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L’acquisto di un prodotto è il risultato di una presa di decisione volta a risolvere un problema. La presa di
decisione implica pertanto l’identificazione di un problema da risolversi attraverso tre fasi: (1) la ricerca di
informazioni sui modelli disponibili e sui relativi prezzi, (2) la valutazione delle informazioni raccolte e il
confronto fra le diverse opzioni possibili per poi giungere (3) alla scelta del prodotto da acquistare. Quali
variabili o persone influiscono sulla durata e sull’esito delle fasi di cui sopra? La psicologia può aiutare il
marketing a rispondere a queste domande. Per l’acquisto di un qualsiasi prodotto di un certo valore, la scelta
finale è quasi sempre preceduta da una fase più o meno lunga di ricerca di informazioni e da un confronto fra le
diverse opzioni, mentre per altri prodotti più economici la scelta può risultare da una valutazione sommaria o
addirittura costituire un comportamento d’impulso. Talvolta le scelte impulsive riguardano tuttavia anche
prodotti costosi, che ci colpiscono sul piano emozionale e che scegliamo indipendentemente da una valutazione
attenta delle loro caratteristiche funzionali. La natura del processo decisionale può variare anche in base alle
caratteristiche personali del decisore in particolare in base al suo livello di coinvolgimento. In una ricerca
realizzata per una nota marca di televisori emergeva una differenza significativa nella durata delle fasi del
processo decisionale a seconda del genere sessuale. I maschi dedicavano molto più tempo alla ricerca di
informazioni e al confronto dei diversi modelli di televisori. La durata della fase di “esplorazione” delle diverse
opzioni sembrava essere determinata da un maggiore coinvolgimento degli uomini nei confronti delle specifiche
tecnologiche su cui poteva basarsi il confronto. Molte persone visitano i negozi prima ancora di aver preso la
decisione finale di sostituire, ad es. il televisore. In questa fase il consumatore trae gratificazione dall’esperienza
di esplorazione e dall’esposizione all’innovazione tecnologica. Tale gratificazione pare mediare la raccolta di
informazioni, ovvero queste ultime sono immagazzinate perche l’attenzione è attirata dalla tecnologia, dal design
innovativo, da immagini colorate e vivide. In questa fase, il consumatore si trova ancora in una condizione di
relativamente basso coinvolgimento nel senso che non si osserva una ricerca attiva di informazioni tecniche,
quanto piuttosto un comportamento orientato alla gratificazione esperienziale. In questa fase sarà inizialmente
attratto dai prodotti più “seducenti”, ovvero dalle offerte più innovative o stimolanti da un punto di vista estetico,
e solo successivamente inizierà a raccogliere prezzi e informazioni tecniche. La fase dell’esplorazione può
durare anche mesi e si conclude con la decisione di acquistare un televisore di una certa grandezza e all’interno
di una data fascia di prezzo. Il design, sulla base della nostra ricerca, sembra essere importante allo stesso modo
per gli uomini e per le donne, anche se queste ultime dedicano mento tempo alla raccolta personale di
informazioni tecniche affidandosi ai consigli del partner, di amici e del commesso del negozio. Sebbene il
processo decisionale sembri essere orientato a operare una scelta razionale, basata sulla valutazione oggettiva
delle caratteristiche dei prodotti e finalizzata ad elaborare un ordinamento di preferenze, in realtà la complessità
e la numerosità delle alternative rendono questo obiettivo praticamente irraggiungibile.
La ricerca dell’informazione
Come già detto, l’identificazione del problema dà avvio a un processo decisionale che mira a trovare una
soluzione. La soluzione, ovvero la scelta di un prodotto specifico e il conseguente comportamento di acquisto e
di consumo, è preceduta da una attività di ricerca dell’informazione il cui orientamento razionale e la durata
sono estremamente variabili. Possiamo concludere che la scelta non è mai perfettamente razionale. Occorre
tuttavia notare che alcuni processi decisionale si caratterizzano per un orientamento maggiore alla razionalità
rispetto ad altri. A questo riguardo, occorre infatti distinguere gli acquisti pianificati e consapevoli dagli acquisti
di impulso, che non essendo programmati non risultano da un precedente ricerca di informazioni.
Acquisto pianificato
Gli acquisti pianificati sono quelli che risultano da un processo decisionale di una certa durata e, a loro volta, si
possono distinguere in acquisti che richiedono una soluzione di problemi estensiva e acquisti caratterizzati da un
problem-solving limitato. Il problem solving è estensivo quando il consumatore si impegna a ricercare molte
informazioni prima di procedere all’acquisto e questo avviene quando la scelta implica un certo grado di rischio
percepito. La teoria della dissonanza cognitiva (Festinger, 1957) ha spiegato l’effetto dell’incertezza nella
scelta fra più opzioni come una condizione di disequilibrio che necessita di essere risolta attraverso l’accumulo
di informazioni coerenti con la scelta fatta. Secondo Festinger, quando il decisore si trova di fronte a più opzioni
tutte ugualmente desiderabili ed è costretto operare una scelta fra di esse, esperisce una condizione di
frustrazione causata dalla rinuncia ad una delle alternative. Tale condizione si accomuna alla percezione di
rischio, che può essere associata alla scelta in situazioni di alto coinvolgimento, ovvero quando la scelta è
considerata importante, implica un certo costa da sopportare e spinge pertanto il consumatore a una ricerca attiva
di informazioni. L’acquisto pianificato può comunque essere caratterizzato da un basso coinvolgimento se il
prodotto è di consumo abituale e non implica un investimento particolare o la percezione di rischio, ad esempio
la spesa settimanale.
Acquisto di impulso
In base a quanto detto fin ora, possiamo dire che l’acquisto di impulso riguarda tutti i tipi di acquisto tranne
l’acquisto di impulso puro. Occorre distinguere fra la raccolta attiva e la raccolta passiva di informazioni. Il
primo caso corrisponde alla situazione in cui il consumatore va alla ricerca deliberata di informazioni che
possano consentirgli una scelta migliore, mentre nel secondo il consumatore raccoglie informazioni per il solo
fatto di essere esposto a comunicazioni pubblicitarie e perché entra a contatto con il prodotto sia nei punti
vendita che nel quotidiano d’uso da parte di amici e familiari. Concentrandosi sul caso della raccolta attiva di
informazioni, l’evidenza empirica suggerisce che la raccolta di informazioni aumenta quando il consumatore:
✳ Ritiene l’acquisto importante
✳ Considera necessario raccogliere più informazioni
✳ Ritiene che le informazioni raccolte siano facilmente interpretabili e utili alla scelta finale
Oltre a distinguere fra raccolta attiva e passiva, la teoria del decision making mette a confronto ricerca interna e
ricerca esterna. La prima corrisponde al ricorso ad informazioni già accumulate, già presenti nella memoria e
che devono essere attivate ad hoc di fronte al nuovo problema da risolvere. La ricerca esterna corrisponde invece
alla ricerca ulteriore di informazioni presso fonti esterne e implica la visita a negozi, la consultazione di mezzi di
informazione come stampa e internet e il consulto con altri consumatori.
Punj e Staelin (1983) affermano che la partenza da una condizione di minore conoscenza nei confronti del
prodotto porta ad un processo di decision making più accurato e più efficace. Al risparmio economico si associa
inoltre un maggior grado di soddisfazione nei confronti dell’esperienza di acquisto. La quantità di tempo e di
energia dedicata alla ricerca attiva ed esterna di informazione, oltre ad essere condizionata dalla conoscenza
pregressa è fortemente influenzata dal tipo di coinvolgimento nei confronti del prodotto.
