bordo ambivalente della cultura subalterna, da una parte nella prossimità di una
pronosticata sparizione (come per l'etnografia d'emergenza agli albori dell'antropologia);
dall'altra nell'elegia a riserva indigena in quanto sacca di resistenza321. Le possibilità di
interagire con quelle culture che si esprimono nel baratto si fanno limite di tempo
depositario, a constatarlo è anche il fatto che siano gli anziani ad esserne i detentori,
maestri di cerimonie antiche, esse a livello di patrimonio collettivo stanno subendo un
processo di rimozione forzata, «quello che si vuole spezzare in loro» 322, l'emigrazione di
massa dei giovani è divaricatore di una frattura già presente fra generazioni a cavallo tra
riferimenti culturali differenti e inconciliabili in quello che Pasolini ebbe a dire «il trauma

320
Si fa qui riferimento al concetto elaborato dal filosofo tedesco Herbert Marcuse, appartenente alla Scuola
critica di Francoforte, secondo cui: l'uomo a una dimensione è l'individuo alienato della società attuale, è
colui per il quale la ragione è identificata con la realtà. Per lui non c'è più distacco tra ciò che è e ciò che
deve essere, per cui al di fuori del sistema in cui vive non ci sono altri possibili modi di essere. H.
MARCUSE, L'uomo a una dimensione, Torino, Einaudi, 1999.
321
«Erano gli anni in cui la cosiddetta “cultura popolare” o “subalterna”, veniva pensata anche come una
“sacca di resistenza” alle logiche dell’omogenizzazione, dei media e del mercato (di globalizzazione
ancora non si parlava)» p. 6
http://www.odinteatretarchives.com/MEDIA/DOCUMENTS/NT_BARATTI.pdf.
322
T. D'URSO e F. TAVIANI, Lo straniero che danza, cit., p.77.

163
italiano del contatto tra l'"arcaicità" pluralistica e il livellamento industriale»323.
Ma, e qui sta la forza esponenziale del progetto Odin in termini pedagogici, il gruppo
guidato da Barba non pago, a questo punto si domanda come andare avanti. Se sia
possibile trasformare il baratto, da fenomeno culturale estemporaneo, in qualcosa che lasci
una traccia nella situazione politica e culturale del luogo. Barba si esprime
metaforicamente sulla questione: «Dopo molte esperienze il “baratto” mi ricordava il corpo
di un polipo senza tentacoli, un sacchetto che fluttua, che emette materia che colora, che
momentaneamente cambia colore alle acque, ma che poi scompare, apparentemente senza
tracce»324.
E così, il periodo di permanenza in Sud Italia è caratterizzato da un altra parte d'impegno
testardo, è un'arte dell'intessere tra le trame espressive una possibilità di resistenza nel
riportare alla luce il minerale nascosto nella miniera in disfacimento all'epoca della
scomparsa delle lucciole325.
L'azione dell'Odin si muove nella diversità, nel riconoscere legami e nel diventarne parte,
costituisce rete nella ricerca di confronto e scambio fra esperienze solidali. Senza voler
imprimere un marchio, senza proporre linee o modelli d'azione già scritti, il suo è un rifiuto
di direzione (per ciò che è altro da sé); l'azione culturale per essere realmente feconda,
maieutica di inedito possibile e di tradizione consapevole deve stare nelle mani di chi vive
ed è impegnato nel territorio, perché il territorio sia riconosciuto in quanto luogo sociale
comune.

Fra l'altro esso [il baratto] ha permesso di individuare un possibile modo di rapportarsi attivamente ai prodotti
della così detta 'cultura subalterna', al di là di un impegno diretto alla loro conservazione. A volte il 'baratto'
poneva le basi per un'azione in grado di incidere immediatamente nella realtà culturale del posto, creando
canali di comunicazioni tra fasce culturali altrimenti separate e – si direbbe – l'una all'altra impermeabili.
Altre volte si risolveva in un appoggio e in uno scambio di esperienze con gruppi impegnati in un'azione
sociale e culturale fortemente radicata nel territorio. Altre volte, infine, serviva come occasione per il
rafforzarsi e l'aggregarsi di forze fino all'ora disperse, ma che sentivano l'esigenza di svolgere un'azione
organicamente inserita nella vita del paese326.

Troviamo in parte qui, nella concezione di rete attiva e del senso del suo intessersi, una
vicinanza di propositi con i Diggers di San Francisco; ma mentre essi si facevano pervasivi
323
P. P. PASOLINI, "Il vuoto del potere" ovvero "l'articolo delle lucciole", «Corriere della Sera», 1 febbraio
1975; pubblicato anche in P. P. PASOLINI, Scritti corsari, Milano, Garzanti, 2008.
324
T. D'URSO e F. TAVIANI, Lo straniero che danza, cit., p. 132.
325
Si fa qui riferimento all'articolo di Pasolini citato poco sopra.
326
T. D'URSO e F. TAVIANI, Lo straniero che danza, cit., p. 116.

164
nel fornire una filosofia di vita ed un nome collettivo che facesse da collettore per le
esperienze di liberazione e le loro espressioni; la scelta dell'Odin è invece di definizione
reciproca. L'esprimersi della forza culturale avviene a partire del riconoscimento di sé, il
luogo concettuale del baratto si fa possibilità maieutica continuativa nel non placarsi della
sua esplosione energetica, sul momento ha caratteristiche catartiche, che diventano
trampolino del percorso d'azione e non sfogo funzionalmente inibitorio (secondo la critica
Boaliana).
Così nel '75, l'anno seguente alla lunga permanenza salentina, ritornando in Puglia e nelle
regioni montane sarde, oltre alla richiesta di scambio hic et nunc, l'Odin chiedeva al
gruppo che li aveva invitati quale fosse per loro il problema sul quale incidere attivamente
che più avrebbero voluto risolvere; dalle molteplici risposte nasceva una mobilizzazione
pragmatica in tele senso. Così nascevano dal ceppo del baratto le diramazioni tentacolari
che si legavano alla roccia, nella continuità del tempo, nell'apporto di acqua vitale che da
forza alle radici di una pianta locale327.
Veniamo alle considerazioni finali, questo era come racconta Taviani lo schema (senza
schema) del funzionamento dei baratti:

L’Odin presentava il suo Libro delle danze. Poi qualcuno del posto si esibiva cantando, suonando. E faceva
ballare gran parte degli spettatori. La gente dell’Odin se ne stava seduta per terra, riposava ed osservava. Gli
attori erano diventati spettatori e viceversa. In qualche caso, verso la fine della serata, gli attori, con ancora i
loro costumi addosso, ballavano assieme agli altri328.

Ed il prosieguo:

Non ci fu mai un disordine, durante i baratti. E di ordine, dopo la prima ora, non ci fu mai traccia. Erano
grandi feste notturne, senza un committente, senza un responsabile, in onore di nessun Santo, di nessuna Idea
e di nessuna Madonna. Feste chissà perché329.
L'arco di permanenza del gruppo in Salento, ricordiamolo, va dal maggio fino alla metà di
327
Esempio efficace di questa pratica è raccontata da Barba, sul proprio intervento a Monteiasi, vicino a
Taranto, dove «un gruppo di giovani aveva di tasca propria affittato una camera e aveva portato alcuni dei
propri libri, col desiderio di creare una biblioteca per tutti, che era sempre mancata in paese. […] oltre al
“baratto”, abbiamo chiesto alla gente che voleva assistere allo spettacolo di portarci un libro. Era
paradossale: perché non pagare in denaro, e venire, invece, con un libro? Cosa sono queste pagine scritte
che hai contadini sono estranee, e che ora permettevano di avere accesso alla festa? Era il nostro desiderio
di appoggiare chi voleva rendere cosciente il proprio paese dell'utilità di qualcosa che apparentemente,
invece, è superfluo. E alla fine i libri venivano portati alla biblioteca, una piccola stanza buia, che per
molti di coloro che avevano partecipato era ormai diventata qualcosa di ben chiaro nella loro memoria» in
T. D'URSO e F. TAVIANI, Lo straniero che danza, cit., pp.132-133.
328
F. TAVIANI, Baratti, da http://www.odinteatretarchives.com/MEDIA/DOCUMENTS/NT_BARATTI.pdf, p.
13.
329
Ivi, p. 14.

165
ottobre del 1974. L'11-12-13 ottobre sono gli ultimi tre giorni, commiati e culmini si
radunano, Cruciani ne dice come di «una serie di attività che da un lato sembravano non
lasciarsi capire senza il sussidio di tutto ciò che era accaduto nei mesi precedenti, mentre
dall'altro (contradditoriamente) di tutta quell'attività sembravano non solo essere la
conclusione, il quinto atto, ma anche il resumé».
11 ottobre, paese di Martano, sera, l'Odin presenta il Libro delle danze, e si innesca lo
scambio del dono di ritorno: suoni, canti e antichi balli.
12 ottobre, Copertino, sfilata che conquista il paese: lo spazio pubblico, le strade, le case, i
tetti, le terrazze, i gradini, i balconi, il cornicione della facciata barocca della chiesa; tutti
questi spazi vengono percorsi e di volta in volta rielaborati in un nuovo scenario
immaginifico, vorticante di figure variopinte, vestiti tzigani, maschere primitive sui volti,
maschere giganti sui corpi, clown in bicicletta, acrobati in piroetta, una tromba, uno
sbandieratore si mescolano alla popolazione locale incuriosita, festante, partecipe.
Il ritmo è incalzante negli itinerari anomali basati su nuove tecniche per spettacoli
itineranti330, Cruciani si chiede se il giudizio in merito vada posto «in base al sogno di un
intero paese “animato”?»331. Nel prosieguo lo spettacolo di clown dell'Odin viene
rappresentato in piazza.
13 ottobre, domenica, è l'ultimo dei giorni di cinque mesi di presenza a Carpignano.

La mattina, la gente che esce dalla messa è sorpresa da un'azione che si svolge sulla piazzetta antistante la
chiesa: un diavolo e una ragazza col tamburo calano giù dai tetti e iniziano a lottare... La rappresentazione si
scioglie con una canzone salentina cantata dagli stranieri332.

Arrivati fin qui, ai protagonisti si aprono possibilità di percorrere altri bordi, su liminari
immaginari, i costantemente rispettosi osservatori delle altrui norme culturali e religiose,
l'ultimo giorno si permettono di giocare. Calati dal cielo di fronte al tempio di Cristo, gli
attori dell'Odin inscenano una lotta tra un Satana avversario (o alterego) e una donna
pronta a vibrare la sua pelle di tamburo sulla soglia del culto. Allegoria che si dipana nella
canto degli ospitanti (Salentini) cantata dagli ospiti (Odin), non più ospiti ma ancora
stranieri, stranieri conosciuti nella vicinanza, nella percezione di potersi stringere la mano
330
La compagnia aveva lavorato molto sull'elaborazione di strategie e tecniche per spettacoli in campo
aperto: «uso della voce in spazi aperti; modi di drammatizzare le relazioni fra i piani orizzontali e i
verticali (campanili, finestre, terrazze), fra il dentro e il fuori (porte che si aprono e si chiudono, androni,
cortili isolati, piazze e vie molto frequentate); modi di riunire i passanti trasformandoli in spettatori, di
raccogliere e dividere la folla».
331
T. D'URSO e F. TAVIANI, Lo straniero che danza, cit., p. 103.
332
Ivi, pp. 104-105.

166
ed essere dalla stessa parte, nella circolarità del dono. Poiché l'Odin a Carpignano non solo
ha dato qualcosa, ma ha anche imparato, in un rapporto che è ricchezza e il canto che trova
espressione nell'interpretazione che circola attraverso la voce degli stranieri è lì a
dimostrarlo.

Poi una lunga parata per la periferia e il centro del paese, di casa in casa. Un gruppo suona e canta, il clown
delle danze e un pifferaio ammantato di nero, con la maschera bianca, funzionano da punte di animazione e
scherzosa provocazione; i tre clown dello spettacolo girano tenendosi uniti come ciechi di Brueghel, coi
movimenti rallentati e l'espressione stolida. Si arrampicano su una gru, scendono per il palazzo in
costruzione, vengono giù dai muri. Gli attori sono conosciuti e salutati, la gente esce dalle case, a volte offre
qualcosa da bere, ma l'azione continua senza pause. Il corteo si frantuma, la ragazza-clown è rimasta indietro,
c'è solo una vecchia sulla porta di casa che la guarda compiaciuta: l'azione “scenica” della ragazza continua
per lei333.

Un carnevale non comandato per le strade del paese, con personaggi noti, nel loro essere
persone, nel loro essere maschere, case che si aprono, i piani che si intersecano, bicchieri
che si versano, ma le acrobazie continuano nel vorticare delle danze, foss'anche per
l'importanza di donare, pure a quell'ultima presenza.

Nel pomeriggio un falò sotto la pioggia, e la costruzione di un'altalena per i bambini di Carpignano334.

Come in un'immagine si fondono gli elementi che tra gli spazi-tempi delle rappresentazioni
vanno a incidere il concreto con la costruzione di un gioco per bambini.

La sera, lo spettacolo di danze non può essere fatto al chiuso, è venuta troppa gente, si tiene lo stesso nel
cortile, anche se l'acquazzone l'ha ridotto a una grande pozzanghera. La gente è curiosa e commossa. Sono tre
momenti delle danze che ho visto a Martano, ma il contesto è diverso. L'acqua e la gente ne esaltano valori
ed effetti. Lo spettacolo appare più consistente, più compatto, anche più duro335.

Del contesto come catalizzatore nel fluire di emozioni, con il fattore quantitativo di
rispondenza che incontra la qualità espressiva della proposta, in un connubio di scintille e
d'acqua.

L'ultima sera si conclude con una lunga festa nelle stanze dove abitano i componenti dell'Odin, vengono

333
Ivi, p. 105.
334
Ibidem.
335
Ivi, pp. 105-106.

167
centinaia di persone, si formano gruppi che cantano, che ballano, esplode l'arte di alcuni anziani che fanno
suonare i tamburelli.[...]. L'intera giornata si è trasformata in un grande spettacolo […] , ma spettacolo
ambiguo, contraddittorio, allegro e inquietante. Sembrava una distruzione, e siamo, invece, al centro stesso
del teatro. Non nel senso in cui una festa è teatro, ma nel senso forse opposto, che dalla festa si estrae il
teatro, cioè la visione inquietante per tutti di una contraddizione irrisolta336.

Con questa ultima giornata che si sviluppa in un divenire continuo avviene l'ultimo atto di
quella che attraverso il baratto e lo scambio di ruolo attori/pubblico ha costruito la sua
dinamica di reciprocità: attraverso la preparazione e l'interpretazione de Il libro delle danze
e preparando e lasciando in elaborazione Come! And the day will be ours ha manifestato il
suo lavoro teatrale; attraverso l'intersecazione dei più livelli degli spazi del paese, quello
pubblico nelle strade e quello privato nelle case, esplorati dall'alto al basso, per muri,
determinando l'emergere di un riconoscersi insieme, complesso e complessivo; attraverso
la festa finale come drammaturgia della coralità, del primato del gruppo, della espressività
del corpo, della immagine e della danza, del coinvolgimento e non della contemplazione;
rende possibile un momento culmine di co-produzione non solo del clima e dello spazio
della possibile alternanza espressiva, ma del fare espressivo stesso. Completando quella
che in fin dei conti è stata una performance lunga cinque mesi che ha coinvolto l'Odin e
Carpignano e tutti i territori delle convergenze attuate, determinando «una restituzione di
incantesimo al mondo e una metamorfosi di tutti coloro che vi partecipano» 337 e
riconoscendo così quanto, percorrendo i margini orizzonti altri si delineino.

336
Ivi, p. 106.
337
E. FISHER-LICHTE, Estetica del performativo, cit., p. 311.

168
8 - QUESTIONI ETICHE NELLA TECNICA INVISIBILE

Scopo di questo capitolo è riflettere ed indagare le questioni etiche che pone la pratica del
teatro invisibile dal punto di vista educativo, questa analisi viene attuata attraverso la lente
di una pedagogia sociale democratica e coscientizzante secondo i principi di Freire e
completandosi con strumenti provenienti da altre scienze sociali, quali: l'antropologia, la
sociologia e la psicologia sociale.
Come abbiamo potuto aver modo di verificare il teatro invisibile è una tecnica
particolarmente complessa, in quanto va ad interagire diversi piani semantici senza
rendersi intellegibile in quanto pratica teatrale ai soggetti ai quali si rivolge, ovvero nel suo
manifestarsi non si dichiara al pubblico; mentre è proprio l'insieme degli spettatori che
vuole coinvolgere in una reazione attiva contro una situazione di oppressione inscenata
dagli attori. Consideriamo indubbie le potenzialità del teatro invisibile in termini di innesco
di dinamiche sociali ma poniamo in piena attenzione dal punto di vista educativo e sociale
il concetto che i mezzi ben lungi dall'essere giustificati dai fini, determinano i risultati.
In particolare per pratiche che hanno come obiettivo il coinvolgimento dei soggetti ai quali
si rivolgono in una progressione coscientizzante, due delle caratteristiche fondamentali
devono essere – secondo Freire – il rispetto degli educandi e la non-manipolazione.
Come materiali di riferimento per la trattazione di questo delicato aspetto, si prendono in
analisi alcuni articoli e pubblicazioni di autori a cui fare riferimento, in particolare: Boal,
Burstow, Goffman, Freire, e Lorek-Jezinska, Schechner e Turner.
Nell'articolo scritto da Boal nel 1990, Invisibile Theatre: Liege, Belgium, 1978338, il
fondatore del TdO indica quest'episodio come la sua più ricca esperienza di teatro
invisibile. Articolo che non essendo stato oggetto di ritrattazioni, modifiche o
interrogazioni critiche posteriori alla pubblicazione può essere preso come riferimento
analitico di quanto accadde e delle riflessioni etiche (per quanto problematiche)
effettuatevi.
Nell'articolo Invisible theatre, ethics, and the adult educator, Burtow entra propriamente
nel merito delle problematiche etiche del teatro invisibile analizzandole da un’ottica
educativa e facendo delle interessanti proposte operative in merito; questo documentato e
pertinente lavoro rappresenta un riferimento in letteratura per le riflessioni che si vanno qui
ad affrontare.

338
A. BOAL, S. EPSTEIN, Invisible Theatre, cit. Si fa qui notare che l'articolo è stato scritto oltre un
decennio dopo l'accadimento dei fatti.

169
Questi primi due articoli per la loro rilevanza e la non reperibilità in lingua italiana, sono
stati interamente tradotti durante il lavoro di reperimento materiali per la scrittura della
tesi.
Se ci si limitasse a prendere in analisi questi due articoli si procederebbe a ribattere con
qualche modifica l'articolo di Burtow con il quale ci si trova metodologicamente e
contenutisticamente in accordo sugli interrogativi posti, mentre rispetto al quale resta
aperta la discussione sui giudizi e sulle proposte operative. Ma si sente la necessità di
inserire il dibattito etico ed in particolare la questione posta da Augusto Boal su verità
sincronica e verità diacronica all'interno di una prospettiva maggiormente amplia di analisi
delle scienze sociali: con il lavoro di Richard Schechner sulla teoria della performance che
in stretto dialogo con le ricerche di Victor Turner porta alla luce elementi cross-culturali
che si ritengono molto interessanti per approfondire quanto sia incerta una definizione
formale di separazione tra soggetto reale e ruolo attoriale. Lo studio, classico della
sociologia di Erving Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione del 1959,
permane un lavoro fondamentale per l'analisi della dimensione rappresentazionale del sé in
ogni ambito della vita reale, formulazione che incontra da vicino il concetto Boaliano di
maschere sociali. Si individuano inoltre, attraverso una prospettiva al contempo
pedagogica e antropologica, le carenze del teatro invisibile rispetto ai suoi fini di
coscientizzazione, infatti non configurandosi né come rito né come teatro questa tecnica
del TdO manca una caratteristica fondamentale di ogni processo trasformativo, ovvero la
sua riconoscibilità soggettiva e sociale in quanto pensabilità continuativa dell'esperienza
cosciente. La presenza di Paulo Freire, in quanto maestro dell'intreccio di pratiche e teorie
dell'educazione coscientizzante, è stata costante in tutta la scrittura di questa ricerca e lo
sarà anche in questo capitolo. Si termina la trattazione con l'analisi del caso concreto
riportato da Burstow e del caso rappresentato dall'azione del gruppo teatrale Akademia
Ruchu in Polonia che partendo dalla tecnica del teatro invisibile ne fa un uso sperimentale
e maieutico, contravvenendo ad alcune regole teoretiche ritenute da Boal imprescindibili
(ma alle quali egli stesso fece occasionali deroghe).

8.1 Il teatro invisibile nell'azione di Liegi: complessità inattese

Boal esordisce nel suo articolo sulle azioni di Liegi affermando di fare teatro invisibile dal
1971 ma di non aver mai partecipato ad un'esperienza tanto ricca come quella in questione,
foriera di questioni da discutere e problemi delicati da affrontare, tanto da fornire allo

170
stesso autore l'occasione per la maggior parte delle considerazioni sull'etica della tecnica.
Queste le sue parole:

What happened in Liege was an interesting experience for me. There were so many subjects to discuss and
delicate problems to deal with; so many people to talk to and so many unexpected events took place that we
ended up being much more aware of what theatre is about, its limitations, its functions, its dangers339.

La condizione di oppressione individuata dalla rappresentazione è la problematica sociale


della disoccupazione in Belgio e le conseguenze dirette che provoca nella vita delle
persone che la subiscono.
Nell'azione Francois, un giovane attore, effettua la sua spesa al supermercato riempiendo il
carrello solo di una fornitura minima di prodotti essenziali. Quando arriva alla cassa, prima
che la cassiera inizi a battere i prezzi, dichiara di essere disoccupato e di non essere in
grado di pagare; informa di aver provato a cercare lavoro ma che essendoci in Belgio
600.000 disoccupati è quanto mai difficile trovarne uno. In questo modo il problema viene
inquadrato sia nella sua dimensione individuale che in quella sociale; l'intento è quello di
far partecipare gli spettatori sia nella discussione sul contesto allargato che coinvolgerli
nell'affrontare la situazione imminente che gli si presenta di fronte.
Per stimolare il dialogo e le prese di posizione del pubblico, gli altri attori che interpretano
consumatori del negozio si inseriscono nella discussione esprimendo le varie opinioni dei
loro personaggi, posizione preparate in sede laboratoriale che vertono a problematizzare
criticamente l'argomento oppressivo presentato. Un'attrice chiamata Annie apostrofa
Francois dandogli dello sfaticato senza ritegno e afferma che «those who really want to get
a job always find one...»340, posizione questa che scarica colpevolmente sull'individuo il
peso della sua condizione sociale, allo stesso tempo altri attori esprimono dispiacere per lui
e forniscono informazioni sulla dura condizione delle persone disoccupate.
In breve tempo molti spettatori divengono sensibili alla situazione del disoccupato e
divengono effettivamente partecipi di una profonda discussione in merito. Francois
dicendo che vorrebbe pagare ma non può, offre il suo lavoro in cambio dei prodotti
alimentari proponendosi di sostituire la cassiera, appoggiato da un altro attore che prova a
convincere la lavoratrice a farsi dare il cambio dal disoccupato poiché egli vuole
semplicemente fare la stessa cosa che faceva lei stessa: lavorare per provvedere ai propri
bisogni.
339
Ivi, p. 24.
340
Ivi, p. 25.

171
A questo punto tutto il supermercato è coinvolto: c'è chi afferma di essere disoccupato a
sua volta e verbalizza la stima provata per il coraggio di Francois ad affermare la sua
condizione in pubblico, chi nonostante i dati forniti continua a ritenere individualmente
responsabile della sua situazione il ragazzo, chi è solidale, al punto che su iniziativa di un
attore viene organizzata una colletta per aiutare l'indigente nella situazione immediata con
il risultato di raccoglie il dovuto in un paio di minuti.
Nel frattempo dovendo affrontare una situazione nella quale non sapeva cosa fare, la
cassiera chiama la manager, la quale a sua volta chiama la polizia. Con i soldi raccolti
Francois paga la spesa e fa per andarsene, ma la manager infastidita dal disturbo arrecato al
suo negozio blocca con i carrelli l'uscita, in attesa dell'arrivo della forza pubblica. Quando
arriva la polizia, la manager chiede che Francois venga accusato di disturbo della quiete
pubblica e l'attore viene tradotto in caserma nonostante il tentativo di bloccare la volante
da parte dei solidali.
Anne, l'attrice che rappresenta la sua più convinta accusatrice, insistendo sul fatto di dover
essere testimone dell'interrogatorio riesce ad ottenere di accompagnare Francois ormai in
stato di fermo. In caserma, nello spirito del teatro invisibile, il protagonista continua ad
interpretare il suo ruolo implorando la polizia di capire la sua dura situazione di
disoccupato.
Sorge a questo punto un problema, infatti l'azione di teatro invisibile viene sottoposta a
ripresa filmica per una trasmissione televisiva, quindi Boal svela nel suo articolo la
presenza di una troupe e dell'apparecchiatura necessaria alla registrazione:

At this point, I must tell you something important. Annie Declerck, from Flemish TV, had asked to film an
invisible theatre piece for a program she was preparing on me and the theatre of the oppressed. Both my
group and I had agreed to the projectand so everything in the supermarket had been fimed. Francois had a
microphone inside his shirt. The sound technician had hidden his equipment among the fruit he was carrying
in his shopping cart. The camera operator had hidden the camera inside a plastic bag which had a small hole
the exact size of the lens341.

Dunque riprese coperte ed invisibili per un'azione di teatro invisibile, ciò si pone
interrogativamente rispetto all'indicazione di non svelamento della tecnica. In quanto
quest'occasione propone di mantenere la presunzione di realtà nell'immediato (a livello
sincronico) ma pospone nel tempo (a livello diacronico) uno svelamento di ben più ampia
portata, prevedendo la mediatizzazione dei materiali registrati tramite un programma
341
A. BOAL, S. EPSTEIN, Invisibile Theatre, cit., pp. 27-28.

172
televisivo. Ma vedremo i termini della questione sincronico/diacronico più
approfonditamente in seguito.
La condizione di messa in scena entra dunque in collisione con il dato di realtà quando gli
agenti scoprono il microfono e Francois deve ammettere di essere un attore con un buon
lavoro e conseguente salario. Irritati, gli agenti aggiungono una seconda accusa: aver fatto
una pubblica performance senza permesso.
L'interrogatorio e la durata del fermo è di sei ore, dopo le quali i due vengono rilasciati,
Francois ed Anne tornano al teatro dove i membri della compagnia al completo li
attendono preoccupati: «We were all actually really worried by now. Especially me,
because any problems with the police remind me of the arbitrariness of Latin American
police»342. Questa frase ci da l'idea dello stato emotivo di Boal che collega la posizione
d'autorità della polizia con la sua esperienza personale di attivista politico incarcerato e
torturato da agenti dello stato Brasiliano e al tempo stesso ci ricorda le origini storiche
della tecnica del teatro invisibile in quanto strategia per continuare a fare teatro politico
sotto regimi di dittatura.
Dopo aver appreso dell'accusa di performance non autorizzata, la compagnia considera di
accusare la polizia di censura artistica, seguendo questa idea Boal argomenta:

the police have no right too censor a theatre piece. To demand a permit for an invisible theatre event was
equivalent to making it visible, that is, that is destroying is very theatrical form. In order to continue as such,
the invisibile theatre has to be a clandestin theatre. If it becomes “visible”, the spectator takes a passive role
rather than her/his much more productive one as a true protagonist of the event. In short, the invisible theatre
cannot be subject to teh same rules which limit conventional theatre. To demand authorization means
stopping aesthetic research. Since there is no censorship in Belgium, and a permit would be a form of it, we
are entitled to accuse the police of harrasment343.

Coerentemente per una tecnica che nasce clandestina, sottoporsi alla burocratizzazione dei
permessi equivale non solo a negarsi teoricamente ma propriamente a rendersi
inapplicabile praticamente. Inoltre l'insieme della pratica del TdO muove nella direzione di
ampliamento del diritto in senso di partecipazione democratica e non nel verso contrario di
limitazione e normatività delle possibilità espressive.
Nel frattempo, l'intero episodio causa una certa pubblicità alla compagnia di teatro che due
giorni dopo ha in programma una rappresentazione di tre differenti scene di teatro forum:
su razzismo, disoccupazione e liberazione delle donne. L'attenzione pubblica generatasi
342
Ivi, p. 28.
343
Ibidem.

173
porta per quest'occasione ad un grande afflusso di pubblico.
Ciò che accade quel giorno prova la sostanziale imprevedibilità di quanto può accadere
nelle azioni di teatro invisibile anche se in un'accezione oltremodo inaspettata, per quanto
Burtow sostenga che «it was perhaps expectable that sooner or later, someone might decide
to turn the tables on Boal»344.
Arriva il giorno della rappresentazione del forum, il teatro è pieno, Boal sta conversando
tranquillamente, quando tre agenti di polizia con un cane che abbaia furiosamente gli
chiedono di identificarsi e poi gli dicono di seguirli cercando di trarlo in arresto, la risposta
dei collaboratori della compagnia è pronta e fa si che Boal venga portato in una stanza
privata del backstage e che i poliziotti siano fatti uscire dal teatro. Visto che Boal è in
Belgio legalmente, l'operato della polizia risulta completamente illegittimo, il gruppo
decide quindi di protestare, di informare i media e le autorità locali. L'avvocato del gruppo
chiama le differenti forze di polizia per avere informazioni rispetto all'operazione, ma da
nessuna parte è arrivato l'ordine di intervenire per l'arresto.
Procedendo all'analisi della situazione, il gruppo di Boal capisce che gli agenti di polizia
erano falsi ed inizialmente la compagnia propende verso la tesi che possano essere
appartenenti a un gruppo di destra infastidito dall'impegno sociale e che vuole porre
pressione sugli attivisti, ma questa si prova presto errata. Nel frattempo tutti i rifugiati
senza i documenti e gli immigrati irregolari attraversano momenti particolarmente
ansiogeni per il timore di possibili controlli.
Quando finalmente si scopre che la polizia che ha provocato il ritardo e tutta l'ansia è stata
causata da attori appartenenti ad un'altra compagnia teatrale, il Cirque Divers, che così
facendo attuano il loro evidentemente triste tentativo di pratica del teatro invisibile, la
prova di ciò avviene per ammissione di un'attrice del gruppo. Boal diventa furioso:
diversamente dalla sua compagnia, il cui lavoro sociale di teatro forum è stato distrutto
senza scrupoli, quest'altra compagnia ha agito vergognosamente.
Nel teatro sono presenti oltre all'attrice, altri due attori (uno dei quali intento a
videoriprendere i fatti) che confermano il loro coinvolgimento. Alla domanda sul perché
agirono di tale azione, le risposte sono: « “We do not trust people any longer!”, “We
wanted to experiment with invisible theatre techniques”, “We wanted to demonstrate that
people act according to Pavlovian reflexion, that is, conditioned reflexes in any given
circumstances!”»345; inoltre gli autori della trovata poliziesca chiedono aiuto e protezione

344
B. BURSTOW, Invisible theatre, cit., p. 276.
345
A. BOAL, S. EPSTEIN, Invisible Theatre, cit., p. 31.

174
per riuscire ad uscire dal teatro poiché le persone presenti sono comprensibilmente
arrabbiate.

8.2 Interrogativi e limiti delle riflessioni di Boal

Le interpretazioni che diede il gruppo di Boal al comportamento degli attori del Cirque
Divers furono diverse. Copferman formulò la spiegazione secondo la quale gli attori del
Cirque Divers avevano voluto usare il TdO, dal quale in realtà si sentono minacciati,
contro il suo ideatore. Si sentivano a rischio in quanto artisti, persone sovraccaricate con un
ruolo eccezionale nella società, mentre il TdO prova esattamente l'opposto: la creazione
artistica è attinente ad ogni essere umano, in ciò consiste l'idea di restituire il teatro al
popolo in quanto mezzo di produzione artistica. Quindi gli attori del Cirque Divers
avevano usato strumentalmente il teatro invisibile contro Boal per proteggere se stessi.
La seconda ipotesi fu che agirono per gelosia, infatti, anche il Cirque Divers aveva invitato
Boal per fare un workshop, incassando il rifiuto di questi che invece accettò l'invito di un
altro gruppo locale. Fu quindi per una reazione di gelosia che il Cirque Divers decise di
rovinare la performance di teatro forum del gruppo, a detta di Boal, rivale ed impossessarsi
in questo modo della scena.
Boal nell'analizzare gli eventi sottolinea che non esistono tecniche pure, ogni teoria per
quanto elaborata in termini liberatori se travisata e utilizzata strumentalmente può essere
orientata per scopi opposti a quelli originariamente previsti, la variabile umana ha come
caratteristica specifica l'imprevedibilità d'azione, ben contrariamente alla volontà di
dimostrazione di reazione Pavloviana secondo la meccanica consequenziale stimolo-
risposta.
L'analisi prosegue affermando che:

THE INVISIBLE THEATRE never places itself in an illegal position because it does not intend to violate the
law. It intends to question the legitimacy of the law, which is a very different matter altogether.
[…] Because laws can be written by anybody, […]. Laws are only promulgated by those who have the power
to make them. Every dictatorship is eager to legalize the illegal act that brought them to power. Therefore, a
law promulgated by the military has no validity. No law is valid unless it has the support of the people to
which it will apply. This is precisly the importance of invisible theatre (and of other thetre of the oppressed
techniques): the difference between the concepts of legality and legitimacy346.

346
Ivi, p. 32.

175
Questo argomento di Boal è problematico per differenti ragioni, in primo luogo, come fa
notare anche Burtow347, violare la legge non costituisce necessariamente un atto immorale
quanto rimanere all'interno della sua normatività non garantisce in alcun modo di star
agendo eticamente; questo è ben noto quando si dice che ogni regime dittatoriale nel
periodo immediatamente successivo alla presa del potere, legalizza, promulgando leggi ad
hoc, la sua condizione d'illegalità e gli atti illegali che hanno permesso la presa del potere.
E cosa dire dell'origine storica del teatro invisibile, che si fa clandestino per evitare i divieti
apposti al teatro politico e quindi viola le leggi che lo vogliono annullato, represso, finito?
Si dovrebbe inoltre dare una collocazione storico-politica alle azioni di invisibile, così da
poter fare considerazioni qualitativamente dialettiche, secondo il differente caso in cui la
tecnica sia posta in opera in regimi dittatoriali o in stai liberali, differentemente repressivi e
garantisti.
La questione sulla validità delle leggi, come posta da Boal nella citazione, determina che si
scontrino due piani: quello ideale348, secondo cui le leggi dovrebbero essere valide solo in
caso abbiano il supporto di coloro ai quali si applicano, secondo un principio di
legittimazione dal basso per il quale, ad esempio, le leggi militari in dittatura non
avrebbero validità; e il piano reale che prevede la validità delle leggi secondo il potere di
chi le promulga ed è detentore della macchina politico-amministrativa che ne permetta
l'applicazione, in tal senso, per quanto concerne la base: sopportare è notevolmente diverso
dal supportare ed il fatto di non rivoltarvisi contro certo compartecipa a permetterne la
continuazione ma significa altro dal darne una legittimazione di base. Il concetto di
legittimità senza chiamare in causa la sfera dell'etica appare qui molto debole.
E cosa succede quando la legittimazione è prodotta da induzione? Infatti la maggior parte
delle oppressioni esiste legalmente, è socialmente determinata e trova giustificazioni di
vario genere, anche Boal chiama in causa la situazione di oppressione di metà dell'umanità
sull'altra metà in fatto di subordinazione delle donne, dice «a law which is imposed on half

347
B. BURSTOW, Invisible theatre, cit., p. 277.
348
Nella direzione di far tendere il piano ideale verso quello reale va l'esperienza del Teatro Legislativo,
elaborata da Boal quando viene eletto alla Camera dei Vereadores (una sorta di Consiglio comunale) di
Rio, nel 1993 (e fino al 1996) per il PT (Partito dei Lavoratori). Boal chiama a lavorare con lui una
ventina dei suoi animatori che lo avevano accompagnato durante la campagna elettorale. Imposta un
programma di lavoro che parte attivando decine di laboratori teatrali presso gruppi organizzati della
popolazione: disoccupati, senza terra, donne, omosessuali, abitanti delle favelas, etc. Gli animatori
costruiscono percorsi che permettono ai gruppi di esprimere le urgenze e i problemi piu' sentiti e metterli
in scena; questi pezzi sono presentati come Teatro-Forum a gruppi simili e talvolta anche in festival.
Dagli interventi del pubblico nascono idee e alternative di soluzione che vengono raccolte
sistematicamente dagli animatori e portate nell'Ufficio di Boal. Qui, un gruppo di legali, trasforma questo
materiale, lo pulisce e lo rida' sotto forma di proposte di Legge che Boal presenta nella Camera. Cfr. A.
BOAL, Dal desiderio alla legge. Manuale del teatro di cittadinanza, Molfetta (BA), La Meridiana, 2002.

