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Le Parole Sono Finestre PDF
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Bisogna essere felici con ciò che si ha e non essere avidi: questo è un precetto
fondamentale del vivere in modo non violento.
La CNV è un approccio che può essere applicato con efficacia ad ogni livello della
comunicazione ed in situazioni diverse: relazioni personali, famiglia, scuola,
organizzazioni ed istituzioni, terapie e consulenze, relazioni diplomatiche e
commerciali.
Sintesi:
La CNV ci aiuta a metterci in relazione con noi stessi e con gli altri in un modo
che permette alla nostra naturale empatia di sbocciare. Ci guida nel ridare forma al
mondo in cui ci esprimiamo ed ascoltiamo gli altri, concentrando la nostra
consapevolezza su quattro aree: che cosa osserviamo, che cosa sentiamo, di che cosa
abbiamo bisogno e che cosa chiediamo per arricchire le nostre vite. La CNV promuove
l’ascolto profondo, il rispetto e l’empatia e genera un desiderio reciproco di dare con il
cuore. Alcune persone usano la CNV per rispondere con empatia a se stesse, altre per
dare maggiore profondità alle loro relazioni personali ed altre ancora per costruire
relazioni efficaci sul luogo di lavoro o nell’area politica. In tutto il mondo, la CNV è
utilizzata per mediare dispute e conflitti ad ogni livello.
Sintesi:
Provare gioia nel dare e nel ricevere con empatia fa parte della nostra natura .
tuttavia, abbiamo imparato presto molte forme di “comunicazione che aliena dalla
vita”, che ci portano a parlare e a comportarci in modi che feriscono gli altri e noi
stessi. Una forma di comunicazione che aliena dalla vita è l’uso di giudizi moralistici
che implicano il torto o la cattiveria di coloro i quali non agiscono in armonia con i
nostri valori. Un’altra forma di comunicazione di questo tipo è l’uso di paragoni, che
possono bloccare l’empatia sia verso noi stessi che verso gli altri. La comunicazione
che aliena dalla vita, inoltre, offusca la nostra consapevolezza di essere ognuno
responsabile dei propri pensieri, sentimenti ed azioni. Un’ulteriore forma di linguaggio
che blocca l’empatia è comunicare i nostri desideri in forma di pretese.
Sintesi:
La prima componente della CNV comporta la separazione dell’osservazione
dalla valutazione. Quando combiniamo l’osservazione con la valutazione, gli altri
saranno propensi a udire una critica e ad apporre resistenza a quello che diciamo. La
CNV è un linguaggio di processo che scoraggia le generalizzazioni statiche. Al
contrario, le osservazioni dovrebbero essere circostanziate, nel tempo e nel contesto, ad
esempio “Paolo non ha segnato un gol in 20 partite” anziché “Paolo è un calciatore
scadente”.
La seconda componente della CNV consiste nell’esprimere come ci
sentiamo.
Il nostro repertorio di parole utili per affibbiare etichette alle persone è spesso assai più
grande del nostro vocabolario di parole che ci permettono di descrivere con chiarezza il
nostro stato emotivo.
Questa difficoltà nell’esprimere i propri sentimenti è assai comune, e, nella mia
esperienza, è ancora più diffusa presso gli avvocati, gli ingegneri, gli ufficiali di polizia,
i dirigenti d’azienda, i militari di carriera – persone per le quali sono gli stessi codici di
condotta professionale a scoraggiare la manifestazione di emozioni. All’interno della
famiglia, quando accade che i suoi membri non riescono a comunicare le loro emozioni
il prezzo da pagare è molto alto.
Esprimere la nostra vulnerabilità può aiutare a risolvere i conflitti. In generale, i
sentimenti non sono espressi in modo chiaro quando il verbo sentire è seguito da:
Parole quali che, come, come se : 1) “Sento che dovrei saperne di più”, “Sento di
essere un fallimento”, “Mi sento come se vivessi con un muro”.
I pronomi personali (io, tu, lui, lei, voi, loro): “Sento che (io) sono sempre in
servizio”
Nomi riferiti a persone: “Sento che Amelia è stata molto responsabile”.
Nell’ambito della CNV dobbiamo distinguere tra ciò che sentiamo e ciò che
pensiamo di essere.
Esempio:
descrizione di ciò che pensiamo di essere: “Mi sento incapace come chitarrista”. In
questa frase sto valutando la mia abilità come chitarrista anziché esprimere con
chiarezza i miei sentimenti.
