L’ossigeno è una molecola indispensabile per il metabolismo degli organismi aerobi,
ma allo stesso tempo il suo utilizzo porta alla formazione di specie reattive potenzialmente tossiche, responsabili di danni a molte macromolecole biologiche e in ultima analisi all’istaurarsi di diverse patologie nell’uomo e negli animali. Queste specie, denominate ROS, sono il risultato delle successive riduzioni monoelettroniche dell’ossigeno ad H2O: la riduzione di O2 con un solo elettrone porta alla formazione di superossido (O2·-), l’aggiunta di un altro elettrone alla formazione di perossido di idrogeno (H2O2), quella di un terzo elettrone ad un radicale idrossilico (OH·). Possiamo distinguere i ROS in due categorie: 1. Le specie radicaliche (ad es. O2·- e OH·) che contengono uno o più elettroni spaiati 2. Le specie non radicaliche (da es. H2O2) Normalmente all'interno delle cellule viene prodotta costantemente una certa quantità di ROS che possono anche essere modulatori di reazioni biochimiche fondamentali per la cellula, il problema nasce quando i sistemi cellulari di detossificazione dei ROS non riescono a mantenere sotto controllo i livelli di queste molecole altamente reattive. I radicali liberi si formano nelle cellule sia in seguito alle loro reazioni metaboliche sia in seguito a stimoli esterni (radiazioni ionizzanti, elevata tensione di ossigeno, sostanze chimiche, farmaci, fumo, stress di vario genere). La maggior parte delle patologie e l'invecchiamento degli esseri viventi sono causati da processi chimici ossidativi, dovuti ad una eccessiva produzione di radicali liberi. La presenza dei radicali liberi in organismi viventi ha normalmente conseguenze negative, come il danneggiamento diretto o indiretto del DNA cellulare e la modificazione strutturale delle proteine. In condizioni normali il potenziale tossico dei radicali liberi è neutralizzato da un complesso sistema di fattori antiossidanti che rappresenta il meccanismo fisiologico di difesa: il rapporto tra fattori ossidanti e difese antiossidanti rappresenta il cosiddetto "bilancio ossidativo". Lo stress ossidativo è, pertanto, l'espressione biologica di un danno che si verifica quando i fattori pro-ossidanti (farmaci, sostanze tossiche, radiazioni, stati infiammatori, attività fisica esacerbata, etc.) superano le difese antiossidanti endogene (enzimi come la SOD, il coenzima Q10, la catalasi, la perossidasi, etc.) ed esogene (antiossidanti presenti negli alimenti). Si può incorrere in stress ossidativo sia in condizioni normali di salute sia negli stati patologici. Lo stress ossidativo è una conseguenza di livelli particolarmente alti di ROS che vengono generati in diversi distretti cellulari sia in condizioni fisiologiche, sia in risposta a vari stimoli. Origine mitocondriale La catena di trasporto degli elettroni mitocondriale è la sorgente principale di ATP nella cellula ed è, infatti, essenziale per la vita degli organismi eucariotici. Tuttavia, durante questo processo metabolico, l’1-2% degli elettroni sfuggono dai complessi proteici ed interagendo con l’O2 generano O2·- Anche l’H2O2 può essere generata nei mitocondri e gioca un ruolo importante in molti eventi cellulari, come ad esempio la biosintesi dell’ormone tiroideo, l’attività microbicida dei macrofagi, ma può provocare dei danni quando reagisce con i metalli di transizione a formare l’OH, che al contrario è molto reattivo e capace di danneggiare irreversibilmente le macromolecole cellulari. Altra fonte dei ROS è la NADPH ossidasi, localizzata principalmente sul plasmalemma delle cellule fagocitiche. L’assemblaggio e l’attivazione di questo enzima, in risposta a stimoli infiammatori, porta, infatti, alla produzione diO2.-. La produzione di ROS può avvenire anche a livello recettoriale, ad esempio durante la cascata di segnalazione innescata dal fattore di necrosi tumorale (TNFα): quest’ultimo associandosi al suo recettore (TNFR1 e TNFR2) porta all’induzione dell’apoptosi, attraverso l’incremento dei ROS. Il recettore FAS è un altro membro della superfamiglia dei TNFR la cui attivazione, mediata dall’attacco di un ligando specifico, induce l’apoptosi tramite l’attivazione di proteasi a cisteina. Anche in questo caso l’apoptosi è associata ad una aumentata produzione di ROS che sembra essere dovuta all’attivazione della NADPH ossidasi. I ROS possono originarsi anche a livello del citocromo