Il rammarico può essere definito “un’emozione negativa, cognitivamente determinata, che noi proviamo quando
scopriamo o immaginiamo che la nostra situazione presente sarebbe stata migliore se noi avessimo agito in un
La percezione del rischio condiziona il processo decisionale volto alla scelta del prodotto, per cui a una
maggiore percezione del rischio dovrebbe corrispondere una ricerca più estensiva di informazioni. Solomon
(2002) identifica 5 tipologie di rischio:
✳ Rischio monetario Si riferisce a consumatori ad alta percezione del rischio, quei consumatori con
patrimonio e reddito più basso o particolarmente orientati al risparmio. Rientrano tra i prodotti di
consumo soggetti al rischio quindi tutti i beni durevoli che richiedono un ingente esborso di denaro.
✳ Rischio funzionale Riguarda quei consumatori pratici e attenti alla performance dei prodotti. Rientrano
tra i prodotti soggetti al rischio, tutti quei prodotti che coinvolgono direttamente il consumatore nello
svolgere una mansione importante.
✳ Rischio fisico Riguarda in particolare consumatori anziani, malati e tutti coloro particolarmente
preoccupati per la salute e il benessere (donne), per cui rientrano quei prodotti come medicine, interventi
di chirurgia estetica, o prodotti alimentari.
✳ Rischio sociale Ci si riferisce a quei consumatori più attenti alle opinioni degli altri, preoccupati per la
propria immagine sociale. In questo caso rientrano tutti quei prodotti utili alla differenziazione sociale e
all’espressione di status e di appartenenza ad un gruppo (vestiti, gioielli, auto)
✳ Rischio psicologico Relativo a consumatori con minore autostima e minore senso di autoefficacia; per
cui rientrano quei prodotti che possono influire negativamente sul benessere psicologico producendo
sensi di colpa o minando l’autostima (come prodotti crescita dei capelli, o per dimagrire).
Ciascuna di queste tipologie di rischio influisce sulla ricerca di informazioni in base alla relativa preoccupazione
che suscita nel consumatore con riferimento a determinati prodotti. Come indicato nella tabella 1.2 a pag. 17,
alcuni consumatori possono essere più vulnerabili a determinati rischi: gli anziani, per es. sono più preoccupati
ai rischi relativi alla loro salute e quindi aumentano la ricerca di informazioni quando acquistano alimentari e
medicinali.
Per quanto riguarda il rischio monetario, questo si riferisce al rischio di un esborso monetario superiore
all’effettivo valore del prodotto. Il rischio funzionale dipende molto dall’uso che se ne deve fare del prodotto.
Per esempio, dovendo acquistare un paio di calze da indossare in una serata importante si penserà con
preoccupazione alla possibilità che possano smagliarsi e, indipendentemente dal costo, la performance del
prodotto costituirà un rischio. Per quanto riguarda il rischio fisico, le persone più deboli come gli anziani e gli
ammalati, o anche i genitori che acquistano per i propri figli, rappresentano i gruppi più preoccupati. I prodotti
che sollevano maggiori preoccupazioni sono i prodotti alimentari, i farmaci, gli elettrodomestici che possono
essere causa di incedenti domestici e tutti i consumi che espongono a un potenziale rischio per la salute. Sono
Fiducia e percezione di affidabilità sembrano essere gli attributi più significativi nella spiegazione della relazione
che i consumatori instaurano con le marche. I rischi che sono impliciti nell’acquisto dipendono dall’eventualità
che le aspettative sulla qualità e sulla performance del prodotto non siano soddisfatte. Tali aspettative risultano
da una promessa di risultato che è fatta dall’offerta e richiedono pertanto fiducia nel brand affinché possano
essere positive e consentire la scelta del prodotto. Acquistare un prodotto corrisponde in questo senso a un atto
di fiducia nei confronti del brand e della sua promessa. La letteratura psicologica e sociale ha definito la fiducia
come la risultante da una serie di aspettative riguardanti il fatto che i soggetti coinvolti onoreranno gli impegni
presi; mentre nei contesti di consumo, la fiducia appare legata in modo esplicito all’aspettativa che le aziende
agiscano in maniera etica e leale. Inoltre, è stato notato che la componente cognitiva delle aspettative è
affiancata e anche condizionata da una componente emotiva.
Alcuni autori hanno argomentato a favore di un costrutto non bipolare della fiducia (Lewiki, McAllister e Bies
1998). Secondo tale approccio, fiducia e sfiducia non sono che gli estremi di un unico continuum lungo il quale
le persone si posizionano più o meno stabilmente; pertanto, l’assenza di fiducia diventa indice di tendenza alla
sfiducia e viceversa. Secondo alcuni autori, tra cui Luhmann (1979) fiducia e sfiducia possono coesistere allo
stesso tempo. Per es. Nicola può apprezzare la Vespa Piaggio perché è simbolo della tradizione italiana e ha un
motore affidabile, ma contemporaneamente nutrire sfiducia per quanto riguarda l’assistenza meccanica e la
Il ruolo dell’esperienza
La competenza del consumatore e la sua relativa efficacia percepita nel poter controllare e comprendere le
informazioni rilevanti, influisce sulla motivazione alla ricerca di informazioni. I meno esperti sono coloro che in
assoluto si impegnano meno nella raccolta di informazioni. La difficoltà che questi soggetti incontrano
nell’interpretare le informazioni rilevanti sembra disincentivare l’impegno nella ricerca delle informazioni. I
meno esperti tendono ad affidarsi ai consigli di altri, come i commessi dei negozi, o a imitare le scelte di
conoscenti e familiari, o ad affidarsi a grandi marche come garanzia di qualità. Lo stesso accade con i genitori
che acquistano prodotti alimentari per la prima infanzia. Come la marca, anche il prezzo può essere utilizzato
come indice di garanzia di qualità. Nel caso in cui il consumatore non si senta in grado di procedere a una
elaborazione adeguata delle informazioni egli tenderà a utilizzare il prezzo come informazione circa la qualità
funzionale del prodotto.
Le ragioni per cui il prezzo si utilizza come criterio positivo per la valutazione dei prodotti sono state sintetizzate
da Ferrari e Romano (1999):
• Il prezzo rappresenta una caratteristica concreta, tangibile e misurabile, che consente di confrontare e di
ordinare i prodotti lungo una scala di valore a cui si associa spontaneamente una connotazione
qualitativa;
• Quando i prodotti hanno un valore ostentativo, il prezzo alto diventa una caratteristica essenziale e
desiderabile;
Il concetto di rischio percepito associato all’atto di acquisto, mette in evidenza il contesto di incertezza in cui si
realizza la presa di decisione. Molti studi in ambito psicologico, tra cui quello di Daniel Kahneman, sono stati
condotti con l’obiettivo di dimostrare che la presa di decisione non è basata su un tentativo razionale di calcolo
delle probabilità, ma che, nella maggior parte dei casi, si affida a delle semplificazioni che riflettono lo scarto fra
probabilità soggettive e probabilità oggettive.
La dottrina delle euristiche spiega i principali meccanismo di semplificazione della realtà che ricorrono nel
ragionamento delle persone. Uno di questo meccanismi è detto rappresentatività. Con questo termine si intende
la tendenza a ricorrere a tratti proto tipici per il riconoscimento e l’attribuzione di oggetti, eventi, persone a
determinate categorie. Questa scorciatoia cognitiva è molto utile per un riconoscimento rapido che non necessiti
della valutazione attenta di tutte le caratteristiche dell’oggetto in esame. Per es. quando si pensa a un professore
universitario alcuni tratti proto tipici possono venirci subito in mente, il professore sarà maschio, avrà una certa
età e magari gli occhiali, un po’ di barba, vestirà con abbigliamento classico ecc. L’euristica della
rappresentatività può comunque indurci a commettere errori nel giudizio o a ragionare secondo stereotipi.
Ovviamente la rappresentatività entra in gioco anche nelle scelte di consumo. Per esempio, se nella nostra
esperienza il prosciutto buono e fresco è di colore chiaro, potremmo scartare a priori un prosciutto come quello
spagnolo, perché di colore più scuro.