176
of humankind cannot be legitimate since it does not have the consensus of its victimes, that
is, women»349.
E quando il potere e le leggi che emana sono riconosciute attraverso le strutture del
dominio introiettate dal soggetto dominato? Non senza una componente di provocazione, il
sociologo Pierre Bourdieu ha proposto una tesi secondo la quale ogni vittima è co-
costruttrice della propria oppressione, in tal senso in Il dominio maschile ha scritto:

Poiché il fondamento della violenza simbolica risiede non in coscienze mistificate che sarebbe sufficiente
illuminare, bensì in disposizioni adattate alle strutture di dominio di cui sono il prodotto, ci si può attendere
una rottura del rapporto di complicità che le vittime del dominio simbolico stabiliscono con i dominanti solo
da una trasformazione radicale delle condizioni sociali di produzione delle disposizioni che portano i

dominati ad assumere sui dominanti e su se stessi il punto di vista dei dominanti350.

Boal stesso in Il sistema tragico coercitivo di Aristotele, struttura una lettura dell'opera del
filosofo greco e della funzionalità catartica della tragedia in ottica repressiva, partendo da
una critica del principio stesso di ineguaglianza sul quale si fondano i governi e le leggi
che emanano. Secondo Boal, per Aristotele il principio per decretare l'ineguaglianza
consiste nel partire dalla realtà concreta, trovare la maniera empirica per individuare le
ineguaglianze reali e basare su di esse i criteri di ineguaglianza riconosciuta.
In questo modo si giustificano le condizioni di oppressione presenti nei sistemi di governo,
le si naturalizzano facendone la base di definizione dei criteri di giustizia; è questa «la
tendenza di ogni ordine stabilito a produrre la naturalizzazione delle propria arbitrarietà»
facendo si che «la tradizione venga esperita come un mondo naturale e accettata come
vera»351: in questo modo attraverso la naturalizzazione e destoricizzazione del sistema dei
rapporti sociali se ne occulta il reale contenuto di diseguaglianza. Citando direttamente
Boal:

Arriviamo così alla conclusione che la giustizia non è l'uguaglianza: la giustizia è la proporzionalità. E i
criteri di proporzionalità sono definiti dal sistema politico in vigore nella città in questione. La giustizia sarà
sempre la proporzionalità, ma i criteri che la determinano varieranno a seconda che si tratti di una
democrazia, di un'oligarchia, di una dittatura, di una repubblica...352

349
A. BOAL, S. EPSTEIN, Invisible theatre, p. 32.
350
P. BOURDIEU, Il dominio maschile, Milano, Feltrinelli, 1998, p. 53.
351
P. BOURDIEU, Outline of a theory of practice, Cambridge, Cambridge University Press, 1977, p. 164.
352
A. BOAL, Il teatro degli oppressi, cit., p. 169.

177
Quei criteri di diseguaglianza che possono portare alla conoscenza del tutto nella ars
majoris della scienza politica sono codificati attraverso la legislazione, e le leggi seguendo
il criterio di disuguaglianza riconosciuta non sono mai scritte dagli esseri inferiori
(secondo il tempo: donne, schiavi, poveri). Qui risiede la grande attualità della critica di
Boal, in quanto nei criteri della rappresentatività continuano le mancanze e le
discriminazioni di genere, razziste, economiche e genericamente verso le minoranze; le
leggi per governare le facevano e le fanno tutt'ora principalmente persone di genere
maschile, bianchi, abbienti ed eteronormati.
Continuando nella lettura Boaliana di Aristotele: se le leggi fossero scritte dagli esseri
inferiori, sarebbero leggi a loro immagine e somiglianza e quindi leggi inferiori, sarebbe
quindi impossibile con esse tendere alla perfezione attraverso il governo della società
nell'arte politica; dunque – dice il filosofo greco – perché le leggi siano superiori, bisogna
che esse siano fatte da esseri superiori.
La questione della diseguaglianza, nelle conseguenze biopolitiche del governo della
popolazione, è un tema che perdura nelle epoche e che emerge ai tempi odierni in quelle
che Georges Canghilhem definisce le politiche della vita, le scelte che ogni società proietta
in termini di previdenza sociale e distribuzione delle risorse sulla vita dei propri membri,
esprimendo nei fatti un giudizio di valore sui differenti soggetti; Didier Fassin al proposito
esemplifica che:

l'aspettativa sulla vita media, ma anche le diseguaglianze esistenti tra le diverse aspettative di vita, riguardano
[…] una forma di etica politica che in Francia si manifesta per esempio con il fatto che a un operaio non
specializzato di trentacinque anni restano nove anni in meno da vivere rispetto a un professore o a un medico
della stessa età, e che negli Stati Uniti il tasso di sopravvivenza a sessantacinque anni è due volte minore tra i
neri dei quartieri poveri rispetto all'insieme della popolazione bianca353.

Decretando la sottomissione al principio oppressivo di diseguaglianza, Aristotele secondo


la lettura che ne dà Boal sostiene che la felicità consiste nell'obbedire alle leggi, e dice
anche che «la guerra talvolta è necessaria»354.
Poiché chi scrive ed applica le leggi tutela la propria condizione di privilegio, ma per
coloro che le subiscono è comprensibile che si ribellino e cerchino di modificare le leggi
che li penalizzano, poiché le leggi sono modificabili come lo è la realtà, è proprio in questo

353
D. FASSIN, Ripoliticizzare il mondo, Studi antropologici sulla vita, il corpo e la morale, Verona,
Ombrecorte, 2014, p.13.
354
A. BOAL, Il teatro degli oppressi, cit., p. 170.

178
caso che si possono a ragione, secondo le necessità di chi governa, scatenare le
belligeranze e dare l'avvio alla guerra, secondo l'adagio di Clausterwitz che vede nella
guerra, la continuazione della politica con altri mezzi.
Tornando ora al caso di Liegi: Boal accusa gli attori del Cirque Divers non solo di aver
utilizzato le tecniche del TdO per intensificare oppressioni già esistenti, ma anche di aver
commesso un atto illegale, vestendo le uniformi della polizia e presentandosi per tale.
Quella di Boal è fondamentalmente, dice Burtow, un'analisi buono/cattivo, con persone
giudicate per aver agito bene nettamente separate da persone giudicate per aver agito male.
Secondo Boal il suo gruppo e gli spettatori hanno agito bene; ad aver agito male sono il
Cirque Divers, la cassiera, la manager e la vera polizia, con il Cirque Divers e la polizia
come problemi primari. Ai poliziotti viene attribuito il fatto di aver impedito
illegittimamente una legittima azione teatrale. Più seriamente, il Cirque Divers, è accusato
di aver sabotato il legittimo lavoro della compagnia, e di aver compiuto un'azione illegale
di appropriazione abusiva dell'identità di qualcun altro (i poliziotti).
In breve, nell'analisi di Boal, ci sono persecutori e vittime. E chi è le vittime? Solo due
gruppi, ossia il gruppo di Boal e il pubblico del forum. Al contrario, tutti coloro che hanno
causato loro dei problemi erano persecutori.
Burtow riconosce le motivazioni per le quali si abbiano delle remore verso la polizia e i
suoi possibili abusi e riconosce la differenza in ottica di coscientizzazione fra le azioni
della compagnia di Boal e quelle del Cirque Divers.
Infatti il gruppo di Boal era impegnato in un'azione di educazione e liberazione, stava
usando la finzione per aumentare la consapevolezza e ridurre l'oppressione nel mondo;
mentre il Cirque Divers agiva in maniera pretestuosa e spietata prendendo a giustificazione
il fatto di aver perso fiducia nelle persone – cosa che interpretò con il fatto che il gruppo si
sentiva nella possibilità di trattare le persone a loro piacere.
Ma ciò a cui vuole arrivare Burtow è: perché nelle sue analisi critiche Boal non si
coinvolge, cogliendo l'occasione di un abuso della tecnica per attuare una riflessione
autocritica sul fondamento del teatro invisibile che fa credere agli altri che una situazione
sia vera nella realtà, quando vera non è, provocando una crisi nella vita reale delle persone
chiamate a intervenire.

That notwithstanding, it is clear that much of what Boal found Cirque Divers guilty of, his liekwise ingaged
in. Boal's actors also disrupted people's lives, including the lives of working people like the cashier and the
shoppers. Correspondingly, Boal's actor also assumed identities not remotely their own to catch people up in

179
fictitious crisis. This being the case, Boal's exsoneration of his own group must give us pause. The question
is: What ethical claims about invisible theatre underline such judgement? And what validity can we extend
to those claims355?

Qual è dunque il primato etico che garantisce sull'operato di Boal e quale raggio di validità
detiene? Da altre parti arrivano critiche che non si pongono in ottica interrogativa riguardo
la tecnica invisibile, bensì ne condannano esplicitamente l'utilizzo. Il teorico del teatro
David George, che abbiamo già visto essere detrattore di Boal, ritiene il teatro invisibile
invasivo e manipolatorio verso persone che sono spinte coercitivamente nella dinamica di
attivazione dello spettatore. Per sostanziare questa sua tesi, George cita anche il professore
e critico di teatro brasiliano Almeida Pardo, leggiamone le parole:

In retrospect one can question the efficacy and ethics of invisible theatre. As Décio Almeida Pardo writes
(119): "Brecht criticara o realismo por seu ilusionismo, por burlar os spectatores, dando-lhes a falsa
impressão de realidade. Boal, partido do brechtianismo, chega a um engano muito maior, quase a uma cilada.
O seu teatro só é invisível para os que não estão dentro do segredo". Whether a consciousness-raising game is
conducted in a resturant in Perú or in a supermarket in Liège, Belgium, the exercise disrupts the labor of
working people, waiters and check-out clerks, who are being manipulated, coerced into "audience
participation", if not harassed, without their consent356.

Eppure Boal arriva a porsi la questione etica, dopo aver accusato il Cirque Divers di aver
commesso un atto illegittimo, abusivo ed illegale impersonando il ruolo di agenti di polizia
invisibilmente, si chiede se ciò non sia quanto accade sempre in teatro: un soggetto che
interpreta un ruolo, una persona che simula di esserne un'altra. Ed arriva a nominare
interrogativamente il grande discrimine della pratica invisibile: «if the spectator knows that
the actor is playing a role, it's fine, but if the spectator does not know that she is dealing
with an actor and belives herself to be in the presence of a “real person”, is this correct?».
La questione che si pone in definitiva è se sia eticamente giusto assumere un'altra identità e
utilizzarla abusivamente, non dichiaratamente.
Quindi a livello di analisi, Boal riassume quella posizione di professionista e attivista
riflessivo. Soggetto che dopo aver esperito la dimensione dell'azione ripercorre quanto
fatto e rielabora l'esperienza, mettendo in gioco, come dice Milani, «la riflessività che
porta a fare dell'esperito, ossia dello sperimentato come flusso di esperienza, un'esperienza

355
B. BURSTOW, Invisible theatre, cit., p. 277.
356
D. ALMEIDA PARDO, O Teatro Brasileiro Moderno, São Paulo, Editora Perspectiva/Editora da
Universidade de São Paulo, 1988 cit. in D. S. GEORGE, Theatre of the Oppressed, cit., p. 39.

180
che può essere messa in comune, riutilizzata, ri-creata»357 e cercando così possibilità di
evoluzione della pratica generale del teatro invisibile.
Quindi ad una domanda profonda, stratificata e critica che emerge e viene ad imporsi, la
risposta offerta da Boal risulta semplicistica ed assiomatica, qui ci si permette di pensare
che uno dei problemi della teorizzazione della tecnica teatro invisibile sia che a fronte di
una pratica tanto complessa e portatrice di interrogativi specifici, a teorizzarla sia
sostanzialmente sempre una sola persona.
La risposta che dà e si dà Boal si sviluppa su due piani, il primo che comprende il secondo.
Primo, dicendo che le tecniche del teatro dell'oppresso servono per aiutare gli oppressi e,
spingendosi oltre, affermando che sono loro armi di liberazione, pone il concetto in
epigrafe e lo innalza a livello teleologico. Essendo il teatro invisibile una tecnica del teatro
dell'oppresso ed essendo questo metodo uno strumento di liberazione, quanto avviene sotto
la sua egida in ragione del suo fine, acquisisce una dimensione etica. Questo argomento
costituisce il contenitore onnicomprensivo che va a rispondere, o meglio dire ad eludere,
gli interrogativi etici riguardanti la totale inconsapevolezza del pubblico sulla matrice
teatrale nell'azione invisibile.
Secondo, si enuncia che non esiste un solo tipo di verità. Ovvero, ciò che accade nella
contemporaneità dello svolgimento temporale della storia costituisce la verità sincronica,
ma vi è anche un secondo tipo di verità, ciò che essendo già accaduto nel passato storico
costituisce patrimonio di verità, essa è definita verità diacronica. Dunque interpretare un
fatto realmente accaduto (nello sterminato patrimonio dell'umano) storicamente e riportarlo
nello svolgersi del qui ed ora attuale, non costituisce operazione fraudolenta ma
riproposizione di verità, in termini diacronici.
Questa elaborazione sui differenti tempi della verità, che approfondiremo più avanti, viene
comunque inquadrata nella cornice di garanzia etica generalizzata, come abbiamo visto
poco prima, alla quale si riconducono le tecniche e le forme di tutto il TdO; quindi la
riproposizione della verità in termini diacronici deve essere impiegata sul fronte valoriale
che avversa e combatte i rapporti di dominio attraverso la pratica teatrale invisibile.
Dunque se gli interrogativi non mancano, le risposte date da Boal sono semplicistiche in
termini dialettici e elitarie in termini teleologici; non assumono la complessità
problematica nei seguenti ambiti:
a) coerenza tra mezzi e fini in una prospettiva etica;
b)abolizione di una dicotomia attori/spettatori costruendone un'altra
357
L. MILANI, Collettiva-Mente, cit., p. 152.

181
consapevoli/inconsapevoli del fatto teatrale;
c) mancanza di coinvolgimento cosciente del soggetto che si vuole portare alla (al quale si
vuole imporre la) coscientizzazione;
d) esposizione al pericolo diretto dei soggetti coinvolti;
e) rievocazione di eventi traumatici nelle persone interagenti l'azione;
f) ripercussioni nel tempo delle azioni effettuate.
Si evidenzia come necessità una ricerca che assuma questi interrogativi in profondità, in
una prospettiva che intrecci etica, formazione, scienze sociali, teatro sociale e condizione
storica.

8.3 La trasformazione del soggetto tra rito e teatro: sguardi antropologici

Il passaggio da soggetto privo di coscientizzazione a soggetto coscientizzato costituisce il


passaggio di status, l'evoluzione del soggetto, alla quale sia la pedagogia che il teatro degli
oppressi hanno per obiettivo, in quanto enti sociali formativi essa costituisce la loro
mission.
Come abbiamo già avuto modo di dire, la dinamica di coscientizzazione ha elevati
riferimenti etici connessi secondo principi di giustizia sociale alla trasformabilità della
storia; la coscientizzazione costituisce il passaggio di status che permette al soggetto di
essere agente di sé stesso e di conseguenza accedere alla possibilità di essere autore della
storia (soggetto che partecipa alla determinazione del presente).
Proprio per il suo essere concetto cardine sul quale si fondano queste metodologie degli
oppressi non si può trascurare il fattore temporale di acquisizione di questo nuovo status
coscientizzato. Difatti non è semplicemente acquisire coscienza di un fatto particolare,
cogliendone i meccanismi insiti e contestualmente sociali e politici, che ne permette la
conquista, l'affermazione; ma si tratta dello sviluppo di una capacità complessiva che
permette di imprimere un'interpretazione critica del mondo, non di un modello
interpretativo statico ma di un attitudine che si acquisisce nel passaggio dall'essere nel
mondo in quanto soggetti passivamente diretti, all'essere con il mondo nell'essere soggetti
attivamente propositori in funzione democratica diretta. Inoltre, possiamo dire che la
coscientizzazione si nutre del suo divenire critico, in termini di analisi sociale svelatoria
delle condizioni inique (la cui necessità è presente continuamente), e del suo attivismo
pragmatico avvalentesi delle capacità osservative.
Nella circolarità fra ricerca e azione, fra soggetto individuale e soggetto collettivo, vive la

182
coscientizzazione. Compresenza di maturazione temporale e qualitativa:

Se non c'è coscientizzazione senza rivelazione della realtà oggettiva, come oggetto della conoscenza da parte
dei soggetti coinvolti nel suo processo, la rivelazione soltanto non è ancora sufficiente, anche se da essa ne
deriva una nuova percezione della realtà ora rivelatasi, per autenticare la coscientizzazione. Così come il
ciclo gnoseologico non finisce al momento dell'acquisizione della conoscenza esistente, dato che si prolunga
fino alla fase della creazione di una nuova conoscenza, la coscientizzazione non può fermarsi alla tappa della
rivelazione della realtà. La sua autenticità avviene quando la pratica della rivelazione della realtà costituisce
un'unità dialettica con la pratica della trasformazione della realtà358.

Porre accanto all'interrogativo etico, la domanda inerente la soddisfazione degli obiettivi


dell'invisibile ci permette non equivocare, non volendo ergerci a giudici etici, sull'analisi
della tecnica e sulle conseguenze determinate dalla sua conoscibilità e non-conoscibilità.
Nel suo essere agito, il teatro invisibile rivela un prototipo oggettivo di una condizione di
oppressione, l'inconsapevolezza degli spett-attori ne produce una conoscibilità in quanto
realtà, poiché la sua artificiale induzione non è resa nota; la condizione di
inconsapevolezza degli spett-attori ne determina l'inconoscibilità in quanto teatro
invisibile. Ma è il modello teorico-operativo del teatro invisibile che si vuole produttore di
coscientizzazione, non il fatto particolare d'oppressione nella realtà che accade in sé.
La coscientizzazione non è un’arma nelle mani dell'oppresso, la coscientizzazione è la
possibilità di avere delle armi e, poiché mezzi e fini sono direttamente e continuativamente
interconnessi, di orientarne l'utilizzo. Per calare nel profondo di quanto andiamo
affermando facciamo tesoro e utilizziamo i sapienti strumenti di analisi che elabora Furio
Jesi, in veste di mitologo, nella sua concettualizzazione di macchina mitologica in
riferimento e sostituzione al mito e di macchina antropologica in sostituzione all'uomo. Il
concetto di macchina mitologica viene individuato per smascherare la violenza dell'utilizzo
da parte dell'autorità-potere del mito «incaricato della funzione di consacrare le forme di
un presente che vuole essere coincidenza con un eterno presente»359, in quanto il nostro
rapporto con il passato non è mai separabile dal rapporto con il potere, in quanto la
memoria non è neutra, piuttosto viene continuamente selezionata e trasmessa.
La narrazione del mito per lungo tempo, prima che esistesse la storia come pratica
storiografica, consiste in quella struttura portatrice di memoria che ha permesso la

358
P. FREIRE, Pedagogia della speranza, cit. p. 108. Cit. apparsa in Brasile in Açao cultural para a
liberdade e outros escritos, Rio de Janeiro, Paz e Terra, 1976; e negli Stati Uniti con in The Politics of
Education, Massachusetts, Bergin and Garvey Pub, 1986.
359
F. JESI, Esoterismo e linguaggio mitologico; Studi su Rainer Maria Rilke, Macerata, Quodlibet, 2002.

183
trasmissione dell'interpretazione della memoria. Per ciò che attiene all'antropologia, Jesi
elabora il concetto di macchina antropologica in quanto rappresentazione dell'uomo da
parte della scienza sociale e non studio dell'uomo in sé:

È lecito in una ricerca scientifica dar credito a quanto le macchine dicono o tacitamente lasciano intendere
circa il loro presunto motore immobile e invisibile? Nulla permette di rispondere in senso affermativo, anche
se indubbiamente occorre vincere una certa ripugnanza per accettare di sostituire – come oggetti di studio –
la macchina mitologica al mito, la macchina antropologica all'uomo. Sorge il sospetto, d'altronde, che questa
conclusione sia l'obiettivo recondito e camuffato delle macchine stesse, dunque il punto cui mirano le forze
sociali che dominano le situazioni culturali entro le quali le macchine sono vere e funzionanti. Le macchine
sembrano lasciar intendere di contenere realtà inaccessibili; ma non possiamo escludere che questa sia
proprio la loro astuzia (cioè la forza di conservazione delle dominanti sociali che consentono l'esistenza delle
macchine): alludere ad un primo motore immobile, proprio per non essere credute, e dunque indurre a
credere unicamente in loro, nelle macchine, vuote, barriere costituite di meccanismi produttivi che isolano da
ciò che non produce, tanto da renderlo apparentemente inesistente.
Ma per scoprire se questa astuzia delle macchine è veramente tale, e se di là da esse ciò che non produce è,
occorre distruggere non le macchine in sé, le quali si riformerebbero come le teste dell'idra, bensì la
situazione che rende vere e produttive le macchine. La possibilità di questa distruzione è esclusivamente
politica; il suo rischio, dal punto di vista gnoseologico, è che le macchine siano davvero vuote e che dunque,
dimostrata infine la loro vacuità, essa stessa si imponga come una paradossale macchina negativa che
produce il nulla dal nulla. Non si tratta tuttavia di un vero rischio, dal momento che ci è per ora impossibile,
prima della distruzione, avanzare qualsiasi ipotesi attendibile circa il dopo (la stessa espressione «macchina
negativa che produce il nulla dal nulla» è legata all'oggi, è il prevedibile oggi, dunque il più improbabile
domani). Distruggere la situazione che rende vere e produttive le macchine – la «macchina antropologica», la
«macchina mitologica» - significa, d'altronde, spingersi oltre i limiti della cultura borghese, non solo cercare
di deformarne un poco le barriere confinarie360.

La lunga citazione riportata ci interessa tanto perché: pone a fuoco il meccanismo di


enunciazione del mito da parte del potere, essenzialmente, per attuare una critica radicale
del potere occorre comprenderne le dimensioni di rappresentazione e narrazione;
contemporaneamente ciò è valido per le rappresentazioni attuate nello studio dell'altro, il
diverso. Vediamo come anche Jesi nei suoi studi sul mito e sulla conoscibilità della festa,
spalanca drasticamente le porte all'assunzione di una scelta politicamente critica della
scienza antropologica.
Inoltre il mito dell'Idra di Lerna, mostro dalle molteplici teste generato da Tifone ed
Echidna e allevato da Giunone, evocato per dire quanto lo svelamento di una macchina non

360
F. JESI, La festa. Antropologia etnologia folklore, Torino, Rosenberg & Sellier, 1977, pp. 27-28.

184
può che condurre al rigenerarsi di un'altra, caratterizzandosi nella molteplice riproducibilità
dell'autorità-potere; unica via per smontare la macchina mitologica è la distruzione per
intero della cultura che ne determina e permette l'esistenza ed il funzionamento, la cultura
borghese intesa come cultura fondata sul dominio. Questa idea svelatoria e distruttiva
procede nella stessa direzione del procedere del teatro dell'oppresso.
Boal in Teatro-mito, paragrafo del saggio La poetica dell'oppresso, trattando dell'utilizzo
della narrazione mitica da parte dell'oppressore dice: «si tratta semplicemente di scoprire
ciò […] che si nasconde dietro al mito: raccontare una storia con rigore logico, rivelando le
verità evidenti»361.
Nel TdO l'identificazione della situazione di oppressione, determina la rivelazione di uno
scontro conflittuale e ne fa cogliere la collocazione dei soggetti, avere accesso alla visione
dell'operarsi del dominio significa vedere una testa dell'Idra; l'azione all'interno della sfera
teatrale per opporsi e modificare efficacemente la condizione di dominio agendo in una
dinamica di liberazione, significa armarsi per colpire una testa dell'Idra; vedere nelle
tecniche del teatro dell'oppresso, escluso il teatro invisibile, una lente analitica
d'interpretazione della complessità del mondo e del potere, significa accedere alla
coscientizzazione che coglie l'insieme e può puntare al cuore dell'Idra e alla sua
distruzione.
Bisogna però procedere con attenzione poiché la distruzione dell'Idra può diventare essa
stessa un mito se non si è in grado di comprendere la vita sociale in tutta la sua complessità
comportamentale, a questo proposito secondo Turner:

[la vita sociale] anche nei suoi momenti di apparente quiete è eminentemente 'gravida' di drammi sociali. È
come se ciascuno di noi avesse una faccia 'della pace' e una 'della guerra', come se fossimo programmati per
la cooperazione, ma preparati per il conflitto. La modalità agonistica perenne e primordiale è il dramma

sociale362.

Nell'insieme della pratica del TdO più che in altre declinazione teatrale, «il teatro parte dal
sociale, prende da esso (nelle persone che lo fanno, nelle idee che esprimono, nel
linguaggio che usano) e alla fine si scontra nuovamente con il sociale da cui è stato
prodotto»363; proprio perché nel TdO, il teatro non attende la fine del suo processo di
produzione per scontrarsi nuovamente con il sociale, ma è nel suo stesso processo di

361
A. BOAL, Il teatro degli oppressi, cit., p. 44.
362
V. TURNER, Dal rito al teatro, cit., pp. 33.
363
S. DE MATTEIS, Introduzione all'edizione italiana in Ivi, p. 20.

185
costruzione che si elabora il suo incontro/scontro con il sociale, in quell'accezione di
maieutica coscientizzante che lo contraddistingue, capace di tracciare percorsi che
coinvolgano i soggetti in quanto individui e in quanto comunità. Il teatro «contiene al suo
interno i germi di una critica fondamentale di tutte le strutture sociali conosciute finora»364,
il TdO genera lo spazio per l'azione di questi germi, spazio di critica esplicita delle
contraddizioni delle strutture sociali e politiche. Spazio che aprendosi, determina la
possibilità della partecipazione a quel medesimo universo critico.
Ma se nelle altre tecniche del TdO, spett-attori e spett-attrici sono agiscono
nell'esplicitazione del come se teatrale in quanto spazio di sperimentazione liminoide e si
vuole partecipano della dimensione del rituale liminale che permette una antropopoiesi
comunitaria operante il passaggio di status della coscientizzazione; per il teatro invisibile
non vale né l'una né l'altra, con esso ci troviamo di fronte ad un fatto sociale particolare che
secondo i criteri antropologici di Turner, non è né teatro né rito. Spieghiamo ora
quest'affermazione, fermo restando che «Il rito è la matrice del teatro, che si è sviluppato
all'interno di esso, per poi emanciparsi, pur conservandone spesso tracce profonde»365.
Il pubblico nell'azione di invisibile non è pubblico nell'accezione teatrale classica, in
quanto non ha conoscibilità della sua condizione, gli spett-attori sono qui pubblici, in
quanto soggetto che in luogo pubblico si esprime in pubblico, in quanto campo dell'aperto
sguardo collettivo. Dunque non c'è più pubblico ma è tutto pubblico.
Gli attori, unici consapevoli del loro role-playing teatrale, e gli spett-attori inconsapevoli,
coinvolti nella scena senza conoscerne l'induzione teatrale, sono co-protagonisti attivi delle
vicende che vanno determinandosi nel divenire esperienziale dell'esistenza qui ed ora; per
gli uni una rappresentazione, per gli altri realtà. L'insieme nel complesso della visione
risulterebbe, ad un ipotetico occhio esterno, essere un fatto reale.
Essendo gli attori gli unici detentori della consapevolezza del fatto teatrale si propone
questa, forse provocatoria, lettura: sono essi ad essere l'unico soggetto ad aver degli
elementi riferibili al concetto teatrale classico di pubblico, ovvero dell'essere osservatori
delle attività altrui nella consapevolezza del come se. Avviene così un ulteriore
ribaltamento di piano all'interno del complesso intreccio della pratica del TI, il pubblico
che osserva l'azione sono gli attori. Quest'affermazione sarà utilizzata in seguito come
presupposto dell'utilizzo di tecniche invisibili nell'ambito della ricerca etnografica.
Nel rituale, secondo gli studi antropologici, non vi è distinzione tra attori e spettatori,

364
Ivi, cit., p. 27.
365
A. CASCETTA, Elementi di drammaturgia, cit., p. 24.

186
seppur ci siano agenti e osservatori, tutto il gruppo sociale è partecipe del rito e ne è co-
produttore; nel teatro in termini classici, la distinzione tra attori e spettatori è una
caratteristica fondativa, per il teatro sperimentale e sociale è il presupposto da superare; nel
teatro invisibile sono gli attori proponenti l'azione a definire la distinzione tra attori e, non-
spettatori ma, non-attori.
Sebbene il TI non appartenga ad alcuna di queste due categorie, rito e teatro, espressivo-
interpretative, in esso si incontrano caratteristiche di entrambe, per analizzare le quali ci
riferiamo a quanto scrive Cascetta:

Il rito è il luogo dell'attuale, della traslazione e della decisione del tempo reale […]. Il teatro, come sempre
l'arte, è invece il luogo del possibile, dell'esperienza come se, di una possibile trasformazione coscienziale
[…], che richiede una decisione individuale e collettiva per tradursi nella realtà366.

Nel TI il luogo dell'attuale si incontra con il luogo del possibile, ponendo la dimensione del
possibile nell'attuale, operando una trasformazione d'urgenza, nell'impellente situazione
nella quale sono posti ad operare i non-attori: fare una scelta etica ed essere soggetti
ricettivi attivi, intervenienti diretti, per contrastare ed incrinare una situazione di ingiustizia
(fittizia), uomini e donne coinvolti loro malgrado.
Ad entrare in contatto con una scena di TI e ad esserne implicato può essere chiunque, non
c'è un soggetto specifico ad essere il target dell'azione, il target è il topic; chiunque in
termini di età, genere, provenienza geografica, classe, orientamento politico, religioso,
sessuale..., può essere coinvolto. Quindi nel momento in cui il TI ha luogo, il gruppo di
teatro proponente non sottopone l'azione ad una comunità umana socialmente determinata
ed aggregata, consapevole (o unita identitariamente) in termini strutturali di sé, come
avviene nei riti di passaggio, o come avviene, almeno per il tempo della durata del
momento teatrale, nelle altre forme di TdO.
Cerchiamo ora di cogliere le differenze tra fenomeni liminali e fenomeni liminoidi
seguendo gli studi di Turner in Dal rito al teatro, sapendo che i primi sono le zone di soglia
(limen) trasformative del soggetto nel rito e i secondi sono le zone di soglia di
sperimentazione del possibile del teatro367.
I fenomeni liminali sono collettivi, legati a ritmi stagionali o sociostrutturali ed elaborativi
di crisi dei processi sociali; scaturiscono da necessità socioculturali e contengono le
potenzialità per il costituirsi di novità riconosciute, sono il luogo della creazione ciclica
366
Ivi, pp. 28-29.
367
Per questa argomentazione si prende a riferimento il testo di V. TURNER, Dal rito al teatro, cit.

187
per il gruppo sociale.
I fenomeni liminoidi sono tipicamente produzioni individuali che poi hanno effetti
collettivi e di massa (es. teatro, sport), quando sono derivanti dai fenomeni liminali
possono essere direttamente collettivi; sono caratterizzati da una creazione continua negli
spazi di svago.
I fenomeni liminali sono caratteristici delle società tribali ed agricole, così dette a
solidarietà meccanica, dominate da relazioni di status. I fenomeni liminoidi sono
caratteristici delle società complesse, industriali e post-industriali, così dette a solidarietà
organica e collegate da relazioni contrattuali legate al lavoro/merce ed alla suddivisione in
classi sociali.
I fenomeni liminali sono integrati nel processo sociale complessivo e vi occupano una
posizione centrale, hanno un aspetto necessario di negatività (spazio delle
contrapposizioni) ed uno di congiuntività (continuità sociale). I fenomeni liminoidi si
sviluppano separatamente dai processi economici e politici che occupano la posizione
centrale, si compongono ai margini ed hanno carattere pluralistico, frammentario e
sperimentale.
I fenomeni liminali si presentano simili alle rappresentazioni collettive dove il significato
intellettuale coincide con il significato emotivo per tutti i membri del gruppo; essi
rispecchiano la storia del gruppo. I fenomeni liminoidi tendono ad essere più idiosincratici,
più originali; sono prodotti da individui specializzati all'interno di scuole e cerchie che
aspirano al riconoscimento generale; essi possono assumere la forma di offerte ludiche in
vendita nel libero mercato e sono simbolicamente più vicini alla sfera personale
psicologica che all'oggettivo-sociale.
I fenomeni liminali anche quando sembrano invertire il normale andamento sociale,
assolvono una funzione positiva per consentire alla società di funzionare senza troppo
attrito, lavorano funzionalmente per la continuità strutturata del gruppo. I fenomeni
liminoidi sono collegati alle critiche sociali, anche radicali che possono arrivare fino ai
proclami rivoluzionari, denunciano ingiustizie e lati immorali delle strutture e
organizzazioni politiche ed economiche.
Sempre secondo Turner fenomeni liminali e fenomeni liminoidi coesistono
molteplicemente nel pluralismo culturale delle società moderne, anche dette complesse; si
può affermare che si lavori al liminale e si giochi con il liminoide.
In particolare, Van Gennep nel libro Rites de Passage368, distingue tre fasi nel rito di
368
Cfr. A. VAN GENNEP, I riti di passaggio, Torino, Bollati Bordighieri, 2012.

188
passaggio: la separazione, la transizione e l'incorporazione. Seppur siamo particolarmente
interessati alla fase di transizione che afferisce in pieno alla condizione che porta da una
parte all'altra, il varcare letteralmente una soglia che separa due zone distinte, che permette
l'attraversamento; essa non avrebbe modo di esistere senza un prima e un dopo ben
riconosciuti.
La fase di separazione prevede il distacco dei soggetti rituali dal loro precedente status
ponendoli in uno spazio e un tempo altri rispetto a quelli del normale svolgimento della
vita sociale. La prima fase crea le condizioni d'esistenza della seconda, la transizione,
chiamata anche limen, dal latino soglia o margine; qui i soggetti rituali attraversano un
periodo e una zona di ambiguità , una sorta di limbo sociale profano che con gli status
sociali e le condizioni culturali ad esso precedenti o successivi ha in comune pochissimi
attributi, benché a volte di importanza cruciale.
La terza fase è detta di aggregazione, i soggetti rituali passati attraverso lo stato liminale
separato ed elaborativo hanno attraversato la soglia che li porta a collocarsi nella loro
nuova posizione all'interno della comunità sociale, riaggregati nel loro nuovo status,
relativamente stabile e definito. I riti di margine sono ad esempio quelli che accompagnano
le iniziazioni, i passaggi all'età adulta, i fidanzamenti, le gravidanze.
Turner sostiene che i riti di passaggio tendono ad abbassare i soggetti, ovvero ad umiliarli,
a de-responsabilizzarli, a porli in una condizione che si avvicina più all'animale che
all'umano, i novizi sono temporaneamente esseri indefiniti: «Sono morti per il modo
sociale, ma vivi per quello antisociale»369. I soggetti rituali sono portati a fare esperienza
dell'abisso per poi elevarsi a nuovo status. Si compie attraverso la trasposizione dal sub-
umano (fase liminale) al completamente umano (acquisizione dello status di adulto, di
guerriero, di soggetto disposto alla procreazione) un passaggio di ricomposizione della
struttura molto forte per il funzionamento dell'intero gruppo sociale. La drastica discesa
getta così le condizioni per una risalita fortificante.
Lo spazio che nei rituali permette l'accadimento di infrazioni altrimenti impensabili è bene
espresso da Richard Schechner nella spiegazione del contrasto tra generazioni nella società
Tiwi, popolazione delle isole che recano il medesimo nome, collocate a poche decine di
leghe di distanza dalla costa settentrionale dell'Australia:

La prova Tiwi non vuole determinare la «ragione» o il «torto», né tanto meno se il giovane è colpevole di
adulterio, o se vi sono attenuanti. La prova è un test sulla disposizione del giovane a confermare l'autorità del

369
A. VAN GENNEP, I riti di passaggio, cit. in V. TURNER, Dal rito al teatro, cit., p. 59.

189
vecchio, perché la società Tiwi è basata sulla supremazia dei vecchi e la sola colpa è il rifiuto di questa
autorità. La folla si diverte allo spettacolo che mostra la legge in concreto Se la cerimonia fosse una vera
prova con un esito incerto, la società Tiwi sarebbe distrutta370.
Sta proprio in questo il fattore funzionale del rito, apparentemente potenzialmente
distruttivo, ad un più attento sguardo, profondamente stabilizzante; la presenza della folla
ad assistere e l'evidenza che ciò che in questo caso viene rappresentato non è una prova di
forza tra due contendenti che si sfidano con un esito non noto, ma la rappresentazione
simbolica del funzionamento della gerarchia sociale nella società Tiwi. Anche secondo la
tesi elaborata da Radcliffe-Brown e ripresa dai suoi allievi Fortes ed Evans-Pritchard, il
rituale è essenzialmente uno strumento di legittimazione e di rafforzamento dei valori
normativi mediante i quali l'autorità morale della società agisce sugli individui per
subordinarli alle esigenze collettive; seguendo questa traccia è particolarmente attinente la
lettura che da Gluckman delle attività rituali.
Secondo l'antropologo appartenente alla Scuola di Manchester, il rito avrebbe lo scopo di
esprimere il conflitto latente tra principi antitetici presenti nella società, costituendo quindi
un canale simbolico per l'espressione dei contrasti determinerebbe la possibilità di
mantenere l'ordine, riconfermandolo. Ciò avviene nei rituali di ribellione, vediamone un
esempio:

come la cerimonia Ncwala degli Swazi, in cui il re viene alternativamente umiliato ed esaltato ed è oggetto di
manifestazioni sia di ostilità sia di lealtà, troverebbe espressione l'atteggiamento ambivalente del popolo e dei
notabili nei confronti del sovrano. In sostanza questo rituale costituirebbe una forma di contestazione
istituzionalizzata destinata ad operare una «catarsi collettiva» che, a sua volta, produrrebbe un rafforzamento
dell'autorità regale371.