P450 nel reticolo endoplasmatico o per azione della lipossigenasi, delle ciclossigenasi e della xantina ossidasi nel citoplasma. Fonti minori sono poi alcune molecole endogene ed esogene che producono radicali nel corso di alcune reazioni enzimatiche come, ad esempio, nel metabolismo dell’acido arachidonico. Oltre ai processi coinvolti nella produzione di radicali liberi fin ora citati, va ricordato che, anche molecole esogene come xenobiotici e farmaci, sono potenziali fonti di ROS. In particolare ricordiamo: molecole a struttura chinonica, cationi bipiridilici, composti aromatici, antibiotici antraciclinici (adriamicina e daunomicina) e nitroimidazoli (nitrofurantoin). Tossicità dei ROS Come già accennato i ROS, quando presenti ad elevate concentrazioni, per la loro elevata instabilità chimica, sono in grado di interagire e danneggiare numerose macromolecole (lipidi, proteine e acidi nucleici) presenti nei vari distretti cellulari. In particolare, la reazione chimica dovuta ai radicali dell’O2 che avviene sulle membrane cellulari è la perossidazione dei fosfolipidi. Il gruppo perossidico, formatosi per ossidazione degli acidi grassi, è molto più idrofilico di quello originario e tende a portarsi nella regione superficiale del doppio strato lipidico, ripiegando ad U la catena acilica dell'acido grasso. La conseguenza principale di questa nuova configurazione è l’aumento dell'ingombro sterico del fosfolipide con conseguente alterazione strutturale e funzionale della membrana. I lipidi sono importanti per la loro presenza nelle membrane che circondano ogni cellula. L’azione ossidativa a carico dei lipidi procede con un meccanismo radicalico a catena definito lipoperossidazione. I principali bersagli di questo fenomeno sono gli acidi grassi poliinsaturi, che sono presenti in elevate concentrazioni nei fosfolipidi delle membrane cellulari. La perossidazione lipidica si sviluppa attraverso tre fasi consequenziali: iniziazione, propagazione e terminazione: Il primo evento nell’inizio della perossidazione lipidica è l’estrazione di un idrogeno da un gruppo metilenico bis-allilico di un acido grasso polinsaturo da parte di un radicale ossidrile. Il radicale lipidico (L•) si riarrangia immediatamente a diene coniugato che reagisce con l’ossigeno molecolare formando perossilradicali in posizione +2 e -2 rispetto al carbonio da cui è stato estratto inizialmente l’idrogeno. Questo prodotto (LOO•) è altamente reattivo e può ciclizzare e formare un lipoperossido ciclico, da substrati quali l’acido arachidonico ed eicosapentaenoico. Il prodotto ciclico così ottenuto può successivamente frammentarsi e dar luogo a catene alifatiche, contenenti due gruppi carbonilici, formando composti come la malondialdeide (MDA), una dialdeide altamente reattiva, e il 4-idrossinonenale (HNE). Queste possono reagire con gruppi amminici liberi di proteine, fosfolipidi o acidi nucleici formando legami covalenti stabili, tipo basi di Schiff, che inducono alterazioni strutturali di tali molecole biologiche. I legami crociati proteina–MDA– fosfolipide, proteina–MDA–proteina o fosfolipide–MDA–fosfolipide causano infatti diminuzione del grado di libertà e della possibilità di movimento delle molecole stesse, con perdita di fluidità della membrana come effetto ultimo. Una volta terminato tutto l’ossigeno a disposizione o quando intervengono sostanze antiossidanti che possono donare un atomo di idrogeno o un elettrone, ha luogo la fase di terminazione, dove i radicali formatisi reagiscono per dare prodotti finali non radicalici inattivi. Per quanto riguarda le proteine, invece, le ossidazioni indotte dai ROS hanno come conseguenza l’induzione della proteolisi. Vari esperimenti sono stati condotti per dimostrare che i ROS sono in grado di alterare le caratteristiche chimico-fisiche di una proteina: diminuzione della fluorescenza nativa, e alterazione del peso molecolare. Anche le proteine sono un bersaglio per i radicali liberi, i cui danni possono essere distinti in reversibili ed irreversibili; tra i primi vi è l’ossidazione dei gruppi tiolici della metionina a solfossido, mentre tra gli irreversibili, la rottura dell’anello dell’istidina e del triptofano e l’idrolisi del legame peptidico in presenza di prolina. Quest’ultimo evento danneggia particolarmente il collagene, ricco di prolina ed idrossiprolina. I gruppi SH- dei residui di cisteina