Un'altra nota scorciatoia cognitiva è la disponibilità, per cui tende a sovrastimare quegli accadimenti che sono
più disponibili alla memoria. La ricerca ha dimostrato che le coppie, anche di lunga data, quando interrogate
sulla qualità del loro rapporto tendono a valutare la relazione in base all’andamento delle ultime due settimane.
Allo stesso modo una lunga tradizione e scelte socialmente responsabili di una azienda, possono essere mandate
in fumo velocemente da una notizia negativa relativa alla responsabilità sociale di quell’azienda. Una terza
euristica è nota con il termine effetto cornice. Questo meccanismo condiziona la valutazione degli eventi a
seconda delle informazioni con cui sono presentati, che vi fanno appunto da cornice. In particolare, si nota che le
persone prendono decisioni in base al modo in cui le opzioni vengono formulate, ovvero se in prospettiva
positiva o negativa. Le persone scelgono indipendentemente da un calcolo razionale, ma affidandosi a una
preferenza spontanea per le opzioni che sono “incorniciate” in modo da apparire più positive. Il ruolo delle
informazioni che accompagnano un oggetto di valutazione si evidenzia anche nell’euristica dell’ancoraggio. In
condizioni di incertezza, il decisore utilizza alcune informazioni come punto di partenza da cui valutare tutti i
dati che sopraggiungono successivamente. Per es. quando un consumatore viene ancorato dal venditore a un
certo prezzo, qualsiasi riduzione sarà percepita come un risultato positivo, indipendentemente da una valutazione
Vedi da p. 26 a 32
In contrapposizione alla prospettiva razionale, secondo la quale il consumatore tenderebbe prendere in esame
tutte le informazioni disponibili, e gli sembra piuttosto ricorrere a continua semplificazione del processo di scelta
un paradosso che riguarda la società dei consumi è infatti quello della troppa scelta. Secondo un'accezione
comune, l'assortimento dei prodotti delle Marche dovrebbe costituire una caratteristica positiva dell'offerta, nella
realtà la quantità di alternative rende il processo decisionale più arduo. nel fare la spesa, la maggior parte dei
consumatori non ha il tempo di prendere in esame tutte le opzioni alternative per ciascun prodotto e tanto meno
di valutare nel dettaglio le differenze fra tali opzioni. Di fronte a decine e decine di offerte differenti, il
consumatore tenderà ad orientarsi verso prodotti già conosciuti o a variare all'interno di una categoria
prestabilita. L'esperienza pregressa e l'abitudine giocano un ruolo di primaria importanza nel facilitare la scelta,
orientando l'attenzione verso prodotti già conosciuti ed eliminando selettivamente tutto ciò che non rientra
nell'ambito del conosciuto\desiderabile. A questo riguardo è stato sottolineato il problema emergente
dell’information overload al quale occorre porre rimedio progettando le interfacce di siti compatibilmente ai
percorsi cognitivi dell'utente e la sua necessità di semplificazione. Fra le motivazioni principali che sembrano
spingere i consumatori all'acquisto on-line vi è la possibilità di risparmiare tempo. L'importanza del fattore
tempo evidenzia la necessità di adattare i contenuti degli ipertesti e la grafica dei siti al fine di semplificare il
processo decisionale del consumatore.
Oggi per assistere il consumatore in questo complesso compito di decision making, si sono diffusi siti con la
funzione di orientarlo attraverso la predisposizione di classificazioni analitiche e di intelligent software agents
che sono in grado di guidare il cliente in base alle scelte effettuate in precedenza e all’interrogazione ad hoc di
banche dati. La loro applicazione ha incontrato tuttavia numerosi ostacoli, relativi alla disponibilità da parte
dell’utente ad interagirvi per via delle preoccupazioni per la privacy e per il trattamento dei dati personali.
In una ricerca in cui i consumatori dovevano scegliere se acquistare o -1 vasetto di marmellata fra ben 24 diverse
tipologie, è emerso che, di fronte a tale numero eccessivo di alternative, i soggetti, 20 attratti dalla varietà,
avvertiva un senso sgradevole di confusione e di conflitto tale per cui non riuscivano a decidere quale prodotto
acquistare. L'effetto del motivante dell'avere troppa scelta, si manifesta ancor più forte negli ambienti decisionali
on-line. Infatti, a differenza dei comuni negozi, i siti virtuali non hanno alcun confine spaziale e, di conseguenza,
possono facilmente supporre una schiacciante quantità di alternative che, dati i limiti cognitivi dell'essere umano,
risulta impossibile valutare adeguatamente. Per ovviare a tale inconveniente, oggi sempre più siti Web stanno
dotando di particolari software che aiutano a prendere le decisioni. Tale software intelligenti, noti come Decision
Aids, assistono i consumatori on-line tramite un processo interattivo riducendo in primo luogo l'eccessivo
numero di alternative a una gamma più limitata e comparando, in secondo luogo, le restanti opzioni mediante
un'apposita tabella di confronto, in cui in ogni riga è rappresentata un'opzione in ogni colonna un attributo.
La comprensione dei processi percettivi rappresenta una delle aree di maggior interesse per lo studio dei
comportamenti dei consumatori per diversi motivi. Da una parte perché la scelta di acquistare un prodotto o di
fruire di un servizio è influenzata dal modo di percepirlo ed al “significato” ad esso attribuito, dall'altra perché
questo processo è alla base dell'esigenza di selezionare da una grande quantità di dati e di stimolazioni solo
quelli che sono utili per la scelta. La nostra vita quotidiana si svolge in un ambiente particolarmente ricco di
stimoli che producono un flusso continuo di sensazioni. Ogni giorno messaggi pubblicitari cercano di attirare la
nostra attenzione, eppure nostra attenzione, viene catturata solo da alcuni di essi, attraverso meccanismi di
selezione più o meno consapevoli, ma certamente determinati dalle nostre esperienze, dai nostri desideri, dalle
condizioni specifiche in cui ci troviamo in un determinato momento e in un luogo specifico. Si tratta di un
processo assai naturale, se non addirittura ad attivo, poiché se non riuscissimo a selezionare l'infinità di stimoli
che ci colpiscono saremo letteralmente schiacciati dal peso dell’enorme della quantità di informazioni.
Il processo percettivo non avviene in maniera lineare, razionale, chiara e immediata. Esso è infatti un processo
assai complesso e influenzato da una miriade di fattori. Per esempio, un'immagine che immediatamente richiama
ricordi della prima colazione della nostra infanzia potrebbe evocare delle sensazioni piacevoli capaci di
influenzare la percezione del prodotto, attivare l'attenzione e stimolarci all'acquisto, anche se non abbiamo piena
coscienza del ricordo infantile. Si tratta di un processo immediato, che parte dalle stimolazioni del nostro sistema
sensoriale, ma che viene guidato da tanti altri fattori, come per esempio la memoria e l'interpretazione delle
stimolazioni ambientali. Diceva Zaltman “l'incapacità di comprendere che il mondo interiore di un consumatore
può trasformare radicalmente il messaggio esterno di un esperto di marketing e la causa di molti insuccessi”. Ciò
che viene percepito è soggetto a selezioni, modifiche, interpretazioni sulla base di emozioni, conoscenze,
aspettative, stereotipi. Questo processo di selezione, di organizzazione e di integrazione delle informazioni rende
gli individui non semplici recettori di stimoli, ma soggetti capaci di elaborazione, interpretazione e integrazione
delle informazioni che ricevono. Questo processo, riassumibile con il termine cognizione, è capace di dare
significato al nostro ambiente e alle nostre esperienze. È un processo che sta alla base della selezione delle
informazioni e che assume un ruolo determinante nella percezione degli non è ambientali. La percezione viene
intesa, quindi, come “un processo di elaborazione dell'informazione e per viene ai nostri organi di senso e del
risultato di una serie di processi complessi che si realizzano in modo automatico implicito” e che contribuiscono
a dare significato alle stimolazioni che pervengono dall'esterno. L'aspetto più caratteristico di questo processo è
la sua indeterminatezza: la lettura delle stimolazioni esterne è influenzata (se non determinata) da una serie
complessa di fattori (emotivi, cognitivi, mnemonici, sociali, culturali) che rendono assai soggettivo l'esito finale.
