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ITALIANO
Prof. Claudia Fernández Speier
LIVELLO ELEMENTARE
Il decreto napoleonico del 18 ottobre 1810, relativo agli “stabilimenti di istruzione pubblica” in
10 Toscana - provincia dell’impero francese a partire dal 1807 - stabilisce l’istituzione a Pisa di un
“Pensionato accademico” per gli studenti universitari. Venticinque posti del pensionato
vengono messi a concorso per studenti delle facoltà di Lettere e Scienze, per creare una
succursale dell’École Normale Supérieure di Parigi.
Nasce così, per volontà di Napoleone, la Scuola Normale Superiore di Pisa. Il termine
15 “Normale” si riferisce alla sua missione didattica primaria, formare insegnanti di scuola media
superiore che trasmettessero le “norme”, cioè che educassero i cittadini all’obbedienza alle
leggi e all’Imperatore.
Il 22 febbraio 1811 viene emanato il primo bando di concorso, ma la Normale pisana inizia la
sua attività solo nel 1813, quando i primi studenti di Lettere e Scienze si stabiliscono alla
20 Scuola.
La prima sede è presso il convento di San Silvestro: un pensionato a metà tra un ordine militare
e un convento, in cui la vita degli studenti è segnata da un rigido Regolamento di disciplina.
Seguendo il modello francese, la Scuola viene affidata a un “Direttore”, coadiuvato dal “Sotto-
direttore” e dall'“Economo”, addetti all’amministrazione, alla vigilanza degli studi e alla tutela
25 dell’ordine.
La Normale era riservata a quel tempo ai migliori alunni selezionati alla fine dei corsi liceali,
di età compresa fra i 17 e i 24 anni, che durante i due anni di studi conseguivano anche i gradi
nelle facoltà di Lettere e Scienze dell’Università imperiale. Gli studenti avevano impegni
particolari ed erano obbligati a seguire corsi aggiuntivi: venivano seguiti da quattro
30 “Ripetitori”, scelti dal Direttore tra gli allievi stessi della Normale, che quotidianamente
“ripetevano” le lezioni universitarie e coordinavano le “conferenze”, una sorta di seminari. Con
questo tirocinio qualificato alle spalle, dopo il diploma, i giovani si impegnavano ad insegnare
nelle scuole secondarie per almeno dieci anni.
La Scuola Normale napoleonica ha una vita breve: il solo anno accademico 1813/14, durante il
35 quale è Direttore il fisico Ranieri Gerbi. Il 6 aprile 1814 Napoleone firma l’atto di abdicazione:
il rientro del granduca Ferdinando III sul trono di Toscana coincide con la chiusura della
Scuola, nonostante i vari tentativi per salvarla in nome della sua funzione.
[…]
40
La Normale è oggi una scuola di élite a base ugualitaria, che premia il talento, il merito
e le potenzialità dei propri allievi a prescindere dalla loro provenienza sociale e dal loro
curriculum di studi precedente. Il suo scopo è formare studiosi, professionisti e
cittadini dalla formazione culturale ampia e dal forte spirito critico.
Questi percorso ha preso il via con la legge del 7 marzo 1967, che dà vita alla Scuola
Normale Superiore di studi universitari e di perfezionamento, inizialmente dipendente
dall’ateneo pisano ma ben presto autonoma.
55 Lo Statuto del 1969 definisce il nuovo quadro formativo della Scuola e il profilo di
Istituto di alta formazione scientifica: in particolare vengono stabiliti un forte
allargamento del corpo docente interno, la fondazione ed il potenziamento delle
strutture di ricerca e l’ampliamento del numero di allievi dei Corsi ordinari e di
Perfezionamento. La legge del 18 giugno 1989 riconoscerà infine l’equipollenza del
60 diploma di perfezionamento della Scuola al titolo di dottore di ricerca rilasciato dagli
atenei italiani.
Nel 2018 la Normale si è federata con la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e con lo
Iuss – Scuola Universitaria Superiore di Pavia, per offrire nuove opportunità formative
che integrino le competenze delle tre istituzioni in determinati ambiti quali le
70 discipline economico-politiche e lo studio delle dinamiche chimico-fisiche che
influenzano i cambiamenti climatici con le relative ripercussioni nell’agroalimentare.