delle proteine sono fra i più esposti alle collisioni radicaliche: i radicali tiile (RS•) che si formano possono dimerizzare o ossidarsi a RSO2, provocando danni alla struttura e alla funzionalità delle proteine stesse. In particolare possono venire attaccate proteine con funzione enzimatica, come la fosfofruttochinasi ed appartenenti alla catena respiratoria mitocondriale, di importanza fondamentale per la produzione di energia per la cellula. L’ossidazione delle proteine sembra essere inoltre responsabile, almeno in parte, di patologie quali l’aterosclerosi, il danno da ischemia-riperfusione e l’invecchiamento. Nell’ambito dei danni cellulari causati dalle specie reattive dell’ossigeno, quello al DNA è potenzialmente il più pericoloso poiché tali alterazioni sono spesso associate a mutazioni genetiche ed allo sviluppo di cancro. È emerso inoltre un legame sempre più evidente tra alterazioni al DNA ROS-mediate ed il processo di invecchiamento, la patogenesi del diabete mellito e di alcune malattie a carico del fegato e ad eziologia infiammatoria. Esempi di danni agli acidi nucleici sono, tra gli altri, la formazione di legami intermolecolari DNA-DNA o DNA-proteine e modificazioni ossidative a carico delle basi azotate. Le più sensibili sono le basi pirimidiniche citosina e timina le quali possono andare incontro a saturazione o apertura dell’anello con idrossilazione di quest’ultimo. Ciò implica la perdita dell’aromaticità e della planarità, determinando distorsioni nella geometria del DNA. Inoltre l’ossidazione della timina può portare alla formazione dei cosiddetti “dimeri di timina”. Una delle più frequenti alterazioni ossidative delle basi puriniche riguarda invece l’ossidrilazione in posizione 8 della guanosina e il distacco delle basi azotate dagli zuccheri. Se le basi danneggiate vengono rimosse e riparate prima della divisione cellulare, non ci sarà alcun danno permanente. Se invece il sistema di riparazione è soggetto ad errori, la generazione successiva riceverà una molecola di DNA difettosa in cui una base azotata è eliminata o sostituita da una base impropria. Ruolo fisiologico dei ROS Con l’eccezione delle cellule fagocitarie, nelle quali il ruolo dei ROS è indispensabile nelle reazioni di difesa, classicamente i ROS vengono considerati molecole in grado di scatenare processi di morte cellulare. Tuttavia, negli ultimi anni, è emerso che i ROS, quando prodotti a basse concentrazioni, possono fungere da mediatori o da secondi messaggeri. Nella cellula la trasduzione del segnale mediata dai ROS può seguire sostanzialmente due vie: 1) la fosforilazione delle proteine; 2) il cambiamento dello stato redox di specifiche cisteine. Quindi i ROS possono comunicare, se non addirittura far parte, di percorsi di trasduzione del segnale conosciuti e ben definiti. Tutto ciò potrebbe suggerire un ruolo di effettori diretti per i ROS, per cui le interazioni con proteine bersaglio redox-sensibili si traducono in alterazioni della struttura e della funzione. Un esempio è rappresentato dal fattore tumorale p53 capace di indurre apoptosi in seguito a stress cellulare. È stato dimostrato che p53 è un fattore trascrizionale la cui attività è regolata dall’ambiente ossido-riduttivo intracellulare mediante modificazione dello stato redox di specifiche cisteine. Le difese antiossidanti: sistemi di difesa enzimatici e non enzimatici Gli organismi hanno evoluto un sistema di difesa antiossidante costituito sia da componenti enzimatiche sia da molecole non enzimatiche. Gli antiossidanti sono elementi indispensabili per la protezione delle molecole e dei sistemi biologici dall’insulto derivante dalle specie reattive dell’ossigeno (ROS). Sono infatti in grado di inibire o ritardare l’ossidazione del substrato, fornendo ai radicali gli elettroni di cui sono privi. La difesa antiossidante enzimatica è composta da proteine in grado di rimuovere con un’elevata efficienza catalitica i ROS: la superossido dismutasi (SOD), la catalasi (CAT) e la glutatione perossidasi (GPx). Gli antiossidanti “non enzimatici” comprendono varie molecole a basso peso molecolare ("scavenger") come ascorbato, vitamina E, carotenoidi, glutatione ridotto (GSH) e metallotioneina (MT). La superossido dismutasi è l’enzima che catalizza la reazione di dismutazione del radicale superossido, molto tossico, ad ossigeno molecolare e perossido di idrogeno. Come