Il ruolo attivo del sistema percettivo permette di avere percezioni soggettive a volte molto diverse fra soggetti
diversi. L'immagine della donna riportata a pagina 39 è l'esempio più noto di letteratura, possiamo considerare la
donna giovane o anziana in funzione di come il nostro sistema percettivo ricostruisce questa immagine ambigua.
Per chi si occupa di consumo è necessario cercare di comprendere come le informazioni sono ricostruite dal
consumatore. Occorre non lasciarsi guidare dalla convinzione errata e le informazioni offerte consumatori (sotto
forma di immagini pubblicitarie, packaging, ecc) vengano recepite nello stesso modo con cui vengono proposte.
I bisogni, le motivazioni, gli stati emotivi, di atteggiamenti interessi personali agiscono sull'organizzazione
percettiva una ricerca ha dimostrato che i soggetti tenuti a digiuno da un minimo di un'ora a un massimo di 18
ore tendevano ad attribuire a immagini ambigue proiettate sullo schermo connotazioni specificamente relativi al
cibo. Ciò aumentava man mano che il numero di ore di digiuno cresceva.
Vi è una evidente differenza tra percezione e sensazioni. Questa, infatti, intesa come la fase iniziale
dell'elaborazione dell'informazione che giunge ai nostri sensi (gusto, olfatto, vista, udito e tatto) e che comprende
L'interpretazione degli stimoli e dei dati provenienti dal mondo esterno non coincide con il mero ricevere
stimolazioni ambientali così come sono “oggettivamente” nella realtà. La percezione è un processo dinamico,
influenzata dalle nostre abitudini, da quanto abbiamo appreso, da quanto vogliamo prendere, dalle credenze,
dalle motivazioni ed ai valori della comunità in cui viviamo o in cui “speriamo di essere inseriti”. Il processo
percettivo si riferisce, pertanto, a quel complesso meccanismo attraverso il quale selezioniamo dati e
informazioni al fine di attribuire loro uno specifico significato. Si presuppone che sia la cultura e non la biologia
a plasmare la vita nella mente dell'uomo, a dare significato all'azione e alla realtà che ci circonda inserendo gli
stati intenzionali profondi e delle stimolazioni sensoriali in un sistema interpretativo. Già Lewin nel 1935
sosteneva che la realtà non è assoluta, ma varia a seconda del gruppo al quale l'individuo appartiene: l'ambiente
diverso da persona a persona, ma differenziate anche della stessa persona momenti differenti. Questa tesi ci
spinge a considerare il comportamento del consumatore determinato non solo dai suoi bisogni dalla sua
dimensione biologica, ma anche dal contesto sociale e culturale in cui si muove. Questo è ancora più evidente se
pensiamo al modello di cultura del consumo dell'età postmoderna., Anche dalla dimensione del bisogno, il
consumo nell'atto di acquisto sono diventati un contesto ricco di stimolazioni necessario per vivere un'esperienza
che trascende il bisogno stesso. Il consumo diviene pertanto un palcoscenico dove raccontarsi e attraverso il
quale trovare indicazioni utili per poter costruire la propria modalità di espressione del Sè. Husband e Godfrey
(1934) dimostrarono che il grado d'identificazione di marche di sigarette in condizione di blind test, era di poco
migliore rispetto a quanto sarebbe stato prevedibile rilevare attraverso una scelta del tutto casuale. Il nome della
marca, il riconoscimento del colore della confezione e altre informazioni di tal genere hanno un significativo
effetto sulla percezione del prodotto e delle sue specifiche qualità. Non sempre si è consapevoli che la
percezione di ciò che ci circonda è il risultato di un processo in inferenziale così complesso. Molto spesso siamo
fermamente convinti che il modo di percepire la realtà esterna da parte degli altri soggetti sia assolutamente
identico al nostro. Così, negli altri rispondono alle stimolazioni in maniera diversa dalla nostra, la prima
considerazione che ci viene in mente è che gli altri stiano sbagliando, che non abbiamo capito, o abbiano
intenzionalmente alterato il significato delle cose occorre considerare che la percezione è un processo fortemente
influenzato dal processo di acculturazione, ovvero determinato da modelli culturali più che da processi
strettamente individuali. I professionisti del marketing internazionale sono costantemente impegnati con il
problema della natura soggettiva e culturale della percezione. Se la percezione viene infatti influenzata da fattori
sociali e culturali, allora allo studio della percezione dei prodotti pensati per un mercato internazionale deve
necessariamente confrontarsi con questa dimensione aleatoria e soggettiva del processo percettivo per un
mercato. Ciò costringe gli uomini di marketing a uno studio dei processi psichici non più disaggregati o ridotti
nei loro aspetti costituenti, ma come strettamente integrati e mutuamente interagenti, andando al di là della
semplice analisi degli aspetti sensoriali o dell'individuo decontestualizzato dalla sua cultura e dal contesto
La sensazione
Alla base della concezione delle informazioni vi sono due processi di base: la sensazione, intesa come risposta
immediata dei nostri sensi a uno stimolo di base, e la percezione, ovvero quel processo attraverso il quale queste
sensazioni sono selezionate, organizzate e interpretate. Quando si fa riferimento alla sensazione si pensa ai
classici canali sensoriali: uditivo, visivo, tattile, olfattivo e del gusto tuttavia possiamo individuare molti altri
sensi da cui riceviamo stimolazioni sensoriali. Infatti, possiamo distinguere diverse sensazioni in base al tipo di
sistema sensoriale coinvolto:
✳ sensazioni esterocettive (vista, udito, tatto, olfatto, dolore, gusto e temperatura): in questa categoria
rientrano le sensazioni che derivano da variazioni sensibili dell'energia ambientale;
✳ sensazioni enterocettive (viscere): in questa categoria rientrano le sensazioni che derivano dalle
formazioni nervose provenienti per esempio dagli organi interni al corpo;
✳ sensazioni propriocettive (posizione, cinesia, cinestesia): in questa categoria rientrano le sensazioni che
segnalano la posizione del corpo nello spazio e il movimento degli arti.
Tutti questi sensi hanno il compito di rilevare le informate provenienti dal mondo esterno attraverso specifiche
cellule o gruppi di cellule capaci di rispondere a piccoli mutamenti degli stimoli fisici e trasmetterli al cervello
attraverso il sistema nervoso centrale. Il cervello poi elabora queste informazioni, e dal modo in cui queste
vengono organizzate e interpretate si ha la percezione. La percezione assume un ruolo importante per lo studio
dei comportamenti umani, in quanto rappresenta l’interfaccia tra la realtà esterna e i processi di coscienza
interiori, e soprattutto per la comprensione della relazione tra gli individui e prodotti commerciali.
Sta cambiando il modo di rapportarsi fisicamente ai prodotti, di percepirne le caratteristiche oggettive e
strutturali, di valutarne la qualità. Fino a non poco tempo fa la percezione degli oggetti e dei prodotti era relegata
prevalentemente facendo riferimento a un solo senso, per cui il cibo era vantato dal palato, l'abito dalla vita, il
tessuto dal tatto e via dicendo. La valutazione sensoriale era poi sempre subordinata a un giudizio razionale. Una
recente teoria sviluppatasi in questo ambito di studi è quella di Trasiman e Gelade (1980) definita Teoria
dell'integrazione delle caratteristiche. In base a tale teoria la percezione di un oggetto è il prodotto di due stadi
di elaborazione. Nel primo stadio, definito l'individuazione delle qualità primarie, ha luogo la registrazione e
detenzione di alcune caratteristiche dello stimolo (allineamento, colore, movimento, curvatura delle linee ecc.).