ATTIVITÀ
1. Dopo aver letto il testo sulla Scuola Normale di Pisa, rispondi alle domande:
a. Quali sono i periodi della storia della Scuola Normale di Pisa compresi dal
testo? Perché credi che siano stati scelti? Che periodi immagini che ci siano
nel testo originale, segnati qua con [...]?
b. Come e quando nasce la Scuola Normale di Pisa?
c. Che vuol dire, in questo contesto, il termine normale?
d. Perché si può affermare che è un’istituzione di élite?
e. Che dovevano fare gli studenti dopo essersi laureati?
f. Quando e perché si chiude questa prima Scuola?
g. A che si riferisce il termine (non italiano) placement (r. 49)?
h. Che stabiliscono i provvedimenti del 1967-1969 e del 1989?
i. Quali sono i cambiamenti degli ultimi anni?
2. Cerca nel testo le espressioni analoghe a intercambios, independientemente de, se ha
asociado, investigación, equivalencia, otorgado.
3. Sottolinea nel testo e trascrivi i verbi al presente terminati in -isce / iscono; cerca
quindi i loro infiniti.
4. Confronta in uno schema la storia della Scuola Normale di Pisa con quella della
Escuela Normal argentina.
Chi sono le sardine. Storia di un movimento e del
suo nome
Dai social alla piazza, la rapida parabola del nuovo
movimento anti-lega con molti dubbi e i soliti slogan anti-
Salvini
Prima Bologna, poi Modena. E' la breve ma già rumorosa storia delle "sardine", il
5 movimento di protesta anti Salvini che sta cercando di porsi come argine al
centrodestra nelle prossime elezioni regionali in programma in Emilia fine
gennaio. "Nessun insulto, nessun simbolo, nessun partito". Parola di Mattia
Santoni, 32 anni, laureato in scienze politiche collaboratore per una rivista legata
Romano Prodi, uno degli ideatori del cosiddetto movimento delle sardine.
Un'idea, come ha spiegato il giovane al «Resto del Carlino», nata nel corso di una
notte insonne insieme tre amici: Roberto Morotti, 31 anni, ingegnere, Giulia
Trappoloni, 30 anni, fisioterapista, Andrea Garreffa, 30 anni, guida turística.
Santoni non poteva accettare che nella rossa Bologna la Lega di Matteo Salvini
15 facesse campagna elettorale sostegno della candidatura di Lucia Borgonzoni alla
poltrona di presidente della regione Emilia Romagna in opposizione al presidente
uscente, il piddino Stefano Bonaccini.
Perché "sardine”
Il nome “sardine" nasce dall'idea di stare tutti stretti stretti come sardine in una
scatola dimostrazione che la piazza antileghista forte numerosa. Vicini silenziosi
25 come pesci per abbassare toni da quella che via Facebook stata definita "retorica
populista". L'invito - definitivo - recitava: "Nessuna bandiera, nessun partito,
nessun insulto. Crea la tua sardina, partecipa alla prima rivoluzione ittica della
storia". Dato che il Paladozza, dove era in programma la manifestazione della
Bergonzoni di Salvini può contenere 5.570 persone ai 4 amici sarebbe bastato
30 metterne insieme 6.000 per superare il rivale.
Il tam tam non poteva che partire da Facebook con la creazione dell'evento
"Seimila sardine contro Salvini" dove si invitavano bolognesi ad accorrere
numerosi in piazza spiegando: "Il Paladozza ha una capienza massima di 5.570
persone. Non puoi andare oltre, per problemi di sicurezza soprattutto di spazio.
35 Ecco allora che vogliamo lanciare un flash-mob: abbiamo misurato che sul
crescentone di Piazza Maggiore ci stanno fino 6.000 persone".