tale costituisce un fondamentale meccanismo di difesa contro lo stress ossidativo per le cellule. Le superossido dismutasi sono una famiglia di matalloproteine classificate in base al cofattore metallico in Cu/Zn-SOD (isoforma citosolica), Mn-SOD (isoforma mitocondriale) e Fe-SOD (isoforma extracellulare). Le SOD sono enzimi dimerici o tetramerici costituiti da sub unità identiche, presenti nel citoplasma delle cellule eucariotiche e nel periplasma di quelle batteriche. La Cu/Zn SOD: è una metallo-proteina che si trova in tutte le cellule eucariotiche ed in alcuni procarioti. La Cu/Zn SOD riceve il rame dalla rame-chaperonina chiamata CCS (Copper Chaperon for Superoxide) che è indispensabile per l’incorporazione del metallo nel sito catalitico della proteina. La Cu/Zn SOD è costituita da due sub unità identiche di 16.5 kDa, tenute insieme da interazioni idrofobiche. Il sito attivo di ciascun monomero è formato anch’esso da anse non elicoidali e comprende un atomo di Cu2+ e uno di Zn2+, legati a ponte dall'anello imidazolico di un'istidina. Lo ione rame risulta essere esposto al solvente ed è situato in fondo al canale del sito attivo, mentre lo zinco è completamente circondato dalla proteina. Nel dimero i due siti attivi risultano trovarsi in zone opposte della molecola e sembra che essi agiscano indipendentemente l’uno dall’altro. Mentre lo ione Zn2+ sembra avere unicamente un ruolo strutturale, lo ione Cu2+ partecipa direttamente alla reazione di dismutazione: 1. E-Cu2+ + O2•‾ E-Cu+ + O2 2. E-Cu+ + O2•‾ + 2H+ E-Cu2+ + H2O2 Questo meccanismo consiste di due stadi: nel primo il Cu2+ viene ridotto a Cu+ con conseguente rottura del ponte istidinico fra Cu2+ e Zn2+ ed ossidazione di un radicale superossido ad ossigeno. Nel secondo stadio il Cu+ cede un elettrone ad un altro radicale superossido, per produrre, insieme a due protoni, una molecola di H2O2. La reazione della Cu/Zn SOD con O2•‾ è molto rapida ed ha un’energia di attivazione molto bassa. Inoltre, la formazione di H2O2 nel corso della catalisi, collega la funzione antiossidante della Cu/Zn SOD all’attività di altri enzimi antiossidanti quali la catalasi e la GPx. Nella reazione catalizzata con estrema efficienza da questa famiglia di enzimi due molecole di anione superossido producono una molecola di perossido di idrogeno e ossigeno molecolare: 2O2• - + 2H+ → H2O2 + O2 Il prodotto finale della dismutazione dello ione superossido è l’H2O2. L’ H2O2 è una delle molecole più abbondanti fra i ROS, implicata sia nella morte per apoptosi caspasi-indipendente, sia in quella per necrosi. I sistemi primari di difesa contro la tossicità dell’H2O2 sono quello della catalasi e della GPx che utilizza il ciclo redox del glutatione. Questa è il substrato degli altri due sistemi enzimatici presi in esame: la catalasi e la glutatione perossidasi. La catalasi (ossidoreduttasi del perossido d’idrogeno) è un enzima costituito da quattro sub unità proteiche, ognuna contenente ferro eme e una molecola di NADPH. È preferenzialmente localizzata nei perossisomi, organuli che contengono anche molti enzimi che generano con la loro attività H2O2, dove provvede alla dismutazione dello stesso in una molecola d’acqua e ossigeno molecolare: Catalasi-Fe(III) + 2H2O2→ Catalasi-Fe(II) + 2H2O + O2 L’enzima presiede anche alla detossificazione di altri substrati tra cui fenoli ed alcoli attraverso una riduzione accoppiata del perossido di idrogeno: H2O2 +R’H2 → R’ + 2H2O La glutatione perossidasi è un enzima presente in due forme, una selenio indipendente (glutatione –S- transferasi, GST) e una selenio dipendente (GPX) [rip17]. Questi due enzimi differiscono per il numero di sub unità, per la natura del selenio nel sito attivo e per il meccanismo catalitico. La glutatione perossidasi selenio dipendente è implicata nella riduzione del perossido di idrogeno e degli idroperossidi organici. La glutatione perossidasi selenio indipendente è, invece, coinvolta nella riduzione di fosfolipidi idroperossidi, oltre a quella dei composti precedentemente indicati [20]. La reazione catalizzata presenta specificità solo per il donatore di elettroni (il GSH) mentre l’idroperossido può essere rappresentato sia dal perossido di idrogeno sia da idroperossidi derivati dagli acidi grassi e dagli steroidi: ROOH + 2GSH → ROH + GSSG + H2O e fa delle glutatione perossidasi tra gli enzimi più versatili esistenti nella cellula. L’attività della glutatione perossidasi dipende dalla disponibilità intracellulare di glutatione ridotto, che è a sua volta il prodotto dell’attività dell’enzima glutatione reduttasi, il quale sfrutta il potere riducente associato allo NADPH prodotto nelle vie metaboliche di degradazione degli zuccheri GSSG + NADPH + H+ → 2GSSG + NADP+ I principali sistemi antiossidanti non enzimatici possono essere catalogati in due classi principali: 1. Composti tiolici, come il glutatione (GSH) e la tioredossina (Trx), in grado di agire, direttamente o mediante la catalisi di specifici enzimi, donando equivalenti riducenti e formando disolfuri. 2. Molecole che possiedono strutture intrinsecamente capaci di delocalizzare la carica positiva che si viene a formare in seguito alla reazione con il radicale, come i tocoferoli, l’acido citrico, il β-carotene e i polifenoli. La vitamina C (acido ascorbico) agisce da antiossidante, esercitando un’azione protettiva nei confronti del radicale superossido, dell’idrossi radicale, dell’ossigeno singoletto e del perossi radicale. La vitamina E è costituita da un complesso di tocoferoli e tocotrienoli (α-, β-, γ- e δ- tocoferolo e α-, β-, γ- e δ-tocotrienolo). In natura la forma più abbondante e di maggiore attività è chiamata α-tocoferolo. Si tratta di un potente antiossidante biologico legato alla membrana cellulare la cui principale funzione è quella di protezione nei confronti del processo di perossidazione lipidica. È stato evidenziato che esiste un’attività sinergica tra la vitamina C e la vitamina E che sembrano minimizzare le conseguenze della perossidazione lipidica nelle lipoproteine delle membrane cellulari. Il glutatione (GSH) risulta presente abbondantemente nel citosol, nel nucleo e nei mitocondri. Il glutatione è considerato il principale sistema tampone ossidoriduttivo cellulare appartenente alla famiglia dei tioli. Mediamente la sua concentrazione citosolica è dell’ordine di 1-10 mM ed è di gran lunga più elevata rispetto a molti altri composti redox attivi. Il glutatione partecipa direttamente alla neutralizzazione dei radicali liberi, che si formano dalla perossidazione dei lipidi e mantiene gli altri antiossidanti a basso peso molecolare, come la vitamina C ed E, nella loro forma ridotta, cioè attiva, inoltre, attraverso il processo di coniugazione diretta, detossifica molti xenobiotici. A livello cellulare il glutatione è sintetizzato a partire dal glutammato, dalla glicina e dalla cisteina. Quest’ultima è il donatore del gruppo tiolico (-SH), responsabile della sua attività biologica. All’interno delle cellule il glutatione si può presentare: a) sotto forma ridotta (GSH); b) sotto forma ossidata (GSSG), in cui due molecole di glutatione sono unite tra loro da un ponte disolfuro; c) come disolfuro misto con proteine (GS-S-Prot o GS-SP o GS- R), in cui il legame si instaura tra l’atomo di zolfo del tripeptide ed un residuo di cisteina della proteina. La reazione di ossidazione che porta alla formazione del GSSG è mediata dalla glutatione perossidasi (GPx) e da alcune transidrogenasi. La riduzione del GSSG a GSH è invece catalizzata dall’enzima glutatione reduttasi (GSSG-Red): è un enzima NAD(P)H e flavina adenina dinucleotide (FAD)-dipendente che trasferisce elettroni dall’NADPH al glutatione ossidato, attraverso il FAD. Per le caratteristiche chimico-fisiche e per l’elevata concentrazione, generalmente lo stato redox di un sistema cellulare si calcola prendendo in esame il rapporto [GSH]/[GSSG]. L’effetto protettivo del glutatione nei confronti dello stress ossidativo è dovuto al fatto che: Rappresenta un cofattore di diversi enzimi antiossidanti quali la glutatione perossidasi e la glutatione transferasi; Partecipa al trasporto di amminoacidi attraverso la membrana plasmatica; È in grado di eliminare direttamente il radicale idrossilico e l’ossigeno singoletto; Risulta capace di rigenerare importanti sistemi antiossidanti quali vitamina C e vitamina E; può ridurre il radicale tocoferolo a vitamina E direttamente o indirettamente attraverso la riduzione del radicale semideidroascorbato ad ascorbato. Quello rappresentato dalla tioredossina è un altro sistema redox tiolico fondamentale nella riduzione dei ponti disolfuro tra le cisteine coinvolte nel legame al DNA di numerosi fattori di trascrizione, ed è inoltre importante nell’espressione