Nel secondo stadio, definito integrazione delle qualità primarie, mediante l'integrazione delle qualità analizzate
nel primo stadio si perviene al “prodotto cognitivo”, ovvero ciò che noi percepiamo. I prodotti devono essere
toccati e non solo vi è, percepiti anche con l'olfatto, non solo intravisto in questo panorama l'affermarsi del
marketing estetico (ovvero il marketing delle esperienze sensoriali nell'attività di Corporate o Brand che che
contribuisce a formare l'identità di un'organizzazione o di una marca) segna appunto il definitivo riconoscimento
dei sensi nel mondo del consumo. La pubblicità di una bibita fresca non si limita più a presentare il prodotto
circondato da tante visibili bollicine e nell'opacità di un bicchiere ghiacciato sempre più si sente in sottofondo il
piacere provato da lunghe sorsate amplificate dall'altoparlante in una spiaggia assolata per sedurre con una
promessa di sicura freschezza e come irresistibile richiamo contro la sete.
La vista
L'immagine, il gioco di colori, il grado di luminosità hanno un ruolo determinante per la promozione di un
messaggio citati, per la realizzazione della confezione di un prodotto o per l'organizzazione di un punto vendita.
Dal momento che quasi due terzi degli stimoli che arrivano al cervello passano attraverso il sistema visivo,
molto spesso la nostra esperienza delle immagini è di natura visiva. Inoltre, in considerazione del fatto che
L'olfatto
Lo stimolo olfattivo, in quanto indifferenziato e difficilmente scomponibile nelle sue componenti, rimane
strettamente legato all'intero contesto nel quale è stato percepito. Ecco perché, durante la rievocazione, esso non
si isola dagli altri elementi contestuali, ma li trascina con sé. Riferendoci al percorso di crescita di un bambino, si
constata come il sistema olfattivo abbia, nel guidare comportamenti, un ruolo molto più pronunciato durante la
fase neonatale e post – neonatale rispetto alla fase. È in dubbio i profumi possono stimolare emozioni e far
ricordare eventi e sensazioni. Per questo sono state condotte molte ricerche per cercare di comprendere la
relazione tra olfatto, memoria e umore. Alcune ricerche hanno dimostrato che l'introduzione di una Roma è in
grado di alterare la percezione del tempo trascorso dal consumatore durante l'attesa per il pagamento alla cassa o
L'udito
La musica e il suono hanno un ruolo importante nel mondo dei consumi. La musica è in grado di stimolare
ricordi ed emozioni del passato, influenzare l'umore e modificare la percezione della realtà stessa. Con la musica
e suoni si costruiscono significati, si rafforzano associazioni, stimolano sensazioni. La produzione pubblicitaria
si serve molto dei suoni. Si provi a pensare a un film o uno spot senza musica di sottofondo o sette suoni di
rinforzo di certe scene o azioni. Basta soffermarsi solo un attimo su uno dei tanti spot televisivi sulle bevande
(come quella Estathè), accompagnati dal rumore di uno dei gruppi ione esageratamente marcata o da un forte (e
innaturale) fruscio di liquido che scivola in un bicchiere. L'esigenza di amplificare su ogni e di studiarne la
valenza è strettamente legata alla capacità che hanno i suoni e le musiche di stimolare e determinare anche
alcune emozioni. Difatti è possibile associare circa emozioni a determinati brani musicali, anche se questo
processo mette in gioco aspetti strettamente individuali e soggettivi. La storia personale, con le relative
esperienze e la cultura di appartenenza, così come lo stato emotivo di un preciso momento, rendono
estremamente difficili una generalizzazione degli effetti sull'individuo e lo studio delle emozioni in musica. A tal
proposito risulta interessante lo studio condotto da Bigand, Filipic e Lalitte (2005) che, dopo aver selezionato un
gran numero di brani con diverse connotazioni emozionali, hanno cercato di individuare potenziali affinità
emotive facendo ascoltare ad alcuni soggetti diversi tipi di brani. I risultati hanno dimostrato che la maggior
parte degli individui utilizza un sistema di raggruppamento basato su due dimensioni: la valenza (cioè il valore
delle emozioni in sé: positiva o negativa) e l'intensità o arousal (bassa o alta) stimolata dalla musica. Tale
connotazione emozionale correlata a un brano avviene in tempi brevissimi, inferiori al secondo. È stato possibile
riscontrare come, fin dalle prime note, i soggetti esaminati fossero in grado di individuare le emozioni legate a
essi.
Hui et al (1997) hanno dimostrato che la musica, contrariamente alle attese, incide anche sulla percezione dei
tempi di attesa di un servizio prestato a un gruppo di consumatori: nel luogo in cui non vi è musica, l'attesa
percepita e maggiore rispetto al tempo trascorso effettivamente. La presenza di stimoli musicali pop pertanto
agire positivamente sulla risposta affettiva attesa e sulla valutazione dell'ambiente. Nello stesso modo è stato
dimostrato che la presenza di musica in un centro commerciale incide sulla rapidità di movimento dei
consumatori al suo interno. Una musica con un ritmo più veloce incrementa di una percentuale significativa la
movimentazione dei clienti rispetto a una musica decisamente più lenta. I dati di una ricerca hanno dimostrato
che i consumatori “più lenti” spendono circa il 38% in più rispetto a quelli “più veloci”.
Un altro aspetto importante, soprattutto nel campo della comunicazione pubblicitaria, è quello relativo alle
tecniche di Time compression, usate per manipolare la velocità con cui lo speaker pronuncia un messaggio
radiofonico o televisivo. I consumatori sembrano preferire una comunicazione più rapida (con una velocità
superiore al normale di circa 120,130%) rispetto a una più lenta. Tale effetto sembra sia determinato dalla
percezione di una maggiore credibilità e affidabilità nei confronti di coloro che hanno una capacità comunicativa
più rapida. In altri casi, una comunicazione troppo rapida potrebbe inficiare il processo di comprensione e
stancare l'ascoltatore, soprattutto se questi è particolarmente motivato ad ascoltare e a comprendere ogni singolo
elemento del discorso. in questo caso entrano in gioco l'effetto del grado di coinvolgimento e l'influenza
dell'attivazione del sistema di elaborazione centrale piuttosto che quello periferico, come indicato nella teoria di
Petty e Cacioppo (1983), vedi capitolo sui processi decisionali. Secondo questa teoria, l'attivazione del sistema
Il tatto
La percezione aptica, ovvero quella che coinvolge il tatto, ha sempre avuto ruolo importante nella scelta di
acquisto di un consumatore. Basti pensare a quanto è importante, soprattutto nel passato, poter toccare tessuti, la
frutta, il legno prima di decidere l'acquisto. Solo attraverso il tatto è infatti possibile percepire alcuni aspetti
fondamentali dei prodotti. Il consumatore osserva tattilmente (Fabris, 2003), ovvero attraverso il tatto può avere
chiare informazioni sulla densità, la compattezza, la tesatura di un prodotto. A volte il tatto stesso e più
importante della vista nella scelta di un articolo. Il tatto incide anche sulla relazione venditore-acquirente.
Solomon (2004) a tal proposito riporta alcuni dati di ricerca che dimostrano che i clienti leggermente toccati dal
personale di un ristorante lasciano una mancia maggiore. Anche il contatto, come i colori, ha una sua propria
declinazione culturale. Per esempio, nei pressi del Nord Europa contatto fisico è culturalmente meno accettato
che nei paesi mediterranei.
Il gusto
Anche il gusto ha un ruolo determinante nei comportamenti di consumo. Attraverso il gusto vengono percepite le
caratteristiche dei prodotti alimentari. In base alla gradevolezza di sapori il consumatore individua una propria
classifica delle tipologie e delle marche preferite. In una società multiculturale introduzione dei piatti etnici tra
leggermente modificando il modo di alimentarsi e il legame ai sapori tradizionali. Questo ovviamente non
intacca la possibilità di riconoscere e rimanere fedeli ad altri sapori percepiti come altamente specifici di una
marca o di un prodotto. Basti pensare alla famosa Nutella. Diverse sono state le altre marche che hanno tentato
di spodestare il suo primato senza riuscirci. Il sapore della Nutella, come quello della coca-cola classica,
identifica fortemente prodotto e ne garantisce il riconoscimento da parte dei consumatori affezionati. Di certo
possiamo affermare che anche per il gusto occorre prestare attenzione alle diversità culturali esistono cibi
assolutamente immangiabili per un italiano, ma molto prelibati per un vietnamita.
Negli ultimi anni inoltre, si sta assistendo ad un incremento di attenzione verso le abitudini alimentari. In
particolare, la presenza sempre più ampia di casi di obesità e di altre patologie alimentari, come l’anoressia e la
bulimia, ha promosso diverse ricerche e programmi di intervento.
Le soglie percettive
Non tutti gli stimoli sensoriali possono determinare l'attivazione dei nostri sensi. Ciascuno dei nostri recettori
rispondere a stimoli specifici entro limiti abbastanza ristretti. Il sistema sensoriale dell'uomo e in ogni caso
caratterizzato da specifici limiti. Per questo motivo non tutte le lunghezze d'onda della luce sono percepibili
dall'uomo, che non riesce infatti a vedere i raggi gamma, i raggi X e quelli ultravioletti. E anche il nostro sistema
uditivo risponde solo alle vibrazioni dell'aria comprese tra i 20 e i 20 000 cicli al secondo (e infatti risaputo che i
nostri sensi sono molto meno efficienti di quelli di numerosi animali). Tali limiti sono determinati dalle
caratteristiche fisiologiche dei nostri sensi, anche se la possibilità di percepire alcuni stimoli piuttosto che altri
può dipendere dal processo di selezione e dal grado di attenzione nei confronti degli stimoli stessi. Le capacità
sensitive di alcuni soggetti, infatti, possono essere così allenate da rispondere alle stimolazioni più di quanto
avvenga in una persona “media”. Per esempio, i musicisti riescono a percepire molti più toni rispetto a un
soggetto non allenato. Probabilmente il polisensualismo verso cui è proiettata la società postmoderna (Fabris,
2003) ci porterà a valorizzare maggiormente le nostre capacità sensoriali fino ad ora poco utilizzate.
La soglia assoluta è la stimolazione minima che può essere rilevata dagli organi di senso. Non va confusa con la
soglia di percezione cosciente. Per soglia di percezione cosciente intende quel valore al di sopra del quale lo
stimolo è percepito molto forte: in questo caso il soggetto è perfettamente conscio della sua presenza, lo
percepisce chiaramente e può reagire di conseguenza. Per sua natura questa soglia può variare da un individuo
all'altro o da un momento all'altro nello stesso soggetto essa dipende dal diverso grado di attenzione, che può
essere influenzata dalla stanchezza, dall'età, dalla sensibilità dei diversi organi sensoriali o dalla presenza
simultanea di altri stimoli. Sopra la soglia di percezione cosciente, lo stimolo possiede sufficiente energia per
provocare nello stesso tempo sia la risposta che la relativa rappresentazione cosciente. In questo caso l'individuo,
consapevole dello stimolo, reagisce in base alla sua volontà, cosa non possibile nel caso di percezione
subliminale. La risposta dell'individuo può dunque essere completamente differente a seconda che lo stimolo lo
raggiunga a livello subliminale (precosciente) o superliminale (cosciente). Sopra la soglia assoluta di percezione
cosciente, ma sotto quella di percezione cosciente, sono situati gli stimoli troppo deboli per essere percepibili
coscientemente. Pur non essendo abbastanza forti perché il soggetto di percepisca spontaneamente, essi hanno
comunque un'intensità sufficiente per farsi riconoscere nel momento in cui l'attenzione viene spostata su di chi di
noi non ha una sveglia sul comodino di cui non percepisce più il ticchettio, se non quando volontariamente vi
pone l'attenzione?
Dixon (1981) definisce la soglia assoluta di coscienza come il più debole livello di energia entro il quale un
individuo può sentire o vedere uno stimolo. Infine occorre descrivere la soglia fisiologica al di sopra della quale
(ma sotto al livello assoluto di percezione cosciente) si trovano gli stimoli di intensità troppo deboli per essere
recepiti dalla coscienza, sia volontariamente involontariamente ma nonostante ciò, questi stessi stimoli possono
portare a una risposta sensoriale o di una modifica osservabile del comportamento per esempio, possiamo
percepire inconsapevolmente una musica che in effetti non è udibile, ma che raggiunge la coscienza sotto forma
di un canticchiare spontaneo, non intenzionalmente voluto. Gli stimoli la cui intensità e talmente debole da non
produrre nessuna reazione sensoriale si considerano sotto la soglia fisiologica, là dove qualsiasi tipo di
percezione è completamente assente. Questa è la zona del “grande silenzio”, alla cui soglia l'uomo si è sempre
fermato. Sotto la soglia fisiologica lo stimolo non può avere risposta. Sopra la soglia fisiologica, ma sotto la
soglia di percezione cosciente, lo stimolo possiede sufficiente energia per essere captato dagli organi di senso e
produrre una risposta, ma questa energia è comunque insufficiente per raggiungere la coscienza. È questa la zona
di “percezione subliminale” in senso lato. La soglia assoluta, che varia da individuo a individuo, può dipendere
anche dalle condizioni fisiche del soggetto ed al suo stato motivazionale. I giovani sentono maggiormente
profumi e gli odori rispetto ai consumatori più anziani una migliore performance nel campo degli odori e dei
profumi è stata riscontrata anche nelle donne. La musica all'interno di un centro commerciale potrebbe non
essere percepita, anche se di fatto ha un effetto sui comportamenti dei soggetti. La soglia assoluta rappresenta
quindi quel limite è necessario da superare affinché uno stimolo sia percepito. Ecco perché lo studio di tale
soglia assume un ruolo importante per chi si occupa di marketing. Molti stimoli sono al di sotto della soglia
assoluta tanto da non poter essere percepiti. Analogamente, un'immagine troppo piccola potrebbe risultare
difficile da decifrare nitidamente e perciò non viene percepita come tale. A volte nei messaggi pubblicitari sono
presenti testi scritti con caratteri così piccoli per evitare che vengano percepiti. Il concetto di soglia assoluta è
strettamente legato a quello di filtro percettivo. in un mondo caratterizzato da una grande quantità di
stimolazioni, i filtri percettivi permettono di selezionare solo le informazioni che sono ritenute più utili. Per
questo motivo chi si occupa di marketing sa perfettamente che occorre attirare l'attenzione attraverso
stimolazioni che hanno un'intensità leggermente più alta della soglia assoluta. L'aumento automatico del volume
della radio quando vengono trasmesse le informazioni sul traffico stradale rappresenta una delle più note
tecniche per attirare l'attenzione.
La soglia differenziale è la quantità minima di stimolazione necessaria per distinguere due stimoli diversi. Non
si tratta pertanto della quantità minima percepita, ma della quantità differenziale, ovvero del cambiamento
minimo percettibile di uno stimolo. La possibilità di misurare le condizioni in cui la differenza tra due stimoli è
percepita dal consumatore è un aspetto di grande importanza nel mondo dei consumi. La conoscenza della soglia
differenziale è determinante e si intende modificare il prezzo di un prodotto (per esempio durante i saldi) o si
vuole rendere più dolce il sapore di un prodotto provando a modificare la quantità degli ingredienti al fine di
rendere tale differenza percepibile il calcolo della soglia differenziale permette di individuare la quantità minima
necessaria perché venga realmente percepito il cambiamento. La soglia differenziale non è un valore costante,
ma dipende dall'intensità dello stimolo originale. Se il livello quantitativo di un attributo presente in un prodotto
e modesto, il consumatore si mostrerà assai sensibile anche piccole variazioni di questo attributo, mentre se lo
stesso elemento è presente in maggiore quantità, per ottenere la stessa percezione di cambiamento, occorrerà una
maggiore variazione della quantità di quello stesso attributo. È ben comprensibile l'importanza di questo
principio se consideriamo che a volte gli incrementi di alcuni ingredienti di un prodotto hanno un costo assai
elevato. Così, se volessimo risparmiare sui costi di produzione di un biscotto senza che il consumatore
percepisca un cambiamento del sapore, basterebbe ridurre lo zucchero o un altro ingrediente all'interno della
soglia differenziale.
La soglia differenziale è regolata da un preciso teorema matematico sviluppato nel corso del XIX secolo da
Ernest Weber, il quale è riuscito a individuare la relazione (conosciuta come legge di Weber) che descrive il
rapporto tra l'ammontare del cambiamento e l'intensità originale dello stimolo affinché tale rapporto possa essere
percepito. Secondo questa legge, più forte il valore dello stimolo iniziale e più grande deve essere la quantità
addizionale di stimolazione affinché questa venga percepita. A volte un'azienda desidera modificare il proprio
packaging senza che il consumatore se ne accorga, oppure alla necessità di modificare il luogo senza che i
clienti perdano la possibilità di identificare l'azienda. Il concetto di soglia differenziale permette di prevedere
cambiamenti al di sotto della soglia, attuando piccole impercettibili modifiche attraverso fasi in cui il mutamento
(il passaggio a un nuovo logo) non viene significativamente percepito dal consumatore (esempio del graduale
passaggio dal logo Omnitel a quello Vodafone).
Vedi formula pag. 60
Il tema della percezione subliminale è strettamente legato al concetto di soglia percettiva. Per percezione
subliminale si intende la possibilità di recepire informazioni attraverso stimoli sensoriali e risultano al di sotto
della soglia percettiva cosciente (sublimen, dal latino, significa. Sotto soglia). Si tratta di piccole immagini
inserite all'interno di messaggi pubblicitari stampati, o di messaggi uditivi inseriti in contesti musicali, o di
messaggi assai prossimi alla soglia assoluta.
Lo studio della percezione subliminale nasce verso la fine degli anni 50, in un momento storico in cui il tema
della persuasione delle masse era molto sentito. Siamo ancora nel periodo di sviluppo dei Mass media ovvero nel
periodo storico definito della modernità, in cui l'individuo veniva percepito e pensato come soggetto razionale,
logico, coerente con se stesso e con i principi religiosi, politici e sociali. L'idea di influenzare l'individuo al di là
della sua consapevolezza e del suo controllo era in contrasto con l'uomo, razionale, consapevole e coerente con
se stesso.
Gli studi che risalgono alla fine dell’800 e all’inizio del secolo successivo, relativi al valore della soglia assoluta
di percezione e della soglia differenziale (legge di Weber) hanno contribuito significativamente a stimolare il
Generalmente si pensa al processo percettivo come a una finestra sul mondo, ma la funzione primaria di questo
sistema è quella di selezionare e di scegliere tra le tante stimolazioni quelle più interessanti. Un primo processo
di selezione avviene attraverso il meccanismo pre – attentivo secondo il quale, in maniera inconsapevole, i
consumatori riescono a filtrare le informazioni che sono più utili o che ritengono più accattivanti o
emozionalmente più cariche di affetto.
La selezione
I consumatori mettono in pratica una forma di "economia psichica" (Solomon, 2004) selezionando e scegliendo
gli stimoli più interessanti, evitando di lasciarsi confondere dall'enormità delle informazioni disponibili. Si tratta
di un processo naturale, diremmo quasi all'attivo, per contenere il disagio da sovrabbondanza di dati. Ma le
persone come scelgono come selezionano le informazioni verso cui rivolgere l'attenzione? Vi sono alcuni fattori
che permettono una selezione delle informazioni strettamente legate alle specificità individuali del consumatore
ed altri aspetti più strettamente correlati alle specificità degli stimoli. Tra i fattori personali un ruolo importante
è giocato dalle emozioni, dagli interessi, dai disordini e soprattutto dai desideri del consumatore. Il desiderio di
acquistare una nuova macchina spinge consumatore in genere a prestare attenzione a tutti i messaggi pubblicitari
relativi alla vendita e alla promozione di automobili. C'è un consumatore ha sviluppato una preferenza di marca,
allora tenderà notare la pubblicità di quel prodotto, con il rischio di lasciarsi sfuggire di annunci pubblicitari di
prodotti della concorrenza. Allo stesso modo alla pubblicità del ristorante può diventare oggetto di grande
attenzione se siamo alla ricerca di un locale dove poter gustare una buona cena.
Questo tipo di attenzione specifica è chiamata vigilanza percettiva. Sempre più spesso occorre trovare soluzioni
creative per attivare la vigilanza percettiva dei consumatori: l'utilizzo di domande negli spot (soprattutto quelli
radiofonici), così come la presentazione di una storia che prosegue nel tempo, o l'uso di messaggi nei cartelloni
pubblicitari che rimandano a una possibile soluzione a una domanda o spiegazioni in futuro, sono tutte tecniche
per cercare di mantenere vigile l'attenzione del consumatore verso quei messaggi.
L'uso di filtri personali attivati da desideri, interessi, emozioni può dare vita non solo a una percezione selettiva,
ma anche a una forma di percezione difensiva, intesa come la tendenza a non rilevare la presenza di stimoli
ritenuti non graditi o minacciosi e spiacevole. Ciò significa che le persone vedono e percepiscono ciò che
intendono o preferiscono vedere al fine di ridurre al minimo la spiacevole situazione della dissonanza cognitiva
(Festinger, 1957). La dissonanza, intesa come incoerenza da processi cognitivi, o come discordanza tra
atteggiamento dichiarato e comportamento agito, provoca una condizione di disagio che spinge l'individuo ad
adottare tutte le possibili soluzioni per recuperare uno stato di coerenza, di equilibrio e conseguentemente di
"benessere".
Così, se ci si trova ad agire alcuni comportamenti o dichiarare alcune opinioni contrarie ai propri atteggiamenti
o credenze, e se tali comportamenti od opinioni sono stati dettati da libera scelta, la sensazione provata sarà di
uno stato di tensione spiacevole dovuto alla dissonanza tra il proprio comportamento o l'opinione manifestata e il
proprio atteggiamento. In questo caso si può comprendere perché un fumatore incallito potrebbe selezionare tutte
quelle informazioni che sottolineano la non pericolosità del fumo. Così come quando si acquista una nuova
automobile si rischia di divenire particolarmente sensibili a tutte le notizie che confermano la correttezza della
scelta fatta, divenendo meno predisposti a percepire e ricordare tutte le informazioni che discreditano l'auto
acquistata.
L'attenzione
L'assuefazione
L'assuefazione è quella situazione in cui, dopo un periodo di esposizione prolungata, uno stimolo costante perde
la sua capacità attrattiva. Diventiamo assuefatti agli oggetti quotidiani, nei messaggi abituali, ai rumori costanti
mettendo di percepirli, agli enormi cartelloni pubblicitari che investono vostri monumenti in restauro. Se,
tuttavia, vi è un mutamento nello stimolo cui siamo assuefatti, immediatamente questo verrà notato nella nostra
attenzione sarà di nuovo vigile. Come indicato da Williams (1988), per certi versi percepiamo per
differenziazione; il che significa che la nostra attenzione è attirata da oggetti e situazioni che in qualche modo
differiscono dal nostro livello precedente di adattamento e di assuefazione. Oltre all'esigenza del controllo, si
riconosce all'uomo una caratteristica particolare, che consiste nella voglia di esplorare, di giocare e di
incuriosirsi. L'eccitamento, l'emozione del rischio e la novità nascono dall'esigenza di modificare propri schemi
attraverso nuovi stimoli. È dimostrata inoltre l'esistenza di una particolare caratteristica di personalità che
distingue i cosiddetti sensation seekers (cercatori di emozioni) ovvero quei soggetti con una "soglia di
annoiabilità" molto più bassa degli altri. Questi soggetti sono alla continua ricerca di stimolazioni sensoriali
nuove, diverse, forti.