Espressione di sentimenti veri e propri: “Mi sento insoddisfatto di me come
chitarrista”, “Mi sento impaziente di progredire come chitarrista”
In modo analogo, è utile distinguere tra le parole che descrivono quello che pensiamo
che altre persone attorno a noi stiano facendo, e le parole che descrivono veri e propri
sentimenti: esse, in realtà, descrivono come noi riteniamo che gli altri si stiano
comportando, più che quello che noi stessi proviamo:
“Mi sento poco importante agli occhi delle persone con cui lavoro”. La parola poco
importante descrive il modo in cui penso che gli altri mi giudichino, anziché un
sentimento vero, che in questa situazione potrebbe essere qualcosa come “Mi
sento triste” oppure “Mi sento demoralizzato”;
“MI sento frainteso”: la parola frainteso indica la mia valutazione del grado di
comprensione dell’altra persona nei miei confronti, piuttosto che un sentimento
reale. In questa situazione, potrei sentirmi ansioso o infastidito, oppure potrei
provare qualche altra emozione.
“Mi sento ignorato”. Questa è un’interpretazione delle azioni di altri che non una
chiara affermazione di quello che sentiamo.
Per esprimere i nostri sentimenti è utile servirsi di parole che fanno riferimento ad
emozioni specifiche, anziché parole vaghe e generiche. Parole come bene o male
impediscono al nostro interlocutore di connettersi facilmente con i sentimenti che
stiamo davvero provando. “Stare bene” può significare vari stati d’animo come: essere
contento, essere compiaciuto, essere elettrizzato, essere calmo, coinvolto, caloroso ecc,
insomma, ci sono tantissime sfaccettature dello “stare bene”.
Questo vale anche per alcuni sentimenti che possiamo provare quando i nostri
bisogni non sono soddisfatti. “Stare male” potrebbe significare: essere addolorato,
diffidente, indifferente, fiacco, annoiato, inappagato, impotente, esausto, geloso,
insicuro ecc ecc.
Sintesi:
La seconda componente che è necessaria per esprimere noi stessi sono i
sentimenti. Sviluppando un vocabolario di sentimenti che ci permetta di descrivere le
nostre emozioni con chiarezza e specificità, possiamo connetterci più facilmente l’uno
con l’altro. Permettere a noi stessi di mostrarci vulnerabili, esprimendo i nostri
sentimenti, può aiutarci a risolvere i conflitti. La CNV distingue l’espressione dei
sentimenti veri e propri da quelle parole e quelle affermazioni che descrivono pensieri,
considerazioni e interpretazioni.
Sintesi:
La terza componente della CNV è il riconoscimento dei bisogni che stanno
dietro i nostri sentimenti. Ciò che gli altri dicono o fanno può essere lo stimolo, ma mai
la causa dei nostri sentimenti. Quando qualcuno ci comunica qualcosa in modo
negativo, abbiamo quattro possibilità di scelta relative ai modi in cui ricevere il
messaggio: 1) incolpare noi stessi; 2) incolpare gli altri; 3) percepire i nostri sentimenti
ed i nostri bisogni; 4) percepire i sentimenti ed i bisogni nascosti nel messaggio
negativo dell’altra persona.
I giudizi, le critiche, le diagnosi e le interpretazioni degli altri sono tutte
espressioni alienate dei nostri bisogni e valori personali. Quando gli altri sentono una
critica, tendono ad investire le loro energie nell’autodifesa o nel contrattacco. Tanto
più direttamente riusciamo a collegare i nostri sentimenti ai nostri bisogni, tanto più
facile è per gli altri rispondere con empatia.
In un mondo in cui siamo spesso giudicati con asprezza se individuiamo e
rileviamo i nostri bisogni, esprimerli può fare paura, soprattutto alle donne cui è stato
insegnato ad ignorare i loro bisogni per avere cura di quelli altrui. Nel processo di
sviluppo della responsabilità emotiva, la maggior parte di noi sperimenta tre stadi: a)
la “schiavitù emotiva” – in cui ci crediamo responsabili dei sentimenti altrui; b) lo
“stadio scontroso” – nel corso del quale rifiutiamo di ammettere che ci importa di
quello che gli altri sentono e desiderano; c) la “liberazione emotiva” – in cui
accettiamo la piena responsabilità dei nostri sentimenti ma non di quelli altrui, e
contemporaneamente siamo consapevoli del fatto che non potremo mai soddisfare i
nostri bisogni a spese di quelli di altre persone.
Quando esprimiamo una richiesta, è utile anche verificare che nella nostra mente
non vi siano pensieri del tipo seguente, i quali automaticamente trasformano in pretese e
richieste:
Dovrebbe pulire dove ha sporcato
E’ il suo dovere fare quello che le dico
Merito un aumento di stipendio
Sono giustificato per farli rimanere fino a tardi
Ho diritto ad avere maggior tempo libero.
Quando formuliamo i nostri bisogni in questi modi, finiamo per giudicare gli altri
quando non fanno quello che chiediamo.