Da Bologna a Modena
[Tratto da https://www.panorama.it/news/sardine-storia-movimento-nome-lega-salvini]
ATTIVITÀ
1. Dopo aver letto l’articolo, rispondi:
a. Chi sono stati gli ideatori del movimento delle sardine?
b. Che cosa vuol dire “Nessuna bandiera, nessun insulto, nessun
simbolo, nessun partito”? Spiegate il concetto.
c. Quante persone volevano riunire e quante ce ne sono state quel
14 novembre a Piazza maggiore?
ATTIVITÀ
SOCIETÀ
MILANO. La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar
con le bande alemanne nel milanese, c'era entrata davvero, com'è noto; ed è
15 noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò buona parte d'Italia.
La peste continua la sua corsa e il tribunale invia, allora, altri due delegati
nelle terre colpite. Troppo tardi, però. Quando arrivano il contagio è ormai
dilagato e i delegati non possono far altro che raccoglierne le prove. I paesi
iniziano a trincerarsi per evitare che "stranieri" infetti possano portarvi il
85 contagio, le persone cercano riparo in campagna, i malati e i morti aumentano
giorno dopo giorno.
(...) E per tutto trovarono paesi chiusi da cancelli all'entrature, altri quasi
deserti, e gli abitanti scappati e attendati alla campagna, o dispersi (...)
S'informarono del numero de' morti: era spaventevole; visitarono infermi e
90 cadaveri, e per tutto trovarono le brutte e terribili marche della pestilenza.
95 Diedero subito, per lettere, quelle sinistre nuove al tribunale della sanità,
il quale, al riceverle, che fu il 30 d'ottobre, si dispose (...) a prescriver le bullette,
per chiuder fuori dalla Città le persone provenienti da' paesi dove il contagio
s'era manifestato.
Sulle piazze, nelle botteghe, nelle case, chi buttasse là una parola del
125 pericolo, chi motivasse peste, veniva accolto con beffe incredule, con disprezzo
iracondo. La medesima miscredenza, la medesima, per dir meglio, cecità e
fissazione prevaleva nel senato, nel Consiglio de' decurioni, in ogni magistrato.
[Tratto da https://www.ildolomiti.it]
ATTIVITÀ
Dopo aver letto il testo, risolvi gli esercizi.
1. Indica se le affermazioni sono vere o false:
Vengono adottate misure, che però sono insufficienti e arrivano troppo tardi. (r. 9
– 10)
La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le
bande alemanne nel milanese, c'era entrata davvero, com'è noto; (r. 14 – 15)
Scorrendo le pagine del capitolo (che può essere, anche, un buon esercizio in queste
settimane di isolamento), ci si imbatte infatti in un copione che conosciamo. (r. 31 –
33)
Quando questi giunsero, il male s'era già tanto dilatato, che le prove si offrivano, senza
che bisognasse andarne in cerca. (r. 82 – 84)
TEMA:
IPOTESI:
premessa:
argomenti:
CONCLUSIONE:
5. Cerca nel testo i referenti dei seguenti pronomi.
a. ne (r. 5)
b. la (r. 10)
c. mangiarci (r. 14)
d. li (r. 43)
e. questo (r. 57)
f. loro (r. 67)
Origine - Nata circa a metà del sec. XVI, e durata fino all'inizio del XIX, la
commedia dell'arte si chiamò commedia buffonesca, istrionica, di maschere,
all'improvviso, a soggetto; e, in molti paesi stranieri dal sec. XVII in poi,
5 italiana. Ma su tutte queste denominazioni quella di commedia dell'arte
prevalse, perché definiva con precisione il suo carattere essenziale; ch'era di
essere recitata, per la prima volta in Europa, da compagnie di comici
regolarmente costituite, con artisti che vivevano dell'arte loro; in altri termini,
da comici di mestiere. Durante il Medioevo, se se ne esclude qualche infima
10 categoria d'istrioni, gl'interpreti del teatro religioso e di quello erudito non erano
attori di professione. Con la commedia dell'arte appare un'organizzazione
nuova, di attori specializzati, attraverso un addestramento tecnico, mimico,
vocale, perfino acrobatico, e alle volte con una preparazione culturale. Questi
attori rappresentavano anche opere più o meno regolari, ossia scritte; e
15 continuarono ad avere nel loro repertorio tragedie, drammi pastorali, e le
cosiddette opere regie, ridotte dallo spagnolo. Ma il loro campo vero, per cui
divennero in pochi anni famosi in tutta Europa, fu la commedia a soggetto, ossia
la commedia di cui non si scriveva se non lo scenario, la trama, lasciandone lo
sviluppo dialogico e mimico all'improvvisazione dei comici.