370
R. Schechner, La teoria della performance, cit., pp. 40; guardando a tale dimensione strutturante del rito:
tra le molteplici letture che si possono trarre dall'Edipo Re di Sofocle, c'è sicuramente una componente
prescrittiva che rimette al centro dell'attenzione la necessità della conferma della struttura sociale.
Laddove Edipo sfida consapevolmente l'ordine d'autorità che prevede di riconoscere l'ordine di passaggio
al vecchio Laio ne trae profonda e sommamente indegna sventura; facendo leva sull'inconsapevolezza,
rispetto al configurarsi dell'omicidio in quanto parricidio, del protagonista, Sofocle propone al suo
pubblico ed alla società greca la visione del peggiore dei casi nel quale si possa incorrere sfidando
l'ordine gerarchico della società. Dunque il cedere il passo al vecchio assume sia fisicamente che
metaforicamente la dimensione di prova, riprendendo la citazione di Schechner «un test sulla disposizione
del giovane a confermare l'autorità del vecchio», disposizione senza la quale la società sarebbe messa a
repentaglio, in questo senso L'Edipo re evidenziando la violenza del contrappasso assume una forte
valenza prescrittiva implicando conseguentemente alla visione del disastro, le necessarie conferme della
gerarchica struttura sociale.
371
P. SCARDUELLI (a cura di), Antropologia del rito. Interpretazioni e spiegazioni, Torino, Bollati
Boringhieri, 2000, p.26. Secondo Gluckman oltre alla risoluzione dei conflitti generati da norme
contrastanti, il rito avrebbe funzione di regolazione degli antagonisti generati da uno stesso principio,
come avviene tra gli Zulu, nella cui società alla donna in quanto moglie è richiesto di essere fertile e
portatrice di figli. La conseguenza di tale fertilità, la costituzione di una nuova famiglia va a confliggere
con i legami di solidarietà precedentemente esistenti tra fratelli e cugini, è quindi attraverso

190
Quindi lo spazio liminale incanalando l'espressione dei conflitti nella dimensione
simbolica conferma la struttura sociale e ripropone una visione del mondo, mentre nello
spazio liminoide della produzione delle arti come insegna anche Boal «il teatro non deve
insegnare la retta via, ma offre i mezzi perché tutte le vie possibili siano studiate»372; a
riguardo della comprensione dell'esperienza, della sua conoscibilità e comunicazione
Pontremoli scrive:

La comprensione totale di un'esperienza avviene però solo in una circolarità ermeneutica: la comprensione
parziale della mia soggettività viene completata mediante l'interpretazione delle oggettivazioni della vita,
vale a dire l'esperienza altrui resa accessibile e disponibile alla collettività attraverso la performance.
Fra le classi di espressione dell'esperienza, l'opera d'arte performance culturale (e in particolare il teatro)
offre le maggiori garanzie per una comunicazione efficace. A differenza delle idee, che pur presentando un
alto grado di universalità non dicono nulla sullo stato di coscienza del soggetto, e a differenza delle azioni,
che anche se ci consentono di risalire in parte al progetto di cui sono esecuzione non sono nate certo per
esprimerlo, le opere d'arte non possono ingannare, perché la forma voluta dall'artista è quella che egli ha
ritenuto la più adatta ad esprimere la sua esperienza. Esse permettono di accedere alla zona liminale del
soggetto grazie alle immagini che l'artista dispiega oltre il confine della realtà e con le quali penetra l'essenza
stessa dell'Erlebnis [esperienza vissuta].
Il dramma sociale trova dunque espressione (e quindi si pone nella condizione di essere compreso e spiegato)
nell'opera d'arte speciale che è il teatro, atto creativo di retrospezione, nel quale agli eventi e alle diverse parti
dell'esperienza viene attribuito un significato, reviviscienza dell'esperienza originaria proposta in forma
estetica.373

È proprio l'attribuzione di significato alle diverse parti dell'esperienza ad essere


problematica nel TI, nel quale al soggetto spett-attore agente non viene dato accesso alla
sfera di sperimentazione tutelata e tutelante nella quale trovare lo spazio consapevole della
possibilità futura e quindi della trasformazione che potrà avvenire, quella svolta attiva che
sperimentata nel come se teatrale può costituire elemento conoscibile di attraversamento
della soglia che porta alla coscientizzazione ed alla possibilità di riproporre l'interpretato
anche nella realtà.
Al teatro invisibile mancano esattamente entrambi gli spazi trasformativi, secondo l'analisi
di Turner, di rito e teatro: non si dà lo spazio liminale della trasformazione permanente ma

l'adempimento del suo compito riproduttivo che la moglie apporta discorda e diventa motivo di dissidio.
Funzione riproduttiva senza la quale il lignaggio si interromperebbe portando ben più gravi conseguenze.
Inoltre Gluckman rileva che in alcuni casi il rituale può avere la funzione di occultare gli antagonismi
presenti.
372
A. BOAL, Il teatro degli oppressi, cit., p. 39.
373
A. PONTREMOLI, Teorie e tecniche, cit., p. 15.

191
definita all'interno di una comunità che fa di questo passaggio un suo elemento strutturante
di acculturazione e continuità; e non si da lo spazio liminoide della sperimentazione e
conseguentemente di ampliamento di coscienza e di messa alla prova di parti sconosciute
del sé, caratteristica del teatro.
In proposito Barba e Savarese introducono un elemento di riflessione, proponendo l'accorta
attenzione secondo cui:

quanto più lo spettacolo permette allo spettatore l'esperienza di un'esperienza, tanto più deve anche guidare la
sua attenzione, affinché egli non perda, nella complessità dell'azione presente, il senso della direzione, del
passato e del futuro, la storia, non come aneddoto, ma come “tempo storico”, dello spettacolo374.

Nel TI allo spett-attore, atomizzato e inconsapevole del disegno architettonico di


sperimentazione teatrale, viene richiesto di fare tutto il lavoro (in senso antropologico) di
elevazione allo status di coscientizzazione, non potendo usufruire dello spazio
sperimentale liminoide del teatro né dello spazio di trasformazione garantito
comunitariamente dal rito; nel TI secondo quanto indica la tecnica, lo spett-attore deve
rendersi conto della situazione di oppressione provocata, fare un lavoro di analisi lucida di
quanto occorre, incentivato dagli interventi degli attori, fare una scelta etica solidale con il
soggetto oppresso e muovere azione per modificare la condizione iniqua.
Inoltre allo spett-attore è chiesto di reggere l'implicazione pubblica della sua scelta e le
variabili che vi si contrappongono, ad azione terminata, attuare una riflessione che faccia
di quanto accaduto un modello di riferimento che porti alla trasformazione pragmatica ed
in questo modo accedere ad una condizione di coscientizzazione, che rappresenta, in senso
rituale, l'elevazione di status. Nel TI vi è la mancanza della possibilità di riconoscimento
dello spazio trasformativo, fattore cruciale dell'evoluzione, sia esso liminale che liminoide;
proprio per questo possiamo affermare l'impossibilità di comprendere la tecnica del teatro
invisibile nelle categorie di rito e teatro.
La forza delle altre tecniche di TdO di coniugare individuo e collettività non ha territorio
nell'invisibile, viene attuata una individualizzazione delle questioni sociali affrontate.
Parallelamente a quanto dice Beneduce considerando criticamente lo spazio egemonico
della nozione di trauma, «Non è più la resistenza dei popoli, ma la resilienza degli
individui il concetto che oggi definisce la nuova rappresentazione del conflitto sociale e del

374
E. BARBA, N. SAVARESE, L'arte segreta dell'attore. Un dizionario di antropologia teatrale, Milano,
Ubulibri, 2005, p. 48.

192
dolore»375, nel TI la sfera di attivismo è implicata nell'azione individuale del soggetto
piuttosto che nella lotta di una comunità sociale nella quale riconoscersi, nel senso che il
soggetto è esposto in quanto individuo (e ciò corrisponde a quanto il più delle volte accade
nella realtà) agli accadimenti. Nel TI si possono verificare risposte collettive, esempio è il
caso di Liegi in cui viene organizzata una colletta per aiutare Francois e al momento
dell'arrivo della polizia si verifica un tentativo di interposizione per cercare di bloccare la
macchina che effettua l'arresto, ma anche qui la loro origine è fittizia.
Dunque nel teatro invisibile vi è esposizione e creazione di condizione di passaggio
all'atto, ma mancando rivelazione non è data coscientizzazione, la quale è lasciata come
possibilità in dimensione latente all'elaborazione di ciascun soggetto inconsapevolmente
intervenuto; gli obiettivi della tecnica andrebbero dunque rielaborati.

8.4 Conseguenze delle azioni invisibili e il principio di non-manipolazione

Dopo aver elaborato la nostra posizione sulla necessità di rivedere gli obiettivi
coscientizzanti dell'invisibile, riprendiamo ora le considerazioni di ordine etico ed
educativo. Abbiamo già espresso quanto l'orientamento secondo il quale il fine giustifica i
mezzi sia contraddetto dal fatto che i mezzi condizionano i risultati.
Torniamo a seguire gli argomenti di Burstow che individua tre gradi di incidenza delle
azioni invisibili sulla vita delle persone che vi entrano in contatto: primo, il danno
procurato a chi sta affrontando semplicemente la sua giornata, nel tempo di lavoro o in
quello libero come accadde a Liegi alla cassiera ed ai clienti del supermercato o ben più
gravemente con «onlookers taken away by the police, who could not distinguish between
troupe members and spectators»376, e vi incorre; secondo, la possibilità che attraverso la
scena oppressiva interpretata vengano fatti rivivere traumi vissuti da soggetti che vi
entrano in contatto, fungendo da riattivatore psicologico, per esempio «Young man
screaming homophobic threats at seemingly gay passers-by, […] could easily have
culminated in retraumatization of any gay-bashing victims who witnessed the event»377, o
le scene di discriminazione razzista e di status sociale attuate nel ristorante e nel ferry-boat
di Stoccolma; terzo, riguarda la possibilità reattiva delle forze dell'ordine, considerando lo
svelamento di Liegi come precedente, nel futuro nei confronti di altri attivisti o

375
R. BENEDUCE, Archeologie del trauma, cit., p. 14.
376
B. BURSTOW, Invisible theater, cit., p. 277.
377
Ibidem.

193
disoccupati o senzatetto potrebbero diventare più aggressive, più sospettose, più violente.
Aggiungiamo la considerazione del fatto che ad impersonare ruoli di soggetti marginali e
socialmente devianti, si pensi all'uomo disoccupato di Liegi, alla donna alcolista di
Stoccolma, o al migrante in preda alla disperazione di Bari378, siano, nei casi da noi
analizzati in letteratura, attori forti del fatto di non esserlo; altro evidentemente il discorso
per quanto concerne le discriminazioni etniche e di genere.
Da affiancare a tutte queste considerazioni permane la questione dell'inganno primario
caratteristica del TI, e l'essere posti nella posizione di ingannati mina le fondamenta di
qualsiasi discorso di fiducia, minando alla base le possibilità di comunicazione e di
interazione:

Note, in this regard, Cirque Divers's rationale for their action is that they lost faith in human kind. Arguably,
one of them, however, is precisely by being duped too often, having the unreal presented asreal, by a tear in
the foundation of communication. Trickery, including passing fition as fact, has the potential to undermine
the basis of communication – our connection with one another379.

Boal, in Il poliziotto e la maschera, riporta un'azione di teatro invisibile attuata nella


metropolitana di Parigi, sulla linea Vincennes-Neuilly, la situazione di oppressione messa
in scena rappresentava molestie sessuali constanti in palpeggiamenti, strofinamenti ed
apprezzamenti indebiti. La scena si svolgeva in più momenti che vedevano nel ruolo di
soggetto aggredito, prima una donna e poi un uomo. Boal scrive:

In questo spettacolo il teme era ben chiaro: né uomini né donne hanno il diritto di aggredire nessuno.
Tuttavia, perché questa rappresentazione abbia una dimensione politica bisognerebbe, […] che cinquanta
gruppi la recitassero cinquecento volte! A queste condizioni forse le molestie di questa natura cesserebbero o
almeno diminuirebbero380.
Ma sebbene non siano stati registrati381 casi in cui azioni di teatro invisibile siano state
promosse su vasta scala: immaginiamo cinquecento repliche invisibili sul medesimo tema
nella stessa zona, probabilmente un'impresa di questo tipo ad un certo punto porterebbe ad
una situazione paradossale di inintelligibilità degli accadimenti, le persone che vivessero
quel determinato territorio si troverebbero, dopo i primi casi, di fronte ad un legittimo
dubbio sulla verità di codeste scene. Quali potrebbero essere i risvolti sociali di una
situazione del genere è un interrogativo che resta attinente alle sfere dell'ipotetico, ma un
378
Questa azione verrà presa in analisi nelle prossime pagine di questo capitolo.
379
Ivi, pp. 277-278.
380
A. BOAL, Il poliziotto e la maschera, cit., pp. 41-42.
381
Nella letteratura di nostra conoscenza.

194
tale scenario includerebbe evidenti elementi di oscura inquietudine.
A parte i risultati a lungo termine, l'idea di trattare le persone decentemente è una parte
inerente all'azione etica che include rispettare i diritti delle persone e l'essere onesti.
Il TI in invece si fonda sull'inganno e nel processo di attuazione nega uno dei diritti
fondamentali dell'educazione per adulti: il diritto di chi impara, a scegliere se partecipare o
meno ad un programma educativo. I praticanti del TI agiscono come se sia normale
ingannare le persone, a circuire il diritto dei riceventi a scegliere, di prendersi il loro
tempo, di farli arrabbiare ed anche di esporli a possibili violenze nel nome di un processo
di facilitazione dell'apprendimento di questioni che la compagnia di teatro giudica
importanti.

8.5 Verità sincronica e verità diacronica nelle molteplicità di coesistenza del reale

Verso la fine del suo articolo sui fatti di Liegi, Boal racconta di un'altra azione di teatro
invisibile svoltasi nel 1978 a Bari, in sud Italia. Questa scena vedeva in azione un giovane
attore, «clearly Brazilian»382 dice Boal, che seduto in un parco pubblico interpretava un
immigrato in preda alla disperazione. Il personaggio affidava i suoi pensieri di estrema
solitudine ad un registratore audio, le parole pronunciate dall'attore arrivavano ad asserire
di aver tentato il suicidio il giorno precedente e di avere il proposito di riprovarci quel
giorno stesso. Lo spazio pubblico e la dinamica della registrazione facevano in modo che
le persone casualmente presenti nelle vicinanze in quei momenti sentissero prima la sua
voce che esprimeva direttamente il suo dramma esistenziale e poi la riproposizione della
stessa tramite il registratore. Testualmente diceva:

“I am by myself!” (The cassette repaeated: “I am by myself!”)


“I don't have any friends” ( The cassette repaeated: “I don't have any friends.”)
“Nobody wants to talk to me because I am a foreinger and in this country and in this city there is
discrimination.” Again, he listened to his own voice in the recorder. The casual passersby could hear the
recording. Some of them even stopped to listen.
“I am unemployed.”
“I am unemployed.”
“I tried to kill myself yesterday, but I did not have enough courage. I put the bottle away, but I still have all
the pills. Maybe today I'll kill myself...”383

382
A. BOAL, Invisible Theatre, cit., p. 33. Evidente qui ci si riferisce al derma dell'attore, al colore della sua
pelle.
383
Ibidem.

195
Gli spettatori ignari del fattore teatrale si coinvolsero nella vicenda, chi senza sapere cosa
dire, chi offrendo vicinanza, empatia, amicizia e supporto. Questa dimostrazione di rara
tenerezza provocò nel gruppo di teatro la domanda se fosse eticamente corretto quanto
fatto, in quanto l'attore Brasiliano viveva nella sua esistenza personale una condizione
opposta a quella del personaggio che interpretava: con un lavoro, una moglie,
presumibilmente buone relazioni sociali. Quindi, a questo punto della riflessione Boal dice
che quanto messo in scena «wasn't true», ma questa affermazione è solo il primo passo di
un ragionamento che porterà l'autore brasiliano ad evincere il contrario.
Riguardo l'azione invisibile di Bari, Burtow fa un interessante operazione immaginativa,
ipotizzando come lei stessa avrebbe risposto alle sollecitazioni della scena, ad un migrante
che esprime pubblicamente la sua disperazione ed i suoi intenti di suicidio:

What happend here, I would suggest, constitutes heavy duty emotional manipulation of learners who have in
no way agreed to be so manipulated. Moreover, the benefit is questionable. Speaking personally, as a feminist
psychoterapist and a long time advocate for disenfranchised populations, I know what I would have done had
I happened upon this scene. I would have immediately cancelled whatever else I was doing that day despite
its importance, and tried to be of assistance. The point is, my time would have been wasted and my emotions
played with, with no obvious good outcome, educational or otherwise, for I was well aware of teh plight of
newcomers384.

Burstow385 parla dalla sua posizione di soggetto già coscientizzato, University scholar,
professoressa e ricercatrice presso il dipartimento Leadership, Higher and Adult Education
dell'Università di Toronto in Canada, psicoterapeuta femminista, ben salda
nell'elaborazione di pensieri e pratiche critici ed orientati all'attivismo politico. Ma la
necessità di porre la questione critica della manipolazione vale per qualunque soggetto si
vada ad interagire nel TI, qualunque sia la sua posizione personale rispetto all'evoluzione
educativa coscientizzante, e ben tenendo in considerazione che non è dato un parametro
che possa misurare questa variabile eminentemente qualitativa.
Ma riprendiamo il discorso di Boal che si interroga sulla condizione di verità:

It wasn't true? I kept on asking myself this question. Why wasn't it true? Which truth? […]. What truth are we
referring to?

384
B. BURSTOW, Invisible theatre, p. 278.
385
Per ulteriori informazioni su ambiti di ricerca e pubblicazioni di Bonnie Burstow consultare la pagina
personale dal sito dell'University of Toronto:
http://www.oise.utoronto.ca/lhae/Faculty_Staff/1594/Bonnie_Burstow.html

196
The truth was that the Brazilian actor was not suffering any of the torture existed. If it wasn't true that he
himself had attempted suicide, it was certanly true that enother emigre a few month earlier had actually killed
himself386.

Arrivato a questo punto della sua riflessione, Boal fa riferimento all'esistenza di due
dimensioni complementari della verità: questa argomentazione si fonda sulla differenza tra
attore in quanto soggetto e interpretazione in quanto ruolo, per cui sebbene l'attore
Brasiliano non avesse quella specifica storia, essa non solo era plausibile ma era
effettivamente accaduta poco tempo prima. Come già evidenziato viene definita verità
sincronica ciò che avviene fattualmente nel qui ed ora e verità diacronica quanto accaduto
nella storia e quindi repertorio di verità dell'umana esperienza. Come conseguenza logica,
questo permette di dire che: nonostante l'agito del teatro invisibile sia fondato su
un'interpretazione attoriale, esso sia compreso nella sfera del vero, in quanto manifestarsi
rappresentazionale nella performance, di verità diacronica.
Quindi chiudendo le sue considerazioni sui fatti di Liegi Boal afferma di non aver mentito,
anche se di ciò era accusato il gruppo dalla polizia, dopo lo svelamento dell'agiata
condizione di Francois e del riconoscimento della teatralità nel role playing di disoccupato
indigente. Non era vero che l'attore era il personaggio, ma era vero che entrambi
esistevano, ed i problemi del personaggio, la disoccupazione e le sue conseguenze erano
propriamente reali e ben presenti nell'attualità sociale della città. «Consequently», termina
il ragionamento Boal, «everything was true»387.
Suggestiva ed interessante argomentazione questa, interrogando il fattore di verità Boal ne
amplia lo spettro di comprensione di fenomeni, e come contraddire l'affermazione «è tutto
vero»?, proprio il teatro è in questo senso il regno del possibile (come abbiamo visto nel
capitolo sull'interpretazione attoriale) nel quale convivono la verità diacronica ed
immaginifica nel come se della scena e la verità sincronica nella dinamica della
performance e del loop autopoietico di feedback.
Il problema che si pone è differente, poiché l'ampliamento dello spettro di verità ha un
inizio ma non una fine. Si può dire, per esempio, che il delirio di un folle sia falso? Il
delirio che egli vive non è comprendibile nella verità oggettiva, ma potremmo individuare
una categoria di verità di tipo percettivo nel quale potrebbe essere inclusa, infatti se si può
obiettare sull'adesione di questa verità percettiva al piano di realtà, è innegabile che essa
determini la realtà del soggetto. Quindi se si può obiettare sulla verità dei fatti che produce
386
A. BOAL, S. EPSTEIN, Invisible Theatre, cit., p. 33.
387
Ivi, p. 34.

197
immaginariamente essa evidentemente costituisce un fatto di verità in quanto si imprime
sulla vita del soggetto e ne determina l'esistenza. Anche qui si può affermare di essere in
presenza di particolari verità, quella oggettiva e quella percettiva, entrambe vere.
Pensiamo inoltre alla fantascienza ed alla letteratura cyber-punk che in un certo senso
hanno nutrito degli immaginari, precorrendo nella sfera fantastica quanto sarebbe
successivamente stato indagato dalla ricerca scientifica e applicato dall'ingegneria robotica
e spaziale. O l'eclatante caso di 1984, romanzo scritto da George Orwell nel secondo
dopoguerra che al suo interno descriveva un modello panoptico388 di controllo strutturale
delle persone che sarebbe poi stato altrimenti declinato e reso parzialmente operativo negli
anni Duemila, si pensi all'affollamento dei sistemi di CCTV nelle zone pubbliche delle aree
urbane e al controllo capillare perpetrato attraverso gli IP dei personal computer presenti
ormai nella maggior parte delle case dell'Occidente post-industriale, dei sistemi di telefonia
mobile e dei data che in entrambi vengono elaborati. Possiamo qui, forse, parlare di verità
prefigurativa?
E ci fermiamo qui. Questo per dire quanto l'argomento di Boal sulla coesistenza di verità
sincronica e verità diacronica sia non solo interessante ma accettabile in termini filosofici,
mentre non riesce in alcun modo ad assurgere a riferimento etico per la pratica di teatro
invisibile, in questo senso risulta scivolare in un giustificazionismo amputato, poiché se è
vero che «è tutto vero», questo conduce ad una possibile omnicomprensività delle sfere del
pensabile e dell'esperibile umano, mentre alla base dell'etica vi è un fattore di selezione,
nell'attuazione di scelte e nel perseguirne le conseguenze pratiche.
Abbiamo visto che lungi dal poter essere un riferimento etico, la questione delle molteplici
verità apre, ma potremmo anche dire spalanca, uno spazio enorme di ricerca per le scienze
sociali e per le teorie della performance. Lo spazio d'indagine è proprio quel gap in cui si
incontrano/scontrano ed effettuano il loro dialogo, sia nel luogo teatrale che nella realtà
quotidiana, l'io e in non-io, il soggetto e il ruolo, il tracciato biografico ed il presente
possibile, la verità diacronica e quella sincronica.
Schechner nel suo Teoria della performance individua e indaga le molteplici possibilità
dello spazio di dialogo tra soggetto e ruolo, trasponendo389 la dimensione di verità
388
Per uno studio approfondito del modello panoptico si rimanda a M. FOUCAULT, Sorvegliare e punire;
Nascita della prigione, Torino, Einaudi, 2005.
389
Capitolo essenziale del teatro è mirare a questa trasposizione. Stanislavskij, attore, regista, autore e
teorico del teatro, riferimento basilare per ogni praticante, inventore del metodo a cui da il nome, scrive:
«Il momento magico di un attore si ha quando esso è completamente trasportato dal suo personaggio,
indipendentemente dalla sua volontà senza badare a cosa sente, senza pensare a cosa fa, per cui tutto gli
riesce inconsciamente ed intuitivamente». In K. STANISLAVSKIJ, Il lavoro dell'attore, Bari, Laterza,
1968. Il metodo Stanislavskij è il primo importane sistema dedicato alla recitazione dell'attore. Si tratta

198
diacronica, intese come adeguamento dell'esperienza ad esperienze già tracciate da altri, a
coincidere con quella sincronica.
Esistono casi in cui il soggetto esordisce in quanto esploratore di un ruolo performativo dal
quale però, nel processo di studio ed avvicinamento, viene travolto ed assunto rendendo
reale, attuale e coincidente la realtà del soggetto ed il ruolo indagato.
Il primo caso che si riporta attiene all'esplorazione di quel territorio di confine che è la cura
del corpo e della salute, la quale coinvolge piani biologici, simbolici, spirituali e
terapeutici. La storia è quella di Quesalid, descritta in The sorcer and his magic di Lèvi-
Strauss. Il protagonista è un Kwakiutl (popolazione indigena dell'America settentrionale
presente nelle regioni oggi definite Canada e British Columbia) che si pose l'obiettivo di
svelare i trucchi degli sciamani del suo popolo, a questo scopo cominciò a frequentarli fino
a farsi ammettere nel gruppo come adepto ed apprendista. Gli vennero impartite le ritualità
e gli strumenti appannaggio dei medicine-man: recitazione, magia e canto; tecniche
performative per provocarsi svenimento, vomito e convulsioni; attivazione di risorse
sociali per procurare informatori dediti al reperimento di notizie sui pazienti; trucchi di
prestigio per simulare l'asportazione tramite risucchio orale di parti malate dal corpo dei
pazienti tramite l'occultamento di batuffoli di cotone all'interno della bocca, da ricoprire di
sangue al momento giusto mordendosi la lingua o facendo sanguinare le gengive.

Quesalid imparò l'arte così bene che non solo smascherò la ciarlataneria degli altri sciamani, ma si costruì
egli stesso una buona reputazione come sciamano. Con l'andare degli anni però cominciò a credere davvero
delle sue facoltà terapeutiche, nonostante sapesse praticare soltanto dei trucchi. In ogni caso era convinto che
i malati migliorassero, sia perché essi avevano fiducia in lui, sia perché padroneggiava la sua arte in modo

sorprendente. Alla fine si sentì anch'egli un vero sciamano, dotato di un autentico potere terapeutico390.

Per la comprensione di questa vicenda bisogna evocare il concetto antropologico di


efficacia simbolica inizialmente proposto da Lévi-Strauss nel 1949. Con tale concetto
l'autore definiva la natura dell'efficacia dell'azione terapeutica di uno sciamano Cuna,
popolazione del Panama, nel trattamento e nell'induzione di un parto difficile; il canto che
recitava il curatore era composto da diverse centinaia di versetti e veniva salmodiato in
lingua esoterica, esso permetteva un alleviamento del dolore della donna e permetteva la
buona riuscita del travaglio attraverso la trasposizione della condizione fisica della
della prima volta in cui si pensa all'educazione dell'attore al di là della messa in scena dello spettacolo. I
testi di riferimento di tale metodo sono Il lavoro dell'attore su se stesso del 1938 e Il lavoro dell'attore sul
personaggio, pubblicato postumo nel 1957.
390
R. SCHECHNER, La teoria della performance, cit., p. 181.

199
partoriente all'interno di una «anatomia mitica corrispondente meno alla struttura reale dei
suoi genitali quanto a una sorta di geografia affettiva che identifica ogni punto di resistenza
e di desiderio»391. Più avanti Pierre Bourdieu definisce l'efficacia simbolica come il «potere
di agire sul reale agendo sulla sua rappresentazione»392, facciamo riferimento a quest'ultima
definizione, aggiungendola come prospettiva interpretativa della vicenda di Quesalid, la
possibilità di aver constatato l'effettiva capacità di cura degli sciamani, cambiando
direzione al suo percorso, trasformandolo da volontà di smascheramento ad adesione
affiliativa; qui il soggetto diventa, accedendo ad sua verità più complessa, il ruolo che
voleva indagare.
Un secondo caso che si riporta, di nuovo indagato da Schechner, attiene alla sfera del
religioso ed alla sua rappresentazione, qui si descrivono le vicende del Ramlila di
Ramnagar, rappresentazione teatralizzata del libro sacro Hindu Ramayana, sulla vita di
Rama. Il miglior attore del luogo nella scena performativa impersona il saggio semidivo
Narad-muni, il pubblico composto a volte da più di duemilacinquecento persone crede che
l'attore abbia una relazione speciale con il saggio, questa credenza fa si che con il
trascorrere degli anni l'attore non viene più chiamato con il suo nome originario e lui stesso
si identifica sempre di più con il semidivo. Narad-muni nel racconto è un brahmino, figura
religiose che officia le cerimonie sacerdotali, l'attore che ormai ha cambiato il suo nome
originario con quello di Narad (e non Narad-muni) si fà brahmino, ed in questa
trasposizione di ruolo comincia a praticare il sacerdozio fino a diventare mahat,
proprietario e sommo sacerdote di due templi a Mirzapure, città vicina a Ramnagar. Narad
è così diventato sacerdote ma non pretende di essere un'incarnazione di Narad-muni, ruolo
che però interpreta ogni anno nella cerimonia teatralizzata del Ramlila, rinnovando,
rinsaldando e mostrando di fronte a migliaia di spettatori questo legame e questa
compenetrazione di realtà. Schechner, attuando un'efficace sintesi esplicativa, scrive:
«Quest'uomo non è Narad-muni, ma non è neanche “non Narad-muni”: agisce fra una
negazione e una doppia negazione […]; in breve è libero sia di essere (non), che di
impersonare (non non)»393.
Ci permettiamo ora un excursus cinematografico prendendo come oggetto di
comparazione, nella trattazione dello spazio di commistione tra soggetto e personaggio e

391
C. LÉVI-STRAUSS, L'efficacia simbolica, in Id., Antropologia strutturale, Milano, Il Saggiatore, 1978,
pp. 210-30; cit. in R. BENEDUCE, Breve dizionario di etnopsichiatria, Roma, Carocci editore, 2008, p.
59.
392
P. BOURDIEU, Ce que parler veut dire. L'économie des échanges linguistiques, Paris, Fayard, 1982, pp.
121-34; cit. in Ibidem.
393
R. SCHECHNER, La teoria della performance, cit., p. 182.

200
tra verità sincronica e diacronica, la capacità interpretativa di un attore che pur avendo
cominciato il suo percorso artistico in teatro si è affermato sul grande schermo, Gian Maria
Volontè. Egli era noto per lo studio e la preparazione meticolosa delle sue parti sia per
quanto riguarda lo studio della partitura sia nella costruzione del personaggio, attraverso lo
studio e la ricerca arrivava a risultati elevatissimi. In particolare nella costruzione del
personaggio di Lucky Luciano, per l'omonimo film del 1973, Volontè si fa produrre una
protesi dentaria dal proprio dentista in modo da modificare il proprio sorriso e renderlo
sinistro come quello del boss mafioso italo-americano, inoltre effettua uno studio
particolareggiato sulla vestizione del personaggio. Francesco Rosi, regista del film, nel
documentario Un attore contro: Gian Maria Volontè, racconta:

in Sicilia a Lercara Friddi saputo che c'era un ex ergastolano che era stato in galera con lui [Lucky Luciano]
in America, abbiamo pensato di fare un improvvisata a questo signore. Sono entrato con Volontè vestito da
Lucky Luciano, appena entrammo in questa casa, quest'uomo s'è alzato appoggiandosi al tavolino, ha
guardato... ed è svenuto. Un giorno a Napoli mi hanno chiesto per conto di una signora che mi dicevano fosse
stata la sua [del boss] ultima amante, di far accedere questa signora al set e poi di presentargli [sic!] Volontè.
La signora è stata in silenzio per alcuni lunghi minuti, guardava Volontè, se lo studiava, tanto è vero che
Volontè era imbarazzato, Volontè era molto timido, ma la signora continuava a fissarlo, dopo di ché si è girata
verso di me e mi ha detto in napoletano […] è isso, cioè, è lui394.

In questo caso ci troviamo di fronte ad un'impersonificazione di ruolo di tale bravura che


alcune persone ad un primo incontro con Volontè che interpreta Lucky Luciano, credono di
essere in presenza di quest'ultimo; la coincidenza tra verità diacronica e sincronica si fa per
«alcuni lunghi minuti» esatta, nel vissuto del compagno di galera che sviene e dell'amante
che lo riconosce.
Abbandoniamo questo breve inciso di dialogo tra interno ed esterno della membrana
cinematografica per tornare al teatro. Ryczard Cieslak è il grande attore co-operatore di
molti spettacoli di Grotowski. Il critico teatrale polacco Josef Kelera, pur stimando i
risultati dell'opera del sodalizio attore-regista nel Teatrum Laboratorium di Wroclaw, si
dice scettico sulle argomentazioni che paragonano il lavoro dell'attore ad una trasgressione
psichica che attraverso un auto-penetrazione esplorativa talmente profonda lo porti ad una
esposizione totale, facendone un attore santo di un elevazione rituale spiritualmente laica.
Ecco che Kelera a proposito dell'interpretazione dell'attore in Il Principe Costante si trova
ad ammettere:

394
F. MAROTTI, Un attore contro – Gian Maria Volontè, Milano, BUR, 2005.

201
Fino ad ora ho accettato con riserva i termini usati da Grotowski come “santità secolare”, “atto d'umiltà”,
“purificazione”. Ora mi è possibile ammettere che essi calzano perfettamente al personaggio del Principe
Costante. Una specie di luce psichica emana dall'attore. […] A ogni istante l'attore lievita... Egli si trova in
uno stato di grazia. Tutto quanto lo circonda, questo “teatro crudele” con le sue eresie ed i suoi eccessi, si
trasforma in un teatro in uno stato di grazia395.

Per prepararsi allo spettacolo imminente, secondo Grotowski, l'attore deve avere il tempo
di allontanare tutti i problemi e distaccarsi dalle distrazioni della vita quotidiana; nel
Teatrum Laboratorium la pratica è di un periodo di trenta minuti in cui vige silenzio,
durante il quale l'attore prepara i suoi costumi o ripete alcune scene. Sappiamo dunque
come Cieslak si prepara all'autopenetrazione totale che compirà in scena, ma dopo? Dopo
aver convogliato tanta presente energia nel viaggio illuminante dell'interpretazione, cosa
accade quando essa termina?
Alcune informazioni e suggestioni ci vengono date da Schechner:

Quando lo spettacolo è finito, Cieslak «si rilassa». Spesso beve vodka, fuma parecchie sigarette. Uscire dal
ruolo, qualche volta è più difficile che entrarci. Si è lavorato poco intorno a questo aspetto, almeno nella
tradizione occidentale, dove l'attenzione verte in misura maggiore sul training, le prove, le tecniche di
riscaldamento. A Bali invece, si praticano riti di rilassamento che prevedono: abluzioni con l'acqua santa,
massaggi e perfino sacrifici di animali. L'effetto prodotto dal rilassamento permette di ritornare nella
dimensione del quotidiano: egli ritorna così al punto di partenza. Nella maggior parte dei casi, recitare
significa praticare una trasformazione effimera: non solo s'intraprende il viaggio di andata, ma anche quello
di ritorno396.

L'autore procedendo nell'analisi fa la feconda distinzione tra performance «trasformative»,


produttrici di cambiamenti nei performer in quanto soggetti, e performance «traportative»,
in cui i performer tornano ai loro punti di partenza. Schechner individua inoltre un
continuum tra queste due tipologie di performance che possono trovare modo di
intrecciarsi ed evolvere l'una nell'altra, come abbiamo visto nei casi di Quesalid e Narad, o
pensando all'esordio in scena di attori come Volontè e Cislak. Esordio che detiene al suo
interno, per attori che fanno di questo mestiere la loro vita, le caratteristiche di
performance trasportativa per quella specifica serata e trasformativa come iniziazione
d'ingresso nel mondo della rappresentazione attoriale.

395
J. KELERA, Monologhi di Ryczard Cieslak nella parte del Principe Costante: verso l'apoteosi, «Odra»
XI, 1965. In J. GROTOWSKI, Per un teatro povero, cit., p. 127.
396
R. SCHECHNER, La teoria della performance, cit., pp. 184-85, corsivi miei.

202
Analizziamo ora un caso inerente il TdO. Boal riguardo all'incontro tra ruolo e soggetto
scrive di un esperienza avvenuta a Godrano, piccolo paese della Sicilia a quaranta
chilometri da Palermo, in cui si mise in scena una rappresentazione di teatro forum
particolare: l'attore protagonista rappresentava una persona presente tra il pubblico, il
sindaco. Il forum trattava del seguente caso: un gruppo di pastori del paese aveva deciso di
fondare una cooperativa per unire le forze in un periodo irto di difficoltà, nel quale il
proprio personale gregge non garantiva adeguata remunerazione economica, essi
affermavano che il Sindaco non solo non li aiutasse ma ne ostacolasse oltremodo
l'iniziativa, inoltre il primo cittadino era in carica da ben sedici anni. I pastori stessi
prepararono ed interpretarono la scena.
Lo spettacolo aveva questo svolgimento: Prima scena – Tre membri della cooperativa
discutono sul ruolo del sindaco e decidono di chiamarlo per esigere misure che ritengono
indispensabili, tutti sono d'accordo. Seconda scena – Arriva il Sindaco con un'altra persona
che propone come presidente della cooperativa, affermando la sua competenza in materia. I
tre soci protestano dicendo che il presidente dev'essere un abitante di Godrano che conosce
i problemi locali, ma il sindaco con arte dialettica difende la sua scelta e finisce per
imporla. Terza scena – Il presidente nominato espone il suo piano e propone di collocare la
sede della cooperativa lontano dal paese, nuovamente i soci protestano ma sono vinti dalla
subdola quanto abile argomentazione di sindaco e presidente. Quarta scena – Il sindaco
pretende di ottenere la firma dei tre soci su un foglio di cui dice aver bisogno per pratiche
burocratiche, inizialmente essi si rifiutano ma finiscono tuttavia per firmare.
Da subito, dice Boal, nel forum vi era una tensione pulsante, il soggetto oppressore era in
mezzo al pubblico e mentre l'attore-sindaco interpretava, il pubblico poteva osservare le
reazioni del sindaco, questi sorrideva e cercava di sminuire scherzosamente quanto si
metteva in scena. Ma gli attori facevano sul serio, attraverso la circolazione del ruolo
attoriale vennero messi in luce i fatti, il boicottaggio del sindaco ai danni della cooperativa,
i vantaggi che egli ne traeva, l'imposizione della migrazione come conseguenza della
mancanza di un progetto d'impresa cooperativa che sfamasse i pastori e le loro famiglie,
uno spett-attore propose in scena di escludere il sindaco dalla cooperativa.
Il sindaco ascoltava le accuse, inghiottiva gli improperi e preparava la sua risposta, ed
arrivò il momento dell'inevitabile «stop!» chiamato dal Sindaco stesso che prese il posto
dell'attore che giocava il suo ruolo. In questo modo il sindaco-attore coincideva con il
sindaco-soggetto che si trovava costretto ad intervenire nella piazza del suo paese in cui era
radunata in maniera anomala, il teatro forum, la sua polis a discutere degli atti delle

203
autorità al governo, a criticarne l'operato e ad attaccarlo apertamente.

Si è vissuto allora un momento incredibilmente sconvolgente: il Sindaco è entrato nel gioco teatrale, ma
immediatamente ha cercato di trasformarlo in un gioco che lui conosceva meglio, il gioco parlamentare.
«Bene, ora parliamo seriamente. Finora voi facevate del teatro, giocavate con delle cose serie. Ora parleremo
seriamente»397.

Il sindaco voleva riproporre, trasformando la scena in tribuna, l'imposizione del paradigma


rappresentativo nel quale lui in quanto autorità cardinale dava la parola a chi voleva e
quando voleva, uomo al comando che detta i tempi e i modi dell'interazione,
interrompendo, intervenendo e modificando i dati di realtà a suo beneficio e piacimento.
Ma nel gioco del teatro forum si produsse ben altra dinamica: democrazia teatrale, in cui
qualsiasi spett-attore poteva gridare «stop», fermare la scena ed intervenire. Nel forum,
tutti i soggetti erano uguali e questa modalità realmente democratica smascherava il
sindaco, «quando cominciava a dire qualcosa che non era vero, immediatamente sentiva
«stop!» e qualcuno entrava sulla scena, lo contraddiceva e portava la controprova, il contro
argomento»398.
Il sindaco continuò a cercare di dirottare il forum verso l'imposizione di autorità, ma ogni
volta che effettuava un tentativo in tale direzione era subissato dagli «stop!» del popolo,
nel divenire della creazione continua di un vero spazio di democrazia; il forum che era
cominciato alle nove di sera, alle due del mattino si protraeva ancora tra accese discussioni
ed espressioni di volontà di cambiamento. «Il teatro-forum divenne forum puro e semplice.
Lungamente. Fino all'indomani. Fino in altri paesi, […] perché gli abitanti che erano venuti
volevano importare l'idea del teatro-forum affinché anche là fossero discussi i problemi
della popolazione»399.
In questa scena abbiamo visto coincidere ruolo e soggetto, il tentativo della realtà
istituzionale di impossessarsi della realtà teatrale, ma l'evoluzione prorompente degli
eventi ha decretato il verificarsi del movimento inverso, ovvero il come se teatrale in
quanto prova di rivoluzione si è trasformato in agente diretto di insorgenza democratica
rovesciandosi nella dimensione di realtà quotidiana, trasformandosi da teatro forum in
forum democratico senza interruzione di continuità temporale. Questo rappresenta
certamente un interessante esempio della complessità multifattoriale insita nelle dinamiche

397
A. BOAL, Il poliziotto e la maschera, cit., pp. 53-4.
398
Ivi, p. 54.
399
Ibidem.

204
del TdO.

8.6 La vita quotidiana come rappresentazione

Spostiamoci dalla sfera nella quale il teatro compenetra il quotidiano, nel rapporto tra
verità sincronica e diacronica, ed entriamo nella sfera tutta sincronica della vita quotidiana
come ambito teatrale. L'antropologia, la sociologia e l'arte teatrale hanno infatti
individuato come la molteplicità caratteristica del soggetto umano non necessiti di un
palcoscenico o di un architettura teatrale per esprimersi, ma agisce in modo più o meno
conscio in ogni luogo e tempo delle interazioni sociali delle persone, dalle cerimonie più
elaborate alle situazioni più frivole il soggetto è chiamato a interpretare ruoli differenti e
caratteristici, secondo i differenti ambienti viene richiesta una diversa rappresentazione di
sé verso il particolare pubblico del quotidiano convivere e co-produrre rappresentazione.
Turner parla a questo proposito di recitazione nella vita quotidiana, Goffman di vita
quotidiana come rappresentazione, Boal di rituali e maschere ed anche Grotowski parla di
maschere abituali400; in tale direzione si può dire che «la performance è il modello base di
tutto il comportamento umano, questo aspetto di trasversalità, di processualità, di
molteplicità rivela la gloria e l'abisso della libertà umana»401. Paradossalmente, sia Boal
che Grotowski, individuano nel teatro un luogo di possibilità consapevole rispetto alle
maschere interpretative che nell'enorme gioco di ruolo della rappresentazione sociale
quotidiana i soggetti sono indotti ed acculturati ad utilizzare. Grotowski dice in Il teatro
povero:

L'essenza del teatro è costituita da un incontro. L'individuo che compie un atto di auto-penetrazione,
stabilisce in qualche modo un contatto con se stesso: cioè, un confronto estremo, sincero, disciplinato,
400
A Grotowski, intervistato da Hoffman e Schechner, viene richiesto un chiarimento da parte degli
intervistatori sull'indicazione di lavorare in silenzio assoluto. In un ambiente, quello del teatro
sperimentale statunitense, in cui tutti i collaboratori sono decisamente amichevoli tra loro. Grotowski, non
senza ironia nell'evidenziare la paradossalità della situazione, risponde: «La mancanza di tatto è una delle
mie particolarità. Ho osservato in questo paese una certa cordialità esteriore che fa parte della vostra
maschera giornaliera. La gente è molto “cordiale” ma è terribilmente difficile per loro stabilire un
contatto autentico; in fondo sono molto soli. Se noi fraternizzassimo troppo facilmente, senza etichetta o
formalismi, il contatto naturale diventa impossibile. Se lei è sincero con qualcuno, l'altro lo considera
come un aspetto della maschera abituale». In J. GROTOWSKI, Il teatro povero, cit., p. 287.
401
R. SCHECHNER, La teoria della performance, cit., p. 182. Riportiamo qui la citazione in un frammento
più lungo poiché ha funzione di collegamento con il discorso sul confronto tra le diverse realtà e verità:
«Questo interrogativo sulla coesistenza di più realtà, ognuna delle quali nega tutte le altre, non è solo una
caratteristica del teatro, ma piuttosto individua l'essenza stessa della performance: la più concreta e allo
stesso tempo la più effimera delle arti. E nella misura in cui la performance è il modello base di tutto il
comportamento umano, questo aspetto di trasversalità, di processualità, di molteplicità rivela la gloria e
l'abisso della libertà umana».

205
preciso e totale – non soltanto un confronto con i suoi pensieri, ma un confronto tale da coinvolgere l'intero
suo essere, dai suoi istinti e ragioni inconsce fino allo stadio della sua più lucida consapevolezza402.
Proprio lì dove l'interpretazione è: precisa scelta e perseguimento compromissorio, vi è
possibilità di liberazione dai ruoli cuciti addosso all'individuo e incisi a fuoco sul soggetto
dalle strutture sociali. La forza pervasiva delle maschere sociali dipende dall'essere il frutto
di una costante coproduzione che viene attuata da coloro stessi ai quali viene imposta.
Goffman in particolare chiama il modello di azione prestabilito posto in essere dalla
persona in un'interazione e che può essere presentato o rappresentato in altre occasioni,
«parte» o «routine»; leggiamo nelle sue stesse parole una parte della sua analisi sociologica
delle interazioni sociali quotidiane:

quando un individuo compare di fronte agli altri, le sue azioni influenzano la definizione che questi hanno
della situazione. A volte l'individuo agirà in modo del tutto calcolato, esprimendosi in una determinata
maniera solo per dare agli altri il tipo di impressione che ha la probabilità di sollecitare in loro la particolare
reazione che egli ha interesse ad ottenere. Altre volte agirà per calcolo, pur non essendo che relativamente
consapevole, altre volte ancora si esprimerà intenzionalmente e coscientemente in un determinato modo
soprattutto perché la tradizione del suo gruppo, o il suo status sociale lo richiedono, e non per ottenere una
particolare reazione (a parte una vaga accettazione o approvazione) . Infine, altre volte ancora, le tradizioni
implicite nel ruolo dell'individuo lo porteranno a dare un'impressione ben precisa, malgrado egli non cerchi,
consciamente o inconsciamente, di creare tale impressione403.

Questa visione applica alla quotidianità una continua determinazione rappresentazionale in


cui ciascun soggetto interpreta costantemente ruoli secondo la regolazione dei rapporti di
una data società, dunque l'umano sarebbe sempre attore, più o meno consapevole, in ogni
momento ed ambito della sua vita sociale. In modo similare con la dicitura Rituali e
maschere Boal intende le condizioni culturali sovrastrutturali di una determinata società,
nello specifico, i rituali sono norme di comportamento sociale che non rispondono ai
bisogni e ai desideri delle persone cui sono indirizzate, ma costringono, impediscono,
paralizzano, veicolano spesso sottilmente forme di oppressione. La maschera sociale è una
inevitabile semplificazione della persona che nella realtà sociale e relazionale non può

402
J. GROTOWSKI, Per un teatro povero, cit., p. 67. In un'altra parte del libro Eugenio Barba intervista il
suo maestro, e domandandogli se spingersi in una autoanalisi ed un esposizione tale da costituire una
specie di «disintegrazione dei meccanismi che regolano la vita psichica» non possa mettere a repentaglio
la salute mentale dell'attore, riceve per risposta: «se questo processo viene portato a termine fino ai suoi
estremi limiti, possiamo con piena consapevolezza rimettere la nostra maschera di tutti i giorni, sapendo
esattamente a cosa serve e cosa nasconde. È una conferma non regressiva ma progressiva di ciò che vi è
in noi non di più povero ma di più ricco. Essa porta pure allo scarico dei complessi proprio come in un
trattamento psicoanalitico», Ivi, p. 55.
403
E. GOFFMAN, La vita quotidiana come rappresentazione, Bologna, Il Mulino, 1969, p. 16.

206
permettersi di esprimere tutte le proprie potenzialità. Essa è il frutto di un lungo processo
di formazione, che parte dall'infanzia con acculturazione ed imprinting familiare e passa
attraverso la scuola, il lavoro, le esperienze e gli incontri significativi della biografia dei
soggetti. Come succede per i rituali, anche la maschera sociale può risultare oppressiva
recando sensazioni di repressione ed imprigionamento, essa è uniformativa delle condotte
del soggetto, incanalandole verso percorsi normativi prescritti, facendosi elemento
conservatore ostile ai cambiamenti ed alle assunzioni di rischio determinate dalle situazioni
di imprevedibilità derivanti dalle tensioni desideranti.
In Il poliziotto e la maschera404, Boal elabora un'intera sezione dei giochiesercizi per
lavorare giocando sulle maschere sociali e sulla loro decostruzione, poiché solo
esplorandone i significati e conoscendole, possono, secondo l'autore, venire superate
lasciando spazio alla possibilità di esperire con maggiore libertà le potenzialità della
persona.
Si ritiene il tracciato d'analisi esposto particolarmente fecondo nelle possibilità di dialogo
tra arti performative, scienze sociali e pratiche formative. Consideriamo ora questo
tracciato in rapporto al presente studio sul teatro invisibile e sui conseguenti interrogativi
etici della sua realizzazione. Prendendo in considerazione la quotidianità sociale (senza
voler qui indagare le questioni dell'autorappresentazione solitaria) come campo di
rappresentazione continua di ruoli, parti, routine e maschere; e l'idea, secondo l'analisi di
Turner, che il dramma scenico sia la rappresentazione performativa ed elaborazione
culturale dei drammi sociali costantemente presenti e ciclicamente rinnovati in ogni società
umana e che quindi avviene un circolare rispecchiamento reciproco «della vita da parte
dell'arte e dell'arte da parte della vita»405. Si può dire che il teatro invisibile attraverso la
sua azione: pone una performance teatrale non socialmente accettata (in quanto non
conosciuta ed inconoscibile) volontariamente orientata a provocare modifiche
peculiarmente collocate (attraverso la creazione della situazione specifica) all'interno di
una condizione performativa diffusa socialmente (in-)definita, l'in è dovuto alla concezione
che vede la cultura non come una stele statica ma come un organismo dinamico in continua
trasformazione.
Possiamo anche affermare, in continuità con quanto descritto nel capitolo sull'esperienza
attoriale nel TI, che se l'azione di teatro invisibile per gli attori proponenti è fattore di
accelerazione esperienziale, per la realtà sociale è fattore di accelerazione del dramma

404
A. BOAL, Il poliziotto e la maschera, cit., pp. 81-85.
405
V. TURNER, Dal rito al teatro, cit., p.191.

207
sociale, imponendolo (e rilevandone nella posizione degli attori del gruppo proponente,
nella duplice veste di induttori e osservatori sperimentali, la co-costruzione reattiva e
l'elaborazione culturale) e non attendendo che esso, il dramma, si verifichi nell'emergenza
del sociale stesso.
Ben sottolineandone le caratteristiche di atto provocato da una precisa volontà teatrale e
pedagogica, si può sociologicamente considerare l'azione invisibile come atto performativo
all'interno della globalità degli atti performativi dell'interazionismo quotidiano, un play
determinato all'interno di un acting maggiore.
Seppur questo gioco di scatole cinesi che si possono racchiudere l’una nell’altra secondo
l’ordine delle grandezze, regga ad un'interpretazione sociologica, esso non abroga in
nessun modo la questione etica, in quanto il teatro invisibile provoca il contesto (meso) che
è a sua volta calato nella dimensione storico-culturale determinata (macro), attraverso una
scelta specifica, volontariamente elaborata e condivisa all'interno del gruppo (micro);
inoltre questa tecnica del TdO, non si limita a manifestare una volontà esperienziale,
estetica e sperimentale, ma presume di perseguire degli obiettivi pedagogici.
L'argomentazione secondo cui l'azione invisibile sia un atto performativo all'interno di un
contesto maggiore di performatività quotidiana, difatti, non sarebbe differente
considerando l'azione di un truffatore che si presenta in un ruolo differente dalla sua
identità ordinaria per perseguire i suoi scopi. Utilizzando una figura metaforica mutuata
dal diritto406, il teatro invisibile sta alla vita quotidiana come rappresentazione come il
reato doloso sta al reato colposo nella sfera della legge Italiana. Evidentemente questa
metafora pone un raffronto che interpella una sfera del negativo, quella delittuosa, che
necessita di essere meglio spiegata. Non si vuole, qui, in alcun modo paragonare le azioni
invisibili a qualche forma di delitto, anzi si rinnova l'apprezzamento per il metodo del TdO
nel suo complesso e la nostra volontà di analisi consiste in un’interrogazione della tecnica
invisibile che fornisca elementi (sicuramente recanti errori, lacune ed approssimazioni) per
un dibattito necessariamente complesso, ma che voglia stimolarne la pratica ed in nessun
modo criminalizzarla né inibirla. Questa precisazione si rende necessaria affinché un buon
intento non si rivolga nel suo contrario407.
406
Si fa riferimento al Codice Penale Italiano cfr.
http://www.ordineavvocatirieti.it/sites/default/files/uploaded/ilcodicepenaleitaliano.pdf, in particolare
all'art. 42 c.p. prevede infatti che nessuno può essere punito per un'azione od omissione preveduta come
reato, se non l'ha commessa con coscienza e volontà, ma fa salvi alcuni casi espressamente previsti dalla
legge in cui può aversi reato anche in mancanza di dolo, i casi dei reati preterintenzionali e dei reati
colposi.
407
Queste franche considerazioni trovano affinità con quanto scrive Burstow nel suo articolo: «Let me
acknowledge from the outset, that I almost decide not to write this piece. One set of worries is that the

208
Vediamo ora di esplicare la metafora: mentre per dolo (da cui doloso) si intende la
consapevolezza e la volontà di commettere un reato, l'elemento soggettivo della colpa (da
cui colposo) si presenta quando manca la volontà di determinare un qualsiasi evento
costituente reato, ma l'evento si verifica ugualmente. Si riscontra quindi come
nell'invisibile vi sia la consapevolezza e la volontà di rappresentazione, mentre nella vita
quotidiana come rappresentazione, essa accada malgrado tutto, più o meno
inconsapevolmente. Viepiù, si determina uno stato soggettivo di preterintenzione quando si
vuole porre in essere un reato, ma le conseguenze della propria azione sono più gravi di
quanto previsto; secondo la metafora utilizzata ciò corrisponde alle conseguenze non
programmate che si possono verificare nelle azioni di teatro invisibile che abbiamo già
potuto enumerare: intervento della forza pubblica, rievocazione di eventi traumatici,
possibilità dell'erompere di episodi violenti.
Dunque il piano sociologico non giustifica la condizione induttivo-manipolatoria del teatro
invisibile, né attenua la posizione di potere determinata dalla dicotomia formantesi
nell'azione, in cui gli attori proponenti hanno la possibilità di scelta nell'esposizione di sé,
mentre i soggetti coinvolti non ne hanno, essendo introdotti nel meccanismo nella loro
condizione soggettiva reale-attuale.
Abbiamo qui utilizzato il concetto di spett-attore in relazione al teatro invisibile, ma alla
luce degli argomenti espressi esso non è corretto, in quanto il soggetto rimanendo
all'oscuro, nell'inconoscibilità della dimensione teatrale in atto, non avendo in alcun
momento la possibilità di trovarsi collocato in quanto spettatore neanche potrà vivere
l'esperienza attoriale e tanto meno il passaggio da uno stato all'altro. Il soggetto coinvolto
non vivrà alterazione di stato (spettatore/attore) ma piuttosto vivrà una variazione in
termini di azione (non-interveniente /interveniente), spinto in ciò dall'impianto teatrale
celato; il soggetto coinvolto vivrà comunque nella sua continuità di soggetto nell'attuale,
senza poter giocare tra registri, dimensioni e rotture dicotomiche.
Per ciò che concerne la formazione del soggetto: la coscientizzazione come obiettivo
espresso entra in contraddizione con l'inconsapevolezza nella quale viene mantenuto; e
focalizzando l'attenzione sulla condizione nodale dell'avere coscienza dell'esperienza fatta

article would result in others judging Boal unfeirly or simply condemning invisible theatre. A further
worry is that it would help fuel the ardor for rigid rules and bureaucratization and might even some day
be used as justification to try to control theatre from the outside, much as ethics boards now control
research. I name these problems in the hope that maning them will help guard against them». Queste
attente e calibrate parole ci fanno comprendere una volta di più il piano di complessità delle questioni
trattate e mette in guardia sulla possibilità che studi critici vengano utilizzati in senso opposto ai loro
intenti. Cit., in B. BURSTOW, Invisible theatre, cit., p. 274.

209
per la persona in-formazione, per comprendere quanto si modifica dentro di essa, nella
sfera della comprensione, della possibilità e della scelta, Dewey scrive:

La natura dell'esperienza può essere compresa soltanto col notare che include un elemento attivo e uno
passivo particolarmente combinati. Dalla parte attiva l'esperienza è un tentare, significato che è reso esplicito
con la parola connessa «esperimento». Dalla parte passiva è un sottostare. Quando sperimentiamo qualcosa
noi agiamo su di essa; poi ne soffriamo le conseguenze o sottostiamo ad esse. Facciamo qualcosa all'oggetto
e in compenso esso fa qualcosa a noi; questa è la combinazione particolare. Il nesso di queste due fasi
dell'esperienza misura la fertilità o il valore dell'esperienza. È dispersiva, centrifuga, dissipante. L'esperienza
come tentativo implica un cambiamento, ma il cambiamento non è che una transizione senza significato a
meno che non sia coscientemente connesso con l'ondata di ritorno delle conseguenze che ne defluiscono.
Quando un'attività è cambiata in un sottostare alle conseguenze, quando il cambiamento fatto dall'azione è
riflesso in un cambiamento fatto in noi, anche questo flusso è carico di significato e noi impariamo
qualcosa408.

8.7 La pratica della tecnica invisibile in condizioni di emergenza

Tradiremmo al necessario rigore di un’accurata analisi se non considerassimo la


condizione etica dal punto di vista della situazione di urgenza nella quale la tecnica del
teatro invisibile ebbe genesi.
Seguendo l'indicazione di Frantz Fanon, che dice: «Qualunque problema umano deve
essere analizzato dal punto di vista del tempo»409, poniamo la collocazione socio-storica
dell'utilizzo del teatro invisibile come imprescindibile per farne oggetto di ragionamento
che miri ad una tensione etica che trovi spazio nella storia e non rimanga nell'alveo della
teoretica.
Occorre considerare l'utilizzo della tecnica invisibile nel suo contesto, la sua nascita ebbe
luogo in una condizione di estrema compressione degli spazi di espressione culturale e
politica, infatti nel 1964 e nel 1968 due golpe determinano lo stato di dittatura in Brasile;
Boal continua la sua lotta di attivista politico democratico e rivoluzionario attraverso il
teatro, nel 1971 viene incarcerato e torturato, il suo gruppo disperso dalla repressione, il
loro pericoloso Teatro risolutamente chiuso. «Espulso pochi mesi dopo in Argentina, Boal
vi resterà fino la 1976 [anno in cui anche qui viene perpetrato un golpe militare
antidemocratico], continuando a sviluppare la ricerca di un teatro utile al cambiamento
sociale. Le condizioni di semi-clandestinità nelle quali opera, lo portano a rispolverare una

408
J. DEWEY, Democrazia e educazione, Firenze, La Nuova Italia, 1953, p. 186.
409
F. FANON, Peau noire, masques blancs, in Frantz Fanon Ouvres, cit.

210
vecchia forma teatrale che ribattezza Teatro-Invisibile»410.
Possiamo affermare che quando si determinano condizioni di repressione e di violenza
autoritaria tali da impedire le altre forme del teatro dell'oppresso, il TI diviene unica
possibilità di espressione delle istanze emancipatorie proposte dal TdO stesso, in tal caso i
fattori di clandestinità e di coinvolgimento inconsapevole degli astanti diventano per
condizione storica giustificabili.
In questa condizione il teatro invisibile assurge a forma di resistenza, al tempo medesimo,
culturale e politica; in questo senso non si risolve la problematica etica insita nella tecnica
ma la pone in dialogo dialettico con la contraddizione inscritta nella necessità di una
continuità di azione espressiva che porti la voce oppressa all'evidenza pubblica. In questo
senso la problematica di intromissione nella vita della popolazione coinvolta con l'azione
invisibile si posiziona in subordine all'attuazione della tecnica in quanto diritto di
resistenza del popolo, essa non solo trova nella dimensione clandestina la possibilità di
evitare di incombere nella repressione ma può essere fonte di apertura di uno spazio
espressivo anche per gli astanti laddove non ve ne sono altri. E poiché le conseguenze del
TI si inquadrano all'interno di scenari di violenza del dominio profonda e continuata, esse
realisticamente passano in subordine a quanto la popolazione sia costretta a vivere
quotidianamente in termini repressivi, censori, inibitori e di violenza istituzionale
autoritaria, sia fisica che simbolica. Questo ragionamento si ritiene valido se, comunque,
nell'azione di TI i livelli di rischio per il coinvolgimento degli astanti sono mantenuti nella
logica della riduzione del danno.
Per rendere l'idea di quanto sistematica e organizzata fu la violenza nelle dittature
Sudamericane di quegli anni citiamo il caso dei desaparecidos. Quella della sparizione fu
una strategia perseguita con spietata ampiezza dalle giunte militari di Videla in Argentina e
da Pinochet in Cile, ma presenzia nella storia di tutte le dittature del continente.
Per desaparicion si intende il sequestro improvviso e non dichiarato, da parte di squadre
militari irriconoscibili ma politicamente riconducibili in ogni caso al regime, di persone
colpevoli unicamente di essere attivisti democratici, aderenti a movimenti sociali, a gruppi
rivoluzionari comunisti e della sinistra sociale, compresi i gruppi del cattolicesimo di base
ispirato alla teologia della liberazione, dissidenti o sospettati tali; queste persone venivano
letteralmente fatte sparire senza che più se ne venisse data notizia alcuna, vane le ricerche
di familiari e amici.
Uomini e donne, persone sottratte alla vita, imprigionate, torturate, uccise, i corpi occultati
410
R. MAZZINI in A. BOAL, Il poliziotto e la maschera, cit., pp. 23-24.

211
senza sepoltura, desaparecidos. Nel prologo di Nunca Más, la relazione della
Commissione nazionale sulla scomparsa di persone, scolpisce queste parole sulla storia
recente di un paese lacerato: «In nome della sicurezza nazionale, migliaia e migliaia di
esseri umani, di solito giovani e persino adolescenti, andarono a integrare una categoria
tetra e fantasmatica: quella dei desaparecidos»; più avanti prosegue «Il paese è stato
disseminato di corpi di persone non identificate, sepolte individualmente o collettivamente,
in forma illegale e clandestina. Si trovano nei cimiteri, in aperta campagna, nei fiumi, nelle
dighe e secondo quanto abbiamo visto, anche nel mare»411.
Quanto questo capitolo di storia non sia relegato ad un passato tragico è detto dai fatti del
26 settembre 2014 in Messico. Quel giorno circa 100 studenti dell'Istituto magistrale "Raúl
Isidro Burgos" di Ayotzinapa si recano nella città di Iguala per una manifestazione di
protesta, arrivata la sera, le forze di polizia affrontano violentemente gli studenti, aprendo a
più riprese il fuoco contro di loro. Gli eventi portano quella notte all'esecuzione
extragiudiziale di tre studenti e tre passanti, i feriti sono 25 e 43 studenti vengono
sequestrati e fatti sparire forzatamente. I resti carbonizzati di uno di loro vengono ritrovati
alcune settimane più tardi. Gli altri 42 risultano ancora dispersi più di un anno dopo412.
Cosa farcene dell'evidenza delle potenzialità di schiacciante violenza, latenti o espresse, di
ogni regime politico? Paradigmatico esempio è proprio quello degli Stati Uniti,
confederazione statale democratica per antonomasia, fautrice di un imperioso discorso
interventista nella tutela dei popoli contro i tiranni, ostili nemici di oggi ma spesso buoni e
foraggiati alleati di ieri, ed esportatrice non si con quale patente del prezioso concetto
democratico. Ebbene proprio gli stessi Stati Uniti contengono al loro interno: la base
militare di Guantanamo in cui i detenuti vengono sottoposti a regimi carcerari extralegali,
il capillare controllo dell'NSA (National Security Agency) sui cittadini e sui loro dati
personali, la possibilità di uso, in alcuni Stati, della pena di morte per punire i soggetti
ritenuti colpevoli di particolari delitti e la guerra interna a bassa intensità contro poveri e
minoranze.
Questo quadro oppressivo non è però ricevuto passivamente dalla popolazione, secondo il
principio Foucaultiano che «non vi è potere senza resistenza», proprio nella guerra a bassa
intensità contro le minoranze si è recentemente sollevato un ampio movimento di

411
Nunca Más, Relazione della Commissione nazionale sulla scomparsa di persone, Argentina, 1983, cit. in
D. PADOAN, Le pazze. Un incontro con le Madri di Plaza de Mayo, Milano, Bompiani, 2005, pp. 61-62.
La commissione venne istituita nel 1983 con decreto del presidente Raául Alfonsín all'indomani della
deposizione del regime militare in Argentina.
412
Fonte sito Amnesty International sezione italiana: http://www.amnesty.it/cronologia-sparizione-forzata-
studenti-Ayotzinapa-Messico.

212
affermazione di diritti sociali.
È proprio per protesta contro gli assassini di afroamericani da parte delle forze di polizia
statunitensi compiuti nella tendenziale impunità che nel 2012, dopo l'assoluzione
dell'agente di polizia George Zimmerman giudicato per l'assassinio dell'adolescente nero
Trayvon Martin che nasce il movimento Black Lives Matter. Il movimento assurge al
riconoscimento pubblico nazionale ed internazionale con le mobilitazioni di strada seguite
all'uccisione per mano delle forze dell'ordine di altri due Afroamericani: Michael Brown a
Ferguson ed Eric Garner a New York.
Dal sito del movimento si coglie come il discorso non interessi solo la popolazione
Afroamericana ma cerchi di intessere una trama di resistenza tra tutti i soggetti oppressi dal
discorso (etero)normativo di subordinazione razzista, di genere, giustizialista e
produttivista:

Black Lives Matter is a unique contribution that goes beyond extrajudicial killings of Black people by police
and vigilantes. It goes beyond the narrow nationalism that can be prevalent within some Black communities,
which merely call on Black people to love Black, live Black and buy Black, keeping straight cis Black men
in the front of the movement while our sisters, queer and trans and disabled folk take up roles in the
background or not at all. Black Lives Matter affirms the lives of Black queer and trans folks, disabled folks,
Black-undocumented folks, folks with records, women and all Black lives along the gender spectrum. It
centers those that have been marginalized within Black liberation movements. It is a tactic to (re)build the
Black liberation movement413.

Viene incontro alla nostra analisi il lucido e radicale pensiero di Michael Foucault che ri-
rovescia il principio di Clausterwitz affermando che «la politica è la guerra continuata con
altri mezzi». Nelle battute di introduzione alla terza lezione, La guerra nella filigrana
della pace, del corso tenuto nel 1975-76 al Collège de France e raccolto in Difendere la
società, si interroga con una serie di importanti questioni che culminano con:

L'ultima e principale domanda che dobbiamo porci può essere così formulata: come, a partire da quando e
perché si è cominciato a percepire o a immaginare che quello che funziona dietro e all'interno delle relazioni
di potere fosse guerra? Come, a partire da quando e perché si è giunti a pensare che una sorta di
combattimento ininterrotto travagliasse la pace e l'ordine civile – nei suoi meccanismi essenziali – non fosse
che un ordine di battaglia? È questo dunque il problema che vorrei affrontare quest'anno nelle mie lezioni:
chi ha immaginato che l'ordine civile fosse un ordine di battaglia; chi, nella filigrana della pace, ha scorto la
guerra; chi, nel clamore e nella confusione della guerra, nel fango delle battaglie, ha cercato il principio di

413
Da http://blacklivesmatter.com/

213
intelligibilità dell'ordine, dello stato, delle sue istituzioni e della sua storia?414

E come la guerra sia nella filigrana della pace ce lo ricordano sia l'emersione di momenti
di violenta tensione estrema, latenti nelle maglie del potere, pronti ad essere dispiegati
all'occorrenza nel confronto impari contro dissidenti e oppositori, come dimostrano i
desaparecidos di Ayotzinapa scomparsi nel settembre 2014 in Messico, l'uccisione per
mano di agenti di polizia di persone black negli Stati Uniti o le giornate del Luglio 2001 a
Genova in Italia; sia quelli che Franco Basaglia e Franca Ongaro chiamano Crimini di
pace415, ovvero le strategie di conservazione del sistema sociale attraverso vere e proprie
violenze istituzionalizzate: dal trattamento dei malati psichiatrici, alla reclusione punitiva
dei carcerati, al condizionamento sociale a fini repressivi.
Ma come decretare quando le condizioni di oppressione limitino a tal punto le possibilità
espressive da necessitare l'emergenza di forme clandestine come il teatro invisibile? Quali
criteri adoperare per ammettere che l'utilizzo sia necessario e quindi decretare la
derogabilità etica alle condizioni di ingerenza della tecnica? Quando considerare il teatro
invisibile come possibilità di resistenza nella sua sola propria condizione di esistenza e non
di una tra le tante possibilità attuabili?
Evidentemente si creano molti interrogativi sul come circoscrivere il concetto di
espressione violenta del dominio, infatti non ci si vuole limitare a porne in evidenza la
manifestazione fisica, bensì si vogliono proprio convocare le condizioni di violenza
simbolica e culturale che ne creano la premessa e la giustificazione. Poiché non vi è
gerarchia possibile tra ferite impresse sulla persona e ferite impresse nella persona.
Anche Senor nelle sue considerazioni finali sull'impiego del teatro invisibile denota la
«domanda inevitabile che questa tecnica pone a chiunque si metta ad analizzarla»416,
ovvero l'interrogativo etico. E richiamandone le origini storiche afferma che «Forse era più
facile per Boal quando rispolverò la tecnica in Argentina: la necessità di far qualcosa, in
una realtà che mal tollerava che potesse esprimersi liberamente una certa politica “dal
basso”, rendeva quasi inutili questi quesiti»417.
Dal punto di vista formativo consideriamo il carattere di dicibilità esplicita, lo svelamento
della matrice teatrale, foriero di più estese possibilità quantitative e qualitative, se non

414
M. FOUCAULT, Difendere la società; Dalla guerra delle razze al razzismo di stato, Firenze, Gruppo
editoriale fiorentino, 1990, p. 43.
415
F. BASAGLIA, F. ONGARO BASAGLIA, Crimini di pace. Ricerche sugli intellettuali e sui tecnici come
addetti all'oppressione, Milano, Badini & Castoldi, 2009.
416
P. SENOR, La ribalta degli invisibili, cit., p. 79.
417
Ivi, p. 80.

214
diviene mono-tono che precluda all'espressione della sfera implicita, che dedichi lo spazio
necessario all'analisi degli inconsci collettivi determinanti nella sedimentazione della
violenza strutturale, e che ammetta sempre la possibilità dell'utilizzo di metafore narrative
ed esplicative.
Dunque la dicibilità non gioca su un registro esclusivo, per cui o si ha dicibilità o
indicibilità, ma le possibilità del dicibile contengono quelle dell'indicibile, mentre così non
avviene per l'inverso. E qui affermiamo, a ragione della nostra analisi, che il teatro forum
contiene semanticamente l'esperienza del teatro invisibile, poiché il teatro invisibile è il
non dirsi necessario applicato nella tensione di giustizia per la (ri)conquista di un dirsi
possibile, l'invisibile nella sua origine storica è il creare l'incidenza del dialogo lì dove esso
viene negato.
Il dialogo dell'invisibile, seppur celato negli intenti, si produce comunque come dialogo in
un dramma sociale, il fatto di esprimerlo pur se nella clandestinità ne mantiene acceso il
lume, piccolo lumicino che viene mantenuto nascosto in condizione di emergenza in un
ottica strategica storico-rigenerativa, per poter tornare nuovamente a svelarne il fuoco.
Quindi, tornando all'analisi complessiva delle condizioni storiche: se vi è spazio pubblico
accessibile ad un’esposizione cosciente di svelamento di situazioni di oppressione
permettendo l'intervento del teatro forum, esso garantisce aggiunte prospettive per
profondità di analisi, possibilità sperimentale e ampiezza di diffusione; se lo spazio
pubblico è negato, esso, attraverso il teatro invisibile va in prospettiva critica, riaffermato.
Una proposta operativa potrebbe dunque essere quella di fare del teatro forum un indice. In
che modo il teatro forum potrebbe essere un indice? L'indice potrebbe consistere nella
garanzia di applicabilità del forum o meno. Ovvero, rispondere alla domanda se sia
possibile, in una data situazione collocata storicamente e geograficamente, attuare la
tecnica di teatro forum? Secondo i criteri del teatro degli oppressi, è possibile l'impiego
della tecnica teatro forum, nel qui ed ora storico, che evidenzi e problematizzi una
condizione specifica di oppressione e ne rappresenti attraverso l'azione teatrale ipotesi
differenti di trasformazione?
Se la risposta si risolvesse affermativamente, ecco che si decretano condizioni di
possibilità espressiva che non prevedono la necessità storica dell'impiego del teatro
invisibile; qualora la risposta si risolvesse negativamente, lì il teatro invisibile trova la sua
ragione caratteristica e la sua necessità storica in quanto resistenza espressiva e maieutica
culturale in condizioni di urgenza.
Dunque se la tecnica di teatro forum è applicabile in condizioni di garanzia di libertà

215
espressiva e sicurezza dei partecipanti non vi è necessità d'impiego della tecnica di teatro
invisibile, valida è l'implicazione inversa. In condizioni dubbie la discussione resta aperta,
non si ha infatti intenzione di elaborare un modello astratto che pretenda di interpretare ed
esplicare l'intero spettro delle situazioni storiche possibili; tutt'altro intento ci anima:
trovare strumenti critici operativi che permettano elaborazioni di coerenza consequenziale
tra condizioni di partenza, mezzi applicati e fini perseguiti.
Pensiamo alla rappresentazione di uno spettacolo di teatro forum pubblico come La
spremutina africana, sarebbe un lavoro di questo genere possibile in una società di
apartheid razzialmente definita? Sarebbe stato possibile fare uno spettacolo di teatro forum
sulla desaparicion durante la dittatura Argentina? O, portando un esempio attuale,
pensiamo ad un gruppo di attivisti che in Turchia volesse focalizzare l'attenzione sulla
questione di oppressione dei Curdi?
Definito popolo transnazionale418, quello Curdo è considerato la più grande popolazione al
mondo senza Stato. Circa 20 milioni di curdi vivono in Turchia (il 18% della popolazione),
10 in Iran, 7 in Iraq e 3 in Siria; ad essi vanno aggiunti i circa due milioni di rifugiati
politici in Europa. Il governo turco ha sempre percepito non solo le richieste di autonomia,
ma anche di riconoscimento dei diritti come una minaccia per la stabilità e l’integrità
territoriale e ha sempre reagito con durezza alle richieste del movimento Curdo, negando
persino la sua identità etnica e culturale419. La violenta repressione420 e l'aperta
discriminazione di questo gruppo etnico-culturale ha portato al verificarsi della così detta
diaspora curda. È comprensibile come all'interno di tale scenario garantire la libertà di
espressione e la sicurezza di un evento pubblico come il teatro forum, se non impossibile,
sarebbe gravemente problematica; in tale condizione la tecnica invisibile si rivela lo
strumento in grado di rispondere all'obiettivo, esprimendo il contenuto, e limitando (pur
avendone) i pericoli di un esposizione pubblica dichiarata.
Ritroviamo su questa questione anche il collegamento storico con la vicenda dei gruppi
Agit-prop nella Germania degli anni '20, che come abbiamo visto, di fronte al declinarsi
autoritario della nazione ed alla brutale repressione che spianarono la strada all'avvento
418
Cfr. M. GALLETTI, I curdi un popolo transazionale, Roma, EdUP, 1999.
419
Cfr. l'articolo http://www.geopolitica-rivista.org/20941/la-turchia-e-il-dilemma-curdo-tra-istanze-
democratiche-e-realpolitik.html
420
Emblematica della criminalizzazione delle organizzazioni politiche Curde è la vicenda di Abdullah
Öcalan, detto Apo (Ömerli, 4 aprile 1948), leader storico e fondatore del Partito dei Lavoratori del
Kurdistan (Partîya Karkerén Kurdîstan, noto come PKK). Dopo esser stato accusato dallo stato Turco di
attività terroristica armata, Öcalan cercò la via dell'esilio, chiedendo l'asilo politico in Italia, che gli venne
negato; in seguito fuggi in Kenya, dove venne catturato, tradotto in Turchia venne condannato a morte il
29 giugno 1999; la pena è stata commutata in ergastolo nel 2002, dopo l’abolizione della pena di morte in
Turchia. E’ l’unico detenuto dell’isola-prigione di Imrali. Cfr. www.retekurdistan.it

216
Nazista, furono costretti ad un repentino cambio di strategia ed alla scelta del teatro
clandestino.
Ma la concatenazione interrogativa che contraddistingue la pratica non si interrompe,
poiché se appare con evidenza quando le condizioni avverse non permettano l'esposizione
pubblica esplicita, si deve considerare che quando non ci si trovi all'interno di regimi
totalitari e dittatoriali o nei periodi che predispongono la loro ascesa, la commistione fra
zone di luce e zone d'ombra si fa meno definita e prevedibile. Riprendiamo a tale proposito
il caso Statunitense, in cui con una certa frequenza avvengono uccisioni e brutalità
poliziesche ai danni della popolazione nera, chicana, nativa e delle altre minoranze;
possiamo pensare che probabilmente uno spettacolo di teatro forum pubblico sia possibile
in un quartiere popolare in cui sono forti le reti di attivismo ma non sia attuabile sul luogo
in cui è avvenuto il lutto, in quanto verrebbe considerato come un situazione che potrebbe
turbare l'ordine pubblico, o presumibilmente dipenderebbe dal momento contingente e dai
rapporti di forza delle forze in campo.
Questo esempio ci può far capire come le situazioni di dubbio, in cui più occorre
interrogarsi siano le situazioni nelle quali molto può dare il teatro dell'oppresso nelle sue
varie forme, sviscerando le contraddizioni sociali e facendosi propriamente strumento di
affermazione politica, esattamente agli antipodi dell'oblio e dell'anestesia culturale.
È invece da evidenziare come nel caso in cui non sussistano pericoli per l'esposizione
pubblica di un argomento nella pratica riconoscibile del forum, il teatro invisibile così
come teorizzato nell'enunciazione di Boal dovrebbe attenersi ad una battuta d'arresto. O
meglio, non essendoci più la sua stretta necessità di impiego, la sua pratica caratteristica
potrebbe venire rianalizzata e altrimenti declinata.
Da cui l'interrogativo: con quale significato rianalizzare il teatro invisibile quando non si
determini una condizione di impellenza? L'emergere del fattore di manipolazione quando
si può agire in altro modo, significa affrontarne le implicazioni del TI, esse dal nostro
punto di vista si determinano in questo modo: o il teatro invisibile riconsidera le premesse
del suo obiettivo etico, che lo definisce in quanto tecnica di teatro politico-sociale
coscientizzante (abbiamo già analizzato le criticità di questo presupposto), o più
realisticamente svelatorio di condizioni di oppressione, per riconsiderarsi invece come
pratica teatrale sperimentale nell'attraversamento delle dimensioni tra come se e vita
quotidiana, dando così rilevanza alla dimensione estetica e prettamente indagativa dei
comportamenti sociali; oppure, mantenendo il suo mandato etico, si ritiene che il teatro
invisibile e i suoi praticanti e teorici debbano interrogarsi a fondo e riorganizzare la pratica

217
nelle caratteristiche del suo dispiegarsi, non ultima il diktat Boaliano di non svelamento.
Burtow in proposito mette in evidenza il doppio registro metaforico con il quale può esser
interpretato il TI: la metafora educativa e la metafora dell'arsenale del teatro dell'oppresso.
Infatti – secondo Burstow – è proprio Boal che teorizza le differenti tecniche del TdO in
quanto arsenale del popolo oppresso:

He teorizes his different approaches as the 'arsenal of theatre of the oppressed'. What Boal is suggesting is
that something like a war is transpiring abd that therefore you use what weponry (tactics, education, et.) you
must. Obviusly, this conceptualization fits best with teh violent context in which invisible theatre first took
root – where citizens were being wrested from their homes; put in prison; tortured. But does it not also have
some valence today even in supposedly safe enviroments? Cannot people who are starving reasonably see
themseves as waging a war for their very survival? How about people of colour in a racist world?421

La ricercatrice procede dicendo che per quanto considerando le ragioni e la lotta del
soggetto, sia essa politica o esistenziale, ci siano ragioni per utilizzare la metafora del
contesto di guerra e il conseguente utilizzo dell'arsenale del TdO, questo espandendo
un'aura giustificatoria, ancora una volta non valida eticamente le azioni dell'invisibile. A
dare sostanza a questa considerazione di Burstow, viene fatto notare come il TI violi
principi etici che includono le istanze elaborate da Freire, il quale a sua volta operava in
situazioni di estrema oppressione molto simili a quelle in cui agiva inizialmente Boal.
Pur tenendo in stima l'impegno contro l'oppressione del TdO occorre che le due metafore,
quella educativa e quella del contesto di guerra facciano tesoro reciproco di questa duplice
visone, trovando in un reciproco nutrimento di analisi la possibilità di un bilanciamento
che vada verso una pratica etica del teatro invisibile:

It may be that ethical challenge to create some balance between these two metaphors. In other words, while
people who use the arsenal metaphor (most IT pratictioners need heed the education metaphor far more, it
may likewise be the case that those of us attached to the education metaphor (most of adult educators) have
to at least ask ourselves what might be allowed in this context422.
Riponendo l'attenzione al contesto come necessaria per attuare una dialettica maieutica fra
teoria dell'educazione e pratica del TI all'interno delle reali possibilità di impiego della
tecnica, Burtow ha la capacità di interrogare questa tecnica interrogando a sua volta coloro
che se ne occupano criticamente in quanto pratica formativa. Ciò evita che l'analisi resti
estranea alla molteplicità problematica delle condizioni incontrate dagli attivisti e permette
421
B. BURSTOW, Invisible theatre, cit., pp. 280-81.
422
Ivi, p. 281.

218
di procedere con qualità in un impegno reciproco a dare conto di un’etica che coinvolga
teatro e ricerca sociale, evitando teorizzazioni astratte ed interventi paternalistici.

8.8 Interpretazioni fuorvianti della tecnica invisibile e possibilità di una pratica etica

Tornando al bivio di scelta sulla dimensione etica proposto poco prima: se il gruppo
proponente definisse chiaramente l'impiego della tecnica di TI come pratica che scelga di
dissociarsi dalla sfera etica e si proponesse prettamente la dimensione di sperimentazione
teatrale ed estetica come esperienza gruppale senza voler affrontare il confronto con gli
interrogativi morali e formativi, essa si porrebbe evidentemente al di fuori della pratica del
TdO e sarebbe quindi importante che ciò venisse messo in evidenza; se un gruppo di teatro
impiega la forma invisibile sganciata dal suo presupposto di essere strumento di
liberazione, essa esce dalla cornice del TdO, è altro.
Questo è il caso del Cirque Divers nei fatti di Liegi, un gruppo di teatro che utilizza le
forme di invisibilità tipiche del TI ma che le applica secondo un criterio sperimentale del
gruppo stesso come affermato nell'intento: «“We wanted to experiment with invisible
theatre techniques.”», con qualche argomento teorico assolutamente pretestuoso e
giustificatorio, «“We do not trust people any longer!”» e «“We wanted to demonstrate that
people act according to Pavlovian reflexes, that is, conditioned reflexes in any given
circumstance!»423. Evidentemente il Cirque Divers in quest'occasione si pone su un
territorio che adotta formalmente le caratteristiche di assunzione di ruolo attoriale non
svelato nella realtà quotidiana e provocazione degli eventi, ma avendo per obiettivo
l'indagine sociale dimostrativa rispetto al comportamento dei soggetti sociali
(dimostrazione del paradigma Pavloviano) piuttosto che avere intento di liberazione, si
pone al di fuori della pratica del TdO.
Questo è importante sia ben chiaro per non creare false aspettative nei partecipanti e
confusione rispetto alla percezione culturale allargata della pratica del TdO, chi utilizza
inspirandosene forme del TdO senza aderire ai suoi importanti principi di liberazione,
afferisce ad una pratica teatrale molto diversa.
Sempre facendo riferimento al bivio etico interpretativo, per tutti i gruppi che con plauso
continuano in una ricerca orientata alla trasformazione, al contrasto delle iniquità, alla
liberazione dei soggetti oppressi, all'elaborazione di un teatro sociale e politico calato nelle
realtà storiche e territoriali; praticando il TdO e la tecnica di teatro invisibile: occorre
423
A. BOAL, S. EPSTAIN, Invisible Theatre, cit., p. 31.

219
ragionare in particolare su come limitare la condizione di inconsapevolezza determinata
dall'artifizio teatrale.
In tal senso, si condivide con Burtow l'idea che: i gruppi che praticano TI dovrebbero
pensare a costruire azioni che abbassino i livelli di inganno e che riducano le implicazioni
di coinvolgimento degli astanti di fronte alla crisi operata dal contrasto oppressivo, in
termini di impiego di tempo, di impegno emotivo e di pericolo. Simili preoccupazioni
riguardo l'impiego del TI sono esposte da Edyta Lorek-Jezinska nell'articolo Audience
activating techniques and their educational efficacy, quando considerando che nel TI la
dimensione liminoide sia assorbita dalla struttura pratica e che l'acting teatrale si discioglie
senza darne notizia nell'azione reale. Essa scrive:

the belief that the scene is real imposes on the audience an obligation to react; no artistic choice is given.
Only the awareness of an event as fictionality could grant the audience an obligation to react; no artistic
choice is given. Therefore, it seems that invisible theatre has to be accompanied by reflection. For spect-
actors, both deep and shallow plays are indispensable to generate active and conscious participation and both
should be offered to them in theatrical experience424.

Secondo l'autrice un autentico coinvolgimento del pubblico può avvenire solo nella
possibilità di opzione, ovvero una genuina possibilità di scegliere a proposito del processo
creativo e dei suoi risultati. Considerando che il teatro invisibile vive sempre la seguente
contraddizione: da una parte incoraggia la diretta partecipazione del pubblico, dall'altra è
basato su una condizione completamente ingannevole.
Consapevole di questa contraddizione e cercando degli elementi di superamento
dell'inpasse etico, Lorek-Jekinska analizza tre performance del gruppo teatrale attivo in
Polonia, Akademia Ruchu, sostenendo che in alcuni casi l'elemento manipolatorio del
teatro invisibile può divenire il dispositivo centrale attraverso il quale gli artisti provano ad
illustrare le condizioni di manipolazione agenti nella vita quotidiana. In questi casi le
situazioni di TI imitano eventi del quotidiano nei quali svariate tecniche persuasive ed
induttive sono impiegate per influenzare i comportamenti della popolazione. Il teatro
invisibile in tali casi punta a smascherare alcune modalità di condizionamento che hanno
per obiettivo la standardizzazione delle risposte e la stereotipizzazione dei comportamenti.
In questi casi, dice l'autrice, «the manipulation to which invisible theatre resorts serves
certain purposes that might to some extent justify the means through which they are
424
E. LOREK-JEZINSKA, Audience activating techniques and their educational efficacy, «Applied Theatre
Researcher», No. 3, Article No. 6, 2002, p. 3. Questo articolo completo è reperibile al seguente indirizzo
web: https://www.griffith.edu.au/__data/assets/pdf_file/0008/54962/audience-activating.pdf

220
achived»425. Delle performance di Akademia Ruchu analizzate, due sono del 1978, anno
nel quale l'ingerenza sovietica ed il regime comunista imprimevano un forte marchio alla
realtà socio-politica polacca, ed una è del 1996, dimostrando una certa longevità del
gruppo.
La prima performance è detta propriamente di teatro invisibile ed ha per titolo The Urban
Action, fu agita (ed agitata) a Lodz nel 1978, l'azione si sviluppava in varie zone della città
e durava approssimativamente dodici ore. Immerse nella routine quotidiana della città, le
azioni inscenate da attori anonimi, scientemente inindividuabili in quanto uomini
qualunque, consistevano nel creare file di persone, inciampare per strada , conversare
attraverso cancelli, comprare quotidiani , pulire i vetri dei bus; ognuna di queste azioni era
esagerata o dislocata fuori contesto, attraendo in questo modo l'attenzione pubblica.
Le file di persone erano formate in luoghi assurdi, il ripetitivo inciampare avveniva su
ostacoli non-esistenti, i giornali appena acquistati venivano immediatamente stracciati e
platealmente cestinati; il tutto senza che il pubblico fosse a conoscenza della matrice
teatrale delle azioni.
In alcuni casi le azioni inscenate provocarono l'autentica reazione degli astanti: persone
che si dedicarono all'osservazione e ispezione del luogo dell'inciampo multiplo, soggetti
che si mettevano in fila posizionandosi dietro gli attori nei luoghi più disparati e assurdi,
passanti che cercavano nel quotidiano una notizia particolare che giustificasse l'immediata
eliminazione dello stesso.
L'obiettivo dell'azione invisibile, esplica Lorek-Jezinska, è quello di segnalare l'assurdità e
la manipolazione di alcuni schemi imposti nella quotidianità dell'epoca in Polonia:

The year 1978 was one of the first years of economic crisis in Poland, preceded and followed by social unrest
and the change of everyday habits. Long queues in front of shops were to become a landmark of Polish cities
and towns for many years to come. Because of scarciti of almost all products, many Poles habitually stood in
any queue they encountered in order to buy anything. The artificial queues formed by the performers
multiply the indexical signs of the crisis, signal the gravity of teh problem and show to what extent rational
behaviour can be altered under the influence of the critical situation. In this socio-economic context, even a
person who has been tricked into joining a mock-queue might end up reflecting on how the dominant
structure trains people in the mindless activity of joining a queue. A passage from deep to shallow play (that
is from participation to realisation of the trick) should in most cases cause some reflection on the absurdity of
human behaviour under extreme circumstances426.

425
Ivi, p. 4.
426
Ivi, pp. 5-6.

221
Le scene mirano a rivelare i meccanismi dell'ideologia e dell'indottrinamento imponendo
elementi immaginari sulla realtà e ripetendoli, questo è quanto accade nell'azione
dell'inciampo continuato su ostacolo inesistente, ripercorrendo metaforicamente l'assunto
secondo il quale notizie false (o argomenti indotti) provocano azioni (e reazioni) reali. E
per quanto l'interpretazione dell'azione del giornale da parte degli astanti vertesse verso la
ricerca di un articolo specifico che avesse provocato la rabbia del cestinare, la scena
intendeva focalizzare l'attenzione sulla mancanza di qualità nelle notizie, sulle carenze
nella libertà d'espressione dell'informazione giornalistica e sulla censura imposta dal
regime.
Prendiamo ora in analisi le affinità e le differenze di questa azione rispetto al teatro
invisibile fino ad ora incontrato in questa trattazione: al pari di quanto fino ad ora visto, gli
attori non si rivelano tali e le scene sono rappresentate in luoghi pubblici e vertono a
cogliere l'attenzione del pubblico e ad invogliarne la partecipazione, non vi è dunque
svelamento del come se teatrale e gli spett-attori rimangono in condizione di
inconsapevolezza del fatto teatrale. Ma a differenza di quanto sino ad ora analizzato, in
questo caso non vi è la rappresentazione di un'opposizione fra soggetti, l'uno oppressore e
l'altro oppresso, non vi è determinazione di dramma sociale direttamente espresso, non c'è
un climax che costringe i presenti a schierarsi; la condizione di possibilità di scelta
partecipativa per il pubblico emerge evidentemente, questo è possibile perché la scelta
d'azione di Akademia Ruchu è di rappresentare forme strutturanti e metaforiche del
comportamento sociale e delle limitazioni espressive in tempi di regime, per quanto
concerne la scena della fila in particolare, le caratteristiche dell'azione stessa
(l'insensatezza dei luoghi in cui è proposta) contengono le possibilità di intuirne la
condizione fittizia attivando in parte uno svelamento di quanto accade e che permetta allo
spett-attore una riflessione critica. Osservando la coda fittizia ed inserendola nel contesto
di file diffuse che si producono ovunque e per qualunque bene e servizio nella società
polacca dell'epoca lo spett-attore può arrivare a cogliere l'essenza di entrambe, la
condizione di oppressione e la sua critica potenzialmente anti-strutturale.
La seconda azione non è detta propriamente di teatro invisibile ma di Environmental
Performance, il cui nome è Dom (The House). Il progetto viene attuato a Olesnica nel 1978
in un vecchio caseggiato e durò quasi una settimana. La maggior parte delle attività ebbero
luogo nel cortile, spazio di frontiera e comunicazione tra spazio pubblico della strada e
spazio privato delle abitazioni. Anche se molte azioni, negoziazioni ed eventi provocati
ebbero luogo negli appartamenti privati, lo spazio di attraversamento (in-between) di

222
dimensioni rappresentato dal cortile fu il fulcro delle trasformazioni; le finestre che vi si
affacciavano diventarono le porte di mediazione fra spazio-casa e spazio (non)non-casa,
indice di una possibilità di concetto di casa più allargato, partecipativo e meno
atomizzante. Dunque il cortile e le finestre interessate divennero lo spazio in cui il progetto
portò gli abitanti della casa a vivere un’esperienza collettiva. Citando direttamente
dall'articolo Audience activating techniques:

The action contained one element akin to invisible theatre, namely, the actors initially made the inhabitants
belive that they were a television crew recording a film about their house. This procedure turned out to be an
efective ice-breaker. However, at some stage of interaction and involvement, invisible theatre becomes
impossible and either succeeds in transforming reality or has to admit its own fictionality. In The House, the
deceptive element of invisible theatre turned voyeurs into the objects of gaze, whereas its original purpose
had been to instigate partnership and partecipation; it was thus soon abandoned. The initial manipulation of
invisible theatre showed the extent of the power of television to influence people's behaviour; however, in
this project disclosing the mechanisms of behaviour and teh influence of ideology were not of primary
significance. Its ultimate aim was to activate the inhabitants artistically, to co-operate in a community event
and encourage further activities of similar kind. Achieving this aim would have been impossible if the
elements of invisible theatre had been preserved. Therefore, it can be assumed that invisible theatre can be
effective only in a short-lived project or a single event427.

In questa performance lo spazio semi-pubblico del cortile viene attraversato da una serie di
trasformazioni, includendo quella di attivazione degli abitanti della casa in una risposta
non-voyeuristica. Il progetto dissolve e gioca con la divisione tra attori e spettatori,
rovesciando e rimodulando l'ordine tradizionale. La parte iniziale del progetto, in cui è in
azione il meccanismo del TI, vede il gruppo di attori impersonare una troupe televisiva nel
mentre delle riprese per un film sul caseggiato in questione. Questa condizione iniziale, ci
dice Lorek-Jezinska porta ad una intensificazione delle routine quotidiane, gli abitanti del
palazzo agiscono le loro classiche occupazioni ricorsive in una modalità che interseca vita
quotidiana e scelta performativa, ovvero agiscono le routine consapevoli di essere
protagonisti di un film (per quanto non vi sia pellicola nelle macchine da presa), quindi
agiscono nella consapevolezza non solo di essere osservati dallo sguardo di estranei (la
troupe) ma anche del fatto che quanto agiscono diverrà materiale per una riproposizione
pubblica (il film) di quanto essi compiono. Questa iniziale provocazione già cambia lo
status degli spettatori/abitanti che si trasformano sul filo di frontiera tra consapevolezza e
inconsapevolezza in performer; infatti, per quanto l'operazione filmica sia un artifizio, per

427
Ivi, p. 6.

223
gli abitanti uscire ed agire in cortile rappresenta una conscia decisione di partecipare al
progetto.
Molte alterazioni delle pratiche quotidiane furono operate dagli abitanti con l'intento di
donare una dimensione estetica all'inestetica routine, uno dei partecipanti per esempio
prese ad imballare l'immondizia in maniera differente rispetto all'usuale per rendere
l'operazione maggiormente idonea all'idea filmica. Gli abitanti a questo punto dell'azione
cominciano a prendere l'iniziativa e a contribuire con le proprie idee al flessibile contorno
del progetto. Durante questo lavorio gli abitanti passano da uno stadio di partecipazione in
immersione ad uno di osservazione della superficie, distanziando sé stessi dai propri agiti e
adottando così un punto di vista critico.
Il progetto impone una nuova struttura sociale e personale alle relazioni esistenti,
determinando lo spazio di una possibile risposta comunitaria: antipatie personali, inibizioni
e vecchie liti scompaiono o si riducono notevolmente sotto l'influsso della cooperazione
con i membri della troupe. Per la prima volta in molti anni singoli abitanti entrano negli
appartamenti dei vicini per momenti conviviali, trasformando la co-vivenza, caratterizzata
dalla vicinanza di presenza limitata al minimo dell'interazione e di scambio, in convivenza,
ovvero la co-creazione di un vissuto comune. Attraversando le frontiere invisibili
dell'atomizzazione individualizzante avviene una riscoperta del fattore di riconoscimento
dell'alterità vicina in un luogo dell'abitare compartecipato.
Riportando quest'esperienza al presente possiamo riportare le parole dell'architetto Marco
Zummo:

Aiutati dall'estensione contemporanea del campo delle arti figurative, appresa la lezione adulatoria delle
immagini, allenati alle tecnologie digitali ed alle loro procreazioni, assuefatti alla seduzione dell'effimero,
attratti dal ricambio delle identità, guidati da quei fattori che plasmano la civiltà contemporanea secondo i
modi di una fiction perenne. Si potrebbe operare per piccoli spostamenti, cercando di scoprire quello che è
celato nelle cose di uso quotidiano; di esplorare quello che queste possono fare ancora per noi. Si tratta di
applicare una nuova sensibilità capace di individuare cose e luoghi che emanano emozioni in termini di
aspettativa: che invitano a chiedere altro da loro. Si tratta di riscoprire gli strumenti espressivi a cui gli
abitanti ricorrono naturalmente per avvicinare l'ambiente di vita alle loro inclinazioni ed al loro sentire
personale428.

428
Dall'intervento di M. ZUMMO (architetto presso il Settore Rigenerazione Urbana e Sviluppo) in Abitare
con i sensi. Un'idea di allestimento urbano, effettuato in occasione di Exposcuola 2006 – VII Salone del
confronto tra le proposte formative dell'Europa e del Mediterraneo – polo didattico di Giffoni Sei Canali
(Sa), 11 novembre 2006; cit. in A. DETTA, F. MALTESE, A. PONTREMOLI (A cura di), I teatri
dell'Abitare, Il cantiere Torino, Torino, Supplemento bis ad «Animazione Sociale» num. 1, 2008.

224
È proprio una nuova sensibilità ritrovata quella che mette in moto Akademia Ruchu con il
progetto Dom (The House), permettendo di sovvertire l'istituita divisione tra lavoro attivo e
tempo libero passivo e passivizzato. Una volta innescato il meccanismo di attivazione
creativa, la presunzione del film-making viene abbandonata, la troupe televisiva si svela
nella sua propria realtà di gruppo teatrale. Nondimeno la fase invisibile e l'utilizzo della
popolarità fantasmatica del medium televisivo sono stati fondamentali per attivare la
dinamica di baratto sociale tra abitanti e compagnia, in cui il processo di produzione
filmica era scambiato con cooperazione dei residenti, per poi passare all'aiuto contributivo
ed arrivare alla partecipazione consapevole.
Infatti a culmine e conclusione del progetto venne preparato uno spettacolo finale che vide
attivi nella preparazione e nella rappresentazione una comunità congiunta composta dagli
abitanti della Dom e dai performer di Akademia Ruchu.
Vediamo come in questa seconda performance analizzata, l'impiego di caratteristiche del
teatro invisibile sia cruciale ma circoscritto: infatti la condizione di role-playing è
temporanea e funzionale all'innesco creativo; il ruolo degli attori viene svelato,
riassorbendo lo step iniziale all'interno della dinamica complessiva del progetto di
performance artistica di teatro sociale.
Anche qui come in The Urban Action, l'utilizzo della tecnica invisibile non è volta a
focalizzare una situazione oppressiva per mezzo di un inscenamento contrappositivo ma
verte a smascherare condizioni strutturali di dominio diffuso, evidenziando il fattore
catalizzante e seduttivo del medium televisivo e soprattutto la condizione di incasellamento
urbano desocializzante dei contesti dell'abitare nella post-modernità individualizzata. In
questo modo da smascheratore di dinamiche negative insite nella società la tecnica
invisibile trova una nuova dimensione etica nell'essere attivatrice di dinamiche positive di
riaggregazione ed espressione sociale comunitaria.
La terza performance di Akademia Ruchu analizzata ha un titolo simile alla prima, Sytacja
Miasto (The Urban Situation), e viene agita nel 1996 in una piccola cittadina Polacca. La
scena consisteva nel coinvolgere le persone che attendevano passivamente l'autobus alle
fermate, in una dinamica di baratto: il gruppo teatrale proponeva la degustazione di una
zuppa su un tavolo appositamente apparecchiato in cambio di una riga di poesia scritta dal
soggetto spettatore in attesa del bus. Nei giorni successivi i partecipanti avrebbero trovato i
loro contributi di parole poetiche assemblati insieme e proiettati sui grigi muri della
cittadina.
Non è chiaro dalla descrizione dell'azione quanto venisse dichiarata l'appartenenza ad una

225
compagnia attoriale dei proponenti del baratto, comunque si trovano in questa
rappresentazione delle caratteristiche già incontrate: la reinterpretazione attraverso l'azione
performativa delle condizioni di utilizzo di uno spazio, caratterizzato per la sua passività
dal concetto di non-luogo e la proposta di una dinamica di baratto per l'attivazione di
reciprocità e partecipazione del pubblico. Per quanto riguarda la reinterpretazione d'uso
dello spazio, facciamo riferimento in particolare all'azione di TI effettuata dal gruppo di
Boal in Svezia, in cui una famiglia di attori poneva un tavolo apparecchiato in mezzo ad
una strada trafficata offrendo del té agli automobilisti; per quanto concerne invece la
dinamica di baratto di materiali culturali (si riconosce qui al cibo ed alla sua preparazione
tutta l'importanza di vettore culturale) si fa riferimento alle esperienze dell'Odin Teatret ed
alle analisi di Eugenio Barba.
Vediamo come in questo caso l'azione del gruppo Akademia Ruchu, coerentemente con
una visone sociale nell'impiego del mezzo teatrale: si sposti dall'utilizzo della tecnica di
teatro invisibile in The Urban Action con scopo di denuncia di oppressioni strutturali e non
svelamento; all'utilizzo della stessa come condizione temporanea (poi svelata) di innesco
della partecipazione sociale in Dom; a lavorare con Sytuacja Miasto in uno spazio di
margine tra esplicito e implicito della funzione artistica del gruppo, riferendosi alla
proposta del baratto come attivatore di scambio ed al protagonismo artistico del pubblico
attraverso la richiesta di una creazione in forma di poesia. In questa ultima azione la
presenza della compagnia era primariamente funzionale, in quanto non prevedeva un
assunzione di ruolo attoriale specificamente connotato, bensì una dimensione prettamente
registico-operativa nell'inventare la situazione, nel renderla pragmaticamente attuata
attraverso l'offerta di cibo e la proposta di scambio, in fine nella raccolta ed assemblaggio
del materiale poetico in vere e proprie elaborazioni poetiche compiute.
Il progetto Sytuacja Miasto prevedeva inoltre il coinvolgimento esplicito di giovani
provenienti da gruppi subalterni, questa caratteristica aggiungeva una dimensione di
attivazione sociale specifica di questi soggetti nell'interazione con i passanti, portando a
riunire intorno ad un tavolo imbandito, in quello che altrimenti sarebbe stato il non-luogo
bus stop, di persone di diversi gruppi sociali e varie origini in un'attività comune di
condivisione del pasto e scambio poetico.
Altro elemento molto importante ed interessante introdotto da Akademia Ruchu è quello
della restituzione pubblica, come avviene nel progetto Dom con lo spettacolo finale aperto
alla città, così in Sytuacja Miasto, «everyday environment was transformed by projecting
people's poetry on the grey, aesthetically sterile walls. Poetry was created by ordinary

226
people and displayed in a public place where everybody could read without having to pay
for it»429.
L'evoluzione dell'azione del gruppo Polacco, molto ben riportata ed analizzata da Lorek-
Jezinska, trova collocazione nell'ampio contesto dell'intervento di comunità volto alla
costruzione di empowerment, secondo la definizione di Rappaport:

Identificare, facilitare, creare contesti in cui i soggetti altrove isolati e senza voce, per vari motivi marginali
(outsiders), ed anche organizzazioni e comunità, riescono a trovare voce, a ottenere riconoscimento e
possibilità di influenza sulle decisioni che riguardano la propria vita, L'empowerment concerne per
definizione coloro che sono esclusi dalla maggioranza430.

E a riguardo dell'impiego del TI, elaborano delle scelte teorico-pragmatiche che trovano
eco nella riflessione di Senor, secondo cui vi è la possibilità di interpretare l'invisibile in
altro modo, ovvero:

non basare sempre le scene sul conflittuale e soprattutto sul negativo. È vero che molte azioni sono di
denuncia, hanno l'obiettivo di sottolineare un'omissione, un'oppressione. Ma non è detto che spingere la gente
ad indignarsi o arrabbiarsi sia l'unico modo per stimolarla alla riflessione e al cambiamento. Credo che
proporre azioni in positivo […] possa risultare destabilizzante rispetto a certi meccanismi di oppressione,
possa creare piccoli circoli virtuosi, far immaginare alla gente qualcosa di diverso431.

Questione, quella della restituzione pubblica dei contenuti emersi al tessuto sociale
coinvolto dall'azione di TI che si presenta anche a Senor, il quale evidenzia che ciò
comporta l'introdurre correttivi all'ortodossia di una tecnica che non contemplerebbe in
nessun caso lo svelamento, un'opzione in questo senso è quella di costruire, utilizzando il
materiale sollecitato dall'invisibile: «uno spettacolo di teatro-forum (e quindi uno
spettacolo dove la gente è consapevolmente coinvolta) e offrirlo al territorio, magari in più
riprese»432.
In verità, della regola secondo la quale l'azione di teatro invisibile non va in nessun caso
rivelata agli astanti, vero e proprio comandamento della tecnica, lo stesso Boal fa deroga in
particolari occasioni. Abbiamo già visto come nei fatti di Liegi vi sia una vera troupe
televisiva a documentare l'azione invisibile, ciò in vista di uno svelamento differito al

429
E. LOREK-JEZINSKA, Audience activating techniques, cit., p. 8.
430
Cit. in N. DE PICCOLI, Comunità: un concetto, molti significati, in A. PONTREMOLI, Teorie e
tecniche, cit., p. 106.
431
P. SENOR, La ribalta degli invisibili, cit., p. 79.
432
Ivi, p. 80.

227
grande pubblico attraverso il medium televisivo, l'attrazione per il quale non ha risparmiato
neanche lo stesso Boal; non abbiamo notizia di come sia stato utilizzato il materiale e se
effettivamente sia stato compreso in un programma trasmesso dalla TV Belga, anche alla
luce delle particolari evoluzioni della vicenda. Sicuro è che abbiamo qui una chiara deroga
al principio di non svelamento in ottica di divulgazione culturale allargata dei metodi e
dell'operato del TdO.
Una seconda deroga a questo principio ci è nota in quanto riportata dal stesso fondatore in
Il poliziotto e la maschera. In occasione dell'ultima conferenza al Festival di Skeppsholm,
in cui ebbero luogo le varie azioni di teatro invisibile prese in analisi attuate nella città di
Stoccolma, Boal deve spiegare cosa sia il teatro invisibile e come funzioni. Considerando
l'estrema libertà della quale godono i bambini in Svezia, in cui sono ampiamente accettati
nelle loro manifestazioni di effervescente energia, agli attori venne in mente la proposta di
mettere in scena un’azione di teatro invisibile sui bambini e sul rapporto educativo che ad
essi viene riservato dai genitori.
Nel primo modulo di quest'azione, gli attori erano sparsi in mezzo al pubblico, Boal era sul
palco in qualità di conferenziere; il gruppo che al momento dell'inizio dell'intervento sul
TI, il regista avrebbe posto entrambe le sue mani sul capo e che quello sarebbe stato il
segnale per dare inizio alla scena. Al segnale un attore si alzò e propose in svedese, quando
la conferenza era in lingua inglese, di espellere i ragazzi ed i bambini dalla sala, in quanto
elementi di disturbo che rendevano difficoltosa la ricezione delle parole dei relatori.
Nel secondo modulo un'attrice difese i bambini ed il loro diritto a presenziare alla
conferenza, anche senza comprenderne i significati. Boal racconta: «Un attore cercava di
espellere un bambino dalla sala, un altro acciuffava il ragazzo e impediva che fosse
cacciato. Da diversi punti della sala sprizzavano frasi del dialogo che avevamo preparato a
cui si mescolavano gli interventi spontanei del pubblico»433. Il regista chiedeva in inglese,
parlando al microfono, informazioni su cosa stesse succedendo. Boal definisce la
situazione «esplosiva», nella quale tutta la sala è attivata nella partecipazione.
Nel terzo modulo ad un altro segnale convenuto, Boal chiamava gli attori a fuoriuscire dai
loro posti d'azione dislocati nella sala e recarsi sul palco contemporaneamente. Gli attori a
questo punto salutano il pubblico che applaude come in uno spettacolo convenzionale nella
ri-separazione tra attori e spettatori, «È stato in quel momento», scrive Boal, «che il
pubblico ha capito che si trattava di una scena di teatro-invisibile. Ed è stato allora che ha

433
A. BOAL, Il poliziotto e la maschera, cit., p. 45.

228
capito cos'è il teatro-invisibile. Non è stato necessario dire di più...»434.
Qui si ha un limpido esempio di svelamento dell'azione invisibile, a conclusione della
scena stessa e con l'intento pedagogico esplicativo di formazione attraverso l'esperienza
diretta; con questo caso si può dire che sia stato Boal stesso a determinare il precedente per
le possibilità di ripensamento del categorico non svelamento impresso alla tecnica, fermo
considerando le condizioni di possibilità espressiva e la non necessità di azione clandestina
del contesto.
Visto che le considerazioni per una pratica etica del teatro invisibile non si possono
limitare a stravolgere la tecnica in senso positivo o a decretare la dinamica di svelamento
come risolutoria della questione, occorre ancora riflettere su quale frame pensare per azioni
che focalizzino la propria scena su una contrapposizione conflittuale e che vogliano
perseguire la condizione di non rivelazione della matrice teatrale dell'azione in quanto tale
opzione limiterebbe enormemente l'impatto dell'azione complessiva.
In questa direzione torniamo a seguire l'impianto riflessivo di Burstow che analizzando
l'azione Israel /Palestine Conflict – The Traitor, ne individua delle caratteristiche che ne
fanno, non tanto un modello (impossibile per il TI) quanto un'indicazione di pratica
riflessiva, creativa ed etica.
Questa performance ebbe luogo a Toronto l'8 Dicembre 2004, fu attuata da partecipanti al
corso di adult education program dell'Ontario Instiute for studies in Education ed aveva
per tema il conflitto mediorientale in un periodo nel quale la seconda Intifada portava
sovente la questione alla ribalta delle cronache internazionali. Una delle caratteristiche
principali di quest'azione fu l'impegno da parte del gruppo proponente di progettare ed
attuare un inscenamento che procedesse in ogni sua parte secondo il principio di eticità
nella pratica:

Being ethical, as the theatre team saw it, meant averting danger, ensuring that onlookers would not be scared,
and keeping deception at the minimum. Now, significantly, despite the volatile nature of the subject matter,
the team genuinely did create safety. Having actor posing as spectators whose role it was to defuse problems
was one of the measures taken. A far more fundamental decision was to reject the obvious and dramatic
formula of pitting racist Jews against Palestinians. What the team chose instead - and this choice succeeded
in at once defusing danger and preventing alarm on the part of onlookers – was an inter-Jewish mother-
daughter conflict, with adult daughter as protagonist435.

In questo caso, dalla scelta dei ruoli protagonisti si ha un’attenzione specifica al


434
Ibidem.
435
B. BURSTOW, Invisible theatre, cit., p. 282.

229
contenimento dei rischi, inoltre siamo informati del fatto che l'inganno è ridotto al minimo
poiché la protagonista Jessica, rappresenta se stessa in quanto attinge dalla personale
esperienza delle frequenti discussioni litigiose di questo genere ingaggiate con la madre,
interpretando – secondo la divisione proposta da Boal – una personale compenetrazione di
verità diacronica nella rappresentazione sincronica.
Il luogo scelto per l'azione era un ristorante del centro di Toronto, la scena prevedeva che
Jessica arrivata in loco iniziasse ad attaccare manifesti e volantini di gruppi Arabi ed
Ebraici per la pace, sia locali che internazionali, finendo il nastro adesivo chiedeva aiuto ai
veri clienti, qualcuno dei quali iniziava a mostrare interesse per le informazioni recate nei
poster, apprendendo così dell'esistenza di gruppi di solidarietà internazionale nell'area
cittadina. Dopo circa quindici minuti, un'attrice nel ruolo della madre fa il suo ingresso,
apparentemente prendendo di sorpresa Jessica, scopre cosa questa stia facendo e comincia
a rimproverarla dicendole di essere senza cervello, apostrofandola come traditrice (secondo
il backgroud religioso ebraico) e urlandole di essere anti-Semita. Jessica risponde che non
c'è senso nelle generalizzazioni riguardanti la popolazione Palestinese, argomentando che
lei fa ciò che sta facendo proprio perché altre persone come lei (la madre) pensano in tale
ottusa maniera. La discussione si accende velocemente e dopo pochi minuti, entrambe le
attrici, madre e figlia, si ritirano presso l'ingresso del locale dove continuano a litigare,
permettendo al pubblico di partecipare o meno secondo volontà. Dopo di ché le donne si
dileguano definitivamente dalla scena lasciando agli altri attori che impersonano il ruolo
di clienti portare avanti la discussione facilitando l'espressione del pubblico e la
partecipazione in quanto spett-attori.
Entrando nel merito della risposta degli astanti, Burtow riporta che in vari momenti
persone del pubblico si alzarono per leggere i manifesti, prendendo nota delle informazioni
alcuni espressero l'intento di coinvolgersi nei gruppi di solidarietà; molti discussero sulle
questioni e sulle difficili strade per la pace; ed una volta che le protagoniste lasciarono il
ristorante, molti soggetti si raggrupparono in discussione commentando quanto avevano
osservato e imparando nel processo di confronto.
Riportiamo alcuni interventi osservati nell'articolo:

one of the real customers stated that while he liked what the daugther had said, unfortunately, few Jews were
progressive. Now, by chance, two of the women in the resturant taht day were actual Israeli Jews. They had
taken an active interest in the posters and had been delighted to discover the existence of peace group in
Toronto. Offended by the men's comments, they challenged him, pointing out that he was over-generalizing

230
and that they and their friends were extremly interested in peace. Had this exchange led to problems, the
actors were ready to defuse the situation. It did not. Taking in what was being said, the man learned
something, backed down, and exchange in turn led to further dialogue and further learning436.

L'azione aveva come obiettivo educativo quello di attirare l'attenzione su un conflitto


geopolitico storico, considerandone le molteplici problematicità e di fare informazione
sulla presenza di gruppi che si interessano localmente alla questione e di conseguenza della
possibilità di attivazione diretta.
Ma, nonostante il raggiungimento degli obiettivi pedagogici, le considerazioni più
importanti secondo l'analisi di Burstow e secondo quanto inerisce il nostro tracciato di
riflessione, riguardano lo svolgimento inusualmente etico dell'azione di teatro invisibile: il
gruppo era preparato ad affrontare l'emergere di situazioni violente, ma nessuna violenza
ebbe luogo; nessuno fu impaurito dall'azione e nessun trauma venne rievocato; nessuno
che non ne avesse avuto volontà venne obbligato a partecipare ad un progetto educativo, la
scena si contraddistinse in qualità di sottotesto al normale incedere degli eventi, qualcosa
che si poteva prendere in piena considerazione come in nessuna; inoltre come già detto, il
fatto che la scena fosse la riproposizione di reali accadimenti della protagonista,
affievolisce notevolmente la condizione di ingannevole artifizio.
Nondimeno l'autrice appunta che per quanto l'azione avesse raggiunto pienamente molti
obiettivi etici, qualcosa andò storto, e puntualizza che questa parte della storia non è mai
stata in precedenza riportata, facendo emergere quanto le trascrizioni delle azioni siano
sempre delle interpretazioni selettive. Accadde che un uomo, entusiasta degli argomenti e
dell'azione di Jessica, anticipasse lo script (secondo il quale la madre senza l'aiuto di altri
avrebbe dovuto avvedersi dei manifesti) e apologeticamente mostrando i poster alla
madre, commentasse quanto secondo lui la signora dovesse essere orgogliosa della figlia.
Ma all'accendersi del litigio fu evidente come l'uomo si sentì colpevole dell'accaduto.
Burstow mette in luce questo fatto non per criticare il gruppo teatrale che piuttosto
considera degli apripista di una pratica eticamente orientata, bensì per mantenere
costantemente alto il livello di guardia anche ove una grande attenzione sia stata attuata
nella progettazione e nell'attuazione, la complessità della pratica e l'imprevedibilità dei
fattori umani pongono una necessaria continua rielaborazione delle azioni.
Sentiamo comunque la necessità di fare alcune considerazioni. La prima, seppur qui si
tratta di una questione conflittuale, l'oggetto di quest'azione non è inscenare una situazione

436
Ibidem.

231
di oppressione presente, nessuno dei soggetti interessati è vessato o soggetto ad una
situazione di subordinazione, la questione si determina nella sfera dell'opinione,
dell'argomentazione (per quanto litigiosa) e della testimonianza. La seconda attiene alla
collocazione geografica, si parla in Canada di una problematica che ha luogo in una parte
del mondo molto lontana, dunque per quanto all'ordine del giorno nell'attualità politica
internazionale, nei pressi dell'azione non vi sono check-point, controllo militare in perenne
stato d'eccezione, discriminazione economica e di accesso alle risorse, apartheid sociale;
questo non significa denigrarne l'intento, tutt'altro, ma evidenziare come le questioni
internazionali possano essere un modo per spostare le oppressioni altrove da noi senza
indagare quelle che preoccupantemente bussano alla porta di casa. La terza considerazione
vede come problematica la mancanza di informazione storica e contestuale sul conflitto
Israele/Palestina, mancando di fornire elementi per una presa di posizione qualitativa.
Burstow conclude il suo intervento con l'elaborazione di alcune proposte per una pratica
etica del teatro invisibile per i gruppi che ne fanno pratica, constando in: considerare la
possibilità di utilizzare un altro tipo di intervento per trattare la questione scelta; esaminare
gli errori noti di azioni di TI e studiare come evitarli; consultare soggetti e interagire con le
comunità che subirebbero i risvolti di azioni problematiche; dopo ogni performance fare un
analisi dal punto di vista etico oltre che dal punto di visto dell'efficacia dell'azione; regolare
la consequenzialità mezzi-fini; modulare l'azione secondo il principio di garanzia minima
di sicurezza; limitare le possibilità dell'emergere di situazioni violente ed incaricarsi di
fronteggiarle nel caso si verifichino; nominare persone incaricate all'interno del gruppo di
fungere da garanti del procedere etico sottoponendo a verifica le proposte che potrebbero
contrastare con tale attitudine; prendere in considerazione di svelare l'azione in quanto
performance teatrale.
In particolare sulla modalità di limitazione del conflitto riportiamo questo significativo
passaggio:

Finding a way to limit the conflict or dial back the conflict is equally important. Obviously the mother-adult
daughter formula is the last example is one potential way […]. Examples of choices that might be considered
include: having protagonists and antagonists be people technically 'on the same side'; having all major
players be women; avoiding female protagonist vs. male antagonist formulae; avoiding speaking to the
audience directly; and toning down the insuls hurled. To be clear, little here is absolute. The challenge is to
create a package that at once facilitates critical education and keeps the danger level within acceptable limits.
A consideration that enters into this and other choices is taht while theatre is tipically managed like other
forms of theatre of the oppressed, with onlookers encouraged to get involved early on, in the interest of

232
lowering the risk of violence, it might be preferable for onlookers to be out of the action as teh central
conflict unfolds. Note, in regard, in 'Israel/Palestine – The Traitor', the piece was so scripted that the audience
was most likely to get involved in the pre and post conflict stage – that is, before the antagonist entered and
after protagonist and antagonist left.

Quanto affermato è evidentemente logico, ma dire che per preservare la dimensione etica
della pratica è forse preferibile che gli spett-attori non vengano coinvolti nel cuore del
conflitto ma sarebbe meglio che gli interventi degli astanti si attuassero nel pre e nel post,
può equivalere ad abbandonare l'utilizzo del teatro invisibile come provocazione di una
scena di oppressione da contrastare, ponendolo nella sfera della dialettica teatralizzata,
scontro di opinioni ed argomentazioni che apra uno spazio di continuità all'elaborazione
problematica della questione proposta al pubblico.
Opzione questa che tra le varie declinazioni possibili del teatro invisibile determina
maggior garanzia di pratica etica ma che ripropone in larga parte la dicotomia
attore/spettatore dalla quale, come ben sa ed esprime Burstow, tutto il teatro dell'oppresso
muove.
Avendo preso in considerazione la complessità della questione etica nell'utilizzo della
tecnica di teatro invisibile, avendo elaborato delle proposte ed evidenziato permanenti
interrogativi; pensiamo, arrivati a questo punto, di poter indagare un'ultima (per questa
ricerca) sfera di possibilità d'impiego del teatro invisibile o di alcune sue peculiari
caratteristiche, in qualità di ricerca sociale qualitativa in ambito etnografico, antropologico
e sociologico, come vedremo nel prossimo capitolo.

233
9 - IMPIEGO DI PRATICHE INVISIBILI NELLA RICERCA SOCIALE
E PROPOSTE DI UTILIZZO IN EDUCAZIONE

In questo capitolo finale si approfondiscono alcune possibilità di utilizzo di pratiche


invisibili affini a quelle del teatro invisibile nella ricerca sociale, con una particolare
attenzione per la pratica dell'etnografia coperta in antropologia. Inoltre si analizzano altre
possibilità d'impiego di alcune caratteristiche di invisibilità performativa in alti campi
d'azione, quali il documentario e la street art. Si procede infine ad un riepilogo conclusivo
che mette in luce alcune delle più significative variabili contestuali e di scelta secondo le
quali poter orientare eticamente e pedagogicamente.

9.1 L'etnografia coperta: pratica di ricerca invisibile in antropologia

L'antropologia si occupa in generale dello studio dell'uomo. Il metodo su cui si basa


l'antropologia è quello dell'etnografia. È il famoso lavoro sul campo nel corso del quale il
ricercatore partecipa alla vita quotidiana di una cultura differente (lontana o vicina),
osserva, registra, tenta di accedere al punto di vista indigeno e scrive. Il lavoro sul campo è
una vera e propria immersione sociale, in cui il ricercatore sceglie il proprio territorio di
studio, ovvero il gruppo sociale in analisi e attraverso la sua presenza diretta ne fa oggetto
di osservazione ed interpretazione.
Essere presenti nella situazione studiata, con ogni senso all'erta e l'accoglimento percettivo
dell'esperienza vissuta (anche se da osservatore) è ben diverso dal raccogliere i racconti e
le narrazioni di quella stessa esperienza da parte di coloro che la mettono in atto.
Partecipare ad una cerimonia propiziatoria per un buon raccolto agricolo, ad una liturgia
religiosa, ad un rito funebre o alle celebrazioni di una festa importante, è ben diverso dal
fare interviste o dal farsi raccontare quanto accaduto. Lévi-Strauss, in proposito, scrive
che:

Tra tutte le scienze [l'antropologia] è senz'altro la sola che fa della soggettività il mezzo più intimo di una
dimostrazione oggettiva […]. Nell'esperienza etnografica, pertanto, l'osservatore si fa strumento di se stesso;
con ogni evidenza deve imparare a conoscersi, a ottenere da un sé che si rivela come altro rispetto all'io che
lo utilizza una valutazione che diventerà parte integrante dell'osservazione di altri sé. Ogni carriera
etnografica prende le mosse da 'confessioni' scritte o inespresse437.

437
C. LÉVI-STRAUSS, Antropologia strutturale due, Milano, Il Saggiatore, 1978, p. 48.

234
È attraverso queste parole iniziamo a concepire i punti di contatto, nel manifestarsi dei
numerosi sé della persona, tra la figura dell'etnografo e quella dell'attore. Entrambi
attraverso la propria soggettività effettuano un esperienza di incontro con l'alterità.
Per quanto riguarda lo studio di campo, agli inizi storici della disciplina antropologica
vigeva l'idea che esso, il campo, fosse un luogo determinato da purezza culturale e che la
presenza dell'antropologo non avesse influenza sullo svolgimento della vita sociale e sui
comportamenti dei soggetti studiati, in una pretesa di intangibile neutralità. Nel percorso
critico della riflessione metodologica è stato messo in luce il fitto intreccio di complessità
di piani insiti in questo tipo di ricerca e di scrittura, il concetto di interpretation of
cultures438 mirava propriamente a distinguere tra culture e scrittura delle stesse. Nel
ripensare l'intreccio di campo si afferma una visione constatativa di quanto il territorio
semantico di studio non sia un luogo neutrale, ma al contrario sia un luogo di
contrattazione interpretativa continua, che ha per protagonisti il ricercatore e i ricercati, lo
studioso e gli studiati, l'antropologo ed il particolare tipo di antropos in analisi.
Citiamo le parole di Nathan Wachtel e il suo accorgersi nell'esperienza di ricerca effettuata
in Bolivia tra i Chipaya:

Non tardai a verificare che l'etnologo soltanto per la sua presenza modifica, a volte perturba, il gioco di
equilibri e degli squilibri del corpo sociale nel quale è inserito. Quale che sia il suo comportamento, non
controlla le interpretazioni cui dà adito: coscientemente o no, diventa una variabile tra le fazioni presenti e,
mentre si vorrebbe soggetto che osserva, rischia di ritrovarsi, egli stesso, oggetto manipolato. Impossibile
arrestarsi in un puro sguardo esterno. Il ricercatore occupa necessariamente una posizione nel mezzo delle
reti autoctone, e si vede messo in relazione a un tale o a un tal altro ruolo, che gli uni e gli altri, nelle loro
diverse strategie, si sforzano di fargli giocare. Poiché egli è preso nell'ingranaggio della sua venuta […].
Attraverso la scelta dei suoi informatori, degli amici di cui si attornia, con le stesse domande che pone,
l'etnologo si trasforma in attore e non può sfuggire a un coinvolgimento diretto che gli viene attribuito in
contrasto ai sui dinieghi. Non gli resta che assumere su di sé ciò che egli è per gli altri, cercando di essere
quello che è439.

Già dalla nominazione, osservazione coperta o invisibile, intuiamo la condivisione di


talune caratteristiche con la tecnica invisibile del teatro dell'oppresso.
Ma non sempre è data al ricercatore la possibilità di scegliere completamente l'oggetto di
studio e la condizione osservativa da utilizzare, in quanto alcune caratteristiche specifiche
438
Per l'approfondimento di questa interpretazione che segna un svolta importante per la disciplina
antropologica, si rimanda a: C. GEERTZ, Interpretazione di culture, Bologna, Il Mulino, 1998.
439
N. WACHTEL, Dèi e vampiri, Ritorno a Chipaya, Torino, Einaudi, 1993; cit. in U. FABIETTI,
Antropologia culturale. L'esperienza e l'interpretazione, Roma-Bari, Esitori, Laterza, 2005, pp. 63-64.

235
della persona vengono chiamate in causa come discriminanti. In primo luogo il corpo: per
poter scegliere l'osservazione coperta deve essere appropriatamente collocabile all'interno
del gruppo sociale in studio e coinvolgibile nel relativo contesto. Questi tratti sono inscritti
fisicamente e anagraficamente nel corpo dell'osservatore e vengono definiti da Ulf Hannerz
attributi discriminanti di ruolo. Di questi attributi fanno parte: il sesso, l'età, il colore della
pelle, i tratti somatici; questi caratteri quando differiscono dalle dimensioni normative del
gruppo al quale si vuol fare riferimento possono essere fattore d'impossibilità di accesso e
di conseguenza, di impossibilità di effettuare la ricerca. Propriamente, gli attributi
discriminatori si scontrano con il circoscritto campo di compatibilità di ruolo.
Esemplificativo di ciò, è il caso di Martin Sánchez Jankowski che nell'introduzione alla
monografia Islands in the street, dedicata alle gang di Boston, Los Angeles e New York,
racconta delle sue difficoltà nell'appuntare l'attenzione sulle gang di bianchi a causa del
colore della sua pelle:

Dato che non sono bianco (il segmento polacco del mio nome proviene dal mio padre adottivo), fui più
facilmente accettato dalle gang non bianche di latini o afroamericani, ma ebbi difficoltà con le gang bianche e
asiatiche. Il fatto che non ero asiatico o italiano impedì l'accesso a queste gang. Le gang irlandesi erano
un'anomalia interessante. Mi sarei aspettato che anche loro mi avrebbero impedito la realizzazione dello
studio, poiché non ero irlandese, ma poiché non ero portoricano (uno dei gruppi etnici loro rivali) non venivo
percepito come una minaccia e per questo mi consentirono l'accesso440.

Dunque per Jankowski il colore della pelle, suo attributo discriminante di ruolo, fu
impedimento insovrastabile alla partecipazione nell'attività delle gang italiane ed asiatiche,
costituendo una caratteristica che escludeva la possibilità di assumere un qualsivoglia
ruolo, anche il più marginale, in questi gruppi.
L'interesse di questa ricerca verte sull'etnografia coperta, la ricerca invisibile, e sulle
possibilità di affiancare questo particolare tipo di osservazione sul campo alla pratica del
teatro invisibile fin qui analizzata. Si ritiene che nell'esporre le comunanze delle due
pratiche si possano desumere interessanti tracce di possibilità d'utilizzo.

9.2 La ricerca coperta di LaPiere: Attitudini ed azioni

Caso emblematico e notissimo di ricerca coperta è quello attuato dal sociologo Statunitense

440
M. S. JANKOWSKI, Island in the Street. Gangs and American Urban Society, University of California
Press, 1991; cit. in M. CARDANO, La ricerca qualitativa, Bologna, Il Mulino, 2011, p. 104.

236
LaPiere che nel 1934 pubblicò l'articolo Attitudes and actions nella rivista Social Forces.
Lo studio prendeva in analisi le attitudini sociali e le rappresentazioni mentali del proprio
comportamento dei soggetti coinvolti.
Nelle prime formulazioni della scienza psicologica vi era il generale e non provato assunto
che la corrispondenza tra attitudini dichiarate e comportamento attuato fosse generalmente
vera; conseguentemente era comune per gli psicologi ed i sociologi misurare le attitudini
attraverso questionari e presumere che i dati raccolti avrebbero predetto l'effettivo
comportamento al momento del verificarsi concreto del fatto sociale interrogato.
LaPiere contrariamente a ciò, sostiene che nell'interrogare un soggetto sul suo agire in una
situazione ipotetica, si ottiene una risposta simbolica ad una situazione simbolicamente
rappresentata che non necessariamente predice l'effettiva azione attuata dal soggetto nella
produzione degli accadimenti reali. Lo studioso decide dunque di dimostrare la sua tesi
indagando la discrepanza tra affermazione di pregiudizio razzista e pratica del
comportamento conseguente. Negli anni '30, discriminazione e segregazioni erano tratti
caratteristici della società Statunitense ed era pratica comune che hotel e ristoranti
decidessero di non effettuare servizio per determinati gruppi etnici, in tal senso la
discriminazione nei confronti della popolazione Asiatica era marcata.
Lo studio venne condotto in due parti distinte: la prima focalizzata sul comportamento
effettivo, la seconda relazionata alle attitudini simboliche.
Lo studioso coinvolse una coppia di amici Cinesi in un lungo viaggio attraverso gli Stati
Uniti, percorrendo in totale circa 10,000 miglia:

Between 1930 and 1933, the travelers approached 67 hotels, auto camps, and tourist homes (whatever those
were) for accommodations. They ate at 184 restaurants and cafes. LaPiere kept detailed records of the
responses of hotel clerks, bell boys, elevator operators, and waitresses to the presence of the Chinese couple.
So that reactions would not be unduly altered because of his presence, LaPiere often let the Chinese couple
secure the room or other accommodations while he took care of the luggage, and whenever possible he
allowed them toenter restaurants before him441.

E significativamente non solo, non svela il suo intento di ricerca ai ristoratori presso i quali
si rivolge con la coppia, ma non lo rivela neanche alla coppia stessa:

LaPiere did not inform the Chinese couple that he was making careful observations of the treatment they
received wherever they went. His justification for this was that had they known, they might have become

441
R. R. HOCK, Forty studies that changed psychology. Explorations into the History of Psychological
Research, London, Pearson Prentice Hall, 2002, p. 282.

237
self-conscious and altered their behavior in some way that would have made the study less valid442.

Se nel caso del teatro invisibile l'argomento base del non svelamento del fattore teatrale
viene attribuito alla possibilità per gli spett-attori di agire nel pieno delle potenzialità
d'espressione umane. Potenzialità che verrebbero condizionate ed inibite se le persone
fossero messe a conoscenza della rappresentazione, che se note ricondurrebbero nel
preordinato schema attori/spettatori l'azione. In questo caso di ricerca sociologica,
similarmente, la consapevolezza dello studio in atto da parte della coppia Cinese che ne è
protagonista – secondo LaPiere – avrebbe provocato un alterazione del comportamento che
invece nell'inconsapevolezza veniva spontaneamente esperito.
Nella seconda parte dello studio afferente alla rappresentazione simbolica del
comportamento: LaPiere, dopo aver atteso sei mesi dalla sua visita con la coppia Cinese
per permettere all'effetto incontro di svanire ed evitare una risposta direttamente correlata
all'esperienza, inviò questionari a tutti gli esercizi dei quali erano stati clienti.
La domanda di primario interesse era «Will you accept members of the Chinese race as
guests in your establishment?»443, 81 questionari sottoposti a caffè e ristoranti e 47 di
alberghi ebbero risposta; per assicurarsi che le risposte dei questionari non fossero
direttamente influenzate dalla loro visita, LaPiere inviò ed ottenne risposta dello stesso
questionario da 32 alberghi e 96 ristoranti e bar dislocati nelle stesse regioni del paese che
non erano stati visitati nella ricerca sul campo. I risultati dello studio rilevarono un dato di
esperienza sul campo così ripartito: nella larga maggioranza dei casi il servizio era stato
paritariamente (35) o addirittura maggiormente qualitativo (97) rispetto a quanto atteso dal
ricercatore se vi si fosse recato come consumatore singolo; era stato buono ma differente
per l'espressione di curiosità nei confronti della coppia (107); si verificarono un solo
diniego (1) e rari casi di esitazione per ragioni razziste (11).
Interessante è la lettura dei questionari, infatti la larga maggioranza (oltre il 90%) degli
esercizi dei quali LaPiere e la coppia Cinese erano stati clienti risposero che non avrebbero
servito persone Cinesi. Le risposte date dal gruppo di controllo furono in linea,
dimostrando la non correlazione tra visita e risposte.
La conclusione di LaPiere fu che «it is impossible to make direct comparisons between the
reactions secured through questionnaires and from actual experience»444, argomentando

442
Ibidem.
443
Ibidem.
444
R. T. LAPIERE, Attitudes vs. Actions, «Social Forces», Vol. 13, No. 2 (Dec., 1934), Oxford University
Press, p. 234.

238
che se un Cinese avesse letto le risposte ai questionari non avrebbe certo scelto gli States
quale meta turistica, quando nella realtà i suoi amici Cinesi avevano avuto un
piacevolissimo viaggio quasi privo di discriminazioni.
Se per quanto concerne la rilevazione del comportamento degli esercenti il fatto di non
aver esposto la propria volontà di ricerca non pone grandi interrogativi etici; infatti LaPiere
su questo piano si muove in osservazione di un determinato comportamento pubblico: il
discrimine di servizio in base alla provenienza etnica, senza esporre né occultare le sue
vesti di sociologo. Egli si comporta similmente ad un esperto di cucina chiamato a redigere
una guida culinaria che visita i ristoranti e ne degusta le pietanze, rilevandone privatamente
pregi e difetti, con il fine di darne un rimando pubblico attraverso pubblicazione; così in
veste di sociologo rileva il comportamento umano, ne fa analisi e propone all'accademia e
al pubblico le sue tesi.
L'interrogativo etico in questo caso sta evidentemente nel coinvolgimento inconsapevole
della coppia Cinese, che con la sua presenza costituisce la variabile nei confronti della
quale l'esercente attua il suo comportamento. I risultati positivi della ricerca e del viaggio
sul quale si basò, permisero sul piano della psicologia sociale di riconsiderare l'assunto di
conseguenza tra predizione ed attuazione dei comportamenti445 e nello specifico che negli
USA per quanto riguardava l'ambito turistico e di ristorazione vi era una rappresentazione
di sé orientata alla discriminazione razzista che rarissimamente si traduceva in
comportamento effettivamente attuato. Il rischio, tuttavia, si configurava nella possibilità
che l'ipotesi di LaPiere fosse smentita ed il comportamento degli esercenti dimostrarsi
manifestatamente razzista, ma se così fosse accaduto, evidentemente non ci troveremmo
ora a commentare questo rimarchevole lavoro.

9.3 Il caso Humphreys e la riproposizione della questione etica in etnografia

Passiamo ora ad un caso di studio propriamente etnografico che utilizza per la sua
realizzazione l'osservazione coperta, ovvero l'assunzione di un particolare ruolo
assimilabile al contesto studiato che determina l'invisibilità dell'intento osservativo da parte

445
Sull'importanza di studiare le azioni dei soggetti come modalità di adattamento alle società Whyte scrive:
«A man’s attitudes cannot be observed but instead must be inferred from his behavior. Since actions are
directly subject to observation and may be recorded like other scientific data, it seems wise to try to
understand man through studying his actions. This approach not only provides information upon the
nature of informal group relations but it also offers a framework for the understanding of the individual’s
adjustment to his society»; in W. F. WHYTE, Street Corner Society: The Social Structure of an Italian
Slum, Chicago and London, The University of Chicago Press, 1993, p. 268.

239
del ricercatore. Il sociologo Laud Humphreys condusse alla fine degli anni Sessanta uno
studio sulle pratiche di sesso occasionale omosessuale nelle toilette pubbliche della zona di
Saint Louis. La monografia pubblicata nel 1970 con il titolo Tearoom trade, deriva dalla
scoperta che i bagni pubblici utilizzati per incontri sessuali anonimi erano noti nello slang
della cultura homo come tearoom, e che gli uomini che cercano queste esperienze senza
caratterizzarsi identitariamente come omosessuali venivano chiamati trade. In quel periodo
la concezione pubblica, i rappresentanti istituzionali ed i tutori dell'ordine tendevano ad
imprimere stereotipi semplicistici sugli uomini che praticavano sesso occasionale nelle
restroom; come conseguenza la partecipazione al tearoom sex, nome dato a questo tipo di
rapporti per lo più di sesso orale, provocava più della metà degli arresti di persone per
comportamenti omosessuali negli Stati Uniti446. Comportamento altamente stigmatizzato
ed illegale al tempo della ricerca, per la sua rappresentazione stereotipica ed i suoi effetti
repressivi venne considerato da Humphreys un caso di studio su condotte rappresentative
nella società.
Il ricercatore pensò che il miglior modo di produrre un sapere credibile sulla questione era
di immergersi egli stesso nel setting e attuare un'osservazione diretta di tali comportamenti.
Trovandosi a voler agire l'osservazione su una sfera particolarmente delicata delle condotte
personali, Humphreys scelse la particolare condizione di ricercatore invisibile.
Per attuare l'osservazione coperta dovette trovare un ruolo plausibile all'interno di quel
mondo particolare: la scelta andò sul watchqueen , soggetto che vigila sul rapporto sessuale
nella toilette, e tossisce sonoramente in caso dell'arrivo di agenti di polizia o di altri intrusi.
In questo ruolo fu in grado di effettuare la ricerca in numerosi bagni pubblici dei parchi
della città ed osservare gli incontri nel loro prodursi spontaneo senza sollevare sospetti.
Tra le centinaia di atti sessuali osservati, produsse una dettagliata descrizione di 50 incontri
(principalmente di sesso orale), nei quali osservò alcuni schemi che chiaramente venivano
riprodotti: solitamente non era prevista conversazione o era ridotta al minimo, i ruoli
assunti durante la prestazione sessuale dipendevano dall'età, l'identità dei partecipanti era
protetta dal sodalizio di complicità implicito nella pratica. Il silenzio e l'impersonalità di
questi incontri sono comprensibili come funzione di protezione delle altre identità dei
soggetti (marito, padre, rispettabile membro della comunità, caratteri di masculinità). In
questo modo, la possibilità di accedere ad un ambito occasionale e disimpegnato permette
di costituire una nicchia di gratificazione di una specifica necessità altrimenti reclusa
446
Si pone all'attenzione di come solo nel 1973 l'American Psychiatric Association rimosse l'omosessualità
dalla sua lista ufficiale di disordini mentali. Cfr. http://www.jmu.edu/safezone/wm_library/APA
%20Policy%20Statements%20Fact%20Sheet.pdf.

240
interiormente ed inesprimibile.
Humphreys per descrivere la particolarità del luogo e la differenziazione del pubblico che
lo frequenta scrive:

Tearooms are popular, not because they serve as gathering places for homosexuals but because they attract a
variety of men, a minority of whom are active in the homosexual subculture. When we consider types of
participants, it will be seen that a large group of them have no homosexual self-identity. For various reasons,
they do not want to be seen with those who might be identified as such or to become involved with them on a
“social” basis447.

Per integrare l'osservazione diretta invisibile, Humpreys rivelò il suo ruolo di ricercatore a
una dozzina di frequentatori abituali delle tearoom (i suoi cooperating respondents) che
parevano maggiormente avvicinabili. La possibilità di svelarsi venne valutata considerando
l'elevato livello di istruzione e il carattere particolarmente estroverso dei soggetti, che
vennero ingaggiati in numerose ore di interviste in profondità. Ma era chiaro che costoro
non erano un campione rappresentativo del fenomeno e per avere accesso a maggiori
informazioni sul resto della popolazione che frequentava tearoom, lo studioso si diede ad
indagini più raffinate: seguì i partecipanti delle sessioni sessuali dopo la loro conclusione e
trascrisse i numeri di targa delle loro auto, quando ne raccolse a sufficienza reperì i nomi e
gli indirizzi dei proprietari con l'aiuto di un conoscente che lavorava nella polizia locale448.
Circa un anno dopo, Humpreys lavorava come intervistatore per una indagine sulla salute
e, dopo averlo proposto al suo superiore, ottenne il permesso di aggiungere 50 di questi
uomini alla sua lista di soggetti da contattare per la ricerca. Cambiò la sua apparenza per
evitare di essere riconosciuto e fece le interviste entrando nelle case di persone ignare di
essere oggetto di ricerca, spesso al momento erano presenti anche le mogli e i figli degli
intervistati. Raccolse dati sul loro background e sulla loro presente situazione di vita, senza
evidentemente fare alcun accenno alle attività delle tearoom.
Successivamente comparò questi 50 uomini a un corrispondente campione di soggetti non
frequentatori delle tearoom sull'indagine riguardante la propria salute, concludendo che i
due gruppi erano considerevolmente simili nella maggior parte dei dati rilevati e misurati.
I risultati distruggevano gli stereotipi preordinati: il 54% dei soggetti era sposato e viveva
con la propria moglie e la maggior parte di questi mariti non si percepiva come bisessuale
447
L. HUMPHREYS, Tearoom Trade, Impersonal sex in public spaces, New Brunswick and London,
AldineTransaction, 2009, p. 11.
448
Cfr. D. M. NEWMAN, Sociology: exploring the architecture of everyday life, Los Angeles, Pine Forge
Press, 2010, pp. 87-88.