genica. Le concentrazioni intracellulari della tioredossina nei mammiferi variano approssimativamente da 1 a 10 μM e sono quindi da 100 a 1000 volte inferiori a quelle del GSH. La tioredossina è una proteina, a basso peso molecolare (~11kDa), che normalmente forma ponti disolfuro intra-molecolari. La riduzione della forma ossidata (disolfuro) a quella ridotta è catalizzata dall’enzima tioredossina reduttasi (TrxR), mentre il donatore di elettroni è l’NADPH. Stress ossidativo e nitrosativo Il sistema nervoso centrale è caratterizzato da un continuo flusso di ROS generato durante le reazioni neurochimiche, inoltre, è altamente aerobico, contiene un alto livello di substrati facilmente ossidabili (lipidi polinsaturi delle membrane cellulari) Oltre a ciò, il sistema nervoso possiede bassi livelli di difese antiossidanti, come la catalasi, pertanto la sopravvivenza delle cellule nervose è associata ad un delicato equilibrio fra produzione di specie ossidanti e difesa antiossidante. Lo stress ossidativo sopraggiunge quando questo delicato equilibrio viene alterato dall’attivazione impropria di alcuni processi metabolici o dalla diminuzione della difesa antiossidante e ciò può portare a neuro degenerazione che caratterizza diverse malattie come l’AIDS, la malattia di Huntington, la malattia di Parkinson, l’Alzheimer e la sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Inoltre, oltre ai ROS, il sistema nervoso centrale è a rischio ossidativo da parte dell’ossido nitrico (NO) prodotto dall’ossido nitrico sintasi (NOS). L’NO svolge nel sistema nervoso il ruolo di neurotrasmettitore, ma a causa della sua natura radicalica può dare origine a specie altamente ossidanti: le specie reattive dell’ossido nitrico (RNS). La reazione del radicale ossido nitrico (NO) con il O2- porta alla formazione di perossinitrito (ONOO-) con una velocità di reazione che supera la costante di dismutazione del superossido da parte della Cu/Zn SOD. Gli RNS, allo stesso modo dei ROS, possono reagire con varie specie molecolari: il DNA, i tioli, gli amminoacidi ed i metalli, portando per esempio alla perdita delle funzioni enzimatiche, all’alterazione dell’integrità di membrana e alle mutazioni del DNA. L’Ossido Nitrico è una molecola ad elevata reattività che pur essendo potenzialmente tossica è implicata in una vasta gamma di processi fisiologici: come la neurotrasmissione, la regolazione del sistema immunitario, la regolazione del sistema cardio-vascolare, il rilassamento della muscolatura involontaria, l’aggregazione piastrinica. Questi processi condividono le seguenti reazioni biochimiche: 1) la formazione di un complesso ferro-NO nell’eme di una proteina bersaglio allo scopo di promuovere la sua funzione; 2) la sintesi enzimatica dell’NO da parte delle NOS. Le ossido nitrico sintasi (NOS) appartengono alla famiglia di enzimi NADPH-dipendenti e catalizzano la sintesi dell'NO a partire da arginina e O2. Sono state identificate tre isoforme della NOS che sono prodotte a partire da tre geni distinti e che hanno diverse localizzazioni, regolazioni, proprietà catalitiche, sensibilità agli inibitori. Esse presentano il 51-57 % di omologia tra le forme umane e sono comunemente chiamate: 1) nNOS, nota anche come NOS-1, poiché identificata per prima e situata nei tessuti neuronali; 2) iNOS, conosciuta anche come NOS-2, essendo l’isoforma inducibile in una vasta gamma di tessuti e di cellule; 3) eNOS, chiamata anche NOS-3, poiché è stata identificata per la prima volta nel sistema vascolare. Queste isoforme sono state anche distinte in passato, sulla base della loro espressione costitutiva (cNOS) o inducibile (iNOS) e della loro calcio-dipendenza (eNOS e nNOS) o calcio-indipendenza (iNOS). Inoltre, per ciascuna isoforma, e specialmente per l’nNOS, sono state recentemente identificate anche delle varianti di splicing. Tutte le isoforme della NOS hanno una struttura costituita da due domini: uno ossigenasico contenente eme ed uno reduttasico. Per la sua attività sono richiesti numerosi cofattori: il flusso di elettroni parte dall’NADPH e passa attraverso il FAD, l’FMN per poi ridurre il ferro contenuto nel gruppo eme. La tetraidrobiopterina (BH4) è un altro co-fattore utile alla reazione enzimatica si lega al dominio ossigenasico, e favorisce la formazione della tasca del sito attivo che contiene l’eme. La biosintesi dell’NO operata dalla NOS si articola in due passaggi successivi: il primo consiste nell’ossidazione dell’L-arginina a L-N--idrossi-L-arginina (NHA), che utilizza un equivalente di NADPH e di O2; nel secondo passaggio l’NHA viene convertita in NO e L-citrullina utilizzando 0.5 equivalenti di NADPH ed una molecola di O2. Il prodotto dell’attività delle NOS, NO, ha un ruolo importante, anche, nei processi di morte cellulare in dipendenza della sua concentrazione. Questa sua capacità di modulare processi che regolano la vitalità cellulare deriva dalla sua forma chimica complessa. Infatti, l’NO può esistere in varie forme redox: l’ossido nitrico (NO·), il nitroso (NO+), l’anione nitrossido (NO-). L’NO ha la capacità di diffondere velocemente attraverso i mezzi acquosi e attraverso le membrane cellulari. La chimica del nitroso è caratterizzata da reazioni di addizione o sostituzione con molecole nucleofile. La nitrosazione nella fase acquosa può interessare i centri delle molecole organiche contenenti –S, -N, -O e –C. Ruolo dell’NO nell’omeostasi Sistema immunitario L’NO è parte integrante della risposta infiammatoria contro agenti patogeni, virus e cellule tumorali. Nel sistema immunitario, l’NO è prodotto in vari tipi cellulari dalla iNOS, la quale è attivata da una serie di citochine infiammatorie come TNF-α o i lipopolisaccaridi (LPS), attraverso una regolazione di tipo trascrizionale. Nel sistema immunitario il gene della iNOS presenta un promotore che contiene siti di legame per il fattore di trascrizione NF-κB, il quale è in grado di avviare la trascrizione della iNOS per azione dei macrofagi. La cascata del segnale che porta alla sintesi della iNOS può avvenire anche in cellule non macrofagiche (cellule muscolari, cellule epatiche, astroglia) ed è cellula-specifica. La iNOS una volta espressa, diventa costitutivamente attiva e i suoi livelli vengono abbassati per mezzo dei sistemi proteolitici intracellulari. Sistema cardio-vascolare L’NO prodotto dalla eNOS è il più importante vasodilatatore endogeno. Il meccanismo attraverso cui si esplica la sua azione è l’attivazione della guanilato ciclasi solubile e il conseguente accumulo della guanosina 3’5’ monofosfato (GMPc). La eNOS può essere regolata da fattori chimici e meccanici che ne modulano sia l’espressione, sia l’attività, sia la localizzazione cellulare. In condizioni fisiologiche, la eNOS è regolata dalla concentrazione di Ca2+ intracellulare ed è attivata da acetilcolina e bradichinina. L’NO che diffonde dalle cellule endoteliali, stimolate in modo opportuno, induce il rilassamento della muscolatura del vaso sanguigno, attraverso l’attivazione della guanilato ciclasi: una proteina eterodimerica formata da una sub unità α e una β, ciascuna con un gruppo eme che è in grado di legarsi all’NO formando un complesso Fe-NO. La formazione di tale complesso induce un cambiamento conformazionale dell’enzima tale da attivarlo e portare all’accumulo di GMPc, un noto secondo messaggero in grado di stimolare le protein-chinasi (PKG) ed i canali ionici GMPc- dipendenti, coinvolti nel rilassamento muscolare. Sistema nervoso centrale L’NO riveste un ruolo importante nel sistema nervoso centrale e la prima evidenza che ha portato a includere l’NO come secondo messaggero, deriva dall’osservazione che il glutammato, agendo attraverso i recettori NMDA, stimola la conversione dell’arginina a citrullina e NO: la nNOS interagisce con il recettore del glutammato (NMDA) attraverso la proteina PSD-95 , attivandolo e favorendo, quindi, l’entrata di Ca2+ nel citosol, questo porta ad un aumento della produzione di NO da parte della nNOS, che è un enzima Ca2+-dipendente. L’NO prodotto è in grado di raggiungere i suoi target: guanilato ciclasi, lo stesso NMDA che viene attivato grazie alla S- nitrosilazione di cisteine reattive. L’NO, nel sistema nervoso centrale, oltre a fungere da neuromodulatore, ha anche funzione di neurotrasmettitore. La trasmissione nitrergica media il rilassamento della muscolatura liscia del sistema respiratorio, gastrointestinale e del tratto urogenitale. Quando il potenziale d’azione raggiunge le terminazioni nervose, l’entrata di Ca2+ attraverso i canali voltaggio-dipendenti porta all’attivazione dell’nNOS. Il conseguente NO prodotto non viene immagazzinato nelle vescicole sinaptiche per poi essere rilasciato nello spazio sinaptico, ma diffonde liberamente attraverso la membrana plasmatica essendo idro e liposolubile. Una volta entrato nella cellula post-sinaptica, il neurotrasmettitore può esplicare la sua funzione attraverso la sintesi di GMPc. Ruolo dell’NO nella morte cellulare L’NO svolge un duplice ruolo nella modulazione del processo apoptotico: può, in base alla sua concentrazione e al tipo cellulare, attivare o inibire il processo di morte. Effetto pro-apoptotico Se prodotto ad elevate concentrazioni l’NO e i suoi derivati possono alterare le funzioni cellulari e portare alla perdita di funzioni enzimatiche, alle mutazioni del DNA e all’alterazioni della membrana plasmatica. Un tessuto particolarmente sensibile all’effetto citotossico dell’NO è il sistema nervoso centrale: i ROS insieme ai RNS sono, infatti, i responsabili della morte cellulare nelle malattie neurodegenerative. L’induzione di apoptosi sembra essere mediata soprattutto, dai danni al DNA che portano ad un accumulo di p53 e alla conseguente espressione di p21 che provoca l’arresto del ciclo cellulare. Se il danno non può essere riparato, la cellula va incontro ad apoptosi. Nel mitocondrio, inoltre, si osserva un calo della proteina anti-apoptotica Bcl-2 ed il rilascio del citocromo c nel citosol che porta all’attivazione della cascata di caspasi e all’esecuzione del programma di morte cellulare. Bersaglio dell’NO può essere anche il citocromo c ossidasi: il danneggiamento di questa via porta ad un aumento di ROS. Effetto anti-apoptotico L’effetto anti-apoptotico indotto dall’NO, si ottiene in presenza di basse concentrazioni (dell’ordine dei μM). L’NO esercita gli effetti citoprotettivi attraverso la sua diretta o indiretta interazione con il macchinario apoptotico: Induzione delle proteine da stress. L’NO attraverso l’ossidazione del glutatione ridotto intracellulare può cambiare i livelli di antiossidante, provocando stress nitrosativo o ossidativo. Il calo dei livelli di glutatione stimola l’attivazione di proteine da shock termico come HSP32 e HSP70, note proteine anti-apoptotiche. Esse, infatti sembrano mediare l’inibizione dell’attivazione delle caspasi, attraverso il sequestro del citocromo c espulso nel citosol. Accumulo di GMPc. L’NO stimolando l’attività della guanilato ciclasi solubile, induce un accumulo di GMPc che porta ad un calo della concentrazione di calcio intracellulare, che rappresenta un segnale chiave per l’apoptosi. I meccanismi molecolari alla base di questa inibizione coinvolgono l’attivazione di protein chinasi e l’inibizione dell’attività delle caspasi. Soppressione dell’attività delle caspasi. Tutte le caspasi presentano un residuo di cisteina nel sito catalitico, essenziale per la loro attività, che può essere S-nitrosilato dall’NO e quindi inibire l’attività di queste proteasi a cisteina. Inibizione del rilascio di citocromo c. Assieme a Bcl-2, anche l’NO, sembra essere coinvolto nell’inibizione del rilascio del citocromo c nel citosol. Poiché la stessa Bcl-2 è substrato delle caspasi, la S-nitrosilazione di quest’ultime previene l’inattivazione della funzione anti-apoptotica svolta da Bcl-2 e di conseguenza il rilascio di citocromo c nel citosol. Regolazione delle NOS Tra le varie isoforme della NOS, la nNOS è sicuramente la più complessa. Innanzitutto, questa isoforma è costituita da un dominio addizionale, rispetto alle altre isoforme, PDZ (PSD-95/Discs large/Zona occludens-1) all’N-terminale, che ne permette il legame alla membrana plasmatica. Inoltre, esiste la possibilità di una regolazione a livello post-trascrizionale che porta alla formazione di varianti di splicing. L’attività della NOS può essere controllata a livello trascrizionale, ma senza dubbio i processi di regolazione più frequenti ed importanti sono quelli post-trascrizionali o post-traduzionali. Questi includono: 1) la regolazione dell’attività; 2) la regolazione della localizzazione; 3) lo splicing alternativo. Regolazione dell’attività. L’attività delle NOS può essere regolata attraverso interazioni proteina-proteina o da modificazioni covalenti. La calmodulina (CaM) è stata la prima proteina ad essere identificata come fattore in grado di modulare l’attività della NOS tramite un’interazione diretta. È proprio la Ca2+-dipendenza per la sintesi di NO a distinguere le isoforme costitutive della NOS (nNOS e eNOS) che richiedono una maggiore disponibilità di Ca2+, rispetto a quanto accade per la iNOS.