Tecnica della commedia dell'arte - S'è ripetuto per secoli che la suprema
attrattiva della commedia dell'arte consisté nel fatto che i suoi attori recitavano
abbandonandosi all'estro del momento e cioè improvvisando. Ma questa
65 improvvisazione va intesa con cautela. I comici dell'arte non soltanto
concertavano - sotto la guida di quel direttore che il Perrucci chiama corago, e
con regole e procedimenti che hanno avuto i loro trattatisti - l'insieme dello
spettacolo; ma ognuno d'essi aveva un suo formulario, che mandava
coscienziosamente a memoria. Esistevano raccolte scritte, e anche stampate, di
70 "concetti", di soliloquî, di tirate, a uso di ciascun carattere. C'erano le "prime
uscite" i "saluti", le "chiusette", ecc., in prosa e anche in versi, che ogni comico
si teneva pronti per adattarli qua e là, in non importa quale commedia. La loro
principale abilità su questo punto consisteva dunque nel sapere inserire i loro
brani a tempo e a luogo, cucendoli col resto della parte propria o altrui, in
75 seguito a prove accuratissime. Oltre ai repertorî di queste formule, diciamo così,
letterarie, i comici dell'arte consultavano, o ricordavano, quelle dei lazzi (gli
acti, l'atti), o giuochi scenici, di cui pure esistono raccolte copiose, paragonabili
agli scherzi dei nostri pagliacci nei circhi. E dizione e azione e mimica si davan
la mano a galvanizzare, volta per volta, questa materia, che riusciva a
80 entusiasmare il pubblico.
La mimica dell'attore italiano si esprimeva, per lo più, non col giuoco della
fisionomia, quasi sempre ricoperta dalla maschera, ma, come del resto era
avvenuto anche nell'antichità, e avviene tuttora in Oriente, con l'atteggiamento
dell'intera figura. L'uso della maschera non fu sempre assoluto, né adottato da
85 tutti i personaggi: innamorati e innamorate, per es., hanno recitato a viso
scoperto. Ma di regola i comici usavano la maschera […]
Quando, infine, alle virtù di tutta questa tecnica si aggiunsero, specie nel
Seicento, i trucchi meccanici e le meraviglie della nuova scenografia; quando
ai vecchi intrecci si mescolarono le favole e le evocazioni mitologiche; quando
ai soliti lazzi, alle solite bastonature, ai soliti spaventi e fuggi-fuggi si
100 frammischiarono le sorprese spettacolose; […] allora l'entusiasmo del pubblico,
colto e incolto, giunse ai fastigi: e il successo della commedia dell'arte per più
di due secoli fu tale da non aver possibili riscontri nella storia del teatro.
105 Per quasi un secolo i comici italiani, che avevano di regola recitato nella loro
lingua - allora assai diffusa, ma certo non compresa da tutti: altra riprova delle
loro preponderanti bravure mimiche - ormai avevano anche adottato, in Francia,
il francese. Il che aveva dato origine, per ragioni di concorrenza, a lamentele da
parte degli attori parigini; ma la vittoria fu degl'italiani, e nel loro repertorio
110 figurarono sempre più spesso lavori anche regolari, scritti da autori francesi.
[…]
Forse per arrivare a renderci piena ragione del fenomeno, conviene persuadersi
che il concetto del comico sembrava, allora, inseparabile da quello di
sconcezza; che la commedia era di fatto considerata, non come lo specchio della
115 vita, ma come una costruzione di vivace artificio, assolutamente estranea ad
essa, e fuori delle sue leggi anche morali. A ogni modo è anche questo che
spiega come, in tempo di Riforma protestante e di Controriforma cattolica, i
comici italiani furono aspramente combattuti dai maestri di vita religiosa e dalle
autorità ecclesiastiche, le quali cercarono di tirar dalla loro, qualche volta
120 riuscendovi, anche le civili. E spiega il bollo d'infamia idealmente ricollocato
sulla fronte dell'attore.
Ci furono, è vero, i transigenti e i concilianti - e nella schiera si conta San Carlo
Borromeo, che ammise la commedia dell'arte, previa censura. Ci furono, fra i
trattatisti e gli stessi comici, molti dei quali erano sinceramente devoti, autori
125 di difese del mestiere infamato: difese consistenti nel ripudiare gli eccessi, nel
raccomandare ai fratelli la moderazione, e nell'affermare ancora una volta
gl'intenti morali del teatro comico. […]
Quindi la commedia dell'arte appartiene, oltre che naturalmente alla storia del
costume, alla storia non tanto del dramma quanto del teatro, come scena e
organizzazione tecnica. Espressione dei gusti d'una parte della società di quei
140 secoli, la più frivola, la più vuota, già dannata al crollo, essa fu il brillantissimo
e arido tentativo di sostituire al dramma lo spettacolo; fu la portentosa
esecuzione di opere inesistenti; fu la sbalorditiva cornice d'un quadro che non
c'era. E chi s'accosti, oggi, direttamente alle tracce ch'essa ha lasciato sulla
carta, troppo spesso ne avverte il gelo e la morte; peggio, avverte che tutto ciò
145 non era mai stato vivo in sé; aveva preso a prestito la sua vita da altri, cioè dagli
attori.
Sono dunque gli attori che contano nella commedia dell'arte. I comici dell'arte
dettero all'Europa, come fu bene accennato dal Croce, l'organizzazione del
teatro moderno. Nel quale le maschere sono sparite; ma al loro posto sono
150 rimasti, per secoli, i ruoli, ossia la definizione di quei limiti fisici e spirituali
oltre i quali ogni attore, appunto perché uomo e cioè limitato, non può andare;
quei ruoli che il trasformatore della commedia dell'arte, Carlo Goldoni, rispettò
e portò a compimento estetico. E se oggi in Francia, in Germania e in Russia,
non solo i dotti, ma gli artisti e i loro maestri tornano alla commedia dell'arte,
155 vi tornano non perché celebratori d'un contenuto poetico ch'essa non ebbe, ma
come a un modello dell'arte dell'attore.
ATTIVITÀ
5. Sottolineare tutti i verbi coniugati del paragrafo che va dalla riga 128
alla riga 136, e indicare in quale tempo e modo si trovano.
LIVELLO SUPERIORE
Le parole sono importanti. E l’unico modo per usarle bene è conoscerle a fondo. Capirne
i significati in tutte le loro sfumature, apprezzarne i diversi usi: formali, familiari, tecnici,
10 ironici. Essere in grado di scegliere ogni volta le parole giuste per quella situazione, quel
discorso, quell’interlocutore.
La nuova collana Le parole dell’italiano, da oggi in edicola ogni lunedì con il «Corriere
della Sera», intende illustrare l’inesauribile ricchezza del nostro lessico, approfondendo
in ogni volume un aspetto specifico. La diversa provenienza delle parole, la loro storia e
15 struttura, il loro àmbito d’uso, il modo in cui hanno segnato un’epoca o un aspetto della
nostra società. Volumi agili, scritti con passione e competenza, che disegneranno nel loro
insieme un mosaico vivace e variegato. Un percorso pieno di sorprese e curiosità, di
consigli utili, di spiegazioni chiare ed efficaci. Un nuovo viaggio alla scoperta della lingua
italiana.
20
Le parole e il tempo
La prima sezione, di cinque volumi, è dedicata soprattutto agli aspetti storici. Il viaggio
parte dall’italiano di oggi, inteso nella sua soggettività (Una vita tra le parole) e nella sua
oggettività (Il lessico), per poi risalire — attraverso i vari tipi di vocabolario (Dizionari)
25 — a parole ormai uscite dall’uso (Parole antiche) e ad altre che nell’uso non sono ancora
entrate stabilmente (Parole nuove).
Se prendiamo per buona la rappresentazione tradizionale delle parole come
organismi viventi, allora possiamo tranquillamente affermare che — nel corso degli anni,
dei decenni, dei secoli — molte parole invecchiano fino a «morire ». Questo ciclo vitale,
30 però, non è sempre assimilabile a un processo lineare. Nato da un’operazione
deliberatamente arcaizzante — quella che, nel Cinquecento, indicava come modelli i
capolavori letterari del Trecento fiorentino – l’italiano mostra, più di altre grandi lingue
di cultura, una notevole «costanza dell’antico».
35 Le parole e l’etimo
Per ricostruire le reazioni provocate nei parlanti da certe parole, bisognerà sempre tener
conto della loro origine e della loro storia (Etimologie). L’atteggiamento sarà molto
diverso a seconda che si tratti di parole provenienti dalle lingue classiche
(Latinismi e Grecismi) o da lingue moderne. L’insofferenza ha riguardato soprattutto,
40 nelle varie epoche, l’abbondanza di parole ed espressioni alla moda provenienti di volta
in volta dalla penisola iberica (Spagnolismi), d’Oltralpe (Francesismi) o — più di recente
— da Inghilterra e Stati Uniti d’America (Anglicismi). Un’attenzione specifica meritano
a questo proposito anche i vocaboli arrivati all’italiano dalle lingue germaniche
(Germanismi) e — numerosi, soprattutto nel Medioevo — quelli venuti dall’arabo, dal
45 persiano, dal turco (Orientalismi). Bisogna sempre ricordare che questo tipo di scambio
ha rappresentato uno strumento decisivo per l’arricchimento del nostro patrimonio
lessicale. Come notava già Niccolò Machiavelli, «non si può trovare una lingua che parli
ogni cosa per sé senza haverne accattato da altri: perché, nel conversare gl’huomini di
varie provincie insieme, prendono de’ motti l’uno dall’altro».
50
Le parole e il significato
Lo strutturarsi e l’arricchirsi del lessico è legato anche ad altri meccanismi, grazie ai quali
molte parole nascono da parole preesistenti (La formazione delle parole). In alcuni casi il
processo non riguarda la forma, ma il significato. Così accade per il meccanismo
55 dell’antonomasia (Dal nome proprio al nome comune) o per tutte quelle formule in cui le
parole assumono un significato diverso da quello di partenza (Modi di dire). Questo
dinamismo dei significati rende quasi impossibile stabilire rapporti di perfetta
equivalenza tra diversi vocaboli (Sinonimi e non) e fa sì che anche le parole comuni
possano assumere, in determinati settori, la funzione di termini specializzati (Lessico
60 specialistico). Un esempio classico è quello di Galilei, che — abbandonato il latino con
cui fino a quel momento si parlava di scienza — scelse di usare nelle sue opere parole
quotidiane, attribuendo a ciascuna un preciso significato
tecnico: candore, momento, pendolo.
65 Le parole e la società
Un aspetto determinante per comprendere a pieno il funzionamento del lessico è la sua
dimensione sociale: i diversi contesti, àmbiti, livelli d’uso delle parole. C’è il livello più
intimo, legato alla sfera degli affetti (Lessico famigliare); ci sono gli usi condivisi con il
gruppo di appartenenza (Gergalismi) e quelli censurati dalla sensibilità collettiva (Male
70 parole). Una prima impronta può venire già dall’occasione in cui qualcuno crea
consapevolmente un nuovo vocabolo (Parole d’autore). In altri casi, a segnare il destino
di una parola o di un’espressione è la sua eccessiva fortuna: tale da trasformarla in una
sorta di fastidioso tic (Tormentoni). Un aspetto molto rilevante per la specifica storia
dell’italiano, rimasto a lungo la lingua scritta contrapposta ai dialetti del parlato, è quello
75 della dimensione geografica. Anche oggi la lingua che parliamo più spesso nella vita di
tutti i giorni è un italiano venato di elementi locali (Regionalismi). Tutti i volumi della
collana sono inediti: scritti pensando proprio ai lettori e alle lettrici del «Corriere».