Dopo aver focalizzato la nostra attenzione e il nostro ascolto su quello che gli altri
osservano, sentono, desiderano e richiedono allo scopo di arricchire le loro vite
potremmo volere un riscontro, mettendo in parole (parafrasando) quello che
abbiamo compreso. Esempi:
“A quale delle cose che ho fatto ti stai riferendo?”
“Come ti senti?” “Perché ti senti così?”
“Che cosa vuoi che faccia per te?”
Non ci sono regole infallibili sul momento in cui è opportuno parafrasare, ma, in genere,
si può supporre con certezza che le persone che esprimono messaggi intensamente
emotivi apprezzeranno un riscontro da parte nostra. Quando siamo noi stessi a parlare,
potremmo aiutare che ci ascolta dicendo chiaramente se vogliamo oppure no che questi
ci ripeta le nostre parole. Quando facciamo la parafrasi, il tono di voce che usiamo è
estremamente importante. Quando sentono che le loro parole vengono ripetute, le
persone sono estremamente sensibili a qualsiasi indizio di critica o di sarcasmo. Sono
altresì colpite negativamente da un tono dichiarativo che implica che stiamo spiegando
quello che sta succedendo loro. Se stiamo ascoltando consapevolmente i sentimenti e i
bisogni degli altri, comunque, il nostro tono comunicherà che stiamo chiedendo se
abbiamo capito.
Qual è la prova del fatto che abbiamo empatizzato abbastanza con l’altra
persona? Innanzitutto, quando un individuo si rende conto che tutto quello che accade in
lui ha ricevuto una comprensione piena ed empatica, egli prova un senso di sollievo. Un
secondo segnale, ancora più evidente, è che la persona smetterà di parlare. Se non siamo
sicuri di essere rimasti abbastanza a lungo nel processo, possiamo sempre domandare:
“C’è qualcos’altro che vuoi dire?”.
Ancora sull’empatia.
La nostra capacità di dare empatia ci permette di essere vulnerabili, di ridurre
la violenza potenziale, di aiutarci ad ascoltare la parola “no” senza prenderla come un
rifiuto, di ridare vita ad una conversazione spenta e persino di ascoltare i sentimenti ed
i bisogni espressi tramite il silenzio. Molte volte le perone che hanno avuto un
sufficiente contatto con qualcuno che li ascolta empaticamente possono superare gli
effetti paralizzanti del dolore psicologico.
A causa della nostra tendenza a leggere come un rifiuto messaggi quali “no” e “non
voglio”, è molto importante riuscire ad empatizzare con essi. Se li prendiamo in modo
personale, potremmo sentirci feriti senza aver compreso quello che in realtà sta
accadendo nell’altro. Quando facciamo brillare la luce della consapevolezza sui
sentimenti e sui bisogni dietro il “no” di qualcuno, tuttavia, individuiamo che c’è quello
che desidera che gli/le impedisce di risponderci come vorremmo.
Partecipante: si avvicina alla fine del seminario: “Prof. Rosemberg, lei è magnifico!”
Rosemberg: “Non riesco a ricavare dal suo apprezzamento tanto piacere quanto vorrei”
Partecipante: “Perché, cosa vuole dire?”
Rosemberg: “Nel corso della mia vita sono stato chiamato con una molteplicità di
aggettivi, ma non ricordo di aver mai imparato niente di importante dal sentirmi dire che
cosa sono. Vorrei imparare dal suo apprezzamento e trarne piacere, ma avrei bisogno di
più informazioni”.
Partecipante: “Come cosa?”
Rosemberg: “Innanzitutto, vorrei sapere che cosa ho detto o fatto che le ha reso la vita
più bella”.
Partecipante: “Bè, lei è così intelligente”.
Rosemberg: “Temo che lei mi abbia appena offerto un altro giudizio che mi lascia
ancora a domandarmi che cosa ho fatto che le ha reso la vita più bella”.
La partecipante dovette pensarci un po’, poi indicò gli appunti che aveva preso
durante il seminario:
Partecipante: “Guardi in questi due punti. Sono state queste due cose che lei ha detto”
Rosemberg: “Ah, quindi quello che lei ha apprezzato è il fatto che ho detto queste due
cose”
Partecipante: “Si”.
Rosemberg: “Successivamente vorrei sapere come si è sentita in associazione al fatto
che ho detto queste due cose”.
Partecipante: “Speranzosa e sollevata”
Rosemberg: “E ora vorrei sapere quali suoi bisogni sono stati soddisfatti dal fatto che ho
detto queste due cose”.
Partecipante: “Ho un figlio di 18 anni con cui non sono capace di comunicare. Ho
cercato disperatamente una qualche direzione che mi possa aiutare a relazionarmi con
lui in modo più affettuoso e queste due cose che lei ha detto mi offrono la direzione che
stavo cercando”.
Bisogna ricevere gli apprezzamenti senza superiorità né falsa modestia, e a tal proposito
sono utili le parole della scrittrice contemporanea Marianne Williamson: