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MANUALE DI PSICOLOGIA

DEI CONSUMI - OLIVERO,


RUSSO
Psicologia
Università degli Studi di Roma La Sapienza
152 pag.

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Manuale di psicologia dei consumi
Individuo, società, comunicazione.
Nadia Olivero, Vincenzo Russo

PARTE 1 – IL CONSUMATORE COME INDIVIDUO

CAPITOLO 1 – Il consumatore come decision maker


Introduzione

L’acquisto di un prodotto è il risultato di una presa di decisione volta a risolvere un problema. La presa di
decisione implica pertanto l’identificazione di un problema da risolversi attraverso tre fasi: (1) la ricerca di
informazioni sui modelli disponibili e sui relativi prezzi, (2) la valutazione delle informazioni raccolte e il
confronto fra le diverse opzioni possibili per poi giungere (3) alla scelta del prodotto da acquistare. Quali
variabili o persone influiscono sulla durata e sull’esito delle fasi di cui sopra? La psicologia può aiutare il
marketing a rispondere a queste domande. Per l’acquisto di un qualsiasi prodotto di un certo valore, la scelta
finale è quasi sempre preceduta da una fase più o meno lunga di ricerca di informazioni e da un confronto fra le
diverse opzioni, mentre per altri prodotti più economici la scelta può risultare da una valutazione sommaria o
addirittura costituire un comportamento d’impulso. Talvolta le scelte impulsive riguardano tuttavia anche
prodotti costosi, che ci colpiscono sul piano emozionale e che scegliamo indipendentemente da una valutazione
attenta delle loro caratteristiche funzionali. La natura del processo decisionale può variare anche in base alle
caratteristiche personali del decisore in particolare in base al suo livello di coinvolgimento. In una ricerca
realizzata per una nota marca di televisori emergeva una differenza significativa nella durata delle fasi del
processo decisionale a seconda del genere sessuale. I maschi dedicavano molto più tempo alla ricerca di
informazioni e al confronto dei diversi modelli di televisori. La durata della fase di “esplorazione” delle diverse
opzioni sembrava essere determinata da un maggiore coinvolgimento degli uomini nei confronti delle specifiche
tecnologiche su cui poteva basarsi il confronto. Molte persone visitano i negozi prima ancora di aver preso la
decisione finale di sostituire, ad es. il televisore. In questa fase il consumatore trae gratificazione dall’esperienza
di esplorazione e dall’esposizione all’innovazione tecnologica. Tale gratificazione pare mediare la raccolta di
informazioni, ovvero queste ultime sono immagazzinate perche l’attenzione è attirata dalla tecnologia, dal design
innovativo, da immagini colorate e vivide. In questa fase, il consumatore si trova ancora in una condizione di
relativamente basso coinvolgimento nel senso che non si osserva una ricerca attiva di informazioni tecniche,
quanto piuttosto un comportamento orientato alla gratificazione esperienziale. In questa fase sarà inizialmente
attratto dai prodotti più “seducenti”, ovvero dalle offerte più innovative o stimolanti da un punto di vista estetico,
e solo successivamente inizierà a raccogliere prezzi e informazioni tecniche. La fase dell’esplorazione può
durare anche mesi e si conclude con la decisione di acquistare un televisore di una certa grandezza e all’interno
di una data fascia di prezzo. Il design, sulla base della nostra ricerca, sembra essere importante allo stesso modo
per gli uomini e per le donne, anche se queste ultime dedicano mento tempo alla raccolta personale di
informazioni tecniche affidandosi ai consigli del partner, di amici e del commesso del negozio. Sebbene il
processo decisionale sembri essere orientato a operare una scelta razionale, basata sulla valutazione oggettiva
delle caratteristiche dei prodotti e finalizzata ad elaborare un ordinamento di preferenze, in realtà la complessità
e la numerosità delle alternative rendono questo obiettivo praticamente irraggiungibile.

Il principio della razionalità limitata

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La razionalità della decisione è un argomento ampiamente dibattuto in diversi ambiti disciplinari. Se
tradizionalmente la psicologia ha messo in evidenza la componente irrazionale della scelta, l’economia, al
contrario, si è attribuita il compito di individuare le regole del comportamento razionale, ovvero di prescrivere
come operare ai fini della massimizzazione dell’utile. Decidere secondo i principi di coerenza e di
massimizzazione richiede tuttavia di disporre di (1) tutte le informazioni necessarie, (2) capacità cognitiva di
calcolo, (3) tempo.
Con la Teoria della Razionalità Limitata Simon (1981) critica il modello dell’azione razionale, secondo cui a
partire da un certo fine l’attore elabora tutta la serie di possibili azioni alternative, è in grado di prevederne i
relativi esiti, di associarvi un valore soggettivo di utilità e di scegliere di conseguenza l’alternativa a cui fa
corrispondere il valore di massima utilità. Simon fa notare che il modello dell’azione razionale mal si adatta a
descrivere azione e decisione delle persone in condizioni normali. Per poter generare tutte le azioni alternative
sarebbe infatti necessario disporre di molte più informazioni di quanto si usualmente possibile, e, ammesso che
tali opzioni siano accessibili al decisore, la capacità di previsione dell’out put di ciascuna di esse e la relativa
valutazione in termini di utilità richiederebbero facoltà intellettuali impensabili per un essere umano. La teoria
della razionalità limitata di Simon svolge un ruolo importante nel fornire un modello cognitivo e dinamico alla
ricerca sui processi decisionali e alle sue applicazioni di marketing. Il consumatore si rappresenta nella sua
semplicità cognitiva rispetto alla complessità ambientale, alla quale cercherà di porre rimedio adottando
strategie di semplificazione e adeguandosi a soluzioni non massimizzanti, ma semplicemente soddisfacenti.
Secondo questa prospettiva, il comportamento del consumatore non è dato da caratteristiche personali né tanto
meno risulta essere totalmente eterodiretto dall’ambiente, quanto piuttosto appare forgiarsi di volta n volta
nell’interazione fra la persona e le mutevoli variabili ambientali. Adattando il modello generale di
Comportamento Motivato di March e Simon (1993) alla fattispecie del consumo, si evidenzia che il
comportamento del consumatore si esprime a partire da uno stato di insoddisfazione. L’insoddisfazione stimola
la ricerca di prodotti alternativi in grado di soddisfare una certa attesa in termini di prestazione o immagine, la
quale a sua volta cambia al variare dell’offerta ambientale attraverso la regolazione del livello di aspirazione. Si
tratta di un modello che tende all’equilibrio, almeno temporaneo, grazie a procedure di adattamento costante alle
contingenze dell’offerta. La prospettiva della razionalità limitata nell’evidenziare la semplicità della mente
umana mette anche in risalto la capacità adattiva della stessa. Di fronte alla complessità del problem solving, il
comportamento del consumatore dipenderà da come egli si rappresenta la situazione. A seconda del compito che
ritiene di dover eseguire e dalle circostanze ambientali in cui ritiene di trovarsi sceglierà e si comporterà di
conseguenza. (Vedi nei cap. successivi la dottrina delle euristiche, esse illustrano i meccanismi di
semplificazione cognitiva con cui la nostra mente giunge ad attribuzioni di significato).
La teoria della razionalità limita suggerisce inoltre che l’azione può essere diretta da due diversi tipi di logiche:
una logica delle conseguenze e una logica di appropriatezza. Sebbene il consumatore sia orientato a valutare le
conseguenze delle scelte e a scegliere in base alla preferenza personale nei confronti di queste, molto
frequentemente la valutazione delle conseguenze risulta essere impossibile o troppo onerosa. La logica di
appropriatezza è il principio che meglio si adatta alla condizione di incertezza in cui si compie la scelta. Il
consumatore, di fronte a più opzioni, sceglierà quella che appare più appropriata rispetto a uno standard e non
quella “migliore di tutte”.

Le fasi del processo decisionale

Identificazione del problema


Come abbiamo visto, la presa di decisione si realizza attraverso una sequenza di fasi a partire dall’identificazione
di un problema fino alla ricerca di una soluzione. Il problema emerge non appena il consumatore percepisce una
differenza fra la condizione attuale e una condizione potenziale migliore. Tale percezione lo induce a ricercare la

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soluzione del problema che, in alte parole, corrisponde all’identificazione del prodotto o servizio in grado
consentire il raggiungimento della condizione potenziale. L’identificazione del problema risulta pertanto essere
associata all’emergere di un bisogno, il quale a sua volta può essere stimolato dalle strategie di marketing
attraverso la comunicazione pubblicitaria. A questo riguardo Solomon (2002) ricorda che le strategie di
marketing possono essere indirizzate a stimolare una domanda primaria quando il prodotto da promuovere è
nuovo o non sufficientemente conosciuto e quindi non ancora identificabile come oggetto di desiderio da parte di
consumatorio. Oppure, come accade più spesso, possono essere orientate allo sviluppo di una domanda
secondaria, ovvero il desiderio di un prodotto specifico di una data marca. Stimolare la domanda primaria
implica favorire la consapevolezza dell’esistenza di un prodotto ed enfatizzare i vantaggi che potrebbe portare al
consumatore. Per raggiungere questo obiettivo, la comunicazione può seguire essenzialmente due strategie: (1)
l’enfasi sui limiti della condizione attuale, e (2) l’enfasi sui vantaggi delle nuove opportunità. Tipici esempi di
promozione della domanda primaria sono le pubblicità sociali rivolte a incoraggiare consumi funzionali alla
salute e sa scoraggiare comportamenti rischiosi (per esempio promuovere il consumo di frutta e verdura, oppure
l’uso del preservativo). Al contrario, per stimolare la domanda per un prodotto di una specifica marca, la
comunicazione deve essere orientata a specificarne le caratteristiche distintive, evidenziandone le qualità e
offrendo una reason why affinché esse vengano preferite e scelte. (Dash, più bianco non si può).

La ricerca dell’informazione

Come già detto, l’identificazione del problema dà avvio a un processo decisionale che mira a trovare una
soluzione. La soluzione, ovvero la scelta di un prodotto specifico e il conseguente comportamento di acquisto e
di consumo, è preceduta da una attività di ricerca dell’informazione il cui orientamento razionale e la durata
sono estremamente variabili. Possiamo concludere che la scelta non è mai perfettamente razionale. Occorre
tuttavia notare che alcuni processi decisionale si caratterizzano per un orientamento maggiore alla razionalità
rispetto ad altri. A questo riguardo, occorre infatti distinguere gli acquisti pianificati e consapevoli dagli acquisti
di impulso, che non essendo programmati non risultano da un precedente ricerca di informazioni.

Acquisto pianificato

Gli acquisti pianificati sono quelli che risultano da un processo decisionale di una certa durata e, a loro volta, si
possono distinguere in acquisti che richiedono una soluzione di problemi estensiva e acquisti caratterizzati da un
problem-solving limitato. Il problem solving è estensivo quando il consumatore si impegna a ricercare molte
informazioni prima di procedere all’acquisto e questo avviene quando la scelta implica un certo grado di rischio
percepito. La teoria della dissonanza cognitiva (Festinger, 1957) ha spiegato l’effetto dell’incertezza nella
scelta fra più opzioni come una condizione di disequilibrio che necessita di essere risolta attraverso l’accumulo
di informazioni coerenti con la scelta fatta. Secondo Festinger, quando il decisore si trova di fronte a più opzioni
tutte ugualmente desiderabili ed è costretto operare una scelta fra di esse, esperisce una condizione di
frustrazione causata dalla rinuncia ad una delle alternative. Tale condizione si accomuna alla percezione di
rischio, che può essere associata alla scelta in situazioni di alto coinvolgimento, ovvero quando la scelta è
considerata importante, implica un certo costa da sopportare e spinge pertanto il consumatore a una ricerca attiva
di informazioni. L’acquisto pianificato può comunque essere caratterizzato da un basso coinvolgimento se il
prodotto è di consumo abituale e non implica un investimento particolare o la percezione di rischio, ad esempio
la spesa settimanale.

Acquisto di impulso

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L’acquisto di impulso, o acquisto non pianificato, costituisce più del 50% delle vendite all’interno di un
supermercato e per alcuni prodotti è addirittura la forma più usale di acquisto. Secondo la definizione di Rook
(1987), esso è causato da una forte spinta a entrare in possesso di un oggetto indipendentemente dalla
valutazione di alternative o dalle sue conseguenze. A differenza degli acquisti pianificati, l’acquisto di impulso
risponde a un bisogno percepito nell’immediato e che può essere favorito da stimolazioni esperienziali che
coinvolgono le emozioni più che complessi processi di elaborazione cognitiva. Le caratteristiche di (1) non
intenzionalità e (2) immediatezza sono state osservate come tratti distintivi di tutti gli acquisti di impulso e hanno
aperto la strada allo studio delle strategie che possono influire sull’attenzione del consumatore all’interno di un
punto vendita. Le regole generali per attirare l’attenzione del consumatore si declinano in termini di: (1)
visibilità, (2) convenienza e (3) gratificazione. La visibilità si concretizza soprattutto nella visibilità a scaffale
all’interno dei supermercati; a questo riguardo emerge l’importanza dello studio del packaging del prodotto che,
oltre a risaltare, deve essere attraente e adatto al tipo di prodotto. La visibilità può essere perseguita anche
attraverso l’utilizzo di spazi dedicati, chiamati normalmente corner o isole. L’utilizzo di tali spazi, o delle
cosiddette “testate di gondola”, ovvero degli spazi espositivi situati all’estremità della corsia di vendita, si è
rivelato particolarmente strategico per aumentare la visibilità del prodotto. La percezione di convenienza
favorisce l’acquisto di impulso perché rappresenta una motivazione razionale e immediata per giustificare
l’acquisto. Secondo Rook e Fisher (1995), il passaggio dalla spinta a comprare all’effettivo acquisto si realizza
attraverso una valutazione di adeguatezza rispetto al budget e rispetto alle aspettative sociali. La componente
“razionale” distingue infatti l’acquisto di impulso dall’acquisto compulsivo, il quale sfugge all’esercizio di
qualsiasi controllo e assume pertanto un’accezione patologica. Per attirare l’attenzione del consumatore ad
essere soggetto ad acquisto di impulso, il prodotto deve stimolare emozionalmente il consumatore favorendo
emozioni positive. Secondo l’approccio economico, nell’acquisto di impulso il compratore dà un peso maggiore
al valore della gratificazione immediata e prende meno in considerazione il futuro, tuttavia al momento
dell’esborso del denaro il consumatore riacquista la corretta percezione della realtà e ciò provoca il rimpianto
dell’acquisto. L’eccessivo focus sui benefici del momento rispetto all’esborso futuro è stato anche definito come
assimilabile a una condizione di miopia, contrapposta a quella più consona del “presbite” che invece si
concentrerebbe sulle conseguenze future, ovvero sull’esborso di denaro contro un prodotto non necessariamente
utile. L’acquisto d’impulso anziché rispondere esclusivamente all’istinto, sembra comunque dipendere da fattori
come denaro e tempo a disposizione, energia dedicata all’osservazione dei prodotti e da una predisposizione
all’autogratificazione attraverso il consumo, in contrapposizione all’esercizio di un controllo rigido sulla
tentazione a lasciarsi andare.
Ricerche empiriche che hanno valutato l’impatto di diverse variabili sono giunte alla conclusione che la tipologia
del prodotto insieme al grado di coinvolgimento sembrano avere sull’acquisto di impulso una maggiore forza
predittiva rispetto alla predisposizione individuale (Reynolds, Weun e Beatty, 2003). A questo riguardo occorre
distinguere fra acquisto d’impulso in seguito al ricordo, nel caso in cui il consumatore si ricorda di avere il
bisogno di un certo prodotto dopo averlo visto nel negozio, e acquisto d’impulso puro, che fa riferimento
all’acquisto di un prodotto nuovo o comunque non previsto. Il vero acquisto di impulso appartiene a questa
seconda tipologia. Oltre alla visibilità e alla convenienza, un altro fattore di grande importanza nell’acquisto di
impulso è la gratificazione, che rimanda al potenziale di stimolazione emozionale e al significato simbolico
associato al prodotto.
Dittmar et al. (1996) hanno misurato la tendenza all’acquisto di impulso per diverse categorie di prodotti
durevoli mettendo in evidenza che esistono anche differenze di genere nella scelta impulsiva di determinati
prodotti. Nello specifico, gli autori si sono proposti di distinguere le diverse funzioni associate a un prodotto
(strumentali; legate al piacere e al relax; inerenti all’espressione identitaria: - simboli di status, - simboli di
appartenenza sociale e gruppale, e - simboli per l’autoespressione individuale a livello di atteggiamento, valori,
preferenze).

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I risultati dello studio empirico condotto attraverso interviste qualitative a studenti dell’University of Sussex
dimostrano che alcune categorie di prodotti sono più soggette all’acquisto di impulso di altre. La maggior parte
dei prodotti selezionati come soggetti all’acquisto di impulso erano oggetti musicali, seguiti dall’abbigliamento
e da oggetti di moda, riviste, prodotti per il corpo, bigiotteria e gioielli. I prodotti che invece non sembravano
essere oggetto di acquisto di impulso erano soprattutto gli articoli di arredamento e auto. I prodotti indicati come
soggetti all’acquisto di impulso apparivano tutti adatti a svolgere funzioni per la presentazione e l’espressione
del self o per il miglioramento dell’umore. Sebbene questo sembrasse valere per entrambi i sessi, le femmine
apparivano maggiormente soggette all’acquisto di impulso. Le donne attraverso gli acquisti impulsivi esprimono
una preoccupazione maggiore nei confronti del proprio aspetto fisico, mentre gli uomini sembrano essere
istintivamente attratti da prodotti per il proprio intrattenimento. Seguendo la letteratura clinica che ha dimostrato
la relazione significativa fra inadeguatezza del self e shopping compulsivo, questi risultati suggeriscono che la
discrepanza fra il self reale e il self ideale influisce sull’acquisto di impulso. In particolare:
✳ Le donne sembrano più soggette a un senso di inadeguatezza del self e ricorrono allo shopping a fini
compensatori più degli uomini;
✳ Il tipo di prodotti acquistati impulsivamente, ovvero senza la mediazione di un controllo razionale,
esprime meglio di altri le dimensioni identitarie su cui ci si sente carenti e a cui si attribuisce maggiore
importanza nell’espressione del self.

Ricerca di informazioni nell’acquisto non d’impulso

In base a quanto detto fin ora, possiamo dire che l’acquisto di impulso riguarda tutti i tipi di acquisto tranne
l’acquisto di impulso puro. Occorre distinguere fra la raccolta attiva e la raccolta passiva di informazioni. Il
primo caso corrisponde alla situazione in cui il consumatore va alla ricerca deliberata di informazioni che
possano consentirgli una scelta migliore, mentre nel secondo il consumatore raccoglie informazioni per il solo
fatto di essere esposto a comunicazioni pubblicitarie e perché entra a contatto con il prodotto sia nei punti
vendita che nel quotidiano d’uso da parte di amici e familiari. Concentrandosi sul caso della raccolta attiva di
informazioni, l’evidenza empirica suggerisce che la raccolta di informazioni aumenta quando il consumatore:
✳ Ritiene l’acquisto importante
✳ Considera necessario raccogliere più informazioni
✳ Ritiene che le informazioni raccolte siano facilmente interpretabili e utili alla scelta finale
Oltre a distinguere fra raccolta attiva e passiva, la teoria del decision making mette a confronto ricerca interna e
ricerca esterna. La prima corrisponde al ricorso ad informazioni già accumulate, già presenti nella memoria e
che devono essere attivate ad hoc di fronte al nuovo problema da risolvere. La ricerca esterna corrisponde invece
alla ricerca ulteriore di informazioni presso fonti esterne e implica la visita a negozi, la consultazione di mezzi di
informazione come stampa e internet e il consulto con altri consumatori.
Punj e Staelin (1983) affermano che la partenza da una condizione di minore conoscenza nei confronti del
prodotto porta ad un processo di decision making più accurato e più efficace. Al risparmio economico si associa
inoltre un maggior grado di soddisfazione nei confronti dell’esperienza di acquisto. La quantità di tempo e di
energia dedicata alla ricerca attiva ed esterna di informazione, oltre ad essere condizionata dalla conoscenza
pregressa è fortemente influenzata dal tipo di coinvolgimento nei confronti del prodotto.

BOX pag. 15 – Rammarico successivo all’acquisto

Il rammarico può essere definito “un’emozione negativa, cognitivamente determinata, che noi proviamo quando
scopriamo o immaginiamo che la nostra situazione presente sarebbe stata migliore se noi avessimo agito in un

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modo diverso” (Zeelenberg, 1999). Con riferimento specifico alle scelte di consumo, si può dire che il
rammarico deriva dal fatto che la persona si rende conto che i risultati ottenuti con la propria scelta sono inferiori
a quelli che avrebbe ottenuto facendo una scelta diversa. Tale consapevolezza può derivare sia da informazioni
che il consumatore acquisisce dopo l’acquisto, sia dal suo immaginare le conseguenze diverse e migliori che si
sarebbero prodotte se avesse acquistato un prodotto diverso da quello che ha effettivamente scelto. L’esperienza
del rammarico dopo un acquisto è più probabile:
✳ Quando si acquista un prodotto di marca diversa da quella abituale
✳ Quando si acquista affrettatamente qualcosa che si poteva evitare di comprare
✳ Quando si scopre che lo stesso prodotto poteva essere acquistato ad un prezzo più basso in un altro
punto vendita o in un momento diverso
L’esperienza di rammarico risulta, inoltre, mediata dalla responsabilità personale: quanto più ci si sente
responsabili tanto più si prova rammarico.

Decisione e percezione del rischio

La percezione del rischio condiziona il processo decisionale volto alla scelta del prodotto, per cui a una
maggiore percezione del rischio dovrebbe corrispondere una ricerca più estensiva di informazioni. Solomon
(2002) identifica 5 tipologie di rischio:
✳ Rischio monetario Si riferisce a consumatori ad alta percezione del rischio, quei consumatori con
patrimonio e reddito più basso o particolarmente orientati al risparmio. Rientrano tra i prodotti di
consumo soggetti al rischio quindi tutti i beni durevoli che richiedono un ingente esborso di denaro.
✳ Rischio funzionale Riguarda quei consumatori pratici e attenti alla performance dei prodotti. Rientrano
tra i prodotti soggetti al rischio, tutti quei prodotti che coinvolgono direttamente il consumatore nello
svolgere una mansione importante.
✳ Rischio fisico Riguarda in particolare consumatori anziani, malati e tutti coloro particolarmente
preoccupati per la salute e il benessere (donne), per cui rientrano quei prodotti come medicine, interventi
di chirurgia estetica, o prodotti alimentari.
✳ Rischio sociale Ci si riferisce a quei consumatori più attenti alle opinioni degli altri, preoccupati per la
propria immagine sociale. In questo caso rientrano tutti quei prodotti utili alla differenziazione sociale e
all’espressione di status e di appartenenza ad un gruppo (vestiti, gioielli, auto)
✳ Rischio psicologico Relativo a consumatori con minore autostima e minore senso di autoefficacia; per
cui rientrano quei prodotti che possono influire negativamente sul benessere psicologico producendo
sensi di colpa o minando l’autostima (come prodotti crescita dei capelli, o per dimagrire).
Ciascuna di queste tipologie di rischio influisce sulla ricerca di informazioni in base alla relativa preoccupazione
che suscita nel consumatore con riferimento a determinati prodotti. Come indicato nella tabella 1.2 a pag. 17,
alcuni consumatori possono essere più vulnerabili a determinati rischi: gli anziani, per es. sono più preoccupati
ai rischi relativi alla loro salute e quindi aumentano la ricerca di informazioni quando acquistano alimentari e
medicinali.
Per quanto riguarda il rischio monetario, questo si riferisce al rischio di un esborso monetario superiore
all’effettivo valore del prodotto. Il rischio funzionale dipende molto dall’uso che se ne deve fare del prodotto.
Per esempio, dovendo acquistare un paio di calze da indossare in una serata importante si penserà con
preoccupazione alla possibilità che possano smagliarsi e, indipendentemente dal costo, la performance del
prodotto costituirà un rischio. Per quanto riguarda il rischio fisico, le persone più deboli come gli anziani e gli
ammalati, o anche i genitori che acquistano per i propri figli, rappresentano i gruppi più preoccupati. I prodotti
che sollevano maggiori preoccupazioni sono i prodotti alimentari, i farmaci, gli elettrodomestici che possono
essere causa di incedenti domestici e tutti i consumi che espongono a un potenziale rischio per la salute. Sono

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invece portatori di rischio sociale i consumi che possono essere oggetto di valutazione da parte di terzi e
divenire uno strumento per la formazione di opinioni, per la differenziazione sociale e per l’appartenenza o
l’esclusione di gruppo. I consumatori che sono maggiormente esposti al rischio sociale sono tutti coloro che
danno importanza alla propria immagine pubblica, che sono preoccupati della costruzione sociale della propria
identità, che sentono il bisogno di esprimere uno status e differenziarsi o di aderire a certi stili di vita al fine
dell’appartenenza ad un gruppo di riferimento ideale. I consumi più soggetti al rischio sociale sono i capi di
abbigliamento e tutti i prodotti come l’automobile e la casa, che sono normalmente utilizzati al fine della
differenziazione di status. Il rischio psicologico riguarda i consumi che possono influire negativamente
sull’autostima individuale e che possono generare sensi di colpa. Si pensi all’acquisto del Viagra, o di una crema
anticellulite o agli acquisti di prodotti eccessivamente cari per le proprie tasche o ancora consumi che riflettono
debolezza e dipendenza come il fumo o i dolci per chi dovrebbe essere a dieta. I consumatori possono mettere in
atto una serie di espedienti antirischio volti a ridurre l’incertezza e a proteggersi del rischio della perdita.
Secondo Greatorex e Mitchell (1994) i consumatori ricorrono a:
✳ Prove e dimostrazioni
✳ Lettura delle istruzioni e delle etichette
✳ Lettura della stampa specializzata
✳ Scelta della marca più economica
✳ Scelta della marca più nota
✳ Valutazione dell’immagine del negozio
✳ Preferenza per le soluzioni con garanzia soddisfatti o rimborsati
✳ Confronto fra più negozi e rivenditori
✳ Fedeltà alla marca
✳ Scelta della marca più cara
✳ Fiducia nel testimone
✳ Consigli di amici e familiari
✳ Offerte speciali e promozioni
✳ Consigli dell’addetto alle vendite

Fiducia e ambivalenza di fiducia

Fiducia e percezione di affidabilità sembrano essere gli attributi più significativi nella spiegazione della relazione
che i consumatori instaurano con le marche. I rischi che sono impliciti nell’acquisto dipendono dall’eventualità
che le aspettative sulla qualità e sulla performance del prodotto non siano soddisfatte. Tali aspettative risultano
da una promessa di risultato che è fatta dall’offerta e richiedono pertanto fiducia nel brand affinché possano
essere positive e consentire la scelta del prodotto. Acquistare un prodotto corrisponde in questo senso a un atto
di fiducia nei confronti del brand e della sua promessa. La letteratura psicologica e sociale ha definito la fiducia
come la risultante da una serie di aspettative riguardanti il fatto che i soggetti coinvolti onoreranno gli impegni
presi; mentre nei contesti di consumo, la fiducia appare legata in modo esplicito all’aspettativa che le aziende
agiscano in maniera etica e leale. Inoltre, è stato notato che la componente cognitiva delle aspettative è
affiancata e anche condizionata da una componente emotiva.
Alcuni autori hanno argomentato a favore di un costrutto non bipolare della fiducia (Lewiki, McAllister e Bies
1998). Secondo tale approccio, fiducia e sfiducia non sono che gli estremi di un unico continuum lungo il quale
le persone si posizionano più o meno stabilmente; pertanto, l’assenza di fiducia diventa indice di tendenza alla
sfiducia e viceversa. Secondo alcuni autori, tra cui Luhmann (1979) fiducia e sfiducia possono coesistere allo
stesso tempo. Per es. Nicola può apprezzare la Vespa Piaggio perché è simbolo della tradizione italiana e ha un
motore affidabile, ma contemporaneamente nutrire sfiducia per quanto riguarda l’assistenza meccanica e la

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possibilità di reperire i pezzi di ricambio. Oppure verso Mc Donald si può avere fiducia verso il rischio
monetario (i panini costano poco), ma sfiducia verso il rischio fisico (si sa che i panini fanno male). Secondo
questa concezione quindi, fiducia e sfiducia possono coesistere creando una condizione di ambivalenza, ovvero
una condizione che prevede la simultanea o sequenziale esperienza di stati emotivi multipli. L’ambivalenza di
fiducia provoca un’incostanza nel comportamento di consumo. Ad es. verso Coca-Cola e Nutella c’è una forte
ambivalenza di fiducia (è buono ma fa male) e quindi tendenzialmente i consumatori alternano periodi di
consumo intenso a periodi di evitamento drastico del prodotto.

Comportamento finalizzato ed esplorazione

All’interno dei luoghi di vendita si osservano due principali tipologie di comportamenti:


✳ Un comportamento orientato al goal;
✳ Un comportamento orientato all’esplorazione
Nel primo caso il consumatore entra nel punto vendita con l’intenzione di comprare un certo prodotto o di
raccogliere determinate informazioni per poi giungere a una scelta successiva. Nel secondo caso, il consumatore
osserva l’ambiente di shopping e raccoglie informazioni come conseguenza dell’attività di esplorazione che non
è guidata da un preciso obiettivo, ma si plasma in risposta a stimolazioni fisiche e sensoriali che attraggono
l’attenzione del consumatore e che ne influenzano la raccolta diretta e indiretta di informazioni. Come regola
generale si osserva che le persone che esplorano l’ambiente di shopping e che sono orientate alla gratificazione
esperienziale trascorrono più tempo all’interno del punto vendita e risultano essere potenzialmente più soggette
all’acquisto di impulso. Il marketing del punto vendita deve quindi soddisfare il bisogno di gratificazione
esperienziale di questi consumatori, tenendo presente che se le informazioni tecniche e funzionali paiono essere
fondamentali, il modo in cui queste vengono presentate e l’allestimento degli stessi prodotti dovrebbero
perseguire l’obiettivo di attrarre l’attenzione e fornire attraverso l’intrattenimento delle ragioni per prolungare il
più possibile l’esperienza di esplorazione.

Il ruolo dell’esperienza

La competenza del consumatore e la sua relativa efficacia percepita nel poter controllare e comprendere le
informazioni rilevanti, influisce sulla motivazione alla ricerca di informazioni. I meno esperti sono coloro che in
assoluto si impegnano meno nella raccolta di informazioni. La difficoltà che questi soggetti incontrano
nell’interpretare le informazioni rilevanti sembra disincentivare l’impegno nella ricerca delle informazioni. I
meno esperti tendono ad affidarsi ai consigli di altri, come i commessi dei negozi, o a imitare le scelte di
conoscenti e familiari, o ad affidarsi a grandi marche come garanzia di qualità. Lo stesso accade con i genitori
che acquistano prodotti alimentari per la prima infanzia. Come la marca, anche il prezzo può essere utilizzato
come indice di garanzia di qualità. Nel caso in cui il consumatore non si senta in grado di procedere a una
elaborazione adeguata delle informazioni egli tenderà a utilizzare il prezzo come informazione circa la qualità
funzionale del prodotto.
Le ragioni per cui il prezzo si utilizza come criterio positivo per la valutazione dei prodotti sono state sintetizzate
da Ferrari e Romano (1999):
• Il prezzo rappresenta una caratteristica concreta, tangibile e misurabile, che consente di confrontare e di
ordinare i prodotti lungo una scala di valore a cui si associa spontaneamente una connotazione
qualitativa;
• Quando i prodotti hanno un valore ostentativo, il prezzo alto diventa una caratteristica essenziale e
desiderabile;

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• Dato che il prezzo rappresenta almeno in parte lo sforzo dedicato all’acquisizione del prodotto, tanto più
è alto tanto maggiori devono essere la desiderabilità del prodotto e la soddisfazione che se ne trae
attraverso l’acquisto;
• Infine, partendo dal presupposto che i prezzi sono determinati dall’incontro tra domanda e offerta, il
prezzo alto dovrebbe corrispondere a una domanda elevata che a sua volta rifletterebbe l’affidabilità
qualitativa del prodotto.
La relazione fra esperienza e ricerca esterna di informazione si configura attraverso un’inversa curva a U, dove
la ricerca raggiunge il massimo livello quando l’esperienza è media, mentre si riduce ai livelli minimi in caso di
inesperienza totale o di notevole esperienza e conoscenza del prodotto. Come esposto da Urbany (1986), nel
Modello di Riduzione dell’Incertezza, la maggiore conoscenza del prodotto si associa a una maggiore
conoscenza del prezzo e degli attributi e porta a una conseguente riduzione del comportamento di ricerca; per
cui, tanto più è considerato importante il prezzo, tanto più il consumatore ne avrà già acquisito una conoscenza
tale da poter limitare la sua ricerca al confronto tra poche alternative.

Le scorciatoie cognitive del processo decisionale

Il concetto di rischio percepito associato all’atto di acquisto, mette in evidenza il contesto di incertezza in cui si
realizza la presa di decisione. Molti studi in ambito psicologico, tra cui quello di Daniel Kahneman, sono stati
condotti con l’obiettivo di dimostrare che la presa di decisione non è basata su un tentativo razionale di calcolo
delle probabilità, ma che, nella maggior parte dei casi, si affida a delle semplificazioni che riflettono lo scarto fra
probabilità soggettive e probabilità oggettive.
La dottrina delle euristiche spiega i principali meccanismo di semplificazione della realtà che ricorrono nel
ragionamento delle persone. Uno di questo meccanismi è detto rappresentatività. Con questo termine si intende
la tendenza a ricorrere a tratti proto tipici per il riconoscimento e l’attribuzione di oggetti, eventi, persone a
determinate categorie. Questa scorciatoia cognitiva è molto utile per un riconoscimento rapido che non necessiti
della valutazione attenta di tutte le caratteristiche dell’oggetto in esame. Per es. quando si pensa a un professore
universitario alcuni tratti proto tipici possono venirci subito in mente, il professore sarà maschio, avrà una certa
età e magari gli occhiali, un po’ di barba, vestirà con abbigliamento classico ecc. L’euristica della
rappresentatività può comunque indurci a commettere errori nel giudizio o a ragionare secondo stereotipi.
Ovviamente la rappresentatività entra in gioco anche nelle scelte di consumo. Per esempio, se nella nostra
esperienza il prosciutto buono e fresco è di colore chiaro, potremmo scartare a priori un prosciutto come quello
spagnolo, perché di colore più scuro.
Un'altra nota scorciatoia cognitiva è la disponibilità, per cui tende a sovrastimare quegli accadimenti che sono
più disponibili alla memoria. La ricerca ha dimostrato che le coppie, anche di lunga data, quando interrogate
sulla qualità del loro rapporto tendono a valutare la relazione in base all’andamento delle ultime due settimane.
Allo stesso modo una lunga tradizione e scelte socialmente responsabili di una azienda, possono essere mandate
in fumo velocemente da una notizia negativa relativa alla responsabilità sociale di quell’azienda. Una terza
euristica è nota con il termine effetto cornice. Questo meccanismo condiziona la valutazione degli eventi a
seconda delle informazioni con cui sono presentati, che vi fanno appunto da cornice. In particolare, si nota che le
persone prendono decisioni in base al modo in cui le opzioni vengono formulate, ovvero se in prospettiva
positiva o negativa. Le persone scelgono indipendentemente da un calcolo razionale, ma affidandosi a una
preferenza spontanea per le opzioni che sono “incorniciate” in modo da apparire più positive. Il ruolo delle
informazioni che accompagnano un oggetto di valutazione si evidenzia anche nell’euristica dell’ancoraggio. In
condizioni di incertezza, il decisore utilizza alcune informazioni come punto di partenza da cui valutare tutti i
dati che sopraggiungono successivamente. Per es. quando un consumatore viene ancorato dal venditore a un
certo prezzo, qualsiasi riduzione sarà percepita come un risultato positivo, indipendentemente da una valutazione

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oggettiva del valore dell’oggetto della negoziazione. Un’ulteriore fattore che incide su valutazioni e scelte
economiche è l’effetto dote, ossia il solo fatto di aver posseduto un oggetto ci porta ad attribuire a questo un
valore maggiore di quanto esso effettivamente abbia.

Vedi da p. 26 a 32

Il paradosso della troppa scelta

In contrapposizione alla prospettiva razionale, secondo la quale il consumatore tenderebbe prendere in esame
tutte le informazioni disponibili, e gli sembra piuttosto ricorrere a continua semplificazione del processo di scelta
un paradosso che riguarda la società dei consumi è infatti quello della troppa scelta. Secondo un'accezione
comune, l'assortimento dei prodotti delle Marche dovrebbe costituire una caratteristica positiva dell'offerta, nella
realtà la quantità di alternative rende il processo decisionale più arduo. nel fare la spesa, la maggior parte dei
consumatori non ha il tempo di prendere in esame tutte le opzioni alternative per ciascun prodotto e tanto meno
di valutare nel dettaglio le differenze fra tali opzioni. Di fronte a decine e decine di offerte differenti, il
consumatore tenderà ad orientarsi verso prodotti già conosciuti o a variare all'interno di una categoria
prestabilita. L'esperienza pregressa e l'abitudine giocano un ruolo di primaria importanza nel facilitare la scelta,
orientando l'attenzione verso prodotti già conosciuti ed eliminando selettivamente tutto ciò che non rientra
nell'ambito del conosciuto\desiderabile. A questo riguardo è stato sottolineato il problema emergente
dell’information overload al quale occorre porre rimedio progettando le interfacce di siti compatibilmente ai
percorsi cognitivi dell'utente e la sua necessità di semplificazione. Fra le motivazioni principali che sembrano
spingere i consumatori all'acquisto on-line vi è la possibilità di risparmiare tempo. L'importanza del fattore
tempo evidenzia la necessità di adattare i contenuti degli ipertesti e la grafica dei siti al fine di semplificare il
processo decisionale del consumatore.
Oggi per assistere il consumatore in questo complesso compito di decision making, si sono diffusi siti con la
funzione di orientarlo attraverso la predisposizione di classificazioni analitiche e di intelligent software agents
che sono in grado di guidare il cliente in base alle scelte effettuate in precedenza e all’interrogazione ad hoc di
banche dati. La loro applicazione ha incontrato tuttavia numerosi ostacoli, relativi alla disponibilità da parte
dell’utente ad interagirvi per via delle preoccupazioni per la privacy e per il trattamento dei dati personali.

BOX – Software che aiutano a decidere

In una ricerca in cui i consumatori dovevano scegliere se acquistare o -1 vasetto di marmellata fra ben 24 diverse
tipologie, è emerso che, di fronte a tale numero eccessivo di alternative, i soggetti, 20 attratti dalla varietà,
avvertiva un senso sgradevole di confusione e di conflitto tale per cui non riuscivano a decidere quale prodotto
acquistare. L'effetto del motivante dell'avere troppa scelta, si manifesta ancor più forte negli ambienti decisionali
on-line. Infatti, a differenza dei comuni negozi, i siti virtuali non hanno alcun confine spaziale e, di conseguenza,
possono facilmente supporre una schiacciante quantità di alternative che, dati i limiti cognitivi dell'essere umano,
risulta impossibile valutare adeguatamente. Per ovviare a tale inconveniente, oggi sempre più siti Web stanno
dotando di particolari software che aiutano a prendere le decisioni. Tale software intelligenti, noti come Decision
Aids, assistono i consumatori on-line tramite un processo interattivo riducendo in primo luogo l'eccessivo
numero di alternative a una gamma più limitata e comparando, in secondo luogo, le restanti opzioni mediante
un'apposita tabella di confronto, in cui in ogni riga è rappresentata un'opzione in ogni colonna un attributo.

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CAPITOLO 2 – Il ruolo della percezione nei processi di consumo
Introduzione

La comprensione dei processi percettivi rappresenta una delle aree di maggior interesse per lo studio dei
comportamenti dei consumatori per diversi motivi. Da una parte perché la scelta di acquistare un prodotto o di
fruire di un servizio è influenzata dal modo di percepirlo ed al “significato” ad esso attribuito, dall'altra perché
questo processo è alla base dell'esigenza di selezionare da una grande quantità di dati e di stimolazioni solo
quelli che sono utili per la scelta. La nostra vita quotidiana si svolge in un ambiente particolarmente ricco di
stimoli che producono un flusso continuo di sensazioni. Ogni giorno messaggi pubblicitari cercano di attirare la
nostra attenzione, eppure nostra attenzione, viene catturata solo da alcuni di essi, attraverso meccanismi di
selezione più o meno consapevoli, ma certamente determinati dalle nostre esperienze, dai nostri desideri, dalle
condizioni specifiche in cui ci troviamo in un determinato momento e in un luogo specifico. Si tratta di un
processo assai naturale, se non addirittura ad attivo, poiché se non riuscissimo a selezionare l'infinità di stimoli
che ci colpiscono saremo letteralmente schiacciati dal peso dell’enorme della quantità di informazioni.
Il processo percettivo non avviene in maniera lineare, razionale, chiara e immediata. Esso è infatti un processo
assai complesso e influenzato da una miriade di fattori. Per esempio, un'immagine che immediatamente richiama
ricordi della prima colazione della nostra infanzia potrebbe evocare delle sensazioni piacevoli capaci di
influenzare la percezione del prodotto, attivare l'attenzione e stimolarci all'acquisto, anche se non abbiamo piena
coscienza del ricordo infantile. Si tratta di un processo immediato, che parte dalle stimolazioni del nostro sistema
sensoriale, ma che viene guidato da tanti altri fattori, come per esempio la memoria e l'interpretazione delle
stimolazioni ambientali. Diceva Zaltman “l'incapacità di comprendere che il mondo interiore di un consumatore
può trasformare radicalmente il messaggio esterno di un esperto di marketing e la causa di molti insuccessi”. Ciò
che viene percepito è soggetto a selezioni, modifiche, interpretazioni sulla base di emozioni, conoscenze,
aspettative, stereotipi. Questo processo di selezione, di organizzazione e di integrazione delle informazioni rende
gli individui non semplici recettori di stimoli, ma soggetti capaci di elaborazione, interpretazione e integrazione
delle informazioni che ricevono. Questo processo, riassumibile con il termine cognizione, è capace di dare
significato al nostro ambiente e alle nostre esperienze. È un processo che sta alla base della selezione delle
informazioni e che assume un ruolo determinante nella percezione degli non è ambientali. La percezione viene
intesa, quindi, come “un processo di elaborazione dell'informazione e per viene ai nostri organi di senso e del
risultato di una serie di processi complessi che si realizzano in modo automatico implicito” e che contribuiscono
a dare significato alle stimolazioni che pervengono dall'esterno. L'aspetto più caratteristico di questo processo è
la sua indeterminatezza: la lettura delle stimolazioni esterne è influenzata (se non determinata) da una serie
complessa di fattori (emotivi, cognitivi, mnemonici, sociali, culturali) che rendono assai soggettivo l'esito finale.
Il ruolo attivo del sistema percettivo permette di avere percezioni soggettive a volte molto diverse fra soggetti
diversi. L'immagine della donna riportata a pagina 39 è l'esempio più noto di letteratura, possiamo considerare la
donna giovane o anziana in funzione di come il nostro sistema percettivo ricostruisce questa immagine ambigua.
Per chi si occupa di consumo è necessario cercare di comprendere come le informazioni sono ricostruite dal
consumatore. Occorre non lasciarsi guidare dalla convinzione errata e le informazioni offerte consumatori (sotto
forma di immagini pubblicitarie, packaging, ecc) vengano recepite nello stesso modo con cui vengono proposte.
I bisogni, le motivazioni, gli stati emotivi, di atteggiamenti interessi personali agiscono sull'organizzazione
percettiva una ricerca ha dimostrato che i soggetti tenuti a digiuno da un minimo di un'ora a un massimo di 18
ore tendevano ad attribuire a immagini ambigue proiettate sullo schermo connotazioni specificamente relativi al
cibo. Ciò aumentava man mano che il numero di ore di digiuno cresceva.
Vi è una evidente differenza tra percezione e sensazioni. Questa, infatti, intesa come la fase iniziale
dell'elaborazione dell'informazione che giunge ai nostri sensi (gusto, olfatto, vista, udito e tatto) e che comprende

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sia l'attivazione degli organi recettori situati in questi organi di senso, sia la trasmissione di segnali alle aree
corticali del nostro cervello. La sensazione, come la percezione, non è un processo uguale in tutti i consumatori,
ma varia da persona a persona e nei diversi gruppi sociali e nelle diverse culture. La nostra analisi parte dalla
considerazione che la percezione ordinata della realtà non corrisponde un dato di fatto, ma è un'attiva
interpretazione effettuata da processi cognitivi di cui a volte non si è pienamente consapevoli. Siamo ormai
lontani dalla convinzione aristotelica descritta nell'esordio della Metafisica secondo cui i sensi sono attendibili
fonti di conoscenza. Solo alcuni secoli dopo, Cartesio ha messo in crisi la totale fiducia nei confronti dei sensi.
Con Cartesio, infatti, si esaurisce l'idea della percezione come registrazione fedele della realtà oggettiva,
lasciando spazio alla percezione intesa come complesso processo di elaborazione di organizzazione dei dati,
informazioni e di sensazioni.

La natura della percezione

L'interpretazione degli stimoli e dei dati provenienti dal mondo esterno non coincide con il mero ricevere
stimolazioni ambientali così come sono “oggettivamente” nella realtà. La percezione è un processo dinamico,
influenzata dalle nostre abitudini, da quanto abbiamo appreso, da quanto vogliamo prendere, dalle credenze,
dalle motivazioni ed ai valori della comunità in cui viviamo o in cui “speriamo di essere inseriti”. Il processo
percettivo si riferisce, pertanto, a quel complesso meccanismo attraverso il quale selezioniamo dati e
informazioni al fine di attribuire loro uno specifico significato. Si presuppone che sia la cultura e non la biologia
a plasmare la vita nella mente dell'uomo, a dare significato all'azione e alla realtà che ci circonda inserendo gli
stati intenzionali profondi e delle stimolazioni sensoriali in un sistema interpretativo. Già Lewin nel 1935
sosteneva che la realtà non è assoluta, ma varia a seconda del gruppo al quale l'individuo appartiene: l'ambiente
diverso da persona a persona, ma differenziate anche della stessa persona momenti differenti. Questa tesi ci
spinge a considerare il comportamento del consumatore determinato non solo dai suoi bisogni dalla sua
dimensione biologica, ma anche dal contesto sociale e culturale in cui si muove. Questo è ancora più evidente se
pensiamo al modello di cultura del consumo dell'età postmoderna., Anche dalla dimensione del bisogno, il
consumo nell'atto di acquisto sono diventati un contesto ricco di stimolazioni necessario per vivere un'esperienza
che trascende il bisogno stesso. Il consumo diviene pertanto un palcoscenico dove raccontarsi e attraverso il
quale trovare indicazioni utili per poter costruire la propria modalità di espressione del Sè. Husband e Godfrey
(1934) dimostrarono che il grado d'identificazione di marche di sigarette in condizione di blind test, era di poco
migliore rispetto a quanto sarebbe stato prevedibile rilevare attraverso una scelta del tutto casuale. Il nome della
marca, il riconoscimento del colore della confezione e altre informazioni di tal genere hanno un significativo
effetto sulla percezione del prodotto e delle sue specifiche qualità. Non sempre si è consapevoli che la
percezione di ciò che ci circonda è il risultato di un processo in inferenziale così complesso. Molto spesso siamo
fermamente convinti che il modo di percepire la realtà esterna da parte degli altri soggetti sia assolutamente
identico al nostro. Così, negli altri rispondono alle stimolazioni in maniera diversa dalla nostra, la prima
considerazione che ci viene in mente è che gli altri stiano sbagliando, che non abbiamo capito, o abbiano
intenzionalmente alterato il significato delle cose occorre considerare che la percezione è un processo fortemente
influenzato dal processo di acculturazione, ovvero determinato da modelli culturali più che da processi
strettamente individuali. I professionisti del marketing internazionale sono costantemente impegnati con il
problema della natura soggettiva e culturale della percezione. Se la percezione viene infatti influenzata da fattori
sociali e culturali, allora allo studio della percezione dei prodotti pensati per un mercato internazionale deve
necessariamente confrontarsi con questa dimensione aleatoria e soggettiva del processo percettivo per un
mercato. Ciò costringe gli uomini di marketing a uno studio dei processi psichici non più disaggregati o ridotti
nei loro aspetti costituenti, ma come strettamente integrati e mutuamente interagenti, andando al di là della
semplice analisi degli aspetti sensoriali o dell'individuo decontestualizzato dalla sua cultura e dal contesto

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sociale e di vita che lo circonda. I messaggi dei consumatori captano nella comunicazione possono essere molto
diversi da quelli che l'impresa intende trasmettere.

La sensazione

Alla base della concezione delle informazioni vi sono due processi di base: la sensazione, intesa come risposta
immediata dei nostri sensi a uno stimolo di base, e la percezione, ovvero quel processo attraverso il quale queste
sensazioni sono selezionate, organizzate e interpretate. Quando si fa riferimento alla sensazione si pensa ai
classici canali sensoriali: uditivo, visivo, tattile, olfattivo e del gusto tuttavia possiamo individuare molti altri
sensi da cui riceviamo stimolazioni sensoriali. Infatti, possiamo distinguere diverse sensazioni in base al tipo di
sistema sensoriale coinvolto:
✳ sensazioni esterocettive (vista, udito, tatto, olfatto, dolore, gusto e temperatura): in questa categoria
rientrano le sensazioni che derivano da variazioni sensibili dell'energia ambientale;
✳ sensazioni enterocettive (viscere): in questa categoria rientrano le sensazioni che derivano dalle
formazioni nervose provenienti per esempio dagli organi interni al corpo;
✳ sensazioni propriocettive (posizione, cinesia, cinestesia): in questa categoria rientrano le sensazioni che
segnalano la posizione del corpo nello spazio e il movimento degli arti.
Tutti questi sensi hanno il compito di rilevare le informate provenienti dal mondo esterno attraverso specifiche
cellule o gruppi di cellule capaci di rispondere a piccoli mutamenti degli stimoli fisici e trasmetterli al cervello
attraverso il sistema nervoso centrale. Il cervello poi elabora queste informazioni, e dal modo in cui queste
vengono organizzate e interpretate si ha la percezione. La percezione assume un ruolo importante per lo studio
dei comportamenti umani, in quanto rappresenta l’interfaccia tra la realtà esterna e i processi di coscienza
interiori, e soprattutto per la comprensione della relazione tra gli individui e prodotti commerciali.
Sta cambiando il modo di rapportarsi fisicamente ai prodotti, di percepirne le caratteristiche oggettive e
strutturali, di valutarne la qualità. Fino a non poco tempo fa la percezione degli oggetti e dei prodotti era relegata
prevalentemente facendo riferimento a un solo senso, per cui il cibo era vantato dal palato, l'abito dalla vita, il
tessuto dal tatto e via dicendo. La valutazione sensoriale era poi sempre subordinata a un giudizio razionale. Una
recente teoria sviluppatasi in questo ambito di studi è quella di Trasiman e Gelade (1980) definita Teoria
dell'integrazione delle caratteristiche. In base a tale teoria la percezione di un oggetto è il prodotto di due stadi
di elaborazione. Nel primo stadio, definito l'individuazione delle qualità primarie, ha luogo la registrazione e
detenzione di alcune caratteristiche dello stimolo (allineamento, colore, movimento, curvatura delle linee ecc.).
Nel secondo stadio, definito integrazione delle qualità primarie, mediante l'integrazione delle qualità analizzate
nel primo stadio si perviene al “prodotto cognitivo”, ovvero ciò che noi percepiamo. I prodotti devono essere
toccati e non solo vi è, percepiti anche con l'olfatto, non solo intravisto in questo panorama l'affermarsi del
marketing estetico (ovvero il marketing delle esperienze sensoriali nell'attività di Corporate o Brand che che
contribuisce a formare l'identità di un'organizzazione o di una marca) segna appunto il definitivo riconoscimento
dei sensi nel mondo del consumo. La pubblicità di una bibita fresca non si limita più a presentare il prodotto
circondato da tante visibili bollicine e nell'opacità di un bicchiere ghiacciato sempre più si sente in sottofondo il
piacere provato da lunghe sorsate amplificate dall'altoparlante in una spiaggia assolata per sedurre con una
promessa di sicura freschezza e come irresistibile richiamo contro la sete.

La vista
L'immagine, il gioco di colori, il grado di luminosità hanno un ruolo determinante per la promozione di un
messaggio citati, per la realizzazione della confezione di un prodotto o per l'organizzazione di un punto vendita.
Dal momento che quasi due terzi degli stimoli che arrivano al cervello passano attraverso il sistema visivo,
molto spesso la nostra esperienza delle immagini è di natura visiva. Inoltre, in considerazione del fatto che

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numerosi esperti sono concordi nel dire che la maggior parte della comunicazione (circa l'80%) avviene
attraverso i mezzi non verbali (tra cui anche il tatto, l’udito ovviamente), sapere interpretare il para-linguaggio
(soprattutto quello visivo) si rivela importante in molti contesti di mercato. Per questo motivo la vista è uno dei
sensi più studiati da autori e ricercatori. L'impressione visiva di cui facciamo esperienza diretta era assai diversa
dalla distribuzione fisica della luce sulla retina poiché è il risultato di un processo interpretativo. Il cervello in
questo caso assume un ruolo determinante. L'attribuzione di significato dato alla stimolazione luminosa dipende,
infatti, da molti fattori. Basti pensare alla percezione dei colori. Alcuna reazione colori sono strettamente
influenzate dalla cultura e dal contesto sociale in cui si vive. Il colore del lutto e in alcuni contesti in nero, in altri
è il bianco, come in Brasile. Le risposte le reazioni sono influenzate dal contesto e non solo dalla semplice
sensazione del colore. Ovviamente l'influenza della cultura e dell'appartenenza sociale non esclude i fattori
biologici. Nel campo della pubblicità i colori bianco e nero hanno minore capacità di attirare l'attenzione rispetto
ai colori vividi, anche se il contrasto tra un messaggio pubblicitario in bianco e nero e un contesto colorato
circostante è stato più volte utilizzato proprio per attirare l'attenzione. In questo caso è il contrasto percettivo che
attira l'attenzione, poiché innovativo e inaspettato, e non l'uso del bianco e del nero. In uno studio sul ruolo del
colore i ricercatori hanno osservato che i colori possono influenzare le emozioni e le sensazioni di rilassamento
o di eccitazione. In genere i colori caldi (come il rosso e il giallo) dei colori freddi (come il blu) generano
sensazioni stati d'animo contrastanti.
Per esempio, si osservato che il rosso è associato ad aumenti della pressione sanguigna, del movimento oculare
e della frequenza respiratoria, all'eccitazione in generale, alla vitalità. Viceversa, si osservato che colori freddi
scatenano reazioni opposte, come un senso di pace, di calma, di rilassatezza. Il giallo rappresenta un colore caldo
per eccellenza, rassicurante e armonioso (es. campo di grano giallo Mulino Bianco). Prendendo ispirazione dai
sacchetti dei fornai, mulino Bianco realizza ancora oggi la confezione a sacchetto di un colore giallo caldo
intenso, in modo che il consumatore si ricordi della tipica genuinità dei prodotti. Esperti di marketing non hanno
mai sottovalutato i vantaggi derivanti da una corretta selezione dei colori. Anche nel campo dell'organizzazione
degli spazi di vendita occorre riconoscere un ruolo determinante ai colori oltre che all'organizzazione degli spazi
in sé. Basta cambiare la tipologia di luce (gialla al posto di Bianca) e il grado di diffusione per rendere molto più
accoglienti gli ambienti. L'attenzione ai colori non coinvolge solo il mondo della pubblicità e del packaging.
Infatti, anche nel campo dei servizi, vi sono interessanti studi sul rapporto tra colore e clienti. In particolare, nel
campo medico si parla di cromoterapia o terapia di colori, secondo la quale adottare uno specifico colore può
essere utile per stimolare specifiche sensazioni nei pazienti di un ospedale. Tuttavia, questa impostazione va
usata con cautela poiché le differenze culturali possono portare a clamorosi fraintendimenti, ad esempio il colore
verde in Irlanda e di buon augurio, in Cina è correlato al tradimento, negli Stati Uniti rappresenta la gelosia.
Altro aspetto degno di attenzione nel mondo dei consumi e della comunicazione pubblicitaria è uno degli Stati
psicologici più affascinanti, indicato con il termine sinestesia, secondo il quale lo stimolo di un senso (per
esempio, il suono) è in grado di suscitare l'esperienza propria di un altro senso (per esempio, un colore). La
sinestesia cromatica è un fenomeno consistente nell' “udire i colori”, cioè nell'avere l'esperienza di un colore in
risposta a uno stimolo uditivo. Secondo molti psicologi i fenomeni sinestesici rivelano l'unità profonda dei sensi.

L'olfatto
Lo stimolo olfattivo, in quanto indifferenziato e difficilmente scomponibile nelle sue componenti, rimane
strettamente legato all'intero contesto nel quale è stato percepito. Ecco perché, durante la rievocazione, esso non
si isola dagli altri elementi contestuali, ma li trascina con sé. Riferendoci al percorso di crescita di un bambino, si
constata come il sistema olfattivo abbia, nel guidare comportamenti, un ruolo molto più pronunciato durante la
fase neonatale e post – neonatale rispetto alla fase. È in dubbio i profumi possono stimolare emozioni e far
ricordare eventi e sensazioni. Per questo sono state condotte molte ricerche per cercare di comprendere la
relazione tra olfatto, memoria e umore. Alcune ricerche hanno dimostrato che l'introduzione di una Roma è in
grado di alterare la percezione del tempo trascorso dal consumatore durante l'attesa per il pagamento alla cassa o

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per ottenere informazioni da parte di un addetto alla vendita. All'interno del grande trend del polisensualismo che
caratterizza la società postmoderna l'olfatto sta acquisendo un'importanza sempre maggiore. L'olfatto, d'altra
parte, essendo collegato al nostro sistema limbico, che è il centro della vita emozionale, esercita una forte e
direttiva influenza mondo dei sentimenti e delle emozioni. L'importanza dell'olfatto è testimoniata dalle
numerose ricerche sull'utilizzo dei profumi in alcuni negozi (come il profumo di montagna nei negozi
Timberland) o di profumi rilassanti nelle sale di attesa (per esempio, quelle della business class della British
Airways).

L'udito
La musica e il suono hanno un ruolo importante nel mondo dei consumi. La musica è in grado di stimolare
ricordi ed emozioni del passato, influenzare l'umore e modificare la percezione della realtà stessa. Con la musica
e suoni si costruiscono significati, si rafforzano associazioni, stimolano sensazioni. La produzione pubblicitaria
si serve molto dei suoni. Si provi a pensare a un film o uno spot senza musica di sottofondo o sette suoni di
rinforzo di certe scene o azioni. Basta soffermarsi solo un attimo su uno dei tanti spot televisivi sulle bevande
(come quella Estathè), accompagnati dal rumore di uno dei gruppi ione esageratamente marcata o da un forte (e
innaturale) fruscio di liquido che scivola in un bicchiere. L'esigenza di amplificare su ogni e di studiarne la
valenza è strettamente legata alla capacità che hanno i suoni e le musiche di stimolare e determinare anche
alcune emozioni. Difatti è possibile associare circa emozioni a determinati brani musicali, anche se questo
processo mette in gioco aspetti strettamente individuali e soggettivi. La storia personale, con le relative
esperienze e la cultura di appartenenza, così come lo stato emotivo di un preciso momento, rendono
estremamente difficili una generalizzazione degli effetti sull'individuo e lo studio delle emozioni in musica. A tal
proposito risulta interessante lo studio condotto da Bigand, Filipic e Lalitte (2005) che, dopo aver selezionato un
gran numero di brani con diverse connotazioni emozionali, hanno cercato di individuare potenziali affinità
emotive facendo ascoltare ad alcuni soggetti diversi tipi di brani. I risultati hanno dimostrato che la maggior
parte degli individui utilizza un sistema di raggruppamento basato su due dimensioni: la valenza (cioè il valore
delle emozioni in sé: positiva o negativa) e l'intensità o arousal (bassa o alta) stimolata dalla musica. Tale
connotazione emozionale correlata a un brano avviene in tempi brevissimi, inferiori al secondo. È stato possibile
riscontrare come, fin dalle prime note, i soggetti esaminati fossero in grado di individuare le emozioni legate a
essi.
Hui et al (1997) hanno dimostrato che la musica, contrariamente alle attese, incide anche sulla percezione dei
tempi di attesa di un servizio prestato a un gruppo di consumatori: nel luogo in cui non vi è musica, l'attesa
percepita e maggiore rispetto al tempo trascorso effettivamente. La presenza di stimoli musicali pop pertanto
agire positivamente sulla risposta affettiva attesa e sulla valutazione dell'ambiente. Nello stesso modo è stato
dimostrato che la presenza di musica in un centro commerciale incide sulla rapidità di movimento dei
consumatori al suo interno. Una musica con un ritmo più veloce incrementa di una percentuale significativa la
movimentazione dei clienti rispetto a una musica decisamente più lenta. I dati di una ricerca hanno dimostrato
che i consumatori “più lenti” spendono circa il 38% in più rispetto a quelli “più veloci”.
Un altro aspetto importante, soprattutto nel campo della comunicazione pubblicitaria, è quello relativo alle
tecniche di Time compression, usate per manipolare la velocità con cui lo speaker pronuncia un messaggio
radiofonico o televisivo. I consumatori sembrano preferire una comunicazione più rapida (con una velocità
superiore al normale di circa 120,130%) rispetto a una più lenta. Tale effetto sembra sia determinato dalla
percezione di una maggiore credibilità e affidabilità nei confronti di coloro che hanno una capacità comunicativa
più rapida. In altri casi, una comunicazione troppo rapida potrebbe inficiare il processo di comprensione e
stancare l'ascoltatore, soprattutto se questi è particolarmente motivato ad ascoltare e a comprendere ogni singolo
elemento del discorso. in questo caso entrano in gioco l'effetto del grado di coinvolgimento e l'influenza
dell'attivazione del sistema di elaborazione centrale piuttosto che quello periferico, come indicato nella teoria di
Petty e Cacioppo (1983), vedi capitolo sui processi decisionali. Secondo questa teoria, l'attivazione del sistema

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di elaborazione centrale, stimolata da un maggiore coinvolgimento, spinge il consumatore a investire più
energie per cercare tutte le informazioni necessarie per la decisione. In questo caso, l'esigenza di raccogliere
attentamente tutte le informazioni contratta con la rapidità di esposizione che, quindi, non verrebbe apprezzata.

Il tatto
La percezione aptica, ovvero quella che coinvolge il tatto, ha sempre avuto ruolo importante nella scelta di
acquisto di un consumatore. Basti pensare a quanto è importante, soprattutto nel passato, poter toccare tessuti, la
frutta, il legno prima di decidere l'acquisto. Solo attraverso il tatto è infatti possibile percepire alcuni aspetti
fondamentali dei prodotti. Il consumatore osserva tattilmente (Fabris, 2003), ovvero attraverso il tatto può avere
chiare informazioni sulla densità, la compattezza, la tesatura di un prodotto. A volte il tatto stesso e più
importante della vista nella scelta di un articolo. Il tatto incide anche sulla relazione venditore-acquirente.
Solomon (2004) a tal proposito riporta alcuni dati di ricerca che dimostrano che i clienti leggermente toccati dal
personale di un ristorante lasciano una mancia maggiore. Anche il contatto, come i colori, ha una sua propria
declinazione culturale. Per esempio, nei pressi del Nord Europa contatto fisico è culturalmente meno accettato
che nei paesi mediterranei.

Il gusto
Anche il gusto ha un ruolo determinante nei comportamenti di consumo. Attraverso il gusto vengono percepite le
caratteristiche dei prodotti alimentari. In base alla gradevolezza di sapori il consumatore individua una propria
classifica delle tipologie e delle marche preferite. In una società multiculturale introduzione dei piatti etnici tra
leggermente modificando il modo di alimentarsi e il legame ai sapori tradizionali. Questo ovviamente non
intacca la possibilità di riconoscere e rimanere fedeli ad altri sapori percepiti come altamente specifici di una
marca o di un prodotto. Basti pensare alla famosa Nutella. Diverse sono state le altre marche che hanno tentato
di spodestare il suo primato senza riuscirci. Il sapore della Nutella, come quello della coca-cola classica,
identifica fortemente prodotto e ne garantisce il riconoscimento da parte dei consumatori affezionati. Di certo
possiamo affermare che anche per il gusto occorre prestare attenzione alle diversità culturali esistono cibi
assolutamente immangiabili per un italiano, ma molto prelibati per un vietnamita.
Negli ultimi anni inoltre, si sta assistendo ad un incremento di attenzione verso le abitudini alimentari. In
particolare, la presenza sempre più ampia di casi di obesità e di altre patologie alimentari, come l’anoressia e la
bulimia, ha promosso diverse ricerche e programmi di intervento.

Le soglie percettive

Non tutti gli stimoli sensoriali possono determinare l'attivazione dei nostri sensi. Ciascuno dei nostri recettori
rispondere a stimoli specifici entro limiti abbastanza ristretti. Il sistema sensoriale dell'uomo e in ogni caso
caratterizzato da specifici limiti. Per questo motivo non tutte le lunghezze d'onda della luce sono percepibili
dall'uomo, che non riesce infatti a vedere i raggi gamma, i raggi X e quelli ultravioletti. E anche il nostro sistema
uditivo risponde solo alle vibrazioni dell'aria comprese tra i 20 e i 20 000 cicli al secondo (e infatti risaputo che i
nostri sensi sono molto meno efficienti di quelli di numerosi animali). Tali limiti sono determinati dalle
caratteristiche fisiologiche dei nostri sensi, anche se la possibilità di percepire alcuni stimoli piuttosto che altri
può dipendere dal processo di selezione e dal grado di attenzione nei confronti degli stimoli stessi. Le capacità
sensitive di alcuni soggetti, infatti, possono essere così allenate da rispondere alle stimolazioni più di quanto
avvenga in una persona “media”. Per esempio, i musicisti riescono a percepire molti più toni rispetto a un
soggetto non allenato. Probabilmente il polisensualismo verso cui è proiettata la società postmoderna (Fabris,
2003) ci porterà a valorizzare maggiormente le nostre capacità sensoriali fino ad ora poco utilizzate.

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La soglia assoluta

La soglia assoluta è la stimolazione minima che può essere rilevata dagli organi di senso. Non va confusa con la
soglia di percezione cosciente. Per soglia di percezione cosciente intende quel valore al di sopra del quale lo
stimolo è percepito molto forte: in questo caso il soggetto è perfettamente conscio della sua presenza, lo
percepisce chiaramente e può reagire di conseguenza. Per sua natura questa soglia può variare da un individuo
all'altro o da un momento all'altro nello stesso soggetto essa dipende dal diverso grado di attenzione, che può
essere influenzata dalla stanchezza, dall'età, dalla sensibilità dei diversi organi sensoriali o dalla presenza
simultanea di altri stimoli. Sopra la soglia di percezione cosciente, lo stimolo possiede sufficiente energia per
provocare nello stesso tempo sia la risposta che la relativa rappresentazione cosciente. In questo caso l'individuo,
consapevole dello stimolo, reagisce in base alla sua volontà, cosa non possibile nel caso di percezione
subliminale. La risposta dell'individuo può dunque essere completamente differente a seconda che lo stimolo lo
raggiunga a livello subliminale (precosciente) o superliminale (cosciente). Sopra la soglia assoluta di percezione
cosciente, ma sotto quella di percezione cosciente, sono situati gli stimoli troppo deboli per essere percepibili
coscientemente. Pur non essendo abbastanza forti perché il soggetto di percepisca spontaneamente, essi hanno
comunque un'intensità sufficiente per farsi riconoscere nel momento in cui l'attenzione viene spostata su di chi di
noi non ha una sveglia sul comodino di cui non percepisce più il ticchettio, se non quando volontariamente vi
pone l'attenzione?
Dixon (1981) definisce la soglia assoluta di coscienza come il più debole livello di energia entro il quale un
individuo può sentire o vedere uno stimolo. Infine occorre descrivere la soglia fisiologica al di sopra della quale
(ma sotto al livello assoluto di percezione cosciente) si trovano gli stimoli di intensità troppo deboli per essere
recepiti dalla coscienza, sia volontariamente involontariamente ma nonostante ciò, questi stessi stimoli possono
portare a una risposta sensoriale o di una modifica osservabile del comportamento per esempio, possiamo
percepire inconsapevolmente una musica che in effetti non è udibile, ma che raggiunge la coscienza sotto forma
di un canticchiare spontaneo, non intenzionalmente voluto. Gli stimoli la cui intensità e talmente debole da non
produrre nessuna reazione sensoriale si considerano sotto la soglia fisiologica, là dove qualsiasi tipo di
percezione è completamente assente. Questa è la zona del “grande silenzio”, alla cui soglia l'uomo si è sempre
fermato. Sotto la soglia fisiologica lo stimolo non può avere risposta. Sopra la soglia fisiologica, ma sotto la
soglia di percezione cosciente, lo stimolo possiede sufficiente energia per essere captato dagli organi di senso e
produrre una risposta, ma questa energia è comunque insufficiente per raggiungere la coscienza. È questa la zona
di “percezione subliminale” in senso lato. La soglia assoluta, che varia da individuo a individuo, può dipendere
anche dalle condizioni fisiche del soggetto ed al suo stato motivazionale. I giovani sentono maggiormente
profumi e gli odori rispetto ai consumatori più anziani una migliore performance nel campo degli odori e dei
profumi è stata riscontrata anche nelle donne. La musica all'interno di un centro commerciale potrebbe non
essere percepita, anche se di fatto ha un effetto sui comportamenti dei soggetti. La soglia assoluta rappresenta
quindi quel limite è necessario da superare affinché uno stimolo sia percepito. Ecco perché lo studio di tale
soglia assume un ruolo importante per chi si occupa di marketing. Molti stimoli sono al di sotto della soglia
assoluta tanto da non poter essere percepiti. Analogamente, un'immagine troppo piccola potrebbe risultare
difficile da decifrare nitidamente e perciò non viene percepita come tale. A volte nei messaggi pubblicitari sono
presenti testi scritti con caratteri così piccoli per evitare che vengano percepiti. Il concetto di soglia assoluta è
strettamente legato a quello di filtro percettivo. in un mondo caratterizzato da una grande quantità di
stimolazioni, i filtri percettivi permettono di selezionare solo le informazioni che sono ritenute più utili. Per
questo motivo chi si occupa di marketing sa perfettamente che occorre attirare l'attenzione attraverso
stimolazioni che hanno un'intensità leggermente più alta della soglia assoluta. L'aumento automatico del volume
della radio quando vengono trasmesse le informazioni sul traffico stradale rappresenta una delle più note
tecniche per attirare l'attenzione.

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La soglia differenziale

La soglia differenziale è la quantità minima di stimolazione necessaria per distinguere due stimoli diversi. Non
si tratta pertanto della quantità minima percepita, ma della quantità differenziale, ovvero del cambiamento
minimo percettibile di uno stimolo. La possibilità di misurare le condizioni in cui la differenza tra due stimoli è
percepita dal consumatore è un aspetto di grande importanza nel mondo dei consumi. La conoscenza della soglia
differenziale è determinante e si intende modificare il prezzo di un prodotto (per esempio durante i saldi) o si
vuole rendere più dolce il sapore di un prodotto provando a modificare la quantità degli ingredienti al fine di
rendere tale differenza percepibile il calcolo della soglia differenziale permette di individuare la quantità minima
necessaria perché venga realmente percepito il cambiamento. La soglia differenziale non è un valore costante,
ma dipende dall'intensità dello stimolo originale. Se il livello quantitativo di un attributo presente in un prodotto
e modesto, il consumatore si mostrerà assai sensibile anche piccole variazioni di questo attributo, mentre se lo
stesso elemento è presente in maggiore quantità, per ottenere la stessa percezione di cambiamento, occorrerà una
maggiore variazione della quantità di quello stesso attributo. È ben comprensibile l'importanza di questo
principio se consideriamo che a volte gli incrementi di alcuni ingredienti di un prodotto hanno un costo assai
elevato. Così, se volessimo risparmiare sui costi di produzione di un biscotto senza che il consumatore
percepisca un cambiamento del sapore, basterebbe ridurre lo zucchero o un altro ingrediente all'interno della
soglia differenziale.
La soglia differenziale è regolata da un preciso teorema matematico sviluppato nel corso del XIX secolo da
Ernest Weber, il quale è riuscito a individuare la relazione (conosciuta come legge di Weber) che descrive il
rapporto tra l'ammontare del cambiamento e l'intensità originale dello stimolo affinché tale rapporto possa essere
percepito. Secondo questa legge, più forte il valore dello stimolo iniziale e più grande deve essere la quantità
addizionale di stimolazione affinché questa venga percepita. A volte un'azienda desidera modificare il proprio
packaging senza che il consumatore se ne accorga, oppure alla necessità di modificare il luogo senza che i
clienti perdano la possibilità di identificare l'azienda. Il concetto di soglia differenziale permette di prevedere
cambiamenti al di sotto della soglia, attuando piccole impercettibili modifiche attraverso fasi in cui il mutamento
(il passaggio a un nuovo logo) non viene significativamente percepito dal consumatore (esempio del graduale
passaggio dal logo Omnitel a quello Vodafone).
Vedi formula pag. 60

Le soglie e la percezione subliminale

Il tema della percezione subliminale è strettamente legato al concetto di soglia percettiva. Per percezione
subliminale si intende la possibilità di recepire informazioni attraverso stimoli sensoriali e risultano al di sotto
della soglia percettiva cosciente (sublimen, dal latino, significa. Sotto soglia). Si tratta di piccole immagini
inserite all'interno di messaggi pubblicitari stampati, o di messaggi uditivi inseriti in contesti musicali, o di
messaggi assai prossimi alla soglia assoluta.
Lo studio della percezione subliminale nasce verso la fine degli anni 50, in un momento storico in cui il tema
della persuasione delle masse era molto sentito. Siamo ancora nel periodo di sviluppo dei Mass media ovvero nel
periodo storico definito della modernità, in cui l'individuo veniva percepito e pensato come soggetto razionale,
logico, coerente con se stesso e con i principi religiosi, politici e sociali. L'idea di influenzare l'individuo al di là
della sua consapevolezza e del suo controllo era in contrasto con l'uomo, razionale, consapevole e coerente con
se stesso.
Gli studi che risalgono alla fine dell’800 e all’inizio del secolo successivo, relativi al valore della soglia assoluta
di percezione e della soglia differenziale (legge di Weber) hanno contribuito significativamente a stimolare il

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dibattito sulla comunicazione persuasiva subliminale (esperimenti nella prima metà del ‘900 si sono concentrati
su campi di ricerca delimitati da particolari condizioni patologiche, che mettessero i luce le reazioni di una
sensibilità ipofunzionale, ad esempio la vista cieca, o l’epilessia). All’inizio del secolo scorso l’influenza di
Freud e il riferimento alla dimensione inconscia hanno stimolato alcuni studiosi a occuparsi dei meccanismi
percettivi subliminali, cioè non consapevoli. Come Otto Poetzel, il quale condusse l'esperimento in cui dopo aver
sottoposto alcuni soggetti a proiezioni di immagini per brevissime frazioni di secondo chiedeva loro di disegnare
ciò che avevano visto; il giorno successivo, esaminando i loro sogni rilevava la presenza di quegli elementi o
particolari delle immagini proiettate che il soggetto non aveva percepito coscientemente il giorno prima e che
non aveva riportato nei suoi vicini.
Ma il maggior contributo sulla percezione subliminale arrivò quando l'attenzione al tema della persuasione e dei
processi decisionali fu stimolata dalle ricerche dai sondaggi politici durante le campagne elettorali statunitensi.
Un tema questo che si era sviluppato all'ombra del timore delle possibili influenze sulle opinioni degli elettori
attraverso gli organi di stampa e di altri strumenti di comunicazione di massa, soprattutto se tali influenze
potevano essere determinate da messaggi che andavano oltre la ragione e la consapevolezza dell'elettore. La
possibilità di influenzare la decisione riguardante un particolare comportamento (di acquisto o di muto) era alla
base delle preoccupazioni di quel periodo storico.
Il momento cruciale di questa preoccupazione coincise con la pubblicazione del testo di Packard (1957) The
hidden persuaders che fece da cassa di risonanza a una serie di dati di ricerca riguardanti la pubblicità
subliminale in questo testo l'autore coniò l'espressione di successo persuasione occulta. Packard l'individuò nel
pubblicitario l'agente principale dell'eversione sociale in atto, definendolo come il "persuasore occulto" che entra
nell'inconscio del pubblico attraverso misteriose tecniche di psicologia applicata, come messaggi subliminali, per
forgiarne le decisioni a suo piacimento. I toni della vicenda iniziarono ad alzarsi ulteriormente quando fu
convocata una conferenza stampa il 12 settembre 1957 New York. Un ricercatore, di mercato James M. Vicary,
portavoce di una sconosciuta azienda dal nome Subliminal Projection, presentò i risultati di un esperimento che
avrebbe avuto luogo a Fort Lee, nel New Jersey: durante la proiezione di un film erano stati immessi fotogrammi
non percepibili (della durata di 3 millisecondi, ogni cinque secondi) con comandi scritti che citavano a mangiare
poco e a bere Coca-Cola. Secondo Vicary i consumi di questi due articoli presso la popolazione esposta
fotogrammi impercettibili sarebbero aumentati rispettivamente del 57,7% e del 18,1%. In realtà, i dati dei
termini scientifici dell'esperimento non furono mai resi pubblici; in un'intervista del 1962 Vicary avrebbe inoltre
confessato che l'esperimento non era altro che una montatura, nonostante ciò la portata della notizia ebbe una
diffusione inaspettata. La conferenza stampa dell'oscura azienda americana assunse dunque tutti gli elementi per
dare vita a una vera e propria leggenda metropolitana. Tuttavia, l'interesse pubblico per la questione della
persuasione occulta uscì dall'ambito puramente per entrare massicciamente in un campo più sociologico o
filosofico. L'inserimento surrettizio negli annunci stampa di immagini attinenti alla sessualità è un capitolo
molto florido della letteratura sul tema e sulle sue applicazioni attualmente le legislazioni nazionali e
internazionali sulla comunicazione pubblicitaria o propagandistica dei Mass media si sono schierate per la
proibizione delle tecniche subliminali riconoscendo de facto una qualche efficacia fenomeno.
L'Ingegnere Hal Becker, nel 1966, brevettò la little black box, un dispositivo capace di leggere cassette audio e
mescolare segnali da diverse fonti audio, rendendole infine percettibili sono in forma subliminale. Questo
dispositivo fu acquistato da numerosi supermercati dove veniva utilizzato per inviare in forma subliminale,
mixati alla regolare musica di sottofondo, messaggi del tipo "io sono onesto" oppure "io non rubo". In generale
molti psicologi concordano sull'esistenza della percezione subliminale, ma non hanno lo stesso parere rispetto
alla forza e all'ampiezza dei suoi effetti. Sintetizzando possiamo dire che gli aspetti che rendono inefficace la
pubblicità subliminale sono diversi: tra questi la diversità soggettiva e l'influenza di altri fattori sociali e
contestuali sulla soglia assoluta, l'esigenza di un'elevata attenzione verso il canale comunicativo al fine di
cogliere gli stimoli subliminali, la difficoltà a determinare uno specifico comportamento di acquisto (il rischio di
generalizzazione dell'effetto è molto alto).

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La selezione percettiva

Generalmente si pensa al processo percettivo come a una finestra sul mondo, ma la funzione primaria di questo
sistema è quella di selezionare e di scegliere tra le tante stimolazioni quelle più interessanti. Un primo processo
di selezione avviene attraverso il meccanismo pre – attentivo secondo il quale, in maniera inconsapevole, i
consumatori riescono a filtrare le informazioni che sono più utili o che ritengono più accattivanti o
emozionalmente più cariche di affetto.

La selezione
I consumatori mettono in pratica una forma di "economia psichica" (Solomon, 2004) selezionando e scegliendo
gli stimoli più interessanti, evitando di lasciarsi confondere dall'enormità delle informazioni disponibili. Si tratta
di un processo naturale, diremmo quasi all'attivo, per contenere il disagio da sovrabbondanza di dati. Ma le
persone come scelgono come selezionano le informazioni verso cui rivolgere l'attenzione? Vi sono alcuni fattori
che permettono una selezione delle informazioni strettamente legate alle specificità individuali del consumatore
ed altri aspetti più strettamente correlati alle specificità degli stimoli. Tra i fattori personali un ruolo importante
è giocato dalle emozioni, dagli interessi, dai disordini e soprattutto dai desideri del consumatore. Il desiderio di
acquistare una nuova macchina spinge consumatore in genere a prestare attenzione a tutti i messaggi pubblicitari
relativi alla vendita e alla promozione di automobili. C'è un consumatore ha sviluppato una preferenza di marca,
allora tenderà notare la pubblicità di quel prodotto, con il rischio di lasciarsi sfuggire di annunci pubblicitari di
prodotti della concorrenza. Allo stesso modo alla pubblicità del ristorante può diventare oggetto di grande
attenzione se siamo alla ricerca di un locale dove poter gustare una buona cena.
Questo tipo di attenzione specifica è chiamata vigilanza percettiva. Sempre più spesso occorre trovare soluzioni
creative per attivare la vigilanza percettiva dei consumatori: l'utilizzo di domande negli spot (soprattutto quelli
radiofonici), così come la presentazione di una storia che prosegue nel tempo, o l'uso di messaggi nei cartelloni
pubblicitari che rimandano a una possibile soluzione a una domanda o spiegazioni in futuro, sono tutte tecniche
per cercare di mantenere vigile l'attenzione del consumatore verso quei messaggi.
L'uso di filtri personali attivati da desideri, interessi, emozioni può dare vita non solo a una percezione selettiva,
ma anche a una forma di percezione difensiva, intesa come la tendenza a non rilevare la presenza di stimoli
ritenuti non graditi o minacciosi e spiacevole. Ciò significa che le persone vedono e percepiscono ciò che
intendono o preferiscono vedere al fine di ridurre al minimo la spiacevole situazione della dissonanza cognitiva
(Festinger, 1957). La dissonanza, intesa come incoerenza da processi cognitivi, o come discordanza tra
atteggiamento dichiarato e comportamento agito, provoca una condizione di disagio che spinge l'individuo ad
adottare tutte le possibili soluzioni per recuperare uno stato di coerenza, di equilibrio e conseguentemente di
"benessere".
Così, se ci si trova ad agire alcuni comportamenti o dichiarare alcune opinioni contrarie ai propri atteggiamenti
o credenze, e se tali comportamenti od opinioni sono stati dettati da libera scelta, la sensazione provata sarà di
uno stato di tensione spiacevole dovuto alla dissonanza tra il proprio comportamento o l'opinione manifestata e il
proprio atteggiamento. In questo caso si può comprendere perché un fumatore incallito potrebbe selezionare tutte
quelle informazioni che sottolineano la non pericolosità del fumo. Così come quando si acquista una nuova
automobile si rischia di divenire particolarmente sensibili a tutte le notizie che confermano la correttezza della
scelta fatta, divenendo meno predisposti a percepire e ricordare tutte le informazioni che discreditano l'auto
acquistata.

L'attenzione

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Studiare l'attenzione e processi che la caratterizzano ci permette di rispondere ad alcune domande importanti e
chi deve promuovere un nuovo prodotto tra tanti già in commercio. Sebbene sia impossibile in ogni istante fare
attenzione a stimoli specifici, la nostra attenzione si sposta in continuazione. Una determinata attività può
catturare tutta la nostra attenzione, mentre altri stimoli potranno di volta in volta attirarci in maniera quasi
irresistibile.
La percezione degli stimoli che bombardano costantemente i nostri organi di senso è perciò altamente selettiva.
Si tratta di un processo assai naturale, se non indispensabile, per potere sopravvivere all'infinità di stimolazioni
giornaliere che ci circonda. Se non avessimo questa capacità di selezionare le informazioni non riusciremmo a
parlare con un amico in mezzo a una folla di persone, leggere il giornale o svolgere un compito in un luogo
pubblico, trovare l'informazione utile in mezzo mondo di messaggi, di luci, di colori e di voci.
Purtroppo, a causa della selezione attentiva, un consumatore potrebbe non prestare attenzione a un messaggio
pubblicitario e ciò spiega come mai una buona parte del mailing commerciale che giunge nelle case dei
consumatori venga gettata via senza nemmeno aprire la busta contenente una eventuale promozione.
L’attenzione quindi, particolarmente studiata dalla tradizione cognitivista della psicologia, filtra ciò che viene
elaborato e ciò che deve arrivare alla coscienza. Per questo, non a tutti gli stimoli in arrivo è dato spazio di
accesso. Ad esempio, La visione del cibo ha certamente un effetto diverso sulla nostra attenzione in funzione del
nostro grado di sazietà.
Bruner è partito dalla considerazione della percezione non è altro che un processo di categorizzazioni. Non più
solo acquisizione di informazioni attraverso i nostri sensi, ma processo di rielaborazione delle informazioni
sensoriali attraverso la guida dettata dai nostri desideri e dalle nostre emozioni. Per dimostrare questo assunto
Bruner si è servito di uno dei più noti esperimenti di manuale di psicologia sociale. L'esperimento, noto con il
nome di Value and need as organizing factors in percepition, consisteva nel chiedere a un gruppo di ragazzi di
10 anni di età di giudicare la grandezza di alcune monete. Metà del gruppo campione di bambini proveniva da
un'aria benestante di Boston, l'altra metà dai sobborghi e dalle zone più povere della città. I risultati mostrarono i
bambini di questo secondo gruppo tendevano a sovrastimare la grandezza delle monete rispetto al primo gruppo
soprattutto per le monete di maggior valore, e ad accentuare le differenze tra le diverse monete, soprattutto
quelle che avevano i valori più estremi, contrastando il principio della tendenza centrale secondo cui un gruppo
di valutatori tende naturalmente a confluire verso un giudizio di valore medio indipendentemente dall'oggetto da
valutare. L'appartenenza a un contesto sociale, di sogni e desideri hanno influenzato la percezione della
grandezza delle monete indicando chiaramente l'influenza di processi "caldi" affettivi e cognitivi nell'elaborare le
informazioni. Lo stesso principio pare che valga per il consumatore che presta una maggiore attenzione a una
marca o un prodotto in funzione dei propri interessi. In questo caso si parla di attenzione selettiva. Secondo
alcuni autori questa selezione delle informazioni può avvenire in maniera precoce o tardiva. Secondo l'ipotesi
precoce, l'attenzione agisce come filtro periferico che esclude dall'elaborazione gran parte delle informazioni
provenienti dal mondo esterno. Diversamente, i sostenitori dell'ipotesi della selezione tardiva ritengono che il
filtro apprensivo intervenga più tardi, al momento della selezione della risposta. Quindi secondo l'ipotesi precoce
l'attenzione è in grado di influenzare processi sensoriali e percettivi, mentre l'ipotesi tardiva sostiene che
l'attenzione agisce a livello post percettivo.
Hillyard et al. (1973) hanno dimostrato tale ipotesi attraverso l'analisi psicofisiologica del sistema auditivo nella
famosa condizione definita "cocktail party" in cui un ascoltatore focalizza la sua attenzione su una
conversazione inibendo alla ricezione di altre conversazioni. Anche se siamo al centro di una festa con tante
persone e con un'assordante musica di sottofondo, riusciamo a concentrarci e a selezionare le parole della
persona con cui stiamo parlando.
Un aspetto importante nella selezione delle informazioni è dato dalle aspettative e dagli schemi. Infatti,
l’attenzione opera in modo tendenzioso, favorendo l’accesso degli input verso i processi superiori di
elaborazione di quei contenuti che sembrano avere più pertinenza con le attese, con abitudini e bisogni e con gli
scopi che l’organismo sta perseguendo in quel momento. Per questo motivo, la psicologia sociale ha evidenziato

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la forte tendenza ad agire per stereotipi e pregiudizi. Per questo motivo è ricorrente l’uso di schemi, ovvero di
categorie e di concetti intesi come rappresentazioni mentali e strutture di conoscenza più o meno condivise,
anche se indispensabili per semplificare la realtà e dare senso all’enorme quantità di stimoli e informazioni, può
condurre a errori e cattive interpretazioni.

Box – Attenzione, stile cognitivo e psicologia del consumatore

Il processo del "prestare attenzione" è molto complesso e implica diverse dimensioni.


La selettività è l'attività consistente nel focalizzare, fra i molteplici stimoli disponibili, quelli di volta in volta
pertinenti al compito o alla situazione, mentre gli altri sono lasciati sullo sfondo. Esistono dei limiti nella
quantità di stimoli a cui il soggetto è capace di prestare attenzione in un dato momento; interferenze interne
all'organismo (calo di motivazione, stati emotivi subentrati) oppure esterne (entrata in campo di altri stimoli
rilevanti) producono il cambiamento involontario in un focus attentivo precedentemente stabilito, comunemente
definito "distrazione".
La capacità di resistere agli elementi distrattori e a mantenere la concentrazione per tutto il tempo necessario
definisce l'attenzione di mantenimento. Essa implica uno "sforzo" mentale che può essere misurato in termini
quantitativi.
Un diverso tipo di attenzione e l'attenzione divisa o multi-canalizzata, in cui occorre badare al tempo stesso da
due categorie di stimoli, senza che una di esse si è tenuta sullo sfondo o seguire contemporaneamente due
compiti. Esempio di questa capacità attentiva è guardare la televisione mentre si mangia o leggere un cartellone
pubblicitario mentre si guida.
Lo shifting o switching comporta invece l'alternanza tra due focus attentivi, essi non devono essere "attenzionati"
contemporaneamente (come nell’attenzione divisa), ma occorre passare dall'uno al altro quando il compito lo
richiede.
L'attenzione del consumatore verso il prodotto specifico può essere "distratta" da condizioni del contesto o della
propria emotività, su essa possono interferire stimoli che attraggono l'attenzione "divisa". Anche una incapacità
di spostamento e alternanza dell'attenzione pur interferire con la corretta percezione di tanti oggetti di consumo
presentati in concorrenza tra loro, per esempio nella vetrina di un negozio o nello scaffale di un supermercato.
Dato che l'elaboratore (o "esecutivo") centrale cui è deputato il controllo del flusso di informazioni a una
capacità limitata, molte operazioni routinarie devono essere delegate a meccanismi che funzionano in modo
automatico, prescindendo dall'attenzione volontaria costosa in termini di "sforzo".
Un processo automatico consiste nell'attivazione, sulla base di stimoli appropriati, di una sequenza presa di
elementi, che procede senza bisogno di attenzione intenzionale, cioè senza la necessità di controllo attivo da
parte del soggetto. Un processo controllato è invece a capacità limitata, richiede continuo sforzo di monitoraggio
da parte del soggetto, funziona in modo seriale attingendo al magazzino di memoria a breve termine. Tra gli
scopi del messaggio pubblicitario è preminente quello di indurre processi automatici di acquisto e di consumo,
a prescindere dall'attenzione controllata sul prodotto da scegliere e da consumare.
Un concetto connesso a quelli precedentemente esposti, è importante per la psicologia dei consumi, è quello di
set: l'insieme di aspettative e le disposizioni mentali che guida orienta l'attenzione e la percezione verso una certa
categoria di stimoli, o verso un'attività in grado di procurare l'appagamento di un bisogno. Questo stato può
essere del tutto automatico è passivo, oppure essere orientato attivamente dallo stesso soggetto. I fattori
contestuali agiscono nell'attenzione e nella percezione, contribuendo a determinare quali stimoli verranno più
facilmente attenzionati e percepiti, e quale sia l'interpretazione da dare a essi. Queste informazioni aggiuntive
provengono da tutto l'ambiente in cui è immerso ciò che sperimentiamo, cioè da quello che chiamiamo contesto.
È il contesto che indirizza l'aspetto selettivo dell'attenzione, e che sorregge la capacità di mantenerla concentrata.
Non solo la ricezione, ma anche l'interpretazione degli stimoli percepiti è guidata dal contesto. Questo tipo di

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elaborazione "contestuale" è definita top-Down; perché sono le conoscenze generali, di livello superiore, a
determinare il riconoscimento delle unità percettive e di livello più semplice.

L'assuefazione

L'assuefazione è quella situazione in cui, dopo un periodo di esposizione prolungata, uno stimolo costante perde
la sua capacità attrattiva. Diventiamo assuefatti agli oggetti quotidiani, nei messaggi abituali, ai rumori costanti
mettendo di percepirli, agli enormi cartelloni pubblicitari che investono vostri monumenti in restauro. Se,
tuttavia, vi è un mutamento nello stimolo cui siamo assuefatti, immediatamente questo verrà notato nella nostra
attenzione sarà di nuovo vigile. Come indicato da Williams (1988), per certi versi percepiamo per
differenziazione; il che significa che la nostra attenzione è attirata da oggetti e situazioni che in qualche modo
differiscono dal nostro livello precedente di adattamento e di assuefazione. Oltre all'esigenza del controllo, si
riconosce all'uomo una caratteristica particolare, che consiste nella voglia di esplorare, di giocare e di
incuriosirsi. L'eccitamento, l'emozione del rischio e la novità nascono dall'esigenza di modificare propri schemi
attraverso nuovi stimoli. È dimostrata inoltre l'esistenza di una particolare caratteristica di personalità che
distingue i cosiddetti sensation seekers (cercatori di emozioni) ovvero quei soggetti con una "soglia di
annoiabilità" molto più bassa degli altri. Questi soggetti sono alla continua ricerca di stimolazioni sensoriali
nuove, diverse, forti.
Tra le varie spiegazione di questo fenomeno vi è quella che riconduce tutto a una società in cui viviamo ormai
spinta verso gli eccessi e la disinibizione, una società del no-limits: ciò provoca un continuo bisogno di emozioni
intense. Spesso infatti negli spot pubblicitari nei programmi televisivi assistiamo ad azioni esagerate o messaggi
che incitano alla ricerca di emozioni forti.
La regolarità in un mondo complesso e l'innovazione esperienziale non si escludono a vicenda, ma si devono
intendere come estremamente complementari e interagenti. La novità è colta solo sulla base di uno schema di
riferimento solo in queste condizioni produce curiosità, esplorazione, eccitazione ludica. Infatti, uno stimolo che
riproduce perfettamente uno schema già noto determina abitudine, noia e disattenzione, mentre uno stimolo che
non coincide per nulla con gli schemi disponibili rischia di non essere percepito per nulla. Questa è una delle
ragioni per cui gli spot che richiamano schemi noti, evocando personaggio situazioni ben conosciuti, sono quelli
più apprezzati e di maggior successo. Oltre alle caratteristiche individuali, le proprietà fisiche dello stimolo
giocano un ruolo importante per attrarre l'attenzione del consumatore. Tra queste vi sono l'intensità, la
dimensione, la posizione, il contrasto, la novità, la ripetizione e il movimento. Vediamo alcuni di questi aspetti
più in dettaglio:
✳ intensità: uno stimolo meno intenso tende a produrre maggiori assuefazione, anche se raddoppiare il
valore di uno stimolo non significa far accrescere proporzionalmente l'attenzione del consumatore.
✳ durata: gli stimoli che richiedono una maggiore esposizione per essere percepiti ed elaborati tendono a
produrre una più rapida assuefazione.
✳ posizione: fa riferimento non solo al luogo dove lo stimolo viene collocato, ma anche alla sua
dimensione e alle caratteristiche che lo distinguono da stimoli simili. Per esempio, a causa della nostra
abitudine a leggere da sinistra a destra è evidente che gli stimoli posizionati a sinistra del nostro spazio
visivo sono più facilmente percepiti
✳ discriminazione: stimoli “semplici” tendono a stancare poiché non richiedono un'elevata tensione
✳ contrasto: quanto più ampio è il livello di distinzione di uno stimolo rispetto a quelli tra i quali si trova,
tanto maggiore è la possibilità di attirare e mantenere attiva l'attenzione
✳ rilevanza: stimoli che sono ritenuti meno rilevanti o poco importanti tendono a produrre più
velocemente assuefazione.

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Ecco perché le aziende investono tempo e denaro per cercare di realizzare spot attraenti stimolanti tali da
invogliare lo spettatore a seguirli con attenzione e interesse.

L'organizzazione del processo percettivo

Un aspetto importante del processo percettivo e quello che permette l'organizzazione delle informazioni. I
consumatori classificano ciò che hanno percepito in categorie e per fare questo lavoro si servono delle categorie,
che hanno già preso di ritenuto in memoria. Il processo di categorizzazione si verifica in maniera rapida e
inconsapevole ed è estremamente utile per poter far fronte alla complessità del mondo esterno. È importante per
ciascuno di noi riuscire a identificare gli oggetti e le persone utilizzando le informazioni già immagazzinate in
categorie. Ogni categoria non è altro che un insieme di oggetti che hanno in comune una o più caratteristiche
perfettamente rappresentate dall'oggetto o dalla persona che rappresenta il prototipo della categoria. I film, le
favole dei bambini in messaggi pubblicitari sono colmi di rappresentazioni prototipiche, ovvero oggetti o
persone che rispecchiano perfettamente il prototipo di una specifica categoria: un personaggio "cattivo" verrà
pertanto presentato con le labbra piccole, gli occhi stretti, un viso spigoloso, inserito all'interno di un contesto
freddo con colori scuri, ambienti squallidi ecc., mentre il buono avrà grandi labbra di colore rosso, la pelle
chiara, un viso tondeggiante, con due grandi occhi blu. Questa stessa immagine la ritroviamo in tanti messaggi
pubblicitari in cui un bambino con queste caratteristiche ci convince della bontà del prodotto condividere la
stessa cultura, lo stesso linguaggio, gli stessi miti e leggende permette di condividere anche la stessa modalità di
attribuzione dei significati, un medesimo universo simbolico capace di dare un senso comune e condiviso alle
medesime cose. Per noi italiani la categoria "neve" richiama un unico significato, queste molto diverso da quello
degli eschimesi che distinguono 21 tipologie di neve.
Queste considerazioni non valgono solo per gli oggetti, ma anche nel caso dell'impressione che ci facciamo degli
altri, a volte per giudicare un estraneo ci serviamo di poche informazioni, pochi elementi bastano per costruire
l'impressione di una persona. Uno dei più noti esperimenti in merito a questo processo di categorizzazione
sociale è stato realizzato da Asch (1946), il quale ha dimostrato come da una lista di aggettivi e di elementi che
descrivono una persona è possibile avere un'idea comune condivisa delle caratteristiche di personalità della
persona stessa (modello configurazionale). Asch ha somministrato un gruppo di persone una lista di aggettivi
(intelligente, competente, industrioso, caldo, determinato, pratico, prudente) per avere una descrizione pressoché
condivisa da tutti di una persona generosa, sincera, che vuole che gli altri capiscano il suo punto di vista. Oltre a
questa immagine condivisa dalle persone che avevano letto la lista di aggettivi, Asch ha dimostrato l'esistenza di
alcuni elementi centrali capaci di modificare radicalmente l'immagine della persona. Bastava sostituire
l'aggettivo caldo con freddo per avere un'impressione profondamente diversa. Asch ha contribuito
significativamente all'applicazione delle teorie gestaltiche in campo sociale e ha voluto dimostrare che
l'impressione che ci facciamo degli altri è sempre più della semplice sommatoria delle parti. Secondo i principi
della Gestalt, le persone non percepiscono gli stimoli in maniera isolata. Il nostro cervello tende a elaborare in
maniera automatica le informazioni, servendosi anche degli schemi già immagazzinati per dare senza significato
a quanto viene percepito. In questo processo intervengono alcuni principi organizzatori: questi sono la vicinanza,
la somiglianza, la chiusura, la continuità di direzione, la buona forma e l'esperienza passata.

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Secondo il principio della vicinanza a parità di condizioni le parti vicine di un insieme percettivo si organizzano
nella formazione di un margine dando luogo a un'unità figurale. Così all'interno di una stessa "scena", gli
elementi tra loro vicini vengono percepiti come un tutt'uno. La vicinanza di prodotti e servizi può creare un
tutt'uno. Ralph lauren è riuscito a legare diversi stimoli proponendo immagini sempre accostate fino a giungere
alla percezione di un insieme: la linea Polo, le immagini dei country-club, il piacere del classico

Secondo il principio di similitudine all'interno di una stessa "scena" di elementi tra loro simili per forma, colore
e dimensione, vengono percepiti come collegati

Secondo il principio della chiusura, le linee e le forme familiari vengono percepite come chiuse complete, anche
se graficamente non lo sono.

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Secondo il principio della figura sfondo le persone vengono percepite prima di tutto va proprio contorno, mentre
il resto viene inteso come sfondo.

A parità di altre condizioni, secondo il principio della continuità di direzione, si impone quella unità percettiva
cui margine offre il minor numero di cambiamenti o interruzioni. La buona forma è quel principio secondo il
quale il campo percettivo si fermenta in modo che ne risultino unità e oggetti percettivi per quanto possibile
equilibrati, armonici appunto di buona forma. Infine, il principio dell'esperienza passata incide sulla percezione
degli stimoli in modo tale da favorire la costituzione di oggetti con i quali abbiamo familiarità, che abbiamo già
visto, piuttosto che forme sconosciute o poco familiari. Secondo la Gestalt la percezione visiva dipende
dall'organizzazione delle percezioni e non funziona atomisticamente, ma nella totalità (la mente completa parti
coperte di figure, interpreta come righe seguenti punti eccetera).

La percezione dei rischi

in un contesto sociale complesso e in continuo cambiamento si manifesta quello che Siri (2001) indica come uno
dei "difetti" maggiori del sistema dell'Io: esso, quanto più lavora sotto stress tanto più tende a irrigidire gli
schemi e i pregiudizi che governano il suo operare, nel tentativo di garantirsi una rappresentazione rassicurante
di sé e delle cose. Questa ricerca di coerenza e di stabilità la ritroviamo in diversi contesti e dinamiche, anche
nelle dinamiche percettive dei messaggi e delle comunicazioni, come per esempio quelli fondati sulla paura e la
loro efficacia, i fear arousing appeals. Si tratta di quei messaggi che inducono a confrontarsi con la paura,
l'angoscia e il senso di impotenza che derivano dalla rappresentazione di situazioni a rischio, cioè situazioni in
cui l'individuo viene a trovarsi per aver adottato comportamenti irresponsabili, in primis verso se stesso, e spesso
anche nei confronti dei propri simili. Anche questi messaggi devono fare i conti con le difese percettive. Il
fearing arousing appeal ha sempre avuto un ruolo importante all'interno della pubblicità sociale. La pubblicità
sociale ha infatti una funzione didattico\pedagogica. La sua finalità è quella di indicare soluzioni di utilità
collettiva, e pertanto risulta talvolta istintivo ritenere che lo strumento della paura debba essere un utile
strumento per la progettazione del contenuto dei messaggi. Esiste tuttavia il pericolo che messaggi impatto
troppo forte attivino nell'individuo una sorta di meccanismo di difesa che lo porta rimuovere un'esperienza
traumatizzante. È stato riscontrato che l'uso della paura a un risultato efficace solo in particolari condizioni. Tra
queste vi è la necessità di offrire una soluzione che sia percepita realmente e facilmente applicabile per
scongiurare gli effetti spiacevoli. Quando la paura è elevata da persone possono respingere le informazioni e non

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dargli conto. Anche contesti sociali culturali incidono sulla capacità delle persone di poter recepire i messaggi
persuasivi caratterizzati dalla paura. In un contesto come quello anglosassone è possibile assistere a messaggi
pubblicitari che fanno uso di scene particolarmente cruente paurose, in Italia ciò non è possibile. Affinché un
appello possa essere percepito e non vengano attivati filtri percettivi occorre che sia costruito in modo
sufficientemente realistico, senza quell'eccesso di orrore che provoca il rifiuto del destinatario e soprattutto che
sia costruito nel rispetto delle differenziazioni culturali che possono contribuire a dare senza significato
all'immagine. In particolare, la pubblicità sociale, come anche quella commerciale, vive di un continuo
interscambio tra ragione ed emozione, poiché è proprio grazie a questa combinazione che messaggi acquistano
efficacia. Il problema sta quindi nell’equilibrare questi due elementi. Lo studioso Kapfere fa riferimento a come,
in realtà, i messaggi, pur caratterizzandosi per una loro modalità espressiva particolare, siano il risultato di più
variabili che interagiscono con quella principale. L’impatto quindi dipenderà dalla combinazione delle variabili
presenti, in quanto ogni combinazione avrà un effetto diverso sulle interferenze tra le reazioni emotive e i
trattamenti dell’informazione.

Box l'efficacia dei Fear arousing appeals in ruolo delle istruzioni di coping

La percezione della qualità dei prodotti e il paese di origine

Il termine qualità è sempre più utilizzato per descrivere il valore che ci aspettiamo da un prodotto o da un
servizio. La qualità di un prodotto deve però fare i conti con la soggettività di chi vanta piccola percezione che
ha dei suoi attributi. I consumatori sono sempre più stimolati a dare indicazioni in merito ai propri sentimenti,
alle loro opinioni e alle proprie emozioni in riferimento al prodotto o al servizio, per cercare di dare senso a una
parola tanto carica di valenze simboliche quanto difficile da definire a priori. È realmente difficile comprendere
il significato profondo del termine qualità, uno dei rischi maggiori e quello di confondere la qualità del prodotto
con i riferimenti puramente tecnici e aspetti esclusivamente superficiali.
Per molte imprese qualità è una norma scritta, la famosa normativa ISO 9000. Si tratta di un insieme di
normative internazionali sulla base delle quali tutti processi aziendale sono stati ridisegnati secondo un modello
razionalistico.
La qualità a cui fa riferimento il consumatore è un importante insieme di elementi di un prodotto o di una marca
per fronteggiare con successo una competitività crescente. In questo caso una prima definizione di qualità è
relativa alla capacità naturale fare nella maniera più compiuta le istanze di base del consumatore, ovvero la
capacità fornire come minimo ciò che il consumatore si aspetta. Ma non basta. Oltre a ciò che il prodotto deve
offrire vi sono alcuni attributi che rispondono alle aspettative del consumatore e altri attributi che contribuiscono
alla valutazione soggettiva di "qualità". L’importanza di un’attenta valutazione del grado di customer satisfaction
nasce proprio dall’esigenza di misurare il grado di soggettività della qualità di un prodotto o di un servizio. La
qualità acquista quindi una valenza multidimensionale.
A volte gli elementi che contribuiscono alla qualità di un prodotto rischiano di essere in contrasto tra di loro. Per
esempio, la qualità soggettiva percepita dai consumatori relativamente a un'auto può essere garantita per alcuni
dal comfort, per altri dalla sportività, per altri ancora dalla sicurezza o dall'innovazione tecnologica. Come dice
Fabris (2003), la qualità deve essere sempre più considerata e studiata come elemento complesso e
multidimensionale di un prodotto o servizio, capace di garantire un certo polisensualissimo, di determinare forti
emozioni e di stimolare la sensazione che il prodotto sia ricco e significativo, capace di essere attuale
culturalmente, di generare esperienze nella sua globalità senza ridursi a un suo aspetto o a un suo attributo,
capace di rapportarsi con la dimensione economica e di garantire originalità e distintività rispetta ciò che offre il
mercato. La percezione della qualità di alcuni prodotti deve fare i conti con alcune convinzioni e credenze
difficili da modificare. I prodotti realizzati nel proprio paese in genere sono percepiti di migliore qualità rispetto

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a come questi stessi prodotti vengono percepiti dai consumatori di altri paesi così come prodotti provenienti da
paesi industrializzati sono percepiti di migliore qualità rispetto a quelli provenienti da paesi in via di sviluppo. I
prodotti vengono dunque percepiti in funzione della loro origine il legame, a volte assolutamente irrazionale e
ingiustificato, tra prodotto il paese di origine ma a volte effetti positivi e altre volte effetti molto negativi, poiché
per un processo di generalizzazione (effetto "alone") gli aspetti negativi di un paese possono essere generalizzati
a tutti prodotti di quel paese. Questi stereotipi rischiano di stimolare valutazioni superficiali e ingiustificate.

CAPITOLO 3 – I processi di apprendimento e i comportamenti di consumo


Introduzione

Fin dalla nascita noi apprendiamo. Apprendere significa riconoscere, associare e ricordare. Attraverso
l’associazione di un prodotto a un ricordo si crea la possibilità di un legame che si chiama fedeltà alla marca o
semplicemente riconoscimento della marca di un prodotto. L’apprendimento non si può osservare direttamente.
Possiamo infatti solo osservare il risultato di un processo che prevede degli input e un comportamento finale.
Secondo Hilgard e Bower (1975) il concetto di apprendimento si riferisce al cambiamento del comportamento di
un soggetto di fronte ad una data situazione per il fatto che quella situazione sia stata sperimentata ripetutamente.
Affermare che il comportamento del consumatore è in continuo cambiamento, significa riconoscere che il
consumatore evolve continuamente in base alla sua storia personale, l’influenza del gruppo di appartenenza,
influenza culturale etc. questo significa che lo studio di questi fenomeni difficilmente produce soluzioni valide
nel tempo e nello spazio perciò i dati sui consumi devono essere circoscritti ad un determinato prodotto o
servizio, ad un particolare gruppo di consumatori, così come ad uno specifico contesto spazio temporale.
L’apprendimento implica cambiamento: per apprendimento si intende qualsiasi cambiamento relativamente
stabile che si verifica in conseguenza di un’esperienza o di un’abitudine. È un processo che implica
un’esperienza diretta o indiretta con un oggetto, prodotto, situazione o persona. I consumatori apprendono
preferenze o predisposizioni a comprare certe marche, a preferire certi luoghi d’acquisto e di conseguenza
cambiano i loro comportamenti. Il cambiamento può essere innescato da nuovi stimoli che possono far cambiare
i comportamenti. Affinché il cambiamento sia duraturo è necessario che l’esperienza del prodotto sia
soddisfacente e coerente con le aspettative create dal messaggio pubblicitario. I consumatori continuano ad
apprendere le regole che possono permettere la soddisfazione dei loro bisogni e delle loro esigenze. Molti,
infatti, non sono in grado di soddisfare quei bisogni che possono permettersi o a soddisfare in maniera vicaria
quelli che sono fuori dalla sua portata. Quindi, l’intero comportamento dei consumatori è un comportamento
appreso.
Si tratta quindi di un processo complesso in quanto la modifica continua del comportamento del consumatore
impone un costante sforzo di revisione di strategie di marketing e l’esigenza di comprendere i processi di base
che caratterizzano l’apprendimento e il continuo mutamento dei comportamenti dei consumatori.
Altro aspetto importante e che i cambiamenti comportamentali che costituiscono l’apprendimento hanno un
valore adattivo. Il valore adattivo è stato studiato da Darwin (definito primo teorico moderno
dell’apprendimento). Nella sua teoria l’apprendimento rappresenta uno dei 2 meccanismi principali che
assicurano la sopravvivenza di un organismo che si adatta in maniera rapida alle molteplici richieste di
cambiamento provenienti dall’ambiente. Il meccanismo è costituito dalla selezione delle caratteristiche che
permettono alla specie di adattarsi alle variazioni macroscopiche dell’ambiente. La selezione naturale agisce
innanzitutto sul comportamento e solo in un secondo momento sulla struttura biologica; gli organismi che si
comportano in modo adattivo sono favoriti nella competizione per la sopravvivenza e ancora di più lo sono

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quelli che sono in grado di apprendere comportamenti adattivi. Nell’apprendimento, tra tutte le interazioni che
un organismo instaura casualmente con l’ambiente, verranno selezionate quelle che sono seguite da conseguenze
positive (cioè adattive) per l’organismo. Queste acquisizioni trasmesse alle generazioni successive, danno luogo
all’evoluzione culturale della specie. L’apprendimento è quindi il meccanismo individuale attraverso il quale si
realizza l’evoluzione culturale. Nella ricerca sui consumi, il valore adattivo dell’apprendimento consente ad un
organismo di interagire nel modo migliore con l’ambiente.
Attraverso la ripetizione le persone apprendono un’innumerevole quantità di cose anche accidentalmente.
Nell’apprendimento incidentale infatti non vi è volontà di apprendere nuovi comportamenti anche se ciò avviene
in maniera inconsapevole. A volte ha una valenza molto più forte di altre forme di apprendimento. Brehm parla
di teoria della reattanza secondo la quale quando le persone percepiscono di essere state private della loro
libertà, esercitano una resistenza (reattanza) e cercano di riaffermare la loro libertà e la loro capacità di controllo.
L’apprendimento incidentale si differenzia da quello basato sulla descrizione che prevede un processo di
acquisizione di informazioni anche attraverso esperienze vicarie. L’apprendimento può avvenire in maniera
diretta o indiretta.
Alla base del processo di apprendimento vicario (indiretto) vi è l’abilità umana di riconoscere le emozioni senza
la mediazione della razionalità. Con questo infatti non solo riusciamo a capire razionalmente quali sono i
comportamenti da avere per ottenere un premio o evitare una punizione ma riusciamo a vivere la medesima
esperienza emotiva come se agissimo in prima persona. Nell’apprendimento vicario il consumatore tende ad
associare il brand o il prodotto con l’emozione generata e rappresentata dal modello testimone, vedendo in quel
brand lo strumento sociale che permette di ottenere premi e punizioni. Si può così apprendere osservando il
comportamento di un attore. In generale le persone imitano comportamenti di altri se questi sono seguiti da
effetti positivi, mentre li evitano se seguiti da conseguenze negative.
L’altra forma di apprendimento deriva dall’esperienza diretta. L’apprendimento diretto prevede l’esperienza in
prima persona da parte del consumatore che elabora le variabili dell’esperienza e modifica di conseguenza il suo
comportamento passato. Naturalmente il processo non è così lineare ma l’elaborazione della propria esperienza
è sempre soggetta a possibili bias o errori di interpretazione. La stessa esperienza diretta avrà diversi significati
in funzione di una serie di variabili individuali, gruppali e culturali che porteranno a leggere quella particolare
esperienza in uno specifico modo.

Le teorie dell’apprendimento

Nessuna teoria riesce a piegare in maniera esaustiva il complesso processo di apprendimento. Il


comportamentismo fin dagli esordi si è occupato di apprendimento, focalizzandosi soprattutto sul tema
dell’associazione.
Le teorie associazioniste si fondano sul lavoro di Pavlov e Thornidike, i quali dicevano che per il processo di
apprendimento potesse essere spiegato soffermandosi sull’associazione tra stimolo e risposta. Le teorie
comportamentali infatti nascono dalla considerazione che l’apprendimento è il risultato di risposte ad eventi
prevalentemente esterni. La forma più semplice di apprendimento è l’associazione cioè la connessione di due
oggetti o eventi in un determinato tempo e luogo. Queste associazioni si sviluppano frequentemente grazie al
ripetersi delle connessioni tra due variabili come ad esempio l’associazione di una melodia ad un prodotto, o un
prodotto ad un jingle.
L’associazione è alla base dei tentativi di marketing di associare i valori di una marca ad un prodotto. La
pubblicità mira a sviluppare questo tipo di associazioni. Il rinforzo (le conseguenze di un comportamento
d’acquisto) sono un fattore fondamentale nella costruzione dell’associazione. Infatti, se si ottengono
conseguenze positive dal fare una particolare azione, come acquistare e consumare un tipo di prodotto, la
soddisfazione che ne viene fuori aumenta la probabilità che tale azione o comportamento venga ripetuto in

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futuro. In questo processo determinante è la forza della ricompensa, come lo è anche la motivazione poiché se
non si è motivati non si è in grado di apprendere associazioni.
Per le teorie comportamentali (condizionamento classico, condizionamento operante e modeling), il feedback
ricevuto a seguito di un comportamento rappresenta un fattore determinante del processo di apprendimento. Le
persone hanno piena consapevolezza che le azioni possono avere diverse conseguenze, le quali possono
comprendere la punizione, il rinforzo positivo, il rinforzo negativo (conseguenza positiva che deriva
dall’evitamento di qualcosa di spiacevole) e l’estinzione (mancanza di feedback, condizione che non porta alla
perdita di un particolare comportamento).

Il condizionamento classico
Il condizionamento classico descritto da Pavlov nell’esperimento della salivazione di un cane, si verifica quando
ad uno stimolo neutro si associa uno stimolo in grado di esercitare (stimolo incondizionato come il cibo) una
risposta incondizionata (come la saliva) ad uno stimolo neutro (il suono di un campanello o l’illuminarsi di una
lampadina). Dopo diverse associazioni, lo stimolo neutro si trasforma in stimolo condizionato, ovvero capace di
produrre la stessa risposta che solo lo stimolo incondizionato era in grado di attivare prima del processo di
associazione. Mentre Pavlov studiava l’attività digestiva dei cani si rese conto che introducendo nella bocca di
un cane della polvere di carne o soluzione acida, questo produceva una risposta involontaria e automatica,
ovvero salivazione. Tale riflesso venne chiamato risposta incondizionale o incondizionata.
Nel corso dei suoi esperimenti notò che l’animale iniziava a salivare prima che il cibo avesse raggiunto la bocca
e che quindi la salivazione era prodotta dalla vista del cibo o addirittura dal riconoscimento dell’uomo che
generalmente gli portava il cibo. Tale reazione non era sicuramente innata e naturale, evidentemente uno stimolo
insignificante aveva assunto per il cane un nuovo significato ovvero un segnale anticipatorio della comparsa del
cibo. Pavlov cosi durante l’esperimento presentò più volte al cane il cibo in grado di produrre la salivazione
associandolo al suono di un campanello. Il cane dopo un cero numero di associazioni tra stimolo neutro e
stimolo incondizionato apprese che il campanello era premonitore dell’arrivo del cibo. In questo caso
accoppiando i due stimoli, lo stimolo condizionato (precedentemente neutro) provocava una risposta di
salivazione del cane. Si era quindi verificato il condizionamento; un processo di sostituzione dello stimolo in
base al quale uno stimolo precedentemente neutro acquista la capacità di produrre la risposta che originariamente
veniva prodotta da un altro stimolo.
In pubblicità, molte promozioni e messaggi pubblicitari si ispirano al condizionamento classico, attraverso
associazioni di immagini positive capaci di produrre una risposta immediata e automatica con un prodotto che in
origine è neutro. L’associazione dell’immagine piacevole di un testimone con un prodotto neutro è un esempio di
condizionamento classico al mondo dei consumi. L’immagine del testimone agisce anche nei processi di
identificazione con i valori, i modi, gli stili di vita del testimone con cui si entra in contatto tramite la pubblicità
determinando una reazione piacevole alla vista del prodotto come a quella stimolata dal testimone. Il
condizionamento classico permette di associare ad alcuni prodotti degli stimoli capaci di generare emozioni forti
con l’obbiettivo di generalizzare tale emozione anche in relazione al prodotto. Ad esempio, alcuni spot televisivi
e radiofonici utilizzano la voce di famosi cronisti sportivi per evocare l’emozione che l’ascoltatore ha provato
durante eventi sportivi del passato. Nel condizionamento classico bisogna tenere in considerazione quattro
variabili:
1. Stimolo incondizionale (SI): è sempre in grado di provocare una risposta specifica da parte
dell’organismo. Incondizionata indica che è innata e naturale.
2. Stimolo condizionale (SC), in partenza stimolo neutro (SN): se viene associato a quello incondizionale
dopo un certo numero di presentazioni riesce a svolgere la stessa funzione producendone la risposta
specifica.
3. Risposta incondizionale (RI): risposta specifica prodotta da uno stimolo incondizionale (la saliva
prodotta dalla polvere di carne).

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4. Risposta condizionale (RC): risposta allo stimolo condizionale. Da un punto di vista sostanziale non si
differenzia da quella incondizionale se non per esserne di poco interiore in termini di ampiezza.

Le applicazioni del condizionamento classico al mondo dei consumi


Tutto il processo non si esaurisce nell’associazione di uno stimolo con un altro, infatti grazie al processo di
generalizzazione dello stimolo, l’effetto dello stimolo condizionato può generalizzarsi a tutti gli stimolo simili.
Secondo questo processo gli organismi possiedono la capacità di reagire a situazioni di stimolo simili in modo
simile. Questa infatti è una caratteristica intrinseca dell’apprendimento: solo grazie alla possibilità di
categorizzare la novità e di generalizzare su tale categorizzazione è possibile apprendere. Il processo di
generalizzazione degli stimoli serve a dare stabilità e coerenza al comportamento degli individui in un ambiente
altamente variabile. Nella promozione di un prodotto la generalizzazione è importante poiché un’associazione
positiva che si è creata con la pubblicità di una marca può ampliarsi e generalizzarsi a tutti i prodotti simili o
appartenenti a quella stessa marca. Esempio i prodotti Kraft “cose buone dal mondo” sono tutti buoni o li
percepiamo così perché generalizziamo il grado di bontà a tutti i prodotti che fanno parte della famiglia Kraft. La
marca in questo caso diventa garante di valori, di benefici e caratteristiche specifiche dei prodotti che
distribuisce. Barilla ricopre una serie di prodotti che vanno da quelli categorizzabili come paste, ai prodotti di
panetteria fino ad avere product line extension con sughi pronti. Secondo questa tecnica si associa un brand che
ha acquisito una certa notorietà a una nuova linea di prodotti, permettendo quindi di generalizzare i valori e i
significati acquisiti e attribuiti al brand di un nuovo prodotto. La tecnica del licesing prevede poi una forma di
affitto del brand ad altre aziende per rinforzare l’immagine di un prodotto o di un altro brand. Un’ altra tecnica è
quella che sfrutta la similarità dei marchi (lookalike packaging) che stimola una generalizzazione del valore del
marchio originale a quello simile.
Il trasferimento del significato da uno stimolo incondizionato a uno condizionato (il nostro prodotto o marca)
spiega perché nomi come Malboro, Coca Cola o Rana hanno una valenza e un potere evocativo molto forte nei
confronti dei consumatori. Giovanni Rana nel 1990 diventa testimone delle campagne pubblicitarie della sua
azienda per garantire in prima persona la qualità e la bontà dei suoi prodotti. Ha avuto il coraggio di esporre la
propria faccia a garanzia del prodotto. Oggi il brand Rana è strettamente associato all’immagine del suo
produttore e tale associazione è immediata per tutti i consumatori, anzi sembrerebbe che tale associazione rischi
di coprire il prodotto stesso. Infatti, negli ultimi spot appare per pochi attimi.
Queste associazioni condizionate mirano soprattutto a creare una positiva brand equity e quindi associazioni
forti, favorevoli e uniche. Tale associazioni sono molto importanti perché attraverso queste i consumatori
deducono la capacità della marca di soddisfare i propri bisogni. Nel processo di condizionamento grande
importanza ha la ripetizione e la frequenza dell’associazione. Krugman ha indicato che nella pubblicità è
importante che ci siano almeno tre forti esposizioni per iniziare ad avere un’associazione efficace:
✳ La prima che crei la consapevolezza dell’esistenza del prodotto
✳ La seconda che contribuisce a sottolineare la rilevanza
✳ La terza che ha funzione di richiamo alla memoria dei consumatori.
L’effetto del condizionamento si basa sul fatto che lo stimolo incondizionato viene presentato un numero
significativo di volte insieme allo stimolo condizionato. La ripetizione aumenta la forza dell’associazione
stimolo risposta e ne favorisce la memorizzazione. Molte campagne pubblicitarie classiche si basano sulla
produzione di uno slogan che se ripetuto un numero elevato di volte non può che rimanere nella mente del
consumatore. Allo stesso modo se viene meno il feedback e se lo stimolo condizionato viene presentato senza lo
stimolo incondizionato, si ha una notevole riduzione del comportamento appreso. Questo processo di chiama
estinzione intesa come diminuzione della forza della risposta. Come alcune conseguenze rinforzano i
comportamenti, la mancanza di queste li indebolisce progressivamente.
Oltre alla generalizzazione, il processo inverso si chiama discriminazione dello stimolo ed è il grado con cui un
organismo è capace di reagire in modo differenziato e specifico agli eventi stimolo presenti nell’ambiente:

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quando un’organizzazione apprende a rispondere ad uno stimolo e non a un altro si è verificato un processo di
discriminazione. Tale processo conferisce specificità, varietà e flessibilità al comportamento degli individui.

Il condizionamento operante
I comportamenti di consumo sono determinati dall’effetto che producono. Se otteniamo soddisfazione e piacere
la probabilità di ripetere il comportamento che ci ha provocato tale sensazione sarà sicuramente molto alta.
Questo processo è il risultato di un condizionamento definito operante. Mentre il condizionamento classico è
caratterizzato dal processo di associazione tra due stimoli; il condizionamento operante secondo Skinner (1938)
si basa sul ruolo delle conseguenze di un comportamento. Il condizionamento operante prende questo nome dal
fatto che il ruolo dell’individuo è maggiormente attivo: l’individuo agisce e continuerà ad agire in funzione del
tipo di conseguenza che riceve. Le conseguenze infatti possono modificare la probabilità che il comportamento
che le aveva prodotte si verifichi ancora; esse possono quindi rendere un apprendimento o un comportamento già
stabilizzato più forte, ovvero più probabile, o meno. Questa possibilità rappresenta nel campo dei consumi, uno
dei principali obiettivi dei responsabili marketing di un prodotto specifico.
L’uso finalizzato delle conseguenze, ovvero la somministrazione di ricompense e punizioni in un contesto
sperimentale per individuarne le regole, i principi e le funzionalità, si deve allo psicologo americano Skinner, il
quale svolse una precisa analisi sistematica del rapporto tra un comportamento e le conseguenze naturalmente
prodotte dall’ambiente.
Il metodo proposto da Skinner è lo Skinner box una gabbia a prova di luce e suono nella quale un operandum
(una leva che veniva premuta da un ratto o un disco di luminoso beccato da un piccione) era collegato ad un
meccanismo di erogazione programmata di conseguenze ( un dispensatore di cibo o acqua e una sorgente di
stimolazione negativa) e a un registratore di risposte. La procedura prevedeva un periodo di deprivazione di cibo
al ratto che esplorava la gabbia, ed entro 10-15 minuti premeva casualmente la leva. La pressione esercitata sulla
leva dal ratto portava all’erogazione del cibo all’interno di una vaschetta. Fu osservato che il ratto una volta
mangiata la pallina di cibo ricominciava a curiosare per la gabbia premendo ancora la leva. Tutte le risposte
registrate su un grafico mostrarono come le pressioni diventavano sempre più frequenti e l’intervallo che
separava l’una dall’altra sempre minore. Questo processo fu integrato con un elemento aggiuntivo, facendo si
che a volte il cibo fosse erogato dalla pressione e a volte no. Inoltre, la leva fungeva anche da elemento
anticipatorio delle conseguenze. Appare chiaro come nel condizionamento operante la conseguenza cibo rinforza
il comportamento che ne ha prodotto l’erogazione. Quindi le conseguenze che possono incrementare o ridurre la
probabilità dell’azione sono 4:
• rinforzo positivo: è uno stimolo che rafforza una determinata classe di risposte. Gli esempi nella vita
sono infiniti, dalla buona riuscita di un’interrogazione ai complimenti per l’eleganza nel vestire.
Ottenere un rinforzo positivo facilita l’apprendimento di un nuovo comportamento o il rafforzamento di
un’abitudine.
• rinforzo negativo: È uno stimolo che rafforza un comportamento mediante la sua rimozione. È’ quella
conseguenza che rafforza quei comportamenti che ci hanno permesso di evitare qualcosa di spiacevole,
come per esempio svegliarsi presto la mattina per arrivare puntuali in ufficio onde evitare il rimprovero
del capo. Molti messaggi pubblicitari si servono del messaggio che sottolinea l’importanza
dell’evitamento di qualcosa di spiacevole. Comprare un profumo per evitare di non essere apprezzati è
un comportamento che si basa sul rinforzo negativo.
• Punizione: È l’ottenimento di qualcosa di spiacevole e tende a inibire o a ridurre un comportamento. La
punizione diminuisce temporaneamente l’intensità o la frequenza del comportamento che segue ma non
lo elimina completamente, esso infatti ricompare e addirittura la punizione può avere l’effetto
paradossale di impedire che si verifichi questo processo di disapprendi mento chiamato estinzione. Non
basta aumentare le punizioni perché si riduca un determinato comportamento, si pensi ad esempio alle
droghe. La punizione non cancella l’apprendimento del comportamento che segue, ma dà luogo con

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temporaneamente all’apprendimento di altri comportamenti, primo fra tutti quello dell’apprendimento di
reazioni emotive condizionate che interferiscono con gli apprendimenti successivi. Un individuo che
viene punito continuamente presente disturbi emozionali forti come paura, ansia, aggressività. Un’altra
risposta che viene appresa dopo una punizione è la risposta di evitamento che si traduce in qualunque
comportamento possa prevenire un’altra punizione.
• Estinzione: È la diminuzione della forza della risposta. La velocità con cui avviene il decremento del
comportamento dipende dalla storia di apprendimento dell’individuo. Se siamo abituati a trovare sempre
e comunque il nostro prodotto preferito sullo scaffale del supermercato, non trovandolo dopo un
determinato numero di tentativi ci rivolgiamo all’addetto per chiedere spiegazioni. Se invce siamo
persone abituate a non trovare subito quel prodotto perché per esempio è esotico, prima di desistere e
chiamare l’addetto, faremo una serie di tentativi guidati dall’esperienza passata grazie alla quale
abbiamo appreso che è difficile reperire quello specifico prodotto. Il primo comportamento è basato su
una storia di apprendimento normale che produce una bassa resistenza all’estinzione. Il secondo
comportamento deriva da un apprendimento particolate, controllata da un modello di rinforzo
intermittente e che produce un’alta resistenza all’estinzione. Quando il rinforzo è discontinuo, la risposta
tende a persistere a lungo e l’apprendimento è molto più efficace.
Il rinforzo è un evento-stimolo che ha come effetto quello di rafforzare, cioè rendere più frequente e probabile un
comportamento.

Le applicazioni del condizionamento operante nei consumi


Nonostante la tecnica del condizionamento operante sia molto utilizzata in marketing la letteratura scientifica sui
consumi ancora oggi non ha gli ha dato una particolare attenzione. Nel 1976 alcuni autori tra cui Carey, avevano
dimostrato l’utilità del rinforzo nella vendita. Questi autori avevano diviso un gruppo di clienti di una gioielleria
in tre diversi gruppi: il gruppo a) veniva ringraziato telefonicamente per essere stati clienti, il gruppo b) venne
ringraziato per lo stesso motivo ma veniva informato di promozioni aggiuntive e il gruppo c) gruppo di
controllo, non veniva fatto alcun ringraziamento. Durante il mese di studio si rilevò un aumento delle vendite del
27% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Tale aumento era dovuto per il 70% al gruppo a) e per il
30% al gruppo b). il terzo gruppo non aveva contribuito affatto all’aumento delle vendite. L’uso del
condizionamento quindi può portare a importanti risultati per le imprese.
Un fattore importante del condizionamento operante è il modo di presentazione delle conseguenze (schemi di
rinforzo). La presentazione dei rinforzi può essere di vario tipo: continuo o ad intervalli. Il più semplice è quello
continuo, che dà luogo ad una curva di apprendimento rapida ma ad una bassa resistenza all’estinzione. Infatti,
un comportamento appreso tramite rinforzo continuo non si mantiene a lungo una volta che il rinforzo non sia
più in azione. Un modello di rinforzo simile a quello che si può trovare in natura è il rinforzo intermittente, nel
quale una sola parte dei comportamenti è seguita da un rinforzatore. Il rinforzo intermittente è stato studiato con
diverse modalità: i modelli di rinforzo ad intervallo in cui il rinforzatore è funzione della dimensione temporale e
i modelli di rinforzo a rapporto in cui il rinforzo avviene per quantità. Si hanno così quattro diverse modalità di
azione:
1. rinforzo a intervalli fissi: ovvero la distribuzione di rinforzi dopo un determinato intervallo di
tempo. Ecco perché ci affrettiamo a comprare quando ci sono i saldi e rallentiamo questo
comportamento quando i saldi non ci sono.
2. rinforzo a intervalli variabili: il consumatore non sa dopo quanto tempo riceverà la ricompensa e
perciò il suo comportamento sarà sempre attivo ed energico. Se pensiamo alla scuola, non sapendo
quando il prof avrebbe interrogato ci tenevamo ogni giorno pronti. (solo lui perché credo che noi
tutti che stiamo leggendo mai)

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3. rinforzo a rapporti fissi: il rinforzo viene dato dopo un numero ben preciso di comportamenti
corretti. Questa è la tecnica utilizzata dalle fidelity cards, per cui per ogni comportamento d’acquisto
coincide la certezza di avere punti il cui accumulo permette la vincita di un premio.
4. rinforzo a rapporti variabili: non si hanno indicazioni su quanti comportamenti corretti bisogna
avere prima di ottenere una ricompensa, come nel caso delle slot machine.
Altro processo di apprendimento graduale che si basa sulle tecniche di rinforzo e viene utilizzato dagli esperti di
marketing è lo shaping (modellaggio). Un venditore di assicurazioni non chiederà mai al suo cliente di firmare
un documento se non dopo averlo condotto step by step fino all’obiettivo. Rinforzerà l’interazione attraverso
l’utilizzo del linguaggio non verbale, con ammiccamenti e sorrisi. Molti di questi messaggi infatti sono semplici
rinforzi che gratificano l’interlocutore che servono ad arrivare all’obbiettivo della vendita. Tale metodologia si
basa sui processi di generalizzazione e discriminazione.
All’interno del punto vendita i consumatori sono attratti da quelli che vengono definiti prodotti civetta che
calamitano l’attenzione di questo. Il consumatore una volta entrato nel luogo di consumo, potrebbe acquistare
prodotti più redditizi per l’azienda. Il prodotto civetta è sola una scusa per rinforzare la possibilità di utilizzare
un luogo di vendita. Anche le vendite soddisfatti o rimborsati funzionano così.

L’apprendimento per insight

Riepilogando, la differenza tra condizionamento classico e operante è che il primo avviene in maniera
automatica senza la consapevolezza del consumatore e l’apprendimento è il risultato di un’associazione. Il
secondo invece più complesso e spiega come i consumatori apprendono attraverso prove ed errori.
A volte apprendiamo un comportamento attraverso l’insight. Studiato già da Kotler nel 1968, non è altro che una
forma di intuizione che ci permette di trovare una soluzione a volte molto innovativa per risolvere un problema
o un quesito. Questo deriva dalla capacità di essere flessibili, dall’uscire da schemi precostituiti. È un processo di
apprendimento studiato dalla psicologia cognitivista che si è occupata dell’elaborazione delle informazioni, dei
processi di categorizzazione degli stimoli etc. L’attenzione per la mente da parte del cognitivismo porta ad un
superamento del comportamentismo, concentrandosi sulla mente non più come magazzino nel quale si
accatastano conoscenze, ma bensì una struttura assai elaborata e connessa. Viene abbandonata l’idea della
memoria come passiva e vengono alla luce dei dati centrali: tanto più la conoscenza è strutturata tanto più facile
è memorizzare. La struttura è tanto più potente quanto ramificata e connessa con altre. A questo modello si può
fare risalire l’apprendimento e la memorizzazione delle mappe cognitive. Anche per il processo d’acquisto,
l’utilizzo delle mappe è molto interessante. Ognuno di noi infatti ha delle mappe più o meno elaborate che
indicano dove alcuni prodotti dovrebbero essere in un particolare negozio.

L’apprendimento per imitazione

Il processo di apprendimento per imitazione viene definito modeling da Albert Bandura e consiste nel processo
attraverso cui una persona osserva l’azione di un modello (affascinante, attraente prestigioso). In questo caso le
ricompense ricevute dagli altri in maniera indiretta rappresentano una forma di rinforzo del comportamento
osservato. Il modeling parte dalla considerazione che il termine esperienza non si riferisce solo al contatto diretto
con le cose, eventi e conseguenze di un comportamento ma anche esperienze indirette e conseguenze mediate, la
cui azione è stata vista su altre persone. Presupposto del modeling è l’apprendimento osservatorio, che implica
un modello e un osservatore. Se la frequenza del comportamento dell’osservatore cambia in funzione del
comportamento del modello osservato si parla di modellamento. Tra i vari fattori che entrano in gioco nel
modellamento, primo fra tutti è il processo di imitazione, poi le proprietà di stimolo del modello (età, sesso,

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status e la somiglianza del modello con il soggetto), il tipo di comportamento del modello, ruolo del rinforzo e le
caratteristiche motivazionali dell’osservatore. Una donna che compra un determinato prodotto cosmetico
potrebbe ricordare l’effetto positivo che questo prodotto ha avuto in un gruppo di amiche. L’utilizzo del
testimonial in una campagna pubblicitaria si basa proprio su l’apprendimento per imitazione. In questo caso
infatti acquistare le marche che il proprio idolo usa significa non solo avere gli stessi benefici e le stesse
ricompense ma significa anche immaginarsi come il proprio idolo.
Tale apprendimento è stato studiato soprattutto da esperti dello sviluppo del bambino. Tra questi Albert Bandura,
che è il creatore della teoria dell’apprendimento sociale, che sostiene che l’uomo per sua natura tende a imitare
i modelli sociali, e quindi è proprio attraverso l’osservazione e l’imitazione che acquisisce comportamenti.
Secondo la teoria, l’apprendimento avviene anche grazie a quello che viene definito rinforzo vicariante:
osservando e ricordando che qualcuno viene premiato e lodato per un particolare comportamento, il soggetto che
osserva può essere incoraggiato ad imitarlo. Al contrario guardare un soggetto che viene punito suscita
comportamento opposto.
Anche se non fu lui a chiamarla così, Bandura formulò negli anni ‘60 la teoria del modellamento (modeling) che
indica come avviene il processo di influenzamento della comunicazione di massa sui comportamenti degli
spettatori. Essa consiste in diverse fasi:
1) lo spettatore vede/legge nel contenuto mediale una persona (il modello) che compie una determinata azione;
2) l’osservatore si identifica con il modello;
3) l’osservatore riconosce che il comportamento è funzionale cioè che produrrà un risultato desiderabile;
4) quando si trova in una situazione di stimolo, ricorda le azioni del modello preso in considerazione e riproduce
quel comportamento come risposta a quella situazione;
5) compiere l’azione riprodotta da all’individuo qualche ricompensa che fa sì che il legame tra stimolo e quella
risposta suggerita dal modello venga rinforzato;
6) il rinforzo positivo aumenta la probabilità che quella risposta venga ripetuta abitualmente dall’individuo.

Teoria della disinibizione: Secondo alcuni autori la visione prolungata di immagini violente desensibilizza il
soggetto ad un punto tale che scene di stupro di un film producano una riduzione del livello di ansia legato a quel
tema e minore empatia e solidarietà per le vittime. Con il concetto di emulazione si intende un processo
pericoloso che in questi ultimi anni abbiamo imparato ad apprendere. Proprio per evitare tale rischio molte
notizie di cronaca vengono comunicate cercando di non enfatizzarle eccessivamente.

Il ruolo della memoria e dei ricordi nei consumi

Il termine memoria si riferisce a informazioni o rappresentazioni interne basate su esperienze passate e in grado
di influenzare il comportamento futuro. Rappresenta quindi l’abilità cognitiva di acquisire, conservare e
utilizzare in un momento successivo le informazioni riguardanti il mondo intorno a noi e la nostra esperienza in
esso. Nel mondo dei consumi possiamo fare riferimento a diversi aspetti del processo mnemonico. Tra i vari, ad
esempio la capacità di un messaggio promozionale di un prodotto di essere ricordato nel momento della scelta o
ancora il ricordo di un’esperienza passata in relazione a quel prodotto o l’emozione provata per averlo posseduto
sono tutti elementi che incidono sulla scelta. I prodotti fungono da stimolazioni per rivivere o anche evitare di
rivivere esperienze passate. La nostalgia è un’emozione che viene molto utilizzata nella pubblicità per legare un
prodotto o servizio ad un momento storico pieno di ricordi positivi. Il termine nostalgia deriva dal greco nostos
(ritorno a casa) e algos (dolore) e fu coniato da un medico svizzero nel 1688 e utilizzato per descrivere una
precisa malattia. Poteva essere una sindrome privata o un morbo pubblico. Nel marketing si è consolidata una
branca chiamata marketing della memoria che crea prodotti e brand come tasselli principali nella costruzione di
identità e storie di gruppi e generazioni. La Nutella un tempo alimento d’élite, è stata riposizionata creando

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nuove occasioni di consumo. Sono stati creati legami forti con la tradizione ed il passato, da prodotto da
consumare di nascosto da soli a prodotto da condividere con gli amici.
Per capire i meccanismi che caratterizzano l’uso della memoria nel mondo dei consumi deve conoscere meglio il
processo mnemonico. La memoria è strettamente legata all’apprendimento, cosa e come un individuo ricorda
dipende da diversi fattori: la correlazione tra categorie, immagini ed esperienze, età dei soggetti, la frequenza
con cui un’immagine viene richiamata alla memoria. Il ricordo di un evento è soggetto ad una serie di alterazioni
determinate da diversi fattori tra cui l’emozione. La memoria non è mai uno specchio fedele della realtà ma il
risultato di un processo di elaborazione e rielaborazione delle informazioni. Si tratta di un processo di
attribuzione di causa che prende forma quando cerchiamo di spiegare un comportamento passato, attribuendo un
nuovo valore all’esperienza memorizzata e ricategorizzando l’esperienza stessa in maniera diversa. I ricordi di
relazioni affettive so no soggette a continue modifiche a causa delle emozioni che vi sono collegate.
L’abbandono di un partner trasforma i momenti più cari inesperienze amare modificando il ricorso. Si tratta del
cosiddetto processo di elaborazione del lutto che porta ad attribuire diversi significati all’esperienza e a
dimenticare la spiacevolezza dell’esperienza.
La memoria quindi non consiste in una semplice operazione di immagazzinamento di informazioni, di
elaborazione d’idee, sentimenti ed emozioni passate, ma in un processo dinamico, che coinvolge da un lato
meccanismi automatici e automatizzati, e dall’altro, un insieme di strategie tra cui hanno particolare importanza
il pensiero, l’attenzione e la percezione.

L’organizzazione della memoria e dei ricordi

Uno dei primi autori a occuparsi di memoria è stato Ebbinghaus (1885) che concentrandosi sull’oblio riteneva
fosse da attribuire al passare del tempo. Tale teoria conosciuta come legge del decadimento fu confutata sulla
base dei risultati sperimentali che misero in evidenza come non fosse il passare del tempo a causare l’oblio ma
quello che avviene tra l’apprendimento e il recupero dell’esperienza. Si parla perciò di interferenza: retroattiva e
proattiva.
• Interferenza retroattiva: avviene quando la nuova informazione inibisce il recupero dell’informazione
vecchia. Le info di un nuovo prodotto possono interferire con il ricordo di uno specifico prodotto.
• Interferenza proattiva: le informazioni vecchie agiscono inibendo il recupero delle info apprese
recentemente.
Lo studio dell’interferenza nella comunicazione mediatica è determinante affinché le informazioni siano
correttamente memorizzate. Alcuni studiosi dicono che quando singoli blocchi monotematici diventano troppo
consistenti è auspicabile attuare salti di argomento che portino ad un reset del sistema cognitivo di ricezione e
immagazzinamento della memoria. L’interferenza dimostra come il processo economico non è un semplice
rispecchiamento della realtà ma un continuo processo di riorganizzazione delle informazioni.
Alla fine degli anni 60, all’interno della prospettiva cognitivista dello Human Informating Processing, gli
psicologi Atkinson e Shiffrin, elaborano il primo modello della memoria che per immagazzinamento, che
distingue memoria a breve termine (MBT) da quella a lungo termine (MLT). La memoria è immaginata come
una sequenza di tre magazzini in cui passa l’informazione che non può essere elaborata da un magazzino se non
è stata filtrata da quello precedente. Il primo magazzino è definito memoria sensoriale, qui l’info rimane per
qualche secondo. Questo tipo di registro non richiede l’attenzione da parte dell’individuo e rappresenta la prima
forma di immagazzinamento degli stimoli con le loro caratteristiche sensoriali. Successivamente se si presta
attenzione alla stimolazione, l’informazione passa nel magazzino a breve termine che ha capacità limitata;
generalmente il limite è di sette elementi, questa permette all’uomo di mantenere in uno stato attivo una limitata
quantità d’informazioni per un breve periodo di tempo e compiere su tali info diverse operazioni. Infine, solo

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attraverso l’elaborazione e l’organizzazione degli stimoli, le info vengono concatenate (Chunking) con altre
informazioni e passano nel magazzino a lungo termine.
La memoria a lungo termine è costituita dall’insieme di rappresentazioni, fatti, immagini sentimenti, esperienze
che possono essere presenti per tutta la vita. Secondo Graft e Schacter nel magazzino a lungo termine è possibile
distinguere tra memoria implicita ed esplicita. Parliamo di memoria implicita quando esperienze precedenti
facilitano l’esecuzione di un compito che non richiede un recupero intenzionale di quelle stesse esperienze
(l’acquisto di routine di un prodotto ormai familiare non richiede ad esempio l’analisi di tutte le informazioni
disponibili) parliamo invece di memoria esplicita quando invece l’esecuzione di un compito richiede il recupero
consapevole di tali esperienze (acquisto di un prodotto ad alto rischio).
All’interno della memoria a lungo termine possiamo distinguere anche la memoria semantica e la memoria
episodica. La memoria semantica fa riferimento alle conoscenze che i consumatori hanno di un prodotto.
Rappresenta l’insieme di significati attribuiti ad un prodotto (es.: tutte le informazioni relative al cibo
giapponese); la memoria episodica invece fa riferimento all’insieme delle informazioni che hanno uno specifico
legame con un episodio o un momento. Es.: il ricordo di uno specifico ristorante giapponese mentre eravamo
rapiti dagli occhi del nostro partner che era con noi. Le strategie di comunicazioni tendono a attivare l nostra
memoria episodica, stimolando emozioni e vissuti. Un tipo di memoria semantica nel marketing è quella che fa
riferimento a come viene percepita l’immagine del brand (brand image) ad esempio l’immagine del baffo Nike
richiama alla mente una serie di concetti e significati che sono stati associati al brand; sportività libertà coraggio
etc.
Studiando la memoria con compiti di rievocazione, gli psicologi hanno osservato che se il tempo che intercorre
tra la presentazione di una lista di parole ed il ricordo di queste è breve, è più probabile che i soggetti ricordino le
parole che si trovano verso l’inizio e la fine della lista piuttosto che quelle centrali. Le prime parole vengono
ripetute più volte e man mano che si va avanti nella lista diventa più difficile ricordarle tutte. Ne consegue che le
parole che si trovano all’inizio sono ricordate meglio (effetto primacy) rispetto alle altre. Inoltre, poiché la
memoria a breve termine ha una capienza limitata, ogni parola successiva esclude quella precedente, ecco perché
è più probabile che vengano ricordate le ultime parole piuttosto che quelle centrali (effetto recency)
Tra gli altri fattori recentemente studiati dalla psicologia cognitiva vi è il fenomeno del priming (preattivazione)
inteso come la facilitazione nell’elaborazione di uno stimolo in seguito a un’esperienza recente con quello stesso
stimolo. Il priming di ripetizione si ha quando un primo incontro con uno stimolo (stimolo primer) aumenta
l’abilità di analizzare quello stesso stimolo a una successiva presentazione. Questa facilitazione è misurata in
termini di velocità (maggiore rapidità) della risposta o di accuratezza (maggiore precisione) nella prestazione.
Questa facilitazione è molto importante per il marketing perché se viene utilizzata bene permette il
riconoscimento immediato di un prodotto.
Network associativo: l’arrivo di nuove informazioni deve fare i conti con questa struttura presente in memoria.
Un consumatore per esempio potrebbe avere una rete per il concetto di pasta, ciascun nodo rappresenta un
concetto collegato alla categoria pasta; questi nodi potrebbero essere un attributo (pasta fresca, provenienza
geografica, tipologia) uno specifico brand (Rana, Voiello) un personaggio famoso o testimonial. È importante
nelle fasi di ricerca comprendere quale possa essere il set evocato dal concetto in maniera tale da rilevare i link
di nodi della rete semantica memorizzata e la loro forza. Alcuni link infatti sono molto forti nella mente dei
consumatori, altri invece molto deboli. Attraverso il concetto di network associativo è possibile descrivere le
strutture della conoscenza dell’individuo, studiare i contenuti, l’articolazione per comprendere quali sono le
conoscenze utilizzate dal consumatore per la scelta e la presa di decisione sulla base delle info memorizzate.
Importante è il grado di accessibilità degli attributi al fine di ottenere info utili riguardo un concetto o un brand.

Lo studio dei processi mnemonici

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Per studiare la rete di associazioni si può fare riferimento al paradigma della rievocazione libera. Esso
consiste nel far rievocare al soggetto il materiale appreso precedentemente (in qualque modo sia stato
appreso) nell’ordine da lui preferito. Questo consente di sottolineare alcuni effetti quali primacy e
recency, categorizzazione, clustering e organizzazione soggettiva. Si parla anche di rievocazione
suggerita quando uno stimolo viene suggerito al soggetto con il fine di facilitare la rievocazione. I jingle
o i claim degli spot servono proprio a facilitare il ricordo di un prodotto. Vi sono alcuni fattori chiave di
attivazione nel recupero delle informazioni:
• Fattori fisiologici: gli anziani tendono a ricordare meglio le esperienze passate e le info memorizzate
durante la giovinezza.
• Fattori situazionali: la novità dell’info influenza la memorizzazione.
• Fattori emozionali: se l’emozione provato nel momento d’acquisto è simile con quella attivata dalla
comunicazione pubblicitaria, la scelta del prodotto è facilitata. (mood congruence effect)
Da quanto detto finora risulta quindi che il processo mnemonico è soggetto a diversi fattori e variabili che
occorre studiare per cercare di comprendere se gli investimenti pubblicitari hanno contribuito ad aumentare la
capacità di riconoscimento di un prodotto o di un marchio e la sua memorizzazione.
Uno degli indicatori più utilizzati è l’impressione che questa riesce a lasciare tra i consumatori attraverso
l’analisi del riconoscimento (ovvero la capacità di riconoscere uno spot dopo che è stato mostrato al
consumatore), oppure attraverso il test del richiamo secondo il quale si chiede ai consumatori di ricordare gli
spot di alcuni prodotti. Entrambi i processi sono importanti nel processo di acquisto: il riconoscimento per il
valore che ha la possibilità di riconoscere un particolare prodotto nel momento dell’acquisto, e il richiamo per il
valore delle informazioni memorizzate, importanti nel momento in cui il consumatore on ha indicazioni a
disposizione e deve far fronte alla soluzione del problema della scelta servendosi solo dei dati memorizzati.

PARTE II – PROCESSI SOCIALI E INFLUENZA SUL CONSUMATORE

Capitolo 4 – La motivazione al consumo

Introduzione

Occorre considerare il comportamento di consumo come risultante di tre principali aspetti: le specificità
personali e caratteriale degli individui (che comprendono quindi personalità, percezioni, atteggiamenti, bisogni
e desideri), l’ambiente e le influenze sul singolo soggetto (rappresentati dall’influenza della cultura, delle
subculture, della famiglia, degli amici e del contesto sociale in genere), le specificità fisiologiche dei singoli
(dimensione biologica ereditaria dell’individuo). Questi tre elementi sono quindi strettamente correlati tra di
loro. Secondo il modello indicato da Chaudhuri, così eventuali stimoli di marketing si trasformano in risposte
razionali e affettive in relazione alle influenze determinate dagli aspetti individuali, ambientali e genetici.
Secondo tale modello, le emozioni influenzano le motivazioni principali nei processi decisionali e nel
comportamento del consumatore, essendo questi aspetti determinanti nella celta dei prodotti e dei servizi e nella
valutazione dei messaggi pubblicitari. Per questo, nello studio delle motivazioni al consumo, occorre non solo
far riferimento ai processi razionali e di valutazione, ma anche al valore emotivo e affettivo degli stimoli, e al
ruolo che la cultura e i valori hanno nell’influenzare sia le emozioni che il processo di valutazione razionale.

La motivazione: il motore del consumo

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L’essere umano, inserito in un ricco e articolato contesto sociale e culturale, è caratterizzato da bisogni
determinati da esigenze biologiche quali dormire, mangiare e riprodursi, e da bisogni che si sviluppano
nell’ambiente sociale in cui vive quali aspirazione a raggiungere una certa posizione sociale o essere accettati e
stimati dagli altri. Oggi il consumo trascende il valore funzionale di soddisfazione dei bisogni. Il cibo ad
esempio oggi ha anche una valenza simbolica, sia nella scelta del tipo di cibo che nelle modalità di assumerlo.
Possiamo distinguere tra bisogni innati, naturali e generici che riguardano la natura dell’essere umano e bisogni
acquisiti, culturali e sociali che sono strettamente collegati all’esperienza alle condizioni ambientali e
all’’evoluzione della società.
La motivazione può essere definita come quella spinta interna che determina un’attivazione diretta al
raggiungimento di un obiettivo. Le motivazioni sono quindi dei processi che portano i soggetti a comportarsi in
un determinato modo, e rappresentano una spinta che orienta l’organismo verso un’azione finalizzata al
raggiungimento di uno scopo o di un obiettivo.
Parliamo di motivazioni primarie per quelle motivazioni che sono direttamente connesse ai bisogni fisiologici
fondamentali (fame, sete, contatto emotivo), secondarie per quelle motivazioni prodotte dai processi di
apprendimento e dall’influenza sociale. Queste ultime fanno riferimento ai bisogni appresi (autostima, prestigio,
potere, ricchezza) dal contesto sociale e organismo sociale (famiglia, scuola lavora e mass media). Secondo la
teoria più classica, la motivazione è il risultato di uno stato di tensione che guida il consumatore con il fine di
cercare di ridurre o eliminare il bisogno stesso. La direzione in cui la spinta viene incanalata, viene descritta
come motivo vero che sta alla base di un preciso comportamento del consumatore, capace di ridurre lo stato di
tensione e riportare l’individuo a una situazione di omeostasi. Il processo di fatto è molto più complesso.
Infatti, in molte circostanze, i consumatori sembrano motivati a tenere desta lo stato di tensione piuttosto che
tentare di raggiungere uno stato di equilibrio riducendo lo stato di tensione determinato dalle pulsioni. A volte
sembra che l’individuo tenda ad avere comportamenti che provocano un aumento di tensione e uno stato di forte
attivazione fisiologica (arousal). Con questo termine si indica l’intensità fisiologica e comportamentale. Alcune
esperienze di consumo infatti si basano sulla motivazione a ricercare forte emozioni e mantenere alta la tensione
psicofisica. Pensiamo ad esempio al piacere di dilazionare la soddisfazione mantenendo attivo lo stato di
tensione per poter godere di una soddisfazione maggiore subito dopo (esempio preferiamo non rovinarci
l’appetito mangiando un aperitivo molto ampio per poi godere della cena).
Gli studiosi della teoria dell’arousal ritengono quindi che la motivazione abbia a che fare non solo con la
riduzione ma anche con l’accrescimento dell’attivazione che alla fine ne rappresenta una forma di
regolamentazione. Questa teoria presuppone quindi che i soggetti siano motivati non tanto ad abbassare l’arousal
quanto a mantenerlo a livello ottimale, tanto da riconoscere coloro che maggiormente sono attratti da questa
forma di attivazione (sensation seekers).
Già a partire dagli studi di Festinger(1975) sulla dissonanza cognitiva, è stato dimostrato che gli individui pur di
non trovarsi in uno stato di disagio determinato dalla dissonanza tra i propri atteggiamenti e comportamenti,
tendono a selezionare le info per rendere coerenti tra di loro atteggiamenti e comportamenti. La dissonanza,
intesa come incoerenza tra atteggiamento dichiarato e comportamento agito, provoca uno stato di tensione che
spinge l’individuo ad adottare tutte le possibili soluzioni per recuperare uno stato di coerenza, di equilibrio e
conseguentemente di benessere.
L’individuo quando si trova in uno stato di disagio per porre fine a tale stato di tensione, è portato o a modificare
il proprio atteggiamento o a selezionare adeguatamente le informazioni. Così di fronte ad una decisione, esempio
comprare un’automobile, pur di evitare il disagio provocato da informazioni contrastanti con la propria scelta,
legge e ricorda solo le info che supportano quella scelta rinnegando o screditando tutte le informazioni che
dimostrano che l’individuo a commesso un errore nell’acquistare quell’auto. L’individuo utilizza filtri cognitivi
per la selezione delle informazioni ed adatta la realtà modificando i suoi atteggiamenti per mantenere uno stato
di equilibrio interiore.

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Ogni atto d’acquisto, ogni messaggio pubblicitario, ogni relazioni con gli altri, vengono inseriti e compresi
all’interno di precisi percorsi di senso che l’individuo costruisce, analizzati alla luce dei propri filtri cognitivi e
affettivi analizzati alla luce dei propri filtri cognitivi ed affettivi al fine di leggere la realtà e gli eventi secondo
uno schema coerente con i propri bisogni desideri e aspettative. Secondo Kunda la gente tende a vedere ciò che
vuole vedere, secondo quel processo definibile tendenza alla conferma. Secondo questo principio l’individuo
ricerca quelle informazioni che confermano il proprio punto di vista o l’immagine positiva di se stessi. Altro
meccanismo è l’optimistic bias, errori secondo i quali il consumatore tende a percepire e rappresentare se stesso
in forme più positive di quanto farebbero gli altri; o ancora la tendenza del consumatore a focalizzarsi su
immagini e pensieri congruenti con la propria aspettativa guidato da una vera e propria illusione di obiettività.
In questo senso, le motivazioni umane, e quelle orientate al consumo, non si esauriscano nei soli bisogni ma
anche negli obiettivi e aspettative al fine di guidare il comportamento.
In questa direzione, gli studiosi Miller, Galanter e Pribram (1960) hanno elaborato il Modello TOTE (test
operate test exit), proponendo il concetto di comportamento guidato da scopi. Ogni azione è diretta verso uno
scopo specifico e ogni volta che un individuo deve compiere un’azione, prepara un piano di comportamento per
ottenere lo scopo prestabilito. Alla fine di questo processo, vige il principio dell’effetto secondo il quale gli
individui tendono a massimizzare i profitti e a ridurre le perdite o limitare le punizioni. Secondo questa legge, i
consumatori, nel soddisfare i propri bisogni, saranno guidati da ciò che in passato ha portato alla loro
soddisfazione.

Le teorie cognitive e il ruolo dell’aspettativa

La teoria dell’aspettativa ci dice che l’individuo è motivato dall’attesa di ottenere ricompense positive
dall’evitare esperienze negative. Weiner e altri autori per spiegare il processo motivazionale analizzano le
componenti cognitive dei processi di attribuzione della causalità del successo e dell’insuccesso. Egli distingue le
cause in: interne/esterne, stabili/instabili, controllabili/non controllabili.
L’impegno è causa interna variabile e controllabile, mentre l’abilitò è causa interna stabile e non controllabile.
Non è sufficiente aver stabilito di essere causa dei propri successi poiché occorre decidere se il proprio successo
è frutto di impegno oppure di specifiche capacità. La spinta motivazionale è strettamente dipendente da una serie
di fattori: tra questi vi è l’attribuzione del locus of control. Gli individui nell’accumulare successi e insuccessi e
nel rapportarsi con eventi positivi o negativi che costellano la sua esperienza, struttura un proprio sistema
specifico di attese.
Questi sistemi di attese vengono divisi in due categorie dalle quali derivano due prototipi di soggetti. A un
estremo si posizionano coloro che hanno un locus of control interno che credono nella propria capacità di
controllare gli eventi, questi soggetti attribuiscono i propri successi o insuccessi alle proprie capacità volontà e
abilità. All’altro estremo si posizionano coloro che hanno un locus of control esterno secondo i quali gli eventi
della vita, come premi e punizioni dipendono da fattori esterni imprevedibili, quali il caso e la fortuna.
Altri due fattori in grado di influenzare il processo di motivazione sono: la stabilità della causa e la sua
controllabilità. Sul piano psicologico questi due processi possono influire sul modo di percepirsi e di percepire
gli altri. Se l’individuo attribuirà il suo insuccesso ad un impegno sufficiente e non alla mancanza di abilità
persevererà nel suo scopo e si sentirà motivato a impegnarsi maggiormente la volta successiva. Se al contrario
attribuirà l’insuccesso alla mancanza di abilità sarà propenso a rinunciare.

La motivazione intrinseca ed estrinseca

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La motivazione intrinseca è quella che porta ad intraprendere un’attività perché di per sé motivante. Un soggetto
quando è intrinsecamente motivato, attiva il suo comportamento per divertimento o sfida e non per ricompense
esterne. Le attività dell’individuo estrinsecamente motivato invece sono sostenute da rinforzi esterni (vantaggi,
ricompense, evitamento di conseguenze sgradevoli).
La motivazione intrinseca non può essere rappresentata come un costrutto unitario, ma va considerata
sfaccettata. Secondo la Multifaceted theory of intrinsic motivation si possono distinguere 16 desideri
fondamentali alla base del costrutto della motivazione intrinseca. La soddisfazione di ciascuno dei desideri
produce un sentimento di gioia, e si può ipotizzare che ogni consumatore abbia una diversa attribuzione di
priorità in base al contesto sociale, ai valori di riferimento e esperienze personali. Secondo questo schema ciò
che motiva gli individui è la discrepanza tra la quantità di soddisfazione intrinseca desiderata e quella che viene
esperita.
Il significato degli oggetti di consumo e la soddisfazione dei bisogni ad essi correlati sono prevalentemente
simbolici. Ciò non vale solo per gli oggetti più costosi ma anche per quelli più insignificanti. Gli oggetti di
consumo possono essere infatti parte integrante della storia personale di un individuo e del suo modo di
rappresentarsi, di narrarsi e di percepirsi. In un contesto sociale in cui le relazioni tra persona e oggetti di
consumo sono sempre più correlate con le biografie individuali, lo studio delle motivazioni all’acquisto deve
prevedere un approfondimento del valore simbolico degli oggetti, senza soffermarsi solo su quello funzionale. Se
non fosse così non si spiega il senso e il significato di promuovere la vendita di una scopa chiamandola per nome
Pippo e rappresentandola con valori simbolici e significati relazionali anche se si tratta di un oggetto così
comune.
Il consumo è quindi caratterizzato da un sistema di simboli che dev’essere analizzato nel magma socioculturale
in cui si manifesta, oltre che essere studiato secondo principi basici e funzionali universali.

La dimensione gerarchica della motivazione e la catena mezzi-fini

Le motivazioni possono essere intese come sistemi gerarchi di scopi e come sistemi di monitoraggio e controllo
per raggiungere gli scopi medesimi attraverso un processo che può essere distinto in diverse fasi:
1) individuazione degli obiettivi;
2) valutazione dei mezzi disponibili;
3) traduzione delle intenzioni in azioni;
4) cambiamento degli obiettivi e delle strategie per raggiungerli in funzioni del variare del contesto.
Questa visione gerarchica prevede anche una suddivisione degli scopi in maniera altrettanto gerarchica, infatti
possiamo individuare obiettivi o scopi centrali e obiettivi o scopi secondari. Per esempio, se la motivazione che
spinge il consumatore è perdere kili di troppo, questa rappresenta lo scopo principale al quale possono essere
correlati una serie di copi secondari quali la cura del proprio corpo ed il benessere. La motivazione quindi può
essere definita come una configurazione organizzata di esperienze soggettive che consente di spiegare l’inizio, la
direzione e la persistenza di un comportamento per raggiungere uno scopo. È sempre più frequente sostituire al
termine motivazione orientamento motivazionale che esprime meglio questa evoluzione teorica.
La presenza di molteplici bisogni alla base del comportamento di consumo era già stata rappresentata da
Williams nel 1982 che diceva che è possibile descrivere il rapporto tra comportamento agito e aspetti
motivazionali sulla base di due rappresentazioni: modello mezzi-fini e quello che presenta la motivazione come
un conglomerato di bisogni.
La catena mezzi fini è lo strumento concettuale che permette di comprendere il modo in cui i consumatori
percepiscono le conseguenze che derivano dall’utilizzo e consumo di un prodotto. L’ acquisto di una
lavastoviglie di una certa marca risponde contemporaneamente a diversi bisogni posti in ordine gerarchico: il
piacere della pulizia, il desiderio di un aiuto nelle pulizie di casa, la voglia di autonomia.

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Il collegamento tra consumatore e prodotto avviene pertanto attraverso la costruzione di una serie di relazioni tra
attributi concreti e astratti del prodotto, conseguenze funzionali e psicologiche legate all’uso del prodotto, e
infine bisogni di base e motivazionali finali. I beni/ servizi vengono visti dal consumatore vengono visti dal
consumatore come strumenti per la soddisfazione dei propri bisogni più o meno consci. Nel modello mezzi-fini,
il prodotto quindi non è scelto e acquistato per se stesso ma per il significato che questo assume nella mente del
consumatore. L’analisi mezzi fini ha una valenza molto importante, essa infatti permette l’analisi di
posizionamento e segmentazione del mercato, lo sviluppo di nuovi prodotti o il miglioramento di quelli attuali e
l’elaborazione di strategie di comunicazione.
Per il collegamento tra bisogni di base (mezzi) e quelli finali, occorre utilizzare delle tecniche appropriate.
Spesso infatti, la posizione gerarchica dei bisogni non è immediatamente disponibile alla consapevolezza del
consumatore. Per questo, nella descrizione della catena mezzi – fini, e per comprendere in che modo i
consumatori percepiscono il prodotto e il significato personale che a esso attribuiscono è necessario utilizzare le
tecniche d’intervista in profondità, il cui scopo è quello di costruire una serie di mappe cognitive, o Hierarchical
Value Maps.
Il metodo più utilizzato per ricostruire e valutare la catena mezzi-fini è il laddering, una tecnica qualitativa di
intervista in profondità one to one con il cliente e che permette di ricostruire e rappresentare graficamente la
mappa cognitiva delle relazioni tra prodotti, attributi, benefici, bisogni e valori. Con questa tecnica vengono
indagati i motivi di una scelta d’acquisto, tentando di risalire dagli attributi del prodotto che l’hanno determinata
ai benefici percepiti sino ad identificare i valori finali che attraverso il comportamento di consumo si ritiene di
poter ottenere. La procedura basata sul laddering prevede diverse fasi; l’individuazione delle caratteristiche
salienti dei prodotti o della marca oggetto d’indagine e il riconoscimento dei benefici e dei valori sia nella fase di
raccolta dei dati(intervista) sia in quella di analisi dei risultati (costruzione mappa). Le tecniche di costruzione
dei network associativi possono essere diverse: la richiesta diretta in cui si chiede al consumatore di esprimere
le ragioni che lo spingono all’acquisto del prodotto considerato cercando di capire quali sono le finalità che
intende raggiungere. Il confronto comparativo che consiste nel sotto porre a ogni intervistato delle triadi di
prodotto o marche e nel chiedere di enunciare le differenze e similarità che percepisce. Analisi di contesto in cui
gli viene chiesto di ricordare un’occasione di utilizzo del prodotto con il fine di analizzare tale occasione. Analisi
ipotetica in cui si chiede al soggetto di immaginare il suo comportamento in caso di assenza del prodotto;
laddering negativo in cui vengono chieste le ragioni per cui non si fanno determinate cose o non si vogliono
provare determinate sensazioni; laddering regressivo nel quale si invita il soggetto ad andare indietro nel tempo
e poi esprimere sentimenti e comportamenti di acquisto in riferimento a precedenti occasioni di consumo;
laddering proiettivo si invita il soggetto a ricordare un’occasione d’acquisto ed esprimere non le sue ma le
impressioni di un terzo che l’intervistato sceglie di impersonare per individuare i fini ultimi di quella persona.

Le tipologie di bisogno

Secondo Murray, il bisogno è un costrutto ipotetico che organizza e guida il comportamento al fine di mantenere
l’organismo in una condizione di equilibrio. I bisogni secondo questo studioso possono essere suddivisi in 4
dimensioni.
• Bisogni primari e secondari, a seconda che abbiano origine fisiologica o no.
• Bisogni positivi e negativi, a seconda che il soggetto sia attirato o respinto dall’oggetto
• Bisogni manifesti o latenti a seconda che il bisogno conduca a un comportamento reale o no
• Bisogni consapevoli o inconsapevole a seconda che il soggetto mantenga nei loro confronti un
atteggiamento introspettivo o meno.
Secondo Murray l’insieme dei bisogni è universale e uguale per tutti e ciò che differenzia un individuo da un
altro è la diversa attività attribuita a un particolare bisogno. Murray utilizza il TAT (thematic apperception

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technique) un test che si basa sulla visione di una serie di figure, ambigue di fronte alle quali l’individuo è teso a
proiettare pensieri, emozioni, desideri strettamente legati ai bisogni, anche i più inconsapevoli e inconsci.
Un ulteriore contributo viene da Mcclelland che individua tre tipi di bisogni, (bisogno di potere, di affiliazione e
di successo), ai quali aggiunge motivazione alle competenze e motivazione all’unicità.
Queste motivazione possono produrre comportamenti differenti:
• la motivazione al potere: è una spinta per evitare la dipendenza;
• la motivazione all’affiliazione: per evitare l’isolamento;
• la motivazione al successo per evitare il fallimento
• la motivazione alla competenza e all’unicità è una spinta a sviluppare continuamente le proprie abilità e
a svolgere i propri compiti mantenendo un elevato standard di prestazioni con l’obiettivo di essere unici.
Lo studio delle motivazioni al consumo richiede anche una breve considerazione sulla base dei principi della
teoria di Veblen, che prende in considerazione il ruolo della classe agiata nel determinare la motivazione e la
nascita di modelli di consumo di carattere ostentativo, attraverso i quali gli individui appartenenti a tale classe
dimostrano la propria agiatezza nei confronti della classe inferiore. In questo caso il bisogno di differenziarsi e il
bisogno di prestigio guidano i comportamenti di consumo. Così facendo la classe agiata offre modelli di
comportamento di consumo alla classe meno agiata.
Il modello proposto da Veblen risente della contingenza storica dalla quale trae origine, nell’ambito della quale
lo status di ogni individui è dato essenzialmente dal patrimonio di cui dispone. In quell’epoca (società americana
della fine dell’800), l’individuo tendeva a definire la sua posizione sulla base della reputazione di cui godeva
presso altri componenti della società (stima sociale), riconoscendo il bisogno di accettazione sociale come uno
dei motori sociali. Così il consumo ostentivo diventa uno strumento e al tempo stesso fine dell’attività dell’uomo
nel contesto sociale.
L’emulazione e le aspirazioni alla crescita sociale divengono aspetti di un processo continuo che coinvolge gli
appartenenti a tutte le classi sociali, spiegando quel fenomeno consistente nell’aumento del consumo di alcuni
beni nonostante il loro prezzo elevato, o addirittura proprio a ragione del prezzo. (effetto Veblen)

Le teorie freudiana delle motivazioni

Un contributo significativo allo studio sulle motivazioni viene dalla teoria psicanalitica secondo la quale il
comportamento umano sembra determinato da un perenne conflitto tra i desideri di una soddisfazione immediata
e la necessità di rispondere alle regole della società e della morale.
Freud riteneva che in ogni uomo operassero due tipi di pulsioni: la pulsione della vita (Eros) comprendente
libido e istinto di autoconservazione e la pulsione di morte (Thanatos) che si manifesta in tendenze
autodistruttive.
Nel modello dinamico di Freud, l’inconscio coincide con il “rimosso”, cioè con tutti quei contenuti psichici il cui
accesso alla coscienza è costantemente impedito dalla rimozione. La rimozione rappresenta uno tra i possibili
meccanismi di difesa teorizzati da Freud per spiegare il contrasto tra ciò che è voluto e desiderato e ciò che è
lecito agire in un contesto sociale. I meccanismi di difesa sono utili per spiegare i comportamenti dei
consumatori. Quelli individuati da Freud sono:
• Identificazione: è il meccanismo secondo il quale l’individuo si identifica in un’altra persona
(testimonial ad esempio) considerata migliore e meno vulnerabile nei confronti delle proprie pulsioni.
• Rimozione: ha lo scopo di impedire che contenuti mentali pericolosi affiorino alla coscienza.
• Sublimazione: l’individuo sostituisce un obiettivo non raggiungibile o inaccettabile con un altro
socialmente accettabile.

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• Proiezione: è quel processo inconscio con cui si attribuiscono ad altri sentimenti negativi della propria
coscienza perché inaccettabili. Questo permette di evitare il senso di colpa e giustificare la propria
condotta verso glia altri.
• Formazione reattiva: sostituzione di un sentimento o desiderio inaccettabile con il suo opposto (amore-
odio).
• Fissazione: è un meccanismo con cui l’individuo blocca il suo sviluppo psichico a uno dei primi stadi di
sviluppo cognitivo e comportamentale per il timore di affrontare l’angoscia legata agli stadi successivi
(sindrome di Peter Pan che indica il desiderio di rimanere eterni bambini).
• Regressione: ripiego ad uno stadio evolutivo precedente in cui il soggetto si sentiva sicuro poiché non si
era ancora dimostrato lo stimolo angosciante.
• Negazione: consiste nella repressione della realtà e negazione delle evidenze per stabilire un equilibrio
psichico.
• Fantasmatizzazione: si ha quando l’individuo non accetta la realtà e produce fantasmi che consentono di
sostituirla con una più accettabile.
• Introiezione: prima ancora di essere una difesa, è un meccanismo psichico che si può osservare già nei
primi mesi di vita del bambino. All’inizio della vita il bambino vive un rapporto di simbiosi con la
madre, la presenza della madre che gli dà il latte è assimilata alla vita, la sua assenza alla morte.
All’inizio l’introiezione rappresenta la gratificazione immediata e completa dell’istinto ed il senso di
benessere che scaturisce da questa gratificazione porta il bambino a conservare l’oggetto che gli assicura
il benessere e a identificarsi con lui.
Un ulteriore teoria portata avanti da Freud prende il nome di modello economico che fa riferimento alla quantità
e intensità delle forze psichiche in gioco. In base a questo modello Freud traccia la linea di demarcazione tra
normalità e patologia in campo mentale, individuando l’elemento distintivo non nella qualità dei percorsi
implicati (il tipo di forze psichiche), bensì nella qualità relativa delle diverse forze, tra le quali non riconosce
alcuna differenza qualitativa.
Il modello più conosciuto per la descrizione delle spinte motivazionali è quello strutturale elaborato da Freud nel
1920, secondo il quale nello studio dei comportamenti e motivazioni è possibile distinguere una precisa struttura
dell’apparato psichico, composta da tre istanze:
• Es: completamente inconscio, rappresenta il serbatoio di tutte le pulsioni (sessuali, aggressive, auto
conservative). Questi contenuti psichici sono in parte ereditari e innati e in parte rimossi e acquisiti. L’Es
agisce irrazionalmente per la soddisfazione dei bisogni. Rappresenta il bambino che è in noi. (principio
di piacere)
• Io: rappresenta il mediatore tra l’es, il super io e le esigenze della realtà esterna ed interna. Svolge
funzioni coscienti cercando di garantire un collegamento con la realtà. Funziona secondo il principio
della realtà.
• Super io: in buona parte inconscio, svolge il ruolo di giudice nei confronti dell’io e rappresenta la
coscienza morale, i valori e gli atteggiamenti autocritici.
La teoria freudiana ha ispirato molto la ricerca sulle motivazioni del consumatore, una delle maggiori
implicazioni e che per riuscire a studiare il comportamento dei consumatori occorre andare oltre ciò che si vede.
Seguendo questo filone, negli anni ‘60 nasce la ricerca motivazionale che sostiene che è sempre possibile fornire
una spiegazione di qualsiasi comportamento in chiave causale. In questo caso osservando il comportamento del
consumatore la motivazione può essere definita come la spinta a soddisfare i bisogni anche più irrazionali e a
migliorare l’opinion di sé attraverso l’acquisto di un determinato prodotto o una particolare marca anche se ciò
non ha base razionale e consapevole.
Nel ’61, viene ufficializzata la psicologia umanistica, detta “terza forza”, in quanto a metà strada tra psicoanalisi
e comportamentismo, come nuova corrente di pensiero nell’ambito della psicologia. Essa si interessa di
argomenti che hanno avuto uno spazio limitato nelle teorie e nei sistemi esistenti, come l’amore, creatività,

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crescita, responsabilità, ecc. uno dei principali esponenti di questa corrente sono stati Abraham H. Maslow e Carl
Rogers.

La teoria gerarchica dei bisogni di Maslow

Secondo la teoria della gerarchica dei bisogni di Maslow, i bisogni possono essere suddivisi in 5 categorie
disposte in ordine progressivo, per cui senza la soddisfazione dei bisogni dei livelli inferiori non si sente la
necessità di soddisfare quelli dei livelli superiori. I bisogni di livello inferiori sono i bisogni fisiologici legati alla
dimensione biologica, poi troviamo i bisogni di sicurezza legati alla sensazione di protezione e di sicurezza fisica
e psichica. Seguono i bisogni di appartenenza e di riconoscimento sociale, legati all’esigenza di sentirsi parte
integrante di un gruppo. Poi abbiamo i bisogni di autostima legati all’esigenza di avere una buona immagine di
sé, ed infine quelli più difficili da raggiungere i bisogni di autorealizzazione legati alla sensazione di
realizzazione personale. Questa scala dei bisogni è stata utilizzata dal mondo del marketing in maniera forse un
po’ troppo semplificata. In realtà i consumatori non passano in maniera così schematica da un livello all’altro.
Inoltre, non è detto che un prodotto o una marca soddisfino solo uno dei suddetti bisogni, così come non
possiamo non considerare che questa gerarchia potrebbe andare bene solo per il contesto culturale e sociale
all’interno del quale è stata studiata. Gli appartenenti ad altre culture per esempio potrebbero considerare molto
più importante la dimensione sociale piuttosto che la sicurezza. Ed ancora bisogna poi considerare la
predisposizione personale, ogni individuo infatti ha una particolare situazione personale e quindi avere differenti
priorità e specifici bisogni da soddisfare.

Una visione d’insieme sulle motivazioni


Leggi da p. 160 a 162 (panoramica generale delle teorie)

Il coinvolgimento

Il concetto di coinvolgimento (involvement) indica la rilevanza che un particolare oggetto o prodotto può avere
per un individuo in base ai suoi bisogni, ai suoi valori e ai suoi interessi. Il grado di informazione a cui presta
attenzione un consumatore è strettamente dipendente dal suo grado di coinvolgimento. Questo grado di
coinvolgimento può essere considerato come un continuum dove da parte vi è lo stato di inerzia, che porta a
prestare attenzione solo agli aspetti più superficiali, il comportamento del consumatore è legato all’abitudine e le
decisioni vengono prese senza analizzare attentamente le possibili alternative. Dall’altra parte vi è il
coinvolgimento massimo che spinge l’individuo a cercare informazioni e a scegliere solo dopo un’attenta analisi
di tutte le possibili scelte. Heath propone uno schema con 3 diversi livelli di attività cognitiva in relazione al
coinvolgimento verso uno specifico stimolo: livello di attivazione di elaborazione delle informazioni; tipologia
di apprendimento; effetto consecutivo all’apprendimento.
Nel caso di elevato coinvolgimento e quindi di un’attrazione o attenzione alta verso lo stimolo, il processo di
elaborazione delle informazioni prevede un impegno maggiore. Nel caso di un più basso gradi di coinvolgimento
(inerzia), l’analisi dei dati sarà più superficiale e il consumatore sarà astratto dagli aspetti più irrilevanti e
superficiali della comunicazione. In questo caso il tipo di apprendimento sarà più passivo e meno consapevole e
il conseguente cambiamento degli atteggiamenti più lento e graduale. Ci troviamo di fronte ad una forma di
apprendimento a basso coinvolgimento cognitivo che Shiv e altri autori chiamano lower-order cognition. In
questo caso la frequenza di presentazione della comunicazione avrà una funzione determinante nel processo di
apprendimento. Poiché i fattori che influenzano il grado di coinvolgimento possono essere diversi e attribuibili

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alla situazione personale del consumatore (interessi, valori, bisogni) all’oggetto in sé (contenuto informazione,
disponibilità di alternative) ed alla situazione, la motivazione a prestare attenzione risulta essere il risultante
della combinazione di ogni singolo fattore in uno specifico momento e in un dato spazio.
Il product involvement riguarda il livello di interesse per un prodotto. Molte campagne promozionali sono
finalizzate in modo specifico ad accrescere questo tipo di coinvolgimento nei consumatori. In questo caso si
punta a dare maggiori informazioni sul prodotto e sulle specifiche caratteristiche.
L’advertising involvement si riferisce al livello di interesse nei confronti della comunicazione relativa al
prodotto.
Infine, il purchase situation involvement riguarda le differenze che possono esserci nelle situazioni in cui ci si
trova per l’acquisto di un particolare prodotto. La presenza di altre persone significative, tipo la donna amata,
così come l’essere in vacanza piuttosto che ad un noioso convegno influenzano profondamente il grado di
coinvolgimento. Il coinvolgimento è in grado di modificare la nostra capacità di raccolta delle informazioni e
attribuzioni di senso.

L’influenza dei processi caldi e della motivazione nella costruzione della realtà.

Uno dei contributi più interessanti allo studio del grado di influenza dei processi psicologici “caldi” (la
motivazione, aspettative, bisogni) sui processi cognitivi e decisionali è quello di Bruner che sottolinea e indica il
ruolo delle motivazioni, i desideri e le emozioni hanno nei processi sociali e in quelli decisionali. Per dimostrare
ciò l’autore si è servito di uno dei più noti esperimenti di psicologia sociale. Tale esperimento consisteva nel
chiedere a un gruppo di bambini di 10 anni di giudicare la grandezza di alcune monete. Metà del gruppo
proveniva da un’area benestante di Boston, l’altra metà da sobborghi e zone povere. I risultati mostrarono come
questi ultimi bambini tendevano a sovrastimare la grandezza delle monete rispetto al primo gruppo. In questo
caso l’appartenenza al contesto sociale, i bisogni e desideri hanno influenzato la percezione della grandezza delle
monete indicando chiaramente l’influenza dei processi caldi affettivi nell’elaborare le informazioni. Le
motivazioni sembrano quindi avere un ruolo determinante nell’interpretazione della realtà e nel giudicare i
comportamenti. Diversi studi hanno infatti sottolineato l’influenza esercitata dalla motivazione all’accuratezza
sui processi cognitivi.
La motivazione all’accuratezza spinge l’individuo a ricercare e adottare strategie più onerose, il suo contrario
invece, la motivazione alla chiusura spinge all’adozione di strategie semplificatrice, esempio le euristiche.
Infatti, la motivazione alla chiusura coincide con l’uso di schemi e stereotipi e con l’impazienza e l’impulsività
nel formulare un giudizio e arrivare alla soluzione del problema. Si tratta di un modo di reagire al contesto
sociale dettato prevalentemente da una forma di rigidità di pensiero e dalla riluttanza ad accettare punti di vista
diversi dal proprio.
La realtà quindi non è assoluta ma la sua percezione può variare a seconda del gruppo a cui un individuo
appartiene.
Secondo Lewin le forze ambientali hanno un ruolo di grande rilievo nello sviluppo dell’individuo e nella
determinazione del suo comportamento, ma ciò che è importante è la profonda relazione causale circolare fra le
une e le altre. L’ambiente esperito dall’individuo è visto diverso da persona a persona, come anche per la stessa
persona in momenti diversi. Solo negli ultimi anni si è assistito in campo psicologico a una maggiore attenzione
alla dimensione narrativa e simbolica per la comprensione dei comportamenti social. Così lo stesso oggetto o
comportamento umano assumono un significato diverso nel tempo e nello spazio, perché condizionati dalla
cultura e dal modo di interpretare secondo principi situazionali di costruzione sociale. L’individuo deve essere
considerato come sistema complesso interrelato con un sistema ancora più ampio come quello sociale, culturale
e valoriale analizzabile attraverso una modalità di studio di tipo olistico.

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Vedi psicopatologia degli acquisti p. 168

Cap. 5 – Neuromarketing e nuove frontiere dello studio del consumatore


Introduzione

La maggior parte delle decisioni di acquisto e di consumo non è frutto di una valutazione consapevole, razionale
e logica. Infatti, contrariamente a quanto rappresentato teoricamente dalle teorie economiche normative, tutte le
volte che un individuo si trova a fare una scelta e decidere se acquistare un prodotto o un servizio, egli è
inconsciamente coinvolto in una tempesta di emozioni di segno positivo e negativo, che incideranno sulla
decisione di acquisto.
Il conflitto neuronale che conduce alla decisione, interessa essenzialmente la componente emotiva della mente,
che a sua volta può anche essere attivata da marcatori somatici, sviluppati dalle aziende con la loro
comunicazione.
Le emozioni, dunque, non sono un elemento disturbante del processo decisionale, ma ne rappresentano una parte
essenziale, ovvero diventano il modo con cui viene contestualizzato un problema e le opzioni che caratterizzano
una scelta di acquisto.
A partire dagli anni ’70, in particolare, è stato infatti evidenziato che la decisione non può essere guidata
esclusivamente da processi logici e razionali (freddi), essa è determinata da vissuti e percezioni strettamente
legati ad aspetti emotivi e motivazionali (caldi). Oggi più che mai, in seguito a numerose ricerche
neuroscientifiche, questo cambiamento epocale è stato riconfermato.
In particolare, un enorme contributo è stato offerto da uno dei più noti neuroscienziati contemporanei, Damasio,
il quale, nel suo saggio L’errore di Cartesio (1995), ha offerto una nuova visione dell’uomo che decide, andando
a ribaltare la concezione cartesiana del dualismo mente – corpo, evidenziando l’azione reciproca del corpo e del
cervello, che costituiscono un organismo unico e indissociabile. In questo saggio infatti, Damasio inquadra la
funzione delle emozioni non come elementi perturbanti la serenità della ragione, bensì come elementi di base del
buon funzionamento della mente, andando a dimostrare che un danno all’area cerebrale deputata alle capacità
emozionali, va a rendere le persone incapaci anche di manifestare ragionevolezza, soprattutto nella presa di
decisioni in condizioni socialmente rilevanti. In questo modo, i consumatori non sarebbero macchine pensanti
che si emozionano, ma macchine emotive che pensano.
Questa nuova prospettiva e questo nuovo modo di intendere la relazione tra emozione e decisione, impone nuovi
modelli di studio del consumatore, come quelli offerti dal neuromarketing. Il consumatore non può più essere
studiato nella sua rappresentazione razionale e logica, tipica dell’età moderna, quindi semplicemente come homo
oeconomicus, ma deve essere analizzato nella sua più complessa rappresentazione, in cui la dimensione
razionale si fonde con il suo substrato biologico, e quindi come homo neurobiologicus.
Lo studio neuroscientifico non deve essere dunque uno studio fine a se stesso, ma deve essere capace di
analizzare quali possono essere gli elementi in grado di orientare l’azione e giustificare un atto di consumo. Si
parte dal presupposto che se ci emozioniamo positivamente alla vista di un prodotto, probabilmente saremo più
propensi ad acquistarlo. Alla base del neuromarketing, vi sono due elementi caratterizzanti:
• La consapevolezza che molte scelte di acquisto sono fatte senza un’immediata attivazione del sistema
cognitivo, ma grazie al sistema adattivo delle emozioni, offrendo, a volte, significato a ciò che si è fatto
solo dopo aver agito.
• La convinzione che i segnali psicofisiologici e neurologici possono essere in qualche modo misurati e
registrati, permettendo di arricchire con utili informazioni gli esiti delle indagini sul consumatore svolte
con le tecniche tradizionali (focus group, interviste, questionari, ecc.). Infatti, attraverso le tecnologie

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sempre più sofisticate è possibile misurare una serie di elementi (come l’attività elettrica del cervello, la
conduttanza cutanea, la pressione arteriosa, il movimento oculare, il ritmo del respiro), che fungono da
indicatori utili per l’analisi di una modifica psicofisiologica e neurologica da correlare con l’engagement
emotivo, l’attenzione focale e la possibile memorizzazione di stimoli legati al mondo del consumo.
a queste vanno aggiunte anche le indicazioni che sono state tratte da macchine più sofisticate come ad
esempio la PET (Positron Emitted Tomography), la magnetoencefalografia (MEG) e la risonanza
magnetica funzionale (FRMI functional magnetic resonance imaging). Queste ultime tecniche di idagine
hanno permesso in questi ultimi anni di mappare il cervello offrendo preziose informazioni riguardo le
funzioni cerebrali in relazione alle decisioni di acquisto, indicando quali aree corticali si attivano in
relazione a particolari comportamenti o esperienze (brain mapping, ha permesso la prima mappatura
cerebrale).
Questa metodologia di studio di analisi del cervello ha ripreso e ampliato gli esiti delle scoperte fatte nel secolo
scorso e che fino allo sviluppo delle tecnologie neuroscientifiche si era sviluppato sulla base dell’osservazione di
soggetti traumatizzati per incidenti e rimasti in vita (esempio Phineas Gage, grazie al quale si è rilevato per la
prima volta che la zona prefrontale mediale è strettamente collegata con le emozioni e con le decisioni).

Neuroscienze: una nuova risposta per esperienza, emozioni e motivazioni

Un soggetto umano giudica le offerte che gli vengono presentate non sulla base del loro valore oggettivo e
razionale, ma sulla base delle sensazioni soggettive che tali offerte gli suscitano e gli prospettano.
Il mondo delle esperienze soggettive è ancora in gran parte misterioso e solo in anni recenti le neuroscienze lo
hanno preso in considerazione grazie agli sviluppi delle tecniche di brain imaging e delle metodologie di
registrazione diretta dell’attività neurale in soggetti umani e animali coscienti.
Il decennio 1990 - 2000 è stato considerato il decennio del cervello dagli esperti delle neuroscienze perché ha
visto un impressionante incremento nella comprensione delle basi neurale dell’esperienza soggettiva.
Si deve tener presente che prima di questa data la maggior parte degli esperimenti era condotta su animali
anestetizzati, mentre per l’essere umano ci si basava su patologie oppure sui dati ottenuti su soggetti deceduti.
Si prova a spiegare l’esperienza soggettiva, ma cos’è? È fatta di colori, forme, sapori, sensazioni, piaceri, dolori?
Il momento di svolta in questa disciplina sono stati gli anni ’90, quando vari autori hanno iniziato a occuparsi di
esperienza soggettiva e si sono resi conto dell’esistenza di quello che, con nome appropriato, è stato definito
problema difficile: ovvero, anche se si potessero individuare tutte le connessioni neurali, perché tale attività
dovrebbe trasformarsi nella qualità dell’esperienza dei soggetti?
Il problema quindi non è solo scientifico, ma anche pratico.
Allo stato attuale delle ricerche ci sono due diversi approcci all’esperienza soggettiva: secondo il primo la
coscienza è il frutto delle interazioni tra il mondo esterno e il soggetto grazie alla percezione, all’apprendimento,
alla cultura, alle relazioni intersoggettive, alla comunicazione, all’interazione linguistica.
Addirittura, secondo molti autori, l’esperienza soggettiva dipende in maniera sostanziale dall’ambiente esterno.
Alternativamente, le neuroscienze reputano che l’esperienza soggettiva sia esclusivamente una proprietà dei
neuroni, anche se, per potersi sviluppare il cervello richiede un corpo inserito in una rete di relazioni.
Strettamente apparentate con l’esperienza soggettiva, e tradizionalmente altrettanto sfuggevoli, sono le
emozioni.
Da un punto di vista neurologico, queste possono essere viste come stati prodotti da un segnale di rinforzo,
generati da quei particolari stimoli che un essere vivente deve essere in grado di riconoscere in quanto legati a
situazioni critiche per la sua sopravvivenza.
I segnali di rinforzo devono il loro nome al fatto di essere responsabili dell’apprendimento delle reti neurali e di
condizionare la crescita e lo sviluppo di un individuo da un punto di vista cognitivo.

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Grazie agli studi, si è compreso che, mentre l’esperienza soggettiva è strettamente correlata con le aree corticali,
le emozioni dipendono da alcune strutture nervose molto antiche e altamente specializzate, come l’amigdala e il
talamo.
L’idea più comune è che esistano sistemi neurali dedicati a riconoscere certe situazioni selezionate durante
l’evoluzione delle specie umana.
L’amigdala costituirebbe il fulcro di questi sistemi, il luogo dove la selezione naturale ha depositato l’esperienza
antica della nostra specie.
Al contrario, la corteccia, dove le associazioni di più alto livello sono portata a termine, contiene l’esperienza
individuale dell’individuo: emozioni personali, esperienze uniche, archetipi culturali; un dominio molto più
ampio, ma anche molto più personalizzabile e difficile da determinare a priori.
Per ottenere risposte più complesse a stimoli non sempre selezionabili su base evolutiva è stato proposto il
meccanismo del marcatore somatico che, in pratica, estende il sistema cognitivo umano non solo alle strutture
corticali, ma anche al suo intero organismo. Ogni volta che una combinazione di stimoli viene riconosciuta
pericolosa o piacevole, viene associata ad uno stato fisico corporeo.
Quando lo stato fisico si ripresenta, anche in assenza dello stimolo originario, il sistema emotivo induce lo stesso
tipo di reazioni associate all’evento esterno: questo stato fisico sarebbe il marcatore somatico dell’evento
esterno.

Emozioni e consumo: dalla teoria alla pratica

Lo studio della motivazione e quello dell’affetto sono strettamente correlati. I concetti di affetto, emozione,
sentimento sono spesso citati e descritti dagli studiosi, e sono fondamentali, in quanto in grado di influenzare il
comportamento dei consumatori.
L’affetto ha la capacità di attivare, di preparare all’azione e di stimolare il raggiungimento dell’obiettivo. Per
affetto intendiamo uno stato sentimentale interiore, una valutazione sentimentale verso un oggetto, evento o
persona che nulla ha a che fare con i pensieri e la valutazione cognitiva ma con genuino sentimento interiore o
con l’umore. L’affetto di distingue dall’umore semplicemente perché quest’ultimo è considerato come uno stato
affettivo che generalmente può mancare di una precisa identificazione della sua origine ed è di bassa intensità.
L’umore può essere facilmente manipolabile, attraverso ad esempio l’esposizione a stimoli sonori, musica,
immagini o attraverso il recupero di particolari ricorsi emotivamente connotati. L’intensità della manipolazione
dello stato emotivo ed affettivo con stimoli ad esempio pubblicitari è alla base della distinzione tra emozione ed
umore. L’emozione è una reazione intensa, improvvisa, di breve durata, in grado di incidere sul consumatore a
tre livelli:
1. quello fisiologico attraverso modificazioni riguardanti la respirazione, la pressione arteriosa, il battito
cardiaco, la circolazione, la digestione e così via;
2. quello comportamentale grazie al quale possiamo vedere come cambiano le espressioni facciali, la
postura, il tono della voce e le reazioni;
3. quello psicologico che si riferisce a ci che sentiamo e proviamo personalmente e che Ł in grado di
modificare il controllo di noi stessi.
L’emozione è uno stato affettivo più intenso dell’umore e meno stabile.
I sentimenti invece, si riferiscono alla capacità di provare sensazioni ed emozioni in maniera consapevole e
riguardano la coscienza delle proprie azioni, del proprio essere e dell’altro. Si riferiscono ad una o a più persone,
sono meno intensi delle emozioni, hanno una durata più lunga delle emozioni e sono consapevoli.
Il ruolo della comunicazione pubblicitaria è di creare una emozione alla vista della marca o del prodotto e con il
tempo di promuovere un conseguente coinvolgimento sentimentale. Le emozioni hanno un ruolo guida nei
comportamenti. Permettono di aumentare l’intensità del ricordo ma anche magari di inibire il processo

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mnemonico. In genere lo studio dell’effetto della pubblicità dal punto di vista emotivo ha prevalentemente fatto
riferimento a due dimensioni emotive o affettive: piacevolezza e non piacevolezza e attivazione/deattivazione
(engagement).
Per questa potrebbe essere una eccessiva semplificazione: una forte emozione positiva non è detto che sia
contrario ad una emozione negativa, anzi alcuni autori hanno individuato deboli correlazioni tra queste emozioni
in soggetti coinvolti emotivamente.
Il circumplex model of affect, rappresentazione grafica proposta da Barrett e Russell (1999), non è molto utile
adesso, in quanto non contempla l’idea di poter vivere contemporaneamente emozioni contrastanti (è un modello
bipolare). In realtà esistono emozioni miste che permettono di essere al contempo felici e tristi. Gli stati emotivi
sono anche stati correlati con la produzione di cambiamento di attenzione, di possibilità di richiamo di stimoli e
elaborazione delle informazioni.
Grazie alle riflessioni della psicologia economia, agli studi di behavioral economic e alle neuroscienze le
emozioni, gli affetti, l’umore non sono più nell’atto di consumo elementi ritenuti intervenienti o disturbanti da
controllare, ma quegli elementi essenziali della scelta da studiare.
La ricerca sul consumatore considera oggi il ruolo determinante che hanno nel condizionarne le scelte sia nel
caso in cui l’emozione e integrale alla relazione con il prodotto (ovvero stimolata dal prodotto), sia quanto è un
elemento incidentale al rapporto con il prodotto (ovvero quando è preesistente alla relazione e determinata da
altre cause), sia infine quando l’emozione è task – related ,ovvero strettamente legata al processo di scelta come
quando occorre fare una scelta su due prodotti o alternative emotivamente identiche.

Le forme e le tipologie di emozione

Un primo punto condiviso da quasi tutte le teorie risiede nel fatto che le emozioni si possono dividere in
primarie, o di base, e secondarie, o complesse. Mentre le emozioni di base hanno una forte determinazione
biologica (paura o collera per esempio), quelle secondarie derivano dal diverso peso di alcune emozioni
primarie, ma sono anche il risultato delle esperienze passate e quindi del contesto educativo, storico e culturale.
Autori diversi sostengono diversi tipi e numeri di emozioni, ma quelle comuni sono la tristezza, la rabbia, la
paura, la felicità e la sorpresa. Di certo c’è un consenso generale nell’ascrivere agli stati emotivi i seguenti
denominatori comuni: spontaneità, pervasività e transitorietà.
Un altro fattore condiviso risiede nell’attribuzione agli stati affettivi di una connotazione o di un valore. Per
questo alcuni ricercatori parlano di valenza, lungo l’asse su cui possono essere scanditi i giudici di piacevolezza /
spiacevolezza di una emozione. Il significato del termine valenza può essere anche spiegato come la qualità di
una esperienza emotiva, per cui essa può essere giudicata da chi la prova come positiva o negativa.
Vale la pena di riflettere sul rilievo che la soggettività esercita su una emozione. Per questa ragione si parla di
qualità edonica di una persona, e con questa etichetta si vuole catturare la dimensione soggettiva di uno stato
psicologico o affettivo, in termini di positività / negatività.
Un ultimo denominatore comune e condiviso consiste nel riconoscere alle emozioni un correlato biologico di
attivazione, in inglese chiamato arousal. In sostanza, ogni qual volta si fa l’esperienza di una emozione, si
ravvisa un cambiamento, rilevabile anche attraverso delle alterazioni fisiologiche e biologiche del corpo e/o del
sistema nervoso centrale e periferico.
Secondo la teoria degli effetti periferici di James (1890), nota come teoria di James - Lange, la percezione di
eventi esterni è in grado di determinare delle modificazioni corporee periferiche, che vengono poi elaborate
retroattivamente a livello cognitivo, ed etichettate come emozione o sentimento emozionale. La relazione
stimolo – sentimento emotivo può essere riassunta nella sequenza: STIMOLO RISPOSTA FISIOLOGICA
RETROAZIONE SENTIMENTO.

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L’ipotesi di James presentava alcune analogie con quella formulata da un fisiologo danese Charl Lange. Secondo
Lange ciò che caratterizza l’emozione è la percezione dei cambiamenti dell’organismo, cioè quelli causati da un
aumento dell’attività del sistema nervoso autonomo.
Lo studioso Hohmann, in linea con la concezione di James, concluse, dopo un esperimento, che per provare
emozioni intense è necessario avere un qualche feedback dal proprio corpo.
Secondo Damasio (1994) queste emozioni innate sarebbero le emozioni primarie, da distinguere dalle emozioni
secondarie che si presentano una volta che abbiamo cominciato a provare sentimenti e a formare connessioni
sistematiche tra categorie di oggetti (di consumo) e situazioni da un lato, emozioni primarie dall’altro.
Darwin sosteneva che l’espressione delle emozioni fosse universale e adattiva, finalizzata alla coesione del
gruppo e alla sopravvivenza della specie. Egli sottolineò la continuità e somiglianza delle espressioni emotive
umane con quelle del mondo animale e la loro duplice funzione, consentire un’azione efficace nei confronti
dell’ambiente e costituire un magnifico strumento di comunicazione.
La funzione evoluzionistica porta ad una nuova ipotesi: la possibilità di riconoscere le emozioni
indipendentemente dall’etnia di appartenenza, oltre ad avere una funzione comunicativa, permette di poter
studiare l’effetto di uno stimolo pubblicitario con modelli interpretativi fondati sul riconoscimento delle
emozioni.
A questa finalità si potrebbe affiancare anche quanto previsto dalla teoria del feedback espressivo di Paul
Ekman, che sottolinea il ruolo dei muscoli facciali alla percezione delle emozioni. Alla base di tale concezione vi
è l’idea che le emozioni abbiano un carattere innato, pertanto una specifica configurazione facciale è associata o
determina una specifica emozione.
La teoria del feedback facciale è molto interessante perché sostiene che il feedback proveniente dai muscoli
facciali influisce sull’emozione che il soggetto prova, ci significa che il feedback sensoriale che deriva dalle
espressioni facciali contribuisce all’emozione che noi proviamo in un dato momento. Ekman nelle sue ricerche
Ł riuscito, inoltre, a dimostrare l’esistenza anche di micro – espressioni del volto che sono strettamente legati ai
circuiti cerebrali delle emozioni e pertanto poco controllabili.
Il lavoro di Paul sulle espressioni facciali ha messo in evidenza come vi siano delle gestalt universali sul volto
umano in grado di veicolare diversi tipi di emozioni o stati mentali, a prescindere dalle culture di appartenenza.
Applicando a tali gestalt universali dei punti di riferimento sul volto in modo tale da poterli usare per elaborare
l’espressione facciale, è possibile misurare le emozioni attraverso le espressioni facciali.
Il riconoscimento delle espressioni emotive fondamentali e delle micro – espressioni attraverso le nuove
tecnologie ha creato una nuova branca scientifica di grandissimo interesse per lo studio dei consumi, l’ affective
computing, che riuscendo a riconoscere l’emozione del soggetto attraverso le emozioni del volto o l’attivazione
dei parametri fisiologici connessi all’emozione e come possano interagire con il soggetto sulla base del suo stato
emotivo, riesce ad offrire a chi si occupa di neuromarketing un sistema di lettura delle emozioni provate in
relazione a stimoli di consumo.
La ruota delle emozioni creata da Plutchik evidenzia le polarità e l’intensità via via decrescente delle emozioni,
più i vari stati intermedi. In questa rappresentazione le emozioni si contrappongono a coppie in modo polare.
Seguendo il petalo del fiore verso l’interno l’emozione primaria aumenta di intensità e si forma così il cerchio
centrale del fiore. Verso l’esterno invece l’emozione cala di intensità. Secondo questo modello le emozioni poi si
combinano tra di loro, per creare quelle che abbiamo già definito emozioni secondarie o complesse.
Secondo la teoria di Cannon o teoria degli effetti centrali, la risposta emotiva è conseguente alla stimolazione
dei nuclei dell’ipotalamo. In questo caso il sistema nervoso centrale ha un ruolo determinante e lo dimostrano
numerosi studi in cui si è messo in evidenza come stimolando in modo sistematico le zone più diverse del
cervello si producono comportamenti coincidenti con quelli tipici di alcune emozioni, quali gioia e rabbia. La
differenza è netta con le altre teorie. Infatti, secondo l’ipotesi di Cannon, tutte le emozioni presentano la stessa
configurazione di risposte fisiologiche osservate nella reazione di emergenza, mentre secondo James ogni
emozione presenta una propria specifica. Secondo Cannon le emozioni però iniziano e terminano in coincidenza

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con la stimolazione nella zona cerebrale specifica secondo quella che può essere anche chiamata teoria delle
emozioni di Cannon – Bard. Gli studi di Cannon hanno costituito un punto di partenza per le cosiddette teorie
dell’attivazione o Arousal. Tra queste quella di Arnold e Lindsley che sostiene che lo stimolo determina a livello
di corteccia cerebrale un eccitamento che a sua volta ha il doppio e contemporaneo effetto di suscitare
un’emozione e di attivare schemi dinamici ipotalamici che si esprimono a livello periferico. Secondo questa
teoria l’emozione contribuisce ad articolare la comprensione e la percezione della realtà e non porta alla perdita
di razionalità.
Nello studio della cosiddetta reazione di emergenza, Cannon ha individuato l’esistenza dell’arousal simpatico o
autonomo che prevede un quadro tipico di modificazioni fisiologiche, cioè un pattern che si osserva in tutte le
forme di eccitamento.
A sua volta Lindsley (1951) ha osservato l’esistenza di un arousal corticale, inteso come una sorta di blocco o
comunque di de - sincronizzazione delle onde alfa che avviene in seguito alla stimolazione della formazione
reticolare del tronco encefalico, connessa all’eccitazione emotiva. Si tratta di sistemi che presentano un certo
grado di interrelazione. L’aspetto più importante è che essi variano lungo la dimensione dell’intensità.
A questa teoria si affianca anche il lavoro di Schacter e Singer e la teoria dell’eccitazione cognitiva, che sembra
comprendere sia la posizione di Cannon che quella di James. Schacter (1964) sostiene che l’esperienza emotiva
si verifica quando una persona si trova in uno stato di attivazione (arousal) e, contemporaneamente, attribuisce
tale condizione ad un qualche evento emozionale e la definisce appraisal (da contrapporre all’arousal).
Di conseguenza, la consapevolezza dell’arousal rende emozionale l’esperienza vissuta dal soggetto. Mentre
l’elaborazione cognitiva della situazione (appraisal) che ha provocato l’attivazione fisiologica, determina il tipo
di emozione provata. Il feedback periferico proveniente dall’organismo rende consapevole il soggetto di uno
stato di attivazione (arousal), ma solo la valutazione cognitiva (appraisal) del contesto permette di identificare
l’emozione specifica.
La teoria di Schacter e Singer ha aperto la strada ai successivi approcci cognitivisti alle emozioni. Tra queste vi
sono le teorie cognitiviste che ritengono che l’affettività derivi dal modo in cui il soggetto struttura ed interpreta
gli eventi del mondo circostante, cioè dipende dalle sue cognizioni. In questo caso il valore emotivo nasce dal
modo in cui il consumatore lo interpreta.
Le Doux e la sua teoria a due vie offre una interessante chiave di lettura per lo studio del consumatore attraverso
le tecniche di neuromarketing: secondo l’autore il cervello valuta lo stimolo e stabilisce le modalità di risposta.
Ciò avviene prevalentemente grazie ad un ruolo determinante agito dall’amigdala che trovandosi al centro di un
sistema di comunicazioni del nostro cervello, e ricevendo informazioni da diverse fonti è alla base dell’intero
processo emotivo ed è in grado di elaborare in maniera complessa l’esperienza emotiva di uno stimolo,
attraverso il collegamento e la retroazione tra centri specifici sensoriali, cognitivi e motori. La via o circuito sub
– corticale collega l’amigdala al talamo per questo sembra la diretta responsabile della valutazione automatica e
inconscia degli stimoli. Secondo questo approccio la prima impressione emotiva che potrebbe guidare l’atto di
consumo Ł attribuibile a questa via. Mentre il circuito corticale implicherebbe connessioni più articolate tra
l’amigdala, talamo e corteccia cerebrale. Attraverso tale via, l’amigdala si connette ai lobi frontali importanti
nell’espressione e pianificazione comportamentale e di decisione in merito alla scelta d’acquisto. Sempre
attraverso questo circuito l’amigdala risulta implicata nei processi cognitivi superiori e nella valutazione e
attribuzione di significato (consapevole) agli stimoli emotigeni. Questa doppia via spiegherebbe sia la
dimensione immediata e non consapevole dell’atto di consumo che l’effetto della valutazione cognitiva e
l’influenza della dimensione culturale e sociale dell’emozione.
Secondo Zajonc, basandosi sui risultati ottenuti nei suoi studi, arriva a concludere che il processamento affettivo
avrebbe il ruolo di giudicare se lo stimolo / situazione piace o non piace, mentre il processamento cognitivo
avrebbe la funzione di riconoscere lo stimolo / situazione.

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La misurazione delle emozioni

La pratica di misurare le reazioni psico – fisiologiche correlate con le emozioni è anche conosciuta generalmente
con il termine di Biofeedback, che dagli anni ’70 in poi è stata la base dei trattamenti di medicina
comportamentale. Proprio come il termine suggerisce, il concetto di base ruota attorno alla possibilità di fornire
una informazione di ritorno in merito al singolo stato psicofisico generale col fine di migliorare la propria
regolazione dei processi fisiologici che più o meno direttamente influiscono sugli stati mentali.
Nella terapia basata su questa tecnica, attraverso l’impiego di schermi di computer che rappresentano i loro
indici fisiologici, gli individui sono allenati ad esercitare il proprio controllo volontario sui loro parametri
fisiologici, che in genere sono: l’attività cardiaca, la sudorazione della pelle, la respirazione, la temperatura
periferica, la pressione del sangue, la tensione muscolare e l’attività cerebrale. Le applicazioni nel campo del
marketing si servono degli stessi processi e delle medesime tecniche di indagine. Nello specifico i parametri
fisiologici più utilizzati sono:
• sudorazione cutanea: quando aumenta il sudore, diminuisce la resistenza elettrica della pelle;
• variabilità cardiaca: comprendente le misure del battito cardiaco in tutte le sue espressioni;
• consumo di ossigeno: generalmente nel sangue;
• livello di tensione / rilassamento (elettromiografia EMG): del tono muscolare;
• vasocostrizione periferica: pulsazione del volume del sangue presente nei capillari;
• segnale elettroencefalografico del cervello (EEG): con cui si misurano le onde cerebrali.
Oltre a questi parametri un ulteriore dato è offerto dalla dilatazione pupillare che permette di misurare il grado di
attivazione di un soggetto. La dilatazione pupillare può essere misurata attraverso uno strumento indispensabile
per analizzare i movimenti oculari, l’eye tracker. Questo è in grado di tracciare su uno schermo tutti i punti dove
gli occhi guardano e di tracciare il percorso degli occhi sullo schermo. Quando si guarda qualcosa, gli occhi
compiono delle soste, dette fissazioni e dei salti o movimenti molto rapidi detti saccadi. Infine, non si può non
fare un breve cenno alle tecniche di neuroimmagine frutto di tecnologie molto complesse ma in continua
evoluzione, come la risonanza magnetica funzionale, la magnetoencefalografia, la tomografia computerizzata, la
tomografia a emissione di positroni. Tutte tecniche che hanno permesso di mettere in evidenza le aree del
cervello che si attivano maggiormente quando il soggetto fa l’esperienza di stati emotivi.

Vedi box da pag. 205 a 216

Functional Magnetic Resonance Imaging (fMRI) o Risonanza Magnetica Funzionale (RMF)

La risonanza magnetica funzionale è una tecnica di imaging biomedico che consiste nell’uso dell’imaging a
risonanza magnetica per valutare la funzionalità di un organo o di un apparato, in maniera complementare
all’imaging morfologico. Si tratta di tecniche che da una parte hanno permesso di avere una più chiara
conoscenza del sistema cerebrale e dall’altra hanno permesso di avere interessanti applicazioni dirette nel campo
della ricerca sul consumatore già dagli anni ’90. Sebbene la RMF sia una terminologia generica, essa è spesso
usata come sinonimo di risonanza magnetica funzionale neuronale. Questa tecnica è in grado di visualizzare la
risposta emodinamica correlata all’attività neuronale del cervello o del midollo spinale. Nell’uomo o in animali.
La RMF ha contribuito in maniera significativa nel dare alla neuropsicologia la possibilità di analizzare
differenti aspetti del ruolo di ciascuna regione cerebrale attraverso lo studio delle aree attivate in funzione di un
particolare atto o pensiero.
Se la RMF misura l’attività sanguigna, che ha tempi di risposta molto più lunghi, la magnetoencefalografia
(MEG) è, invece, una tecnica di immagine molto più veloce usata per misurare i campi magnetici attraverso
l’impiego di apparecchiature elettroniche molto sensibili, in inglese SQUIDs.

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Il segnale MEG e EEG deriva dall’effetto dalla corrente degli ioni che scorrono attraverso la membrana dei
dendriti durante le trasmissioni sinaptiche.
Poiché l’EEG è una tecnologia molto adatta a captare i campi elettrici (non quelli magnetici) dei neuroni in
superficie, la combinazione di EEG e MEG risulta essere un binomio ottimale per rilevare i segnali prodotti dalla
attività elettrica dei neuroni della corteccia cerebrale.
Un altro interessante strumento di matrice psicofisiologica legato alla capacità di misurare i tempi di reazione e il
tempo di latenza è il test d’associazione implicita. Questo test è stato originariamente sviluppato come
strumento per esplorare le radici inconsce del pensiero e del sentimento ed è una tecnica per misurare le
associazioni automatiche di immagini e / o aggettivi. L’ipotesi di funzionamento dello IAT risiede nel principio
che se vi è un atteggiamento positivo radicato nei confronti del brand o prodotto più basso sarà il tempo di
latenza nell’associare l’immagine del prodotto o brand con concetti positivi.

Le applicazioni nel campo del consumo

Prima ancora dello sviluppo del marketing esperienziale fondato proprio sulla capacità di coinvolgimento
emotivo ed affettivo il marketing ha sempre cercato di misurare l’emozione che stava dietro la relazione con il
brand e con il prodotto. Fin dagli anni ’60 è possibile trovare le prime applicazioni sui consumatori e le ricerche
finalizzate ad analizzare le emozioni, l’attenzione, la memorizzazione. Negli anni abbiamo assistito all’utilizzo
di specifiche tecniche:
• negli anni ’60 e ’70 la dilatazione pupillare e la conduttanza elettrodermica‚
• negli anni ’80 la misurazione cardiovascolare e le espressioni facciali.
• Dal 2000 in poi si è assistito ad un incremento dell’utilizzo di tutti gli indicatori grazie allo sviluppo
delle conoscenze sul funzionamento cerebrale e al miglioramento delle tecnologie sempre più sofisticate
e sensibili.
La misurazione della dimensione affettiva che si svilupperebbe spontaneamente, senza alcuno sforzo cognitivo,
permetterebbe di valutare oggettivamente ci che Mehrabian e Russel (1974) avevano definito reazione emotiva
nelle sue principali dimensioni, quella di piacere, di attivazione e di dominanza.
Il grado di piacere e di attivazione legata alla dimensione affettiva è stato già studiato attraverso l’analisi delle
onde alpha e delle onde beta dell’elettroencefalogramma (EEG), utilizzate anche per misurare l’attività
cerebrale, l’impegno cognitivo che una scelta può generare nel consumatore e lo stato di attivazione cognitiva
(attenzione e memorizzazione).
Sebbene le neuroscienze confermino che l’attivazione selettiva di ciascun emisfero può variare a seconda dell’et,
del sesso, del tipo di stimolo, gli studi sulla possibilità di distinguere le attivazioni differenziate per area
cerebrale non hanno ancora portato a dati indiscutibilmente attendibili e validi.
Gli studi sul funzionamento del cervello, effettuati grazie sia alle tecniche encefalografiche che a quelle offerte
da attrezzature più sofisticate come la risonanza magnetica funzionale, hanno permesso anche di analizzare
eventuali differenze funzionali e anatomiche tra uomo e donna, tra giovani e anziani, permettendo di giungere a
soluzioni applicative nel campo dei consumi e della comunicazione pubblicitaria coerenti con queste eventuali
differenziazioni. Sappiamo per esempio che il cervello dell’uomo e quella donna si differenziano molto anche
per motivi di ordine adattivo.
Nella donna per esempio il corpo calloso che permette la congiunzione tra i due emisferi è molto sviluppato più
che nell’uomo, e ci si traduce in una maggiore predisposizione delle donne alla gestione di più compiti
contemporaneamente ed una capacità di elaborazione delle informazioni maggiore (l’uomo invece ha più
sviluppata l’amigdala, cioè la ghiandola necessaria per la gestione dell’aggressività e della sessualità).
Individuare le aree cerebrali coinvolte in un messaggio pubblicitario, unitamente alla misura dell’eccitazione
neuronale, consente prima di esporsi a grandi spese di valutare l’efficacia del prototipo sulla base del livello di

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interesse suscitato e del potenziale mnemonico associato all’attivazione di particolari aree deputate alla
memorizzazione.
Inoltre, poiché spesso i consumatori non sono consapevoli di tutte le emozioni che provano e non riescono a
farne una precisa valutazione quantitativa, dobbiamo sempre considerare che il giudizio esplicito e razionale
rischia di essere fuorviante.
Non a caso i primi studi dell’effetto della pubblicità sulle emozioni dei consumatori effettuata con fMRi ha
permesso di selezionare i messaggi più efficace nell’attivazione di una specifica area cerebrale (l’insula
anteriore) dedicata alla reazione empatica nell’osservazione dell’emozioni altrui.
La dilatazione pupillare è sempre stata considerata una misurazione di grande interesse, Ł utilizzabile per la
misurazione dell’attenzione, dell’arousal, dello stato di piacere, e per la misura della memorizzazione e
dell’attivazione cognitiva.
Il picco vocale è un’altra misurazione che storicamente è stata utilizzata per l’analisi dell’attivazione emotiva.
Questo indicatore misura come cambia il tono di voce quando si è coinvolti emotivamente. Sviluppato
originariamente da Brickman (1976) è stato anche utilizzato nel campo dell’advertising research e per misurare il
cambiamento degli atteggiamenti.
Anche l’analisi del battito cardiaco ha una sua storica applicazione per la misurazione dello stato di piacere o
non piacere, del processo cognitivo e dell’attenzione e per predire il richiamo e la memorizzazione. Inoltre,
sembra particolarmente utile anche nella sua applicazione fuori dal laboratorio. Come il battito cardiaco,
l’attività vascolare rappresenta un ulteriore indicatore di attivazione emotiva. Essa è stata già studiata per
misurare lo stato di piacere, di arousal e di memorizzazione. Non basta avere macchine e tecnologie avanzate per
misurare l’attivazione fisiologica in maniera attendibile e ipotizzare un diretto effetto stimolo - risposta, la
complessità dei dati e l’influenza di possibili variabili intervenienti richiedono tecniche di triangolazione del
dato e l’uso di saperi interdisciplinari come per esempio le conoscenze psicosociali, quelle bio - ingegneristiche,
quelle mediche e quelle di bio - statistica.

Cap. 6 – Costruzione identitaria e comunicazione di marca

Introduzione

Esempio Simone: dirigente di una grande multinazionale. Molto attento alla cura del proprio corpo e della
propria forma fisica. Questo aspetto lo si riscontra anche nella scelta di determinati prodotti. Interessato prima di
tutto a se stesso, alla sua immagine, ai suoi hobby (nuoto) e a mettere in atto pratiche di consumo che riflettono
l’interesse per la propria autodeterminazione.
Alcuni cambiamenti sociali, come l’indipendenza delle donne, le famiglie monoparentali, il moltiplicarsi dei
single, destrutturano gli equilibri attorno ai quali si caratterizzavano i consumi negli anni ’60 – ’70.
Anni ’80: il consumatore vive all’insegna dell’individualismo. In questi anni si parla di “sovranità
dell’individuo”, come della “sovranità della marca”, quasi a suggerire il dialogo esclusivo che il consumatore
instaura con il brand, appropriandosi dei valori e dei significati che rappresenta al fine della sua costruzione
identitaria. Questo modo di rapportarsi ai prodotti di consumo raffigura una relazione di dipendenza
dell’individuo rispetto alla marca, che egli stesso, anche a seguito di condizionamenti sociali, erige a modello di
riferimento, quale detentrice e rappresentante di immagini valoriali a cui ispirarsi e di cui perseguire
l’acquisizione. Sebbene oggi si registri un calo della sovranità della marca, la sovranità dell’individuo permane,
anche se rispetto agli anni ’80, il consumatore trova nella scelta di un prodotto un appiglio momentaneo rispetto
ad un’esigenza di autodeterminazione.

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I diversi modi di pensare a se stessi

I concetti di identità e di self (il sé) sono usati sempre per fare riferimento a descrizioni della persona nella sua
individualità. Il concetto di self viene più spesso utilizzato per fare riferimento a specifiche componenti o a
posizioni di auto - osservazione o ancora a determinati processi che riguardano l’idea che ci facciamo di noi
stessi.
Il termine identità rimanda più frequentemente alla unicità della persona nel suo complesso.
Per quanto riguarda il piano individuale, si è distinto il self come soggetto dal self come oggetto. Già James
(1890) ha distinto i due modi di guardare a se stessi:
• il self come conoscitore, ovvero l’IO ‚
• il self come conosciuto, ovvero il ME
Il self come conoscitore comprende i vari stati del self, come per esempio lo stato di consapevolezza di sé detto
self - awareness, e le motivazioni del self che riguardano tutti i processi auto - riflessivi e di auto - regolazione
che influiscono sull’azione. Quando si parla di self conosciuto, invece, possiamo distinguere definizioni del self
che fanno riferimento a ruoli e a categorie di appartenenza, e definizioni del self che fanno riferimento al
confronto tra diverse rappresentazioni del self, come la distinzione fra Sé ideale e Sé reale, oppure si riferiscono
ai vari Sé possibili, e ai giudizi su diverse dimensioni del self, come l’auto - stima (giudizio di valore generico
attribuito alla persona) e l’auto - efficacia (giudizio circa la capacità relativa a specifici contesti di azione).
Le varie percezioni del self e i sistemi di conoscenza del self sarebbero organizzati in strutture gerarchiche utili
all’attivazione mnestica oppure in narrative che attribuiscono coerenza e continuità al senso di identità altrimenti
frammentate in una moltitudine di rappresentazioni.
Il piano di analisi sociale concepisce il self - identità come sostanzialmente condizionato dall’esterno. Si parla di
modello sociale condiviso, di aspettative sociali, di concezione culturale della persona, di valori culturali
prevalenti e processi di costruzione identitaria influenzati dagli standard di riferimento sociali.
Quindi, i concetti di “cultura” e di “identità” sono strettamente correlati tra di loro nella costruzione identitaria;
basti pensare alle diverse concezioni delle società occidentali e orientali circa l’identità (es.: queste ultime
antepongono l’identità di gruppo all’identità individuale contrariamente a quanto avviene nelle società
occidentali dove l’espressione individuale è considerata al pari di un valore e sin dall’infanzia si va alla ricerca
della propria unicità.
Queste differenze culturali hanno un impatto considerevole sulle valutazioni delle considerazioni delle
condizioni che favoriscono o impediscono l’espressione individuale verso quelle del gruppo.
È per esempio il caso della “privacy”: la legislazione deve tener conto delle differenze culturali circa il valore
attribuito all’identità individuale e alle conseguenti diversità nelle percezioni in materia di diritto alla privacy.

Identità e privacy nella società contemporanea

Nella concettualizzazione di Altman (1975) l’abilità o l’incapacità di regolare le barriere personali è un fattore di
primaria importanza per la definizione del self. La percezione di essere in grado di controllare l’interazione con
gli altri fornisce informazione positiva circa la propria competenza ad affrontare il mondo e a mantenere allo
stesso tempo la propria individualità. Per la definizione del self è importante quindi saper regolare le barriere
personali e i meccanismi della privacy definiscono proprio i limiti e le barriere del self. Ciò che è importante è
l’abilità di regolare il contatto nella misura che si ritiene adeguata, allontanando le influenze degli altri quando
non sono gradite o avvicinandole senza paura quando ritenute necessarie.
“Se posso controllare quello che sono io da quello che non sono io, se posso definire cosa è una da cosa non lo
è, se posso osservare i limiti e lo scopo dal mio controllo, allora ho fatto un grande passo verso la comprensione

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e la definizione di che sono. Quindi il meccanismo della privacy serve ad aiutarmi nella mia auto-
definizione.” (Altman, 1975)
Molti sociologi attribuiscono un ruolo importante alla privacy, infatti questi ultimi suggeriscono che la
protezione della privacy risponda sia ad un bisogno di evitamento del rischio di invasione da parte degli altri, sia
ad un bisogno di esercitare controllo sulle influenze esterne, sempre al fine di salvaguardare la propria
autonomia (Hinde).
La protezione della privacy risponde sia ad un bisogno di evitamento del rischio di invasione da parte degli altri,
sia ad un bisogno di esercitare controllo sulle influenze esterne, sempre allo scopo di salvaguardare la propria
autonomia. (Kelvin, 1977)
Anche per Goffman, utilizzando la metafora del retroscena del teatro, concettualizza l’esistenza della zona
privata, dove certe informazioni circa il self sono preservate dalla conoscenza altrui. Attraverso la regolazione di
barriere personali, ovvero controllando il grado di auto - rivelazione e il grado di privacy, le persone possono
controllare la propria identità, intesa come immagine sociale, e di conseguenza il proprio impatto nella società.
Oggi, secondo Altman, a causa dell’innovazione tecnologica e della pervasività dell’informazione, sarà sempre
più difficile per il consumatore esercitare un controllo sulle proprie barriere e quindi sulla propria identità. La
minaccia alla privacy assume il valore una minaccia alla libertà. Tutto ciò che minaccia la privacy corrisponde
anche ad una minaccia all’identità individuale, oggi più che mai basata sui principi di libertà e autonomia.

Self-concept, Sé ideale, Sé possibili e identità multiple

Con il termine self - concept si fa riferimento all’idea che si ha di Sé, ovvero a quel self conosciuto. E quindi:
✳ Sé reale: quello che penso di essere, la condizione attuale;
✳ Sé ideale: quello a cui aspiro, l’ideale da raggiungere;
✳ Sé possibili: molteplici sfaccettature di me stesso, sia attuali che potenziali. Rappresenta il collegamento
fra cognizione e motivazione.
Le valutazioni del “Sé reale” e del “Sé ideale” possono discostarsi l’una dall’altra. La pubblicità sfrutta proprio
questo gap, presentando modelli di identificazione che forniscono un ideale troppo lontano dal reale e
incentivando una valutazione severa del sé reale, per esempio associando valutazioni negative alle rughe o ai
capelli bianchi. L’associazione tra bellezza giovinezza e successo economico produce un divario tra i due “Sé”,
colmabile solo sul piano simbolico attraverso la scelta di prodotti e di marche in grado di rappresentare gli stessi
valori.
Dal momento che il contesto sociale svolge un ruolo importante nella costruzione del “Sé”, è possibile
considerare il self come una realtà dinamica ed in costante evoluzione. Si tratta di interpretazioni socio-
centriche, in quanto l’identità appare composta di molte sfaccettature che trovano espressione in base ai diversi
contesti e stimolazioni che provengono dall’ambiente. Rosenberg parla di “identità sociali” a seconda dei ruoli
rivestiti. Esse tuttavia non esauriscono la molteplicità delle identità di una persona e a queste si associano anche
tratti individuali non riconducibili a particolari ruoli sociali.
Il Sé ideale è formato da modelli che si sono introiettati, che rappresentano come si pensa si dovrebbe essere.
Essi derivano dalla sovrapposizione di modelli parentali con modelli aspirazionali acquisiti attraverso
l’esposizione diretta o mediatica ad altre persone che vengono assunte a ideali di riferimento.
Secondo la tradizione più prettamente sociologica dell’interazionismo simbolico, ogni persona ha
potenzialmente più Sé sociali che si costruiscono e si esprimono nell’interazione sociale. Qui gli stimoli che
provengono dall’esterno non sono dati oggettivi, ma piuttosto il frutto di processi interpretativi che si forgiano
attraverso la comunicazione, il linguaggio, i simboli che emergono nello scambio con l’altro. Le persone
attribuiscono significato a se stesse e alle cose in base ai significati che vi attribuiscono e al modo in cui
agiscono verso queste stesse cose o persone. Il significato emerge quindi, dall’agire stesso nel contesto

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dell’interazione e dalla reciproca interpretazione di quello che si pensa essere l’agire dell’altro. (Blumer) Ecco
perché possono coesistere diversi modi di essere e diverse identità.
La concezione dell’identità come risultato di una interpretazione sottolinea la sua natura cangiante e fluida a
seconda dei contesti sociali. Per l’ottica socio - costruzionista di Gergen (1979), l’identità è in continua
evoluzione.
Allontanandosi dalla concezione di identità come elemento stabile che fornisce una dimensione centrale e
unitaria all’essere umano, Gergen propone un concetto di identità multipla e fatta di elementi spesso in
contraddizione fra loro. Tale concezione viene ripresa come caratteristica di base nella descrizione degli
individui delle società postmoderne. Ne deriva un consumatore dalle identità multiple che lo orientano verso
forme di autorealizzazione contradditorie, che tenta di compensare le sue mancanze attraverso scelte di stili di
vita adeguati e relazioni significative con i brand che sono spesso all’origine degli stessi processi di
identificazione e imitazione.
Oggi si tende a descrivere il consumatore come un soggetto dalle identità multiple, dai molteplici Sé possibili
che lo orientano verso tentativi di autorealizzazione contraddittori e allo stesso tempo impegnativi perché troppo
numerosi o troppo onerosi.

Post modernità e identità

Fra i principali cambiamenti rispetto al passato si rileva la crescente individualizzazione, per cui il consumatore
agisce e sceglie in quanto individuo, seguendo le proprie inclinazioni e nel tentativo di esprimere se stesso
piuttosto che come membro di un gruppo o in funzione di necessità utilitaristiche.
Oltre ad essere concentrato su di Sé, il consumatore postmoderno si trova ad affrontare una tendenza alla
frammentazione dei modelli, dei valori e degli stili.
Anche Giddens, sebbene preferisca adottare il termine di modernità radicale per sottolineare la permanenza di
forze strutturali ed evitare il rischio di relativismo, riconosce nella frammentazione e nell’individualizzazione
alcuni dei cambiamenti più significativi che investono l’individuo nella società contemporanea.
Inoltre, come Beck, puntualizza l’emergere della percezione del rischio come elemento di ulteriore
complicazione nel quadro già incerto dell’identità moderna.
Di fronte alla complessità, all’incertezza e al rischio percepito, il consumatore di oggi si trova nella necessità di
affidarsi alla fiducia ontologica per evitare l’effetto paralizzante dell’ansia che esperisce nel dover scegliere. La
possibilità dell’auto - determinazione obbliga il consumatore a dedicare tempo ed energie nel tentativo di operare
scelte corrette, che garantendo l’apprezzamento sociale possano apparire adeguate al perseguimento della
felicità. Egli è infatti, sicuramente più libero nell’auto-determinarsi, ma paga questo atto di libera espressione in
termini di insicurezza, ansia da prestazione e paura.
La concentrazione sul self (self - focus) appare pertanto una esigenza dettata dalla necessità di esercitare
discrezionalità e autonomia. Il self-focus aumenta all’aumentare dell’insicurezza e dalla mancanza di controllo
percepito ed è un’esigenza che nasce dal perseguimento della felicità. Se prima si affidava la felicità alla
religione, rimandando la questione all’aldilà, i nuovi valori di riferimento sollecitano un’autorealizzazione tutta
terrena e costringono l’individuo a ricercare nella contemporaneità la ragione della propria esistenza. Il self
focus si esprime in termini di riflessività, per cui il soggetto tende a sottoporsi a valutazione continua, in
relazioni ai risultati che ottiene nell’ambiente e in base ai quali si predispone al cambiamento. La dimensione
postmoderna enfatizza la dimensione sociale dei processi riflessivi che, stimolati dalla pervasività
dell’informazione, inducono la società nel suo insieme e gli individui che ne fanno parte a riflettere
costantemente sui propri processi, predisponendosi in questo modo ad una dinamica di costante evoluzione.

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Il rapporto tra consumo e identità

Il rapporto con i beni di consumo non è di tipo utilitaristico. I beni sono infatti portatori di significati e possono
svolgere un ruolo simbolico ai fini dell’espressione identitaria. Ne deriva che il consumo è un atto di
comunicazione. Douglas e Isherwood (1979) hanno evidenziato il significato culturale degli oggetti e messo in
evidenza la loro funzione simbolica al di là delle caratteristiche funzionali e utilitaristiche.
Nella società contemporanea i significati simbolici si amplificano per via delle strategie di comunicazione delle
marche che diventano portatori di valori e significati. Tuttavia, il consumatore non sempre è fruitore passivo in
questo processo di significazione ma attribuiscono agli oggetti significati propri e intangibili, non previsti dal
produttore e dal marketing.
La condivisione sociale del valore economico di certi beni è un fattore importante nella spiegazione del
materialismo, termine con cui ci si riferisce alla tendenza ad attribuire valore al possesso di beni e alle persone
che li possiedono. La ricerca psicologica ha infatti dimostrato che le persone materialistiche misurano il proprio
e l’altrui valore con riferimento ai beni materiali posseduti, che apparirebbe quindi anche come garanzia di
felicità.
Se i beni possono essere considerati come espressione di valore individuale, essi assumono anche il significato
simbolico di estensione del self (extended self). I beni con cui entriamo in relazione, che diventano di nostra
proprietà e di cui ci circondiamo, assumono significati ulteriori che vanno ad aggiungersi a quelli definiti dalla
marca.
Per spiegare il legame tra le proprietà materiali e l’identità, Dittmar (1992) propone un modello simbolico -
comunicazionale. Secondo questo modello, alcuni oggetti sono considerati per le caratteristiche fisiche e
assumono quindi un significato strumentale; tali oggetti possono assumere anche una funzione simbolica. Altri
oggetti invece hanno solamente significato simbolico, che può essere suddiviso in categorico ed espressivo del
Sé. Il significato simbolico categorico posiziona l’individuo in termini socio - materiali, essendo un indicatore di
status e della posizione economica e sociale; il significato espressivo del sé riguarda invece la rappresentazione
di attributi, qualità, attitudini e inclinazioni personali.
Dittmar sottolinea l’aspetto pubblico dei beni materiali, ovvero il significato che viene attribuito ad un oggetto
da osservatori esterni, distinguendola dalla dimensione privata che è invece rappresentata dalla somma dei
significati che l’oggetto rappresenta per un individuo e può comprendere anche il significato pubblico. Al di là
del significato privato, è il significato pubblico dei beni che spiega molte delle scelte individuali.
I giudizi categorici svolgono un ruolo importante nella formazione della prima impressione. Di conseguenza il
nostro comportamento nei confronti delle persone varierà in funzione di questa prima impressione che ci siamo
formati. In questo modo viene dato un giudizio sulla condizione della persona (valutazione categorica) e
successivamente si forma una impressione sulle qualità personali (valutazione espressiva). In funzione della
prima valutazione.
Nell’ambito delle ricerche di mercato, le tecniche qualitative sono utilmente impiegate per la comprensione dei
significati simbolici attribuiti agli oggetti di consumo. Per esempio, l’approccio semiotico si basa sull’analisi dei
sistemi di senso che concorrono alla creazione e alla caratterizzazione di prodotti e marche attraverso i processi
della comunicazione sociale. Esso serve per individuare quelle forme di relazione e valori in gioco che
caratterizzano gli oggetti di analisi, al fine di poterlo posizionare (per analogie o differenze), incrementando il
potere euristico (si spiega meglio ciò che è stato smontato e confrontato).
La ricerca socio-semiotica è però anche uno strumento che può essere utilizzato autonomamente per esempio per
costruire scenari editoriali, per evidenziare scarti e specificità di posizionamento o per individuare aree non
ancora presidiate. È possibile costruire così una tabella comparativa (mappa o grafico) che mette in evidenza
queste caratteristiche.

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Il consumo del corpo

Nell’ambito del ripiegamento narcisistico che è funzionale al monitoraggio della narrativa identitaria e alla
protezione rispetto al rischio percepito di inadeguatezza, le pratiche trasformative del corpo, le cure di bellezza
come l’attenzione per la moda sono tutti comportamenti di consumo sintomatici del bisogno di controllo sul
proprio self.
Il corpo è il primo territorio a ospitare pratiche di consumo per la costruzione identitaria. Il proprio corpo e tutto
ciò che lo adorna e lo ricopre, così come gli oggetti che hanno a che fare con la persona (auto, casa, letto, …)
sono tutte funzioni rappresentative dell’estensione del self. Le pratiche trasformative del corpo, come la cura
della bellezza l’attenzione per la moda e per la chirurgia estetica e così via, sono invece comportamenti di
consumo sintomatici del bisogno di controllo sul proprio self, per proteggersi dal rischio percepito di
inadeguatezza, per intervenire sul pericolo di esclusione sociale, per contrastare l’invecchiamento.
Il corpo rappresenta quindi, il fulcro del controllo sull’espressione del sé nella relazione sociale, percepito come
uno strumento funzionale al successo nelle relazioni intime come in quelle di lavoro. Ci sono poi casi in cui si
assiste ad una parziale o totale sovrapposizione fra immagine fisica e identità, come per esempio coloro che
ricorrono in maniera intensiva e continua alla chirurgia plastica e nonostante ciò restano comunque insoddisfatti.
Tutta la loro insicurezza e instabilità sociale e relazionale, si ripercuote sul corpo, visto come l’unico territorio
sul quale sentono di poter esercitare un certo dominio.

IDENTITA’ DI GENERE E CONSUMO

Per identità di genere si intendono non solo la consapevolezza dell’individuo di essere maschio o femmina, ma
soprattutto quelle categorie interpretative condivise che ispirano il comportamento secondo il genere di
appartenenza e il ruolo ad esso legato.
Dittmar (1995) propongono una spiegazione del differente comportamento di consumo di uomini e donne
basandosi sulla doppia dimensione del significato che gli oggetti possono assumere: strumentale ed emozionale
simbolico.
Le interviste di venti studenti di sesso maschile e venti di sesso femminile hanno evidenziato che, in accordo con
la self - completion theory, gli individui paiono rapportarsi agli oggetti per il loro significato emozionale e
simbolico a seconda delle mancanze percepite nel concetto di Sé.
L’acquisto di prodotti a contenuto simbolico si spiega in base alla discrepanza percepita fra Sé reale e Sé ideale
e tale discrepanza appare spesso riferita a rappresentazioni di genere. Il genere sessuale e le rappresentazioni che
lo connotano sul piano sociale svolgono un ruolo importante nella costruzione identitaria perché fanno emergere
scelte di consumo differenti in base al genere di appartenenza.
Le donne sono più focalizzate su compensazioni inerenti l’immagine sociale e scelgono quindi prodotti che sono
in relazione trasformativa con il corpo (cibo, trucchi, vestiti). Gli uomini, invece, si concentrano sui simboli che
sono più significativi per l’identità personale, prediligendo così consumi che riguardano l’intrattenimento
personale, consumi funzionali che assumono un ruolo simbolico strumentale alla realizzazione del self. In
entrambi i casi, la scelta dei consumi dipende dal significato emozionale e simbolico a seconda delle mancanze
percepite nel concetto di sé.

Box – La (de)costruzione dell’identità gay tra mercato e società

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Oggi si studiano anche i simboli rappresentativi per la costruzione identitaria da parte dei consumatori gay, dato
che il marketing riesce a orientarsi direttamente al segmento.
La pubblicità tende a indirizzarsi verso un pubblico più eterogeneo per gusti e orientamenti sessuali, un po’ della
rappresentazione degli stereotipi come l’“uomo macho che non deve chiedere mai” e della “donna fatale”
riproponendoli così anche in altri contesti. Un’attenzione particolare è rivolta al consumatore gay, dal momento
che rappresenta sempre più una realtà che identifica prodotti simbolo e stili di consumo utili alla propria
rappresentazione.
Quando la persona accetta, privatamente e socialmente, di vivere la sua identità gay, si attivano determinate
dinamiche di consumo. Il processo di costruzione dell’identità gay viene definito coming out, in quanto si deve
passare attraverso vari livelli di auto - accettazione e visibilità.
È possibile individuare delle fasi del “coming out” a cui corrispondono diversi sistemi di consumo del soggetto:

• Consumi generici tutti prodotti che non rientrano nelle altre tre categorie e che vengono acquistati anche
da eterosessuali;
• Consumi ad hoc assicurazioni gay, viaggi gay, gay club, porno gay, siti gay;
• Consumi simbolici gay “maker goods”: cosmetici, moda, design + gay “maker brand” : Gucci, Prada,
Absolut Vodka;
• Consumi consumption cross – over cosmetici, moda, design, arte.

I mercati e i consumi non solo manifestano le identità dei consumatori, ma partecipano anche alla loro
ridefinizione. Come dice Laura Oswald: “Per quanto da una parte il comportamento di consumo sia una sorta
di specchio del sé, dall’altra il consumo costituisce il sé: i prodotti sono oggetti da amare, odiare, maneggiare e
contribuiscono alla formazione sociale e psicologica del consumatore e della cultura.”

Personalità e stili di vita

Lo studio della personalità è stato utilizzato dal marketing per individuare comportamenti stabili e riconoscibili
a caratteristiche personali. Anche in psicologia questo studio nasce dal desiderio di spiegare delle apparenti
regolarità nel comportamento degli individui attraverso una varietà di situazioni diverse.
In realtà, i tratti della personalità anche se concepiti come caratteristiche stabili, risultano più come una funzione
di impulsi innati, motivazioni apprese ed esperienza.

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Teoria psicoanalitica di Freud mette in evidenza la componente inconscia ad agire. Secondo Freud la personalità
è composta da:
✳ ES: componente pulsionale regolata dal piacere e orientata alla gratificazione immediata e
all’evitamento del dolore. Per esempio: soddisfazione istinti sessuali e aggressivi;
✳ IO: adatta gli istinti dell’Es a un principio di realtà che tiene quindi conto delle regole e limiti imposti
dal mondo in cui l’individuo vive. Rappresenta l’istanza adulta adatta alle richieste dell’ambiente quindi,
oltre soddisfare i propri bisogni, tiene al mantenimento della relazione.
✳ SUPER-IO: istanza ideale che orienta l’Io a migliorarsi e allontanarsi dalla pressione alla soddisfazione
che giunge dall’Es.
La concezione di Freud ha influenzato la ricerca sul consumatore suggerendo l’esistenza di motivazioni inconsce
che si celerebbero dietro a razionalizzazioni imposte dalla coscienza. Ci sono quindi prodotti che al di là dei loro
attributi funzionali, possono rappresentare oggetti per la soddisfazione di bisogni inespressi, spesso legati
all’eros. Da qui si è sviluppata la ricerca motivazionale con lo scopo di scoprire le motivazioni inconsce del
consumo, represse o rimosse a causa di un super-io severo. Questo prevede interviste in profondità, tecniche
proiettive a test di associazioni di parole (indagine qualitativa). La ricerca motivazionale non si pone obiettivi di
rappresentatività ma attraverso l’indagine qualitativa, mira a scoprire motivazioni profonde che non potrebbero
emergere attraverso indagini di tipo quantitativo e descrittivo.
Per lo studio della personalità ci si rifà anche ad un altro approccio che individua dei tipi di personalità. Lo
studioso Horney ha individuato 3 tipi di persona:
1. Quelle che si avvicinano alle altre, dette compiacenti, che sentono il bisogno di essere accettate, apprezzate,
amate, di stare in compagnia. Per piacere agli altri evitano le discussioni, sono generose e si lasciano
dominare;
2. Quelle che si allontanano dalle altre, dette distaccate, che cercano di mantenere un distacco emotivo e
comportamentale dagli altri, evitano obblighi e impegni, cercano di non attirare l’attenzione;
3. quelle aggressive, che cercano di impressionare gli altri, di vincere, di attrarre l’attenzione con un
comportamento disinvolto e con atteggiamenti da leader.
Queste tre diverse tipologie di persone possono ricondursi a comportamenti di consumo differente e a preferenze
per marchi diversi.
Jung, invece fa una distinzione tra persone introverse e persone estroverse a seconda della tendenza a trarre
stimoli dall’esterno attraverso le relazioni sociali rispetto alla tendenza opposta.
Ciò che differenzia e influenza il consumo può essere relativo a quanto le persone sono interessate alle novità, al
materialismo, a controllare la propria immagine.
Certo è che spesso i brand hanno caratteristiche tali da consentire processi di identificazione. Il rapporto tra
marca e consumatore si basa su norme di relazione interpersonale: dipende quindi da come le persone
percepiscono il brand e dal tipo di effetti che tale percezione esercita sugli atteggiamenti e i comportamenti di
consumo.

Brand personality

Il brand serve per ridurre la distanza fisica tra consumatori e impresa differenziando i brand rispetto ai
concorrenti, sia come garante della qualità del prodotto. Il brand non è più solo indicatore del produttore o della
provenienza geografica ma con l’aumentare dell’offerta, esso acquisisce ulteriori significati, è sempre più
autonomo, in grado di esprimere la personalità e i valori. A partire dagli anni ’80, il brand è diventato sempre più
segno autonomo, in grado di rappresentare il prodotto e di esprimere personalità e valori in modo indipendente
dal produttore, che viene identificato con il concetto distinto di corporate brand. In questi anni emerge sempre
più chiara la differenza fra comunicazione istituzionale che promuove la reputazione del produttore, e

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comunicazione del brand che mira a creare una associazione positiva fra tratti valoriali e di personalità con un
certo prodotto, anche attraverso lo studio del packaging e del logo. Il riconoscimento del ruolo della marca come
strumento di maggiore portata strategica per raggiungere il consumatore ha indotto a intensificare lo studio dei
fattori che spiegano le relazioni di identificazione con il brand.
Il concetto di brand personality si riferisce alle caratteristiche umane associate ad un brand; rappresenta il punto
di intersezione più importante fra marketing e psicologia per ciò che riguarda la promozione del prodotto. Infatti,
è attraverso lo studio della psicologia del consumatore che si può progettare una personalità di marca in grado di
soddisfare i bisogni di identificazione alla base della relazione e della scelta.
I tratti della personalità vengono trasferiti direttamente al brand (es.: i testimonial) come se si trattasse delle
caratteristiche del consumatore tipo del prodotto o del consumatore che produce quel prodotto. (Mc Craken,
1989)
Un contributo largamente citato sulle dimensioni della personalità di marca è quello di Aaker (1997). Secondo lo
studio di Jennifer Aaker infatti, non sempre il “Principio di congruenza del SELF”, secondo il quale i
consumatori si avvicinano ai brand che presentano tratti analoghi ai propri, ha trovato conferma in letteraturaUna
delle ragioni plausibili per la mancanza di risultati positivi a sostegno di tale ipotesi può essere legata alla non
corrispondenza fra tratti umani e tratti del brand. Al fine di colmare questo gap in letteratura, Aaker ha elaborato
una brand personality scale basata sullo studio di 37 marche, di cui 114 tratti di personalità sono stati misurati da
un totale di 631 soggetti.
Aaker individua 5 dimensioni di personalità presenti in tutte le marche:
✳ Sincerità
✳ Eccitazione
✳ Competenza
✳ Sofisticatezza
✳ Rudezza (big five)
Emerge che vi è una sovrapposizione per i primi tre tratti ma non per gli altri due, che pur non essendo presenti
nelle persone, rappresentano dimensioni aspirazionali.
La brand personality è stata studiata anche con approcci molto doversi da quelli psicometrici. Per esempio,
l’approccio relazionale sostiene che il brand è antropomorfizzato da parte del consumatore e che, come tale, può
entrare nella relazione come se si trattasse di una persona. A questo proposito, lo studioso Fournier dice che
questa tendenza sarebbe innata negli individui e quindi è inevitabile un processo di attribuzione di caratteristiche
e tratti di personalità ai prodotti che si distinguono con una certa marca.
Le relazioni che possono instaurarsi fra consumatore e brand possono essere di tipo:
✳ Funzionale: la relazione adempie ad un ruolo pratico e viene giudicata dal consumatore in base all’utilità
percepita;
✳ Psicologico-emozionale: coinvolge il consumatore personalmente perché soddisfa i bisogni di
identificazione;
✳ Socio-culturale: la relazione consente di costruire e comunicare appartenenze sociali, aderendo a stili di
vita necessari all’identità sociale del consumatore.

Box – Caso Vanish (p.254)


Vanish è uno smacchiatore multiuso per tutti tipi tessuti; in Italia dal 2003 con promessa di performance
superiore rispetto a competitors.
Vuole attirare target più giovane (25-40) rispetto a competitors. Per questo si propone con packaging fucsia, di
dimensioni ridotte rispetto a fustini e bottiglioni degli altri detersivi.

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Anche il nome del prodotto ha come obiettivo quello di attirare attenzione e di rimanerne impressionato per
facile orecchiabilità. Accanto ai messaggi di elevata performance, si è anche sottolineato il fatto che Vanish
facilita la vita: è un’assicurazione contro le macchie.
La comunicazione era composta da una forte campagna di telepromozioni seguita da attività promozionali nei
punti vendita. Es: Affissioni su tram e autobus che diventavano di colore fucsia per ricordare il packaging del
prodotto. Es: sito internet dove un gioco online comunica l’efficacia di un nuovo prodotto della linea Vanish:
Intelligence.

Box – Pentascopio (p.255)


Pentascopio è un modello interpretativo finalizzato allo studio della brand personalità che trova applicazione
nelle ricerche di marketing e sul consumatore. Descrive i principali tratti distintivi dell’identità di marca,
basandosi sulla teoria psicologica “Big Five”:
• Energia: indica il livello di forza potenziale attribuita dal consumatore ad una marca; l’asse dell’energia
indica livello di dinamismo e forza del brand sia a livello emozionale che simbolico,
• Stabilità emotiva: quanto il consumatore percepisce il comportamento affettivo del brand come “fermo
e prevedibile”. È l’aspettativa di quanto il soggetto si può affidare alla marca e ai suoi prodotti, senza
timore di essere deluso.
• Responsabilità: Spiega in che modo il brand Ł giudicato dal consumatore in grado di raggiungere e
mantenere nel tempo i propri obiettivi. Confluiscono valutazioni sulle scelte sociali e politiche che
possono essere indicatore quantitativo e qualitativo della “coscienza” del brand e della sua responsabilità
sociale.
• Amicalità: a vissuti “attivi”, come vicinanza, attenzione, conforto, aiuto, ecc., si sommano emozioni più
“passive”, come abbandono, affidamento, rimozione difese. A seconda del punteggio emergono due
tipologie: “compensativa” e “collaborativa”.
• Apertura mentale: indica quanto il brand è sensibile e attivo nelle dimensioni estetiche; quanto per il
consumatore la marca è orientata verso tutto ci che è immateriale ed espressivo, originale, diverso.
Si presenta come un questionario auto compilabile. Attraverso il “pentascopio” è anche possibile descrivere lo
stile espressivo che i consumatori attribuiscono alla “personalità della marca”. Le diverse personalità vengono
quindi analizzate non solo come appaiono al consumatore (assi strutturali), ma anche nel loro modo di
relazionarsi e interagire con i diversi target (aree espressive) e sono: continuità, istituzionalità, rassicurazione,
simpatia e creatività. La standardizzazione dei punteggi, permette di operare confronti tra marche per individuare
aree di miglioramento.
Inoltre, è possibile visualizzare in uno scenario complessivo (mappa tipologica) il posizionamento di più
personalità, permettendo una visione sinottica di più brand.

STILI DI VITA

Il concetto di stile di vita viene associato di frequente a quello di personalità. Secondo la teoria che cerca di
interpretare l’esistenza di tratti che nelle persone inducono a pattern regolari di comportamento, la relazione fra
personalità e consumo si potrebbe tradurre in aggregati di scelte tali da portare all’identificazione di diversi stili
di vita. Questi rappresentano un miglioramento delle segmentazioni classiche e hanno incluso variabili di ordine
psicologico come gli atteggiamenti e in qualche caso anche i tratti di personalità. Rispetto alle segmentazioni
classiche basate solo su dati socio-demografici, gli stili di vita includono variabili di tipo psicologico come gli
atteggiamenti, tratti della personalità, vengono così chiamate psicografie. Gli stili di vita così strutturati si sono
difatti chiamate psicografie con l’intento di enfatizzare la componente di misurazione psicologica che Ł

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implicata nella tecnica. In termini pratici, gli stili di vita sono misurati attraverso la formazione di numerosi item
che generalmente descrivono: attività (A), interessi (I), opinioni (O).
A questi item si possono aggiungere misurazioni psicometriche per la rilevazione di tratti di personalità. In
numerose tecniche di segmentazione gli item utilizzati rilevano inoltre la centralità attribuita ai valori, come
fattore determinante nell’orientare in modo costante atteggiamenti e comportamenti dei consumatori
Gli item mettono in rilievo la centralità attribuita ai valori come fattore determinante nell’orientare in modo
costante atteggiamenti e comportamenti dei consumatori. Dall’analisi degli item/stili di vita è possibile:
✳ Identificare il target;
✳ Sviluppare strategie per il posizionamento dei prodotti;
✳ Sviluppare strategie di comunicazione adottate al target di riferimento.

La tecnica psicografica più nota è il VALS (Value And Life Style) di Mitchell (1989) che si basa soprattutto
sulla teoria gerarchica motivazionale di Maslow, secondo cui il comportamento delle persone risulta dai bisogni
che sono ordinati gerarchicamente e il cui soddisfacimento seguo per l’appunto un ordine gerarchico che va dai
bisogni fisiologici e di sicurezza, ai bisogni di tipo sociale come quelli di appartenenza, attaccamento, stima,
riconoscimento e autorealizzazione. Per cui si avranno consumatori orientati al soddisfacimento di bisogni di
sicurezza, altri focalizzati sui bisogni di riconoscimento sociale e altri ancora alle prese con necessità di
autorealizzazione. Secondo questa tecnica, una volta soddisfatti i bisogni fisici (need driven), i consumatori si
dividono in:
✳ Outer Directed (eterodiretto): da più importanza al giudizio degli altri e si rifà a valori socialmente
condivisi;
✳ Inner Directed (autodiretto): puntano più sull’autogratificazione e sono orientati a valori più personali;
✳ Integrati: sono alle prese con i bisogni di autorealizzazione.
Per risolvere i limiti della VALS, viene creata una nuova tecnica chiamata VALS 2, che dà minore peso ai valori
e alle influenze sociali e si concentra molto di più su caratteristiche psicologiche che dovrebbero discriminare fra
gli individui in modo stabile e spiegare, insieme all’educazione e al potere di acquisto, specifiche costellazioni di
acquisti. Questa tecnica individua due dimensioni psicologiche di base:
• Self-orientation, che spiegherebbe il comportamento a seconda che si sia orientati a perseguire la
coerenza con i propri principi; migliorare il proprio status; ottenere informazioni e sfide;
• Dimensione delle risorse personali: rappresentate tramite un continuum che esprime il diverso grado di
motivazione, intelligenza, interesse al consumo ed energia, che possono caratterizzare gli individui
anche in considerazione dell’età anagrafica e dell’educazione
Secondo l’approccio VALS 2, la spiegazione psicologica, quando è in grado di identificare orientamenti
personologici stabili, appare più persuasiva soprattutto se si è alla ricerca di determinati universali che superino
eventuali differenze culturali per raggiungere mercati globali.
Sul territorio italiano possiamo trovare la 3SC con i suoi 14 stili di vita, tra cui stili giovanili, stili superiori, stili
centrali maschili, stili centrali femminili, stili marginali. Essa è stata elaborata con la tecnica di segmentazione di
Sinottica di Eurisko, fondata da Galvi (1972) e consiste nell’elaborazione di 14 stili di vita tramite un
questionario su atteggiamenti, interessi, opinioni, realizzato su un campione di circa 1000 persone dai 14 anni in
su, da cui è possibile mettere in evidenza delle aggregazioni per stili giovanili, stili superiori, stili centrali
maschili e femminili, stili marginali, a seconda delle variabili prese in considerazione che fanno riferimento
soprattutto a descrittori socio-anagrafici e ad attività di spesa e consumo.
Però ci sono comunque parecchie critiche riguardanti la vera funzionalità di queste tecniche, cioè se davvero
mantengono la promessa di consentire la previsione del comportamento.
La mancanza di una teoria che spieghi la creazione di tali aggregazioni, vanifica anche la questione della
validità. Inoltre, queste tecniche difficilmente consentono di prevedere il comportamento. Si limitano, in genere,
a descrivere gruppi di consumatori, giungendo alla formulazione del target già raggiunto. Risulta perciò sempre

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più evidente la necessità di integrare le varie tipologie di stili di vita con domande specifiche al prodotto in
questione.

Brand management

Con il termine brand management, si fa riferimento a tutte le strategie di gestione della marca finalizzate ad
aumentare il valore percepito di uno o più prodotti in termini di istintività, qualità e attrattività dell’offerta
rispetto a quella dei concorrenti. Si parla infatti di:
✳ Brand Equity (valore della marca): con riferimento alla conoscenza e alla forza di una marca in un dato
mercato come fra i principali indicatori di successo per un dato prodotto. Essa è determinata da:
• Proprietà della marca (Brand awareness)
• Fedeltà alla marca (Brand loyalty)
• Qualità percepita della marca
• Immagine di marca (Brand image)
Le attività di gestione della marca comprendono tutte le strategie orientate a promuoverne la conoscenza e a
raggiungere gli obiettivi prefissati dal marketing a livello di immagine e di qualità percepita.
✳ Line Extension: strategia di marca che riguarda il lancio di una categoria di prodotti nuovi all’interno di
una linea di prodotti già noti (es.: la mozzarella Santa Lucia della Galbani che introduce la mozzarella
alle olive).
✳ Brand Extension: strategia di marca che coinvolge il lancio di nuove categorie di prodotti utilizzando
una marca già nota (es.: il brand Ferrari utilizzato per le linee di abbigliamento).
✳ Licencing: i diritti di sfruttamento di un marchio sono venduti ad un altro produttore per la vendita di
prodotti appartenenti categorie non concorrenti, per edizioni speciali e limitate nel tempo.
✳ Co-Branding: associazione fra due marchi al fine di consentire al prodotto di un marchio di raggiungere
il target del secondo (es.: telefonino lanciato da LG Electronics con il marchio Prada).
Il successo delle strategie di gestione del brand dipende da molteplici fattori. Per esempio, un fattore critico nella
realizzazione di strategie di brand extension è la consonanza percettiva. La somiglianza fra la nuova categoria di
prodotto e alla categoria per la quale la marca gode già di notorietà influisce sulla reale possibilità di
trasferimento del capitale della marca.

BOX – La natura multidimensionale della consonanza percettiva (G. Bertoli)

Consonanza fra categorie di prodotto


Si tratta della consonanza percepita fra la categoria in cui tradizionalmente opera la marca e quella in riferimento
alla quale ha luogo la brand extension. In questo caso la consonanza può essere valutata in termini di similarità,
ovvero, in funzione del grado in cui i consumatori percepiscono il nuovo prodotto in qualche modo collegato
agli altri contraddistinti dalla medesima marca.
Boush e Loken (1991) dimostrano che gli atteggiamenti del consumatore relativi a prodotti contraddistinti da una
determinata marca, tendono a trasferirsi al nuovo prodotto oggetto dell’estensione con maggiore immediatezza
se questo è percepito simile ai prodotti originari.
Aaker e Keller (1990) riconducono la formulazione di giudizi di consonanza fra categorie a 3 tipologie:
✳ Complementarietà: il grado in cui il consumatore ritiene che i prodotti possono essere consumati/
impiegati congiuntamente, al fine di soddisfare meglio un certo bisogno;
✳ Sostituibilità: la misura in cui il consumatore reputa che due o più prodotti condividono modalità di
applicazione, contesto di utilizzo, bisogni soddisfatti;

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✳ Trasferimento di competenze: riflette la percezione del consumatore circa l’abilità di un’impresa
operante in una categoria di prodotto nel realizzare prodotti appartenenti ad altra categoria; può
riguardare le competenze possedute, che possono essere trasferite nel nuovo prodotto (know how
transfer) e la facilità di realizzazione di quest’ultimo (easy-of-make).
Sono queste due ultime variabili a influenzare in modo positivo e diretto l’atteggiamento del consumatore nei
confronti del nuovo prodotto oggetto dell’estensione.
Un altro fattore che influenza la valutazione di consonanza effettuata dal consumatore è il livello tecnologico che
caratterizza le categorie di prodotti. Per esempio, il nuovo prodotto oggetto dell’estensione viene reputato di
qualità maggiore quando il livello tecnologico che caratterizza la categoria originaria è elevata.
Consonanza tra marca e nuovo prodotto
Ci sono delle associazioni che Keller definisce “modi informativi connessi tra loro nei memory network in cui
risiede il significato della marca per il consumatore”, le quali sono connesse alla marca e possono essere di due
tipi:
✳ Brand concept: associazioni generali connesse alla marca, ovvero quei significati astratti che connotano
una data marca e che in genere derivano dalle caratteristiche del prodotto. Esso posiziona il prodotto
nella mente del consumatore e differenzia le marche che operano nella stessa categoria produttiva;
✳ Brand association (associazioni specifiche della marca): attributi o benefici che differenziano una marca
da quelle concorrenti. In generale, i consumatori valutano l’estensione facendo riferimento ad
associazioni più generali, quali il brand affect e la similarità del prodotto. Se però si tratta di una marca
che gode di un’elevata conoscenza, gli effetti del brand affect e della similarità sono ininfluenti nella
creazione dell’estensione sulle associazioni. Importante è anche l’informazione relativa all’estensione
della marca che deve essere reputata come rilevante dal consumatore. In seguito a queste informazioni,
le associazioni possono modificarsi. Quelle che però hanno un alto livello di fedeltà si caratterizzano per
un’elevata resistenza al cambiamento e risultano, pertanto, limitatamente influenzabili dalle
informazioni derivanti dall’estensione della marca in una nuova categoria di prodotto.
Infine, Busacca ha analizzato l’impatto delle due tipologie di consonanza percettiva sulla fedeltà dei
consumatori:
Nel caso della fedeltà cognitiva all’estensione (brand extension) risulta fondamentale la coerenza a livello di
brand association: più è coerente l’associazione, più ci sarà un incremento della fedeltà della marca.
Nel caso della fedeltà cognitiva nei confronti del nuovo prodotto oggetto dell’estensione, si è analizzato che il
livello di coerenza fra categorie di prodotto non influenza la fedeltà (tale fedeltà è infatti scarsa quale che sia il
livello di coerenza fra categorie).

BOX – IL CASO WE@BANK


We@bank è l’internet banking del Gruppo Banca Popolare di Milano. L’obiettivo della campagna di
comunicazione è stato quello di trasferire al brand We@bank le caratteristiche di fiducia, affidabilità e garanzia
di BPM. Allo stesso tempo si è cercato di darle una connotazione distintiva e parzialmente isolata da BPM per
sottolineare la completezza dell’offerta: i clienti BPM possono usare internet per gestire conti tradizionali e
pagamenti, oppure c’è chi ha esclusivamente un conto online Conto@me.
Si è quindi puntato sulla differenziazione dell’offerta rispetto alla concorrenza e allo sviluppo di customer
satisfaction, indispensabile per il ripetersi dell’acquisto/fruizione da parte del cliente.
Nel messaggio si sono sottolineati i vantaggi economici e strumentali derivanti dall’attivazione di We@bank e si
sono evidenziati i benefici derivati dal conto@me: autonomia e indipendenza nella gestione del proprio conto.
Il brand BPM è sempre presente in tutte le forme di pubblicità accanto a We@bank. Con la comunicazione
online si è cercato di promuovere il Conto@me, mentre con le affissioni, materiale nei punti vendita, media, si è
cercato di valorizzare l’aspetto della multicanalità presso i clienti BPM.

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Al termine della campagna, sono stati realizzati dei focus group dai quali è emerso che i clienti della banca
online sono cordiali e simpatici, ma anche sicuri e autonomi; percepiscono la internet banking come moderna,
evoluta, dinamica.

Cap. 7 – Gli atteggiamenti dei consumatori


Introduzione

Le persone con cui ci si relaziona influenzano gli atteggiamenti verso la politica e anche verso molte altre
questioni.
Gli atteggiamenti si formano e cambiano in virtù delle informazioni che riceviamo nel nostro ambiente di
interazioni. Il gruppo dei pari come i contesti lavorativi svolgono un ruolo importante nella spiegazione delle
posizioni attitudinali e dei comportamenti di ciascuno.
Gli atteggiamenti possono perciò essere considerati come il risultato di predisposizioni personali e delle tante
forze sociali che agiscono sulla persona fino a determinare le preferenze, le intenzioni e i comportamenti.
Atteggiamenti diversi portano a reazioni diverse anche nei confronti del consumo, per questo, possiamo dire che
gli atteggiamenti dei consumatori hanno un importante influenza sui comportamenti d’acquisto e questi ultimi
possono successivamente andare a rinforzare un certo atteggiamento o modificarlo.
La ricerca sugli atteggiamenti può essere utilizzata per comprendere le potenzialità di un nuovo prodotto, oppure
per comprendere e prevedere eventuali cambiamenti nelle abitudini di consumo.

Che cosa sono gli atteggiamenti?

Aalport: atteggiamento-stato mentale, organizzato grazie all’esperienza che esercita un’influenza sulle risposte
dell’individuo nei confronti di tutti gli oggetti e le situazioni con cui è in relazione.
I vari approcci alla definizione degli atteggiamenti corrispondono a diverse metodologie di misurazione. Ci sono
3 modelli che hanno interpretato l’atteggiamento in base alle componenti:
✳ Modello a una componente (Thurstone): l’atteggiamento consiste in un sentimento o valutazione verso
un determinato oggetto, persona o evento. In termini di misurazione è stato tradotto attraverso l’uso di
scale attitudinali volte a descrivere “il grado di valutazione positiva o negativa associata a un dato
oggetto psicologico.” È stata poi individuata anche una componente di predisposizione all’azione.
✳ Modello a due componenti: l’atteggiamento consiste in una condizione mentale che influenza il
comportamento e che di conseguenza influisce sui giudizi valutativi in maniera persistente.
L’atteggiamento viene quindi visto come qualcosa di inosservabile all’esterno se non attraverso le
valutazioni e comportamenti.
✳ Modello a tre componenti: l’atteggiamento è costituito da una componente cognitiva (si riferisce alla
convinzione, probabilità che un’affermazione sia vera o falsa), una componente affettiva (che implica
sentimenti negativi o positivi) e una componente conativa (che esprime la tendenza a comportarsi in un
certo modo nei confronti dell’oggetto dell’atteggiamento).
Modello tripartito dell’atteggiamento – Hogg e Vaughan – considera la relazione tra atteggiamento e
comportamento come già data, definita.

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Ai fini del marketing è importante comprendere quale sia la funzione che svolge l’atteggiamento verso un
determinato prodotto, perché partendo da essa si possono capire le principali barriere all’acquisto o individuare
gli attributi più significativi del prodotto nella spiegazione delle preferenze e della scelta.
Kats individua 4 funzioni degli atteggiamenti:
✳ Funzione utilitaristica: l’atteggiamento verso un certo oggetto si sviluppa per raggiungere un certo
beneficio o evitare un effetto negativo (piacere/dispiacere)
✳ Funzione di espressione del valore: gli atteggiamenti svolgono la funzione di esprimere valori self-
concept individuali, quindi atteggiamenti che meglio esprimono l’immagine del self che si intende
proiettare e che ne determina l’appartenenza ad un gruppo sociale attraverso l’adesione a stili di vita.
✳ Funzione difensiva del self: il consumatore può assumere un determinato atteggiamento per difendere
una mancanza percepita a livello identitario. Quindi si avvicinerà ad un dato prodotto che è in grado di
compensare la debolezza percepita (es.: di sex appeal per cui le donne si orientano verso un
abbigliamento più provocante).
✳ Funzione cognitiva: questa funzione deriva dalla necessità di coerenza che induce, nei processi di
elaborazione dell’informazione, a privilegiare le interpretazioni che sono conformi a ci che si conosce e
non è in contraddizione con la struttura di credenze che già condiziona decisioni e comportamenti. La
funzione cognitiva dell’atteggiamento è stata evidenziata da mote teorie note con il termine di teorie
della consistenza cognitiva. Tra queste, la teoria della dissonanza cognitiva sostiene che quando ci
troviamo a dover scegliere fra più opzioni tutte ugualmente desiderabili, per poter operare una scelta e
superare la condizione di dissonanza che permane di fronte all’incertezza di aver scelto l’opzione
migliore, si tender a selezionare informazioni utili a formare un atteggiamento positivo e coerente alla
scelta fatta. Si possono aggiungere informazioni, eliminare determinati fattori o cambiare
l’informazione.

La necessità di perseguire una sorta di coerenza cognitiva è al centro anche della BALANCE THEORY che
formula l’esistenza di strutture attitudinali triadiche che tenderebbero alla ristrutturazione cognitiva in caso di
disequilibrio. Essa presuppone l’esistenza di triadi date da due persone e un oggetto, oppure da tre persone, che
a seconda degli atteggiamenti con cui si associano gli uni agli altri possono rappresentare strutture equilibrate o
disequilibrate che tendono pertanto a un cambiamento. Questa teoria mette in evidenza la possibilità di
intervenire su una triade di atteggiamenti presentando una associazione fra un certo prodotto e un testimonial o
un altro prodotto verso il quale esiste già un atteggiamento. Sempre in linea con il concetto di coerenza
cognitiva, la teoria del giudizio sociale sostiene che le persone raccolgono informazioni sugli oggetti di
atteggiamento in base a quello che sanno già e di cui hanno accumulato precedente esperienze.
Secondo questa teoria, gli atteggiamenti iniziali identificano uno standard entro il quale vanno ad adattarsi le
nuove informazioni. Tale standard definisce inoltre il livello di accettabilità soggettiva che informa il giudizio
sociale e che incide sulla predisposizione positiva o negativa verso determinati messaggi.
Tutte le informazioni che cadono entro il livello soggettivo di accettabilità sono inoltre considerate molto più
coerenti con la propria posizione rispetto alle informazioni che invece non rientrano in tale standard e che
vengono percepite come più lontane dalla posizione personale rispetto a quanto lo siano veramente.
Questi due effetti, per cui lo standard soggettivo di accettabilità influisce sull’interpretazione dei messaggi e sul
loro effetto, sono noti rispettivamente come effetto assimilazione ed effetto contrasto.
La strategia di marketing, a partire da una conoscenza approfondita del target della comunicazione, dovrà
puntare a stimolare un effetto assimilazione, soffermandosi ed enfatizzando gli elementi che risultano essere in
maggiore sovrapposizione con la struttura di atteggiamenti pregressi.

Teoria del giudizio sociale – Sherif e Hovloud (1997)

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Le persone raccolgono informazioni sugli oggetti di atteggiamenti in base a quello che sanno già e di cui hanno
accumulato precedente esperienza. Gli atteggiamenti iniziali, quindi, identificano uno standard entro il quale
vanno ad adattarsi le nuove informazioni e che definisce il livello di accettabilità soggettiva che informa il
giudizio sociale e che incide sulla predisposizione positiva o negativa a determinati messaggi (siamo molto più
tolleranti se notizie negative riguardano per esempio un esponente del nostro partito e siamo indignati invece nei
confronti di notizie negative relative al partito opposto al nostro).
Gli effetti, per cui lo standard soggettivo di accettabilità influisce sull’interpretazione dei messaggi e sul loro
affetto, sono noti come effetto assimilazione e effetto contrasto. La strategia di marketing deve cercare di
stimolare un effetto assimilazione partendo da una conoscenza approfondita del target della comunicazione.

Elaborazione dell’informazione e degli atteggiamenti


Secondo la teoria dell’integrazione dell’informazione (Anderson) gli individui operano come risolutori di
problemi e valutatori di nuove informazioni. Il modo in cui le informazioni vengono analizzate e organizzate
determina la struttura degli atteggiamenti. Gli atteggiamenti si formano e cambiano quindi in relazione alle
nuove informazioni che vengono sottoposte a elaborazione e corrispondono ad una media dei tratti positivi e
negativi attribuiti a un certo oggetto (atteggiamento come somma algebrica delle informazioni).
Seguendo un medesimo percorso la concezione che ha distinto le componenti cognitiva, affettiva e
comportamentale dell’atteggiamento ha normalmente ipotizzato una gerarchia di apprendimento standard che,
partendo dall’elaborazione di informazioni circa l’oggetto dell’atteggiamento, porterebbe a sviluppare una
posizione connotata affettivamente e solo successivamente ad una intenzione comportamentale.
Secondo questa gerarchia il consumatore elabora un atteggiamento positivo verso un certo prodotto e sviluppa
l’intenzione di acquistarlo dopo aver raccolto informazioni e, quindi, aver sviluppato una preferenza anche sul
piano affettivo.
Ci sono diverse strategie, come quella ad alto coinvolgimento, che si ha quando si fanno acquisti che richiedono
un grande esborso di denaro, e quelle a basso coinvolgimento, che riguarda gli acquisti che non richiedono una
grossa spesa e che quindi l’acquisto è incentivato da poche informazioni utili a stimolare curiosità nei confronti
del prodotto, ma non sufficienti a favorire la formulazione di una preferenza sul piano dell’affettività.
La componente affettiva dell’atteggiamento sarà in questo caso il risultato di un processo di apprendimento
comportamentale, ovvero conseguente alle informazioni raccolte attraverso il comportamento di consumo.
Un’altra gerarchia di influenze che è stata identificata e che pare osservarsi con sempre maggior frequenza è
quella definita gerarchia esperienziale.
L’atteggiamento nei confronti di un prodotto di consumo è strutturato in prima istanza sul piano dell’affettività, il
consumatore prova emozioni positive e sviluppa una preferenza che induce al consumo del prodotto (consumi
edonistici).
Negli ultimi anni i ricercatori hanno evidenziato la risposta emozionale come fattore centrale dell’atteggiamento
(molto importanti i sensi, sulle componenti ludiche, sul packaging o variabili influenzate da variabili intangibili).

Gerarchie di effetti fra le componenti dell’atteggiamento e i comportamenti di consumo.


✳ Gerarchia di apprendimento standard
Cognizione affettività comportamento
Si parte dall’elaborazione delle informazioni circa l’oggetto in base alle quali svilupperà una preferenza anche
sul piano affettivo, che porta all’azione, al comportamento come l’acquisto di un dato prodotto.
Questo avviene soprattutto nel caso di acquisti ad alto coinvolgimento emotivo e /o costosi; es.: scooter, colori
per un pittore.
✳ Gerarchia a basso coinvolgimento

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Cognizione comportamento affettività
Si parte da conoscenze/ informazioni scarse circa il prodotto ma che comunque portano all’acquisto per curiosità
o prezzo basso. Queste informazioni però non sono sufficienti a favorire la formazione di una preferenza sul
piano dell’affettività, la quale potrebbe essere raggiunta solo dopo un processo di apprendimento
comportamentale, ovvero in seguito alle informazioni raccolte attraverso il comportamento di consumo.
• Gerarchia esperienziale
Affettività comportamento cognizione
È il caso dei consumi edonistici che partono dalle preferenze del consumatore (affettività), le quali portano al
consumo. L’elaborazione cognitiva circa gli attributi del prodotto può verificarsi solo a posteriori dell’esperienza
di consumo. L’accento è quindi posto sulla stimolazione dei sensi, su ciò che fa star bene indipendentemente da
elaborazioni cognitive e funzionalità del prodotto.
Risposta emozionale fattore centrale dell’atteggiamento

I MODELLI DI ATTEGGIAMENTI

Il comportamento non sempre è spiegato dall’atteggiamento. La nuova frontiera dello studio degli atteggiamenti
consiste nella distinzione fra atteggiamenti manifesti e atteggiamenti impliciti (non richiedono una valutazione
esplicita di un oggetto di atteggiamento, ma è ricavata in genere dai tempi di reazione associati ad un compito di
tipo cognitivo. Corrispondono a fattori associativi, veloci, impulsivi, automatici, contro quelli riflessivi e
deliberativi degli atteggiamenti espliciti. I comportamenti sono determinati da entrambi i fattori, mentre gli
atteggiamenti privilegiano o un aspetto o l’altro).
Un problema nella misurazione degli atteggiamenti è rappresentato dalla difficoltà a verbalizzare tutte le
componenti. Non sempre il consumatore è in grado di esprimere una valutazione su un dato prodotto e in ogni
caso, gli atteggiamenti sono costrutti complessi che non si esauriscono in una semplice valutazione di
apprezzamento. Si sono così sviluppati modelli di atteggiamento multi-attributo che sostengono l’importanza di
valutare i diversi atteggiamenti che il consumatore può esprimere verso i numerosi attributi di un prodotto al fine
di giungere ad una misurazione dell’atteggiamento complessivo verso un dato oggetto di atteggiamento. Questi
modelli implicano quindi per il ricercatore di mercato una analisi degli attributi significativi del prodotto che
deve precedere la valutazione dei relativi atteggiamenti fino a giungere alla determinazione dell’atteggiamento
complessivo. Successivamente all’identificazione di tutti i tratti che il consumatore prende in considerazione
nella valutazione del prodotto di questa categoria, i modelli multi - attributo prevedono la rilevazione dei credi
del consumatore circa gli attributi posseduti dallo specifico oggetto di atteggiamento. Un terzo livello di
misurazione prevede infine la valutazione del peso dell’importanza soggettivamente attribuita ai diversi tratti del
prodotto.
Fra i diversi modelli multi-attributo di atteggiamento, il più noto è il modello di Fishbein, del 1983. Questo
modello misura:
• i credi salienti circa un certo oggetto di atteggiamento ‚
• la relazione esistente fra lo specifico oggetto di atteggiamento e i credi
• la valutazione soggettiva di importanza circa la presenza di tali attributi
Il limite di questi modelli sta nel fatto che essi prevedono che le persone possono razionalmente valutare ciascun
attributo singolarmente e che siano in grado di esprimere una preferenza o meno per ciascuno prima ancora di
giungere alla formulazione di un atteggiamento complessivo.
Si presuppone pertanto che il consumatore proceda all’elaborazione di tali informazioni prima di giungere alla
formulazione di un atteggiamento complessivo e influente sul comportamento.
L’atteggiamento generale cos calcolato per non soddisfa la necessità di prevedere il comportamento di consumo.
Come si ricava l’atteggiamento generale nel modello di Fishbein?

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Formula: Aijk = ∑BijkIjk
L’atteggiamento generale del consumatore (K) si ottiene moltiplicando la valutazione rispetto a ciascun attributo
(i) considerato del prodotto (B) per l’importanza soggettiva percepita per ciascun attributo(i) rispetto a tutte le
marche considerate (j).
L’atteggiamento generale così calcolato non prevede il comportamento di consumo.

Nel tentativo di perseguire tale predizione, è stato elaborato il cosiddetto modello esteso di Fishbein, ovvero la
teoria dell’azione ragionata. Questa teoria basa sul presupposto centrale che il modo migliore per prevedere un
certo comportamento è chiedere alle persone se sono effettivamente intenzionate a metterlo in atto.
In maggior dettaglio, questa teoria prevede che l’intenzione ad agire sia condizionata rispettivamente da:
• atteggiamento verso il comportamento che si declina nel prodotto dei credi individuali verso il
comportamento e dell’importanza soggettiva attribuita a tali credi;
• norma soggettiva, ovvero il prodotto delle percezioni individuali circa le aspettative altrui e la
motivazione individuale a conformarsi a tali aspettative.
Secondo la teoria, una particolare azione sarà messa in atto se l’atteggiamento verso l’azione è favorevole, le sue
conseguenze sono valutate come desiderabili ed esiste una spinta motivazione a compiere l’azione come risultato
del bisogno di conformarsi alle aspettative sociali percepite.
Le principali critiche rivolte alla teoria dell’azione ragionata evidenziano che il modello si adegua
esclusivamente alla predizione di comportamenti che sono sotto il controllo dell’individuo (c’è la mancanza del
controllo percepito).
Come la motivazione anche gli atteggiamenti hanno direzione e forza e possono influire sul comportamento
attraverso la loro reazione con l’intenzione ad agire.
Una particolare azione sarà messa in atto se l’atteggiamento verso l’azione è favorevole, se le sue conseguenze
sono valutate come desiderabili ed esiste una spinta motivazionale a compiere l’azione come risultato del
bisogno di conformarsi alle aspettative sociali percepite.
Mentre per Fishbein il modo migliore per prevedere un certo comportamento è chiedere alle persone se sono
effettivamente intenzionate a metterlo in atto, secondo la teoria dell’azione ragionata, l’intenzione ad agire è
condizionata dall’atteggiamento verso il comportamento (credi e importanza cognitiva) e dalla norma soggettiva
cioè il prodotto delle percezioni individuali circa le aspettative e la motivazione a conformarsi ad esse.
Questa teoria predilige solo quei comportamenti che sono sotto il controllo dell’individuo.

Teoria del comportamento pianificato (Ajzen)


Estende la teoria dell’azione ragionata nel tentativo di sottolineare l’importanza del controllo sull’azione. Questo
modello indica che il controllo percepito sul comportamento corrisponde a quanto la persona ritiene sia facile o
difficile mettere in atto una certa azione al fine di raggiungere determinati risultati. Difficilmente il consumatore
intraprenderà un certo comportamento se non si sentirà in grado di raggiungere il risultato auspicato. Il credo di
controllo percepito rimanda al costrutto proposto da Baudura con il termine di auto-efficacia.
Queste due teorie vengono utilizzate soprattutto per la promozione di pratiche a favore della salute o per predire
un comportamento responsabile nei rapporti sessuali. Ne deriva una percezione soggettiva di poter intervenire
personalmente sui risultati ottenibili attraverso il proprio comportamento.
Focalizzando l’attenzione sulle aspettative di risultato, un altro modo per la previsione del comportamento è la
prospettiva di orientamento al goal. Essa prende in considerazione oltre al controllo individuale percepito
sull’azione, anche i fattori che possono ostacolare il raggiungimento del goal riducendo l’effettivo controllo
sull’azione. Essa misura anche la motivazione al comportamento attraverso la verifica della frequenza passata
dello stesso comportamento e del tempo intercorso dall’ultima azione. Entrambe le variabili sono utili a
prevedere l’azione futura. Nel marketing, domandare al consumatore quanto tempo sia passato dall’ultimo
acquisto e la frequenza degli acquisti è utile per predire il comportamento successivo. L’intenzione di acquistare

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un dato prodotto appare una funzione dell’uso passato e delle sue conseguenze. Lo studio degli atteggiamenti è
quindi importante sia perché consente di prevedere il comportamento, sia perché può spiegare perché i
consumatori scelgono quella data marca, cosa essi valutano. Inoltre, è utile anche nel caso di sviluppo di nuovi
prodotti al fine di distinguere ciò che risulta importante per il consumatore o viceversa superfluo, non desiderato.
Per esempio, attraverso il concept tasking è possibile verificare se il consumatore è pronto all’idea ed è in grado
di capirla e di apprezzarla. In questa fase è già possibile chiedere una valutazione circa la potenziale intenzione
di acquistare il prodotto, seppur questo non sia in grado di prevedere il reale successo o fallimento del prodotto
una volta immesso sul mercato.
La misurazione dell’atteggiamento e dell’intenzione viene utilizzata come dato significativo per la predizione
della possibile accettazione del prodotto e del suo conseguente successo

BOX – Le ricerche di mercato qualitative per l’innovazione

Le ricerche di mercato supportano il marketing aziendale nella presa di decisione su molteplici temi (prodotto,
comunicazione, prezzo), fornendo informazioni che favoriscono scelte di successo, riducendo i margini di
incertezza nel processo decisionale. Sempre più spesso l’ambito in cui si trova ad operare è quello dei mercati
maturi caratterizzati dalla saturazione del mercato, elevata competitività e omologazione dei prodotti.
Quindi, forte è l’esigenza di individuare il quid che fornisce al prodotto/servizio un vantaggio competitivo
capace di differenziarlo dai suoi concorrenti. Va quindi alla ricerca di un’idea innovativa che richiede una certa
creatività, ovvero la capacità di individuare una soluzione originale e nuova che altri non hanno saputo trovare.
Bisogna quindi rompere e superare schemi di pensiero consolidati (pensiero convergente) per esplorarne di
nuovi e inconsueti, approdando a soluzioni inedite e, si spera, sorprendenti (pensiero divergente).
Nel processo di individuazione creativa di nuove idee può intervenire la ricerca qualitativa per l’innovazione
attraverso tecniche specificamente finalizzate ad attivare il pensiero creativo.
Questa ricerca si basa su sessioni creative che possono durare poche ore o anche tutta la giornata, durante le
quali uno o più conduttori guidano e coordinano il lavoro di uno o più gruppi di persone nel processo di
creazione di nuove idee.
Tra le tecniche creative più utilizzate la più nota è il brainstorming (tempesta di cervelli), introdotta da Osborn,
prevede un processo di soluzione e definizione del problema in 4 fasi:
✳ Presentazione e definizione del problema (limiti e confini);
✳ Raccolta, analisi e condivisione delle informazioni e dati;
✳ Produzione delle idee, fase del pensiero divergente: è il brainstorming vero e proprio, dove vi è la
sospensione del giudizio;
✳ Fase del pensiero convergente: le idee prodotte vengono esaminate, valutate, finalizzate e selezionate.
Un’altra tecnica creativa è la sinettica (unione di elementi diversi). Si fonda sull’impiego dell’analogia, la
situazione (o oggetto di studio) viene messa a confronto con altre situazioni, apparentemente diversi, al fine di
individuare aspetti comuni aprendo così la possibilità di trasferire e applicare ad un determinato settore,
conoscenze e soluzioni già sviluppate in un altro campo.
La tecnica dei 6 cappelli per pensare permette di affrontare il problema secondo prospettive o atteggiamenti
diversi. Ad ogni cappello di colore diverso (bianco, rosso, nero, giallo, verde, blu) corrisponde una diversa
modalità di approccio al problema. Nel caso dell’incontro il moderatore invita i partecipanti ad indossare
simbolicamente cappelli di colori diversi.
Obiettivo comune a queste tecniche è quello di liberare il pensiero creativo e produrre nuove idee per il
marketing delle aziende.

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Dopo la fase della creazione delle nuove idee c’è la finalizzazione delle stesse, valutazione delle loro
potenzialità di successo sul mercato, la trasformazione delle idee in prodotti / servizi reali e infine la loro
comunicazione.

La misurazione dell’atteggiamento

Metodi per misurare l’atteggiamento:

Scala di Thurstone
✳ Vengono formulate un numero notevole di affermazioni su uno specifico oggetto di atteggiamento in
modo tale da rappresentare nel modo più esauriente possibile tutti gli atteggiamenti che le persone
possono avere nei confronti di tale oggetto.
✳ Queste affermazioni vengono sottoposte al giudizio di numero elevato di persone che le devono ordinare
lungo un continuum a più punti in modo da rappresentare la distribuzione degli atteggiamenti da quello
meno favorevole a quello più favorevole. I giudici non devono esprimere la propria opinione personale
verso l’oggetto di atteggiamento.
✳ Tra queste vengono poi scelte una trentina di affermazioni dal valore maggiormente condiviso dai
giudici, che andranno a formare la scala per la misurazione dell’atteggiamento da sottoporre ai
partecipanti agli studi.
Questo metodo permette di avere valori circa gli atteggiamenti più attendibili e anche più numerosi, ma
comporta un alto dispendio di tempo, per questo viene poco utilizzato.

Differenziale semantico di Osgood


Prevede la formulazione di scale semantiche basate su aggettivi bipolari a cui sono attribuiti dei valori utili alla
misurazione del posizionamento individuale e che nella maggior parte dei casi esprimono anche valori negativi.
In genere gli aggettivi utilizzati nelle scale del differenziale tendono a raggrupparsi in 3 cluster principali
✳ Gruppo valutazione (giusto-sbagliato; importante – non importante) è quello più adatto ad esprimere
l’atteggiamento
✳ Gruppo attività (efficiente-non efficiente; attivo-passivo)
✳ Gruppo potenza (forte-debole; veloce-lento; robusto-delicato)

Scala Likert
L’obiettivo era quello di produrre un metodo di più facile realizzazione rispetto alla scala di Thurstone.
L’atteggiamento di una persona viene misurato sottoponendo al soggetto una serie di affermazioni (item) circa
l’oggetto di atteggiamento e chiedendo di esprimere il grado di accordo o disaccordo rispetto a ciascuna
affermazione (da 1 a 5 o da 1 a 7 o da 1 a 9: l’elemento dispari serve per consentire di dare un giudizio neutrale,
di mezzo, oppure lungo una scala che va da “molto d’accordo” a “per niente d’accordo”).
Questa scala ci dà la posizione attitudinale di un individuo ma non consente di esprimere con esattezza di quanto
gli atteggiamenti differiscono tra loro.

Analisi dello Scalogramma di Guttman


Verifica l’ordine degli atteggiamenti basandosi sull’ordinamento cumulativo degli item che riflettono un
attributo unidimensionale. Questa scala è basata sull’assunto per cui un tratto unidimensionale può essere
misurato da un set di dichiarazioni che vengono ordinate lungo un continuum di “difficoltà di accettabilità”. Le
affermazioni che i partecipanti si trovano a dover valutare spaziano da quelle più facili da accettare a quelle più
difficili. I partecipanti, quindi, in base ad un set di affermazioni iniziale ordinato secondo il punto di vista del
ricercatore, devono esprimere la loro accettazione o meno attraverso dei punteggi (bassa 1,2,3,4 alta).

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Questo metodo risente della difficoltà di ordinare in modo lineare dichiarazioni di atteggiamenti che in genere
sono più complessi. Lo scalogramma appare adatto alla misurazione di lievi differenze fra atteggiamenti ma
risente della difficoltà di ordinare in modo lineare dichiarazioni di atteggiamenti che normalmente sono in un
rapporto di maggiore complessità.

BOX – La bontà della misura degli atteggiamenti

Misurare un atteggiamento significa accedere ad un costrutto non direttamente osservabile La misurazione tenta
di quantificare l’intensità di tale costrutto, chiedendo al soggetto della misurazione da manifestare,
consapevolmente o inconsapevolmente, il proprio atteggiamento.
Il problema consiste nella bontà di tale operazione, cioè valutare la validità e l’attendibilità degli strumenti
utilizzati.
Validità: quando lo strumento misura effettivamente ciò che vorremmo misurasse (validità convergente = deve
essere coerente con altre misure dell’atteggiamento, ma non con le misure di altri costrutti validità
discriminante). Queste vengono stabilite valutando la validità predittiva, capacità di predire scelte,
comportamenti, opinioni che dipendono dall’atteggiamento.
Attendibilità: quando lo strumento misura un solo costrutto che deve essere sempre lo stesso dimostrando così di
avere un’alta coerenza interna che deve mantenersi nel tempo (test-retest).

BOX – Atteggiamenti impliciti

Dal punto di vista teorico, gli atteggiamenti impliciti riflettono i fattori associativi, impulsivi, automatici e
contribuiscono al comportamento, mentre quelli espliciti riguardano riflessione.
In conseguenza al crescente interesse per lo studio dei processi automatici, si è assistito all’avvento di una nuova
generazione di misure: misure indirette o implicite.
Queste nuove misure differiscono dai questionari tradizionali, in quanto non richiedono valutazione esplicita di
un oggetto di atteggiamento, ma ne ricavano la sua valutazione dai tempi di reazione associati ad un compito
cognitivo. Una misura cos ricavata viene definita atteggiamento implicito.
Le caratteristiche di questa misura sono per esempio il fatto che risente meno della desiderabilità sociale, delle
conseguenti distorsioni delle risposte.
Tra i metodi più usati vi è l’Implicit Association Test che è un compito di doppia categorizzazione veloce di vari
stimoli appartenenti a quattro categorie:
• concetto target (es. fiori) ‚
• concetto di contrasto (es. insetti) ‚
• attributo (es. positivo/negativo)
Il partecipante deve associare velocemente gli stimoli (es. fiori/positivo vs insetti/negativo); poi le coppie
vengono invertite fiori/negativo vs Insetti/positivo.
Il compito risulterà più facile, quindi più rapido, se quella soluzione è compatibile con pensiero della persona: se
la persona ha associazioni più positive verso gli insetti sarà più veloce nella seconda fase delle associazioni e
viceversa.

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Cap. 8 – Influenza sociale e consumo
Introduzione: la dimensione sociale del consumo

I comportamenti dei consumatori non possono essere studiati se non all’interno di un contesto sociale e culturale
(Bauman, 2007), attraverso lo studio del ruolo delle interrelazioni e dei processi dinamici che danno senso e
significato alle azioni dei consumatori. Per farlo ci avvaliamo di contributi del costruzionismo sociale, che, come
scrive Siri (2004), prende le mosse da un lavoro di Berger e Luckman dall’esplicito titolo “La realtà come
costruzione sociale”. Secondo Siri la tesi dei due studiosi fino ad allora intendeva sottolineare come, nel contesto
specifico di azione dotata di senso, le persone interpretano il significato dell’esperienza e orientano il loro
vissuto e il loro comportamento concreto sulla base della lettura dei segnali interni. La realtà vissuta
dall’individuo sarebbe in questo caso una costruzione intersoggettiva emersa nel rapporto sociale.
Nel campo dei consumi possiamo quindi servirci del costruzionismo sociale (Berger e Luckman): nel contesto
specifico di azione dotata di senso, le persone interpretano il significato dell’esperienza e orientano il loro
vissuto e il loro comportamento concreto sulla base della “lettura” dei segnali interni (stati d’animo, poli di
attenzione, attribuzioni causali).
Berger e Luckman intendevano soprattutto indicare con forza che la grammatica che guida questa
“interpretazione” non è decisa dai soggetti, né dalla loro specificità biologica, ma dal contesto socioculturale e
anzi più specificatamente dai percorsi di socializzazione e dai gruppi di riferimento. Tale prospettiva riconosce
l’influenza delle variabili sociali sui processi individuali (e viceversa):
“la realtà vissuta dall’individuo sarebbe in questo caso una costruzione intersoggetiva emersa nel rapporto
sociale”.
Questo modo di considerare il consumatore ci porta ad analizzare il ruolo delle appartenenze gruppali,
organizzative e culturali e il valore dell’influenza sociale sui processi di scelta e di consumo. Il contesto di
interazione sociale riesce a orientare le opinioni, i sentimenti e/o le azioni delle persone. Si tratta di
un’interazione che coinvolge la sfera individuale e quella sociale, ponendosi come ponte del dualismo cartesiano
interno-esterno.
L’ interazionismo simbolico concepisce l’individuo come inserito sempre in un dato contesto socioculturale,
entro il quale opera come attivo interprete dei significati attribuiti all’azione altrui (De Grada e Bonaiuto, 2002)
e si caratterizza per 3 principi di base:
✳ Le persone agiscono nei confronti dei prodotti sulla base dei significati che quegli oggetti hanno per
loro;
✳ Tali significati nascono dall’interazione tra l’individuo e gli altri;
✳ L’interpretazione è usata da ogni individuo in ogni momento della vita come essere sociale.
Un’implicazione teorica di queste concezioni è che il comportamento umano non risulta essere unicamente il
risultato di forze immodificabili, ma è influenzato da azioni razionali, e spesso irrazionali che dipendono delle
esperienze specifiche di quell’individuo e dalle sue motivazioni.
Uno dei più autorevoli studiosi di tale approccio è certamente Tajfel (1972), con la sua teoria dell’identità
sociale, secondo cui gli individui cercano di raggiungere e di mantenere una immagine di sé positiva
esclusivamente in relazione alle loro appartenenze di gruppo, e ci ha contribuito allo studio del rapporto fra
individuo e consumo secondo l’ottica costruttivista. Ci possiamo riferire quindi alla teoria dello studioso Colautti
(2005) la Teoria dell’identità sociale secondo cui gli individui cercano di raggiungere e di mantenere
un’immagine di sé positiva esclusivamente in relazione alle loro appartenenze di gruppo (contribuendo così allo
studio del rapporto tra individuo e consumo secondo l’ottica costruttivista).
Nello studio del comportamento di consumo si va oltre la descrizione delle singole funzioni elementari per fare
sempre più spesso riferimento al contesto normativo condiviso, proponendo una visione del consumatore non

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arroccata intorno ad un polo intra individuale, rappresentato dalla mente, dalla cognizione, dal comportamento e
dall’azione, ma centrata su un polo inter individuale, in cui la dimensione interattiva e narrativa assume un ruolo
determinante per la comprensione dei comportamenti umani. La conoscenza sociale riguarderebbe gli scopi che
il conoscente si prefigge e le esperienze empiriche che tale soggetto prova in una specifica situazione e in
relazione a specifici valori culturali e sociali. La realtà sociale sembra non esistere, o non risulta comprensibile,
indipendentemente dal modo in cui essa è percepita e costruita dall’individuo. Ciò significa fare i conti con
diverse realtà e attribuzioni di senso, tante quante sono le prospettive (persone) dalle quali essa può essere
percepita.
Il riconoscimento della dimensione culturale e situazionale spinge ad adottare accanto al metodo sperimentale di
tipo nomotetico (la ricerca delle leggi universali), modelli di analisi e di spiegazione sempre più capaci di
comprendere la relatività delle esperienze, attraverso una prospettiva rispettosa della dimensione ideografica. In
questo senso possiamo distinguere alcuni approcci di studio che si affiancano sempre più spesso a quelli usati
dalla tradizionale ricerca sui consumi:
• l’etnografia che studia come le persone danno senso a ci che fanno nella vita quotidiana
soffermandosi sui vissuti quotidiani, sulle azioni agite sul campo e sull’analisi delle differenziazioni
culturali e sociali;
• l’approccio drammaturgico che ricerca nell’interazione, considerata analoga alla rappresentazione
teatrale, il significato degli eventi e delle azioni agite nei contesti sociali e di vita;
• la psicologia sociale discorsiva che intende rintracciare nell’analisi della conversazione e della
narrazione la costruzione culturale del mondo in cui le persone effettivamente pensano e agiscono.
Si tratta di un approccio utile anche allo studio dei valori.
I consumi diventano occasione per appartenere ad una classe sociale, a un gruppo, a una cultura, contribuendo al
contempo alla costruzione della propria identità. La dimensione di gruppo e il contesto di azioni vengono
considerati costitutivi dell’individuo, divenendo parte essenziale del modo in cui egli guarda a se stesso e al
mondo.
Il comportamento di consumo, quindi, non è solo determinato da elementi interni, ma da un continuo processo di
interazione sociale e culturale in cui la dimensione individuale si misura e si confronta sulla base dell’esperienza
intersoggettiva, in cui l’aspetto interiore non può essere analizzato senza un’attenta contestualizzazione e senza
una valutazione dei significati che assume in una particolare situazione sociale e culturale.

L’influenza della cultura

La cultura è definibile come il complesso di conoscenze, convinzioni, espressioni artistiche, principi giuridici e
morali, costumi e di qualunque altra capacità e abitudine acquisite dagli individui in quanto membri di una
società. (Sherry) Queste facilitano l’unione degli individui, trasmettono un sentimento di identità, offrono una
guida ai processi di soluzione dei problemi. Ciascuna cultura è caratterizzata da un sistema di valori ben precisi
che occorre conoscere accuratamente per comprendere i comportamenti degli individui che ne fanno parte.
Questo è infatti uno dei compiti più ardui che il marketing delle grandi multinazionali deve affrontare, in
particolare per lanciare la promozione di un prodotto, in quanto obbligate a considerare le forti differenziazioni
culturali e valoriali.
Si evidenzia quindi una funzione adattiva e regolatoria della cultura, la quale è in grado di trasmettere senso di
identità, di appartenenza, definire le regole e costituire una guida per la risoluzione dei problemi.
Nell’ambito dello studio delle differenziazioni culturali, la prima grande distinzione è quella tra culture
individualiste e culture collettiviste.
Secondo Hofstede è possibile distinguere le culture sulla base di cinque indicatori:

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1. INDIVIDUALISMO E COLLETTIVISMO (IND). Focalizza l’attenzione sui meccanismi relazionali
prevalentemente autocentrati o eterocentrati. L’elemento dello schema mentale implicato in questa
dimensione riguarda la concezione di sé, che si può disporre lungo un continuum che va
dall’individualismo al collettivismo. Nelle società collettiviste l’individuo agisce conferendo maggiore
attenzione agli interessi del gruppo piuttosto che a quelli individuali; una società con un alto grado di
individualismo implica invece relazioni sociali in cui gli individui si percepiscono più indipendenti dagli
altri, cui il perseguimento di obiettivi individuali è molto importante.

2. POWER DISTANCE INDEX (PDI) (distanza di potere): Distanza di potere, questo indicatore si
riferisce al grado di aderenza all’autorità formale. Soggetti con un elevato PDI si trovano perfettamente
in linea con organizzazioni in cui il potere è fortemente accentrato e centralizzato (sistema di autorità)
rispetto a coloro che hanno punteggi più bassi. Culture con un elevato PDI prevedono e legittimano la
differenziazione del potere tra le persone e la non equa distribuzione di opportunità e risorse.

3. Uncertainty avoidance index (UAI) (tolleranza all’incertezza): misura l’importanza attribuita alle
regole e alle procedure standard e il grado con cui le persone ritengono arduo affrontare e gestire le
situazioni ambigue e incerte. Le modalità con cui le diverse società, tradizionali e moderne, fronteggiano
l’incertezza derivano dalle loro tradizioni culturali e vengono trasmesse e rinforzate attraverso le
istituzioni come la famiglia, la scuola e lo Stato.

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4. Indice di mascolinità-femminilità (MAS): La differenziazione di genere è molto radicata in alcune
culture. La distribuzione dei ruoli sessuali in particolari società è trasmessa attraverso il meccanismo
della socializzazione della famiglia, nella scuola, nei gruppi di pari, nelle organizzazioni e attraverso i
mezzi di comunicazione.
5. Indice di long-term time orientation (LTO) (orientamento temporale): i soggetti con livelli elevati in
questo indice tendono a essere più cauti e a riconoscere grande valore alla persistenza e alla
progettazione a medio e lungo termine.
Tramite diverse ricerche si è scoperto che nelle culture collettiviste viene espresso un più elevato grado di
fiducia negli scambi sociali tra membri di un gruppo. In queste culture è più difficile essere aperte e cooperative
con persone esterne al gruppo di appartenenza.
L’appartenenza al gruppo favorisce la percezione di un individuo come affidabile. Diversamente accade in quelle
culture caratterizzate da un orientamento prevalentemente individualistico, in cui si può registrare una maggiore
propensione all’apertura sociale e a relazioni di fiducia, anche nei confronti di persone sconosciute.
In altre parole, in un contesto culturale come quello italiano gli individui sono considerati estranei, salvo i
membri dell’ambito familiare e gruppale.
La scarsa fiducia verso gli estranei è considerata più caratterizzata e pervasiva che in altri contesti europei o
americani.
In questo caso il valore della dimensione familiare e gruppale sembra essere supportate da evidenze di tipo
storico, antropologico ed economico nei processi di sviluppo dal dopoguerra in Italia.
Un’altra distinzione del collettivismo e individualismo la offrono nel 1998 Trandis e Gelfrand distinguendo i due
indicatori nella loro dimensione orizzontale e verticale. Secondo gli autori, nell’individualismo verticale
(tipicamente americano o inglese) l’attenzione viene posta prevalentemente sullo status e su una forma di
distinzione competitiva tra i soggetti. Nell’individualismo orizzontale (tipicamente norvegese e svedese) ci che
conta non è la forza della competitività estrema ma nel valore dell’unicità della persona.
C’è anche un collettivismo verticale (tipicamente giapponese o coreano) in cui si subordina il valore soggettivo
e i risultati personali a quelli del gruppo, in cui si riconosce un forte valore e un grande rispetto verso l’autorità
costituita e in cui si sente molto forte il contrasto tra in-group e out-group. A questa forma di collettivismo si
oppone quello definito orizzontale (tipicamente israeliano) in cui si esalta maggiormente la similitudine con gli
altri, la condivisione degli obiettivi con il gruppo, e l’interdipendenza.

Differenze culturali e concetto di valore


Il riferimento al valore richiama l’attenzione ad un polo costante per l’individuo e per la società o il gruppo a cui
appartiene. Si tratta di un polo di riferimento destinato a dare stabilità, e conseguentemente comprensibilità, al
fluttuare dei comportamenti e delle dichiarazioni dei consumatori.
Gli studi sul consumo considerano i valori come astratti modelli di conoscenza della realtà che i consumatori
usano per guidare le loro scelte e come risposta alle stimolazioni della comunicazione.
Il termine valore fa riferimento sia a ci cui si riconosce che vale in sé e che si impone da sé, sia a ci che
l’individuo come soggetto è in grado di far valere. Si potrebbe dire che il valore rinvia ad un valere da coniugarsi
sia in terza persona - aliquid valet - sia in prima persona - ego valeo.
Pitts (1985) ha dimostrato come l’interazione di acquisto di un prodotto tende ad aumentare nel caso di elevata
congruenza tra valore simbolico offerto dal prodotto e i valori personali del consumatore.
La psicologia moderna ha utilizzato il termine valore come concetto di riferimento capace di garantire stabilità e
coerenza, “legato all’idea-guida di una personalità centrata sulla costruzione, prima, e sul mantenimento poi, di
un’identità interna che ne costituisce il cuore e la chiave di lettura”.

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I valori costituiscono gli atomi dell’identità e hanno permesso di individuare una scala universalmente accettata
di priorità per spiegare i comportamenti umani attraverso l’identificazione dell’essenza della personalità e delle
sue stabilità.
Nella societ post - moderna non è possibile una misura del valore come un a priori assoluto. Questa misura deve
fare i conti con la contestualizzazione, con un perenne confronto con il campo di azione in cui vengono agiti i
comportamenti e in cui si negoziano i significati e in cui si contratta di volta in volta il senso delle cose, in
funzione del contesto sociale e culturale in cui si agisce, dei desideri che guidano i comportamenti, delle
necessità individuali e delle modalità di recepire e interpretare le informazioni.
Secondo Siri un assunto di base sta nella certezza che il valore dei valori come variabili esplicative sia al
tramonto di una gloriosa carriera, e che per recuperarne un ruolo costruttivo occorre partire da una
fenomenologia dell’uso spontaneo e ingenuo del termine della via quotidiana.
Non è più possibile una misura del valore come un a priori assoluto, come polo di riferimento con cui spiegare i
comportamenti e da cui derivano gli atteggiamenti.

BOX – Il marketing sociale

Una definizione utile a chiarirne la natura e anche la complessità è quella proposta da Weinreich, dove il
marketing sociale è inteso come l’uso delle tecniche del marketing commerciale per promuovere comportamenti
capaci di migliorare la salute o il benessere delle persone cui ci si rivolge o della società nel suo complesso.
(1999)
Un’altra definizione, più focalizzata sulle finalità della disciplina, è quella offerta da Kotler, il quale intende
invece il marketing sociale come quell’attività che ha lo scopo di influenzare comportamenti individuali per far
sì che essi, in modo volontario, tendano al benessere di individui, gruppi e della società nel suo complesso.
Per entrambe le tipologie di marketing è fondamentale il ruolo centrale del destinatario, del consumatore; il
marketing sociale però si differenzia da quello commerciale per l’obiettivo delle sue attività: non tanto gestire la
relazione di scambio tra produttore e consumatore in grado di soddisfare i bisogni dei secondi e garantire profitti
ai primi, ma piuttosto nel promuovere il cambiamento dei comportamenti delle persone in modo che siano
dissuase le condotte nocive e rinforzate quelle positive con beneficio di tutta la comunità.
L’attività di marketing sociale non è riconducibile alla messa in atto di campagne, ma comprende un insieme di
operazioni assai complesse e numerose:
• Fase di pianificazione (definiscono obiettivi, strumenti, destinatari);
• Messa a punto dei materiali utilizzati per l’azione (messaggi attraverso i media);
• Fase di implementazione (intervento viene realizzato).
Obiettivo delle sue attività è di promuovere il cambiamento dei comportamenti delle persone soprattutto in
ambito di salute.
Il marketing sociale oltre alle 4p (promozione, prodotto, prezzo, punto vendita) ne aggiunge altre 4:
1. partnership: per ottimizzare risorse è utile collaborare con altre organizzazioni con obiettivi simili;
2. politica: coinvolgere chi ha responsabilità politico/amministrative che possano creare condizioni
ambientali in grado di facilitare raggiungimento obiettivi;
3. purse-strings: risorse economiche;
4. pubblico: pubblico di riferimento e persone che partecipano al programma
I cartoncini appesi in metropolitana, il passaggio di Emergency in tv, la lettera del medico di base sono tutti
esempi di marketing sociale.

La classificazione dei valori

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Nonostante l’importanza che il termine valore ha avuto nella ricerca psicosociale, non è del tutto immediata la
possibilità di adozione nel campo applicativo dei consumi. Lo studio dei valori fa riferimento a concetti astratti
ed eccessivamente generalistici, come per esempio la sicurezza, l’amore, la giustizia, utili per studiare il
comportamento di acquisto in generale, ma inadeguati per la distinzione di marche e prodotti. (Solomon, 2006)
Per una corretta rilettura del significato del valore nella ricerca sui consumi occorre, pertanto, rivalutare il valore
della ricerca ideografica e situazionale e la possibilità di declinare la ricerca sui valori in considerazione delle
situazioni specifiche in cui viene applicato il termine.
Occorrerà quindi distinguere tra:
✳ Valori culturali (centrali) come la libertà e la felicità
✳ Valori specifici relativi al consumo come il valore della convenienza o il valore della sostenibilità
ecologica nell’acquisto in generale
✳ Valori specificamente correlati al prodotto come per esempio il valore della facilità d’uso
Il concetto di valore è uno di quelli più utilizzati nello studio dei processi di consumo poiché i consumatori
associano ai prodotti certi valori simbolici e personali, ma al contempo stesso attraverso i prodotti stessi cercano
di raggiungere determinati valori sociali o manifestare a se stessi e agli altri l’adozione di certi valori.
“Il valore è la concezione stabile di ciò che è desiderabile per un individuo e per una società.” (Zatti, 1997)
Ciò non significa che i valori siano immutabili e stabili nel tempo; infatti l’immutabilità non è una categoria
descrittiva della società in cui viviamo. Anche i valori sono soggetti al cambiamento. I valori, in generale,
rappresentano gli obiettivi che ci si pone: sicurezza successo, salute. Inoltre, nelle relazioni sociali, i valori
esercitano funzioni importantissime: i valori di gruppo danno a un membro i fini e significati generali dell’agire
nonché le leggi che ne rappresentano la codificazione.
Come descritto da Solomon (2006) il valore attribuito all’esperienza di consumo può essere ricondotto a otto
specifici valori:
✳ Efficienza: è il grado di convenienza riscontrata nell’esperienza di consumo e si riferisce al contesto di
costi-benefici dell’acquisto;
✳ Eccellenza: fa riferimento all’unicità e alla particolarità dell’esperienza di consumo e al concetto di
qualità;
✳ Status: richiama al valore del prestigio e della posizione sociale che deriva dal possesso;
✳ Autostima: si riferisce all’effetto che ha il consumo nella costruzione di un’immagine personale di
successo o alla sensazione di autorealizzazione;
✳ Divertimento: fa riferimento allo stato di gioco e di benessere che può provocare il consumo;
✳ Estetica: richiama la ricerca del bello come valore importante;
✳ Etica: fa riferimento al valore morale, sociale e politico del consumo;
✳ Spiritualità: richiama a esperienze quasi religiose o comunque sacre nella relazione tra consumo e
prodotto o servizio.
In una società multietnica essere consapevoli della coesistenza di diversi valori è diventato importante per il
marketing che dovrà ampliare quanto più possibile il proprio mercato alla luce di queste profonde
differenziazioni. In queste dinamiche è bene sapere distinguere il processo di inculturazione (processi di
apprendimento di credenze e comportamenti legati a valori specifici della propria cultura) dal processo di
acculturazione (processo di apprendimento di valori di altre culture).

Le appartenenze a subculture

La presenza in Italia di una immigrazione molto consistente deve far riflettere gli operatori di marketing sulle
necessarie differenziazioni di bisogni e di desideri di una fascia di popolazione che appartiene a etnie diverse.

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Nello studio dei consumi non si può non considerare le differenze che produce l’appartenenza alle subculture.
All’interno della società odierna, vi sono delle subculture capaci di influenzare direttamente il comportamento
dei consumatori. Solitamente l’appartenenza religiosa, le differenze etniche e di provenienza geografica e le
differenziazioni di genere e di età sono quelle che ci permettono di differenziare le subculture.
Una subcultura identifica gruppi che hanno origini culturali, lingua, religione, senso di appartenenza ad una
specifica eredità storico-sociale diversa.
Nello studio dei consumi non si può quindi non considerare le differenze che produce l’appartenenza alle
subculture. Un esempio è dato dal rapporto tra consumo alimentare e identità dei giovani immigrati. È necessario
studiare il consumo di cibo come indicatore dei processi culturali di integrazione\differenziazione, non solo in
un’ottica di approfondimento antropologico, bensì anche sociologico, psicologico, economico, di salute e di
marketing.
Parlare del consumo alimentare dei giovani stranieri significa parlare delle loro scelte d’acquisto, da collegarsi
più che col bisogno primario di nutrizione, con il bisogno di integrazione, di costruzione, di identità e di
appartenenza.
Guidoni e Menicocci sottolineano che l’alimentazione è uno dei display più importanti per delimitare barriere
ideologiche, etniche, politiche, sociali o al contrario, uno dei mezzi più utilizzati per conoscere le culture, per
mescolare le civiltà, per tentare la via dell’interculturalismo.
Chi si occupa dei processi di consumo di tali subculture deve considerare il significato simbolico che coinvolge
i comportamenti di consumo in relazione alle dinamiche di aderenza/distacco, vicinanza/lontananza, privato/
pubblico che nella vita delle famiglie straniere e nelle volontà dei giovani della seconda generazione
determinano i processi di relazione con la tradizione di origine in base alle specifiche storie di vita e biografie
migratorie, ma anche sulla base della provenienza.
Le appartenenze religiose hanno un’influenza decisiva sui comportamenti:
• famiglie cattoliche: il marito contribuisce maggiormente nella presa delle decisioni;
• famiglie ebree: il potere di decisione e l’azione all’acquisto sono equamente distribuiti rispetto a
ruoli;
• famiglie non religiose: equa distribuzione nel ruolo di decisione rispetto a famiglie religiose.

L’influenza del paese di origine e gli stereotipi dei consumatori

Il processo di globalizzazione ha permesso ai consumatori di confrontarsi con realtà, prodotti e significati assai
diversi da quelli della propria terra di origine e della propria cultura.
La globalizzazione, lungi dal promuovere una cultura totalizzante e omogenea, ha definito uno spazio nel quale
le diverse culture del mondo si confrontano e si scontrano, generando significati e condividendo valori e
costruiscono modi di leggere la realtà nuovi ed eterogenei. I prodotti vengono percepiti in funzione della loro
origine, e ciò può essere positivo o anche molto negativo. Infatti, a causa del processo di generalizzazione, gli
aspetti negativi di un paese possono essere generalizzati a tutti i prodotti di quello stesso paese. Per l’origine del
prodotto può solo essere una ulteriore variabile da considerare insieme a tanti altri attributi per poter decidere se
acquistare un prodotto o meno.
In alcuni casi la possibilità di acquistare prodotti importati significa potere accedere a un livello di qualità può
elevato, mentre in altri casi i prodotti importati da altre culture o aree geografiche devono confrontarsi con
stereotipi e profonde convinzioni. Nei confronti di alcuni prodotti non sempre vi è la consapevolezza di potere
fruire della qualità attesa. I prodotti realizzati nel proprio paese in genere sono percepiti di migliore qualità
rispetto alla percezione che hanno i consumatori di altri paesi per gli stessi prodotti, così come la qualità
provenienti dai paesi industrializzati Ł percepita migliore rispetto a quella dei prodotti provenienti dai paesi in
via di sviluppo. I prodotti quindi vengono percepiti in funzione della loro origine.

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A causa del processo di generalizzazione gli aspetti negativi di un paese possono essere generalizzati a tutti i
prodotti di quello stesso paese.
Tuttavia, le reazioni nei confronti di queste potenzialità sono diverse. I prodotti realizzati nel proprio Paese in
genere sono percepiti di migliore qualità rispetto alla percezione che hanno i consumatori di altri Paesi per gli
stessi prodotti, così come la qualità dei prodotti provenienti dai Paesi industrializzati è percepita migliore rispetto
a quella dei prodotti provenienti dai Paesi in via di sviluppo. (I prodotti vengono percepiti in funzione della loro
origine)

CASE HISTORY S. PELLEGRINO: i valori dell’italianità nelle altre culture


Si è sempre distinta per la sua strategia di comunicazione così atipica e innovativa rispetto alla maggior parte
degli altri brand del largo consumo. Per un brand longevo come San Pellegrino l’approccio è diverso, e lo sa
bene chiunque abbia lavorato a questo brand. Questi professionisti sanno di poterlo accompagnare per un piccolo
tragitto nella sua storia e sa che si trova all’interno di un’azienda dove è lo stesso brand che, indipendentemente
dalla gestione delle singole persone che ci lavorano, si scrive da solo la propria strategia d’azione. San Pellegrino
è stato capace di svilupparsi una vita e valori propri.
Il marchio ha sempre avuto un posizionamento forte, e lo ha saputo mantenere nel tempo. Le ricerche di mercato
rivelano che il brand ha una sua identità fedele a se stessa; il prodotto è molto simile alla prima versione del
1899 ed è difficile trovare un caso equivalente nel grande consumo.
Progressivamente è diventato un prodotto che veicola elementi di cultura, storia e di tradizione italiana nel
mondo. La cultura italiana ha una personalità all’estero che ci rende unici per la voglia di stare bene insieme e
per lo stile ed il buon gusto.
San Pellegrino incarna bene questi valori, ed è considerata l’acqua per eccellenza, come la Ferrari per le auto
solo con un prezzo più accessibile; entra nella vita di ciascuno con semplicità come un momento esclusivo di
piacere.
Il segreto del brand è interpretare in modo eccezionale e coerente un modello aspirazionale che ha potenza e
trasversalità in tutto il mondo, e questo è anche il motivo per cui nella strategia di business di San pellegrino non
è mai capitato di entrare in un paese nuovo e avere un rigetto o particolari resistenze da parte del consumatore.
Le diversità di mercato nei Paesi esteri, dipendono da diverse strategie di business (canali, prezzi, distribuzione),
perché su questo la capacità di incidere dell’azienda è forte, ma ancor più radicata è l’immagine d’azienda che
esiste a priori.
Il fatto che Sanpellegrino veicoli i propri valori in modo così forte e indifferenziato a culture così diverse è senza
dubbio qualcosa di molto raro.
In Usa è apprezzata perché viene considerata come un’acqua di un certo valore, è il top rispetto alle acque
minerali; ancora più sorprendente è il successo che ottiene in Francia, dove c’è una tradizione enogastronomica
e di acque minerali eppure, anche lì Sanpellegrino è riuscita a convincere i consumatori per le sue qualità
organolettiche.
Il brand è presente in più di 100 Paesi e per questo ha bisogno di comunicare in modo immediato, superando le
distanze culturali e linguistiche con un messaggio che sia più emotivo che razionale.

I GRUPPI DI ACQUISTO SOLIDALE (GAS)

Il primo Gruppo di Acquisto Solidale nato in Italia risale al 1994: consorzi, più o meno informali, di consumatori
che si riuniscono per dar vita a processi di acquisto e consumo all’insegna della solidarietà e del rispetto
dell’ambiente, inteso sia in termini meramente ecologisti che in termini sociali. (definiti da Valera come “il
popolo dei gasati”)

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Consumo etico: è un consumo che rispetta e non froda il produttore;
Consumo sostenibile (o green consumers): con questo termine ci riferiamo consumatori particolarmente attenti,
nelle loro scelte di consumo, a tutelare l’ambiente fisico nel quale viviamo;
Consumo critico e acquisto solidale: si riferisce ad una pratica di consumo che rispetta, chi nel produrre, a sua
volta ha rispettato l’ambiente, inteso a 360 gradi come l’unione delle risorse ambientali a disposizione da un lato,
e dell’intera compagine umana dall’altro.
Dunque, nei GAS la solidarietà non viene semplicemente espressa verso l’ambiente verso l’ambiente e i
produttori ma, in primo luogo, verso la rete di consumatori cui si appartiene, che si gestisce insieme, segnalando
a tutto il gruppo nuovi produttori e rendendosi disponibili, a turno, ad effettuare opera di contatto-ritiro-
magazzino di merci specifiche, così ciascuno si occuperà di un settore specifico (pasta, detersivi, formaggi).

Miti, costumi e rituali e lo studio dei valori

I valori contribuiscono a creare regole di convivenza civile e a guidare i comportamenti e possono essere rilevati
attraverso l’analisi di usi, costumi e convenzioni sociali. Questi infatti riescono a dare indicazioni dei valori
condivisi in una specifica comunità o gruppo.
Gli usi sono le consuetudini della vita derivanti dalla tradizione: per esempio ci si aspetta che la gestione degli
affari domestici sia prevalentemente assegnata alle donne.
I costumi sono invece le norme più forti: essi hanno una valenza morale profonda e indicano quali sono i
comportamenti che possono essere agiti in relazione al contesto, ai momenti e alle persone con cui si entra in
relazione.
Inoltre, un ruolo determinante viene riconosciuto ai canali di comunicazione. I valori, infatti, sono trasmessi e
influenzati dai messaggi mediatici. Anche la comunicazione di marketing può, dunque, influenzare il processo di
acquisizione di valori e di regole sociali.
Un ulteriore suggerimento e indicazioni sui valori di una comunità ci vengono offerti dall’analisi dei miti e dei
rituali.
I miti sono “aneddoti contenenti elementi che simboleggiano gli ideali di una cultura, che generalmente
presentano un conflitto tra due forze opposte, il bene e il male, e dal cui esito i membri di una società traggono
un’indicazione morale di comportamento” (Solomon, 1996)
I rituali sono attività simboliche ed espressive manifestate con azioni o comportamenti che vengono ripetuti
periodicamente. (rituali religiosi, r. magici, r. culturali, r. civici, r. di passaggio)
Come possiamo distinguere i valori attraverso una prima grande categorizzazione? E ancora, come possiamo
misurare i valori?
Possiamo distinguere valori terminali e valori strumentali:
Valori terminali: una vita serena, una vita eccitante, uguaglianza, libertà, amore, saggezza, vera amicizia (sono
gli obiettivi ultimi della vita)
Valori strumentali: ambizione, apertura mentale, coraggio, onestà, intelligenza, indipendenza, autocontrollo
(sono i comportamenti per raggiungere gli obiettivi)
Questa classificazione prevede una distribuzione dei valori lungo un continuum, in cui da una parte troviamo i v.
strumentali e dall’altra quelli terminali. I primi, caratterizzati da un grado di astrattezza superiore, portano al
soddisfacimento di quelli terminali.

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Lo strumento che più si usa per la misurazione dei valori è la scala Rokeach Value Survey.
Secondo Rokeach, i valori possono essere concettualizzati come una gerarchia semplice e lineare. Tra di essi
esiste un ordine di priorità definito tramite un processo cognitivo, che implica il confronto tra coppie di essi,
influenzato a sua volta dalla personalità soggettiva, dal grado di socializzazione, dall’ambiente socio-
istituzionale e culturale.
Questa scala è costituita da 18 valori; i valori terminali definiscono gli obiettivi ultimi della vita, e i valori
strumentali indicano i comportamenti attuati per raggiungere tali scopi. Questa scala è stata per definita poco
attendibile.

Una scala alternativa è quella definita LOV (list of values) che distingue valori interni ed esterni in nuove
tipologie (appartenenza, eccitazione rel. amichevoli, rispetto da parte di altri, autorealizzazione, sicurezza,

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piacere di vivere, appagamento, rispetto per se stesso), resasi necessaria anche perché la scala di Rokeach faceva
riferimento a valori eccessivamente astratti e di difficile applicazione nel campo del marketing.
Una delle scale che ha dimostrato validità maggiore anche in contesti socioculturali diversi è quella dei domini
motivazionali di Schwartz che individua 56 valori raggruppati in aree o domini motivazionali. Queste aree sono
individuabili attraverso due assi: uno di apertura - chiusura e uno che fa riferimento alla dimensione individuale
o al grado di attrazione di valori sociali e comunitari. Secondo lui i valori possono essere considerati una
rappresentazione cognitiva dell’interazione tra bisogni biologici e le richieste di benessere sociale e di
sopravvivenze della comunità. Tra le metodologie quantitative vi sono numerosi strumenti per la misurazione
degli stili di vita finalizzati ad analizzare gli atteggiamenti, le opinioni, le motivazioni dei consumatori.
Queste hanno portato a definire il processo di consumo come un atto comunicativo mediante il quale trasmettere
agli altri una determinata immagine di sé. La preferenza accordata ad una marca piuttosto che ad un’altra assume
il valore di simbolo, di stemma, con cui il consumatore esprime il suo personale stile di vita, l’adesione a
determinati valori, la condivisione di certe tendenze culturali.

Il cambiamento dei valori

I valori tendono a cambiare quando eventuali situazioni culturali, economiche e sociale che le persone vivono in
prima persona cambiano. Il valore dell’ambiente e la sensibilità alla riduzione degli sprechi sembra che stiano
caratterizzando il mondo dei desideri e al contempo sembrano avere acquisito una valenza personale che prima
era inimmaginabile. I consumatori in questa società post - crescita sono sempre più riflessivi, capaci di
intercettare le informazioni per una scelta più consapevole, critica, sono più attenti alla qualità in una perenne
ricerca del giusto rapporto tra prezzo e qualità. Oggi il consumo sembra determinato da una sorta di interesse
lungimirante, cioè votato alla comunità più che sul personale.
Il valore del superfluo e del lusso sfrenato lascia sempre più spazio all’etica come dimensione della qualità e alla
responsabilità sociale come metro di valutazione, anche se al contempo persiste il mantenimento della ricerca del
piacere e della soddisfazione offerta dall’esperienza prima ancora che del valore d’uso e della funzionalità dei
prodotti stessi.
La situazione di crisi che stiamo vivendo ha determinato un nuovo senso di consapevolezza caratterizzato dal
recupero dei valori fondanti, originari perché percepiti come utile strumento per il recupero di un passato che
può garantire le certezze che hanno contribuito a realizzare una epoca di grande sviluppo e di grande crescita.
Per comprendere ci che attira oggi l’interesse dei consumatori occorre prendere atto del declino dell’intero
modello socio - economico che ha caratterizzato il più recente passato, ovvero il modello di matrice prettamente
americana.
Oggi si sente parlare sempre più spesso nei tavoli di discussione tra gli esperti di stili e modelli di vita, e quindi
di scelta più vicini alla nostra cultura, ovvero del modello mediterraneo come alternativa al sistema fondato sul
superfluo e sul consumo spropositato.
In questo nuovo modello di consumo i temi che più attireranno l’attenzione dei consumatori saranno la lentezza,
la misura, la genuinità, la naturalità e la sostenibilità.

La differenziazione delle culture di consumo e le psicografie

Uno dei concetti fondamentali per la comprensione e la spiegazione del comportamento di consumo è quello che
fa riferimento allo stile di vita. La ricerca psicografica fornisce un’ampia e realistica analisi dell’universo dei
consumatori, facendo emergere le particolarità che permettono di descrivere lo stile di vita di un gruppo sociale.

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Lo stile di vita riguarda gli schemi di consumo che rispecchiano le scelte personali circa il modo di spendere
tempo e denaro. È influenzato dai modelli culturali, dai valori, dai dati demografici, dalle subculture, dalla classe
sociale, dal gruppo di riferimento, dalla famiglia, dalle motivazioni, dall’emozione e dalla personalità.
Lifestyle si riferisce al modo di vivere tipico o caratteristico di tutta una società o di un segmento, inteso nel
senso più ampio e globale. Esso si occupa di quegli elementi o caratteristiche particolari che descrivono lo stile
di vita di un certo tipo di cultura o di un certo gruppo, e lo distinguono da altri.
Le espressioni psychographic segmentation e lifestyle segmentation stanno entrambe ad indicare una
segmentazione che va oltre il semplice dato socio demografico: se prevale un’impronta psicologica si parlerà di
psychographic segm.; se invece prevale un’impronta di tipo sociologico si parlerà di lifestyle segm. Con il
termine psychographic segmentation prevale uno studio di personalità, valori e credenze fondamentali, mentre
con il termine lifestyle segmentation l’enfasi viene posta sulle variabili di atteggiamento.
Le lifestyle e psychographic segmentation hanno lo scopo di:
✳ enfatizzare la relazione esistente fra prodotto-individuo-scenario di appartenenza;
✳ spiegare le differenze tra certi tipi di comportamento manifestate da gruppi di individui non spiegabili in
base a caratteristiche fisiologiche, demografiche e socioeconomiche;
✳ scoprire differenze di stili di vita;
✳ esaminare modelli di consumo dei prodotti e tipologie di consumo;
✳ sviluppare tipologie di consumatori.
La prima ondata di ricerche psicografiche ha utilizzato prevalentemente i profili di personalità (la scala di
misurazione utilizzata per misurare gli aspetti generali di personalità, al fine di definire dei gruppi omogenei di
consumatori, è stata l’Edward’s Personal Preference Schedule)
Questi studi hanno dimostrato correlazioni basse e inconsistenti con il comportamento del consumatore,
rivelandosi non soddisfacenti per le esigenze di marketing
La seconda ondata di ricerche psicografiche ha rimpiazzato il concetto di personalità con il nuovo concetto di
lifestyle, definibile come l’insieme dei modi di vivere, spendere tempo e denaro delle persone.
Oggi lo studio dei processi di identificazione e di personalizzazione ha riportato nuovamente l’attenzione
sull’esigenza di integrare gli studi sugli stili di vita con i processi di significazione che caratterizzano i processi
espressivi del Sé. (AIO misurazione di attività, interessi, opinioni del consumatore = si svolge sottoponendo un
questionario a un panel di consumatori a livello nazionale nel quale vengono richieste, oltre alle informazioni
demografiche, anche quelle sui tassi medi di consumo di almeno un centinaio di prodotti differenti).
In ricerche di questo tipo si pone molta attenzione nel cercare di stabilire:
• in quali attività gli individui trascorrono il loro tempo;
• quali sono i loro maggiori interessi, in relazione anche all’ambiente in cui vivono;
• che opinione hanno di se stessi e del mondo che li circonda;
• quali sono l’et, il reddito, il livello di istruzione, la professione, il luogo di residenza.

Le principali psicografie straniere

Psicografia “Monitor” di Yankelovich


Elemento principale di questa analisi è lo studio dei valori i quali, secondo Yankelovich, possiedono quelle doti
di astrattezza attraverso cui è possibile comprendere il comportamento umano e le sue motivazioni, in modo
molto più profondo di quanto si possa fare mediante la sola analisi del comportamento d’acquisto.

Psicografia VALS

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• VALS 1 (Value and Lifestyles di Mitchell, 1960)
Si basa su un insieme di studi del comportamento umano e della personalità, realizzati nell’ambito della
ricerca motivazionale e della psicologia dello sviluppo, ma soprattutto della “teoria delle motivazioni
dominanti” di Maslow. La segmentazione VALS fa corrispondere a ogni livello della gerarchia dei
bisogni una “fetta” della popolazione, aggiungendo però che ciascun individuo può orientarsi a seguire
due percorsi diversi, quello outer-directed (eterodiretto) e quello inner-directed (autodiretto), che
portano entrambi al vertice rappresentato dal bisogno di autorealizzazione.
Si distinguono i seguenti profili:
Need driven: sono individui caratterizzati da un comportamento d’acquisto fortemente condizionato
dalla scarsa disponibilità di reddito, ulteriormente suddivisi in due segmenti:
✳ outer directed: sono collocati ad un livello superiore rispetto al precedente; sono attentissimi a
ciò che la gente pensa di loro e ispirano la loro vita a ciò che è materiale tangibile;
✳ inner directed: nascono con la fine della II G. Mondiale e crescono nelle agiate condizioni degli
anni ’50 e ’60; sono molto aperti all’innovazione e al cambiamento, attenti alla “qualità della
vita” e alla propria auto gratificazione, agiscono seguendo una forza interiore e non solo in
relazione al denaro;
Integrateds: rappresentano la vetta della gerarchia, sono spinti dal bisogno di autorealizzazione, hanno
un’età matura, un alto reddito e dovrebbero riassumere tutte le migliori caratteristiche dei gruppi
precedenti.

VALS 2
Ha sostituito la prima versione ritenuta eccessivamente universalistica e troppo astratta per analizzare le
specificità delle situazioni di consumo. Si differenzia dalla VALS 1 per la minore enfasi che pone sui
valori sociali e per la maggiore attenzione che dedica alle risorse psicologiche, economiche ed educative
degli individui. Essa definisce i consumatori secondo due dimensioni: self-orientation e personal
resources.
La tipologia VALS 2 suddivide la popolazione in 8 segmenti con caratteristiche distintive diverse:
✳ actualizers: sono soggetti indipendenti, propensi a essere leader e amanti del rischio;
consumatori di successo dalle molte risorse, sono interessati ai temi sociali e aperti al
cambiamento;
✳ fulfilleds: sono persone molto organizzate, pratiche intellettuali e sicure delle proprie capacità;
soddisfatte, riflessive e pacate, tendono a prestare attenzione alla concretezza e a i valori di
funzionalità;
✳ believers: sono individui fedeli, rispettosi delle convenzioni e puntigliosi; hanno forti principi e
preferiscono brand sperimentati;
✳ achievers: sono pragmatici, seguono le convenzioni sociali, hanno un forte senso del dovere e
della famiglia; orientati alla carriera, preferiscono la prevedibilità al rischio o alla scoperta;
✳ strivers: seguono la moda, sono influenzati dagli altri e dominati dalla volontà di migliorare la
loro condizione;
✳ experiencers: soggetti impazienti, dal comportamento impulsivo e spontaneo, giovani e amanti
delle esperienze rischiose;
✳ makers: curano molto i rapporti familiari, sono pratici e autosufficienti; orientati all’azione,
pensano alla propria autosufficienza;
✳ strugglers: persone conformiste, conservative e molto caute; sono molto centrate nel soddisfare
i bisogni del momento.

Psicografia del Centre de Communication Avance’ (CCA)

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Messa a punto da Cathelat presso il CCA verso la metà degli anni ’70: permette di monitorare il cambiamento
sociale attraverso l’andamento di 26 valori sociali, accoppiati e contrapposti a due a due in 13 flussi culturali e
misurati dalle risposte a un questionario autosomministrato.

Psicografia 3sc di De Vulpian


Nata all’inizio degli anni ’70, fa parte oggi del Research Institute on Social Change (RICS). Nel 3SC francese le
aree principalmente coinvolte nell’evoluzione sono: le motivazioni, la mentalità, le aspirazioni, i valori e i tratti
della personalità; le produzioni culturali; i costumi e i modi di vita; le strutture sociali informali e le principali
credenze e rappresentazioni che l’uomo fa di sé e dell’universo.

Le principali psicografie italiane

Sinottica di Eurisko
L’Istituto Eurisko è stato fondato nel 1972 da Gabriele Calvi; è nata ufficialmetnte nel 1976 con il nome di
Psychographia. A partire dal 1993 l’indagine si basa su un campione di 10000 casi, rappresentativo di individui
maschi e femmine, in età compresa fra i 14 e i 64 anni. Le interviste vengono realizzate attraverso due
rilevazioni di 5000 casi ciascuna, rispettivamente a novembre e a maggio.
La psicografia dell’Istituto Eurisko si presenta come un’indagine single source (tutte le informazioni vengono
rilevate sugli stessi soggetti) assai completa e operativa e a classificazione standardizzata, dove, cioè, la
suddivisione degli stili di vita deve sottostare ai vincoli che il sistema informativo integrato richiede.
Attraverso l’analisi dei comportamenti e degli orientamenti comportamentali all’interno delle principali aree
settoriali Eurisko ha proceduto alla creazione di specifiche tipologie.
In particolare, sono state definite, accanto a quella generale (gli stili di vita), 13 segmentazioni stilistiche
settoriali, quali alimentazione (individuale e familiare), abbigliamento (maschile e femminile), cosmesi
(maschile e femminile), salute e cura di sé, tempo libero, gestione della casa, esposizione ai mezzi,
amministrazione finanziaria, comportamento d’acquisto, uso dell’automobile.
La struttura degli stili di vita crea così una grande mappa, che è lo strumento attraverso il quale poter inquadrare
e interpretare qualsiasi fenomeno o caratteristica della popolazione, sia essa strutturale, piuttosto che relativa ad
atteggiamenti e comportamenti. Si tratta di uno strumento standard, utile per tutti i settori e di immediata
operatività.
La struttura composta dagli stili di vita è ripartita secondo questi stili:
✳ stili giovanili: liceali, delfini, spettatori;
✳ stili superiori: gli arrivati e gli impegnati;
✳ stili centrali maschili: gli organizzatori e gli esecutori;
✳ stili di vita centrali femminili: colleghe, commesse, raffinate, massaie;
✳ stili marginali: gli avventati, gli accorti, le appartate modeste, le appartate povere
Oltre alle segmentazioni stilistiche vengono effettuate delle segmentazioni su mappa, ove l’universo degli
individui non è più suddiviso in gruppi bensì distribuito in modo continuo in uno spazio geometrico
immaginario, rispettando una logica di caratterizzazione del profilo secondo il posizionamento: individui
“vicini” sono individui “simili”.
Le due dimensioni rappresentanti gli assi portanti della mappa possono essere così interpretate:
✳ Prima dimensione tratti duri: è la dimensione del confronto sociale, della competizione con gli altri,
della conquista. Gli attributi di questa dimensione sono: la forza, la ricchezza, la fisicità del corpo, la
razionalità, il rischio, la lotta, il piacere.

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CHIUSURA
SOCIALE ✳ Seconda dimensione tratti morbidi: è la dimensione culturale della forma e della
sovrastruttura, rispetto alla semplice sostanza. Gli attributi di questa dimensione sono:
l’amore, la cultura, lo spirito, l’emotività, la moderazione, la dolcezza, l’eleganza.

Monitor 3SC di Gpf & A (Sistema di Correnti Socioculturali e Scenari di Cambiamento)


Questa ricerca è stata condotta per conto di una cinquantina di committenti, grandi imprese pubbliche e private,
a partire dal 1977 a intervalli di 18 mesi, sottoponendo a intervista circa 5000 persone formanti un campione
rappresentativo della popolazione italiana.
Il materiale teorico su cui si fonda l’analisi deriva direttamente dalla ricerca 3SC originale creata dal francese
Alain de Vulpian nel 1972. La parte di questionario utilizzata per la rilevazione successiva consiste in una
batteria di item, circa 170, riguardanti aspetti e fenomeni rilevanti per spiegare la dinamica del mutamento
sociale, e indaganti soprattutto i valori e gli atteggiamenti degli italiani per quanto riguarda una serie di aree
socialmente considerevoli. Gli item vengono raggruppati mediante una factor analisys in 31 scale o correnti
socioculturali, andando poi a posizionarsi come base per le successive elaborazioni.

PRIVATO
Cultura edonistica, legata all’accettazione del rischio
e prospettive temporali di breve periodo, orientata al
soddisfacimento di bisogni individuali e alla continua
Cultura di stampo piccolo borghese, stratificata,
ricerca di stimoli e gratificazioni.
conformista, intollerante, orientata alla difesa di
Il consumo vissuto come strumento di piacere e
interessi particolari e al raggiungimento di traguardi
differenziazione del sé, è caratterizzato dalla precoce
materiali.
adozione e dalla rapida obsolescenza delle mode,
Il consumo vissuto come indicatore di prestigio sociale,
degli acquisti di impulso e da una forte valorizzazione
è caratterizzato dall’accettazione passiva di modelli di
dei benefit intangibili di marche e prodotti.
consumo etero diretti.

APERTURA
Cultura austera e do veristica, fondata sulla
condivisione dei valori più tradizionali: famiglia,
Cultura post-materialista, orientata alla realizzazione
religione. La diffusa ostilità al nuovo è speculare alla
del sé e caratterizzata dalla ricerca di autenticità e
nostalgia del passato e alla ricerca di certezze e di
progettualità, dal rifiuto delle convenzioni sociali,
radici.
dall’impegno etico, dalla sensibilità ambientale.
Tutte le forme di sollecitazione al consumo sono fonte
L’approccio al consumo, di tipo critico e selettivo, è
di ostilità e di diffidenza. Il risparmio è vissuto come
orientato all’autodirezione e al pragmatismo. Forte
valore. Il prezzo è la principale leva competitiva.
interesse riscuotono i benefit prestazionali e le
innovazioni di prodotto e di servizio.

BOX – Porsche: una storia di valore

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Senza un sistema di valori ben riconoscibile a tutti i livelli della gamma di prodotto, anche le attività che la
comunicazione e il marketing realizzano, perderebbero significato, mancando l’obiettivo di rafforzare l’identità
e posizionamento del marchio. A questo proposito, un momento fondamentale è quello dell’analisi delle
aspettative e atteggiamenti di chi si avvicina al marchio. Nel caso di Porsche, il valore del brand passa attraverso
tre elementi cardine: tradizione, razionalità e relazioni tra appassionati.
Nel caso della tradizione, ritroviamo il modello 911 che è sempre prodotta allo stesso modo, stesso design, ma
ovviamente con sorprese in termini di avanguardia tecnologica, performance. Costruire l’auto che non c’era è
ancora oggi l’obiettivo di ogni nuovo modello Porsche (dal nome dell’ideatore) che nasce per rispondere alle
esigenze del futuro, forte dei valori rappresentati dalla propria storia in quella che possiamo definire una
tradizione nell’innovazione riconoscibile in tutti gli elementi progettuali stilistici e produttivi dei prodotti.
Insieme al valore della tradizione, un altro fondamentale elemento che contraddistingue, in termini di significato,
il marchio Porsche è quello della razionalità. (auto da usare per ogni evenienza, dalle corse in pista all’andare ad
accompagnare i figli a scuola)
Il terzo elemento distintivo del marchio Porsche è senz’altro costituito dalle relazioni tra appassionati (rete di
comunicazione interna che esprime vitalità e capacità di rendere tangibili significati. Porsche opera anche in
ambito ambientale sostenendo progetti ecosostenibili.
Porsche, inoltre, lega la propria esperienza a quella del mondo della musica (il sound, il piacere dell’ascolto che
rimandano inevitabilmente all’unicità del rombo Porsche) ”Porsche Jazz Festival”, “Porsche Live”, ”Le notti” In
ambito letterario: “La brevità meravigliosa”. Riesce a coinvolgere anche i giovani creativi emergenti in
quest’ambito: “Tiro Rapido” (genere giallo/noir); “Giro Rapido” (il viaggio); “Volo Rapido” scrittura creativa
scrivere un romanzo, una traccia in 911 minuti (911 richiamo esplicito al modello Porsche).
Il valore aggiunto legato all’esperienza di possedere una Porsche, condividendone la passione con altri, diventa
anche elemento strategico per il mkt, che lavora costantemente per consolidare relazioni creando momenti di
aggregazione, rafforzando senso di appartenenza alla marca.
Il ruolo dei media è fondamentale: in Italia esiste un gruppo di giornalisti che possiede una Porsche. Attraverso i
media è stato possibile venire a conoscenza dell’impegno del brand per la realizzazione di prodotti con elevata
attenzione all’ambiente.
Un altro aspetto positivo giocato dai giornalisti possessori di Porsche, riguarda l’immagine stereotipata che vede
Porsche come prodotto elitario e riservato a pochi e facoltosi possessori.
I centri Porsche organizzano spesso eventi di aggregazione sociale, dove non sempre auto sono protagoniste,
così che anche chi non la può acquistare, può comunque avvicinarsi a filosofia azienda.

Da vedere: BOX pag. 325 – pag. 327 – pag. 339 – pag. 341

CAPITOLO 9 – Il consumo nell’infanzia e nell’adolescenza

Introduzione

Quando si parla di consumo il primo pensiero che viene in mente Ł l’azione di acquisto che coinvolge una
famiglia in prossimità di un centro commerciale. La famiglia è infatti l’attore principale dell’azione di consumo,
con un ruolo sempre più determinante da parte dei bambini e degli adolescenti.

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I bambini hanno una forte influenza nella scelta di prodotti e marche, nell’acquisto degli stessi,
nell’aggiornamento sulle tendenze del momento, qualità dei prodotti, e ciò sia per l’influenza della pubblicità
che dei pari. (es: uso del motorino, i giovani innescano il trend negli adulti). Oggi per si osserva una più flebile
parvenza di influenza da parte dei più giovani sui consumi degli adulti, prevalentemente indotta dalla tendenza al
giovanilismo degli adulti.
L’aspirazione a restare, o apparire, giovani rappresenta uno dei maggiori trend degli ultimi anni.
Sempre più i bambini vengono bombardati da messaggi pubblicitari di ogni sorta fin dalla nascita con l’unico
obiettivo di avere una fidelizzazione alla marca quanto più precoce possibile.
Negli USA il motto per promuovere la fedeltà al marchio è cradle to grave. I bambini vengono studiati a fondo
e vengono svolte su di loro varie iniziative, che non vengono accolte positivamente dalla maggior parte di
educatori, psicologi e da tutti colori che si dedicano alla tutela dei più piccoli.
Da un lato infatti si sostiene che il processo di commercializzazione dell’infanzia sia inevitabile; dall’altro si
sottolinea invece che è necessario porre un freno a questo processo. Nonostante ci sia un premio per la migliore
e più efficace pubblicità destinata ai bambini, sono iniziative che non vengono accolte positivamente dagli
educatori, per questa ‘commercializzazione dell’infanzia’ che in una società consumistica in cui viviamo è anche
comprensibile, ma gli educatori sono preoccupati per la debolezza dei bambini di fronte alle strategie di
marketing come la persuasione.
Ci che preoccupa chi si oppone a questo è la debolezza dei bambini di fronte alla macchina poderosa del mkt.
Occorre precisare che l’idea che il bambino possa essere influenzato dalle sofisticate azioni di marketing è in
parte giustificata dall’accezione negativa che si attribuisce al termine consumo. Il consumo promette infatti
magie attraverso prodotti che sono quasi come bacchette magiche. La facilità a confondere realtà e fantasia trova
per il bambino alimento e conferma nel consumo e nelle sue modalità comunicative, rendendo meno agevole
transitare verso un mondo adulto.
Il ruolo del consumo: non è più né semplicemente un atto razionale del consumatore per la soddisfazione dei
propri bisogni, né come un agire simbolico per determinare l’appartenenza a una determinata categoria sociale.
Bisogna invece tener presente la valenza comunicativa che ha assunto, rivolta prima a se stessi e poi al mondo
delle relazioni sociali. Per questo anche l’atto di consumo che potrebbe sembrare più istintivo e irrazionale
diventa un atto dotato di significato e quindi la pubblicità diventa uno strumento per la costruzione di senso
anche nell’infanzia; diventa un’enciclopedia di senso di facile accesso che genera un linguaggio e ha quindi un
ruolo nell’etichettatura sociale delle merci e delle marche che gli stessi consumatori inizieranno a consumare.
La pubblicità è un genere narrativo particolarmente adatto alla fruizione da parte dei bambini: breve, dinamica,
colorata, coinvolgente, musicale e quindi anche piacevole per loro. I prodotti pubblicizzati diventano un
elemento di integrazione nel gruppo dei pari, il consumo è un passaggio obbligato per l’integrazione nel gruppo
dei compagni e per i giochi. Il sogno del consumo è magico, gratifica, concilia gli opposti.

Il consumo nell’infanzia e nell’adolescenza

Il consumismo nei giovani si è accentuato molto e soprattutto da un’età sempre più bassa, quindi i bambini e gli
adolescenti sono diventati un target importante sia per il loro effetto trainante nelle decisioni dell’intera famiglia
sia per la loro effettiva capacità di acquisto: un nuovo attore economico da fidelizzare. Essi sono infatti oggi
un’importante fonte di profitto e indiscussi attori persuasivi nei confronti delle decisioni familiari.
Essi apprendono, si formano e interagiscono con i loro coetanei in un mondo dominato dalle leggi del mercato,
circondati da merci facilmente acquistabili e capaci di fornire una gratificazione immediata.
I bambini trascorrendo la maggior parte del tempo libero davanti alla tv, conoscono perfettamente i prodotti in
commercio e le loro marche. Rischiano di essere troppo coinvolti in questo consumismo e di acquisirne i valori;
passando la maggior parte del tempo davanti la tv con messaggi pubblicitari o nei centri commerciali conoscono

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perfettamente e sanno riconoscere le marche (prima di ancora di saper scrivere). Oltre a far spendere i soldi ai
genitori, i bambini diventano essi stessi protagonisti delle ricerche di marketing, sia come soggetti privilegiati di
analisi, sia agendo da stretti collaboratori delle aziende di ricerca di mercato e agenzie pubblicitarie. Questi
ultimi sono teenager consulenti (trendspotters) che tengono costantemente informate le imprese sui principali
trend che investono la loro cultura di consumo, fungendo spesso anche da epicentro per iniziative di viral
marketing verso i loro compagni. Diventano oggetto degli studi di marketing, con i loro stili di vita e i consumi
mutevoli spesso agendo da collaboratori per le aziende.
Negli Stati Uniti a partire dagli anni ’80 si è sviluppato un filone di ricerca ‘etnografica’ che raccoglie dati sui
comportamenti dei bambini da parte di addetti al marketing e ricercatori, studiandoli da vicino in ogni momento
della loro giornata per capirne gusti, desideri, mode; nei suoi spazi privati il bambino potrà comportarsi più
naturalmente per cui si raccolgono informazioni più profonde, tanto da stringere con lui un rapporto di fiducia e
ad utilizzare queste info per lo sviluppo dei nuovi prodotti o per campagne pubblicitarie. Tale filone di ricerca
mira dunque alla raccolta di dati relativi ai comportamenti dei bambini nei confronti di una certa categoria
merceologica attraverso tecniche di analisi sul campo.
Le aziende investono tanto in termini di comunicazione per bambini, investendoli del ruolo di consumatori, con
pubblicità suggestive che arrivano a casa quando il bambino è davanti la tv nel suo ambiente tranquillo,
familiare, al pc, mentre passeggia o addirittura a scuola (soprattutto negli USA c’è una commercializzazione
della scuola: sponsorizzazione da parte di grandi aziende soprattutto del settore alimentare di libri e strutture
scolastiche. Es: Coca-Cola sponsorizza un intero istituto, McDonald’s: fa lavorare gli insegnanti per qualke sera
nei propri ristoranti per attirare i ragazzini delle scuole, opp a Milano McD. Offre buoni pasto e gadget
brandizzati)
Sono a questo punto comprensibili le motivazioni che spingono la nota economista e sociologa Schor a
etichettare tale fenomeno come mercificazione dell’infanzia (bambini sottoposti alle leggi del mercato,
costantemente raggiunti da pubblicità, anche a scuola). Fin dalla nascita si cerca quindi di far socializzare i
bambini ai consumi in quanto sono considerati dal mercato e dalla pubblicità:
• Consumatori Immediati: Il bambino è il consumatore ideale perché ingenuo a cui si può vendere
qualsiasi cosa; i bambini oggi fanno acquisti da soli senza la supervisione dei genitori scegliendo i
prodotti pubblicizzati che più preferiscono (merendine, caramelle, snack) e i genitori cercano di placare
il loro senso di colpa per il poco tempo dedicato a loro aumentando la paghetta settimanale.
✳ Mediatori dei consumi degli adulti: sono uno strumento per le aziende per il loro grande potere di
influenzare i genitori, e questo aiuta le aziende a dirigere i consumi e gli acquisti delle famiglie. Quindi
diventano il bersaglio anche dei prodotti per adulti, a volte sono gli stessi adulti disinformati che
chiedono consigli e suggerimenti ai loro figli. La tecnica messa in atto dai bambini verso i genitori viene
definita ‘pester power’ (o nag factor) ovvero il potere di assillare per le richieste non appagate che
potrebbe compromettere il rapporto con i genitori che vogliono vederlo felice.
✳ Futuri consumatori: le aziende da subito cercano di fidelizzare il consumatore creando un atteggiamento
positivo nei confronti della marca così da condizionare le scelte d’acquisto future. Bambini consumatori
di domani.
Il bambino, protagonista dei consumi propri e altrui e dei messaggi pubblicitari, cresce e diventa un vero e
proprio soggetto economico in grado di produrre profitto per le aziende. La letteratura in materia di sociologia
della comunicazione e dei consumi considera il rapporto fra bambino e mercato non definibile in termini di
influenza unilineare da parte del mercato sulle scelte del bambino.
Secondo la scuola di Francoforte, il bambino non ha nessun potere in quanto è sottomesso dagli interessi delle
imprese, e c’è un rapporto di passività in quanto l’attore economico non è libero di agire. Al contrario, il
bambino non è passivo e decodifica attivamente il messaggio dei media, in particolare della pubblicità, i bambini
riescono ad analizzare la struttura narrativa e a caprine la natura persuasiva. I bambini crescono più velocemente,
manifestano esigenze simili a quelle degli adulti e sono più smaliziati ormai verso ciò che li circonda e verso il

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marketing. Ciò non significa che riescano a decodificare i messaggi pubblicitari e a opporvi resistenza
(soprattutto i più piccoli) ma che al contrario sono molto più sensibili a queste forme di suggestione. Nonostante
queste diverse visioni del rapporto bambino e consumo, non si può realmente considerare che il bambino è un
soggetto indipendente dai mezzi di comunicazione di massa: gli spot televisivi sono sì considerati come uno
spettacolo ma invogliano anche al desiderio e al possesso (quindi all’acquisto da parte dei genitori) senza avere
coscienza del significato di quella scelta.
A questo proposito, lo studioso Linn (2005) sottolinea che il marketing confonde o finge di confondere i segni
esteriori della consapevolezza con quelli della maturità. Il fatto che i bambini, anche quelli più piccoli,
richiedano o riconoscano le marche non significa che siano smaliziati nei confronti nel mkt, ma che i bambini
molto piccoli sono estremamente sensibili a queste forme di suggestione.

BOX – Case History: Tim Tribù

La strategia di Tim nasce nel 2005 un momento in cui l’azienda è leader di mercato ma c’è voglia di rinnovarsi,
cambiare, usare nuovi mezzi di comunicazione e differenziarsi dalla concorrenza.
L’obiettivo di TIM era quello di proporsi in maniera diversa sul mercato, aggregando un’ampia il segmento dei
più giovani. Ci si concentra su target 14-24 anni.
Per la prima volta non si analizzano più solo i dati (n. chiamate, n. sms, orari chiamate ecc), ma si fanno analisi
psicosociali, si analizzano gli stili di vita, interessi motivazioni, aspirazioni, bisogni che poi vanno integrati con
dati come sesso, et, provenienza geografica. La forte spinta data dall’innovazione tecnologica, insieme a un
costante cambiamento della società e del modo di vivere le relazioni interpersonali, aveva permesso al mondo
delle community di prendere piede in modo consistente.
A livello strategico e quindi come modo per rinnovare le strategie di marketing a lungo termine viene pensata
l’idea della Tim Tribù (non solo un nuovo piano tariffario quindi).
Tim crea un fenomeno sociale basato su concetto di comunità, con immagine giovane e divertente. La strategia
di Tim Tribù si articola su fronti diversi:
• Dal punto di vista economico, un’offerta chiara, semplice e vantaggiosa;
• Forte enfasi su tecnologie per creare gruppo;
• Eventi e operazioni di co-marketing con gadget e package differenziato (Tim Tribù e non Tim).
Altro aspetto importante unione con Mtv, possibilità di scaricare contenuti gratis, blog, chat e sponsorizzazioni
di eventi attraverso il cinema. La TIM essendo entrata per prima sul mercato aveva un numero di utenti e una
community più grande degli altri operatori entrati nel mercato per target o con tariffe diverse (Vodafone si
differenzia perché orientata ad un target più giovane; Wind per i suoi prezzi bassi). Anche Tim decide di
rivolgersi in particolar modo ai più giovani con una maggiore conoscenze dei nuovi mezzi di comunicazione e le
nuove tecnologie, l’immagine dell’azienda era troppo lontana dal nuovo target che si voleva colpire. Il nuovo
target a cui voleva indirizzarsi era però cambiato negli anni, andava studiato, capito; un target esperto, curioso e
attento alle relazioni interpersonali, alle community, da qui l’idea di un gruppo di amici, una comunità di amici
globale che Tim definisce con il concetto di Tribù per creare appartenenza a quel gruppo. Anche la
comunicazione di Tim cambia, il linguaggio più vicino ai giovani, diversi co-marketing, azioni virali, mezzi ATL
e BTL, partnership con Mtv, cinema e sponsorizzazioni di eventi per lancio di nuovi film: il concetto era
semplice diventare indispensabili per ogni utente giovane che volesse sentirsi parte di quella tribù e non escluso
da agevolazioni, partecipazioni a giochi e premi. Si differenzia dalla concorrenza non con una guerra tariffaria,
semplicemente essendo più vicina centrata ai bisogni del target generando awareness fino a diventare un nuovo
fenomeno sociale.

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Le fasi di sviluppo del bambino e la socializzazione al consumo

Per comprendere il processo di sviluppo cognitivo del bambino, è possibile riferirsi a una delle teorie più note
sullo sviluppo infantile, ovvero la teoria di J. Piaget, che individua quattro stadi dell’attività cognitiva del
bambino. Le fasi evolutive di cui parla Piaget sono:
1. La fase sensomotoria (fino ai 2 anni)
2. La fase preoperazionale (dai 2 ai 7 anni)
3. La fase operazionale concreta (dai 7 ai 12 anni)
4. La fase operazionale formale (dai 12 anni)

(1) Nella prima fase sensomotoria, il bambino utilizza un approccio multi - sensoriale e le sue abilità motorie per
capire ciò che lo circonda, è aperto e sensibile ad ogni stimolo sensoriale e risponde con comportamenti fissi che
seguono uno schema semplice stimolo-risposta. (solo nella seconda fase iniziano a svilupparsi le capacità
cognitive).
(2) Nella fase preoperazionale, il bambino inizia ad avere un’idea del mondo, l’attività cognitiva è basata su un
pensiero simbolico; si sviluppano le capacità linguistiche e la capacità di pensare in modo più organizzato
attraverso gesti, simboli, immagini. Il suo pensiero è però ancora intuitivo e legato solo a ciò che vede attorno a
lui. Il gioco è simbolico, reinventa l’uso degli oggetti, il bambino è ancora egocentrico, esiste solo il suo punto di
vista.
(3) Nella fase operazionale-concreta, l’attività diventa più complessa, sviluppa ragionamenti sempre più
flessibili, strutture logiche per compiere operazioni mentali e ottenere informazioni sugli oggetti. Decentra
l’attenzione, è attento a più messaggi provenienti da fonti diverse contemporaneamente.
(4) Nella fase operazionale-formale, si sviluppa la capacità di pensiero astratto/ipotetico, si raggiunge il
completo sviluppo delle abilità cognitive e un ragionamento più articolato. Si sviluppano un pensiero di tipo
astratto e un ragionamento più articolato e organizzato che permette di eseguire operazioni mentali non più solo
legate alla realtà circostante e agli oggetti concreti, ma anche ad affermazioni verbali o logiche e concetti.

Secondo questa teoria la vulnerabilità e la suggestionabilità del bambino alle sollecitazioni del marketing e della
comunicazione mediatica risultano molto spiccate fino ai 7 anni di et circa, dal momento che la sua concezione
del mondo passa soprattutto attraverso l’esperienza multisensoriale ed emotiva piuttosto che attraverso i canali
intellettivo - cognitivi. In questa fase perciò sono più indifesi e non riescono a prenderne le distanze, è in questa
fase che il ruolo dei genitori e della scuola sono determinanti per lo sviluppo delle sue capacità critiche e del suo
ruolo di soggetto economico.
In questo panorama si ritiene che approfondire il rapporto tra infanzia, comunicazione e consumo significhi
soprattutto studiare un corpus di atteggiamenti, valori e competenze che, al contrario dell’adulto, è ancora in via
di ristrutturazione
A tal fine la prospettiva più adeguata per studiare il fenomeno risulta essere quella della consumer socialization,
vale a dire quel sistema di ricerche appartenente alla matrice del consumer behaviour che indaga il processo
mediante il quale bambini e adolescenti apprendono il loro ruolo di consumatori. La socializzazione ai consumi
è stata infatti definita da Ward (1974) come il processo attraverso il quale i giovani acquisiscono competenze,
conoscenze e atteggiamenti rilevanti per il loro futuro ruolo di consumatori nel mercato.
Si tratta di un processo che ha il suo avvio nei primi mesi di et del bambino e si estende sino all’adolescenza,
anche se è opportuno riconoscere un ruolo importante alla socializzazione anche in et adulta; in questo caso si
può parlare di socializzazione inversa o retroattiva secondo cui sono i più giovani a socializzare al consumo gli
adulti.
I principali filoni di ricerca sulla consumer socialization non si sono limitati a studiare soltanto gli output del
processo di socializzazione, ma si sono rivolti anche ad analizzare i complessi meccanismi cognitivi che lo

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caratterizzano in quanto vero e proprio processo di apprendimento sul consumo. Viene studiato anche e
soprattutto il ruolo dei media nella costruzione dell’immaginario culturale.
Si può parlare anche di socializzazione inversa, sono i giovani a socializzare al consumo gli adulti.
Nella socializzazione ai consumi esistono dei fattori che vanno a costruire il futuro ruolo di consumatore del
bambino:
• Costruzione di un sistema di credenze sul mercato e suoi operatori;
• Acquisizione conoscenze strutturali sui prodotti e conoscenze simboliche su marche;
• Costruzione schemi cognitivi sul processo di acquisto;
• Apprendimento dell’insieme di competenze per agire nel mercato come agente economico;
• Sviluppo competenze decisionali sul consumo;
• Apprendimento strategie per influenzare acquisti familiari;
• Sviluppo valori e motivazioni di consumo;
• Acquisizione conoscenze su pubblicità e meccanismi della persuasione.

I principali filoni di ricerca sulla consumer socialization, non si sono limitati a studiare solo gli output del
processo di socializzazione, ma si sono rivolti anche ad analizzare i complessi meccanismi cognitivi che lo
caratterizzano in quanto vero e proprio processo di apprendimento sul consumo, approfondendo inoltre il ruolo
di tutti gli attori sociali che esercitano un’influenza su di esso (come le agenzie di socializzazione). Tra questi
attori notiamo la presenza della comunicazione di marketing, questa influenza il bambino non solo con
comunicazione e pubblicità ma anche con gli stessi prodotti con cui interagisce per fargli già sperimentare il suo
ruolo di consumatore, e con luoghi di consumo che facilitano l’apprendimento dell’atteggiamento di acquisto. Il
ruolo dei media e in particolare della pubblicità influisce anche nella cultura e nella trasmissione di valori e
modelli di vita, con un’attenzione anche allo sviluppo poi di valori materialistici.

Le fasi del processo di socializzazione ai consumi

Il processo di socializzazione ai consumi può essere rappresentato attraverso uno schema input-output dove ai
due estremi troviamo le agenzie di socializzazione e gli esiti del processo. Nella sua semplicità, il modello è in
grado di tener conto della complessità cognitiva del soggetto, in quanto considera il suo livello di sviluppo
cognitivo, le sue competenze relazionali e gli stili di apprendimento che possono essere messi in atto negli
specifici contesti di apprendimento.

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L’importanza del modello risiede nel considerare eventuali agenti esterni che possono frapporsi tra l’agenzia di
socializzazione e il soggetto influenzando l’esito del processo; questi agenti esterni possono essere: iniziative di
educazione ai consumi, da tentativi dei genitori di filtrare gli stimoli del marketing a cui sono esposti i figli e da
strategie aziendali con l’uso di insider o trendspotter.
La socializzazione ai consumi può essere descritta come un processo che si alternano fasi diverse, caratterizzate
dalla manifestazione progressiva delle dimensioni sottostanti ai comportamenti di consumo:
1. Capacità di provare desideri e preferenze;
2. La volontà di ottenere un mezzo per soddisfarli;
3. l’opportunità di compiere delle scelte d’acquisto;
4. La possibilità di valutare il prodotto e le sue alternative.
La prima dimensione si manifesta nei primi mesi di vita, il comportamento infantile non è ancora consapevole, i
desideri e le preferenze provocano solo reazioni. I comportamenti invece orientati a uno scopo emergono intorno
ai 2 anni di età quando i bambini iniziano a chiedere ai genitori di acquistare dei prodotti per soddisfare i loro
desideri. Invece nei prima anni di scuola elementare emerge l’opportunità di compiere scelte d’acquisto, è il
momento in cui i bambini iniziano a sperimentare soli o con i coetanei le prime scelte autonome di consumo.
Solo nell’adolescenza poi c’è la coscienza critica verso i prodotti e le scelte, il consumo è la fase finale di una
serie di scelte e valutazioni tra diverse alternative.
Un quadro ancora più completo del processo di socializzazione è quello fornito da Roedder (1999), il quale
suddivide l’iter di socializzazione in 3 stadi di sviluppo:
1. Il perceptual stage (3 – 7 anni): i bambini hanno già familiarità con la marca con la spesa ma è
ancora una prima comprensione, le conoscenze di consumo sono elementari si basano su
caratteristiche fisiche o sensoriali die beni fano riferimento a una singola caratteristica.
2. L’analytical stage (7 – 11 anni): le esperienze di acquisto e consumo si strutturano in modo più
complesso, in base alla performance e alle caratteristiche funzionali, ci sono più strategie
decisionali, valutazioni, ipotesi e pensieri complessi. In questa fase aumenta anche la complessità
dei processi decisionali.
3. Il reflective stage (11 – 16 anni): segna il passaggio all’adolescenza si sposta sull’azione di consumo
come un modo per esprimere se stessi e la propria identità, per essere accettati in un gruppo e per
comunicare.

Il riconoscimento delle marche

Dai dati di ricerca i bambini imparano a riconoscere le marche e i prodotti ancora prima di imparare a leggere.
Già dai 2-3 anni di età. A 3 anni i bambini sono in grado di effettuare una suddivisione logica delle diverse
famiglie di prodotti sulla base di attributi dominanti sotto l’aspetto visivo. All’età di 7-8 anni cominciano a
raggruppare i prodotti in base ad attributi che suggeriscono funzioni di uso e occasioni di consumo.
Lo sviluppo di conoscenze relative al mondo di marche e prodotti comprende anche la comprensione delle
funzioni del packaging. I bambini riescono a riconoscere le marche ancora prima di saper leggere, riconoscono
nei punti vendita i diversi packaging di diversi prodotti o sanno richiamare quei brand che hanno visto
continuamente in tv soprattutto se associati a forti colori, figure e forme o personaggi. Verso l’età scolare i
bambini non solo sono in grado di riconoscerne le caratteristiche visive ma ne riconoscono anche le
caratteristiche principali e pian piano iniziano a catalogarli in base alle funzioni d’uso. La comprensione delle
marche dipende anche dal ruolo e dalla comprensione delle funzioni del packaging. Nei primi anni c’è scarso
interesse verso la scatola ed è quasi un ostacolo al prodotto, anche perché sono gli stessi genitori a scartare il
prodotto e a mettere via la confezione. Già verso i 6 anni i bambini iniziano a vedere nel packaging un modo per
riconoscere e differenziare i prodotti, c’è più interesse per le confezioni colorate, brillanti con disegni. La fase

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successiva è poi iniziare a leggere le info riportate sul packaging cercando però promozioni, sconti e premi in
particolar modo. La conoscenza reale della marca si sviluppa in età scolare, più che altro si riconosce il suo
significato simbolico e lo status associato a certe marche anche in vista di un riconoscimento sociale nel gruppo
dei pari e a giudizi e opinioni sugli altri in base alle marche che utilizzano. L’attenzione per il packaging
aumenta ulteriormente durante l’adolescenza, quando questo comincia ad essere associato con la marca.
Per gli adolescenti certe marche non solo conferiscono status ai loro possessori, ma diventano centrali per
comunicare la propria identità personale e il senso di appartenenza a determinati gruppi o culture giovanili.

BOX – Nag Factor

Gli studi si occupano di questo perché è stato appurato che un terzo delle spese familiari Ł attribuibile alle
richieste dei bambini. I bambini hanno viste replicate le proprie risorse finanziarie per piccole spese, dolciumi,
giocattoli; questi sono i bambini che poi diventeranno i consumatori di domani per cui vale la pensa socializzarli
da subito al consumo, ma cosa più importante questi bambini hanno un grande potere di influenzare le scelte dei
genitori. Questo potere per guadagnarsi l’acquisto di un bene è conosciuto come nag factor (o pester power) è
un’azione di assillo continuo ai genitori per ottenere qualcosa sotto la spinta di pubblicità o gruppo dei pari. Si
può anche distinguere tra assillo persistente e assillo d’importanza: il primo fa riferimento al continuo richiedere
da parte del bambino che aumenta il volume della voce e diminuisce le pause tra una richiesta e un’altra, ritmo
incalzante fino alla resa dei genitori. L’assillo d’importanza invece più potente e subdolo è appreso dalla
pubblicità, le richieste sono sempre le stesse ma argomentate secondo la presunta importanza personale di
possedere quel bene facendo riferimento all’educazione, al tempo, alla felicità propria alla sicurezza personale,
argomentazione a cui un genitore non può resistere. Per capire il motivo o la nascita di questo nag factor bisogna
prima capire il rapporto tra genitori e figli e il modo in cui i bambini vivono la propria quotidianità, il ruolo dei
genitori, l’educazione data, il fatto stesso che si innesca nei bambini la convinzione che solo i genitori possano
darti ciò di cui hai bisogno e non bisogna chiedere ad altri come segno anche di buona educazione, è come se
queste richieste quindi fossero in un certo senso incentivate dagli stessi genitori. Le richieste sono più forti per
prodotti di marca.
Più complesso diventa comprendere le determinanti psicologiche e comportamentali che innescano o
incentivano il nag factor. Tali fattori vanno sicuramente cercati nelle famiglie, nelle relazioni con i genitori e
nella modalità tipica con cui il bambino vive la quotidianità. Secondo Mc Neal, alla base del nag factor si
nasconderebbe un’educazione di un certo tipo, attraverso l’ancoraggio da un lato al senso della proprietà e
dall’altro all’installare nei piccoli l’idea che debbano essere i genitori e solo loro a fornire al piccolo tutto ci di
cui ha bisogno.
Quando il nag factor diventa oggetto di ricerca sono due le tematiche più intriganti:
1) capire il contropotere dei genitori, ovvero come e se i genitori sono in grado di resistere e che tipo di
comportamento adottano di fronte agli attacchi dei loro figli;
2) capire l’oggetto dei desideri dei piccoli e come avviene, a livello cognitivo, la costruzione valoriale di simili
oggetti.

I luoghi di vendita

Nei punti vendita il bambino inizia a costruire i primi schemi cognitivi sul consumo grazie a degli stimoli esterni
e ambientali del punto vendita come prodotti, display, sistema di prezzi, personale di vendita, promozioni.
Apprendono così i comportamenti più idonei per agire in questi luoghi: interazione con personale di vendita, altri
consumatori, transazioni, modalità di utilizzare offerte e promozioni; ovviamente il genitore diventerà un

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modello di comportamento per i figli nell’esperienza di co-shopping o anche potrà porsi come una chiave
interpretativa. L’esposizione al processo d’acquisto non si traduce in una comprensione dello stesso, questa
compare con l’avanzare dell’età e con l’adolescenza, fino a quel momento i negozi vengono visti come luoghi
per appagare i propri desideri, in modo egocentrico quindi. Una comprensione più matura inizia quando iniziano
ad essere considerati importanti per l’approvvigionamento della famiglia, si comprende meglio anche il
significato di certe insegne e del modo di esposizione. I primi script (copioni) delle esperienze si basano su una
sequenza di azioni elementari, poi nel periodo successivo questi si trasformano in schemi più astratti e generali.
Quando nel bambino inizia a svilupparsi il pensiero ipotetico riuscirà anche a prevedere certi eventi che possono
presentarsi in determinate situazioni così da fissare dei veri e propri piani nella propria mente e organizzarle in
metapiani e schemi complessi.

La conoscenza e l’uso del denaro

Fino all’adolescenza vengono dedicate relativamente scarse attenzioni ai prezzi. Durante la prima e la seconda
infanzia i prezzi vengono ricondotti alle caratteristiche fisiche dei prodotti: un oggetto costa di più perché è più
grande o pesa di più.
La consapevolezza che il prezzo di un oggetto possa essere legato alla quantità di lavoro necessaria per produrlo
comincia ad emergere intorno agli 8 - 10 anni, mentre soltanto verso i 13 anni il prezzo viene collegato alla
qualità dei fattori produttivi e alla soddisfazione delle preferenze dei potenziali consumatori.
Nel caso del rapporto tra bambini e denaro, la letteratura evidenzia come l’esperienza diretta e i processi di
socializzazione degli individui conducono a una percezione del denaro caratteristica. Nei bambini è documentata
una visione maggiormente funzionale del denaro e le monete sono associate al loro essere strumento di acquisto
in mancanza di una chiara corrispondenza di valore.
In una ricerca di Bustreo et al che ha avuto come obiettivo quello di esplorare i fattori predominanti nel
comportamento individuale di fronte al denaro, si è cercato di fare una comparazione tra la percezione propria
dei bambini in confronto con quella degli adulti. È stato quindi osservato che al concetto di denaro, i bambini
associano con maggiore frequenza le categorie semantiche di bisogno, valore e desiderio.
Il denaro appare così:
• Come strumento funzionale necessario per comprare quanto desiderato, principalmente beni
necessari e accessori;
• Come espressione dei valori presenti nella loro vita quotidiana;
• Come mezzo di differenziazione sociale.
Sono presenti riferimenti espliciti ai significati simbolici del denaro: indipendenza, responsabilità, autonomia,
colpa, controllo, relazione e conflitto. Si è inoltre dimostrato come l’atteggiamento verso il denaro sia
strettamente correlato al contesto familiare, al processo di socializzazione e allo sviluppo individuale.
Per acquisire competenze d’acquisto è anche importante conoscere i prezzi e valutare la convenienza.
Nell’infanzia i prezzi vengono associati alle caratteristiche fisiche dei prodotti, un oggetto costa di più perché è
più grande o più pesante, solo con l’età poi capiscono che il prezzo può dipendere dalla quantità di lavoro
necessaria o ai fattori produttivi o alla realtà di marca; come la comparazione tra prezzi per valutarne la
convenienza iniziano a manifestarsi quando iniziano a prendere parte alle decisioni d’acquisto familiari o quando
hanno a disposizione somme di denaro per potersi gestire autonomamente.
L’atteggiamento nei confronti del denaro, del suo universo simbolico, come del suo utilizzo, cambia durante lo
sviluppo individuale, dall’infanzia fino all’età adulta e matura, passando da una predominanza funzionale a una
complessa dinamica relazionale e metaforica. Tale processo sembra essere influenzato da diversi fattori, tra cui
l’educazione familiare, le esperienze sociali, il contesto, i differenti ruoli professionali agiti e i modelli socio-
economici assunti come riferimento.

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La conoscenza della pubblicità e dei meccanismi della persuasione

Nella società postmoderna assistiamo a una perdita di valore di famiglia, scuola e istituzioni che ha visto
crescere il ruolo dei media e della televisione come guida a modelli e stili di vita, soprattutto per il tempo che i
bambini trascorrono davanti la tv. I dati di ricerca confermano che bambini ed adolescenti trascorrono la maggior
parte del tempo libero guardando programmi televisivi.
La tv scandisce i momenti di una giornata dei bambini, prima o dopo la scuola soli, in famiglia con amici, anche
se trascorrono la maggior parte del tempo soli davanti la tv come passatempo il pomeriggio. Si può affermare
che i bambini italiani ed europei in generale guardano troppo la televisione, che viene percepita da una parte
come fonte di divertimento, di piacere e di possibilità di evasione e dall’altra come fonte di conoscenza e di
informazioni attraverso cui capire e conoscere il mondo.
La fruizione dipende dall’età e quindi dalla comprensione dei programmi e dall’interesse, dalla stagione, il
livello culturale della famiglia in grado di offrire anche delle alternative durante la giornata. I bambini oggi
guardano troppa tv, come fonte di divertimenti, di evasione e di conoscenza e informazione grazie ad un
linguaggio semplice e immediato dove prevalgono le immagini.
Secondo Francois Mariet (1992), tre sono gli stili di consumo televisivo a cui corrispondono tre diversi livelli
della qualità di ascolto:
• Tv-passione, l’attenzione è massima;
• Tv-tappezzeria, la tv fa da sottofondo mentre il bambino svolge un’altra attività e non è molto
attento;
• Tv-tappabuchi, guardano la tv quando non hanno niente da fare o per passatempo però
accetterebbero volentieri proposte alternative.
Oggi siamo davanti a una tv più generalista con meno contenuti per ragazzi e bambini che spesso sono costretti
a guardare film, programmi pesati per tutti. Al contrario della tv invece nella pubblicità i bambini appaiono
sempre più o come testimonial di prodotti destinati ad un pubblico giovane o adulto, o come destinatari di questi
messaggi. È nei momenti in cui i bambini sono davanti alla tv e in cui magari sono attenti a fruire programmi
adatti a loro come cartoni o telefilm (orari pomeridiani) che la pubblicità li bombarda di più, pubblicità in cui i
bambini però sono specifici destinatari.

Il riconoscimento della pubblicità

Uno degli aspetti da considerare nel rapporto tra bambini e pubblicità è il grado di fiducia e credibilità ad essa
attribuita in relazione all’età dei bambini. Ad 8 anni i bambini hanno molta fiducia, sono convinti che la
pubblicità dica cose vere, che dia ottimi consigli; con l’aumentare dell’età diminuisce questa credibilità. Iniziano
a riconoscere la pubblicità intorno ai 5 anni e vengono distinti per la loro breve durata; riconoscerla non significa
capirne la natura commerciale anzi vengono percepiti come una forma di intrattenimento o di informazione sui
prodotti senza alcuno scopo, non essendo in grado di capirli non sono neanche in grado di difendersi. I bambini
sono soggetti fragili, sensibili, sprovveduti e vulnerabili dal punto di vista psicologico perché non hanno capacità
e abilità mentali sviluppate. Al crescere dell’et nel bambino si sviluppano le abilità cognitive che gli permettono
di prestare maggior attenzione alle informazioni contenute nel messaggio, di memorizzare ci che vede, di
elaborare e interpretare le informazioni e infine di comprendere a pieno il contenuto, la natura e lo scopo della
pubblicità.
I bambini non sono passivi davanti la tv in quanto c’è bisogno di uno sforzo di elaborazione e interpretazione
delle informazioni ma non tutti i contenuti sono facilmente decodificabili, questo può variare in base all’età e

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allo sviluppo cognitivo raggiunto: più sarà alto più il bambino riuscirà a comprendere il contenuto e soprattutto
lo scopo della pubblicità.
Per poter essere efficace il messaggio pubblicitario deve essere compreso chiaramente e memorizzato riuscendo
a raggiungere l’obiettivo di modificare l’atteggiamento o il comportamento del bambino; la comprensione del
linguaggio televisivo è condizionata principalmente dall’età ma anche dal livello di alfabetizzazione e cultura,
dal contesto familiare e dal tempo trascorso davanti la tv.
Per capire le modalità di ricezione e comprensione dei messaggi pubblicitari possiamo basarci sulla teoria degli
stadi di sviluppo di Piaget. (1964) Secondo tale teoria, già nei primi mesi di vita i bambini sono già in grado di
rispondere agli stimoli televisivi, la sua attenzione è catturata da luci, suoni, colori e immagini, il bambino pensa
che ciò che vede accade veramente, che gli oggetti siano reali e che i personaggi parlino con lui. Tra i 2 e i 7
anni l’attenzione per gli spot cresce anche se hanno ancora difficoltà a capire gli intrecci e la differenza tra realtà
e finzione, difficoltà di distinguere personaggi umani e cartoni. Riconoscono la pubblicità per la sua brevità
inserita in altri programmi, per la funzione di divertire, per il jingle e solo verso i 7-8 anni anche la
memorizzazione degli slogan e si concentrano più selle info contenute. Dopo gli 8 anni il ricordo e la
comprensione aumentano e si concentrano sempre più sul contenuto e sulle caratteristiche del prodotto
presentato, distinguono la realtà dalla fantasia e la natura della pubblicità come genere televisivo, ed è a
quest’età che iniziano ad avere dubbi sulla veridicità dei messaggi pubblicitari. Fino ad arrivare all’adolescenza
in cui sono molto più coscienti dell’intento persuasivo e commerciale della pubblicità e iniziano ad avere un
atteggiamento più critico prendendone un po’ di più le distanze anche se i loro comportamenti d’acquisto sono
ancora condizionati dalla pubblicità e dal gruppo dei pari. La pubblicità per vendere prodotti si rivolge però a
quel pubblico di bambini più fragile e indifeso per le carenze cognitive che non può capire ancora le finalità del
messaggio e può essere ingannato; è importante informare ed educare i bambini sulla natura e gli scopi della
pubblicità sia in famiglia che a scuola.
L’attenzione è focalizzata sulle informazioni centrali del messaggio, ma anche sugli aspetti estetici e tecnici.
Secondo Robertson e Rossiter (1974) comprendere completamente la finalità persuasiva e commerciale degli
spot significa aver raggiunto le seguenti abilità:
• Essere capaci di distinguere la pubblicità dai programmi;
• Riconoscere l’esistenza di una fonte esterna da cui deriva il messaggio;
• Essere consapevoli che il messaggio è costruito e diretto ad un pubblico;
• Riconoscere la natura simbolica della pubblicità;
• Riconoscere il gap tra prodotto reale e prodotto presentato dallo spot.
La pubblicità costruita per vendere un prodotto, si rivolge però a un pubblico, quello dei bambini, che è indifeso
e fragile, che per le sue carenze cognitive non può capire l’obiettivo del messaggio e quindi è oggetto di costante
inganno. Ecco che diventa importante informare ed educare i bambini riguardo la natura e lo scopo della
comunicazione pubblicitaria, sia nel contesto familiare che scolastico.

L’attrazione della pubblicità

La pubblicità è un genere televisivo che attrae e interessa molto bambini e adolescenti per la sua forma estetica
e per un linguaggio vicino a loro, la apprezzano perché è vista come fonte di divertimento e di informazioni sulla
realtà diventando oggetto di discussione con i compagni. Lo spot si presenta come una storia breve a lieto fine
con un sottofondo musicale, protagonisti sorridenti in un clima familiare e sereno.
Per i bambini in età pascolare l’elemento centrale nell’elaborazione dei messaggi è dato dalla rilevanza
percettiva. Ecco le caratteristiche formali dello spot che attraggono i bambini suscitando in loro piacere e
gradimento:

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• Brevità spazio-temporale (utile per la concentrazione e l’attenzione dei bambini),
• Ripetitività: nell’arco di una giornata facilità l’ascolto e la memorizzazione, ai bambini piacciono le
cose ripetute danno senso di sicurezza e stabilità,
• Semplicità delle situazioni e immagini: le storie narrate sono chiuse con uno schema semplice con
inizio e fine e i problemi alla fine vengono sempre risolti;
• Semplicità verbo-iconica: linguaggio immediato e semplice, chiaro;
• Facile da memorizzare: la ripetizione, durata breve ritmo, musica, presenza di attori bambini, sono
in grado di ricordare per la natura standardizzata del testo pubblicitario;
• Rapidità delle azioni: situazione e inquadrature si susseguono l’una dopo l’altra con ritmo veloce e
dinamico che mantiene alta l’attenzione,
• Aspetti ludici, umoristici e paradossali sono spot divertenti, avventure emozionanti che coinvolgono
e fanno partecipare i bambini;
• Musica, personaggi sorridenti simpatici e rassicuranti sono definiti come comportamenti condivisi
a cui aspirare;
• Clima di serenità, amicizia, successo atmosfere allegre, problemi risolti, contesti familiari e calorosi.
Grazie a questi elementi lo spot entra nella mente creando un mondo, una realtà in cui il bambino può
indentificarsi, il bambino ha bisogno di modelli a cui aspirare perciò le pubblicità per minori sono piene di
situazioni e personaggi simili alla realtà in cui vivono i bambini, scene di vita quotidiana (il momento della
colazione) in modo che il bambino inizia a fare delle connessioni tra i due mondi identificandosi con i
protagonisti degli spot e a suscitare emozioni. Quando i protagonisti degli spot sono più grandi entra in gioco il
processo di emulazione, apprendono per imitazione per avere gli stessi benefici e ricompense, diventano modelli
da imitare. La pubblicità dice loro come essere felici e come realizzare i propri desideri con quei prodotti. I
bambini nelle diverse fasce d’età sono attratti da elementi e personaggi diversi: i bambini più piccoli da
immagini e cartoni, personaggi di fantasia, animali, quelli più grandi invece da figure adulte appartenenti al
mondo del cinema o dello sport (da imitare). Soprattutto il campo dei prodotti elementari si rivolge più ai
bambini che ai genitori per influenzare le scelte alimentare dei più piccoli, scelte in termini di conoscenza e
preferenza del cibo, e infatti la pubblicità ha una diretta influenza sulla scelta e sulle preferenze alimentari dei
bambini, da qui il rischio della promozione di prodotti junk food (cibo spazzatura ricco di grassi e zuccheri che
aumenta il rischio di obesità), in questo caso vendono sogni , stili di vita e comportamenti alimentari per cui si
associano elementi ludici e fantastici per coinvolgere emotivamente e associare il consumo a motivazioni più
profonde del semplice bisogno di sopravvivenza (non si acquista solo una merendina ma uno stile di vita);
soprattutto le pubblicità di junk food creano attorno al cibo simpatia e allegria trasformando il bisogno di
mangiare in gioco e divertimento (spesso associandolo a cartoni animati, testimonial, musiche) e sono molto più
pubblicizzati rispetto a cibi salutari come frutta e verdura, il junk food viene presentato come attraente e
desiderabile associato a immagini divertenti e a gadget e regali. Vedendo questi prodotti sullo schermo
costantemente i bambini li riterranno più importanti rispetto ad altri che non vengono pubblicizzati (gli spot per
gli adulti presentano il cibo in termini di salute, quelli per i bambini come divertimento, fantasia e gusto).
Nonostante questo ci sono azioni di marketing significative per promuovere uno stile alimentare nell’infanzia
più salutare per prevenire l’obesità ( = lancio di nuovi prodotti a base di frutta e verdura, Zuegg; o l’associazione
di Ferrero tra consumo di snack e merendine con l’importanza di svolgere attività sportive con testimonial dello
sport).

La pubblicità di prodotti alimentari rivolta ai bambini

I bambini trascorrono di fronte allo schermo televisivo molte ore del pomeriggio, in media tra le 2 e le 3 ore, e
quindi dedicano molto del loro tempo anche alla pubblicità. Secondo l’indagine “in bocca al lupo” che ha

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analizzato in due settimane distinte la fascia oraria tra le 16 e le 19 di 11 paesi, l’Italia è uno dei paesi con la
maggior quantità di pubblicità televisiva di prodotti alimentari. Su 1256 spot trasmessi, 971 Mediaset e 286 la
Rai.
La situazione in Europa è molto eterogenea: vi sono paesi con elevati livelli di spot alimentari, e altri con livelli
quasi irrisori. Differenze notevoli si possono rilevare anche tra le reti pubbliche dello stato che vengono
finanziate attraverso il canone e le reti private che invece si finanziano grazie agli introiti pubblicitari.
La Polonia è il paese con il più alto numero di spot trasmessi, 880 messaggi promozionali, mentre la Svezia è
quella che risulta averne molti di meno, solo 58 trasmessi. Questo è dovuto anche dal fatto che in Svezia sono
state emanate restrizioni e leggi più severe che regolano la pubblicità televisiva, con particolare attenzione a
quella diretta ai minori.
Quindi bambini e adolescenti europei sono soggetti a un bombardamento pubblicitario costante che attraverso
sofisticate tecniche persuasive li induce continuamente a mangiare qualcosa. I prodotti più pubblicizzati in
televisione durante il pomeriggio nell’orario di maggiore ascolto da parte dei bambini nel Regno uniti sono stati:
- 62% prodotti con elevati livelli di grasso
- 50% prodotti con elevati livelli di zucchero
- 61% prodotti con elevati livelli di sodio.
Oggi in Europa la situazione non è cambiata: la maggior parte dei prodotti pubblicizzati in tv è rappresentata da
snack, merendine, fast food, patatine e bibite zuccherate. Circa il 36% degli spot sono di cibi poco sani.

Le nuove strategie di rete per un marketing per l’infanzia: l’advergaming

Oltre alla pubblicità le aziende oggi hanno scoperto le potenzialità di internet, l’età in cui i bambini iniziano a
navigare in rete si abbassa sempre di più, è un mezzo innovativo e in espansione che non attrae solo il pubblico
adulto ma anche i più piccoli per il suo modo di comunicare e di interagire in modo dinamico; i bambini
giocano, si divertono e sono più attivi, devono decider e compiere azioni ci vuole più impegno; la rete è anche
considerata per questo più pericolosa perché può sfuggire al controllo dei genitori. Così le aziende alimentari
sfruttano la comunicazione online costruiscono i siti in forma di cartoon, colorati ricchi di giochi e gadget di
ogni tipo per raggiungere direttamente i bambini senza dover passare tra i genitori, inoltre il marketing online
può tenere l’attenzione e impiegare i bambini anche per più tempo coinvolgendoli e immergendoli totalmente nel
mondo della marca. La caratteristica di tutti i siti per bambini è l’advergaming (advertisement e videogame) per
definire la pubblicità sottoforma di videogioco, confonde gioco e pubblicità; alcuni siti di aziende di prodotti
alimentari come Nesquik Nestlè sono strutturati come dei videogiochi in cui il bambino può esplorare, divertirsi
e giocare con diverse attività che ruotano intorno al brand e al prodotto, i bambini si divertono con personaggi e
testimonial inconsapevoli di essere sottoposti continuamente a un bombardamento pubblicitario, instaurano con
la marca un rapporto amichevole e familiare (per loro è un videogioco, un passatempo e non una pubblicità, ma
non fa altro che creare fedeltà e atteggiamenti positivi verso un brand).
Tra i principali vantaggi che un’azienda può trarre dall’advertgaming vi sono:
• Creare un impegno e una relazione confidenziale con la marca;
• Attirare l’attenzione sul brand mediante il gioco e per un tempo prolungato;
• Essere uno strumento economico per fare pubblicità;
• Possibilità di monitorare l’audience: numero visitatori, tempo trascorso sul sito, visite ripetute;
• Possibilità di diventare il punto centrale per un piano integrato di comunicazione.

Advergame

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La maggior parte dei siti di aziende che decidono di investire in advergaming utilizza videogiochi online di
avventura e sport con musiche e all’interno del gioco possono comparire prodotti, packaging, testimonial, logo,
diventa un’esperienza di brand divertente aumentando il ricordo della marca anche in altre occasioni, in più c’è il
coinvolgimento diretto del bambino personalizzando e scegliendo i propri protagonisti, immedesimandosi e
superando diversi livelli come una sfida personale o una gara tra amici, in questo modo i bambini trascorreranno
con voglia molto tempo davanti al pc e a quel brand (es: Ovetto Kinder, Kinder Frutti in cui sostituire i volti dei
personaggi con foto proprie o della famiglia per renderlo ancora + intimo e personale; Mulino Bianco in forma
di cartoon dove vivono tutti i testimonial di ogni pubblicità e prodotto).

Internet come luogo di informazione per i bambini


Oltre a persuadere attraverso i colori, le immagini suggestive, la musica e il divertimento, internet nello stesso
tempo informa i consumatori. Mentre un messaggio pubblicitario in televisione fornisce poche informazioni
oggettive riguardo al prodotto, il sito web descrive invece in dettaglio le caratteristiche e gli ingredienti
dell’alimento, informa sull’azienda, sulla linea completa dei prodotti, sui gusti disponibili e sui punti di vendita.

Internet come luogo di educazione per i bambini


Oltre alle informazioni riguardanti il prodotto e l’azienda, alcuni siti web inseriscono una sezione dedicata a
materiali di tipo educativo per sviluppare le conoscenze dei bambini su argomenti come storia, scienze,
matematica, salute e sport. Fin qui sembrerebbe una iniziativa positiva, se non fosse che in realtà tali contenuti
vengono presentati dagli stessi testimonial dei prodotti, confondendo così i piani della pubblicità e
dell’educazione.

L’uso dei cartoni animati in internet


Sul web i bambini hanno la possibilità di rivedere gli spot delle merendine trasmetti in televisione ogni volta e
quante volte vogliono. In questo contesto la visione dello spot non è considerata in modo negativo come
interruzione sgradita dei programmi televisivi, ma come forma di intrattenimento. È una ulteriore occasione per
rinforzare il messaggio promozionale e per parlare delle caratteristiche positive del prodotto alimentare ai
bambini, ora più disponibili e attenti.

Le strategie di personalizzazione dell’esperienza on line del visitatore


Per rendere l’esperienza del bambino con la marca unica e memorabile bisogna personalizzarla, ad esempio
registrandosi sul sito, offre accesso a più contenuti e più giochi, promozioni mentre l’azienda così riesce ad
ottenere informazioni utili e dati personali; una volta registrato il bambino fa parte di una community, è come
vivere in un mondo parallelo in cui i bambini si sentono appartenere a quel gruppo del mondo della marca;
oppure si è soliti utilizzare sondaggi e questionari per chiedere preferenze e opinioni riguardo certi argomenti e
renderli + partecipi (su Magic Kinder i bambini possono votare e scegliere la sorpresa dell’anno così l’azienda
raccoglie info per accontentare al meglio i bambini con la scelta dei nuovi premi).

L’uso di gadget e contenuti extra


I siti delle aziende alimentari offrono una quantità di materiale brandizzato da scaricare o acquistare, estendendo
l’esperienza oltre il web diventando parte integrante della vita del bambino; i visitatori possono scaricare
screensaver, sfondi, suonerie, icone per il pc. Oppure è frequente distribuire gadget o attività ricreative incentrate
sul marchio che mantengono costante la presenza e l’esposizione al brand che giocheranno con questi oggetti nel
tempo libero restando continuamente esposti alla pubblicità. Un’altra modalità di estendere l’esperienza online
alla quotidianità incoraggiando a raccogliere punti, bollini per vincere premi e regali, per poter vincere però è

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necessario acquistare il prodotto e ciò incentiva l’acquisto ripetuto, la visita del sito e l’effettivo consumo di quel
prodotto aumentando la fedeltà di marca. Nei siti delle aziende si trovano anche spazi dedicati alle ricette o a
proposte di nuovi modi di usare quel prodotto per stimolarne l’acquisto (Nesquik Squeeze)

L’uso della rete per la comunicazione delle promozioni


Oltre alle informazioni e all’intrattenimento, il sito web illustra le promozioni in corso legate all’acquisto del
prodotto. Per promozioni si intendono i regali e i gadget in omaggio all’interno delle confezioni, i concorsi, i
coupon e i premi finalizzati a incoraggiare la prova del prodotto, l’acquisto di grandi quantità e gli acquisti
ripetuti. I siti hanno la possibilità di fornire maggiori informazioni sulle modalità, sulla scadenza e sul
regolamento delle offerte promozionali rispetto ad una pubblicità televisiva che ha un tempo limitato.

Presenza di “ad alert’’

Il rapporto della Kaiser family foundation ha segnalato la presenza in alcuni siti americani di un ad alert, ossia di
scritte che avvertono i bambini che quello che stanno guardando è pubblicità. Ma si tratta di casi molto rari.
L’advergaming rende le marche più familiari e amichevoli agli occhi dei bambini. Attraverso questi siti il
pubblico dei minori ha modo di conoscere meglio, prendere confidenza, fidelizzarsi e interagire con la marca
dalla quale poi sarà difficile separarsi.
L’obiettivo delle aziende è infatti far avvicinare il bambino al proprio mondo attraverso giochi e regali, così da
rafforzare la fedeltà e la consapevolezza di marca.
In alcuni siti americani esiste un ‘’ad alert’’ ossia scritte che avvertono i bambini che stanno guardando
pubblicità, ma sono casi rari (es. Mc Donald’s in America).

BOX – Giotto be-bè: lo svezzamento

Giotto Be-Bè è la nuova linea di prodotti Fila, dedicata al pubblico dei bambini a partire dai 2 anni di età. Giotto
Be-bè rappresenta un caso interessante sia per la peculiarità del pubblico a cui si rivolge, sia perle peculiarità del
pubblico a cui si rivolge, sia per l’innovativo approccio da parte della marca alla dimensione dei consumi rivolti
all’infanzia.
La linea è partita da una constatazione che sul mercato mancasse una serie di prodotti dedicata alla primissima
infanzia e orientata allo sviluppo delle capacità espressive e creative dei più piccoli.
Quello che è stato creato va oltre la realizzazione di una nuova linea di prodotti, ma si costituisce come un
approccio radicalmente innovativo rispetto alla dimensione del consumo nella prima infanzia, con un deciso
orientamento al valore della relazione con la marca e al legame simbolico con il brand.
La confezione del prodotto si offre come un elemento ludico utile a sviluppare le capacità spaziali e manuali del
bambino, tanto che da un lato il divertimento è nel colorare, disegnare e modellare un mondo di forme e colori
sempre diversi, dall’altro l’ulteriore gioco sta nel riporre i prodotti nella confezione componendo una tavolozza
o puzzle da completare.
L’idea di Giotto è comunicare attraverso i sensi e l’esperienza rendendo tangibile la presenza della marca e
costituendo una relazione con il bambino destinata a proseguire e consolidarsi nel tempo.
Tra gli elementi che costituiscono l’identità di Giotto, oltre il nome, anche un simbolo che è stato spesso citato
anche nei focus group che hanno coinvolto le mamme: l’immagine che vede Giotto, insieme a Cimabue,
impegnato nel disegno di una pecora nella roccia.

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Altro elemento fondamentale per Giotto è riconducibile alla puntuale pianificazione del marketing dal punto di
vista distributivo e dal posizionamento della nuova linea di prodotti. Giotto si propone come il primo approccio
allo sviluppo creativo-manuale dei bambini, con il linguaggio dei bambini.
Distribuzione nei punti vendita, importante partnership con Chicco. Inoltre, creazione di corner all’interno di
1500 studi pediatrici.
Il target principale è quello delle mamme a cui è stato presentato un prodotto non solo in grado di rispondere alle
loro esigenze in tema di sicurezza e praticità, ma anche in grado di coinvolgere il proprio bambino in
un’esperienza di gioco educativo tutto tondo.
Oltre alla tradizionale pubblicità, veicolata soprattutto su testate dedicate alla crescita del bambino, un altro
fondamentale strumento di comunicazione è derivato dalle attività di relazioni pubbliche e di ufficio stampa nei
confronti delle numerose riviste di moda e costume che hanno utilizzato i prodotti Giotto all’interno dei propri
articoli dedicati al tema dell’infanzia.

Vedi BOX: pag. 376 – 381 – 382 – 389

PARTE III - LE APPLICAZIONI DELLA PSICOLOGIA DEI CONSUMI

CAPITOLO 10 – IL CAMBIAMENTO DEGLI ATTEGGIAMENTI


Introduzione

L’obiettivo principale di chi si occupa di marketing e di comportamento dei consumatori è di modificare gli
atteggiamenti per fidelizzare un consumatore alla scelta di una marca o per indirizzarlo nella scelta di un nuovo
prodotto. Le modalità possono essere diverse per rendere più favorevoli gli atteggiamenti dei consumatori verso
un brand o un’azienda, come la scelta del packaging, di un bravo testimonial, la segnalazione di ingredienti
contenuti nei prodotti alimentari, l’impegno sociale delle aziende. In un contesto attuale sempre più saturo di
informazioni e suggerimenti è sempre più difficile riuscire a persuadere i consumatori e provare a cambiarne gli
atteggiamenti, riuscire ad attirare l’attenzione di un pubblico distratto ed esigente figuriamoci a cambiarne gli
atteggiamenti. È evidente come ormai non basta più solo presentare un prodotto e ripetere il messaggio perché
sia percepito e faccia effetto, il modo in cui elaboriamo le informazioni risponde al principio del massimo
risparmio energetico (economia dell’attenzione) rendendo ancora più difficile il compito di chi vuole attirare
l’attenzione. Generalmente le informazioni che vengono più recepite dai consumatori sono quelle attese che
concordano con gli stereotipi o con schemi già consolidati.

Il ruolo della persuasione

La prima cosa da dire è che si occupa di persuasione deve fare i conti con meccanismi psicologici a volte poco
razionali e standard; tra i fattori che rendono più efficace la persuasione ci sono:
✳ La reciprocità: le persone sono più propense a modificare i propri atteggiamenti se si sentono in dovere
verso qualcuno o qualcosa (il regalo ai consumatori prima di una vendita, effetto ‘piede nella porta’ per
far sentire il consumatore in dovere verso il venditore).

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✳ Il valore dell’autorità: l’importanza della fonte del messaggio e il suo grado di autorità in un tema (es:
CNN) ha effetto sui comportamenti degli ascoltatori.
✳ L’effetto della scarsità di prodotti o servizi: spinge i consumatori a modificare il proprio atteggiamento e
a considerare quel prodotto più gradevole o indispensabile.
✳ L’effetto piacevolezza della fonte: una fonte attraente raggiungerà ricompense positive, oppure un
processo di identificazione per godere delle stesse qualità di quel modello con cui ci si identifica.
A rendere ancora più complesso il lavoro del marketing è la consapevolezza che il messaggio percepito a volte
viene correttamente compreso e interpretato. Diverse ricerche hanno dimostrato che non sempre le intenzioni del
comunicatore sono adeguatamente colte e corrette, comprese dal proprio target di riferimento (soprattutto se
sono bambini dove la comunicazione spesso è molto adultocentrica, poco attenta alle specificità dei bambini).
Ciò si verifica anche nel processo di memorizzazione, non è sempre scontato che il prodotto oggetto del
messaggio e ciò che dovrebbe essere ricordato sia lineare e immediato.
Chi si occupa di persuasione deve quindi anche studiare il modo di rendere quella pubblicità memorizzabile oltre
che comprensibile, spesso accade di vedere pubblicità molto accattivanti ma difficilmente memorizzabili.
Affinché ci sia un cambiamento degli atteggiamenti, l’efficacia della comunicazione deve essere valutata sulla
base dei diversi parametri:
• Capacità di attirare l’attenzione;
• Possibilità di essere correttamente percepita;
• La forza che ha di dire informazioni comprensibili;
• Possibilità che il messaggio sia adeguatamente complesso e ricordato;
• Intrinseca capacità persuasiva
Molto importante anche il chi dice cosa a chi, ovvero:
• le caratteristiche della fonte;
• la natura del messaggio;
• le caratteristiche del ricevente

BOX – Differenze di genere e cambiamento degli atteggiamenti

Le neuroscienze stanno studiando le differenze funzionali fra cervello maschile e femminile. In particolare, sono
state evidenziate le influenze delle differenze di genere su numerose aree cerebrali come l’ippocampo,
l’amigdala, processi cognitivi come la memoria, l’elaborazione di stimoli visivi e acustici, i circuiti delle
emozioni ecc.
Studio sulle differenze di genere, le differenze funzionali tra il cervello dell’uomo e quello delle donne. In
particolare, le differenze durante il processo d’acquisto, le emozioni sono decisive talvolta nell’acquistare un
certo bene, uomini e donne sembrano diversi di fronte a uno stimolo emotivo intenso, le donne ricordano in
modo particolare gli stimoli emotivi quando viene attivata di più l’amigdala sinistra, per gli uomini avviene il
contrario; quindi uomini e donne memorizzano in modo diverso le diverse emozioni e quindi i diversi prodotti.
Le donne utilizzano per decidere l’emisfero sinistro, gli uomini il destro, ciò è fondamentale per iniziare a
pensare strategie di marketing gender-oriented. Le donne utilizzano strategie di acquisto mirate a classificare i
prodotti in precise categorie, quindi la decisione d’acquisto si basa molto su ciò che è contenuto in memoria e
quindi sulle esperienze, ciò permette decisioni più veloci in situazioni routinarie nel caso di un prodotto già
conosciuto e provato, è un processo di scelta più veloce e anche più efficace basato su categorizzazioni (basta
vedere le corsie dei supermercati per vedere le differenza tra uomo e donna nel fare gli acquisti). Gli uomini
sono meno determinati in alcuni tipi di scelta come al supermercato e quindi più vulnerabili rispetto a
informazioni marginali ma con un impatto emotivo più positivo, quindi l’abilità comunicativa sembra fare più

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effetto sull’uomo, mentre le donne in determinate circostanze sono più abili nel perseguire le proprie strategie
d’acquisto.

Gli obiettivi della persuasione

Uno dei primi obiettivi della comunicazione pubblicitaria è rendere disponibile le informazioni e provare a
determinare un cambiamento cognitivo. Per capire la persuasività di un messaggio bisogna capirne l’obiettivo,
quindi che tipo di cambiamento si vuole promuovere con un messaggio persuasivo.
Uno dei primi obiettivi della comunicazione pubblicitaria è provare a determinare un cambiamento cognitivo che
non necessariamente porta poi a un cambiamento di comportamento.
Come abbiamo visto, gli studi di Ajzen e Fishbein (1980) dimostrano che perché ci sia l’intenzione di cambiare
un comportamento non basta solo essere consapevoli e avere delle opinioni verso un prodotto o una situazione,
ma considerare anche il contesto sociale, ovvero se il nostro comportamento e le nostre scelte sono apprezzate da
altri. Nel caso della semplice trasmissione di info lo scopo principale del processo persuasivo è di creare
consapevolezza e conoscenza, fornendo esclusivamente informazioni adeguate.
Un diverso obiettivo è quello del cambiamento dell’azione, un po’ più complicato, ovvero quello di indurre
determinate persone a compiere una specifica azione in un periodo di tempo, quindi non solo riuscire a
comprendere il messaggio e le informazioni ma occorre fornire adeguate informazioni ed efficaci motivazioni in
base alle quali gli individui saranno spinti a compiere una determinata azione.
Ancora più complesso è l’obiettivo di cambiamento comportamentale ovvero indurre una modificazione più o
meno permanente del comportamento di un gruppo che presentano un atteggiamento favorevole verso il
cambiamento. La relazione tra atteggiamento e comportamento non è lineare, un cambiamento
dell’atteggiamento non comporta un cambiamento dell’azione vera e propria; la difficoltà nell’attuazione di
processi comunicativi persuasivi è dovuta al fatto che il cambiamento di un atteggiamento verso una persona,
un’azione o una situazione non corrisponde poi in un cambiamento di comportamento (Es. persone convinte
della nocività di un comportamento ma continuano cmq a ad agire con comportamenti pericolosi, come il fumo).
Certe informazioni su alcuni prodotti o situazioni non sono sufficienti per determinare un certo comportamento,
ad es. quando non si è liberi di rispettare i propri atteggiamenti per paura della valutazione sociale, sono
atteggiamenti quindi a cui non corrispondono dei comportamenti (e viceversa).
La teoria dell’azione ragionata (Fishbein e Ajzen) indica che il comportamento di una persona dipende oltre che
dalla valutazione degli attributi di un particolare prodotto, dalla possibilità che lo caratterizzino ma anche da
altre variabili quali la pressione sociale, le aspettative individuali dei risultati di un’azione e il valore attribuito a
questi risultati (infatti nella costruzione del messaggio pubblicitario bisogna anche fare attenzione al ruolo della
norma soggettiva e del contesto del consumatore).
Nella vita quotidiana la maggior parte delle nostre intenzioni è così immediata da non sembrare un processo
consapevole o ragionato analizzando costi e benefici; la teoria dell’azione ragionata vede l’uomo fortemente
razionale quindi in questo caso la persuasione e il rapporto tra atteggiamento tra atteggiamento e comportamento
agito dipendono da un processo di valutazione razionale degli attributi, del loro valore e della pressione sociale
riguardo un’azione. Questa teoria, integrata poi da quella del Comportamento Pianificato, offre utili indicazioni
su quali siano gli elementi su cui agire per determinare un cambiamento degli atteggiamenti. L’applicabilità del
modello sembra valere solo ed esclusivamente per quei comportamenti che possono ritenersi ragionevolmente
intenzionali
L’ultimo tipo di cambiamento che la comunicazione persuasiva tenta di attuare, e anche quello più difficile, è un
cambiamento di valori, ovvero modificare i valori radicati in alcuni individui rispetto a determinate situazioni;
questo perché i media assumono un ruolo importante accanto ai vecchi organizzatori sociali come famiglia,

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lavoro, scuola, e si inseriscono, in particolare la tv, in quel processo di costruzione della realtà, orientando i
processi di costruzione della conoscenza.
Inizialmente gli studiosi trattavano il tema della persuasione e dell’influenza della comunicazione sugli individui
come un’influenza determinante facendo riferimento a quegli anni in cui la comunicazione politica aveva
dominato e ritenevano che gli individui fossero passivi a tutta la comunicazione, si sviluppa la teoria del
proiettile magico: i mezzi di massa sono come proiettili che arrivano sicuramente a bersaglio perché mirano a
innescare i meccanismi automatici che governano i comportamenti delle folle (il processo persuasivo veniva
visto come unidirezionale dalla fonte ai destinatari). Poi verso la fine del XX secolo si afferma invece la teoria
dell’influenza limitata: il messaggio promozionale perde quel valore determinante e influenzante, viene
avvalorato se accompagnato dalla testimonianza di persone degne di fiducia, è importante quindi coinvolgere per
la persuasione possibili opinion leader per altri. Negli ultimi decenni del XX secolo si è affermata la teoria
dell’influenza modellatrice: offrendo indicazioni su stili e modelli di vita a cui ispirarsi. Bisogna capire più che
l’effetto della persuasione ha sui consumatori, cosa invece ne fanno i consumatori dei messaggi persuasivi. I
consumatori non sono più una massa passiva ma ben consapevoli fruitori di comunicazione simbolica alla
ricerca di informazioni per informarsi, divertirsi e identificarsi con il proprio gruppo di appartenenza,
interagendo con il messaggio: modello interazionista, co-costruttore di significati, secondo 3 principi:
✳ Il consumatore reagisce alle informazioni sulla base del significato che egli stesso contribuisce a dare.
✳ Il significato attribuito a questi oggetti è correlato alle informazioni provenienti dal contesto culturale di
riferimento e dalle relazioni sociali.
✳ Il significato viene costruito attraverso un processo interpretativo continuo.
Questo modello quindi considera le parti del processo persuasivo non più come emittente e ricevente ma come
comunicatori: l’azienda e la marca che comunicano qualcosa di sé e il ricevente, consumatore che costruisce il
significato sulla base del suo sé e della sua cultura in modo proattivo. Il processo di cambiamento degli
atteggiamenti quindi viene visto oggi in modo interpretativo e costruttivo, in più la memorizzazione e la
percezione di un messaggio avvengono secondo procedimenti selettivi, l’audience si espone quindi alle
informazioni congeniali alle loro attitudini evitando le altre.
C’è da dire che in tutto questo i media hanno un ruolo fondamentale nell’offrire informazioni di base, quindi il
modo di presentare un certo fenomeno attraverso i media influenza sicuramente il giudizio che le persone hanno
di quel fenomeno. La comunicazione persuasiva oggi deve fare affidamento non più solo sul valore della
razionalità ma deve basarsi su leve simboliche.

Quindi, possiamo individuare quattro principali obiettivi della persuasione


• Cambiamento cognitivo: affinché vi sia intenzione a cambiare, non basta avere delle info su un
prodotto, occorre considerare infatti il valore personale (quanto quel comportamento è apprezzato da
altri).
• Cambiamento dell’azione: indurre un certo numero di persone a compiere specifica azione entro un
determinato periodo di tempo. Non basta far comprendere il messaggio: occorrono informazioni che
spingono ad agire.
• Cambiamento comportamentale: modificare più o meno permanentemente il comportamento di un
gruppo di persone
• Cambiamento di valori: si tratta di modificare valori molto radicati in relazione a determinati
argomenti o situazioni.

BOX – La comunicazione pubblicitaria: modalità di influenzamento

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Per quanto riguarda la comunicazione pubblicitaria le modalità di influenzamento riguardano l’informazione, la
persuasione, la seduzione.

Informazione: le persone normalmente valutano e decidono cosa fare anche in base a ciò che sanno, le
informazioni di cui dispongono anche se selezionate, costruiscono un sistema di conoscenze che orientano il
proprio comportamento. L’influenzamento della comunicazione pubblicitaria consiste quindi nell’informazione:
uno spot può dire qualcosa su quel prodotto su qualsiasi aspetto che prima non si sapeva, ora che si sa quindi,
questo, può indurre il consumatore a comportarsi in modo diverso rispetto al comportamento iniziale senza
quell’informazione.

Persuasione: Una seconda modalità di influenzamento è rappresentata dalla persuasione, persuadere significa
indurre il proprio interlocutore a cambiare la propria opinione alla luce di un argomento convincente. I significati
del termine persuasione sono due:
1. Il primo significato presuppone l’idea di verità e presume che la ragione possa riconoscerla in quanto
resa evidente dall’argomento; in questo senso la persuasione fa appello alla razionalità presupponendo
un interlocutore ragionevole disposto a mettere in discussione la propria opinione e se persuaso ad
adottare quella nuova, è intelligente colui che grazie a un argomento ragionevole si persuade a
modificare le proprie credenze e i propri comportamenti; una giusta via di mezzo, né essere facilmente
influenzabili né però restare ciechi e sordi di fronte ad un argomento mantenendo le proprie opinioni e
resistenza al cambiamento. Chi viene persuaso riconosce la verità dell’argomento, convincere diventa un
vincere insieme condividendo qualcosa di vero razionalmente: ciò che a volte fa la pubblicità mostrando
qualcosa che il consumatore possa cogliere in quanto vero, cerca di persuadere mostrando come dato un
problema, il prodotto o la marca che si vuole promuovere offre la soluzione migliore.
2. Il secondo significato del termine persuasione prescinde dall’idea di verità e presuppone i limiti e la
soggettività dei ragionamenti umani, quindi l’argomento è persuasivo non perché mostra la verità
razionale ma perché riesce a far prevalere le ragioni del persuasore su quelle del persuaso avvalendosi di
espedienti. Il termine convincere qui rimanda alla relazione tra uno che vince e uno che perde, il
prevalere di chi convince e sa usare argomenti persuasivi su chi viene convinto, sono in posizione di uno
‘one up’ sull’altro ‘one down’.

Seduzione: Un terzo modo di influenzare si avvale della seduzione. Sedurre significa condurre a sé, attrarre
l’altro e indurlo a seguire spontaneamente quanto indicato da chi seduce. È un modo di comunicare che fa
appello alle emozioni e influenza il soggetto ponendosi come risposta illusoria ai suoi bisogni e desideri;
l’autorevolezza della fonte induce a credere nelle sue affermazioni, induce a fidarsi, suscita consenso e
disponibilità verso chi si dimostra amichevole e umoristico, simpatico. La comunicazione pubblicitaria si mostra
a volte come informativa a volte come persuasiva, ma soprattutto come seduttiva per suscitare interesse,
adesione, sorrisi, positività mostrandosi gioiosa, fantasiosa, giocando con i sentimenti che legati a prodotti o
marche liberano l’oggetto dalla sua funzione d’acquisto e lo caricano di significati simbolici.

BOX – Advergame. Ruolo pubblicità - consumatore

Oggi il rapporto tra pubblicità e consumatore si è evoluto: è una relazione bilaterale che entrambi gli attori
contribuiscono a costruire. Un esempio potrebbe essere gli advergame: sono giochi interattivi attraverso i quali si
promuovono campagne pubblicitarie online.
È un nuovo formato di comunicazione vincente proprio grazie all’interattività, dove il consumatore ha un ruolo
più attivo nel rapporto.

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Lo schema del gioco può essere quello dell’evasione o quello della persuasione.
Nel gioco pubblicitario la componente “evasione”, riguarda sul piano psicologico, la legittimazione a violare la
distinzione tra realtà e fantasia, permettendo di mettere in scena situazioni di sogno, di appagamento del
desiderio, comunque legata alla capacità di vivere esperienze in una sfera intermedia tra realtà e fantasia, in cui
la dimensione ludica e quella immaginativa costituiscono la parte più estesa e condivisa.
La dimensione della “persuasione”, riguarda non più la dimensione del desiderio, ma quella dell’adattamento
intelligente alla realtà. In questo senso, il gioco pubblicitario pone il fruitore in una situazione di preda, dal
momento che il gioco consiste nel riuscire a persuaderlo di qualcosa (come l’acquisto di un prodotto, o
modificare il pensiero che ha su un brand), e quindi nel porlo in una condizione di preda.

Il valore della persuasione tra utilità e attrazione simbolica

Il modo di studiare la persuasione e i processi che stanno alla base del cambiamento degli atteggiamenti si è
modificato nel tempo fino a giungere ad una visione costruttivista.
L’idea della persuasione della modernità è influenzata dal positivismo (‘800) che si è imposta nella riflessione
sull’uomo, promuovendo un’immagine forte e indipendente, capace di dominare la natura con il proprio
ingegno, di costruire e di influenzare la natura; era un periodo storico caratterizzato dall’ottimismo e una visione
dell’uomo come forza, artefice della propria vita e del mondo. Questa visione prevedeva anche una perdita della
centralità dell’anima e della sua coscienza, piuttosto ciò lasciava più spazio al ruolo delle forze esterne nella sua
determinazione. Da quest’influenzamento esterno che scaturisce la dimensione ansiogena del tema della
persuasione e della decisione: nel momento che l’uomo si appropria della libertà e dell’autonomia rischia di
essere la preda di qualcosa di esterno e incontrollabile come la persuasione occulta dei poteri nascosti e divini.
A contribuire ad aumentare le differenze verso il termine persuasione troviamo l’esperienza dei totalitarismi che
hanno fornito un esempio di pericolosità dell’influenzamento della propaganda nelle decisioni e nella
manipolazione delle coscienze. È diventato per questo un tema contraddittorio che ha messo da una parte la
libertà dell’individuo come forza creatrice e dall’altra ha messo l’uomo nella natura e l’ha reso dipendente da
altre forze esterne.
L’uomo però è sempre e comunque visto come un essere razionale, e inizialmente anche il processo di acquisto
poteva essere spiegato da un modello razionale e logico, il soggetto quindi veniva visto come capace di prendere
decisioni e cambiare i propri atteggiamenti su una razionale ricerca di informazioni e un’attenta valutazione delle
alternative per ottenere il massimo beneficio con le minime energie. Questa stabilità era collegata al principio di
coerenza che vincolava l’individuo ad essere coerente con i valori e i principi che aveva interiorizzato e metterli
in pratica poi coerentemente.
La postmodernità ha cambiato radicalmente il modo di vedere l’uomo e i suoi processi decisionali e di
cambiamento, rinunciando all’idea di un soggetto e una coscienza stabile e razionale, non esistono più i valori
universali e le istituzioni guida per le scelte decisionali e per la costruzione di atteggiamenti e hanno lasciato il
posto alla continua riscoperta di valori, al continuo cambiamento degli atteggiamenti e ad un modo per esprimere
la propria individualità.
La persuasione cambia il proprio ruolo, l’audience non ascolta più in modo neutrale e riesce ad accettare più
facilmente ciò che è coerente con le proprie aspettative quindi per modificare gli atteggiamenti occorre
confermare alcuni aspetti e idee preesistenti.

Dal ruolo di spettatore al ruolo di costruttore di senso

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Il comportamento può dipendere dalle situazioni o dalle circostanze, si agisce quindi influenzando in un modo o
in un altro il divenire degli accadimenti, in questo caso si parla di decisioni: scegliere un corso di azione tra
quelli possibili. Per questo si studiano i meccanismi di comunicazione e persuasione per capire come influenzare
le azioni altrui per cambiarne gli atteggiamenti. La persuasione però non è semplicemente la trasmissione di un
messaggio da una fonte a un destinatario trascurando la relazione nella quale i comunicanti sono coinvolti, è
ispirato troppo a una visione positivistica dell’uomo.
Secondo Simon (1957), se di razionalità bisogna parlare, questa è pure sempre limitata dalle difficoltà e dai costi
della ricerca delle informazioni nel mondo esterno e dai limiti interni, quali le difficoltà di elaborazione
cognitiva delle informazioni, i limiti della memoria e l’attenzione. In secondo luogo, in questo ambito di studio,
non sembra più parlato parlare di psicologia “applicata”, come se la psicologia scientifica producesse i risultati
della propria ricerca solo studiando l’uomo in sé, a prescindere dai contingenti contesti interpersonali e sociali in
cui vive e opera.

Le principali teorie di riferimento sulla persuasione

Teoria Ipodermica: che descrive gli effetti che nel dopoguerra aveva la comunicazione di massa, teoria chiamata
anche del proiettile magico, muovendosi in una teoria meccanicistica considerando che esistesse un repertorio
comportamentale dell’uomo e i messaggi potessero essere recepiti nello stesso modo con tutte risposte
immediate e dirette; in questo caso la comunicazione persuasiva può influenzare decisioni di un gruppo di
persone indifese di fronte alla forza della comunicazione, se il bersaglio viene raggiunto si otteneva il successo
prefissato (la fiducia dei mass media derivava dai risultati della propaganda in atto nella Grande Guerra che
influenzava le masse).

Teoria degli Effetti Limitati e dell’Agenda Setting: Secondo la teoria degli effetti limitati l’interesse ad acquisire
informazioni così come la memorizzazione avvengono secondo procedimenti selettivi, esponendosi alle
informazioni più congeniali alle proprie attitudini e a evitare i messaggi contrastanti; le campagne di persuasione
hanno effetto soprattutto se gli individui sono già d’accordo, sono i più interessati ad esporsi all’informazione,
per rinforzare certi atteggiamenti e comportamenti. Inoltre, il contenuto del messaggio pubblicitario viene
rielaborato all’interno di dinamiche sociali e ha valore solo in queste interazioni in cui viene poi interpretato,
accettato o rifiutato. La mente umana è punto di incontro di tante influenze strutturanti, e non c’è una
corrispondenza diretta tra messaggio, decisione e successiva risposta comportamentale, esistono anche variabili
di mediazione come la percezione selettiva o gli stati mentali del ricevente. Perciò la gente tende a includere o
escludere dalle proprie conoscenze ciò che i media includono o escludono dal proprio contenuto, dando più
importanza a ciò che includono proprio perché sono i media a dare più enfasi e priorità a certe informazioni. Si
può ipotizzare quindi che lo spazio e l’enfasi dedicata alla notizia influenzino il modo in cui l’ascoltatore
costruisce la propria agenda personale in cui inserisce e diverse notizie; i media in una prospettiva di agenda
setting definiscono quali sono le notizie a cui dare più attenzione e importanza, dicendo a cosa devono pensare
gli ascoltatori (non come i soggetti devono pensare). Ciò è strettamente collegato al meccanismo euristico della
disponibilità, ovvero, dovendo stimare la probabilità di accadimento di un certo fenomeno il giudizio delle
persone sarà influenzato dalle informazioni più disponibili o più reperibili in memoria; nel caso dell’agenda
setting certe informazioni sono più reperibili perché presentate con più frequenza rendendo queste informazioni
più disponibili.
I media in questo caso non dicono come i soggetti devono pensare, ma a cosa devono pensare. Le modalità
utilizzate per rendere più pregnante una notizia e incidere sulla rappresentazione che l’ascoltatore si fa di una
particolare tematica o fenomeno sono:
• Ripetizione frequente della notizia;

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• Continuità temporale di presentazione;
• Spazio accordato alla notizia e l’ordine rispetto alle altre notizie;
• Importanza della testata e dei comunicatori che ne danno notizia;
• Utilizzo di commenti che generalizzano il contenuto di un singolo fatto o episodio.
La ricerca recente però sta criticando questa corrispondenza tra l’agenda dei media e quella del pubblico, in
quanto esistono variabili individuali che possono mediare questa corrispondenza troppo semplicistica. Secondo
tale teoria, i media non ci direbbero cosa pensare di un determinato argomento, ma ci suggerirebbero tuttavia
quali argomenti introdurre nella nostra agenda (il giudizio delle persone sarà influenzato dalle informazioni più
disponibili o facilmente reperibili).

La Teoria Della Coltivazione: A differenza della teoria dell’agenda setting, la teoria della coltivazione non solo ci
dice quali sono le cose su cui decidere e pensare ma anche in che modo dobbiamo pensare ad esse. Secondo
questa teoria i media hanno un ruolo di socializzazione che possa plasmare decisioni, comportamenti, le persone
soggette ai media hanno una visione uniforme e condivisa del mondo a causa della presentazione unica della
realtà comunicata, è un processo mainstreaming in cui la televisione conduce ad un’omogeneizzazione della
visione del mondo (basti vedere la differenza con chi guarda meno la televisione, ci sono differenze di idee
dovute al diverso grado di esposizione).
Una delle principali critiche però è posta proprio su questa relazione, non si riesce a dimostrare che chi guarda di
più la tv è più influenzato da essa, la relazione potrebbe essere inversa considerando che nell’ideazione dei
programmi si cerca di rispecchiare i gusti e le opinioni dei potenziali spettatori e le persone scelgono i
programmi in base alle proprie opinioni quindi potrebbero avere una visione comune perché selezionati
dall’inizio per condivisione di opinioni.
Già nel 1949, in un testo dal titolo Esperimenti sulla comunicazione di massa sull’efficacia persuasiva della
propaganda filmica statunitense, un gruppo di ricercatori aveva riportato i risultati di una serie di ricerche
attraverso le quali si è dimostrato che gli effetti persuasivi e di propaganda ottenuti con i film o le trasmissioni
radio erano decisamente limitati.
Il messaggio per avere un’efficacia deve avere dei criteri:
• Credibilità: riassume le caratteristiche della validità e dell’attendibilità del messaggio (deve essere
distinta dalla verità);
• Coerenza: sottolinea l’importanza dell’organizzazione logica degli elementi che vengono portati a
sostegno di una determinata argomentazione;
• Consistenza: indica il valore e l’importanza della continuità temporale della comunicazione
persuasiva, la non contraddittorietà e la costanza della proposta del persuasore;
• Congruenza: Fa riferimento a tutto ci che nel linguaggio comune viene definito come capacità di
trovarsi nel luogo giusto, al momento giusto, con le parole giuste.

La Teoria dei Ruoli e Il Ruolo Attivo dello Spettatore: per essere persuasivi bisogna produrre un messaggio che
corrisponde il più possibile con quanto gli altri si immaginano o si aspettano da noi, sottolineando la visione
dell’uomo razionale e coerente, e quindi gli uomini in questo caso possono essere persuasi dalla coerenza di un
discorso razionale. Per fortuna poi successivamente si è passati a valutare anche il ruolo del destinatario oltre che
il ruolo del messaggio, quindi alle sue differenze individuali e alle variabili cognitive e sociali, un pubblico
attivo. Le motivazioni personali, le emozioni e il contesto sociale influenzano il modo di percepire la realtà.
Questo rappresenta una guida capace di influenzare il modo di percepire la realtà esterna e per costruire
categorie dotate di senso.
Non c’è più un pubblico dormiente, ma un pubblico attivo che a sua volta influenza i media. È proprio il
significato che diamo alle cose, a guidare il nostro modo di percepire la realtà; realtà non data per scontata, ma

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una realtà che si costruisce volta per volta in base ai nostri processi di simbolizzazione e ai significati che noi
stessi gli attribuiamo.
In questo processo di significazione, il contesto sociale e culturale in cui ci troviamo, le emozioni, le
motivazioni, influenzano profondamente il modo di percepire la realtà.

Lo studio dei singoli elementi persuasivi

Per capire i fattori che rendono efficace la persuasione bisogna studiare le caratteristiche della fonte, del
messaggio e del ricevente (aspetti studiati dalla scuola di Yale).
La fonte può avere grande impatto per la ricezione del messaggio, può essere attrattiva ed efficace nell’attirare
l’attenzione (un bel testimonial), così come rendere credibile e veritiero il messaggio (testimonial prestigiosi); tra
l’altro alcuni elementi positivi di una persona possono creare un effetto alone su tutto ciò che lo circonda e sul
prodotto che utilizza per esempio nel caso di una pubblicità. Infatti, l’uso di personaggi famosi come testimonial
negli spot, ha un costo elevato, ma è una delle strategie più usate. Sono persone che rappresentano il successo, la
bellezza; non dimentichiamo per che oltre alla loro attrattività, devono essere anche credibili: il personaggio
famoso deve avere un qualche legame con prodotto o servizio che sponsorizza.
Nel caso in cui non ci fosse un reale legame tra personaggio e prodotto, il consumatore pensa che si tratti solo di
questioni economiche e il prodotto o la marca perdono credibilità.
L’efficacia persuasiva è ancora più forte se il messaggio e la sua fonte rispondono a specifici bisogni dei
consumatori, e sono più motivati pure a lasciarsi trasportare, soprattutto coloro che tendono ad essere più
sensibili al giudizio degli altri sono più facilmente persuasibili da una fonte attrattiva rispetto a quelli orientati
internamente. Invece la credibilità, la fiducia e l’oggettività della fonte hanno più efficacia soprattutto se il
consumatore non ha potuto sapere molto di quel prodotto affidandosi del tutto alla fonte, soprattutto se è una
fonte legittima (quasi si arriva a un grado di obbedienza che induce ad eseguire ordini in quanto si riconosce una
figura autoritaria e legittima; es. esperimento: delle persone sono state incaricate a dare scosse elettriche a
collaboratori complici che avrebbero finto dolore, nel caso in cui le risposte di quest’esperimento fossero
sbagliate, così i soggetti dell’esperimento finirono per venir meno ai propri principi morali perché non si
sentivano personalmente responsabili in quanto persuasi da un potere esterno più grande e legittimo, loro
avevano solo agito come esecutori di quel comando). Altro fattore importante che influenza l’attrattività della
fonte è il processo di identificazione con essa (usando ad es personaggi famosi che offrono esempi di
simbolizzazione e aspirazione) interpretando diverse categorie sociali simboliche e attraenti (uomo manager,
donna elegante e affascinante, mascolinità) ovviamente dipende anche dalla credibilità di quei personaggi e la
coerenza tra il personaggio famoso e il prodotto che deve essere immediato per i consumatori.
È stato scoperto però che la credibilità della fonte a parità di messaggio non ha per forza degli effetti immediati
sugli atteggiamenti; esiste un effetto sleeper (Kelman e Hovland) secondo il quale i consumatori dopo un po’
tendono a dimenticare l’identità della fonte del messaggio e si lasciano influenzare solo dal contenuto del
messaggio memorizzato, si dissocia la fonte e il contenuto del messaggio, oppure il contenuto del messaggio è
più forte.
Il gruppo di Yale studiò anche la variabile del soggetto destinatario con la sua personalità e suscettibilità alla
persuasione e inoltre anche la struttura del messaggio in base alla sequenza di informazioni, e gli effetti di
primacy ovvero memorizzazione e influenza delle prime informazioni, e recency ovvero memorizzazione delle
ultime informazioni con conclusioni esplicite o i contenuti minacciosi. Solitamente se parliamo di memoria,
quando il tempo che passa tra la presentazione della lista di parole e il ricordo è breve i soggetti ricorderanno le
parole all’inizio e alla fine della lista, ciò è definito effetto della posizione seriale, le parole all’inizio di una lista
sono ricordate meglio alla fine, però siccome la memoria a breve termine ha una capienza limitata ogni parola
successiva della lista esclude quella precedente e per questo motivo è più probabile che vengano ricordate le

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ultime parole piuttosto che quelle centrali (effetto primacy e recency). Invece l’utilizzo dei fear appeals, ovvero
il richiamo alla paura può aumentare o inibire la risposta a una pubblicità influenzando il processo decisionale.
L’uso della paura è efficace se oltre all’informazione paurosa viene anche fornita una soluzione reale e
facilmente applicabile per evitare quegli effetti spiacevoli mostrati (es. la pubblicità sociale è diventata un
importante bacino di persuasione, il messaggio però più che far leva sulla paura dovrebbe fornire soluzioni ed
enfatizzare risultati positivi associati al cambiamento di un particolare comportamento), tutto ciò diventa ancora
più persuasivo se spinge l’audience a parlarne e a condividerlo con altre persone, in quanto la discussione di un
messaggio e al sua difesa durante un confronto con altri facilita l’adozione poi delle scelte e dei comportamenti
riportati nel messaggio.

Persuasione e atteggiamenti impliciti

La persuasione agisce sia a livello consapevole che inconsapevole. Ciò significa che bisogna riconoscere che
esistono meccanismi automatici di associazione tra concetti e vissuti. Uno di questi processi fondati sulla
connessione tra un concetto ed un vissuto o atteggiamento è legato al termine atteggiamento implicito. Tale
concetto riflette infatti processi particolari, come i fattori associativi, impulsivi, automatici in grado di
determinare un comportamento. Si va a differenziare dal concetto di atteggiamento esplicito, che riguarda ciò
che comprende la riflessione.
Questo interesse nei confronti dei processi automatici, ha anche avviato una nuova generazione di misure
indirette o implicite degli atteggiamenti, che non richiedono quindi una valutazione esplicita di un oggetto di
atteggiamento, ma ne ricavano la sua valutazione dai tempi di reazione associati ad un compito cognitivo. Tra
questi troviamo l’Implicit Association Test (IAT), sviluppato da Tony Greenwald e i suoi collaboratori,
strumento sviluppato per studiare la forza dei legami associativi tra concetti rappresentati in memoria. Lo IAT è
infatti una misura implicita del collegamento della forza del legame di alcuni concetti nella memoria. Esso
sfrutta l’effetto Stroop, interferenza tra significato della parola e colore in cui è scritto, connesso a concetti e
qualificatori emotivamente rilevanti per il tema di studio. Tale effetto consiste nel ritardo del processamento del
colore della parola osservabile tramite un rallentamento dei tempi di reazione e tramite l’aumento degli errori
nella condizione incongruente (es. parola verde scritta in rosso) rispetto a quella congruente (es. parola rossa
scritta in rosso). Per le associazioni parola – aggettivo congruenti, ci si aspettano tempi di latenza minori rispetto
alle associazioni incongruenti. Analizzando i tempi di latenza di ciascuna associazione, è possibile dedurre quali
associazioni sono percepite implicitamente come più congruenti e quali meno.
Le applicazioni iniziali di questo strumento riguardavano soprattutto l’indagine del pregiudizio, il suo uso è stato
poi successivamente esteso anche all’indagine degli stereotipi, dell’identificazione sociale, degli atteggiamenti
verso il cibo. In questo caso, la dissonanza o consonanza tra parole è stimolata dall’associazione incrociata tra
diverse categorie di parole e attributi positivi o negativi, come:
• Parole target positive (colorate di verde): bontà, benessere, genuinità, natura ecologia;
• Parole target negative (colorate di blu): spreco, egoismo, consumismo, sfruttamento, inquinamento;
• Attributi positivi (non colorati): utile, attraente, intelligente, efficace, divertente;
• Attribuiti negativi (non colorati): terribile, orribile, sgradevole, atroce.
In sintesi, riguardo alle parole target, il soggetto deve concentrarsi solo sul colore, indipendentemente dal
significato che le parole esprimono; per quanto riguarda gli aggetti, invece (che non compaiono colorati), si
chiede al soggetto di rispondere in base al significato.
La possibilità di misurare gli atteggiamenti impliciti con la tecnica dello IAT ha permesso di fare confronti tra
atteggiamenti espliciti e auto - dichiarati e atteggiamenti impliciti misurati indirettamente.
Vedi ricerche pag. 443

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Le fasi della comunicazione persuasiva

McGuire studia il processo persuasivo secondo un percorso a tappe di 6 fasi:


1. Fase di esposizione al messaggio,
2. Fase di attenzione,
3. Fase di comprensione,
4. Fase di accettazione o rifiuto,
5. Fase di persistenza al cambiamento,
6. Fase di azione sulla base di nuove ipotesi.
La sua conclusione è che solo quei messaggi che inducono nuovi atteggiamenti e comportamenti sono
persuasivi. McGuire osservò che tutti quelli con una forte autostima di sé erano più disposti a prendere in
considerazione il messaggio però erano anche meno disponibili a cedere verso nuove indicazioni perché certi
delle loro convinzioni, quindi i soggetti più influenzabili erano quelli con meno autostima. Secondo questo
analisi, i soggetti massimi influenzabili erano quelli con moderati livelli di autostima.
Diversa è invece la prospettiva di Kapferer (1982) che non segue il percorso ideale che un messaggio deve
compiere per diventare persuasivo: egli basa il fenomeno persuasivo a tutto ci che una persona ricevente fa di un
certo messaggio. Il suo modello pone le seguenti fasi:
1. Fase di esposizione al messaggio,
2. Fase di decodifica,
3. Fase di accettazione,
4. Fase di persistenza temporale nel sistema cognitivo,
5. Fase di conversione in azione,
6. Fase di persistenza dell’azione ovvero creazione di un nuovo atteggiamento.
In questo caso quindi il cambiamento di atteggiamento dopo l’accettazione di un messaggio persuasivo è dovuto
non tanto al contenuto del messaggio ma al contenuto dei pensieri elaborati dal ricevente in risposta a quello
stimolo del messaggio.
Secondo il modello di Hovland (Scuola di Yale), la comunicazione esercita un’influenza sulle convinzioni del
soggetto quando realizza 4 passaggi:
• Il messaggio deve attirare l’attenzione del ricevente,
• Le argomentazioni comprese devono essere comprese dal ricevente,
• Chi riceve il messaggio deve accettarle come vere e farle proprie,
• Facendo propri i contenuti del messaggio il ricevente ottiene un incentivo e la persuasione diventa
efficace.
Ciò resta sempre e comunque generalizzato perché non si può adattare a tutti i processi esplicativi e non sempre
si realizzano tutti i passaggi. Questo modello sottolinea come i processi di persuasione siano condizionati dal
livello di involvement, se c’è basso involvement cambiano prima le credenze e i comportamenti e poi gli
atteggiamenti, invece in caso di alto involvement cambia prima la prospettiva da cui si guarda l’esperienza e il
senso che si attribuisce e poi credenze, atteggiamento e comportamento.
Secondo questo modello sul coinvolgimento, è possibile operare una distinzione tra le situazioni di persuasione
che si realizzano quando chi riceve il messaggio pensa con convinzione ai contenuti del messaggio stesso e
situazioni in cui tale partecipazione è meno attiva. La qualità e la quantità delle risorse di pensiero dedicate alla
presa in carico del messaggio sono pertanto una variabile cruciale nel determinare l’accettazione della
comunicazione e nel produrre un eventuale cambiamento di atteggiamento del soggetto.
In questa prospettiva, la teoria della risposta cognitiva proposta da Greenwald (1992) analizza le condizioni che
si realizzano quando è presente la partecipazione attiva del soggetto al processo di persuasione. La persuasione
dipende dai meccanismi attraverso i quali il messaggio è interpretato e dal modo in cui il rispondente reagisce, e

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ciò varia in relazione alle caratteristiche personali dell’individuo, alla situazione di persuasione e al tipo di
appello inviato.
La tattica di persuasione che ha la maggior probabilità di risultare efficace è quella che dirige e canalizza le
decisioni in modo tale che il recettore del messaggio rifletta sul problema in maniera favorevole al punto di vista
del comunicatore: il contatto con un soggetto da persuadere non deve essere di tipo generico. Bisogna conoscere
il modo in cui ogni persona organizza le proprie conoscenze (in quanto la persuasione dipende anche dal modo
in cui il soggetto interpreta e come reagisce al messaggio in base alle sue caratteristiche personali); prima di
persuadere è bene conoscere meglio l’audience, il suo modo di pensare, usare le stesse immagini e metafore ed
esprimere sentimenti ed emozioni con il suo stesso vocabolario.

Oltre l’analisi degli elementi: il ruolo dei processi di elaborazione

Il gruppo di Yale ha fornito il modello più serio di spiegazione del messaggio persuasivo, però col tempo s’è
visto che non sempre si realizzano tutti i passaggi per avere effetto, ad esempio gli argomenti non sempre
vengono compresi per parlare di persuasione, basti pensare ai bambini che vengono comunque influenzati dai
messaggi pubblicitari.
Se parliamo del modello della probabilità di elaborazione ELM (1986) di Petty e Cacioppo, considera la
persuasione come un processo che ha l’obiettivo di cambiare gli atteggiamenti o i comportamenti senza l’uso
dell’inganno o della forza che può avvenire attraverso due vie: la periferica e la centrale.
Se il ricevente è motivato a elaborare il messaggio e quindi disposto a collaborare si ottiene un’elaborazione di
tipo centrale, mentre se una delle due condizioni (motivazione e capacità) non si avvera si ottiene solo
un’elaborazione periferica di intrattenimento piacevole ma senza effetti duraturi. La pubblicità quindi lavora su
questi due percorsi: quello centrale prevede una razionalità e un’elaborazione cognitiva delle informazioni e
delle alternative, richiede energia e attenzione, è attivato soprattutto dai più motivati e dai più competenti in
materia. La seconda via periferica è caratterizzata da un minore impegno nell’elaborazione delle informazioni e
nelle decisioni, la decisione in questo caso viene presa in modo automatico secondo abitudini determinata anche
da pregiudizi esterni senza un’attenta riflessione sulle informazioni e le possibili alternative.
Questo dovrebbe spingere il marketing a prestare attenzione al grado di coinvolgimento (+ coinvolta/motivata –
coinvolta/motivata) e alle competenze del proprio target perché ciò permette di capire se il messaggio deve
essere strutturato per agire a livello centrale o periferico, quindi con un’attenta elaborazione delle informazioni
o in modo più superficiale su aspetti secondari. Il modello ELM prevede che una stessa variabile possa attivare
allo stesso tempo sia un percorso centrale che periferico; alcune variabili per le loro caratteristiche sono capaci di
attivare quasi esclusivamente la via centrale o identificare una lista di variabili centrali e una lista di variabili più
periferiche.
Il modello di Chaiken prevede invece la possibilità che i due processi si verifichino contemporaneamente, chi
riceve il messaggio può avere la motivazione e la capacità di seguire un’elaborazione sistematica e allo stesso
tempo se disponibile potrebbe lasciarsi guidare da pregiudizi o elementi più superficiali; il giudizio finale e il
cambiamento di atteggiamento possono essere influenzati da entrambe le modalità di elaborazione perché il
modo di reagire di un individuo deve essere sempre visto nella sua complessità in modo dinamico e interattivo
(es. scelta e acquisto di un auto, oggi si somigliano così tanto che l’influenza del processo comunicativo e la
decisione di acquisto vengono guidate soprattutto da aspetti simbolici e affettivi piuttosto che solo dalla
valutazione costi-benefici). Il processo decisionale è complesso e deve fare i conti anche con processi non
razionali o automatici, quindi le decisioni istintive e controllate non possono escludersi; i processi automatici
sono quelli attivati in modo più immediato e forniscono la prima risposta che poi viene controllata e nel caso

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modificata valutando con più attenzione le informazioni e le alternative; a volte però il tempo limitato o la
stanchezza o i pochi interessi specifici potrebbero ostacolare l’avvio di un’analisi più razionale e dettagliata.

Capitolo 11 – “Information communication technologies” per la ricerca e la


strategia rivolta al consumatore

Introduzione

Esempio: la protagonista ha un'amica che si sposa e non ha ancora acquistato il regalo. La sposa ha fatto la lista
nozze ai magazzini John Lewis di Londra che permettono di acquistare on line. Sul sito ad assistere i clienti ivi
sono delle commesse virtuali che attraverso delle domande aiutano il cliente nella scelta del regalo. il cliente
soddisfatto e felice si ricorderà dell'acquisto in futuro e provvederà a recarsi nel negozio durante un viaggio a
Londra. Vi sono altri casi in cui dopo l'acquisto le persone continuano a ricevere messaggi promozionali a volte
graditi a volte no. Alcune persone non autorizzano l'invio di tali messaggi per proteggere la propria privacy.
Negli Usa se ne inventano di tutti i colori, come i carrelli intelligenti che forniscono info sui prodotti e
riconoscendo il cliente suggeriscono cosa manca nella sua dispensa. Ciò non è fantascienza ma l'incrocio fra
tecnologia e servizi al cliente.

Dall'e-commerce all'm-commerce

Molti ricercatori hanno studiato il mezzo internet per vedere se fosse stato possibile utilizzarlo nelle ricerche di
mercato. in psicologia dei consumi, tra le ricerche svolte negli anni, si evince che le principali barriere
all'acquisto on line vi è quello della insicurezza sulla privacy.
Oggi affrontiamo un'ulteriore evoluzione: l'm-commerce, ovvero il commercio sui telefonini, nuovo grande
mezzo di comunicazione, interattivo, indipendente da un terminale (casa, uffici, etc), ma sempre limitato nelle
occasioni d'uso. La mobilità della nuova tecnologia sembrerebbe spontaneamente favorire quello che è stato
definito come l’inesorabile destino di ogni artefatto, secondo cui dopo un iniziale periodo in cui l’artefatto
irrompe sulla scena, in un secondo momento sarebbero le ristrutturazioni stimolate e i contesti d’uso a prendere
il sopravvento.
Questa tecnologia permette, quindi, di concentrarci su nuovi contesti di consumo, per cui serviranno nuove
strategie di mkt che vedranno come obiettivo la possibilità di scambiare info e dati con il consumatore ai fini
della ricerca.

BOX – Percezione del rischio e fiducia negli acquisti su internet

Secondo i dati Istat, sull'utilizzo delle nuove tecnologie in Italia, il 23% degli italiani acquista on line (fascia tra
i 20 e i 44, in maggioranza uomini). Ciò è dovuto anche al fatto che nel nostro paese solo il 43% delle famiglie
possiede un accesso ad Internet. Dato inferiore alla media europea.

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ricerche simili negli USA hanno dimostrato che chi acquista on line rispetto chi utilizza internet per altri scopi ha
un'età più elevata e una possibilità economica maggiore, è meno avverso al rischio, è più comodista, impulsivo
e più favorevole alla pubblicità.
Il rischio è uno dei fattori che differenziano chi acquista da chi non acquista.
tra i fattori che lo influenzano:
• il genere = i maschi percepiscono un livello di rischio minore quando acquistano prodotti che conoscono
meglio, come quelli elettronici.
• esperienza d'uso di internet = chi lo usa di più percepisce un livello inferiore di rischio.
Fare acquisti comporta un doppio livello di rischio: 1° l'uso della tecnologia che fa da tramite (la paura di un
virus, acquisizione dei propri dati da parte di altri utenti, la paura di diventare dipendenti da internet), 2° prodotto
o servizio che si vuole acquistare.
Altri ostacoli: voler interagire con il commerciante, dubbi su come protestare in caso di insoddisfazione,
preoccupazione circa la carta di credito.
Ricerca su studenti universitari di psicologia vs ingegneria: per entrambi chi aveva già acquistato sentiva meno il
rischio, cosa che non avviene per altre attività.
Inoltre, chi si ritiene competente si ritiene in grado di proteggersi dai rischi, quando il rischio riguarda gli errori
del venditore, la possibilità di proteggersi è più alt. quindi ciò dipende dalle competenze.
La fiducia è un elemento importante, che nell'acquisto tradizionale si manifesta nel primo approccio col
venditore, in quello on line può svilupparsi dall'osservare il sito, dagli elementi grafici.
Mariani e Zappalà hanno dimostrato che gli elementi ergonomici del sito influenzano la percezione del rischio.
Il processo decisionale avviene in due fasi: - scelta del prodotto (che avviene sulla base delle info e descrizioni) ;
- accettare o restituirlo (vi sono altre info cruciali). la polizza assicurativa può ridurre il rischio.

BOX – Case History: Ebay

1995: USA come una community di appassionati. 2001: in Italia. 2007: 5 milioni di utenti. Italia tra i paesi con
crescita di utenti maggiore. In Italia ha avuto successo anche in relazione al fatto della sfiducia degli italiani
nell'acquisto a distanza e scambio tra privati.
La sfida di Ebay è stata quella di assicurare le persone sulla sicurezza delle transazioni (metodo diverso per ogni
paese: in Italia con il codice fiscale, In usa con la carta di credito).
Hanno anche realizzato una campagna in rete per la sicurezza, e per sfatare dei miti su interrogativi che le
persone nella vita quotidiana non si pongono. Venne fornito un vademecum in cui la gente doveva affidarsi ai
propri sensi:
• vista: controllare password
• olfatto: fiutare l'odore di bruciato
• ascolto: ascoltare e prestare attenzione alle credenziali degli altri utenti.
• gusto: assaggiare un acquisto, leggere bene le descrizioni
• tatto: toccare la spedizione ovvero scegliere un metodo sicuro
Evento university ebay, in cui vi sono formatori.
Successo di ebay: piattaforma realizzata da persone comuni.
es Archio Palmas: Giuseppe palmas era un fotografo della dolce vita i cui lavori non ebbero successo in vita. Il
figlio decise di mettere su ebay i lavori e ben presto girarono per il mondo.
Poco dopo il figlio riuscì a realizzare una personale a NY.

Raccolta di informazioni e preoccupazioni per la privacy

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Le ricerche sui consumatori stanno sempre di più utilizzando i nuovi mezzi di comunicazione che aiutano a
raggiungere ovunque l'utente e in poco tempo. Ma le preoccupazioni sulla privacy e indisponibilità dei
consumatori di essere costantemente bersagliato da ricerche di mercato sono ancora un groppo limite. Internet ha
permesso di instaurare una relazione one to one e personalizzata con l'utente. (mkt relazionale).
Il marketing one to one o interattivo ha sviluppato dei metodi di raccolta dati in banche dati facili da interrogare
per le ricerche di mercato. La letteratura sul marketing relazionale ha enfatizzato l’importanza di raccogliere
informazioni accurate sul consumatore e di utilizzarle per garantire la sua soddisfazione attraverso l’offerta di
servizi personalizzati, prodotti ad hoc e in generale una comunicazione più efficiente. A partire da queste
considerazione strategiche, il marketing one – to – one applicato a Internet, detto anche marketing interattivo, ha
cercato di sviluppare nuovi metodi di contatto sui siti web e nuovi strumenti per la raccolta di dati che
consentono l’organizzazione di dati individuali in banche apposite. Queste banche dati, sempre disponibili
attraverso le reti, sono state elaborate in modo da poter essere interrogate su specifiche questioni, consentendo
operazioni di segmentazione del target sempre più approfondite.
Queste strategie di raccolta dati (definite Customer Relationship Management) hanno incontrato degli ostacoli
nel reperire informazioni sui consumatori ecco perché spesso alcune di queste attività sono svolte senza la
partecipazione degli utenti come il monitoraggio delle pagine web che grazie all'IP number, raccolgono dati sui
percorsi dell'utente.
Ma anche questo tipo di ricerche sono fonte di preoccupazione da parte degli utenti che si sentono costantemente
osservati e per tale motivo sono delle tecniche inefficienti nel lungo periodo perché il condizionamento può
avere effetti negativo sul consumatore.
Vi sono due prospettive di ricerca relative agli studi fatti per riuscire a recuperare informazioni utili dagli utenti:
1. Interazione uomo - computer nei contesti e-commerce: disegno di interfacce adeguate fra utente e
sistema (embodied conversational agents – simulazioni di uomini che interagiscono con gli utenti reali).
L'approccio utilizzato è “centrato sul sistema”, ovvero esso deve adattarsi al linguaggio umano.
2. Studio delle variabili situazionali, enfatizzando il valore della fiducia per risolvere le problematiche sulla
privacy.

Self – disclosure con i computer

L'adozione dei computer per le ricerche informative sui consumatori è avvenuta perché si pensava che fossero
più attendibili delle interazioni faccia a faccia in cui l'intervistato è condizionato dall'interazione con
l'intervistatore (desiderabilità sociale).
Tuttavia, vi sono pensieri contrastanti. Weisband e Kiesler hanno condotto una meta-analisi di 39 studi dal 69 al
94, secondo la quale l'assenza di informazioni sul contesto sociale dell'intervistato riduce la percezione di essere
identificati e quindi aumenta la disponibilità a fornire informazioni.
Inizialmente quindi, la self-disclosure appariva più alta nelle interviste via computer ma con il tempo questa si
abbassava perché aumentava la consapevolezza del mezzo nei consumatori, riguardo le attività di raccolta delle
informazioni e dei dati attraverso i computer. Quindi gli autori riconoscono che all’inizio le persone tendevano
ad aprirsi di più con i metodi di raccolta tramite pc, proprio grazie al senso di anonimato, supportato dalla
condizione di isolamento di fronte allo schermo. Con il tempo però, questo metodo di raccolta è diventato più
usuale e la preoccupazione rispetto al trattamento dei dati raccolti è salita notevolmente. Ad oggi si può
affermare quindi che la consapevolezza dei rischi relativi alla corretta gestione dei dati porta a diminuire
l’eventuale effetto positivo della visual anonimity.
Vi sono anche altri studi che dimostrano come la desiderabilità sociale può aumentare in certi casi nelle
interviste via pc a seconda delle identità rese salienti e delle relazioni di potere che si instaurano.

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Gli effetti “linking” e “reciprocity” come strategie per raccogliere informazioni via computer

Moon, a partire dalla letteratura Psicologica sulla self-disclosure, ha tentato di verificare gli effetti di Linking
(principio secondo cui il consumatore sarebbe disposto a fornire più informazioni al pc verso il quale ha
sviluppato una preferenza) e gli effetti di reciprocity (principio secondo cui il consumatore tenderebbe a
rispondere in modo più intimo dopo aver ricevuto informazioni dal pc). Questo avviene quando il consumatore
ha un rapporto con la macchina come se si trattasse di una persona (teoria della Risposta Sociale). Secondo
questa teoria, quando una macchina ha come caratteristiche funzioni comunicative che sono simili a quelle degli
esseri umani, le persone risponderebbero con attribuzioni sociali e svilupperebbero una relazione specifica con la
macchina, come se si trattasse di una persona.
Inoltre, si verificano tali risultati quando è il pc ad iniziare il dialogo fornendo prima domande più superficiali e
poi domande più intime (al contrario non si verificano effetti positivi). In questo studio i consumatori erano
consapevoli che fosse un esperimento quindi non erano condizionati ne dall'interlocutore, ne da ricompense
come accade a volte.

Le dimensioni relazionali della raccolta di informazioni

La ricerca si è concentrata anche sulla relazione tra consumatore e organizzazione. Spesso è possibile ottenere
info tramite lo “scambio secondario” (ovvero non monetario come nel caso di quello primario, in cui in cambio
di informazioni personali, i consumatori ottengono servizi e offerte personalizzate).
Culnan e Milberg hanno segnalato che la gestione dello scambio secondario è importante perché un errore può
compromette anche quello primario.
Data la voglia di diminuire la percezione del rischio sui consumatori, si è fatto ricorso alle “fair information
practises”, ovvero le pratiche per mezzo delle quali le aziende comunicano ai consumatori la necessità di fare
delle ricerche di mercato ed automaticamente loro saranno maggiormente disponibili a fornire informazioni.
Inoltre, i consumatori sembrano diventati più consapevoli circa il valore di mercato delle loro informazioni, e
potrebbero quindi essere disponibili a scambiare informazioni contro denaro. Anche lo scambio di info con il
denaro secondo alcuni fa diminuire il rischio perché gli utenti percepiscono questo scambio come una
dimostrazione di trasparenza. Secondo altri studiosi, invece, le informazioni più delicate non verrebbero
scambiate con denaro perché si contribuirebbe alla mercificazione dell'informazioni, e ciò di conseguenza
farebbe aumentare la probabilità di un uso non corretto dei dati personali.
La consapevolezza che l’informazione può avere un valore di mercato, insieme alla percezione del rischio,
motiva un bisogno di emancipazione dal potere esterno che è espresso attraverso la domanda di controllo attivo
sull’uso dell’informazione privata. Tale atteggiamento che emerge in modo sempre più significativo tra i
consumatori che possono essere definiti pragmatici e consapevoli, potrebbe essere un sintomo del cambiamento
della natura della relazione con le aziende. Infatti, emerge il bisogno di strumenti che consentano al consumatore
di prendere decisioni consapevoli nell’ambito degli scambi con le aziende e di negoziare benefici adeguati.

Metodologia della ricerca on line

La difficoltà di coinvolgere il consumatore in interazioni finalizzate alla raccolta di informazioni emerge


chiaramente appena si provano ad applicare metodologie di ricerca tradizionali ai contesti della comunicazione
elettronica. Si è quindi sviluppato un corpo di studi dedicato all’indagine di nuove metodologie e all’adattamento
delle tecniche tradizionali alle nuove regole della comunicazione mediata.

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Ricerca quantitativa: Inizialmente i contributi si sono concentrati sui metodi quantitativi di raccolta dei dati. In
particolare, molti studi hanno adottato un approccio human – computer – interaction, per adattare le forme
tradizionali dei questionari cartacei a format di questionari via email o pagine web. I problemi di questi studi
sono legati al tema dell’usabilità e dell’interfaccia grafica, al fine di garantire un adeguato tasso di risposta e la
fruibilità delle informazioni.
Spesso nella ricerca quantitativa, la distribuzione attraverso email per la realizzazione di una survey, può essere
problematica a causa della non attendibilità degli indirizzi e la scarsa disponibilità a rispondere. Oggi è
necessario che ci sia una forma di accordo preventivo con il proprietario dell'indirizzo di posta. Inoltre, oggi le
percentuali di risposta sono inferiori al 30%.
Ricerca qualitativa: molte riflessioni metodologiche hanno riguardato l'osservazione partecipante (ricercatore
che prende parte a pratiche di comunicazione e di scambio come un normale partecipante al fine di comprendere
le dinamiche al di dentro) e l'analisi del discorso per analizzare la comunicazione spontanea in vari contesti
(anche in questi casi è necessario chiedere il consenso dell'intervistato).
Altri metodi, come l’intervista e il focus group, che basano la raccolta dei dati sull’interazione del ricercatore
con i partecipanti, richiedono di prendere in esame la possibilità di utilizzare la metodologia on line. Due sono le
caratteristiche delle interviste qualitative (in profondità) via mail: asincronia e forma testuale che influiscono
sulla percezione del discorso. Queste due caratteristiche vanno a influire sulle modalità con cui il discorso si
forma e si costruisce nell’ambito dello scambio, nel senso di una potenziale diminuzione di spontaneità.
Parallelamente alla centralità delle componenti linguistiche, la tecnologia può essere usata per veicolare
comunicazione paralinguistica. Es. il tempo di latenza tra gli scambi di email può essere usato per veicolare
significati specifici a seconda dell’obiettivo del messaggio; in questo modo una risposta immediata a una
richiesta via email viene interpretata come un atteggiamento positivo nei confronti del richiedente.
Il modello di intervistata e-mail repeated interviews prevede interviste lunghe da 1 a tre mesi con uno spesso
intervistato e serve a stabilire una relazione di fiducia. Un problema in questo campo è quello della rottura del
contratto di ricerca in quanto gli utenti on line non sono obbligati a partecipare e neanche su compenso
economico riusciva a trattenerli ma era necessaria una motivazione intrinseca. La partecipazione dell’intervistato
quindi appare perseguibile fornendo benefici ricavabili da una vera relazione interpersonale. Ciò richiede di
allontanarsi dal principio di oggettività a favore di una concezione di intervista come testo negoziato, ovvero una
conversazione in grado di produrre comprensioni situate di interazioni significative. Nell’ambito dell’email, ciò
si traduce in una dinamica in cui sia intervistatore che intervistato sono al tempo stesso lettori e scrittori.

Economia della mobilità e nuovi strumenti per l'analisi comportamentale del consumatore

Con la nuova tecnologia del mobile e la possibilità di connettersi ad internet si aprono nuovi mercati. Tale
tecnologie si può suddividere in una macro-suddivisione:
• tecnologie wireless che consentono l'accesso, la gestione, il trasferimento di dati in modo indipendente
dalla presenza di un cavo (smartphone). A questa categoria si collocano per esempio i cellulari della
nuova generazione, definiti smartphone e personal digital assistant.
• tecnologie di posizionamento che consentono di rilevare posizione e spostamento di un oggetto/soggetto
con riferimento a un dato contesto geografico.
Alcuni autori hanno evidenziato la voglia di sviluppare una sinergia tra psicologia dei consumi, mkt e
progettazione informatica per disegnare applicazioni davvero utili.
Per fare in modo che queste applicazioni siano davvero utili bisogna adattarle, in seguito a testing dei reali
bisogni dei consumatori.

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Ad esempio, invece di focalizzarsi sulle tecniche di segmentazione in base alle caratteristiche
sociodemografiche, si potrebbero analizzare gli acquisti passati del singolo utente, sia in termini di frequenza sia
sui gusti, la varietà etc.
Inoltre, parlando di tecnologia mobile, bisogna tenere in conto la stimolazione ambientale e studiare e prevedere
i comportamenti delle diverse identità situate (consumatori riconoscibili in termini di caratteristiche
sociodemografiche, gusti, atteggiamenti, tratti di personalità, bisogni funzionali e simbolici stimolati dall'essere
in un luogo per un determinato scopo, svolgendo un'azione precisa).
La necessità di monitorare il comportamento del consumatore all’interno del punto vendita viene,
paradossalmente, già soddisfatta negli ambienti digitali e virtuali, attraverso quelle che possono essere definite
attività di data-mining che mediante software, permettono di seguire i comportamenti degli utenti nel tempo.

Tecnologia mobile e marketing della mobilità

L'Italia sembra il Paese ideale per sviluppare m-commerce per questo sta crescendo sempre più il mobile-
marketing che ha l'obiettivo di raggiungere il consumatore in maniera interattiva direttamente al cellulare.
Le strategie di interazione con il consumatore potrebbero essere ancora più pervasive perché raggiungono
l'utente ovunque e sono in grado di fornire informazioni sul comportamento in atto, immediatamente e con
consapevolezza da parte del consumatore.
Si parla quindi di Mobile Customer Relationship Management dovrà anche esso soddisfare dei bisogni dei
consumatori in termini di servizi e informazioni ma anche di privacy (problematica importante).
Il mobile consente l'implementazione di metodologie qualitative come chiamate telefoniche e altre adatte alla
mobilità. Tali tecnologie possono essere sfruttate per monitorare comportamenti all'interno di musei, centri
commerciali, librerie etc. In alcuni ipermercati si utilizza il portale shopping system (PSS) che dà la possibilità ai
consumatori di registrare i prodotti acquistati e risparmiare tempo e ai venditori il vantaggio di raccogliere info
sul comportamento del cons che vengono associati ai dati sociodemografici raccolti al momento della
distribuzione dello strumento.
Randel e Muller presentano lo shopping jacket, un pc portatile dove inserire la lista della spesa che ti avvisa
quando il con si trova nelle vicinanze del negozio.
Un sistema più elaborato è l'iGrocer, uno smartphone che memorizza il profilo nutrizionale del cliente e
controlla che i prodotti nel carrello non contengano ingredienti desiderati; suggerisce gli acquisti; inserendo
ricette ti dice quali alimenti comprare etc. My Grocer combina tecnologia wireless con l'RFID che avvisa il
fornitore sulla mancata disponibilità di alcuni alimenti nello scaffale, grazie all'etichetta presente in ogni
prodotto. alla cassa viene automaticamente trasmessa la lista della spesa.

Capitolo 12 – Il rapporto tra l’organizzazione e il consumatore

L'identità organizzativa e la relazione con i consumatori

La relazione tra azienda e consumatore ha assunto un ruolo importante nel determinare le scelte e influenzare il
grado di soddisfazione del cliente (ovvero il giudizio espresso nei confronti del servizio o del prodotto offerto).
Esso dipende dalla percezione della qualità relazionale. Tale relazione viene influenzata dalla comunicazione,

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ovvero dall'immagine che l'organizzazione vuole trasmettere. La soddisfazione infatti si configura come un
processo assai complesso, dipendente dalle relazioni con l’impresa e dalla sua qualità relazionale. Affinché ci
possa essere una particolare attenzione al grado di soddisfazione dei clienti e un’effettiva risposta da parte
dell’impresa occorre che l’organizzazione nel suo complesso sia preparata a gestire la relazione e che abbia i
caratteri per una corretta comunicazione e relazione con i consumatori.
Se in passato bastava il prodotto o il servizio a posizionare l'azienda nel mercato, oggi l'identità organizzativa
che viene trasmessa attraverso vari canali è un elemento molto significativo.

Cambiamento organizzativo e soddisfazione del consumatore

Il cambiamento organizzativo rappresenta la carta vincente per ogni organizzazione che voglia sopravvivere in
un mercato competitivo e resistere alla concorrenza. Secondo Weik è preferibile parlare di organizing (processo
continuo dell'organizzazione) piuttosto che organization (dà il senso della stabilità). Cambiamenti tecnologici,
economici e socioculturali sono alcune delle variabili con cui bisogna entrare in relazione per adattarsi alle
esigenze del consumatore. Anche la globalizzazione ha creato una profonda instabilità dei processi organizzativi
per questo motivo le organizzazioni in grado di relazionarsi e stare vicino al cliente sono quelle con maggiore
possibilità di sopravvivere.
Questo modello gestionale impone l'abbandono di modelli organizzativi burocratici e stabili.
Il pensiero delle persone è flessibile ed instabile per cui è difficile trovare delle regole fisse e universali per
dimostrare che il prezzo o la qualità o le caratteristiche del prodotto etc, sono variabili sulle quali operare quando
bisogna catturare il cliente. Vi sono altre variabili socioculturali che possono incidere. Il nuovo consumatore è
sempre più autonomo e si fa guidare dalla libertà del suo potere di scelta più che da altre ideologie particolari.
Anche la relazione tra consumatore e produttore diventa più confusa; da un lato i consumatori hanno sempre più
possibilità di scelta, sono più critici e consapevoli ma anche più bombardati dalle promozioni e dall'altro le
organizzazioni lavorano sempre più in funzione dei comportamenti dei consumatori.
Ecco perché sempre più si cerca di analizzare la soddisfazione dei clienti per orientare il lavoro
dell'organizzazione.
Se prima il consumatore doveva ricercare il prodotto adesso può accedere ad internet e confrontare prezzi e
qualità di tutti i competitor.
Le organizzazioni si ritrovano quindi a gestire e progettare prodotti e servizi con la mutevolezza delle aspettative
dei consumatori, da una parte, e con l’attesa di una relazione significativa dall’altra. Quindi, l’organizzazione
deve essere in grado di ridefinire la propria funzione strategica, valorizzando le sollecitazioni provenienti
dall’esterno, riducendo i tempi di progettazione, pianificazione, distribuzione e controllo, rispondendo con
rapidità.
Questa liberalizzazione del processo di scelta del consumatore l'ha reso più sensibile al fascino della valutazione
della qualità del prodotto ma anche più attendo ai messaggi provenienti dall'organizzazione, che grazi agli input
dei clienti riduce i tempi di progettazione, pianificazione, distribuzione e controllo, risponde con rapidità: questo
è organizing (la capacità di ascoltare, di comunicare e vendere la propria immagine.)

Oltre l'informazione: la comunicazione dell'identità organizzativa

l’importanza della relazione tra consumatore e l’intera organizzazione è testimoniata dal valore che ha assunto
oggi il concetto di corporate brand. Il concetto di marca tradizionalmente legato al prodotto e riferito al vissuto
del consumatore, si è sviluppato caratterizzando l’intera organizzazione.

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L'impresa ha sempre avuto relazioni con diversi soggetti, i clienti, i fornitori, i collaboratori, il governo etc.,
trattando ogni relazione in maniera diversa. Per molto tempo, le imprese inviavano messaggi differenziandoli
sulla base del target di riferimento; ciò non è più possibile, in quanto attualmente i diversi target possono essere
al tempo stesso fornitori e clienti.
Nel momento storico in cui i media sono sempre più attenti alle azioni organizzative, l'esigenza di prestare
attenzione alla coerenza tra ciò che si dichiara di essere e i comportamenti organizzativi è cresciuta
sensibilmente. Si rileva un’azione di comunicazione interna e di condivisione dei progetti di corporate social
responsability tra tutti i dipendenti. Le organizzazioni hanno appreso che la reputazione organizzativa ha una
forte influenza sul brand, sul posizionamento e sulla possibilità di costruire e mantenere una relazione di fiducia
con i consumatori.
L'organizzazione deve gestire se stessa come fosse un brand, in modo tale da differenziarsi dagli altri, garantire
una certa consistenza nel tempo e nello spazio (assicurarsi quindi che la propria identità sia la stessa nel tempo e
nello spazio), creare empatia con i consumatori.
I brand non sono solamente i singoli prodotti ma sono associati ad uno stile di vita ed a ideologie che vengono
condivise dalle persone. Es: Malboro, nella sua comunicazione ha un'immagine coerente con i suoi valori.
L'azienda deve essere in grado d stimolare emozioni e superare barriere etniche religione e culturali.
Sempre più i consumatori scelgono spinti dalle emozioni e non dalla ragione per cui non occorre comunicare
informazioni sul valore del prodotto o servizio ma sul significato simbolico che assume per creare una relazione
di fiducia.
Il formarsi delle opinioni non può avvenire solo al consumo del singolo prodotto o alle campagne pubblicitarie
ma grazie all'insieme di scambi e relazioni con l'esterno.
Se osserviamo le campagne pubblicitarie delle imprese possiamo osservare i cambiamenti negli anni per seguire
le esigenze dei consumatori. Es: Osserviamo il mercato della telefonia. Gli operatori cercano di creare universi
simbolici per differenziarsi: Omnitel era gioventù, innovazione, etc.; Tim era rassicurante ma ancora legata alla
dimensione statalista, improvvisamente cambiò per ringiovanire il brand, TIM tribù).
Sebbene sia necessario integrare la comunicazione interna ed esterna per una più efficace politica di
comunicazione, spesso le aziende le considerano separatamente. La diffusione e l’ampliamento dei possibili
contatti tra interno ed esterno richiedono un coinvolgimento profondo di tutti i soggetti dell’organizzazione,
nella gestione della relazione con l’esterno, anzi, loro stessi partecipano a questa relazione con l’ambiente
influenzandosi a vicenda, rendendo così obsoleto un modello relazionale predefinito da procedure e compiti pre
– assegnati.

Le contraddizioni nella gestione dell'identità organizzativa

Il concetto di identità organizzativa può essere descritto tramite due denominazioni: corporate identity e
organizational identity. La prima, nel campo del Marketing, si riferisce a come l'organizzazione si relaziona con
gli stakeholder e la seconda richiama la letteratura di tipo organizzativo e psicologico-sociale, si riferisce a come
i membri si percepiscono. Entrambe devono essere coerenti tra di loro e non in contrasto.
Albert e Whetten ritengono che da una parte l'identità è analizzata per definire le caratteristiche più specifiche di
una organizzazione, per comunicarla all'esterno, dall'altra è utilizzata all'interno per descriversi e pensarsi nella
relazione con gli altri.
Il concetto di identità risponde da una parte all'esigenza di creare valore, dall'altra alla necessità di individuare e
comunicare aspetti specifici dell'organizzazione. le dimensioni che possono essere utili per distinguere l'identità
di una organizzativa, sono ad esempio, la filosofia gestionale, i valori in cui crede, la sua cultura, il significato
che intende trasmettere. Un'identità è forte quando è coerente sia all'interno che all'esterno, perché le
incongruenze sono fatali per l'organizzazione. Le incongruenze corrispondono a contraddizioni che potrebbero

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portare ad una crisi irreversibili dell’impresa, in quanto comportano una perdita di credibilità agli occhi dei
consumatori. Quello che a prima vista sembra un errore di comunicazione diventa un problema capace di
coinvolgere l'intero sistema organizzativo. Per cui, occuparsi di identità organizzativa significa prendere in
considerazione l’eventuale incongruenza tra comunicazione interna ed esterna e quindi gli elementi che
realmente contribuiscono a costruire una relazione vera e duratura con il consumatore.
Spesso, operare un mutamento della propria presenza sul mercato, si ripercuote sulle modalità di funzionamento
interno, o nel caso in cui si voglia mutare la gestione interna questo può provocare modifiche all'esterno.
L'immagine dell'organizzazione è il risultato complesso e difficile da cogliere tra quello che viene espresso di
per sé e ciò che invece vuole essere trasmesso dal comunicatore che si occupa di trasmettere una certa
immagine. Dato che l’immagine, e di conseguenza la stessa identità dell’organizzazione, è legata alla
rappresentazione dell’oggetto, piuttosto che dell’oggetto in sé; il modo di esprimersi, così come tutti i possibili
contatti con l’organizzazione, possono incidere sulla sua immagine e sull’identità percepita. È per tale motivo,
Berg e Gagliardi (1986) avevano parlato di possibilità di falsificare dell'identità attraverso la gestione
dell'immagine al fine di mostrare al mercato ciò che l'impresa potrebbe essere e non ciò che è veramente,
cercando di presentare un'immagine verosimile in relazione alle attese del mercato.
La grande competizione tra aziende le ha spinte a creare immagini forti ma a volte anche un po’ false pur di
lasciare il segno. Un’eccessiva differenza tra la realtà organizzativa e la comunicazione verso l'esterno può
causare problemi sia con il consumatore, sempre più consapevole e sensibile, e sia con gli stakeholders interni,
mezzo di comunicazione verso i consumatori.
Chi si occupa di comunicazione d’identità e di corporate image deve conoscere perfettamente quali sono i
meccanismi per presentare in maniera manipolatoria una particolare identità. L’identità quindi risulta non più un
fenomeno monolitico, ma un fenomeno complesso, soggetto a un processo di gestione.

Il rapporto tra identità, immagine e cultura organizzativa

Concetti come identità, cultura e immagine devono essere analizzati nei processi di cambiamento. Tuttavia, una
eccessiva semplificazione o la sovrapposizione dei termini, rende difficile la comprensione di alcuni concetti.
Per questo motivo, si può far riferimento all'analisi di Hatch e Schultz, che propongono di analizzare il concetto
di identità in relazione al concetto di image da una parte e cultura dall'altra.
Una prima considerazione a fatta in relazione alla distinzione tra corporate e organizational identity: la prima
nasce dal marketing e fa riferimento ai processi di comunicazione, la seconda legata ai processi organizzativi fa
capo all'area delle scienze organizzative.
La corporate identity richiama la specificità dell'organizzazione e il modo con cui viene comunicata ai propri
stakeholders e come si differenzia dagli altri. Balmer analizza tale concetto da due diverse prospettive: quella
della scuola e quella legata alla dimensione visiva ed espressiva ovvero si sofferma sui processi di
comunicazione grafica (logo, colori, stili comunicativi). La corporate identity rappresenta non chi si è ma chi si
vuol diventare, è una linea guida per i cambiamenti che si vogliono mettere in atto.
Il concetto di organizational identity (identità organizzativa) ha una valenza psicosociale e fa riferimento a ciò
che i membri dell'organizzazione percepiscono in relazione a chi sono. L'organizational identity è legata alla
teoria dell'identità sociale secondo la quale la relazione ed il confronto con gli altri diventano necessari e
indispensabili per costruire la propria identità, rappresenta la miriade di modi attraverso i quali i membri
percepiscono chi sono effettivamente.
Per quanto riguarda i concetti di image e cultura, Hatch e Schultz mettono in relazione identità e immagine e
identità e cultura. L'immagine fa riferimento a ciò che si comunica verso l'esterno ed è strettamente legata
all'identità, a come essa viene percepita dagli altri. È quindi più prossima al concetto di corporare identity. In
ogni caso quando si fa riferimento all'identità si considera il valore comunicativo che alcuni attributi hanno in

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relazione alla dimensione esterna; Nel riferirsi all'identità la dimensione pregnante è quella interna. Infine, il
concetto di immagine può essere declinato in molteplici modalità, in relazione al tipo di pubblico. Ciò non
significa che le identità non possono essere molteplici e frammentate.
Per quanto riguarda invece il rapporto tra identità e cultura, questo è talmente stretto che chi si occupa di
cambiamento di identità o di cambiamento culturale non può non prendere in considerazione la loro relazione.
Secondo Hatch (2003), l'identità permette di esprimere se stessi e le proprie esperienze attraverso le proprie
credenze e aspettative che sono a loro volta influenzate dalla cultura organizzativa e dai valori che esprime.
A differenza dell'identità, la cultura fa riferimento a tutti quegli aspetti che colorano la vita quotidiana in un
contesto organizzativo e sociale nel quale il significato e i valori sono espressi dai comportami e dagli artefatti.
L'identità fa riferimento a quanto è narrato e vissuto dai singoli membri: anche in questo caso il concetto di
identità è espresso in maniera formale, esplicita e consapevolmente accessibile, opponendosi a un livello più
tacito e inconsapevole che caratterizza le assunzioni culturali. Gli assunti taciti permeano l'intera organizzazione
e influenzano la mission, la strategia, i mezzi usati, i sistemi di valutazione, le sue norme, etc.
È limitante spiegare il concetto di identità solo nelle aree di comunicazione e marketing, essi richiedono
l'integrazione di conoscenze strategico- organizzative, comunicative e psicosociali nella gestione dei processi di
comunicazione.
L'identità è: risultato di un processo sia interno che esterno; non completamente separata dalla percezione che gli
altri hanno dell'impresa; caratterizzata da una molteplicità di espressioni; un testo deve essere letto in base al suo
contesto culturale; legata ad una dimensione istituzionale; manifestazione ed espressione di simboli culturali.

BOX – Un Museo che cambia faccia

Il Museo Nazionale della Scienza e della tecnologia “Leonardo da Vinci” è il caso di una organizzazione che ha
cercato di mantenere la relazione con i clienti in un momento di crisi come quella della ristrutturazione.
Oggi i musei scientifici sono più attenti ai bisogni di un consumatore postmoderno esigente, informato, selettivo,
sempre più alla ricerca di esperienze che coinvolgano i sensi.
Per tale motivo, il museo affianca l'efficace sistema di raccolta e catalogazione, anche lo sviluppo di servizi
educativi e di professionalità come l'exhibition design, il mkt e la comunicazione.
Questi sperimentano nuovi linguaggi, metodologie e modalità di coinvolgimento per creare esperienze uniche.
Il continuo evolversi, sia nelle esposizioni sia nella struttura è una caratteristica di un museo.
Si può scegliere o di chiudere e sparire dall'agenda setting o tenere aperta solo una parte dell'edificio o chiudere
per tre mesi durante i lavori. L'efficacia della strategia dipende dalla condivisione dei valori e degli obiettivi.
Comunicare i valori in corso: All'inizio del 2008 iniziano i lavori che ebbero la durata di un anno.
Diventava allora importante coinvolgere il pubblico all'interno del cambiamento, bisognava garantire
un'immagine interna ed esterna coerente al delicato momento di cambiamento, costruire una relazionale stabile
tra tutti i livelli di personale e i visitatori. Il concept della campagna: “Con che faccia teniamo aperti?”, i soggetti
erano 4 facce della campagna ed ognuno veicolava messaggi diversi.
Sagome segnaletiche di operai al lavoro senza volto in cui introdurre la propria faccia per scattare foto.
Info-piantine che riportano oltre alla giuda del museo anche la spiegazione dei lavori, come nel sito internet.
L'attività di comunicazione parla sia ai visitatori ma anche ai possibili clienti del museo.

Identità organizzativa e ruolo della comunicazione interna

Secondo molti autori per fidelizzare i clienti occorre considerare gli effetti che i processi comunicativi hanno
all'interno dell'organizzazione. Questo non è solo giustificato dal fatto che i clienti interni sono al contempo

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consumatori, ma anche perché gli attori dell'organizzazione hanno un ruolo attivo nel supportare la
comunicazione all'esterno. Un'identità forte e condivisa serve a motivare i dipendenti i quali possano diventare
comunicatori a loro volta.
Si tratta di individuare e soddisfare i bisogni e i desideri dei collaboratori, promuovere i processi di
socializzazione al lavoro che possono sviluppare un profondo senso di appartenenza.
Esempio delle banche in termini di cambiamento organizzativo: In seguito agli scandali finanziari, all'entrata in
gioco di competitor stranieri, alla possibilità di accedere ai servizi direttamente da casa, ha costretto le banche a
trovare nuove soluzioni per accaparrarsi fette di mercato e mantenere i vecchi clienti. La trasparenza, la serietà e
la reputazione hanno assunto un ruolo sempre più pregnante.
A tal fine sembra significativo l'intervento in termini di formazione sulle dinamiche interpersonali e sulla
comunicazione efficacie che vede coinvolti non solo gli agenti e i consulenti ma soprattutto il management e tutti
gli operatoti del back office. Es di Banca San Paolo che nello spot pubblicitario ha adottato un sms in cui la
banca non è più identificabile con un prodotto o un servizio ma con la faccia delle persone che ci lavorano: “io
sono la banca, ma sono uno come te! di me ti puoi fidare”.
Questo tipo di comunicazione ha avuto degli effetti positivi solo perché l'immagine rappresentata coincideva con
la realtà, ovvero l'immagine coincideva con i vissuti dei dipendenti della banca.
Le incongruenze potrebbero avere un risultato negativo e per questo devono essere gestire dal management.
Balmer e Greyser hanno ideato uno schema per evitare le incongruenze. Secondo gli autori, le tipologie di
identità, oggetto di incongruenza possono essere cinque:
• identità attuale: insieme di caratteristiche attuali relative allo stile della leadership, alla qualità dei
prodotti e servizi, alla struttura organizzativa, etc.
• identità comunicata: identità comunicata attraverso processi formali, tipicamente corrisponde con
quanto riportato nei processi comunicativi verso l’esterno (spot, broshure, relazioni pubbliche)
• identità ideale: corrisponde con la percezione della condizione ideale di rappresentazione identitaria. Si
basa su quanto il management ha ideato e pianificato e sulla base dell'ideale posizionamento nel
mercato. Generalmente questa è influenzata da fattori esterni (industria del viaggio dopo l'11 settembre).
• identità percepita: si riferisce a quanto viene vissuto e percepito dai clienti e dal mercato. (corporate
image e reputazione).
• identità desiderata: ciò che viene desiderato dal management ed è in stretta relazione con la visione
dell'organizzazione, (rientra nell'identità deale).
Queste tipologie non rappresentano una classificazione tassonomica dell'identità, essa più che un aspetto
oggettivante è la risultante di un processo di costruzione e di significazione in continuo divenire.
Un aspetto sul quale mancano ancora delle teorie relative è la corporate social responsability, considerata sempre
più uno strumento di comunicazione esterna che una possibile strategia di coinvolgimento e di motivazione
interna per stimolare l'identificazione dei membri con l'organizzazione.
L'identità organizzativa trova la sua origine in diverse fonti: ci sono identità fortemente influenzate dai processi
comunicativi, e identità determinate dai valori e dalla cultura, altre influenzate e determinate dalla leadership
forte. Alvesson (1990) propone di distinguere le organizzazioni e le loro identità in funzione del grado di
investimento in termini di sforzi e di impegno economico nel creare l'immagine comunicata e opporla a quella
rivelata dalla reale natura dell'impresa.
A volte è possibile riscontrare pseudoeventi finalizzati a mostrare una particolare immagine dell'impresa,
pseudostrutture che rivestono un valore simbolico. Si tratta quindi di pseudoazioni che difficilmente le persone
all'esterno dell'impresa riescono a distinguere dalla realtà dei fatti.
Secondo Alvesson, si possono distinguere le organizzazioni utilizzando un continuum che prevede da una parte
le imprese che maggiormente sono rappresentate dalle immagini in maniera controllata, e a volte manipolatoria
(ciò non vuol dire necessariamente falsare la realtà), e dall'altra, le imprese la cui immagine e identità derivano
dalla sostanza delle cose.

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L'interesse verso la corporate image può essere definito in termini negativi e positivi. per quanto riguarda quelli
negativi, quando la dimensione identitaria e simbolica deve compensare quella reale troppo complessa. Per
quelli positivi, fa riferimento alla capacità del management di intervenire al cambiamento in maniera proattiva.

BOX – Customer satisfaction in ambito sanitario

Rappresenta l'obiettivo principale dell'azienda orientata al marketing, i cui sforzi tendono allo sviluppo di una
relazione di qualità con la clientela e alla sua conseguente fidelizzazione. La soddisfazione dell'acquirente di un
prodotto o dell'utente di un servizio. Nel contesto sanitario si parla di soddisfazione del paziente.
Nel libro il cliente nella sanità, Favretto riassume i risultati di una ricerca presso i degenti dimessi dell'Azienda
ospedaliera Ospedaliera di Desenzano del Garda, relativamente alla soddisfazione percepita rispetto al loro
ricovero ospedaliero.
Le ipotesi erano: l'esistenza di una relazione tra la soddisfazione del paziente e le sue caratteristiche scio-
anagrafiche; l'esistenza di una relazione tra la soddisfazione espressa dall'utente per il ricovero ospedaliero e la
soddisfazione per la sua vita in genere; l'esistenza di una relazione tra la soddisfazione espressa dall'utente per il
ricovero ospedaliero e la soddisfazione per i servizi pubblici in generale.
Strumento utilizzato: questionario a 1025 persone e una serie di focus group.
I risultati: Non sono emerse differenze per quanto riguarda la soddisfazione percepita che tuttavia tende ad
aumentare con il crescere dell'età e a diminuite con l'aumentare del grado di istruzione. È stata evidenziata una
correlazione tra la soddisfazione dichiarata per la propria vita privata e la soddisfazione del paziente e tra questa
e la soddisfazione per i servizi pubblici in generale.
“Organizzare la soddisfazione in sanità” è stata un'altra ricerca condotta per verificare una relazione tra le
caratteristiche socioanagrafiche e la soddisfazione.
Strumento: intervista telefonica tramite questionario standardizzato.
Risultati: identici all'indagine precedente.

L'appartenenza all'organizzazione e la relazione con il cliente

La comunicazione interna non è solo inducting, ovvero non ha solo obiettivi di manipolazione, ma offre anche
un'opportunità di identificazione sia per il consumatore esterno sia per il cliente interno.
La comunicazione assume un ruolo fondamentale nei processi di socializzazione, in quanto il modo in cui il
soggetto attribuisce un senso agli eventi che si susseguono nella vita sociale e lavorativa può spiegare gran parte
delle decisioni concrete, dello stile di azione e delle caratteristiche del suo comportamento nell'ambito
dell'organizzazione. Anche gli studi di marketing relazionale, evidenziano il ruolo cruciale della comunicazione
interna nel sistema di gestione delle relazioni verso l’esterno. Infatti, i collaboratori di un’impresa, essendo in
relazione con i clienti esterni, ed essendo inseriti a pieno titolo nel sistema di relazioni, contribuiscono al valore
dell’appartenenza e della rappresentanza a gestire le relazioni con il cliente esterno.
In letteratura si parla di “contratto psicologico”, ovvero la ricerca sul patto che si instaura tra i collaboratori e
l'organizzazione, fondato sull'appartenenza, sul coinvolgimento, sull'impegno, sull'engagement etc, che indicano
il passaggio dall'adesione a stare nell'organizzazione verso l'attivazione di tutte le proprie risorse per dare senso
e contribuire al successo complessivo.
Per fare in modo che ciò si verifichi, il management deve proporre ai collaboratori una narrazione
dell'organizzazione più efficace affinché possa essere compresa. Gli abili manager sono quelli che affrontano il
cambiamento attraverso l'abilità del dialogo e della condivisione dei valori e degli obiettivi.

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La narrazione organizzativa diviene una delle leve manageriali per favorire il processo di identificazione
organizzativa. Essa rappresenta l'elemento cardine emozionalmente forte dell'organizzazione, non riducibile alla
vision o alla mission e alla comunicazione, ma comprende tutto ciò che fa riferimento alle competenze, alle
credenze fondamentali, ai valori etc.
La sfida del management è quella di creare dei messaggi emotivamente accattivanti, immagini
dell'organizzazione attraenti e narrazioni in grado di coinvolgere gli stakeholders interni.
Le attività manageriali necessarie sono:
• capacità di individuare e definire la narrazione organizzativa che più riesce a dare una rappresentazione
ed un'immagine reale dell'organizzazione;
• capacità di leggere eventuali incongruenze tra le identità organizzative e tra immagine e identità attuale;
• capacità di creare storie, immagini coerenti;
• capacità di ridurre l'incongruenza tra comunicazione interna ed esterna;
• capacità di creare valore;
• capacità di ottimizzare i processi organizzativi in relazione non solo alla produzione ma anche alla
comunicazione;
• capacità di leggere la comunicazione come fattore importante come produzione, mkt etc.

BOX – Customer satisfaction: percezione e soddisfazione negli studi dentistici

Collaborazione tra IULM e l'Associazione Nazionale Dentisti Italiani per sviluppare un ricerca che prendesse in
esame percezioni, vissuti e soddisfazione dei pazienti odontoiatrici.
Il processo: L'obiettivo era valutare la qualità della prestazione odontoiatrica da parte dei pazienti.
Strumenti: una parte della ricerca con focus group e interviste in profondità e una parte quantitativa con
questionari somministrati in parte in formato cartaceo in parte formato elettronico.
Analisi: La prima dimensione analizzata è l'immagine; è emerso che l'immagine degli studi privati sia più alta
per la maggior parte degli intervistati, ma anche molti risultano sconosciuti evidenziando una carenza
comunicativa.
Un'altra dimensione è la valutazione della soddisfazione dei pazienti in merito ai diversi aspetti costitutivi della
qualità del servizio privato.
Secondo la letteratura anglosassone, la soddisfazione è un concetto multidimensionale che presenta una certa
difficoltà ad essere valutato oggettivamente dai pazienti, per questo si presta attenzione all'esperienza di cura nel
suo insieme. il paziente è sempre più agente attivo nella relazione di cura (si parla anche qui di prosumer).
Risultati: Il successivo ritorno del paziente è legato al livello di soddisfazione attribuita a una o poche variabili,
quali attenzione ricevuta dal personale, chiarezza delle info ricevute, accessibilità confort e pulizia, etc.
Pag. 468 mappa: confronto tra grado di importanza esplicita (verbale) assegnata a ciascun servizio e la
correlazione dei singoli fattori con il grado di soddisfazione generale.
Dall'incrocio dei dati è possibile generare delle mappe in cui i diversi fattori oggetto di analisi appaiono collocati
in uno dei quattro possibili quadranti:
• fattori dovuti- prerequisiti di un servizio
• fattori strategici- servizi di reale impatto
• fattori critici o opportunità- aspetti che dimostrano di possedere un forte impatto nel determinare la
soddisfazione.
• Gli aspetti relazionali hanno una valenza strategica di grande valore.

BOX – Il market-driven management nell'economia d'impresa globale

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La globalizzazione provoca una diffusa sovrapproduzione produttiva e quindi un'offerta molto superiore alle
potenzialità di assorbimento da parte della domanda.
l'eccesso di offerta impone comportamenti competitivi nuovi. L'economia d'impresa globale delinea uno spazio
competitivo non condizionato da confini definiti e fisici.
L'eccesso di offerta esprime nuovi modelli di consumo che affiancano comportamenti non fedeli ai noti
meccanismi di fedeltà.

Marketing management e market-driven management


Con il marketing management il processo gestionale parte dalla domanda, per definire poi i caratteri di un
prodotto in relazione ad uno specifico spazio di mercato che tende ad essere stabile per tempi non brevi.
Con il market-driven management, invece, l'orientamento al mercato è innanzitutto volto a individuare un
temporaneo spazio di concorrenza, cioè un vuoto di domanda altamente instabile per effetto delle innovazioni
continue proposte da tutti i competitor.
Il market-driven presuppone che l'azienda si focalizzi prima sulla concorrenza per individuare temporanee
opportunità di domanda e quindi combini le caratteristiche del prodotto con le attese.

Market-driven management e competitive customer value


Il market-driven management è una strategia aziendale dominata dal customer value, che presuppone il
confronto diretto con la concorrenza e che si è sviluppata con la globalizzazione negli anni 80.
Il market driven valorizza le attività incentrate sulla redditività degli spazi di concorrenza, politiche di mercato
basate sul competiting pricing e sull'innovazione continua, matrice di valutazione delle performance con un
orizzonte di brevissimo periodo.
Un'impresa market-driven:
• ha una dimensione e dei valori coerenti con la complessità e la trasparenza dei mercati globali.
• monitora costantemente il sistema della concorrenza.
• il tempo è un fattore critico per gestire la domanda.

BOX – Il club dei grandi ricchi

Nell'ambito finanziario i grandi ricchi vengono suddivisi in tre gruppi:


HNWI-HIGH NETWORTH INDIVIDUAL fino a 5 milioni di dollari; VHNWI-VERY HNWI fino a 30 milioni;
UHNWI- ULTRA HNWI patrimoni che superano i 30 milioni.
Dagli studi fatti i ricchi sono sempre più ricchi, i grandi ricchi sono sempre meno in valore relativo e sempre più
in valore assoluto.
Tradizionalmente gli incontri tra banchieri e clienti avvengono in salotti privati.Nel caso dei new hnwi, il
consulente che deve entrare in relazione con questi non può nn tenere in conto l'origine della ricchezza di questa
tipologia.
La multiculturalità è un altro fenomeno attuale, per cu il consulente sa che una certa questione deve essere
affrontata in modo diverso a seconda della sensibilità dell'interlocutore.
Anche dalla valenza attribuita alla ricchezza dipendono gli stili di vita, i quali a sua volta dipendono dalla storia
personale e da fattori culturali.
Che cos'è il wealth manager? un professionista appassionato capace di tradurre in soluzione le emozioni del suo
cliente. Una ricerca mostra che il 30% dei rapporti tra il wm e il cliente cessa nella fase iniziale quando questo
non è durato ancora abbastanza dada consentire al wm l'ammortamento dell'investimento fatto per acquisire il
cliente.

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CAPITOLO 13 – Design dell’esperienza e marketing non-convenzionale

Introduzione

L’attività di shopping consiste nell’andare in giro a guardare le vetrine, esplorare i negozi, i centri commerciali
etc. L’obiettivo di un tale comportamento sembra essere quello di raccogliere stimoli, informazioni e più in
generale fare nuove esperienze. La gratificazione deriva dall’esplorazione di ambienti di shopping in grado di
mettere in scena significati, utili quindi a comunicare chi si è e chi piace essere.
Quest’interpretazione sul ruolo dell’ambiente sull’esperienza di shopping mette l’accento sulla componente
simbolica del consumo e sulla sua funzione al fine della costruzione identitaria. Così, come attraverso l’acquisto
di un prodotto, anche attraverso l’interazione con un ambiente di shopping connotato simbolicamente, il
consumatore può soddisfare bisogni legati all’espressione del self più che non di tipo funzionale-utilitaristico.
La sollecitazione ludica e la stimolazione cognitiva che il consumatore ottiene nel luogo d’acquisto sono da
considerarsi al pari delle componenti funzionali di un prodotto, costituiscono le “ragioni d’uso”. La
progettazione dell’esperienza attraverso il design e la pianificazione degli stimoli ambientali sembra
rappresentare una delle nuove frontiere della strategia di “marketing al retail”.
Le applicazioni strategiche riguardanti l’esperienza si possono distinguere in 2 diversi ambiti:
✳ il marketing esperienziale, il cui obiettivo è quello di intervenire sul vissuto del consumatore all’interno
del punto vendita e di manipolare percezioni e comportamenti attraverso una pianificazione ad hoc delle
variabili ambientali;
✳ il marketing dell’esperienza, il cui scopo è la produzione e la commercializzazione dell’esperienza intesa
come vera e propria offerta economica.

Per entrambi gli ambiti, nel primo caso gestire l’esperienza di consumo, nel secondo creare e commercializzare
nuove esperienze, emerge la necessità di comprendere che cosa sia l’esperienza in senso psicologico, come si
possa valutare e osservare.

Le origini del focus sull’esperienza

Holbrook e Hirshman (1982) criticano la visione di stampo cognitivista che descriverebbe il consumatore come
un mero risolutore di problemi, impegnato nell’elaborazione di informazioni e nella presa di decisione necessaria
alla selezione e all’acquisto di prodotti. A questa visione tradizionale i due autori contrappongono una visione
esperienziale per la quale il consumatore sarebbe anche condizionato da emozioni, fantasie che non solo
condizionano scelte e comportamenti, ma che sembrerebbero costituire una parte imprescindibile del consumo.
Affianco alla scelta funzionale-utilitaristica c’è una stimolazione sensoriale e ludica per gratificazioni legate al
piacere.
L’approccio esperienziale suggerisce l’importanza di integrare allo studio del consumatore come risolutore di
problemi anche l’indagine sulle componenti ludiche e creative, sulle risposte emozionali, sui significati simbolici
del consumo che concorrono a definire la relazione che il consumatore instaura con i prodotti e con i brand. Il
focus sull’esperienza implica quindi uno spostamento dal paradigma dell’acquisto come atto di scambio fra

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prodotto e denaro, al paradigma del consumo come comportamento esplorativo e relazionale prima ancora che
d’uso.
Schmitt e Simonson (1997) propongono l’attuazione di strategie improntate alla dimensione sensoriale e a quella
simbolica-relazionale con cui si esprime l’interazione fra consumatore, prodotto e brand. Gli autori sottolineano
la necessità di una pianificazione “estetica” al fine di comunicare l’identità della marca e gestire al meglio il
vissuto del consumatore. Per il marketing estetico, la strategia di marketing deve concentrarsi sulla gestione delle
impressioni che l’azienda produce nel consumatore e cioè pianificare in modo coordinato la comunicazione di
tutti gli elementi che concorrono alla costruzione dell’identità di marca e quindi in particolare:
✳ una narrativa coerente con la rappresentazione del brand in tutti i diversi canali e mezzi utilizzati;
✳ la stimolazione sensoriale del consumatore per promuovere il coinvolgimento anche sul piano edonistico
e dell’affettività.

Schmitt dopo l’elaborazione del marketing estetico si concentra su come promuovere l’esperienzializzazione
dell’offerta. Secondo l’autore, l’esperienza è principalmente legata all’offerta dell’impresa che può orchestrare e
gestire la stimolazione sensoriale e mettere in scena i significati simbolici della marca per migliorare la qualità
della relazione instaurabile con il consumatore.
Le strategie di branding devono perciò coinvolgere tutti i possibili momenti di contatto tra il prodotto e il
pubblico, dal design, alla distribuzione in modo da creare una rappresentazione chiara e coerente con l’universo
della marca e dei suoi tratti identitari. Diventa indispensabile, quindi, creare contesti in cui impresa e cliente
possano interagire al di là della rappresentazione classica pubblicitaria. Il marketing dell’esperienza sottolinea la
necessità di superare un destinatario passivo e riconoscere l’importanza dell’esperienza significa elevare il
consumatore ad un ruolo attivo e partecipativo. Di qui, il crescente ricorso a mezzi “non-convenzionali”, che
perseguono la creazione di esperienze spettacolari finalizzate ad aumentare il coinvolgimento con il brand
entrando in contesti di interazione quotidiana.
Per Schmitt, gli ambiti in cui il marketing deve intervenire per pianificare strategie esperienziali rivolte al
consumatore sono i seguenti:
✳ il sense con riferimento alle stimolazioni estetiche;
✳ il think che riguarda l’elaborazione cognitiva dell’esperienza;
✳ il feel che comprende emozioni e affettività;
✳ l’act con riferimento ai comportamenti e agli stili di vita;
✳ il relate che fa riferimento al contesto socioculturale in cui il consumatore è inserito e le relazioni di
influenza che egli instaura.
Pine e Gilmore (1999), inaugurando il marketing dell’esperienza hanno descritto l’esperienza come una forma di
offerta economica a sé stante, distinta dai servizi e dai prodotti, nei confronti della quale esistono da parte dei
consumatori aspettative di intrattenimento, coinvolgimento e memorabilità. Esperienzalizzare l’offerta significa
ricorrere ai servizi per creare il contesto dell’esperienza e ai beni per coinvolgere il consumatore sul piano
emozionale, fisco e intellettuale.
Alla base dell’offerta esperienziale c’è quindi la partecipazione del consumatore, e quindi non solo intrattenere i
clienti, ma anche coinvolgerli.
Le tipologie o ambiti di esperienza sarebbero:
✳ il campo dell’intrattenimento, che prevede l’esposizione passiva del consumatore a stimolazioni
cognitive come accade quando si ascolta musica
✳ il campo dell’educazione, quando alla semplice stimolazione cognitiva si coniuga la partecipazione
attiva con l’obiettivo di stimolare un apprendimento
✳ l’area dell’evasione, caratterizzata da esperienze dove l’immersione è molto più profonda rispetto alle
esigenze di intrattenimento o educative

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✳ il campo dell’esperienza estetica che prevede l’immersione passiva del consumatore, il quale non entra
in interazione con l’ambiente se non in qualità di osservatore.
Secondo questo modello, le esperienze più ricche comprendono aspetti di tutti e quattro i campi. Gli autori
sostengono che il coordinamento di tutte e quattro le dimensioni consentirebbe la creazione di un “luogo”
simbolico che indurrebbe i consumatori a intrattenersi più a lungo, con maggior soddisfazione e un
coinvolgimento cognitivo e mnestico superiore.
Per autori come Schmitt e ancora di più per Pine e Gilmore l’esperienza deve essere parte dell’offerta, finalizzata
ad arricchire i prodotti offerti. Questa visione dunque si allontana drasticamente dalla concezione originaria della
componente del consumo fornitaci da Holbrook e Hirschman. L’esperienza qui non era assimilata a una
proprietà identificabili nell’offerta, ma più propriamente in linea con la conoscenza psicologica del costrutto, era
descritta nella sua dimensione primariamente soggettiva, come risultante di un vissuto individuale riconducibile
all’interazione dell’individuo con le variabili ambientali piuttosto che con beni e servizi orchestrati ad hoc ma
cmq non oggettivabile esternamente.
Carù e Cova (2003) spiegavano che un limite del marketing esperienziale è il fatto che, la progettazione
dell’esperienza che si focalizza solo sul rendere memorabili certi eventi sottovaluta che l’esperienza non
equivale a una somma di stimoli, ma è un processo interpretativo del soggetto.
Nel considerare i significati che la marca può rappresentare si evidenzia la dimensione interpretativa su cui si
basa l’esperienza del consumatore. Emerge quindi la necessità di pensare alla progettazione non come una
caratterizzazione dell’offerta da veicolare ad un consumatore più o meno passivo, ma come il risultato di un
lavoro di interpretazione dei vissuti del consumatore a di adattamento a un principio di costruzione partecipativa
della relazione. Le limitazioni del marketing esperienziale come inteso da Schmitt sono da ricondursi al fatto di
studiare e spiegare l’esperienza solo attraverso le risposte comportamentali del consumatore senza far
riferimento a nessun meccanismo interpretativo da parte del consumatore.

BOX – UN MARKETING ESPERIENZIALE è POSSIBILE

Gli approccio esperienziali risultano oggi caratterizzati da una certa parzialità in quanto spesso vengono associati
all’attività di shopping e quindi si focalizzavano solo sul mondo del retail o ancora vengono banalizzati
nell’ambito della comunicazione pubblicitaria senza che in realtà vi sia una vera esperienzializzazione
dell’offerta.
In realtà un approccio esperienziale può essere concepito per rinnovare la posizione competitiva di un prodotto-
servizio, rafforzando agli occhi del consumatore il significato e il valore dell’offerta. Di conseguenza
l’esperienza che il consumatore vive va intesa in senso “olistico”: egli infatti deve formarsi la sua customer
experience lungo tutto il suo processo di acquisto e uso del prodotto-servizio.
Prendendo spunto dai contributi di Schmitt e Laselle Britton possiamo far riferimento a 5 valenze che possono
contribuire a produrre customer experience. La situazione deve essere gratificante dal punto di vista razionale,
ma anche stimolante su 1 o più piani (emotiva, relazionale, valoriale, cognitiva, sensoriale) in modo da formare
un ricordo positivo e duraturo verso il brand. Il modello però rischia di concretizzarsi in una serie di azioni
operative disarticolate che non concorrono alla concezione olistica necessario al vissuto esperienziale. Serve
perciò una cornice strategica dove assumano coerenza le singole iniziative esperienziali. Per questa ragione si
può ricorrere a un processo/metodo in 5 fasi con cui governare l’esperienzializzazione dell’offerta aziendale.
• Fase 1: individuazione del “potenziale esperienziale” che è proprio del brand. Esso viene esplorato con
ricerca qualitativa e osservazionale sui clienti e non-clienti della marca. I l risultato è una mappa
esperienziale che riproduce le 5 valenze esperienziali (cognitiva, emozionale, sensoriale, relazionale e

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valoriale) e le fasi del processo di acquisto del consumatore. In essa saranno indicate le “attese
esperienziali” dei consumatori ricavate dalle indagini.
• Fase 2: La mappa esperienziale aiuta a definire l’experience concept necessario per impostare
l’evoluzione dell’offerta su basi strategiche. L’experience concept corrisponde al sistema di bisogni più
ampio entro quale si può inserire il significato dell’uso del prodotto per il cliente.
• Fase 3: Gli elementi definito fin qui permettono ora di delineare la vera e propria strategia esperienziale.
Essa comporta 3 tipi di scelte, fra loro collegate:
• il mix di ruolo fra fornitore e cliente (quando possibile partecipazione attiva del cliente)
• il grado di personalizzazione della relazione con il cliente
• il “tema” sul quale impostare la proposta al cliente
Anche qui dovrà esserci una stretta coerenza con la brand strategy, in particolare con la brand value
proposition.
• Fase 4: Si procede con la progettazione operativa dei contenuti esperienziali che l’offerta dovrà cercare
di far vivere ai clienti. Le possibilità sono molteplici: attivare una o più delle 5 valenze esperienziali
durante processo d’acquisto attraverso le leve del marketing e quindi infine esperienzializzare il
prodotto, la marca e la rete di vendita.
• Fase 5: fase di controllo dei risultati, ad esempio la misurazione dell’impatto sull’immagine della marca,
e ancora meglio del differenziale di prezzo che l’offerta esperienzializzata permette di realizzare.

Experience design paradox

Gli stimoli fisici che sperimentiamo nei luoghi prescelti influiscono non solo sulla qualità dell’esperienza e sulla
soddisfazione, ma possono condizionare il consumo attraverso due livelli di influenza: fisico-sensoriale e
simbolico.
Kotler (1973), ha ampiamente dimostrato l’effetto dell’esperienza legata alle caratteristiche ambientali sul
comportamento di consumo. La pianificazione atmosferica è stata definita da molti come una determinante
primaria del successo o fallimento di un’attività commerciale.
Olivero (2005) ha introdotto il concetto di “experience design paradox” e cioè la contraddizione osservabile da
un lato tra l’esistenza di un notevole background di ricerca empirica sul tema, la consapevolezza della rilevanza
della progettazione dell’esperienza ormai condivisa da tutti e, dall’altro lato, la difficoltà a rispondere attraverso
l’implementazione di una strategia sistematica nella progettazione.

Variabili ambientali e paradigma S-O-R

La maggior parte delle sperimentazioni hanno spesso adottato il paradigma di tradizione neo-comportamentista
Stimolo-Organismo-Risposta (S-O-R) concentrandosi su risposte comportamentali quali l’approccio,
l’evitamento, il grado di soddisfazione, la quantità di shopping e il tempo trascorso nel negozio.
Barman e Evis (1995) distinguono 5 categorie principali di stimoli:
1. variabili esterne (es. architettura edificio, vetrine…)
2. variabili interne (illuminazione, profumi, suoni…)
3. layout e design (organizzazione degli spazi, arredamento)
4. point of purchase e decorazioni (display dei prodotti, indicazioni...)
5. variabili umane (affollamento, personale di vendita …)

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La ricerca ha dimostrato che una valutazione positiva dell’ambiente contribuisce ad aumentare le vendite e
induce i consumatori a dedicare più tempo nell’esplorazione delle merci e a visitare il negozio con maggiore
frequenza.

Colori
L’evidenza empirica dimostra come saremmo attratti maggiormente dai colori caldi quali il rosso o l’arancione,
ma poi tenderemmo a considerare come più piacevoli quelli freddi. Inoltre, molti effetti vengono manipolati
dall’illuminazione e in ulteriori studi si è potuto vedere come l’adozione di illuminazione supplementare produca
un effetto positivo sul comportamento del consumatore in termini di numero di prodotti acquistati, di tempo
dedicato all’esplorazione dei prodotti e di numero di items visionati.

Musica
L’impatto della musica influenza la quantità delle vendite e il livello di eccitazione dei consumatori. Tuttavia,
l’impatto della musica appare dipendere dall’età dei consumatori, dal tempo, dal volume e dall’uso della musica
in sottofondo. In uno studio condotto da Yalch e Spangenberg (1990) i consumatori più giovani trascorrevano più
tempo nel negozio in presenza di musica in sottofondo, mentre i consumatori più anziani reagivano allo stesso
modo in assenza di musica di sottofondo. La musica inoltre sembrava poter influire sull’acquisto d’impulso, ma
solo quando i consumatori non erano task-oriented, cioè già motivati verso acquisti specifici.

Odore
Anche l’odore appare influenzare il comportamento del consumatore. Mitchell, Kahn e Knasko (1995) hanno
dimostrato l’effetto positivo dell’uso di odori congruenti con il tipo di merce in vendita. In presenza di odori
congruenti aumentava il tempo dedicato alla ricerca di informazioni sul prodotto e ne migliorava la relativa
memoria. Inoltre, i soggetti sperimentali percepivano il tempo trascorso nel negozio come inferiore rispetto al
tempo percepito in assenza di profumo. In generale gli studi dedicati alla manipolazione dell’odore
nell’ambiente di shopping hanno evidenziato la sua tendenza a interagire con le altre variabili e il suo impatto
sulla sfera emotiva, data la connessione del bulbo olfattivo al sistema limbico deputato al controllo delle
emozioni.

Layout
Il modo in cui i prodotti vengono esposti pare avere un effetto significativo sull’esperienza di shopping. Usare
grandi display e cartelli che forniscono informazioni sul prodotto sono tutte strategie che consentono di attirare
l’attenzione verso il prodotto con il risultato di aumentare le vendite. Il layout del negozio, ovvero il modo e lo
stile in cui i prodotti sono organizzati nello spazio sembra invece avere un ruolo sulla percezione dei prezzi.
Smith e Burns (1996) in un loro studio hanno dimostrato come, al diminuire del numero di prodotti esposti si
verificava un aumento del prezzo percepito degli stessi.

Variabile umana
È un’altra componente fondamentale. Le persone che popolano un ambiente di consumo, siano esse clienti o
personale addetto alle vendite, influiscono sul modo in cui il contesto di shopping viene esperito. La variabile
umana può incidere in termini di affollamento e determinare difficoltà nella mobilità all’interno del contesto di
shopping, rendendo difficile la reperibilità dei prodotti o addirittura ostacolando l’esperienza di consumo. Gli
autori (Grossbart,Hampton,Lapidus, 1990) hanno poi fatto una distinzione tra affollamento reale e affollamento
percepito, dimostrando come quello percepito ha un’influenza particolarmente negativa soprattutto nei
consumatori task-oriented.

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Inoltre, è risultato che quando il personale di vendita indossava una divisa e accoglieva la clientela cortesemente,
la qualità del servizio veniva giudicata nettamente superiore rispetto a quando il personale di vendita si
confondeva con il pubblico.

Le componenti simboliche dell’esperienza

La maggior parte della ricerca empirica in questo ambito ha seguito il paradigma stimolo-risposta-organismo
osservando il verificarsi di effetti anziché proporre nuovi quadri interpretativi. Tra le eccezioni di ricorda un
tentativo di ampliamento del modello classico credo-atteggiamento-comportamento basato sulla teoria
dell’azione ragionata (Ajzen e Fishbein, 1980), con cui si dimostra che, al fine di aumentarne la capacità
predittiva sul comportamento di shopping, il modello dovrebbe includere le caratteristiche di negozio, design,
assortimento, caratteristiche demografiche e variabili riflettenti l’identità sociale e l’orientamento in termini di
stile di vita dei consumatori. Ci si allontana dalla concezione neo-comportamentista di un consumatore che
elabora informazioni e risponde agli stimoli esterni con una certa gamma di risposte comportamentali per
abbracciare una concezione di consumatore che interagisce con l’ambiente esterno anche ai fini
dell’appartenenza sociale, dell’autoespressione e della costruzione identitaria.
Berman e Evans (1995) hanno proposto uno schema dove si elencano le variabili intervenienti rispettivamente ai
livelli dello stimolo, dell’organismo e delle risposte. Lo schema è stato aggiornato e sono state aggiunte le
componenti culturali e motivazionali che consentono l’interpretazione di possibili risposte comportamentali,
relative allo sviluppo di fiducia, al bisogno di controllo, alla percezione di rischio o a processi identificativi e
comunicativi. Lo schema suggerito evoca il superamento del paradigma S-O-R, ma anche della prospettiva che
vorrebbe il consumatore come un decision maker sempre impegnato nell’elaborazione razionale di informazioni
in quanto orientato alla risoluzione di problemi. Al contrario, si aderisce a una interpretazione del consumo che
evidenzia il ruolo delle sue componenti edonistiche e simboliche.
Douglas e Isherwood (1979) hanno dato un contributo antropologico che vede il consumo come un momento
privilegiato per la costruzione identitaria che si attua attraverso la scelta fra diverse marche, ovvero attraverso
l’adesione a determinati simboli culturali che si accompagnano ai prodotti e agli ambienti in cui i prodotti
vengono rappresentati. In alcuni ambiti la funzione simbolico-rappresentativa è particolarmente saliente, ad
esempio in contesti di consumo artistico-ludico, come nei prodotti di moda.
Distinguere il consumo dall’acquisto consente di riconoscere il ruolo primario dell’esperienza e di evidenziare
che le variabili atmosferiche costituenti il luogo di consumo possono considerarsi fra le determinanti del
significato simbolico attribuibile ai prodotti.
Nel proporre la prospettiva esperienziale in contrapposizione a quella dell’information processing, Holbrook e
Hirschman (1982) oltre alla componente simbolica enfatizzano il ruolo dei processi di pensiero primari che
assecondano il principio del piacere derivante dalla stimolazione fisico-sensoriale.
L’enfasi sulla funzione esperienziale porta a esplorare variabili fisiche o simboliche soggettivamente. L’analisi di
tali elementi non osservabili necessita l’adozione di metodologie introspettive che consentono di rendere conto
di come il consumatore stesso interpreti l’esperienza di consumo. L’approccio di ricerca indicato è pertanto
quello fenomenologico, che attribuendo all’esperienza un ruolo fondante per l’analisi dell’universo psicologico
eleva a dato significativo tutti gli aspetti dell’esperienza di consumo, relativi a colori, emozioni, ricordi evocati,
suoni.

BOX – IL LUOGO NELL’ESPERIENZA DI ACQUISTO E DI CONSUMO

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I luoghi commerciali sono sempre più spazi relazioni, luoghi di svago, socializzazione etc. Le caratteristiche
fisiche del negozio assumono un ruolo cruciale, poiché diventano portatrici di un messaggio promozionale e
contribuiscono a chiarire l’identità del prodotto e dei suoi consumatori.
Mehrabian e Russel (1974) hanno proposto un modello teorico d’impianto Stimolo-Organismo-Risposta, ove i
comportamenti di avvicinamento o evitamento del consumatore di fronte allo stimolo del negozio sono mediati
da 3 stati emozionali, (piacere, attivazione e controllo). Successivamente Bitner (1992) ha proposto un modello
che si riferisce all’ambiente di vendita nel suo insieme definito “servicescape”. Esso indica l’ambiente ove
l’esperienza di acquisto/consumo prende forma, viene assemblata, e l’interazione tra le parti ha luogo. Le
caratteristiche ambientali vengono percepite (servicescape percepito) dando origine a risposte cognitive, emotive
e fisiologiche nel personale e nel cliente, le quali determineranno i comportamenti di avvicinamento ed
evitamento nonché le interazioni sociali. La relazione tra servicescapee risposte interne può essere moderata da
fattori situazionali e personali.
Oltre alle caratteristiche ambientali connesse agli aspetti architettonici e spaziali, il servicescape è composto
anche da caratteristiche sociali e relazionali connesse al personale di vendita e gestione. Un esempio concreto
può essere quello di vedere come due Paesi molto diversi possono realizzare interventi finalizzati a creare
servicescape specifici ma che portano a vivere esperienza molto simili. È il caso degli interventi realizzati
dall’architetto Philippe Starck in 2 locali, uno a New York e l’altro a Pechino. A newyork ha progettato, un locale
molto in voga con lounge bar, caffetteria, biblioteca, tutto all’interno dell’hotel Hudson. A Pechino, il LAN è un
locale notturno di punta con ristorante, lounge bar e altri ambienti innovativi. I due locali differiscono sotto molti
aspetti, ma il cliente riesce a cogliere nella propria esperienza elementi positivi e piacevoli che rendono in
qualche modo una continuità d’esperienza tra i due servicescape. In altre parole, a un processo di
globalizzazione impositivo e fonologico, viene preferito uno dialogico, dove le diversità si fondono
creativamente per innovare, dove identità vicine e lontane si mescolano per dare origine a una nuova terza
identità di prodotto, di servizio, di consumo e culturale.

L’introspezione come metodo di accesso all’esperienza

La maggior parte degli studi sulla relazione tra stimoli ambientali e comportamento di consumo si è concentrata
sull’effetto di una o due variabili osservate in condizioni sperimentali o attraverso l’uso di questionari auto
compilati. Parallelamente alla limitata validità dei dati raccolti, l’osservazione di solo alcune variabili non
soddisfa la necessità di rilevare l’effetto del contesto di shopping in una condizione di insieme o la rilevanza di
ciascun stimolo in presenza di altri.
Un’altra dimensione di ricerca che merita di essere esplorata riguarda la relazione fra variabili ambientali e
diversi target anche se l’importanza di questi risultati viene messa in forse dalla consapevolezza di una crescente
inadeguatezza delle tecniche di segmentazione classiche basate sulle caratteristiche demografiche ai fini della
predizione del comportamento. Queste ultime non sarebbero in grado di descrivere la mutevolezza e
l’eterogeneità dei modelli di consumo non riconducibili a gruppo socio-demografici.
La soluzione è quella di costruire una segmentazione che tenga conto del valore simbolico di determinati stimoli
ambientali e del loro ruolo a livello esperienziale attraverso l’uso di tecniche introspettive di ricerca per la
rilevazione di componenti emozionali, sentimenti di identificazione e più in generale, del vissuto che il soggetto
ha della situazione e del contesto.
Thompson et al. (1989) suggeriscono il ricorso al paradigma della fenomenologia esistenzialista per studiare
l’esperienza di consumo. Il paradigma giunge ad una psicologia olistica basata sul contesto che vede gli esseri
umani in modo non dualistico e che mira a descrivere l’esperienza così come viene vissuta dall’individuo.

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Marketing non-convenzionale

L’importanza di focalizzarsi sull’esperienza segnala un cambiamento di prospettiva che riguarda innanzitutto il


ruolo del consumatore e il suo coinvolgimento attivo nella relazione con l’azienda produttrice.
Il valore strategico di far interagire il consumatore direttamente con i prodotti e stato riconosciuto attraverso la
diffusione delle promozioni.
Negli anni ’90 si è parlato di crisi della marca facendo riferimento al sovraffollamento e al venire meno della
loro funzione distintiva. La crisi della marca è stata ricondotta alla crisi della pubblicità istituzionale e oggi in un
tale contesto di agguerrita concorrenza, investire sulla visibilità del marchio attraverso campagne stampa e
pubblicità televisive oltre ad essere costosissimo non pare dare garanzie di successo.
La sfida del marketing è stata quella di riuscire a raggiungere il consumatore nel suo quotidiano, permettendogli
di fare esperienza del prodotto promuovendo coinvolgimento e partecipazione. Le promozioni con cui si mostra
il prodotto e lo si fa provare all’interno dei punti vendita, possono considerarsi come i primi esempi di strategie
rivolte al coinvolgimento del consumatore.
L’abbandono di mezzi di comunicazione convenzionali a favore di tecniche che mirano a entrare direttamente
nell’esperienza del consumatore è stato indicato come una nuova tipologia di marketing, nota con il termine
marketing non-convenzionale.
Il marketing non convenzionale ricorre a mezzi e a strategie più interattive per coinvolgere direttamente e
attivamente il consumatore.
Il termine marketing non convenzionale si diffonde attraverso il tam-tam generato dai blog di settore (effetto
buzz) che a differenza delle testate specializzate supportano un flusso informativo generato dal basso attraverso
lo scambio rapido e costante delle comunicazioni tra i lettori/autori.
A differenza della strategia convenzionale che prevede il lancio del prodotto e successivamente la sua
promozione attraverso i mezzi per la comunicazione pubblicitaria, in una strategia non-convenzionale la
promozione inizia in genere prima della diffusione del prodotto al fine di creare un’aspettativa o un consenso su
soggetti che hanno il potenziale di influire su molte altre persone. Il lancio del prodotto può seguire la diffusione
di queste informazioni e raggiungere quelle persone che, essendo già sensibilizzate e incuriosite rispetto
all’argomento, saranno propense ad alimentare un passaparola persuasivo nei confronti di altri consumatori.
Un obiettivo della strategia di marketing non convenzionale è di coinvolgere prima di tutto quegli individui che
per esperienza, specializzazione e attività on line, possono essere chiamati influencer, affinché attivino a loro
volta processi di passaparola rispetto all’ambito di cui sono considerati degli esperti.
Una differenza significativa tra la strategia convenzionale e quella non-convenzionale è insita nella direzione del
flusso comunicativo. Nel primo caso ha un andamento discendente, dalla comunicazione pubblicitaria al
consumatore, che rischia di esaurirsi a meno che non si inneschi un passaparola post vendita legato alla
soddisfazione per l’acquisto, nel secondo il flusso viene alimentato dal basso e prevede sin dagli inizi una
partecipazione attiva del consumatore per la diffusione dell’informazione. Il flusso non convenzionale implica
quindi il coinvolgimento del consumatore nelle fasi cruciali dell’attività persuasiva.
Fra queste strategie ricordiamo il cosiddetto guerilla marketing.
A partire dagli anni ’80 il guerrilla marketing divenne popolare come tattica utile ad affrontare mercati altamente
concorrenziali e difficili da penetrare. Nel linguaggio militare la guerriglia rappresenta quell’insieme di tattiche
usate dall’esercito per conseguire la vittoria in condizioni di inferiorità numerica o tecnologica. Nella metafora
del guerrilla marketing l’azienda si troverebbe a sfruttare metodi ingegnosi per battere il nemico della
concorrenza e per raggiungere il consumatore a costi inferiori rispetto a quelli delle strategie convenzionali.
L’obiettivo fondamentale è quello di sorprendere il consumatore nel suo territorio, attraverso un’azione limitata
nel tempo e nello spazio.
La strategia si pone un duplice obiettivo:

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✳ superare la barriera che il consumatore innalza nei confronti dei messaggi pubblicitari;
✳ produrre un effetto sorpresa tale da stimolare il passaparola e attirare l’attenzione mediatica al fine di
amplificare il ritorno in termini di contatti e di brand awareness.
Un elemento di criticità è la necessità di valutare l’integrazione fra la campagna di guerrilla e le altre strategie di
comunicazione dell’azienda.
Oggi le aziende ricorrono sempre più spesso al disegno di un concept narrativo che rimanda alla marca senza
doverla esplicitare e che troverà nella comunicazione convenzionale una linea di continuità. Come si vede le Box
su Lines, la strategia può creare una narrativa all’interno della quale la marca si inserisce solo successivamente
ma in modo naturale grazie alla coerenza dei suoi valori con quelli rappresentati dal testimonial.

BOX – Petal veil, il testimonial finzionale di lines

Nella primavera del 2007 Lines lancia la campagna pubblicitaria per due suoi prodotti di punta Lines petalo blu
e lines velo. Il marketing theme (tema della comunicazione) è stato “la cura di sé”, la pulizia e la delicatezza
sulla pelle. Il target comprendeve ragazze tra i 15-35 anni.
Petal Veil è il testimone funzionale creato dalla Lines e collegato ai brand Petalo Blu e Velo. Petal Veil è lo
strumento usato per entrare in contatto diretto con le donne attraverso il linguaggio della cura.
Le fasi che hanno scandito l’azione di marketing:
• creazione del personaggio e della sua filosofia
• credibilità e popolarità del personaggio
• veicolazione del messaggio
• reveal
Petal Veil nasce come un personaggio positivo, importante e misterioso. Attraverso il web diffonde la sua
filosofia e viene creato un tour girando tutta l’Italia a bordo di un motorhome alla ricerca di una musa ispiratrice.
La notizia è stata riportata su tutti i media e il reveal è iniziato il 10 settembre 2007. L’approccio che questo guro
ha avuto nei confronti di queste ragazze ha consentito di comunicare il ruolo e soprattutto i valori dell’azienda
rendendoli una figura d’ascolto per le giovani clienti lines. Le ragazze contattate sono state oltre 5000 e a 200 è
stato offerto un trattamento di bellezza.

Passaparola

L’uso del testimonial funzionale da parte della Lines è un tipico caso ibrido in cui si sfrutta l’effetto buzz sia
delle comunicazioni on-line sia di quelle tradizionali, oltre ad intervenire sulla narrativa del marchio. Che si
ricorra ad un evento sorprendente, o che si diffonda un concept narrativo, l’obiettivo sarà sempre quello di
coinvolgere il numero più alto di persone e ottenere la maggiore risonanza mediatica.
Marsden e Kirbi (2006) usano il termine “ombrello” connected marketing per indicare il word of mouth, il buzz
e il viral marketing ovvero tutte quelle strategie basate sulla diffusione di informazioni che ricorrono al
passaparola come mezzo per la stimolazione della domanda. Si ricorda la distinzione tra word of mouth e word of
mouse (passaparola on line). Secondo alcuni quello on line è più efficace grazie alla velocità di trasmissione
delle informazioni e anche alla capacità di raggiungere più persone.
Le strategie buzz sono finalizzate esclusivamente a diffondere notizie, l’obiettivo primario è quello di creare
“rumore” stimolando l’interesse dei consumatori che normalmente ricorrono a forum e chat.
Un’altra tipologia di intervento è il viral marketing che, come suggerisce già il termine mira a favorire la
diffusione. Solitamente viene prodotto un video o altro materiale interessante e divertente, dove la marca passa
in secondo piano, in modo da superare l’eventuale atteggiamento di chiusura nei confronti del messaggio, che
invogli il soggetto a condividerlo con i suoi contatti, facilitando in questo modo la sua diffusione. La strategia

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virale per essere efficace deve avvalersi degli strumenti della comunicazione digitale che favoriscono la
diffusione in tempi rapidi e a costi irrisori.
Fra le tecniche che si sono sviluppate e che sfruttano l’interattività per coinvolgere i giovani spicca la categoria
degli advergame, veri e propri giochi elettronici che consentono ai brand di raggiungere i consumatori attraverso
un’esperienza ludica.

BOX – Advergame, la pubblicità si fa gioco

Gli advergame propongono un’interessante combinazione tra una situazione di gioco interattivo e veicolazione
di un messaggio pubblicitario. Alla base di tale formato c’è l’obiettivo di creare e diffondere in rete una
situazione divertente.
Pensiamo a quello che ha fatto Nike qualche anno fa. Ha sfruttato una piattaforma di advergame per
pubblicizzare i propri prodotti destinati ad un pubblico di giovani interessati alla partica del basket. C’è una forte
interattività tra giocatore e situazione che vedono appunto i giovani utenti sempre più esperti e motivati a
diventare protagonisti del processo di costruzione di vere e proprie “comunità interattive”.

BOX – Il caso kenwood, viral e guerrilla marketing

Il caso Kenwood inizia nel 2003 quando l’azienda si era resa conto che stava perdendo il suo appeal di marchio
tecnologico e all’avanguardia tra i consumatori che costituivano il core target. C’era quindi la necessità di
cambiare rotta, parlare ai giovani con un linguaggio diverso e con media adatti allo scopo per portare l’immagine
Kenwood ai giovani.
Kenwood lancia così il suo primo filmato virale, con l’obiettivo di far percepire ai websurfers un’immagine
diversa del marchio, meno seriosa e un po’ sopra le righe.
I canali di distribuzione usati sono stati le mailing agli appartenenti alla comunity Kenwood, gli upload sul sito
Kenwood.it, inseminazione su siti generici di intrattenimento e poi video su you tube. Infine realizza un product
placement.
Kenwood è quindi un vero esempio di consumer generated media in cui il mezzo di trasmissione sono gli utenti
stessi. Vanno quindi valutate sempre molto attentamente le potenzialità di circolazione del messaggio e bisogna
studiare una campagna ad hoc e non adattare spot nati per la tv ad un altro mezzo.
Accanto alla strategia virale, Kenwood ha poi realizzato un’azione di guerrilla “Can’t StopMe” in alcune delle
principali città italiani quali Roma, Milano, Palermo e Napoli le persone si sono trovate nel bel mezzo dei
marciapiedi un’automobile completamente bruciata e fumante con la musica dentro che suonava a tutto volume
grazie all’impianto Kenwood. Poi è stato avviato il “Girls washing Cars” in cui 20 coppie di modelle hanno
presidiato i semafori di alcune delle principali città per la gioia degli automobilisti in cui lavavano i vetri e
applicavano dei magneti.
Naturalmente il marketing non convenzionale non sostituisce quello tradizionale, ma deve essere affiancato ad
altre attività a sostegno della brand awareness e della conoscenza qualificata del marchio.

BOX – Chiquita, il progetto “il mio 10 e lode”

L’obiettivo della marca era quello di trasferire i valori della marca a un gruppo di persone che non acquistavano
i prodotti della marca stessa. Gli acquirenti infatti sono di solito le mamme.
Pensare a un progetto che stimolasse i giovani e che creasse un luogo di aggregazione.

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Viene creato così “il bollino blu mettilo tu” in cui veniva chiesto ai giovani, secondo loro, meritava il 10 e lode,
il voto massimo. È stato fatto un tour sulle spiagge adriatiche nell’estate 2007 in cui si proponeva con allegria e
divertimento di interagire con il bollino blu. I bollini potevano essere posizionati su oggetti personali ritenuti da
10 e lode!

BOX – Digital marketing e marketing non-convenzionale, la happiness factory di coca-cola

La campagna di coca cola è composta da 3 fasi: la prima è quella di “SEMINA” in cui lo scopo è quello di
stuzzicare la curiosità dei consumatori stimolando la domanda “ma cos’è?”. Questo viene raggiunto attraverso
un trailer di 32 secondi in tv. Contemporaneamente sulle bottiglie di coca cola appaiano i personaggi del trailer,
così come le facciate e gli interni degli uffici… tutto è pronto per un grande evento lancio!
La seconda fase è quella di AVVIO dove si annuncio che il film completo è uscito e si chiama Happiness Factory
visibile solo nelle sale cinematografiche o sul sito coca cola.
L’altra fase è quella di suscitare una maggiore richiesta di informazioni sull’evento.
La happiness factory proposta dal brand sul sito web colpisce sull’immaginazione dello spettatore, si crea un
dialogo in cui egli stesso diventa parte del team. Coca cola grazie a questa iniziativa ha permesso di vivere
emozioni positive cercando di vivere la vita con più ottimismo.

CAPITOLO 14 – I consumi alimentari

Introduzione

Il diffondersi delle mode, così come in generale la scelta di consumo come conseguenza di un’influenza sociale
si sono spiegati con il meccanismo dell’imitazione, per cui certi beni contraddistinti in termini di pregio ed
esclusività si diffondono gradualmente nella popolazione che intende per l’appunto imitare i gruppi più agiati e
innovatori. Alla base dell’imitazione, è possibile individuare il bisogno a differenziarsi unito all’influenza del
modello ideale rappresentato dalla classe superiore.
Implicita a questa concezione è la rappresentazione piramidale di una società stratificata dove l’accessibilità ai
consumi è primariamente una questione di status sociale oltre che costituire lo stimolo di base alla significazione
dei beni.
Questo principio spiega il fenomeno dell’ostentazione nella scelta di cibi rari e costosi e anche la frequentazione
di ristoranti di lusso al fine di distinguersi dalla massa attraverso l’esibizione di consumi alimentari raggiungibili
a pochi.
Il limite di una spiegazione esclusivamente “differenzialista” per la comprensione dei consumi alimentari
emerge chiaramente nello studio delle società contemporanee complesse. Ovvero, quando il valore simbolico dei
beni si esplicita non soltanto in qualità di status symbol, ma si gioca sul piano emozionale ed esperienziale e
tutte le volte, la riflessione di Bourdieu sulle differenze fra gusti alimentari borghesi e gusti alimentari popolari
sembra essere datata rispetto alle evoluzioni contemporanee, cha hanno dato luogo sia a fenomeni trickle down,
per cui ricercatezze gastronomiche si diffondono costantemente anche tra classi sociali inferiori.

La superiorità simbolica del consumo alimentare

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Il comportamento di consumo alimentare si distingue in modo originale rispetto agli altri consumi in quanto il
valore simbolico del cibo e delle azioni legate al mangiare non si costituisce solo culturalmente in quanto fin
dalla nascita il cibo ha un ruolo centrale nella vita di ognuno. Il valore simbolico del cibo è insito nella sua
natura non si genera nel consumo. Esso si esplica in quanto oggetto primario nella relazione con la madre.
Non appena il bisogno di nutrirsi non è prontamente soddisfatto dalla madre, la mancanza di soddisfazione e
soprattutto l’indipendenza di essa dal controllo del bambino stimola lo sviluppo della consapevolezza di un
oggetto diverso, esterno, indipendente dal sé. La frustrazione del bisogno alimentare appare cruciale per la
scoperta dell’oggetto “latte-cibo” e per l’instaurarsi della prima relazione sociale, quella con la madre. Il cibo è
al tempo stesso un oggetto di piacere, di soddisfazione orale e anche, causa di possibili frustrazioni quando il
desiderio dello stesso non ottiene adeguata soddisfazione.
La forte ambivalenza provata nei confronti del cibo appare un’inevitabile conseguenza della difficoltà a regolare
la pulsione alimentare.
Il cibo può essere considerato l’oggetto relazionale per eccellenza, cruciale e primario anche rispetto alle
relazioni di amore e attaccamento. Il cibo è il primo oggetto di scambio relazionale, un oggetto altamente
simbolico, associato al piacere ma anche rappresentante primario dell’inevitabile dipendenza della relazione con
l’altro, dell’incapacità di bastare a se stessi, di essere veramente autonomi.
I significati simbolici costruiti culturalmente e attribuiti a determinati cibi, non solo si costituiscono
successivamente alle rappresentazioni primarie, ma è ipotizzabile che la loro origine sia per l’appunto favorita
dalla fondazione psicologica della simbologia alimentare. Si deve concludere che il cibo, in quanto oggetto di
consumo, si distingue da tutti gli altri prodotti per la sua maggiore valenza simbolica. Il consumo di cibo si
contraddistingue per la stretta relazione che ha con il corpo. È una relazione di tipo trasformativo in quanto il
cibo ha la facoltà di influire sul corpo e sul suo benessere, diventando parte di esso, modificandone le funzioni e
le sembianze.
L’assoluta specificità del modo in cui si consuma il prodotto cibo, che chiamiamo incorporazione, esprime in
maniera emblematica lo stretto rapporto simbolico tra cibo e identità. (il cibo è quindi funzionale alla
costruzione identitaria).

Vedi BOX – MAGNUM 5 SENSI

Eros e cibo

Il significato simbolico dell’alimentazione che abbiamo detto essere primariamente psicologico si


contraddistingue fin dalle sue origini in senso fortemente erotico. Il latte materno mediante il quale il bambino si
relaziona con la mamma e ottiene soddisfazione orale. Va a costituire il primo dono, la prima dimostrazione
d’affetto.
Secondo Freud (1905), un neonato che succhia il latte dal capezzolo del seno della madre diventa il prototipo di
ogni relazione d’amore. Freud individua la prima fase dello sviluppo psicosessuale, detta fase orale, come
contraddistinta da una non differenziazione fra soddisfazione del bisogno sessuale e soddisfazione ottenibile
attraverso la nutrizione.
Con l’opera “I tre saggi sulla teoria sessuale”, Freud distingue 3 fasi di sviluppo psicosessuale: orale, anale e
genitale. La fase orale, come quella anale, è caratterizzata da un’organizzazione pregenitale della vita sessuale.
In questa fase la soddisfazione sessuale si realizza mediante sollecitazioni orali e viene a rappresentarsi
simbolicamente nell’atto di incorporazione dell’oggetto-cibo, verso cui vengono rivolte anche fantasie
aggressive, sadico-cannibaliche.

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Abraham (1924) ritiene che il mordere rappresenti l’espressione originaria dell’impulso sadico, con cui il
bambino mette in atto la fantasia di annientare l’oggetto, di incorporarlo secondo una modalità aggressiva,
inaugurando in questo modo l’inizio del conflitto di ambivalenza verso l’oggetto di amore e odio.
La dipendenza dal cibo per la sopravvivenza, i fini della soddisfazione orale-erotica caricano di ambivalenza
l’atto del mangiare radicandone le dinamiche attorno alla contrapposizione fra soddisfazione-gratificazione-
dipendenza e astinenza-controllo-autonomia. (la gratificazione orale è di tipo multisensoriale)
La stimolazione orale, che otteniamo da bambini durante la suzione del latte, acquisisce nella vita adulta la
funzione simbolica di sedare il bisogno di amore, fornendo quel conforto necessario nelle situazioni in cui il sé si
sente debole e necessita di affidarsi all’altro.
Va detto che il piacere è fortemente condizionato dalla stimolazione multisensoriale, ed è così che il piacere di
assaporare un buon piatto non dipende solo dal gusto della pietanza, ma anche dal suo aspetto, dal suo odore e
dall’insieme delle stimolazioni che complessivamente contribuiscono a produrre un vissuto esperienziale unico.
L’esperienza multisensoriale dell’atto del mangiare concorre a caratterizzare i consumi alimentari in modo
originale.

BOX – La case history: come perugina continua a essere la marca italiana del cioccolato

Fin dagli anni ’70 il cioccolato era sempre stato considerato un peccato di gola, ma all’inizio degli anni 2000 il
consumatore ha iniziato a intraprendere un cammino di ricerca del piacere, anche attraverso il consumo di
cioccolato. Negli ultimi anni si è virati verso una ricerca del piacere che fosse sia personale, sia da condividere
con gli altri. L’approccio alla degustazione del vino; il rito del bere buon vino ha educato i consumatori a
utilizzare lo stesso approccio nei consumi food classici, e di conseguenza il cioccolato ne ha risentito in modo
positivo.
Più in generale nonostante la situazione economica non favorevole, negli ultimi anni sono presenti due
macrotendenze che hanno favorito l’operazione di Nero Perugina; da una parte l’accentuarsi di prodotti a più
basso indice di prezzo, e, dall’altra l’aumento della penetrazione delle fasce premium anche nei redditi meno
abbienti, perché anche per queste fasce era molto forte il bisogno di gratificazione personale. Inoltre, diversi
studi hanno dimostrato come il consumo di cioccolato agisca in modo positivo sull’umore, e debba appartenere
a una dieta sana e equilibrata, dando grande enfasi all’aspetto di wellness del prodotto. Perugina propone ora un
prodotto sano e naturale senza sentirsi necessariamente in colpa. Il piacere che vuole veicolare l’azienda con il
lancio di Nero Perugina non è un piacere edonistico, tipico dell’adolescenza, ma un piacere adulto, che
attraverso l’esaltazione del fondente permette di vivere un’esperienza inebriante grazie a un percorso di
conoscenza e di cultura su quello che si sta mangiando. La proposizione di perugina attraverso Nero Perugina è
proprio quella di coprire per la prima volta con un nuovo marchio tutto il mondo del fondente e accompagnare i
consumatori tramite la Neroterapia suggerendo loro come e quando degustare il cioccolato, per arrivare a un
piacere che coinvolge tutti i cinque sensi. La Neroterapia vuole offrire il cioccolato della migliore qualità a un
prezzo accessibile, parlando con calore al suo target. Oltre alla comunicazione above the line, sono state
promosse iniziative con eventi e attività di pr con lo scopo di restare sempre in contatto con il consumatore.
Perugina conferma, così. Il suo ruolo di Azienda simbolo dell’arte cioccolatiera italiana e la sua duplice capacità
di essere allo stesso tempo custode di una lunga e ineguagliabile tradizione e simbolo di modernità.

La costruzione identitaria fra disgusto, rifiuto ed eccesso alimentare

Alcuni esempi tipici in cui il comportamento alimentare diventa palese rappresentazione della dinamica
dipendenza\autonomia dalla relazione affettiva sono le patologie alimentari, come anoressia e bulimia. Negli

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ultimi anni le persone affette da disturbi alimentari, come l’anoressia e la bulimia, soprattutto giovani e femmine,
sono diventate sempre più numerose, tanto da rappresentare un disturbo psicologico tra i più comuni. L’aumento
di queste patologie evidenzia la significatività simbolica del cibo nei processi di costruzione identitaria.
Negli studi di Helga Dittmar sugli “acquirenti eccessivi” (prevalentemente femminili), si è evidenziato che le
donne che ricorrono allo shopping sfrenato per compensare carenze identitarie spesso presentano anche disturbi
alimentari interpretabili come aventi analoga funzione compensatoria.
Sia gli anoressici che i bulimici esprimono un rapporto ugualmente conflittuale nei confronti del cibo. Il quadro
bulimico è spesso accompagnato da dipendenze da altre sostanze e da depressione. Il quadro bulimico rispetto
alla trasgressione alimentare che potrebbe nuocere al corpo e che provoca senso di colpa.
L’atto di vomitare dopo un’abbuffata rappresenta un tentativo di riparazione rispetto alla trasgressione alimentare
che potrebbe nuocere al corpo e provoca senso di colpa. Per il bulimico vomitare è come un rito di purificazione
in quando il cibo è desiderato ma deve essere espulso dal corpo perché nocivo all’estetica del corpo.
In altre parole, se il controllo sul corpo ai fini estetici viene imposto dalla comunicazione di massa come modello
di comportamento da imitare, i mezzi per esercitare tale controllo non solo si diffondono con l’intento di
perseguire l’ideale di riferimento, ma alcuni casi, possono entrare nel repertorio comportamentale-comunicativo
degli adolescenti proprio perché si prestano in modo esemplare alla rivendicazione del bisogno di autonomia e
del rifiuto della dipendenza dal cibo-madre-mondo esterno.

L’esercizio del controllo sulla pulsione e differenze di genere

Il comportamento alimentare può essere spiegato, almeno in parte, come esercizio di controllo su corpo e
identità. Questa tematica sembra colpire più le donne e soprattutto giovani che si rivelano più preoccupate per la
linea rispetto agli uomini.
Zajonc (1965) propone la Drive Theory, secondo la quale la presenza di altri avrebbe un effetto eccitante sul
comportamento del singolo, portando a risposte dominanti come l’intensificazione di azioni semplici o, al
contrario, l’inibizione rispetto ad azioni più complesse. L’atto del mangiare è un’azione semplice, suscettibile
pertanto di facilitazione quando condotta in presenza di altri.
Conner e Armitage (2002), come anche De Castro e Brewer (1992) sono tutti autori che hanno messo in luce
attraverso una serie di studi l’effetto della facilitazione sociale quando si mangia insieme agli altri; inoltre hanno
dimostrato che in presenza di altri il pasto durerebbe persino 15 minuti in più rispetto a quando mangiamo soli,
pertanto, le persone in compagnia, mangiano di più e più lentamente.
In sostanza possiamo dire che, se ci sono persone si mangia di più perché, grazie all’effetto di facilitazione
sociale si allenta il controllo cognitivo sul comportamento alimentare. Va detto però che, l’effetto di facilitazione
sociale dipende fortemente dal tipo di gruppo e quindi dal tipo di relazione tra le persone del gruppo, e anche
dalla gestione delle impressioni. Quando mangiamo insieme ad amici, le persone tenderebbero ad essere più
rilassate, allentando i freni inibitori e quindi ricevendo maggiori gratificazioni.
Per esempio, De Castro (2014) ha notato che l’effetto della facilitazione sociale si poteva osservare quando le
persone che mangiavano insieme erano fra di loro in relazione di parentela oppure buoni amici, mentre non si
registrava un aumento del consumo di cibo quando le persone mangiavano fra colleghi di lavoro.
Inoltre, l’idea che il modo in cui consumiamo il pasto possa essere oggetto di giudizio sociale ci porta a riflettere
sulla connotazione morale associata al controllo della pulsione orale. Il controllo della pulsione orale può essere
sottoposto a giudizi perché è rivelatrice del lato istintuale del nostro essere umani. La pulsione orale, se
soddisfatta senza alcun controllo può essere indice di scarso rigore morale, come d’altronde lo è l’assunzione di
sostanze quali fumo, alcol etc.

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Crandall (1994) osservava l’esistenza di persone fortemente orientate al controllo dei grassi. Queste persone
tenderebbero a considerare gli obesi come responsabili della propria situazione e pertanto punibili attraverso
l’esclusione sociale.
Sempre secondo gli studi di quest’ultimo, coloro che considerano il controllo dell’alimentazione come un valore
morale sarebbero anche più tendenzialmente razzisti e predisposti ad affidare le proprie decisioni a schemi
cognitivi pregiudiziali.
L’aspettativa sociale vuole che le donne più attente alla propria linea appare spiegare la tendenza, considerata da
alcuni pressoché universale, ad associare il controllo dell’alimentazione e la scelta dei cibi leggeri alla
femminilità (acqua donna/bevande alcoliche uomo).
In linea con questi dati, i risultati di circa sei anni di ricerca durante i quali abbiamo intervistato 440 donne di et
compresa tra i 19-35 anni in Italia e Inghilterra hanno rilevato una consapevolezza generalizzata circa la
necessità di controllare l’assunzione di cibo per adempiere a “ciò che gli altri si aspettano”.
Il controllo della pulsione è una prerogativa femminile. Per le donne più colte, il controllo sull’alimentazione
veniva interpretato come “comportamento responsabile nei confronti della salute e della prevenzione”, mentre
per quelli più ricche veniva visto come “principali doveri della donna verso se stessa e il proprio partner”.
Differenze culturali riguardavano la relazione tra “controllo alimentare” e “senso di responsabilità nei confronti
della salute” che per le intervistate inglesi appare dipendere dal livello culturale molto più che per le italiane.
Come già suggerito in studi precedenti (Mooney et al, 1994), le donne che si percepiscono meno femminili o che
sentono di esprimere al meglio la propria femminilità esercitano più controllo sul cibo ingerito quando si trovano
insieme a persone il cui giudizio è considerato importante e mangiano di meno di fronte a uomini che
considerano attraenti (effetto di impression management).
Negli ultimi anni le donne riportano di esercitare poco o scarso controllo sul cibo in compagnia di un uomo
attraente, caso che riguarda le giovani inglesi, che affermano di lasciarsi andare e bere di più se a cena con un
potenziale partner.
Concludendo possiamo dire che il comportamento a tavola è l’espressione dell’adattamento alle norme sociali
che prescrivono il controllo e regolano la soddisfazione.
Es: anni 60 ricerca stati uniti su un preparato per torte che aveva fatto flop. Le donne volevano davvero
comprare il preparato, ma vivevano acquisto con un grande senso di colpa, perché non si dimostravano brave
madri di famiglia. La nuova versione richiedeva l’aggiunta di altri ingredienti o decorazioni successive alla
cottura e funzionò.

La cultura dell’alimentazione come espressione simbolica del bisogno di controllo nella società dei
consumi

Secondo Codispoti e Golfarini (2006), alla base dei disturbi alimentari esiste un quadro psicologico di tipo
narcisistico, caratterizzato da un’eccesiva preoccupazione per il sé. Emozioni negative, difficilmente espresse, si
spostano sul corpo, che diventa in questi casi fulcro di identità e delle azioni.
Moltissimi nuovi trend di consumi sono da ricondursi alla visione del corpo come un mezzo per il controllo e la
comunicazione del self in un contesto sociale caratterizzato da incertezza, rischio e complessità. Alcuni
cambiamenti sociali, come l’aumentata percezione del rischio e il venir meno della sicurezza, tradizionalmente
garantite da istituzioni religiose e governative, sembrano mettere in crisi la relazione fra individuo e società,
dove quest’ultima appare sempre più caratterizzata da modelli di isolamento e scambio e sempre meno ispirata a
quelli di comunità e condivisione.
In questo contesto, il comportamento alimentare diviene espressione sintomatica di un ripiegamento narcisistico
di tipo difensivo rispetto all’aumentata incertezza, ma anche proattivo nel perseguimento di una costruzione
identitaria adeguata alle richieste di un ambiente sociale complesso.

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Il trend emergente dell’acqua in bottiglia

L’emergenza del bisogno di controllo, come un fenomeno della società postmoderna è stato segnalato da diversi
autori tra cui i cosiddetti sociologi del rischio come Giddens e Beck. Nuovi trend di consumo indicano un
crescente focus sul corpo, salute e aspetto fisico. Inoltre, la culturalizzazione del cibo viene interpretata come
conseguenza di un maggiore interesse per gli oggetti che sono in relazione trasformativa con il corpo
Un’importante trend di consumo emergente riguarda l’acqua in bottiglia dove tra l’altro l’Italia si rivela il paese
in cima alla classifica per il suo consumo.
Curiosamente il consumo continua a crescere nei paesi in cui l’acqua è potabile, sana e a costo zero.
Come fa notare Wilk (2006), se in alcune città l’acqua potabile pare avere un gusto peggiore, in altre si può
obiettivamente dire il contrario, mentre il risultato di ricorrenti blind test dimostra che molto più spesso di
quanto non sembri la differenza fra acqua potabile e acque in bottiglia non viene percepita.
L’acqua viene trattata come un prodotto che può differenziarsi in modo considerevole, infatti, i produttori di
acque in bottiglia cercano di distinguersi tra loro attraverso marchi riconoscibili e caratteristiche peculiari. Le
marche di acqua si posizionano sul mercato con prezzi e promesse diverse in termini di contenuti e funzionalità.
L’ampia differenziazione delle acque presenti oggi sul mercato ha portato al nascere e al graduale diffondersi
nelle metropoli di locali per la sola degustazione dell’acqua, meglio noti come water bars. Wilk nota che, a
differenza di altri prodotti, per i quali il nome del produttore o un nome fantasia, che ne costituisce il brand è in
grado di conquistare la fiducia del consumatore andando a garantire qualità e sicurezza, per l’acqua il nome del
produttore non viene mai o quasi mai utilizzato alla fine.
Per l’acqua il nome del produttore non viene quasi mai menzionato in quanto la qualità dipende dalla fonte che
la origina. Il paradosso emerge quando si considera una sorta di riluttanza in certi consumatori quando pensano
di bere acqua proveniente direttamente dalla fonte, in quanto la considerano meno sicura e meno controllata.
Il consumatore di acqua in bottiglia, è quindi un cliente che ricerca il benessere e che rinuncia ad altre
gratificazioni orali in nome della salute. È proprio l’assenza di gusto che deprime l’acqua dal senso di colpa, la
rende simbolo di purezza e di non contaminazione.
La preoccupazione nei confronti dell’ambiente esterno (fonti come acqua\gas) che può essere fonte di rischi è
tipica dell’uomo nella società postmoderna.
Per dirla con Baudrillard, diventa iperreale un prodotto di consumo che risulta essere più convincente e
accessibile del suo corrispettivo naturale (acqua), grazie a una comunicazione di marca persuasiva nel
rappresentare in modo credibile sia i valori della natura sia la competenza umana nel dominio della stessa.

BOX – Come rivitalizzare un brand storico

L’azienda Ferrarelle S.P.A è impegnata da più di 3 anni nella rivitalizzazione del suo marchio storico, Ferrarelle.
Mentre nel ventennio precedente il posizionamento era stato chiaro, forte e efficace, negli anni 1990-2004 si è
andati costantemente alla ricerca di un nuovo posizionamento competitivo scommettendo di volta in volta, sulla
gioia di vivere, sulle proprietà dissentanti etc. Questo continuo cambio di rotta ha disorientato i consumatori
portandoli a fare altre scelte di consumo.
L’obiettivo della nuova strategia di Ferrarelle è stato quelli di rinnovare le ragioni per essere la scelta preferita
dei consumatori. Il primo aspetto considerato è stato il target (giovani tra 14-24 anni). Il lancio di nuovi formati,
e di nuovi settori, e ancora di nuovi mercati geografici.

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Ferrarelle diventa così sponsor della Maratona di Roma 2007, acqua ufficiale di Cinema Festa internazionale di
Roma, teatro della scala..
L’orientamento assunto riflette la scelta di un alto posizionamento che si giustifica con le seguenti:
✳ puntare sulla creatività italiana per portare marchio
✳ comunicare l’autentica effervescenza naturale mettendo in evidenza sul packaging il bollino che attesta
che sia l’unica l’acqua minerale in Italia.
✳ sul fronte dell’advertising, agire in controtendenza rispetto alla concorrenza; se i principali player
decantano le acque perché povere di sostanze ed elementi. Ferrarelle punta sulla ricchezza della presenza
di sali minerali che ne determinano il gusto unico.
Ferrarelle ha riconquistato così quote di mercato e a tornare ad avere un trend positivo, nonostante i fortissimi
investimenti spesi che fanno capire quanta fatica si debba fare per rivitalizzare un brand storico gestito in passato
in maniera non ottimale.

Il rischio alimentare e il ruolo della fiducia

Nella storia dell’industrializzazione alimentare cruciale per il superamento delle preoccupazioni dei consumatori
circa sicurezza e qualità dei prodotti industriali.
Con la produzione alimentare industriale il consumatore perde il controllo diretto sugli eventuali rischi
provenienti dalla natura oltre a essere ovviamente sottoposto a nuovi e inquietanti pericoli. Si diffondono così
marchi alimentari in grado di comunicare valori salutisti o più in generale, in grado di sedurre il consumatore
grazie ad una personalità accattivante.
Le resistenze dei consumatori nei confronti del rischio industriale hanno incentivato la promozione di marchi
alimentari in grado di comunicare valori salutisti, o più in generale, in grado di sedurre il consumatore grazie a
una personalità accattivante indipendentemente dalla comunicazione circa le qualità nutrizionali del prodotto. Un
esempio paradigmatico è quello del brand Mulino Bianco appartenente a Barilla.
La comunicazione a favore della naturalità del prodotto viene perseguita anche attraverso il packaging,
attraverso colori come il bianco che richiama purezza, il verde che si associa al concetto di natura e freschezza,
e il giallo per la luce del sole.
Montanari fa notare che il concetto stesso di naturale è frutto di un’elaborazione culturale: anche le scelte più
ecologiche non sono istintive, ma il risultato di apprendimenti e atteggiamenti basati su credenze e orientamenti
valoriali. Il naturale e quindi tradizionale a differenza del nuovo, rimanda a concetti conosciuti che quindi
riducono la dimensione di rischio percepito e incertezza.
Fishler (1988) nota che se una persona non sa cosa sta mangiando corre il rischio di perdere consapevolezza e
controllo su chi è. In questo senso, si spiega l’importanza di rassicurare il consumatore con una comunicazione
che gli consenta un rimando diretto a ciò che è tradizionale e genuino, ma anche attraverso il ricorso a
informazioni sulla provenienza del prodotto e a favore della rintracciabilità dei processi interni alla filiera
produttiva.
La preoccupazione per il rischio alimentare è caratterizzata anche da un effetto di amplificazione sociale, per il
quale il solo fatto di essere al centro dell’attenzione mediatica rende un argomento “amplificato” riguardo la
percezione dei suoi effetti.
Esemplificativo è il caso della diffusione del morbo della mucca pazza o crisi BSE, che comportò una
diminuzione dell’acquisto di carne dei 17% nel 1996, e del 10% nel 1997. I consumatori, a partire dal 1997,
tornarono a consumare carne e derivati in quantità simile a quella registrata in precedenza allo scandalo.
L’effetto di amplificazione sociale da parte dei media sembra dipendere da alcune caratteristiche importanti:
1. un ampio volume di informazioni, indipendentemente dall’accuratezza e dal contenuto
dell’informazione stessa;

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2. un disaccordo tra i vari attori coinvolti nel dibattito dell’azzardo;
3. una drammatizzazione dell’informazione sui rischi, per esempio attraverso la presentazione di scenari di
pericolo e l’uso di particolari terminologie che rimandano alla catastrofe o al dramma.
Gli effetti della drammatizzazione del rischio sembrano maggiori per un azzardo relativamente nuovo e non
ancora presentato al pubblico in un contesto di crisi (per esempio i cibi geneticamente modificati) rispetto a un
pericolo più conosciuto (energia nucleare), per il quale le persone sono già state esposte a un grande dibattito
pubblico nel passato.

BOX – Il caso mulino bianco

Barilla (oggi primo gruppo alimentare italiano) nasce nel 1877 ma, a fronte di uno scenario economico
caratterizzato da inflazione crescente e controllo statale dei prezzi della pasta decide di entrare nel mercato dei
prodotti da forno. Nasce negli anni ’70 Mulino Bianco che si avvale di una strategia innovativa differenziandosi
da competitors a due livelli:
• Usa ingredienti semplici e genuini per biscotti da forma irregolare che ricorda preparazione artigianale;
• Sviluppa campagne promozionali con un richiamo esplicito ai valori della campagna e della vita semplice.
Mulino bianco diventa leadership perché ha saputo rispondere al bisogno dei consumatori di ristabilire un
contatto con valori della tradizione contadina.
Le indagini infatti evidenziavano crescente sfiducia nei prodotti alimentari industriali e Mulino Bianco ha saputo
proporre un modello di vita che si allontana dall’alienazione della città a favore del ritorno alla vita di campagna
e ai valori della condivisione dei pasti con la famiglia.

BOX – Il valore del consumo critico

Il consumo critico nasce in Italia alla fine degli anni 80 e si fonda sulla riflessione intorno al rapporto tra imprese
e consumi e sull’idea che, dietro alla simulazione del consumatore sovrano e dei bisogni cui le imprese cercano
di rispondere, si nascondono comportamenti antiecologici, manipolatori e politicamente scorretti.
Il fine del consumo critico o responsabile è quello di condurre i consumatori a riappropriarsi dell’autonomia
decisionale e di prendere coscienza del potere che possiedono per condizionare le imprese.
La storia del consumo critico in Italia si articolo intorno ad alcune esperienze:
✳ quella del commercio equo solidale
✳ quella della finanza etica
✳ quella dei bilanci di giustizia
✳ quella dei gruppi di acquisto solidali
Il consumo critico e responsabile viene individuato come uno degli strumenti efficaci in grado di contribuire a
ridurre l’impatto ambientale e a salvaguardare l’ecosistema.
I consumatori critici prestano attenzione alla sfera politica rappresentata dai poteri locali, e la scelta di praticare
il consumo critico si inquadra all’interno di modelli di valore che coinvolgono l’organizzazione sociale e la
cultura nel loro complesso. La discussione sulla percezione del rischio rimanda al costrutto di fiducia come
elemento indispensabile per garantire la relazione fra consumatore e produttore.
Se da un lato la relazione con il consumatore appare divenire più difficile, dall’altra la stessa durata della
relazione è minata dall’aumentare costante della concorrenza.
Alle molteplici offerte dei produttori si assiste oggi al fenomeno progressivo delle private label a opera della
distribuzione.

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Coop e Esselunga propongono ormai prodotti di qualità a diversi posizionamenti di prezzo e sembrano ormai
essere per molti preferiti rispetto alle grandi marche in quanto viste più sicure e affidabili. In particolare, al Nord
i consumatori sembrano preferire le private label, mentre al sud si preferiscono le grandi marche industriali.
Se per i prodotti alimentari in generale vengono preferite le private label, per i prodotti caratterizzati da un
maggiore contenuto di innovazione, come i prodotti funzionali, sembrano ancora essere preferite le marche
industriali.

BOX – Zuegg Frullì: pura frutta da bere

Zuegg crea nuova linea di bevande Frull per rispondere a nuove esigenze alimentazione per l’infanzia. Rispetto
ad altri succhi di frutta, Frullì è l’unico a posizionarsi sul mercato come 100% naturale: solo frutta e acqua senza
zuccheri aggiunti e presentati in forma di polpa vellutata. È una nuova linea di bevande prodotta da Zuegg unico
a potersi configurare come 100% naturale.
Nasce perché sul mercato c’è poca differenziazione e perché le famiglie ricercano uno stile di consumo
alimentare più sano ed equilibrato e cercano di evitare il problema dell’obesità infantile.
Le caratteristiche di Frullì non sono solo il fatto di essere merenda dissetante, nutriente e piena di salute, ma
contribuiscono a diffondere nei bimbi l’attenzione nei confronti di un consumo alimentare più consapevole. Per
questo motivo, un ruolo importante per la comunicazione e promozione del nuovo prodotto sono stati eventi
nelle scuole dedicati a tema prevenzione obesità e alimentazione sana. L’altro target è costituito dalle mamme
nel loro ruolo di responsabili d’acquisto.
Nella fase di lancio si è puntato su una comunicazione comparativa rispetto a competitors dove si invitava il
consumatore a consultare le tabelle degli ingredienti (scatola succo diventa libro che invita a lettura ingredienti).
Per quanto riguarda il posizionamento distributivo, nei supermercati Frullì viene esposto insieme ai prodotti
ortofrutticoli, per sottolineare la naturalezza del prodotto. Anche nel packaging sono state proposte delle novità:
le classiche confezioni potevano risultare troppo comuni rispetto a novità decantate dal prodotto, quindi si è
scelto un formato esclusivo più sottile e slanciato e caratterizzato da disegno della fustella ondulata che percorre
tutta lunghezza del brick.
Infine, Zuegg lavora anche con logiche di tutela ambientale: il prodotto naturale riduce la produzione di rifiuti.
Il prodotto vuole collegarsi come il classico frullato di frutta, senza aggiunta di sostanza. Zuegg analizzando il
mercato ha visto che c’era una domanda insoddisfatta soprattutto per i bambini di età compresa tra i 3-8 anni per
la colazione e la merenda. Esso si dimostra anche come una risposta concreta al tema dell’obesità infantile, ma
promette anche alle mamme una qualità e un buon prezzo. La strategia del lancio è stata quella di tipo
comparativo in cui si focalizzava sugli ingredienti del prodotto. Gli espositori venivano messi vicino ai prodotti
ortofrutticoli per esaltare la naturalezza del prodotto e il packaging è stato ridefinito in quanto elemento
fondamentale per l’immagine. La nuova campagna vedrà esperti di nutrizione Zuegg promuovere tema
alimentazione in molte scuole elementari; poi ci sarà un tour in collaborazione con Disney e Mercedes Benz in
occasione della presentazione del film “Le cronache di Narnia”, dove verrà allestito un villaggio a tema dove
saranno presenti giochi e animazioni dove protagonista è Frullì e il tema della buona alimentazione.

Globalizzazione e slow food

L’accettabilità di cibi nuovi è stata oggetto di misurazione attraverso la Scala di Atteggiamento della Neofobia
Alimentare (Food Neofobia Scale) al fine di poter predire le probabilità di successo di varie tipologie di cibo, tra
cui anche i cibi etnici considerati non familiari. La familiarità del cibo è un attributo fondamentale in quando
seno di rifiuto o accettazione dei prodotti alimentari.

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La componente di familiarità del cibo come attributo significativo nella spiegazione del rifiuto o
dell’accettazione dei prodotti alimentari acquisisce notevole significatività rispetto alla globalizzazione del
sistema agroalimentare.
Dopo aver scoperto i cibi etnici, ovvero essersi esposta al modello di cucina internazionale del passato, la nostra
elite gastronomica ha messo in atto un tipico effetto snob, andando a rifiutare le produzioni che potevano
raggiungere la massa e dando il via a un processo culturale di rivalutazione dei prodotti tipici del territorio.
A questo riguardo è doveroso citare il movimento internazionale dalla paternità tutta italiana, denominato in
modo emblematico slow food.
Nato con la finalità di contrapporre la ricchezza del cibo proposto nei fast food, si Ł imposto in poco tempo
come un movimento in grado di contribuire in modo costruttivo al decision making in campo agroalimentare a
livello internazionale.
Dunque, si pone come obiettivo la promozione del diritto a vivere il pasto, e tutto il mondo dell’enogastronomia,
innanzitutto come un piacere.
Il concetto di cucina del territorio che salvaguarda le tradizioni e che mira a un certo conservatorismo locale è
un’idea nuova, mentre già la cucina mediterranea e quella europea aspiravano a conquistare tutto il mondo.
Il movimento braidese (Bra è la città in provincia di Cuneo) ha dato vista al Slow Food che nasce con la finalità
di contrapporsi al Fast Food.

BOX – Slow food pag. 618

I nuovi luoghi del consumo alimentare

L’importanza data ai consumi alimentari si evidenza anche dall’attenzione che viene data al disegno di nuovi
luoghi per il consumo e il commercio del cibo.
La progettazione è sempre più orientata a soddisfare esigenze emergenti che rimandano al bisogno di recuperare
il rapporto di vicinanza con la produzione, e che oltre a richiedere un’attenzione particolare ai valori della qualità
e del genuino, perseguono un coinvolgimento sensoriale ed esperienziale.
Nelle due box successive ci sono due esempi tale proposito.

BOX – Agriservice

È una società di Teramo costituita da 136 aziende agricole e allevatrici cha hanno sperimentato con successo una
nuova formula commerciale, ovverosia, una rete di vending machine di latte fresco e di un supermercato
alimentare ad assortimento completo collocato lungo la superstrada che conduce a Giulianova.
Conta su 4000 clienti che per cultura e mentalità sono alla ricerca di prodotti alimentari del territorio di qualità
superiore.
L’azienda può praticare prezzi contenuti avendo eliminato ogni intermediazione commerciale inoltre la relazione
diretta con la struttura di vendita permette la massima garanzia di genuinità. Inoltre, si possono assaggiare
spuntini e piatti rapidi.
In sostanza Agriservice ha risolto efficacemente il compito di declinare in modo originale ed efficace il concetto
di farmer maker che tanto successo sta riscuotendo negli Stati Uniti. Il bisogno di naturalità e di salubrità
rappresenta la tendenza principale.

Eately

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Centro enogastronomico polifunzionale aperto a Torino nel 2007 con l’obiettivo di offrire al pubblico cibi di
qualità a prezzi ragionevoli e di comunicare, al tempo stesso, i metodi produttivi e la storia di tanti produttori che
costituiscono il meglio della gastronomia italiana. Il punto vendita si struttura in aree di vendita specifiche, in
aree di ristorazione e aree dedicate alla didattica. È un grande mercato dove è possibile fare esperienze sensoriali
vere e proprie come nei reali mercati rionali ai quali il progetto è ispirato.
La presenza di una biblioteca, le sale di degustazione, il percorso visivo etc., mettono in luce un grande mercato
di “alti” cibi dove comprare, mangiare e imparare.

Eataly e slow food


Slow food ha accettato il ruolo di consulente strategico di Eataly, individuando in questo progetto una forma
moderna e innovativa di distribuzione alimentare da affiancare soprattutto alle grandi città.

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