L’unica eccezione è il volume con cui la collana si chiude: la Guida all’uso delle parole di
Tullio De Mauro, pubblicata per la prima volta nel 1980. Un modo per ricordare chi ci ha
80 insegnato che la linguistica può essere non solo una scienza sociale, ma anche una
passione civile.
ATTIVITÀ
b. scelse di usare nelle sue opere parole quotidiane, attribuendo a ciascuna un preciso significato
tecnico (r. 61-62)
c. a segnare il destino di una parola o di un’espressione è la sua eccessiva fortuna (r. 71-72)
IL V VOLUME DELLA NUOVA EDIZIONE DELLE OPERE PUBBLICATO DA SALERNO EDITRICE
PER IL CENTRO PIO RAJNA
di PAOLO DI STEFANO
Ritratto di sei poeti toscani, Giorgio Vasari (1544)
Parlare di un Dante minore è un paradosso, perché anche il Dante delle epistole
occasionali o delle egloghe è pur sempre uno scrittore maggiore, fuori dall’ordinario.
Anche fuori dal suo capolavoro, l’Alighieri, fino alla fine, non si stanca mai di
sperimentare, di provare nuove strade letterarie, di forzare le convenzioni. Fa un certo
5 effetto, per esempio, immaginarlo in piena attività, negli ultimi suoi anni di vita, nel
tranquillo soggiorno ravennate, circondato dai figli e ormai ammirato e gratificato da un
crescente circolo di adepti: ancora febbrilmente intento alla conclusione del Paradiso,
respinge — per raccoglierla a suo modo — la proposta di dedicarsi a un componimento
in latino di argomento politico. L’invito (o la sfida) gli era arrivata da un prestigioso retore
10 e grammatico bolognese convinto della superiorità del latino sul volgare, l’interlocutore
privilegiato Giovanni del Virgilio, il quale gli aveva promesso una corona poetica a
Bologna capace di garantirgli un trasferimento e magari qualche aggancio nell’ambiente
universitario. Il risultato, in forma di corrispondenza poetica con il magister preumanista
Giovanni, è l’unica opera dantesca in versi latini che ci sia giunta: quattro carmi con cui,
15 rivendicando tra l’altro la qualità e l’altezza del suo poema in volgare, l’Alighieri approda,
poco prima di morire, a traguardi ancora una volta innovativi, per non dire sconvolgenti,
rispetto ai modelli contemporanei.
Ora questa incredibile padronanza dantesca della poesia latina viene valorizzata e
commentata da Marco Petoletti nel volume V della Nuova edizione commentata delle
20 Opere di Dante (Necod) pubblicata da Salerno per il Centro Pio Rajna. È Enrico Malato,
nella Premessa, a parlarci della complessa iniziativa nelle sue linee programmatiche che
si riassumono in alcuni principi generali: attenzione rigorosa, partendo dai testi accertati,
alla ricostruzione letterale dei testi e impegno critico-esegetico che tenga conto dello
sviluppo più recente degli studi danteschi senza cadere in eccessi iperspecialistici. Questo
25 nuovo volume, che fa seguito ai commenti di Vita Nuova e Rime, Convivio, De vulgari
eloquentia e Monarchia, contiene, oltre alle Epistole e alle Egloge, la Quaestio de aqua
et terra, il trattato cosmologico di cui non esistono testimoni manoscritti, ma solo una
stampa del 1508. Le singole opere vengono affidate a curatori diversi, con relative
introduzioni e note al testo, precedute da una utile Introduzione complessiva di Andrea
30 Mazzucchi, che mette in luce le più significative acquisizioni dei vari commenti, offrendo
quindi al lettore diverse opzioni di lettura, dal più piano al più articolato.
ATTIVITÀ
Chi voglia avere una idea circa queste varie teorie del complotto può leggere il libro a cura di
Giulietto Chiesa e Roberto Vignoli, Zero. Perché la versione ufficiale sull’11/9 è un falso, edizioni
Piemme, dove appaiono alcuni nomi di collaboratori di tutto rispetto come Franco Cardini,
Gianni Vattimo, Gore Vidal, Lidia Ravera, più numerosi stranieri.
Ma chi volesse ascoltare la campana contraria ringrazi le edizioni Piemme perché, con mirabile
equanimità (e dando prova di saper conquistare due settori opposti di mercato) hanno
pubblicato un libro contro le teorie del complotto, 11/9. La cospirazione impossibile, a cura di
Massimo Polidoro, con collaboratori di altrettanto rispetto come Piergiorgio Odifreddi o James
Randi. Il fatto che ci appaia anch’io non va né a mia infamia né a mia lode perché il curatore mi
ha semplicemente chiesto di ripubblicare in quella sede una mia Bustina che non era tanto
sull’11 settembre quanto sull’eterna sindrome del complotto. Tuttavia, siccome ritengo che il
nostro mondo sia nato per caso, non ho difficoltà a ritenere che per caso o per concorso di varie
stupidità vi avvengano la maggior parte degli avvenimenti che l’hanno tormentato nel corso dei
millenni, dalla guerra di Troia ai giorni nostri, e quindi sono per natura, per scetticismo, per
prudenza, sempre incline a dubitare di qualsiasi complotto, perché ritengo che i miei simili siano
troppo stupidi per concepirne uno alla perfezione. Questo anche se – per ragioni certamente
umorali, ma per impulso incoercibile – sarei propenso a ritenere Bush e la sua amministrazione
capaci di tutto.
Non entro (anche per ragioni di spazio) nei particolari degli argomenti usati dai sostenitori di
entrambe le tesi, che possono parere tutti persuasivi, ma mi appello soltanto a quella che io
definirei la ‘prova del silenzio’. Un esempio di prova del silenzio va usato per esempio contro
coloro che insinuano che lo sbarco americano sulla Luna sia stato un falso televisivo. Se la
navicella americana non fosse arrivata sulla Luna c’era qualcuno che era in grado di controllarlo
e aveva interesse a dirlo, ed erano i sovietici; se pertanto i sovietici sono rimasti zitti, ecco la
prova che sulla Luna gli americani ci sono andati davvero. Punto e basta.
Per quanto riguarda complotti e segreti l’esperienza (anche storica) ci dice che: 1. Se c’è un
segreto, anche se fosse noto a una sola persona, questa persona, magari a letto con l’amante,
prima o poi lo rivelerà (solo i massoni ingenui e gli adepti di qualche rito templare fasullo
credono che ci sia un segreto che rimane inviolato); 2. Se c’è un segreto ci sarà sempre una
somma adeguata ricevendo la quale qualcuno sarà pronto a svelarlo (sono bastati qualche
centinaio di migliaia di sterline in diritti d’autore per convincere un ufficiale dell’esercito inglese
a raccontare tutto quello che aveva fatto a letto con la principessa Diana, e se lo avesse fatto
con sua suocera sarebbe bastato raddoppiare la somma e un gentiluomo del genere l’avrebbe
ugualmente raccontato). Ora per organizzare un falso attentato alle due torri (per minarle, per
avvisare forze aeree di non intervenire, per nascondere prove imbarazzanti e così via) sarebbe
occorsa la collaborazione se non di migliaia almeno di centinaia di persone. Le persone utilizzate
per queste imprese non sono mai di solito dei gentiluomini, ed è impossibile che almeno uno di
questi non abbia parlato per una somma adeguata. Insomma, in questa storia manca la Gola
Profonda.
ATTIVITÀ
1. Indicare l’opzione coerente con il testo:
a. Secondo Eco, le teorie del complotto sono 1. possibili.
2. puerili.
3. assurde.
b. Umberto Eco 1. dirige la casa editrice Piemme.
2. ha scritto un articolo del libro 11/9. La cospirazione impossibile.
3. ha scritto un articolo del libro Perché la versione ufficiale sull’11/9 è un
falso.
3. Spiegare in spagnolo il significato di quello che Eco chiama “la prova del
silenzio”.
4. Scegliere una frase del testo dove si veda chiaramente la posizione di Eco
sull’attentato delle torri gemelle.
a. Quale modo verbale prevale nel primo parágrafo (r. 1-6)? Che funzione
svolge?
b. Oltre all’11 settembre, di quale altro evento della storia parla Eco nell’articolo
accennato? Perché?