241
né come omosessuale. Tendenzialmente, i matrimoni di questi soggetti erano per loro
importanti ma carichi di tensione, la maggior parte erano Cattolici o lo erano le loro mogli
e dalla nascita del loro ultimo figlio non avevano avuto che rari rapporti coniugali;
l'alternativa per ottenere un grado di gratificazione sessuale doveva essere veloce, gratuita
ed impersonale; quindi una situazione che producesse soddisfazione sessuale ed al tempo
stesso non mettesse in pericolo la loro condizione matrimoniale e il loro status di padri di
famiglia.
Il 62% dei soggetti omosessuali o bisessuali conteneva tutte le categorie sociali: dai
professionisti di successo ai business man, dagli operai ai disoccupati. Solo il 14% dei
soggetti della ricerca erano membri della gay community ed interessati primariamente a
relazioni omosessuali.
Questa scoperta aiutò a dissipare la nozione che gli uomini fruitori di sesso occasionale nei
bagni pubblici fossero soggetti socialmente marginali o drasticamente differenti dal resto
della popolazione. Più in generale, Humphreys usò i risultati della sua ricerca per
affermare che il sesso nei bagni pubblici era un crimine senza vittime e che la polizia
avrebbe dovuto smettere di arrestare persone per questo comportamento e focalizzare la
lotta anti-crimine altrove.
Come risultati della ricerca Sieber scrive: «The gay community praised Humphreys'
research for dispelling myths and stereotypes. Police departments in some cities responded
to the knowledge he produced by ceasing to raid tearooms. Many social scientists have
applauded Humphreys' research. […]. But others were outraged»449.
La ricerca presa in analisi divise, e tuttora divide, drasticamente tra chi le dona plauso e chi
ne detrae qualsiasi riconoscimento a causa della discutibilità etica. Non a caso il lavoro di
Sieber sulla questione etica nella ricerca sociale si apre proprio con il caso Humphreys, che
dopo oltre quarant'anni dalla pubblicazione continua ad animare il dibattito accademico. È
importante notare come non solo il ricercatore non sveli il suo intento ed assuma un ruolo
funzionale all'osservazione, quello di watchqueen, ma come provochi anche la situazione
d'indagine della sua ricerca, trascrivendo targhe, reperendo abusivamente dati personali,
travestendosi, entrando nella sfera privata e domestica dei soggetti studiati.
Proponiamo a questo punto alcuni parallelismi tra ricerca coperta nel caso appena citato e
teatro invisibile. Nel caso della ricerca coperta sulle tearooms vi è: la condizione invisibile;
l'impersonificazione di un ruolo attoriale a scopo osservativo e d'indagine (nel TI lo scopo

449
J. E. SIEBER, The Ethics of Social Research: Surveys and Experiments, New York, Springer Verlag,
2012, p. 2.

242
è induttivo), quello del watchqueen e dell'intervistatore; inconsapevolezza degli astanti
sugli intenti della ricerca (nel TI del fattore teatrale); la provocazione delle interviste
domiciliari sulla salute scopo di ricerca (nel TI a scopo reattivo del pubblico); il
sollevamento di evidenti problematiche etiche.
Chiaramente il teatro invisibile essendo pratica artistica crea l'azione, è esperimento in
divenire che ingloba; l'etnografia coperta essendo ricerca, guarda l'azione, è osservazione e
analisi sul soggetto e sulla situazione. A differenza del teatro invisibile la ricerca
etnografica coperta, seppur può provocare nuove situazioni d'indagine, non mira a
provocare una crisi in termini di dramma sociale di fronte al quale il pubblico è chiamato a
reagire; bensì ha come scopo osservare, ricercare, raccogliere dati, analizzare, teorizzare e
successivamente restituire al pubblico generale i risultati attraverso pubblicazione.
I sociologi Rainwater e Pittman, rispettivamente direttore della ricerca di Humphreys e
partecipe del comitato di valutazione della dissertazione, già nel 1967 pubblicarono un
articolo sulla professionalità etica in cui insieme all'affermare l'autonomia della ricerca dal
governo anche quando esso ne è il finanziatore, a proposito della sfera di confidenzialità e
gestione delle informazioni sui soggetti studiati affermano: «We maintain that, once having
given the promise of confidentiality, we have an obligation not to reveal any information
we possess which could identify an individual or connect him with what he has told us» 450,
e per i quali, se il ricercatore raccoglie dati che possano portare allo svelamento del
soggetto studiato dovrebbero obliterare le informazioni identificanti.
È da dire che Humphreys dedica ampie pagine della sua monografia alla descrizione del
cauto e molto attento trattamento riservato ai dati raccolti costruendo importanti dispositivi
di protezione, che per quanto ragguardevoli non eliminano completamente il pericolo di
svelamento.
Il dibattito sull'etica degli studi di Humhreys continuerà poiché ci sono ragioni importanti
da ogni parte del fronte, qui, si ritiene interessante notare come le domande che interrogano
le modalità etiche di ricerca sociale sono quanto mai similari a quelle che interrogano il
teatro invisibile. Sieber focalizza le questioni in tre macrodomande:

− È sbagliato utilizzare l'inganno? Come possono essere studiati i comportamenti spontanei privati
senza l'uso dell'inganno?
− Quando la ricerca delle scienze sociali viola la privacy degli interessi personali? Si possono trovare

450
L. RAINWATER, D. J. PITTMAN cit. in J. F. GALLIHER, W. H. BREKHUS, D. P. KEYS, Laud
Humphreys. Prophet of Homosexuality and Sociology, Madison, The University of Wisconsin Press,
2004, p. 25.

243
soluzioni procedurali a questi problemi?

− Quando i ricercatori familiarizzano con persone allo scopo di raccogliere dati (es. quando i
ricercatori diventano osservatori partecipanti), quali obblighi hanno di rispettate e proteggere la
privacy delle persone che studiano?451

All'interno del dibattito in campo sociologico, Bulmer452 sostenne l'argomento per cui la
ricerca coperta poteva essere accettata solo in circostanze estreme a causa delle difficoltà di
giustificazione morale; nel codice etico dell'International Sociological Association è
scritto: «Covert research should be avoided in principle, unless it is the only method by
which information can be gathered, and/or when access to the usual sources of information
is obstructed by those in power»453.
Così anche per l'etnografia invisibile, come per il teatro, viene considerata la condizione
repressiva e di censura come condizione di accettabilità della pratica. La ricerca coperta
continua comunque ad essere scelta ed intrapresa, anche dove le istituzioni accademiche
che regolano e controllano la ricerca vorrebbero precluderla.
Geoff Pearson intraprese una ricerca coperta, pubblicata nel 2009, tra i tifosi delle firms del
calcio Inglese per studiare le risposte poliziesche al fenomeno hooligans, sostenendo che la
ricerca palese non funzionava poiché nelle interviste, mentre alcuni tifosi esageravano
notevolmente le loro gesta per presentarsi in maniera più rilevante, coloro che erano
maggiormente coinvolti tendevano a sotto rappresentare il proprio ruolo e le proprie azioni
per timore di esporsi a ripercussioni poliziesche e nella propria vita quotidiana. Inoltre il
ricercatore voleva indagare il comportamento della polizia, ben sapendo che questo poteva
erompere in comportamenti di abuso nei riguardi dei tifosi, ma che sarebbe stato
enormemente inibito se gli agenti fossero stato a conoscenza dell'osservazione in atto.
Questa ricerca venne in seguito utilizzata per ispirare nuove pratiche di polizia in relazione
al controllo delle masse di tifosi454.
Altro caso di etnografia coperta è la ricerca sul traffico internazionale di organi condotta da
Nancy Scheper-Huges che dovette avere vari elementi coperti ed invisibili, trattandosi di
seguire i tracciati di questo commercio criminale per il mondo, passando dall'incontro con
le vittime, i chirurghi, i trafficanti ed i beneficiari dell'espianto clandestino; mappando e
fotografando le disuguaglianza globali e le loro conseguenze biopolitiche. Scheper Hughes

451
J. E. SIEBER, The Ethics of Social Research, cit., p. 1, (traduzione nostra).
452
K. O' REILLY, Ethnographic Methods, New York, Routledge, 2012, p. 65.
453
Cfr. http://www.isa-sociology.org/about/isa_code_of_ethics.htm
454
Cfr. l'articolo che riguarda questa ricerca: https://www.timeshighereducation.com/news/i-was-a-football-
hooligan-so-i-had-to-break-the-law/401641.article

244
argomentò che in questo studio, in cui ricerca sociale e attivismo politico si intrecciano
fittamente, tutte le normali regole di pratica ed etica della ricerca sul campo si
dimostravano inadeguate.
Come viene ben espresso da O'Reilly esiste in vero un continuum coperto-scoperto in ogni
etnografia, poiché anche quando l'identità del ricercatore è usualmente nota, si trova spesso
coinvolto in bugie funzionali, impersonificazioni momentanee di ruolo, mancanza di
apertura, manipolazioni in-consapevoli; come accade d'altra parte – continua O'Reilly –
nella vita quotidiana per la maggior parte delle persone455.
Quetzil Castañeda approfondisce la connessione tra antropologia e teatro, arrivando a
considerare l'idea che la ricerca sul campo dovrebbe essere considerata secondo la sua
dimensione performativa, definendo lo studio etnografico come teatro invisibile456. Questa
interpretazione avviene considerando quanto il disegno di ricerca rimanga invisibile, come
l'etnografo sia attore sul campo e l'improvvisazione sia una caratteristica in divenire insita
nella ricerca etnografica. Egli spiega:

The research design remains invisible in a fundamental sense no matter how much the ethnographer reveals
the ethnography by informing subjects for consent, ostentatiously using technologies of documentation, and
just talking freely about the inverstigation. There are two reasons. First, fieldwork si necessarly
improvisational, mobile, fluid, flexible, and trasformative; and these performative qualities mean that there is
a gap between the doing and the design of fieldwork such that there is always a hidden, or unknown and
unknowable, element that breaks from the “definition of situation” as defined by either or both of the
fieldwork subject and the subjects of fieldwork. Second, ethnographic knowledge; thus, the experience and
interaction of fieldwork is a potentiality that corresponds not to the right the and there but to the subsequent
re-constitution of information and experience as knowledge in writing, text, and representation that circulates
for other audiences of readers and viewers detached from the specific time and space of the fieldwork. In
many ways, the contemporary moralism of ethnographic writing is precisely the (im)possibility of rendering,
not only ethical dilemmas but this invisibility of fieldwork, into transparency457. (82)

La posizione di Castaneda è dunque anche particolarmente pregnante riguardo al discorso


etico, nella costatazione degli spazi di imprevedibilità e di impossibilità di esposizione
insiti nella ricerca etnografica stessa e nel suo essere elaborazione di sapere in-divenire, in
cui i soggetti che vi partecipano non agiscono secondo schemi predeterminati;
condividendo in ciò un'importante specificità con il teatro e l'educazione sociali.

455
K. O' REILLY, Ethnographic Methods, cit. 65.
456
Q. E. CASTAÑEDA, The Invisible Theatre of Ethnography: Performative Principles of Fieldwork,
«Anthropological Quarterly», Winter 2006, Vol. 79 Issue 1, pp. 75-104.
457
Ivi, p. 82.

245
L'attenzione etica si sposta dall'implicazione in un fatto sociale fittiziamente indotto come
accade nel teatro invisibile ad un fatto sociale esistente, che viene osservato da una
posizione fittiziamente costruita e rimandato alla dimensione pubblica, implicando uno
svelamento del fatto e del soggetto in quanto soggetto sociale ma mantenendo celate le
soggettività individuali dei protagonisti oggetto della ricerca. In questo senso nella regola
della restituzione divulgativa della ricerca sociale avviene il ribaltamento dell'invisibilità in
quanto impone la visibilità del fatto sociale di rilevante interesse in quanto fenomeno
interno alla società.
È proprio nel rimando al sociale che l'etnografia ha il potenziale di determinare
empowerment e di migliorare le condizioni sociali dei gruppi minoritari, marginali e
oppressi; è anche in quest'ottica che va letta Tearoom trade, senza estrapolarla dal suo
contesto e dissezionarla analiticamente come componente a parte. Occorre, infatti, porre la
ricerca nell'insieme della produzione del suo autore.
È da leggere tutta l'opera sociologica di Humphreys come coniugazione di ricerca ed
azione sociale, al contempo osservazione di comportamenti altrui che richiamano in
appello propri sé interiori; viene così elaborato un lavoro di ricerca che si muove tra
interno ed esterno, tra sociologia e biografia, tra dimensione sociale e sfera individuale.
Per intendere ciò riepiloghiamo brevemente la biografia di Humphreys in alcuni
avvenimenti nodali. Egli viene ordinato prete episcopale nel 1955, nella sua attività
religiosa si distingue per gli attacchi al privilegio economico, alla discriminazione razzista
e per il supporto al movimento per i diritti civili: queste posizioni lo portano ad allontanarsi
dalla chiesa per intraprendere la scelta universitaria458. Dopo la pubblicazione di Tearoom
trade, ricerca di PhD, fu assunto per insegnare alla Southern Illinois University in
Carbondale, luogo in cui continuò il suo impegno come attivista nel movimento contro la
guerra. Durante una manifestazione di protesta, il corteo invase l'ufficio pubblico di leva ed
Humphreys, uno degli organizzatori, distrusse una fotografia del presidente Nixon, gesto
per il quale sconta tre mesi di carcere. Nel 1972 pubblica Out of the Closets: The
Sociology of Homosexual Liberation, una delle prime ricerche accademiche sull'emergente
movimento di liberazione gay. Nonostante egli stesso fosse sposato dal 1960 e padre di due
figli, il sociologo fece un coming out pubblico del suo essere gay nel 1974 durante il
meeting dell'American Sociological Association; in aperta critica con l'organizzazione del

458
«Because of his strong public advocacy for the Civil Rights Movement and his support for the rights of
blacks in the church, Laud's relationship with his parishes was often tenuous, if not tinged with animosity.
When St. James Parish in Wichita ousted him in 1965, Laud turned away from the church and enrolled in
graduate school at Washington University», cfr. http://www.lgbtran.org/Profile.aspx?ID=243.

246
meeting stesso venne fondato il Sociologists' Gay Caucus (successivamente Sociologists'
Gay and Lesbian Caucus, fino a diventare Sociologists' Gay, Lesbian, Bisexual, and
Transgender Caucus). Humphreys fu attivo nel fondare l'organizzazione e fu membro del
primo comitato di direzione, in questo ruolo e attraverso le sue pubblicazioni, partecipò
alla legittimazione degli studi gay e lesbici all'interno dell'ASA ed alla messa in
discussione della concettualizzazione dell'omosessualità come devianza. Nel 1980,
Humphreys cominciò a lavorare su una ricerca intitolata Immoral Crusaders (I crociati
immorali) nella quale esplorava il fenomeno chiamato breastplace of righteousness (la
corazza della giustizia) che si riferisce ai leader che pubblicamente si ammantano di forti
prerogative morali mentre privatamente perseguono pratiche sessuali non convenzionali.
Lo studioso potrebbe aver attinto alla biografia famigliare come prima connessione per
questo studio, ovvero la scoperta avvenuta molti anni prima che il padre ultraconservatore
faceva viaggi regolari a New Orleans per avere rapporti sessuali con altri uomini. Nel 1980
Humphreys lascia la moglie, con la quale nonostante il coming out aveva continuato a
convivere, per spostarsi a vivere con il partner Brian Miller, con il quale diverrà co-autore
di alcuni articoli sulla controcultura gay e sulle vittime di violenza omofoba. In questo
stesso anno rielaborò ancora una volta la sua scelta professionale ed ottenne la licenza
come psico-terapeuta matrimoniale e familiare (marriage and family counseling
credential), perdendo contemporaneamente interesse per l'accademia. Humphreys
nell'argomentazione di questa scelta ritenne che in quanto terapista avrebbe potuto aiutare
uomini, i frequentatori delle tearoom, costretti in un intricato gioco di rappresentazioni
sociali e negazioni individuali a ricostruire la propria vita, ad affermare i propri diritti e ad
acquistare autostima ed orgoglio del loro essere gay o bisessuali. Humphreys morì nel
1988 di cancro alla gola.
Come non interessarsi a questa biografia, Humphreys è emblematica impersonificazione di
quella soggettività che Levi Strauss dice essere mezzo intimo di dimostrazione oggettiva.
Attua uno studio etnografico coperto sugli incontri occasionali omosessuali essendo
coperto in sé stesso, ricercatore visibile al sé invisibile celato, involto nella maschera
sociale della sua condizione di marito e padre di famiglia. Humphreys denota una pratica
di ricerca che diventa strumento di consapevolezza per le comunità sociali studiate e per il
ricercatore stesso nel fitto intreccio tra biografia personale, interrogazione intellettuale,
attivismo politico, rivendicazione sociale, pratica professionale, storia famigliare e
dimensione spirituale.
È proprio nell'attitudine ad una ricerca sociale schierata, che sceglie di studiare e porre in

247
analisi gruppi marginali ed oppressi per darne risalto, legittimità d'esistenza ed espressione,
disinnescando ottusi stereotipi. È proprio nella prospettiva di allargamento democratico di
partecipazione sociale e politica di questi stessi gruppi che troviamo affinità tra ricerca
etnografica e teatro sociale politico, in particolare il teatro dell'oppresso. Prendiamo ora in
considerazione due voci in proposito della ricerca sociale schierata, il sociologo inglese
Martyn Denscombe cerca di definire le caratteristiche di questa attitudine dicendo:

research that sets out to promote the interests of a particular group or individual – which seeks to empower
them – does not claim to be impartial, neutral or open-minded about the topic of inquiry, the notion of
'partisan research' has been challenged as an oxymoron – a figure of speech which combines contradictory
terms so as to create a new notion459.

La seconda voce è quella di David Graeber, antropologo statunitense impegnato nella


duplice veste di ricercatore ed attivista nel movimento Occupy Wall Street. Egli porta al
centro della scienza antropologica la proposta di una pratica che attraverso lo studio e
l'interpretazione delle possibilità sociali alternative, valorizzi le esperienze e contribuisca
ad una dinamica circolatoria del sapere, determinando spazi per pratiche di democrazia
diretta nel costante dialogo tra etnografia ed utopia libertaria. In Fragments of an Anarchist
Anthropology scrive:

I think anthropology is particularly well positioned to help. And not only because most actually-existing self-
governing communities, and actually-existing non-market economies in the world have been investigated by
anthropologists rather than sociologists or historians. It is also because the practice of ethnography provides
at least something of a model, if a very rough, incipient model, of how nonvanguardist revolutionary
intellectual practice might work. When one carries out an ethnography, one observes what people do, and
then tries to tease out the hidden symbolic, moral, or pragmatic logics that underlie their actions; one tries to
get at the way people’s habits and actions makes sense in ways that they are not themselves completely aware
of. One obvious role for a radical intellectual is to do precisely that: to look at those who are creating viable
alternatives, try to figure out what might be the larger implications of what they are (already) doing, and then
offer those ideas back, not as prescriptions, but as contributions, possibilities—as gifts. This is more or less
what I was trying to do a few paragraphs ago when I suggested that social theory could refashion itself in the
manner of direct democratic process. And as that example makes clear, such a project would actually have to
have two aspects, or moments if you like: one ethnographic, one utopian, suspended in a constant dialogue460.

459
M. DENSCOMBE, Ground Rules for Good Research: A 10 Point Guide for Social Researchers,
Philadelphia, Open University Press, 2002, p. 165.
460
D. GRAEBER, Fragments of an Anarchist Anthropology, Chicago, Prickly Paradigm Press, 2004, pp. 11-
12.

248
Ritroviamo in queste parole e nel posizionamento dell'etnografia schierata in favore
solidale con i gruppi sociali subalterni, l'attitudine partigiana del teatro dell'oppresso.
Secondo il pensiero di Boal, con il TdO si ripone nelle mani del popolo il mezzo di
produzione espressiva teatro, secondo l'etnografia schierata si osservano ed analizzano
forme di comportamento alternativo alla norma dominante e si rimandano al pubblico,
creando uno spazio di discussione che possa determinare legittimazione culturale ed
empowerment dei gruppi studiati.
Laddove l'etnografia sceglie il campo mirando ad una ricerca oculata sui soggetti ed il loro
prodursi culturale per osservare e rimandare al pubblico allargato dei lettori (o osservatori
nel caso dell'etnografia visuale documentaria) l'analisi, il teatro dell'oppresso scegliendo il
luogo in cui agire e la popolazione da coinvolgere determina il suo campo. Il TdO, scelto il
campo sociale in cui operare, ne costruisce un altro più specifico: il campo drammatico in
cui creare, nella scelta dell'oppressione da rappresentare. In questo campo drammatico
specifico, afferente alla comunità partecipante, partendo dalla proposta del gruppo
proponente si co-costruisce l'analisi sociale e la sperimentazione pragmatica delle
molteplici interpretazioni dei conflitti e delle azioni possibili per modificarne gli esiti; ciò
avviene in modo consapevole nel forum ed inconsapevole nell'invisibile.
Il campo drammatico del TdO è il luogo in cui si produce al tempo stesso: l'analisi, la
sperimentazione dell'ipotesi e l'esposizione dei risultati. La mancanza di consapevolezza
del pubblico, gli spett-attori, nell'invisibile continua ad essere, anche qui, il nodo
problematico, in quanto inficia la sua dimensione di ricerca sociale collettiva e lascia
inespressa la possibilità di costruzione di consapevolezza caratteristica del resto del TdO.
Evidentemente vi è lo spazio per la ricerca etnografica su esperienze di TdO, costituendo la
possibilità per approfondimento di analisi ed allargamento di conoscenza. Si potrebbe
addirittura ipotizzare la situazione paradossale in cui avvenisse un caso di etnografia
coperta all'interno di un gruppo proponente di teatro invisibile; quale caso potrebbe essere
più interessante e complesso per il dibattito etico?

9.4 Altri impieghi di pratiche invisibili: dal documentario alla street art

Tratti ed elementi tipici del teatro invisibile vengono declinati ed impiegati costantemente
nell'azione sociale. Seguendo questo dato analizziamo le possibilità d'impiego di alcune
caratteristiche di invisibilità performativa nei campi d'azione del documentario e della
street art.

249
Si pensi al caso cinematografico del 2014, Io sto con la sposa461, di cui riportiamo la
sinossi:

Un poeta palestinese siriano e un giornalista italiano incontrano a Milano cinque palestinesi e siriani sbarcati
a Lampedusa in fuga dalla guerra, e decidono di aiutarli a proseguire il loro viaggio clandestino verso la
Svezia. Per evitare di essere arrestati come contrabbandieri però, decidono di mettere in scena un finto
matrimonio coinvolgendo un'amica palestinese che si travestirà da sposa, e una decina di amici italiani e
siriani che si travestiranno da invitati. Così mascherati, attraverseranno mezza Europa, in un viaggio di
quattro giorni e tremila chilometri. Un viaggio carico di emozioni che oltre a raccontare le storie e i sogni dei
cinque palestinesi e siriani in fuga e dei loro speciali contrabbandieri, mostra un'Europa sconosciuta.
Un'Europa transnazionale, solidale e goliardica che riesce a farsi beffa delle leggi e dei controlli della
Fortezza con una mascherata che ha dell'incredibile, ma che altro non è che il racconto in presa diretta di una
storia realmente accaduta sulla strada da Milano a Stoccolma tra il 14 e il 18 novembre 2013462.

In questo caso si miscelano caratteristiche di teatro invisibile, etnografia visuale, fictin e


documentario d'inchiesta. La performance inscenata del corteo nunziale transnazionale
costituisce un'azione che si predispone ad uso teatralmente invisibile della performance al
momento dell'incontro con l'oppressione come tattica mimetica per conseguire un risultato
effettivo: l'approdo di queste persone in migrazione al paese che desiderano raggiungere.
L'oppressione è qui costituita: dalle limitazioni di movimento dei cittadini extracomunitari
all'interno dell'Unione Europea, con conseguenti possibilità di controllo, detenzione
amministrativa in specifici centri per migranti e rischio di espulsione forzata; dalla
legislazione riguardante i soggetti richiedenti asilo politico che secondo il regolamento EU
Dublino II463 del 2003 prevede che i soggetti che richiedono questo status di protezione
debbano essere presi in carico dallo stato membro in cui approdano, senza avere quindi
possibilità di scelta rispetto a dove orientare le proprie esistenze; in termini politici globali,
dal business del traffico di vite umane, dal rischio che corrono i migranti per la propria vita
ed incolumità nel viaggio per arrivare in Europa, dalla difesa militare delle frontiere
esterne al Vecchio Continente e dalla condizione di irregolarità ed illegalità, senza aver
commesso alcun reato, in cui vengono poste queste persone che provano a migliorare la
propria vita.

461
G. DAL GRANDE, K. S. AL NASSIRY, A. AGUGLIARO, Io sto con la sposa, Milano, Feltrinelli, 2015.
462
Citazione dal sito ufficiale del documentario http://www.iostoconlasposa.com
463
Regolamento Dublino II(CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i
meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d'asilo
presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo. Per consultare il testo http://eur-
lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=URISERV%3Al33153 sito dell'authentic electronic Official
Journal of the EU.

250
L'azione è provocata come nel teatro invisibile ma necessaria in quanto vita reale, e se la
dimensione attoriale dei ruoli (sposo, sposa e partecipanti del seguito nunziale) è fittizia,
non lo è la condizione profuga464 dei migranti e la loro necessità reale di attraversare i
confini; dunque nell'azione vi è una fusione tra ruolo e soggetto. L'assunzione di ruolo è
qui strumentale alla realizzazione dell'azione inscritta in-divenire nel tracciato biografico
delle persone migranti protagoniste, l'arrivo in Svezia. La dimensione etnografica sta nel
documentare le narrazioni delle persone migranti in fuga da situazioni di guerra, e nel
problematizzare il fattore di unicità soggettiva delle persone e la definizione giuridica nella
quale vengono collocate.
La documentazione filmica dell'azione costituisce al contempo: sia l'intento di costruire un
prodotto di restituzione pubblica dell'azione intrapresa per accendere i riflettori sulle
questioni delle diaspore profughe e per contribuire alla discussione politica smuovendo la
percezione culturale dell'opinione pubblica in senso solidale; sia un'impresa
cinematografica, fiction di tipo professionale con il coinvolgimento di un regista ed una
troupe di operatori competenti con l'idea di produrre un documentario che faccia la sua
strada, sia come prodotto culturale che come prodotto commerciale.
Nel documentario tutto funziona al meglio poiché la sfera del dominio rimane come
background minaccioso, come condizione ansiogena che potrebbe manifestarsi da un
momento all'altro ma con il quale non si entra in colluttazione, il gruppo non incorre in
alcun controllo o dispositivo repressivo. L'incontro con i dispositivi di selezione legati a
Dublino II, veniamo a sapere nei titoli a chiusura del documentario, si mettono in moto nel
respingimento in Italia465 di Alaa Al-Din Bjermi e di suo figlio Manar.
Durante la visione ci si chiede invece cosa sarebbe successo nel caso dell'incontro diretto
con l'oppressione. Gli ideatori del progetto, Dal Grande, Al Nassiry e Agugliaro, nella sua
narrazione, partono dal presupposto «Quale poliziotto di frontiera chiederebbe mai i
documenti a una sposa?», e sebbene vi sia della genialità in questa trovata e nel concetto
che il miglior modo per nascondere qualcosa a volte sia esporla e che il confine tra
Danimarca e Svezia venga effettivamente attraversato in quanto corteo nunziale, gli autori
però mancano di denotare quanto i maggiori fattori di deterrenza da possibili controlli
siano diversi, nel senso di plurimi.
Provando ad enumerarli, senza pretese di esaustività, sono: la brevità temporale del

464
Al tempo della realizzazione dell'azione e della sua documentazione, Siria e Palestina sono territori in
stato di guerra, e lo sono tutt'oggi (2016).
465
Paese di primo approdo in Europa e dove è avvenuta l'identificazione dei soggetti e che quindi secondo il
regolamento Dublino II deve prendere in carico la richiesta di protezione internazionale dei soggetti.

251
viaggio, quattro giorni per un viaggio che per persone migranti non accompagnate da
solidali Europei potrebbe rivelarsi un odissea; la modalità di attraversamento dei tremila
chilometri, la grande maggioranza dei quali viene coperta con automobili private,
all'interno di un'area quella dell'EU in cui vige il trattato di libera circolazione interna di
Schengen, dunque nel quale la frontiera non è tanto definita dal controllo ai confini degli
stati confederati ma è costituita dai diritti di cittadinanza, in termini di controllo, sono le
forze di polizia ad operare la selezione nei territori in base al riconoscimento dello
straniero, in questo senso una stazione dei treni interna ad uno stato è più pericolosa per un
migrante irregolare che l'attraversamento di un confine EU in una macchina privata
europea; la costituzione del gruppo di persone in viaggio, le persone coinvolte sono
ventitré, delle quali otto sono migranti non Europei e quindici sono Uuropei, nella
fattispecie Italiani; la disponibilità economica per pagare benzina, pedaggi autostradali,
biglietti del treno, cibo; luoghi sicuri con persone solidali ed ospitali presso le quali
fermarsi durante le notti del viaggio.
Giustamente gli organizzatori dell'azione si premurano di ridurre i rischi al minimo, ma in
queste caratteristiche emerge fortemente la dimensione di performance e fiction
dell'azione, poiché difficilmente saranno presenti in quanto condizioni linearmente positive
nelle vicende migratorie di altri richiedenti asilo politico in Europa.
Una parola a parte merita il passaggio a piedi del confine italo-francese, attraverso un
varco nella rete metallica sopra Ventimiglia: luogo che costituendo un punto di accesso
percorribile senza altri mezzi che non la deambulazione, per quando probabilmente noto
alle forze di polizia, non aveva alcuna necessità di essere svelato al grande pubblico ed
essere messo sotto lo sguardo dei riflettori.
La dimensione documentaristica svela la storia di un'azione politica, di una performance
itinerante transnazionale e di un'amicizia internazionale. Ma svela anche un atto illegale, di
disobbedienza civile: emigrazione clandestina, favoreggiamento dell'immigrazione
clandestina, premeditazione e costituzione di una rete di numerosi soggetti che in concorso
mettono in atto il reato.
In tal senso è evidente la piena consapevolezza di tutti i partecipanti (unica eccezione il
giovane minore Manar) della conseguenza dell'esporre la violazione della legge nel rendere
pubblica documentaristicamente l'azione. Questa scelta è giocata sull'equilibrio
determinato dal fatto che in presenza di un forte movente etico, di reti di supporto
importanti (il film è stato co-prodotto attraverso crowfounding da 2.617 finanziatori) a
livello di produzione del progetto e dei singoli partecipanti e di un esposizione a tal punto

252
allargata dell'azione nel documentario; che un opera repressiva da parte del potere sarebbe
controproducente, in maggior ragione di fronte al grande successo e dall'ammirato
appoggio ottenuto dal documentario di importanti settori dell'opinione pubblica.
In Io sto con la sposa troviamo, nonostante le critiche attuate, l'esempio di un film
documentario che interroga la realtà modificandola attraverso un’azione di disobbedienza
civile che pone al centro del racconto un’oppressione e nell'azione invisibile intrapresa un
modo per sfidarla e superarla, in una co-costruzione solidale in cui ciascuno dei
partecipanti mette in discussione la sfera del diritto per affermare una necessità di
reinterpretazione delle discriminazioni originate dal principio di cittadinanza nello scenario
postcoloniale.
Altro impiego di pratiche invisibili avviene nella street art e nel mondo del graffiti writing,
secondo il principio che la traccia espressiva viene affidata alla strada ed ai suoi muri,
queste forme di pittura sono divenute le chiazze incontrollabili di colore, in perenne dis-
equilibrio tra forma artistica e pratica vandalica, operate sulla grigia monotonia delle
superfici verticali metropolitane.
I writers sono divenuti nei contesti urbani di tutto il globo dei pionieri, per lo più
inconsapevolmente, della pratica situazionista del détournament: l'impronta dei graffiti può
essere considerata l'interpretazione di una situazione ludico espressiva in opposizione alla
mediocrità della vita quotidiana, puntando secondo quanto scrive Debord sulla
«scommessa di guadagnare sempre sul cambiamento, andando sempre più lontano nel
gioco e moltiplicando i periodi commoventi»466
I graffiti writers si muovono percorrendo una linea di frontiera tra invisibilità e visibilità: si
muovono nell'anonimato per ciò che concerne la loro identità normata dalle definizioni
anagrafiche, soggetti in azione coperti dall'oscurità notturna alla ricerca dell'invisibilità per
sfuggire ai controlli e agli arresti; all'opposto, ricercano la maggiore visibilità possibile
come soggetti espressivi attraverso i loro nome d'arte, la tag, e quello del gruppo, la crew.
Le forme dipinte sui muri, siano esse lettere o disegni, sono l'espressione di una
reinterpretazione dello spazio urbano che non accetta delimitazioni di azione ed impone la
presenza anomala in una ricerca continua di stili e luoghi da contaminare. Bonito Oliva per
contestualizzare l'opera di Basquiat nel panorama Newyorckese degli anni '80, scrive:

Di solito la città offre un sistema di segnali emessi dai mezzi di informazione di massa e dalla pubblicità, il
cui monopolio appartiene non certo all'uomo medio, ma alla classe egemone. Ma alcune città americane
466
G. DEBORD, Rapporto sulla costruzione delle situazioni e sulle condizioni dell'organizzazione e
dell'azione della tendenza situazionista internazionale, Torino, Nautilus, 1999, p. 27.

253
presentano ora uno spettacolo spontaneo, che scoppia sui muri dei palazzi, dei sotterranei della metropolitana
a anche dentro gli stessi vagoni. Una scrittura libera e anonima, cromaticamente aggressiva, richiama
l'attenzione dei passanti e della folla anonima che attraversa la città. Una folla che generalmente vive
l'espropriazione continua dei codici e dei canali di informazione e comunicazione. Questi “American graffiti”
sono invece il tentativo di invertire la rotta e di riallacciare i collegamenti intersoggettivi, impediti dalla
solitudine dentro la quale vive gettato l'uomo urbano467.

Le forme della street art intendono contestare l'onnicomprensiva economicizzazione di


ogni spazio pubblico inteso a generare sul corpus sociale una continua riproduzione del
meccanismo edonistico di offerta-richiesta, in cui bisogni indotti e status symbol
scientemente costruiti monopolizzano le visioni urbane e creano l'imposizione di un
confronto costante con ciò che bisognerebbe essere. Nel ricorsivo non-dialogo tra
produzione e consumo che vorrebbe normare ogni sfera dell'umana esperienza, anche
quella artistica, le forme di espressione libera restano un’incrinatura del progetto
uniformante, resistenza culturale endemica all'assopimento diffuso delle coscienze, traccia
che sovverte l'atomizzazione individualizzante nell'esprimere una voce nel silenzio
dell'accettazione: il tentativo di colpire l'altro nella proposta di un dialogo imperfetto,
spesso incompreso.
Il graffiti writing è una di queste forme difficilmente controllabili di espressione artistica
pronta a colpire ovunque. Uno degli indiscussi protagonisti della street art degli ultimi due
decenni, Banksy, esprime in questi termini il suo pensiero:

Despite what they say graffiti is not the lowest form of art. Although you might have to creep about at night
and lie to your mum it's actually one of the more honest art forms available. There is no elitism or hype, it
exhibits on the best walls a town has to offer and nobody as put off by the price admission. A wall has always
been the best place to publish your work. The people who run the cities don't understand graffiti because they
think nothing has the right to exist unless it makes profit, which make their opinion worthless. […] The
people who truly deface our neighbourhoods are the companies that scrawl giant slogans across buildings and
buses trying to make us inadequate unless we buy their stuff. They expect to be able to shout their message in
your face from every available surface but you're never allowed to answer back. Well, they started the fight
and the wall is the weapon of choice to hit them back468.

Banksy è balzato alla notorietà per i suoi disegni che integrano esecuzione tecnicamente
impeccabile attraverso l'utilizzo di stancil469, impiego di una simbologia diretta e che

467
A. BONITO OLIVA, L'ombra perenne dell'arte nella vita breve di Basquiat, in R. CHIAPPINI (a cura
di), Jean-Micheal Basquiat, Ginevra-Milano, Skira, 2005, pp. 15-16.
468
BANKSY, Wall and Piece, London, Century, 2006, p. 8.
469
Mascherine pre-intagliate che nelle parti mancanti costituiscono il negativo del disegno che tracciato con
lo spray verrà impresso sulla superficie prescelta.

254
impatta il pubblico e scelta di un messaggio politico radicalmente critico declinato in
forme sarcastiche.
Oltre alla forza della sua produzione artistica, lo street artist di Bristol si è imposto alle
cronache per aver messo in atto delle azioni spudoratamente audaci in alcuni dei più
importanti musei d'Europa e degli States. Azioni che attuano una seconda sfera di
invisibilità innestandosi sulla prima che attiene all'anonimato mantenuto dall'artista con
particolare attenzione ed in generale dai writer come pratica per non essere rintracciati e
incorrere in sanzioni e repressione470.
Si prende ora in analisi proprio il dispiegarsi di queste azioni invisibili. Tra il 2003 e il
2005 Banksy decide di trasferire la sua opera dalla strada e portarla all'interno delle
istituzioni artistiche per eccellenza, i musei e le pinacoteche nazionali. La sua idea è quella
di mettere in questione la selezione esistente nel mondo dell'arte pittorica, in cui un gruppo
ristretto di persone crea, promuove, compra, esibisce e decide cosi sia di successo e da
acclamare, determinando un discrimine commerciale piuttosto che la possibilità di
espressione del vero talento e delle capacità tecniche. Ecco come Ellsworth-Jones descrive
la prima delle azioni invisibili di Banksy:

Un mercoledì di metà ottobre del 2003 un uomo alto, barbuto e trasandato, con indosso un cappotto scuro,
una sciarpa e uno di quei cappellini che portavano una volta i giocatori di cricket, entrò alla Tate Britain con
in mano una busta piuttosto grande.
Banksy – perché in effetti di lui si trattava – passò sicuro oltre gli uomini della sicurezza e arrivò dritto, senza
controlli, fino alla sala 7, al secondo piano. Era un posto scelto con cura, che doveva aver studiato in
anticipo. […] .
Scelta la sala espositiva che faceva per lui, si mise in cerca del posto migliore per esibire le sue opere. Trovò
uno spazio abbastanza grande tra un paesaggio bucolico settecentesco e il vano della porta che conduce alla
sala 8, e lo fece suo. Posò a terra la busta che aveva portato con sé, tirò fuori un suo quadro e lo fissò sul
muro. Fu davvero un atto coraggioso: la Tate Gallery non sarebbe stata contenta che un uomo stava rubando
non un opera, bensì uno spazio. Ma forse i suoi primi anni a Bristol da imbrattatore di muri gli avevano
insegnato a tenere i nervi saldi, perché non diede il minimo segno di panico mentre allungava il braccio verso
la busta una seconda volta per trarne un impeccabile cartoncino su cui era scritta la legenda del quadro.
Attaccò dunque con cura il cartoncino accanto al quadro e poi uscì471.

470
L'anonimato per Banksy è legato alla natura illegale dei graffiti: «lui “ha dei problemi con i poliziotti”;
autenticare un graffito che ha fatto per strada sarebbe come “firmare una confessione”. In passato ha
detto: “Ritengo sia un crimine senza vittime quello che commetto di solito, ma il fatto che sia un crimine
è importante. Ogni graffito ripete che nessuno può dirti cosa devi fare, che te ne andrai in giro per conto
tuo e darai alla città l'aspetto che vuoi che abbia”». Cit. in W. ELLSWORTH-JONES, Banksy. L'uomo
oltre il muro, Milano, L'ippocampo, 2012, p.97.
471
W. ELLSWORTH-JONES, Banksy. L'uomo oltre il muro, cit., pp. 15-16.

255
Quali sono le analogie di questa azione con il teatro invisibile? L'artista assume
travestendosi il ruolo del visitatore, pone in essere l'azione di appropriazione di uno spazio,
quello della Tate Britain, in quanto luogo fisico e simbolico; il suo gesto ha valenza di
azione politica volta ad esporre la condizione oppressiva di subordinazione presente nel
mondo dell'arte. In cui le possibilità di accesso all'esposizione nelle gallerie è determinata
da una stretta selezione decisa da una piccola cerchia, costituendo un dispositivo che
mantiene distanti le espressioni artistiche popolari dai luoghi riconosciuti istituzionalmente
come destinati all'arte. Quella alla Tate Britain è solo la prima di svariate azioni di questo
tipo che colpiranno anche a Parigi e a New York.
L'azione è composta da più tempi. Il tempo dell'azione invisibile è quello del
posizionamento dell'opera in modalità clandestina, sebbene ad attuare l'apposizione alla
parete sia una sola persona, vi sono certamente uno o più complici che filmano ed in alcuni
casi partecipano attivamente. Come nel caso di Manhattan, dove Banksy si avvalse della
partecipazione di alcuni amici per attuare un’interpretazione attoriale e distrarre il pubblico
del museo per permettergli di agire con maggior disinvoltura, al momento opportuno;
l'autore stesso racconta in un'intervista : «Hanno inscenato un battibecco tra omosessuali,
mettendosi a urlare volgarità»472. Vi è qui la realizzazione di una piccola scena teatralizzata
che accede ad alcune caratteristiche della tecnica invisibile, essa viene realizzata
nell'inconsapevolezza del pubblico che la crede vera come elemento inserito nell'insieme
della performance.
Una volta che il quadro si affianca agli altri sul muro vive di una condizione ibrida
pubblica e supervisibile, siamo nei luoghi dedicati all'osservazione e all'apprezzamento
dell'arte. Ibrida, in quanto dipende dalla percezione dell'osservatore interpretare la
legittimità della presenza del quadro nella collezione: considerarlo uno scherzo, o
immaginare sia il risultato di un azione di critica culturale applicata al ripensamento dello
spazio pubblico dell'arte.
Vi è un altro tempo ancora dell'azione, ed è quello dello svelamento pubblico tramite un
video di rivendicazione diffuso in internet473, come abbiamo detto, girato da un complice
dell'artista che ha registrato l'avverarsi delle azioni, inoltre la pubblicazione di frame di
questo stesso video è avvenuta nel best sellers dell'artista, Wall and Piece.
Il primo quadro apposto sul muro della Tate Britain rappresentava una veduta di campagna
con alberi ricoperti di foglie tra i quali filtrano i raggi del sole ed un piccolo edificio che
472
Ivi, p. 20.
473
Il video è visibile in internet sul canale Banksy Television di youtube con il titolo Banksy at the Museums:
https://www.youtube.com/watch?v=lW-rt3jyZU8

256
pare una cappella religiosa; in primo piano Banksy aveva riprodotto a stancil il nastro
segnaletico blu e bianco della polizia che intimando «DO NOT CROSS» e «POLICE
LINE» tiene lontani estranei e curiosi dalle scene di delitto. Il quadro era intitolato
Crimewatch UK has ruined the countryside for all of us, sulla legenda posta a fianco del
quadro, oltre a spiegare che il quadro era stato reperito in un mercatino dell'usato di Londra
e su di esso era stato svolto l'intervento a stancil per imprimergli il nastro della polizia,
stava scritto: «It can be argued that defacing such an idyllic scene reflects the way our
nation has been vandalised by its obsession with crime and paedophilia, where any visit to
a secluded beauty spot now feels like it may result in being molested or finding discarded
body parts»474.
Quindi insieme alla volontà di mettere in discussione gli spazi istituzionali dell'arte
attraverso la performance, anche nell'opera che compare sui muri vi è un messaggio che
mantenendo il tenore sarcastico dello stile di Banksy reca una comunicazione politica,
volto a denunciare la condizione diffusa di ansia securitaria secondo la quale in ogni
angolo del pianeta, anche i più idilliaci, si è in pericolo di venire molestati o di ritrovare
tracce di delitti scabrosi.
Queste azioni colpiscono ancora a Londra al Natural History Museum, dove nell'aprile
2004 viene installata un'opera abbastanza complessa475: un ratto impagliato chiuso dentro
una teca di vetro con una micro bomboletta spray, un microfono tra le piccole zampe, una
torcia, uno zainetto, un paio di occhiali da sole; in pieno un rappresentazione ed un
omaggio alla scena Hip Hop. Alle spalle del ratto, una scritta graffittata diceva «our time
will come».
Al Louvre di Parigi nello stesso anno venne attaccata una gioconda reinterpretata 476, con al
posto del volto uno smile sorridente (durata di permanenza sconosciuta).
Nel 2005 fu la volta di New York, una domenica, giorno di grande lavoro per i luoghi della
cultura, Banksy riuscì ad infiltrarsi in quattro musei senza essere fermato nemmeno una
volta: al Brooklyn Museum il soggetto donato all'esposizione era un aristocratico
imbellettato con parrucca477, uniforme e spada, che nella mano sinistra stringe una
bomboletta ed alle cui spalle, i muri sono tracciati con scritte contro la guerra (durata di
permanenza otto giorni); al Metropolitan Museum il dipinto apposto ritraeva
originariamente una fanciulla dalle gote rosse e lo sguardo malinconico, sul volto della

474
BANKSY, Wall and Piece, cit., p. 168.
475
Ivi, p. 182.
476
Ivi, p. 171.
477
Ivi, p. 176.

257
quale venne apposta una vecchia maschera antigas478, l'impatto dell'opera era talmente
evidente che venne scoperta e sottratta all'esposizione nel giro di due ore; al Natural
History Museum Banksy istallò una teca di vetro che conteneva il modellino di coleottero,
sull'apparato alare del quale era stati istallati piccoli missili come se fosse un aereo di
combattimento, la didascalia recitava Withus Oragainstus United States479 (si tratta di una
frecciata critica alla condizione di guerra permanente decretata dal governo USA di quegli
anni, che retoricamente divideva il fronte in due posizioni dicotomiche ed antagoniste,
privando di qualsiasi spazio di legittimità le voci critiche, decretando: «With us or against
us»), il tempo di permanenza prima della scoperta fu di dodici giorni; al terzo piano del
MoMA (Museum of Modern Art) che ospita le 32 lattine di minestra Campbell di Andy
Warhol, Banksy mise una sua Discount Soup Can480, un barattolo di Value Cream of
Tomato della catena di supermercati inglese Tesco; in Wall and Piece, l'artista racconta:
«After sicking up the picture I took five minutes to watch what happened next. A sea of
people walked up, stared and moved on looking confused and lightly cheated. I felt like a
true modern artist»481(tempo di durata sei giorni).
Nel mese di maggio del 2005, Banksy entra di nuovo in azione a Londra dove al British
Museum nella Room 49, una sala affollata piena di reperti dell'antica Britannia romana,
appone un pezzo di roccia titolato Wall art482. Quest'opera consiste in un'incisione, con stile
che richiama direttamente le prime tracce di espressione muraria rinvenute nelle caverne,
che ritrae un uomo primitivo intento a spingere un carrello della spesa (tempo di durata
otto giorni). La didascalia molto simile nel desing a quelle del museo recitava:

L'artista responsabile di questo è noto per aver creato un cospicuo corpus di opere in tutto il sud-est
dell'Inghilterra con il nomignolo di Banksymus Maximus, non è dato sapere altro di lui. Spesso, purtroppo,
questo genere di arte non è sopravvissuto. Molte opere sono andate distrutte da zelanti funzionari comunali,
incapaci di riconoscere il merito artistico e il valore storico dei muri imbrattati483.

In questi casi abbiamo visto come una strategia che ha attinenze con il teatro invisibile
possa essere impiegata come azione performativa da un artista che è principalmente
impegnato nella street art urbana. L'azione invisibile viene utilizzata come strumento per
mettere in luce le contraddizioni oppressive insite al mondo dell'arte e per attuare una
478
Ivi, p. 174.
479
Ivi, p. 180.
480
Ivi, p. 178.
481
Ivi, p. 179.
482
Ivi, p. 184.
483
W. ELLSWORTH-JONES, Banksy. L'uomo oltre il muro, cit., p. 22.

258
appropriazione diretta di spazi istituzionali altrimenti preclusi agli street artist. Per quanto
riguarda la partecipazione del pubblico, essendo gli spettatori sottoposti alla visione
osservativa di un opera e non al coinvolgimento diretto in un'azione, si pone su un
territorio di fruizione e possibilità interpretativa che non determina particolari interrogativi
etici.
Queste azioni portarono a Banksy una notorietà enorme, titoli di giornale delle più
importanti testate internazionali dedicarono spazio alle sue imprese e questo costituì una
delle importanti premesse perché alla street art venisse dato maggior riconoscimento e
legittimazione. Il futuro avrebbe visto infatti sempre più graffiti writers e street artist
esporre in gallerie e vedersi dedicare mostre temporanee in musei prestigiosi. L'altra faccia
della medaglia di questo riconoscimento fu, per questa categoria artistica che rappresentava
le istanze democratiche di un espressione libera e di una fruizione popolare non preclusiva,
di ritrovarsi invischiata direttamente ed in parte sussunta da quel mondo dell'arte elitario e
commerciale tanto criticato.

9.5 Proposte di utilizzo del teatro invisibile in educazione sociale

Dopo aver visto l'impiego di strategie invisibili e ruoli teatrali in etnografia, nel
documentario ed in campo artistico; veniamo ora ad interrogarci su quale potrebbe essere il
ruolo e la funzione del teatro invisibile nella pratica dell'educazione sociale.
Prima di arrivare alle nostre conclusioni facciamo ancora una volta riferimento a Freire,
riportando un episodio presente nella Pedagogia della speranza, in cui un lavoratore
spagnolo, attivista politico di sinistra, racconta di una particolare forma di ricerca
comunitaria svolta da persone note e riconosciute come attive politicamente che si
inseriscono invisibilmente (in termini di intenti) in ambiti di vita sociali e ricreativi della
loro comunità di appartenenza, i conterranei immigrati, per reperire informazioni ed
instillarne per interessare alla partecipazione politica ed alla formazione di competenze
critiche la propria comunità.
I fatti di questa particolare ricerca si svolgono in questo modo: uno dei compiti
dell'organizzazione della quale faceva parte l'attivista iberico del quale si narra, era quello
della formazione politica dei lavoratori immigrati in Germania con finalità di
organizzazione e mobilitazione. Il gruppo di attivisti incaricato di tale compito si riunì per
decidere come avrebbe dovuto essere il corso di formazione, quali i contenuti e le modalità
di svolgimento; decisero tutto autonomamente, nella convinzione presuntuosa, tipica dei

259
rapporti educativi autoritari, di sapere cosa i loro compagni volessero e dovessero sapere.
Non era infatti ritenuto necessario un coinvolgimento della base ed un'interazione per
comprenderne: bisogni, necessità e interessi. Bisognava solo informare dell'esistenza del
corso, pubblicizzarne l'inizio e raccogliere una lista dei partecipanti. Tutto era pronto nei
dettagli: programmi, orari e luogo. Gli organizzatori si apprestarono a raccogliere le
adesioni, ma a quel punto dovettero scontrarsi con l'assenza di coloro ai quali tutto ciò era
rivolto, nessuno dei lavoratori immigrati si presentò.
Convinti della propria giustezza, il gruppo incaricato recò visite per cercare di spiegare
bontà e importanza del corso, ma il tentativo fu nuovamente vano.
Arrivati a questo punto gli incaricati della formazione si incontrarono per fare una verifica
del fallimento e cercare di scorgerne le ragioni, in quest'occasione ad uno degli attivisti
venne in mente un'idea. La proposta constava in una strategia di ricerca invisibile volta a
reperire e fornire informazione al tempo stesso, come primo step per un processo di
attivazione di comunità, questo il racconto da La pedagogia della speranza:

Perché non cerchiamo di fare un sondaggio, nelle nostre fabbriche, parlando a tu per tu con un buon numero
di compagni, su cosa gli piace fare di più? Perché non cerchiamo di conoscere i loro gusti e ciò che sono
soliti fare il fine settimana? Solo partendo da queste conoscenze potevamo trovare il modo di avvicinarci a
loro e non dalle nostre certezze su ciò che dovevano sapere484.

Questa opzione operativa venne accettata dai cinque membri del gruppo di formatori, i
quali stabiliscono una data per una nuova riunione quindici giorni dopo e si danno due
settimane di tempo per raccogliere informazioni. Il giorno fissato, i cinque si ritrovarono,
portando ognuno il resoconto dei dati informativi reperiti, alla base proletaria di lavoratori
spagnoli emigrati durante il fine settimana piaceva: giocare a carte, fare passeggiate, recar
visita e pranzare a casa di compagni, bere birra e divertirsi in compagnia.
Analizzando gli interessi e le abitudini di coloro ai quali volevano rivolgersi, il gruppo di
militanti politici decise, quale luogo di intervento da cui partire, per i tavoli da gioco delle
carte, in un secondo momento sarebbero passati alle questioni politiche.
Così cominciarono ad impratichirsi e specializzarsi nel gioco delle carte, cercando in
questa direzione un territorio comunicativo ed una chiave di volta verso un coinvolgimento
allargato della base nell'attività politica. Questo il racconto dell'operaio spagnolo:

incominciammo a partecipare ai vari gruppi che nel fine settimana si riunivano per per giocare a casa di uno
484
P. FREIRE, Pedagogia della speranza, cit., p. 134.

260
o dell'altro. Durante la settimana ci rivedevamo per verificare il nostro compito politico. A volte, durante la
partita, con le carte in mano, senza guardare in faccia nessuno dei compagni, domandavo: «Avete saputo ciò
che è capitato ieri a Madrid?»
«No» rispondevano.
«La polizia ha bastonato e preso vari compagni nostri perché protestavano per delle sciocchezze».
Silenzio. Anch'io restavo in silenzio.
Più in là, un'altra partita, un'altra domanda, in senso politico. Eravamo in cinque a fare lo stesso, in posti
diversi.
Dopo quattro mesi ci fu possibile finalmente fare una riunione per discutere se sarebbe stato interessante
organizzare incontri sistematici per dibattere di politica. Eravamo in trenta in questa prima riunione, in cui
nacque, per decisione di tutti, un vero corso su problemi politici, e i risultati fino ad ora sono stati ottimi485.

Dopo la descrizione della particolare ricerca dei lavoratori spagnoli riportiamo anche le
considerazioni politiche, etiche e pedagogiche di Freire su questa esperienza:

La prima, di ordine etico-politico, si riferisce al diritto e anche al dovere che l'educatore o l'educatrice ha di
insegnare ciò che gli sembra fondamentale nel tempo e nello spazio in cui si trova. A porre all'educatore
questo diritto-dovere è la stessa direttività della pratica educativa che la porta ad andare sempre oltre se
stessa, a ricercare obiettivi e mete, sogni e progetti. […] come potrei essere educatore se non avessi la
preoccupazione di essere almeno convincente nella difesa dei miei sogni? Ciò che devo evitare è ridurre tutto
alla mia verità, al mio giudizio. D'altra parte, se sono convinto, come lo erano i lavoratori spagnoli, della
fondatezza della riflessione sulla vita politica della città, non posso però imporre gli assunti dell'analisi e
della riflessione politica. In una prospettiva forse moralista, i lavoratori spagnoli […] sarebbero stati sleali
perché hanno usato il gioco delle carte per avvicinarsi politicamente ai compagni per ottenere il loro
obiettivo, che era quello di studiare con serietà la questione politica della Spagna. A mio avviso, non lo
furono. Furono etici tanto quanto lo possono essere gli studiosi nelle loro ricerche486.

Nell'intervento riportato da Freire e nelle sue riflessioni troviamo un'azione nella quale si
compongono fattori che spesso si trovano separati e che quindi necessitano di essere
nominati: la ricerca qualitativa, l'intervento educativo, l'attivismo politico, il fattore
teatrale.
Questi fattori possono saldarsi in una pratica organizzata, coinvolgente dei differenti
soggetti, coerentemente orientata, sottoponibile alla valutazione riflessiva e che comprenda
al suo interno sia la dimensione di ricerca qualitativa che quella di intervento sociale: la
ricerca-azione.
La ricerca-azione viene introdotta nel campo della ricerca sociale negli anni Quaranta dallo

485
Ibidem.
486
Ivi, pp. 135-136.

261
psicologo sociale Kurt Lewin, essa:

è un processo cogenerativo attraverso cui i ricercatori e i membri di organizzazioni locali, di comunità, di


gruppi sociali collaborano alla ricerca, alla comprensione e alla soluzione dei problemi. È pertanto da
intendersi un processo sociale in cui la conoscenza professionale, la conoscenza locale, le competenze
processuali, le competenze metodologiche e i valori democratici costituiscono le basi per co-costruire
conoscenza e promuovere il cambiamento sociale. Le fasi della ricerca, i risultati prodotti e l'applicazione dei
risultati alla soluzione del problema costituiscono fasi inestricabilmente legate487.

Con l'aggiunta di questi nuovi ultimi elementi possiamo congiungere le diverse parti del
discorso svolto, intessendole in una riflessione conclusiva che ci porti a considerare il
possibile uso propositivo della pratica del teatro invisibile in educazione.
Si considerano la presenza di una comunità di riferimento ed il fattore temporale come
elementi imprescindibili per una pratica educativa sociale democratica. L'individuazione di
una comunità sociale all'interno della quale collocare la pratica educativa significa
localizzare le coordinate per l'intervento stesso, darsi e dare risposte strutturanti ai
molteplici interrogativi che contraddistinguono l'azione dell'educazione sociale nella
complessità della cultura post-industriale e dell'informazione istantanea globalizzata.
Per l'équipe educativa e per l'intervento pedagogico democratico, saper rispondere alle
domande che impone il presente, del Know-that e del Know-how, non è sufficiente; per una
pratica costruttiva che sia motivata, interpretativa della realtà, e creatrice di possibilità,
occorre – come dice Milani – saper giustificare coerentemente le proprie scelte
pedagogiche ed educative nel Know-why e saper indicare consapevolmente i fini del
proprio intervento nel Know-where.
Nel Know-where sono presenti anche le coordinate di partenza del luogo semantico della
formazione e del suo divenire costruttivo e coinvolgente all'interno di un percorso
strutturato e strutturante che contempli al suo interno gli elementi di sogno e speranza dei
quali parla Freire. Ma proprio nell'accezione di una pratica educativa che oltre a parlare, si
ponga all'interno di una dinamica di reciprocità dialogica e che insieme al portare proposte
sia in grado di cogliere istanze da elaborare nel divenire dell'esperienza, esprimendo nella
globalità dei linguaggi la maieutica educativa di un percorso sociale di partecipazione
democratica diretta e comune, occorre saper rispondere all'interrogativo del Know-with
whom.
487
N. DE PICCOLI, Comunità: un concetto, molti significati, in A. PONTREMOLI, Teorie e tecniche, cit.,
p. 114; inoltre si rimanda a questa pubblicazione per una trattazione approfondita (come ben delinea il
titolo) del concetto di comunità, dei molti significati e delle possibilità di intervento sociale.

262
Collocare la pratica educativa, intesa come insieme di modi, all'interno di una comunità
specifica significa identificare il territorio sul quale poter tracciare i sentieri del significante
che caratterizzano l'agire educativo. Solo nel reciproco riconoscimento tra operatore
sociale e comunità alla quale afferisce l'intervento educativo può innescarsi una dinamica
maieutica che dall'identificazione comunitaria (il percepirsi collettivamente), attraverso il
dialogo creativo muova verso la partecipazione diretta e le possibilità di trasformazione del
reale.
Il tempo è il secondo elemento che viene nutrito e del quale si nutre la proposta educativa
sociale. Infatti la storicità dona la prospettiva della terza dimensione all'insieme complesso
dell'impellente qui ed ora. Ristabilire una collocazione storica riconosciuta del presente,
ovvero storicizzarlo, significa istituire la possibilità di non esserne succubi, di porsi in
prospettive di cambiamento. Il fattore temporale per una comunità sociale permette: di
sapere cosa c'era prima ed imparare da esso; un vissuto significativo del presente,
necessitante di protagonismo diretto; l'elaborazione di una progettualità intenzionale volta
al futuro.
Altro fattore da tenere ben in considerazione è la condizione di conflitto, ogni società
umana è attraversata e caratterizzata da conflittualità molteplici, esso è un motore costante
della storia e dell'elaborazione culturale. Uno dei più importanti tra i ragguardevoli compiti
ai quali è chiamata l'educazione sociale, è quello di coscientizzare al riconoscimento delle
dinamiche di conflitto come elementi strutturali del rapportarsi, dell'organizzarsi e
dell'agire umano.
Dal punto di vista pedagogico la negazione del conflitto significa la sconfitta delle
possibilità di riconoscimento dell'alterità, in questo senso negando i conflitti si negano
anche le possibilità di incontro autentico. Per questo motivo è importante imparare a
conoscere i conflitti, prenderne coscienza, per poterne regolare la gestione senza negarne le
istanze; imparare a conoscere i conflitti significa poter accedere alla comprensione delle
dinamiche di gestione del potere, poter parlare del potere per imparare a conoscere il
potere.
Il potere va inteso per intero nella sua tripla accezione: quella di potere in quanto
possibilità (legata al principio di empowerment), quella di potere come forza che
interagendo si combina relazionalmente (legata al concetto della microfisica del potere) e
quella di potere in quanto dominio (legata alla condizione di oppressione); le tre accezioni
qui evocate del termine potere non sono separate e alternative l'una alle altre, ma sono
intrinsecamente combinate nelle complessità del reale.

263
Dare legittimità ai conflitti ed interpretarne la gestione significa comprendere le qualità e le
possibilità del proprio potere personale e del potere della comunità che se riconosciuti
consapevolmente e positivamente possono diventare motore di trasformazione in senso
democratico; e ancora, significa comprendere la presenza di potere in ogni rapportarsi
sociale, quello che Foucault ha chiamato microfisica del potere; e non ultimo, significa
comprendere il potere oppressivo del dominio per poterlo identificare e contrastare.
Seguendo il ragionamento di Rumiati e Pietroni488, l'interpretazione e la gestione del
conflitto necessiterebbe di strategie atte a trasformare il conflitto dal piano delle emozioni a
quello della cognizione. Queste azioni strategiche potrebbero portare i soggetti sociali a
riflettere sulle percezioni, sulla qualità delle relazioni e sulla gestione reale del potere; e
intervenenedo sulle percezioni di interdipendenza tra i gruppi, sulle opportunità che le
relazioni in questione possono offrire, agire sulle possibilità di negoziazione maieutica, di
espressione creativa e di valorizzazione dell'attuale presente della comunità.
Dopo aver esposto il compito dell'educazione sociale nel dare legittimità e interpretazione
ai conflitti della società umana, non ci resta che individuare un altro degli impegnativi
compiti al quale è chiamata: in tempi in cui i conflitti sono plurimi e diffusi ma dove rari
sono gli ancoraggi produttori di senso condiviso, essere luogo di elaborazione significante
di comunità è una delle più grandi sfide del sociale. In questo compito sociale, l'educazione
democratica e il teatro di comunità possono stringersi in alleanza per costruire luoghi in cui
si aggreghino i bisogni di significato e l'interpretazione dei conflitti, la rappresentazione
del presente e l'ipotesi trasformativa del percorso in divenire.
Quali sono le possibilità della tecnica di teatro invisibile all'interno di questo quadro?
Considerando i presupposti ora presi in analisi, occorre verificare se sul piano cartesiano
del sociale si possano incrociare e per alcuni tratti incontrarsi e combaciare i tracciati e le
traiettorie dell'educazione sociale e del teatro invisibile in quanto tecnica de teatro
dell'oppresso. Bisogna considerare, secondo quanto appena detto, che le possibilità
d'impiego del teatro invisibile come strumento educativo devono necessariamente
confrontarsi con i concetti di eticità, di comunità sociale e di percezione della storicità
temporale.
Ciò considerato la pratica invisibile deve tenere conto di cinque ordini di variabili:
contestuali, di durata, di obiettivo, di evoluzione dell'azione e di polarità della proposta.
La variabile di contesto definisce se siano garantite all'intervento di teatro invisibile le
possibilità di espressione su una data questione, nel dato momento e territorio, la variabile
488
R. RUMIATI, D. PIETRONI, La negoziazione, Milano, Cortina, 2001.

264
definisce dunque:
a) la possibilità riconosciuta di legittima e libera espressione sulla data questione;
b) l'impossibilità di libera espressione sulla questine data dovuta a limitazioni censorie,
repressione politica o tabù culturali.
La variabile di durata determina la temporalità dell'intervento di teatro invisibile, la
variabile definisce dunque se l'intervento sia:
a) un unico episodio incidentale, secondo uno schema «mordi e fuggi»;
b) una fase all'interno di un percorso d'intervento sociale, per esempio come primo
momento per «rompere il ghiaccio» all'interno di un progetto di teatro di comunità.
La variabile obiettivo determina lo scopo dell'intervento di teatro invisibile, definisce
dunque in quale direzione viene effettuato l'intervento:
a) lo scopo è creare una situazione sociale, provocando una rappresentazione drammatica;
b) lo scopo è fare ricerca su una situazione sociale e reperire informazioni da elaborare a
scopo prettamente di studio o a scopo di studio ed intervento sociale.
La variabile evoluzione dell'azione deve prevedere nel quadro dell'educazione sociale la
possibilità di svelamento e dunque definisce:
a) non svelamento della matrice teatrale dell'azione, secondo la teoretica Boaliana;
b) svelamento della matrice teatrale dell'azione e possibilità di elaborazione comunitaria
di quanto accaduto all'interno dell'azione, facendo un’analisi dei presupposti e delle
possibilità alternative.
La variabile che definisce la polarità della proposta, se la situazione creata sia un negativo
al quale rispondere o un positivo sul quale attivarsi, ovvero:
a) l'inscenamento di una situazione di oppressione che richiede al pubblico l'attivazione in
un contrasto al negativo;
b) l'inscenamento di una situazione propositiva che richiede una partecipazione attiva in
una dinamica positiva.
Il presupposto per l'utilizzo del teatro invisibile come strumento di educazione sociale è
l'orientamento della sua pratica in senso etico. Seguendo il determinarsi delle variabili
anche le modalità di azione del teatro invisibile debbono ricalibrarsi, considerando le
condizioni di oppressione come presenze strutturanti della realtà e che quindi necessitano
un lavoro articolato di decostruzione ed affrontamento, usando una molteplicità di
strumenti ed di azioni. Per non dissipare le azioni orientate alla costruzione di un
intervento educativo sociale e fondamentale che trovino delle dimensioni di progetto
attraverso le quali veicolarsi.

265
Consideriamo i casi secondo il verificarsi alternativo delle variabili. Nel caso in cui
l'espressione sulla questione data sia negato, condizione, occorre ricordarlo, di esordio
della tecnica, la pratica di teatro invisibile è considerata pienamente legittima. Nel caso in
cui l'espressione sulla questione sia garantita legittimamente e libera, può avvenire la scelta
del gruppo proponente riguardo alla variabile di durata ed alla possibilità di svelamento. In
entrambi i casi di legittimità o negazione di espressione, evidentemente con margini
differenti, vi è la possibilità di scelta rispetto allo scopo: se inscenare una situazione o
usare un role-playing invisibile a scopo di ricerca e informazione.
Nel caso in cui l'azione sia declinata al positivo, attraverso la richiesta di attivazione in una
situazione positiva per quanto elaborata invisibilmente che rimane a livello di proposta e
quindi alla quale il pubblico sceglie liberamente se partecipare o meno, non si pongono
problematiche di collisione rispetto alla pratica di educazione sociale, costituendo quindi
una possibilità d'impiego.
Per quanto riguarda la sfera dell'oppressione, per esporre ed elaborare la quale nasce e si
sviluppa il teatro dell'oppresso ed il teatro invisibile come sua parte, si evidenzia come
l'azione incidentale, un mordi e fuggi che non abbia un prima ed un dopo, sia
estremamente limitante e non permette passaggi significativi di coscientizzazione,
limitando chi vi partecipa in quanto spett-attore a parziali prese di consapevolezza.
Quindi nella pratica dell'esposizione di condizioni oppressive, il teatro invisibile può
provocare situazioni che portino alla riflessione ma non può permettersi di causare una
crisi all'interno di un dramma sociale fittizio rappresentato senza spiegazione.
Riassumendo si potrebbe dire che l'impiego del teatro invisibile su questioni oppressive in
progetti di educazione sociale dovrebbe ammettere:
− la possibilità di esprimersi su una situazione di oppressione ma senza causarne una,
mantenendo la rappresentazione nei termini di dialogo sull'oppressione per mettere
in rilievo la problematica ma senza provocarne la scena direttamente, garantendo il
principio di libera adesione degli astanti e quindi limitandone l'impegno in termini
emotivi e temporali (si veda l'azione Israel/Palestine – The Traitor);
− la possibilità di inscenare una situazione di oppressione, la crisi drammatica,
organizzata in modo da garantire una pratica eticamente orientata, per poi svelarne
la matrice teatrale al pubblico ed accompagnare in dinamica maieutica la riflessione
su quanto provocato (si veda l'azione sull'educazione dei bambini attuata in Svezia
da Boal).

266
Significativamente interessante è la possibilità di impiego di un azione invisibile in chiave
propositiva (si vedano le azioni di Akademia Ruchu) come primo innesco, prevedendo un
successivo svelamento, per percorsi di intervento sociale e di teatro di comunità. Ed infine,
altro territorio d'utilizzo di role-playing invisibili è quello della dimensione di ricerca e di
reperimento informazioni (al contempo fornendo elementi e informazioni sulle quali
orientare la riflessione) da elaborare per proporre percorsi educativi e partecipativi che
abbiano coordinate di partenza sui bisogni e le rappresentazioni dei soggetti a cui ci si
vuole rivolgere. Reperendo così gli elementi per costituire un iniziale mappa semantica
sulla quale cominciare ad orientarsi, e la quale co-costruire con i differenti attori sociali
presenti sul territorio, nella ricerca-azione e nella ricerca partecipante489 indirizzata alla
consapevolezza di comunità ed alla trasformazione sociale partecipata.
L'orientamento nella dimensione di comunità e attraverso l'educazione democratica diviene
così fondamentale affinché le strategie e tecniche invisibili siano possibilità di svelare e
svelarsi, nella rivelazione di possibilità sociali e pratiche di liberazione.

489
La ricerca partecipante «è uno dei metodi utilizzati da quanti condividono sia una prospettiva che collega
la psicologia sociale alle politiche della vita reale delle persone, sia un impegno a perseguire un
cambiamento sociale positivo. L'intervento si propone di favorire i processi di trasformazione della
struttura sociale coinvolgendo, nella ricerca di una soluzione ai problemi sociali, le stesse persone che
sono oggetto di oppressione, assegnando loro il pieno controllo sull'intervento». N. DE PICCOLI,
Comunità: un concetto, molti significati; in A. PONTREMOLI, Teorie e tecniche, cit., p. 115.

267
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conferenzadiJulian Boal, figlio di Augusto, sui principi del teatro dell'oppresso, all'evento Pour que la
solidarité mette fin à la pauvreté avvenuto il 14 ottobre 2012 a Montreal e organizzato dal
Collectif pour un Québec sans pauvreté:
www.youtube.com/watch?v=_OGyIeNzqw0; presente in internet al 31/1/2016.
_ Un Giorno in Barbagia, documentario di etnografia visiva, girato da Vittorio De Seta (1923-2011) nel 1958
ad Orgosolo in provincia di Nuoro, cuore della regione rurale Sarda denominata Barbagia:
www.youtube.com/watch?v=56TLF2fSMgk; presente in internet al 31/1/2016.
_ Les Diggers de San Francisco, film documentario girato negli anni '90 da Céline Deransart et Alice
Gaillard documenta le azioni e la storia del gruppo di teatro-guerriglia The Diggers. Trasmesso per la
prima volta nel 1998 dal canale francese Canal+, nel 2009 una delle autrici, continuando a documentare
queste vicende ne ha scritto un libro: Les Diggers, Révolution et contre-culture à San Francisco (1966-
1968); pubblicato nel 2009 insieme al dvd del film per le edizioni l’Échapée:
www.diggers.org/les-diggers-de-SF.htm; presente in internet al 31/1/2016.
_ Il tempo delle arance documentario girato nei giorni immediatamente successivi alla Rivolta di Rosarno, in
cui i lavoratori africani impegnati nelle raccolte stagionali delle campagne calabresi attuarono una
protesta di autotutela e reclamando essenziali diritti umani, dopo che alcuni di essi erano stati fatti oggetto
dell'ennesima aggressione razziale a colpi di arma da fuoco, episodio per il quale due persone riportarono
gravi ferite. I fatti del gennaio 2010 sono documentati dal gruppo di mediattivisti napoletani InsuTV:
www.vimeo.com/8812128; presente in internet al 31/1/2016.
_ Video realizzato sul progetto di teatro dell'oppresso del 2010 realizzato a Roma dalla compagnia
PartecipArte con un gruppo di lavoratori migranti Africani e richiedenti asilo politico, passati per gli
eventi del Gennaio avvenuti a Rosarno. Lo spettacolo di teatro forum focalizza la sua denuncia su
situazioni di oppressione razzista:
www.youtube.com/watch?v=pvdGYmwC6fM; presente in internet al 31/1/2016.
_ Video che documenta le incursioni invisibili con apposizione di opere proprie da parte dello street artist
Banksy in alcune importanti istituzioni museali di Londra, Parigi e New York:
www.youtube.com/watch?v=lW-rt3jyZU8; presente in internet al 31/1/2016.

274
Ringraziamenti

Al Professor Alessandro Pontremoli per l'elaborazione e lo scambio avuto per questo


lavoro di tesi.
Al Professor Dimitris Argiropulos per l'incoraggiamento pedagogico e pragmatico.
Alla mia famiglia tutta per intero: DaddyD, Mamma, Sara, Patrick.
Ai miei brothers e alle mie sisters, once and forever: AlessandroBelloni, AlessioCanfa,
AliceMacchi, AligiStrangis, AmedeoPannunzio, AndreaBart, AndreaSile, BiagioBiagetti,
CaterinaUsi, CeciliaMartina, ChiaraPipoli, EliaDeCaro, GianlucaStaffo, GilbertoG,
GiovanniSpira, GiuseppeRebel, LauraPelliccioli, LauraRota, LorenzoSha, NicolòCuppa,
OscarRicci, RiccardoLomba, ValentinaVolo.
Ai perduranti riferimenti: Eugenio, Sara e Cascina Caselle.
Alle compagne di corso tutoranti: Francesca e Valentina.
Ai colleghi e alle colleghe, appassionati compagni di lavoro nell'educazione sociale delle
Cooperative: Agriverde, Zero5, Progest. E a tutti i soggetti incontrati in questi anni di
lavoro, educandi forieri di insegnamenti.
Alla Dynamo Dora Rugby experience.
Ai compagni e alle compagne di casa Viktor19: Chiara, DarioCo, DarioChi, Edoardo,
Febin, Marta e alla nostra piccola/grande comunità.
A Elena, per la compartecipazione e il sostegno a questo lavoro e soprattutto per i sentieri
intrapresi, per i mondi incredibili e le tracce tutte da imprimere.

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