Tra le varie spiegazione di questo fenomeno vi è quella che riconduce tutto a una società in cui viviamo ormai
spinta verso gli eccessi e la disinibizione, una società del no-limits: ciò provoca un continuo bisogno di emozioni
intense. Spesso infatti negli spot pubblicitari nei programmi televisivi assistiamo ad azioni esagerate o messaggi
che incitano alla ricerca di emozioni forti.
La regolarità in un mondo complesso e l'innovazione esperienziale non si escludono a vicenda, ma si devono
intendere come estremamente complementari e interagenti. La novità è colta solo sulla base di uno schema di
riferimento solo in queste condizioni produce curiosità, esplorazione, eccitazione ludica. Infatti, uno stimolo che
riproduce perfettamente uno schema già noto determina abitudine, noia e disattenzione, mentre uno stimolo che
non coincide per nulla con gli schemi disponibili rischia di non essere percepito per nulla. Questa è una delle
ragioni per cui gli spot che richiamano schemi noti, evocando personaggio situazioni ben conosciuti, sono quelli
più apprezzati e di maggior successo. Oltre alle caratteristiche individuali, le proprietà fisiche dello stimolo
giocano un ruolo importante per attrarre l'attenzione del consumatore. Tra queste vi sono l'intensità, la
dimensione, la posizione, il contrasto, la novità, la ripetizione e il movimento. Vediamo alcuni di questi aspetti
più in dettaglio:
✳ intensità: uno stimolo meno intenso tende a produrre maggiori assuefazione, anche se raddoppiare il
valore di uno stimolo non significa far accrescere proporzionalmente l'attenzione del consumatore.
✳ durata: gli stimoli che richiedono una maggiore esposizione per essere percepiti ed elaborati tendono a
produrre una più rapida assuefazione.
✳ posizione: fa riferimento non solo al luogo dove lo stimolo viene collocato, ma anche alla sua
dimensione e alle caratteristiche che lo distinguono da stimoli simili. Per esempio, a causa della nostra
abitudine a leggere da sinistra a destra è evidente che gli stimoli posizionati a sinistra del nostro spazio
visivo sono più facilmente percepiti
✳ discriminazione: stimoli “semplici” tendono a stancare poiché non richiedono un'elevata tensione
✳ contrasto: quanto più ampio è il livello di distinzione di uno stimolo rispetto a quelli tra i quali si trova,
tanto maggiore è la possibilità di attirare e mantenere attiva l'attenzione
✳ rilevanza: stimoli che sono ritenuti meno rilevanti o poco importanti tendono a produrre più
velocemente assuefazione.
Un aspetto importante del processo percettivo e quello che permette l'organizzazione delle informazioni. I
consumatori classificano ciò che hanno percepito in categorie e per fare questo lavoro si servono delle categorie,
che hanno già preso di ritenuto in memoria. Il processo di categorizzazione si verifica in maniera rapida e
inconsapevole ed è estremamente utile per poter far fronte alla complessità del mondo esterno. È importante per
ciascuno di noi riuscire a identificare gli oggetti e le persone utilizzando le informazioni già immagazzinate in
categorie. Ogni categoria non è altro che un insieme di oggetti che hanno in comune una o più caratteristiche
perfettamente rappresentate dall'oggetto o dalla persona che rappresenta il prototipo della categoria. I film, le
favole dei bambini in messaggi pubblicitari sono colmi di rappresentazioni prototipiche, ovvero oggetti o
persone che rispecchiano perfettamente il prototipo di una specifica categoria: un personaggio "cattivo" verrà
pertanto presentato con le labbra piccole, gli occhi stretti, un viso spigoloso, inserito all'interno di un contesto
freddo con colori scuri, ambienti squallidi ecc., mentre il buono avrà grandi labbra di colore rosso, la pelle
chiara, un viso tondeggiante, con due grandi occhi blu. Questa stessa immagine la ritroviamo in tanti messaggi
pubblicitari in cui un bambino con queste caratteristiche ci convince della bontà del prodotto condividere la
stessa cultura, lo stesso linguaggio, gli stessi miti e leggende permette di condividere anche la stessa modalità di
attribuzione dei significati, un medesimo universo simbolico capace di dare un senso comune e condiviso alle
medesime cose. Per noi italiani la categoria "neve" richiama un unico significato, queste molto diverso da quello
degli eschimesi che distinguono 21 tipologie di neve.
Queste considerazioni non valgono solo per gli oggetti, ma anche nel caso dell'impressione che ci facciamo degli
altri, a volte per giudicare un estraneo ci serviamo di poche informazioni, pochi elementi bastano per costruire
l'impressione di una persona. Uno dei più noti esperimenti in merito a questo processo di categorizzazione
sociale è stato realizzato da Asch (1946), il quale ha dimostrato come da una lista di aggettivi e di elementi che
descrivono una persona è possibile avere un'idea comune condivisa delle caratteristiche di personalità della
persona stessa (modello configurazionale). Asch ha somministrato un gruppo di persone una lista di aggettivi
(intelligente, competente, industrioso, caldo, determinato, pratico, prudente) per avere una descrizione pressoché
condivisa da tutti di una persona generosa, sincera, che vuole che gli altri capiscano il suo punto di vista. Oltre a
questa immagine condivisa dalle persone che avevano letto la lista di aggettivi, Asch ha dimostrato l'esistenza di
alcuni elementi centrali capaci di modificare radicalmente l'immagine della persona. Bastava sostituire
l'aggettivo caldo con freddo per avere un'impressione profondamente diversa. Asch ha contribuito
significativamente all'applicazione delle teorie gestaltiche in campo sociale e ha voluto dimostrare che
l'impressione che ci facciamo degli altri è sempre più della semplice sommatoria delle parti. Secondo i principi
della Gestalt, le persone non percepiscono gli stimoli in maniera isolata. Il nostro cervello tende a elaborare in
maniera automatica le informazioni, servendosi anche degli schemi già immagazzinati per dare senza significato
a quanto viene percepito. In questo processo intervengono alcuni principi organizzatori: questi sono la vicinanza,
la somiglianza, la chiusura, la continuità di direzione, la buona forma e l'esperienza passata.
Secondo il principio di similitudine all'interno di una stessa "scena" di elementi tra loro simili per forma, colore
e dimensione, vengono percepiti come collegati
Secondo il principio della chiusura, le linee e le forme familiari vengono percepite come chiuse complete, anche
se graficamente non lo sono.
A parità di altre condizioni, secondo il principio della continuità di direzione, si impone quella unità percettiva
cui margine offre il minor numero di cambiamenti o interruzioni. La buona forma è quel principio secondo il
quale il campo percettivo si fermenta in modo che ne risultino unità e oggetti percettivi per quanto possibile
equilibrati, armonici appunto di buona forma. Infine, il principio dell'esperienza passata incide sulla percezione
degli stimoli in modo tale da favorire la costituzione di oggetti con i quali abbiamo familiarità, che abbiamo già
visto, piuttosto che forme sconosciute o poco familiari. Secondo la Gestalt la percezione visiva dipende
dall'organizzazione delle percezioni e non funziona atomisticamente, ma nella totalità (la mente completa parti
coperte di figure, interpreta come righe seguenti punti eccetera).
in un contesto sociale complesso e in continuo cambiamento si manifesta quello che Siri (2001) indica come uno
dei "difetti" maggiori del sistema dell'Io: esso, quanto più lavora sotto stress tanto più tende a irrigidire gli
schemi e i pregiudizi che governano il suo operare, nel tentativo di garantirsi una rappresentazione rassicurante
di sé e delle cose. Questa ricerca di coerenza e di stabilità la ritroviamo in diversi contesti e dinamiche, anche
nelle dinamiche percettive dei messaggi e delle comunicazioni, come per esempio quelli fondati sulla paura e la
loro efficacia, i fear arousing appeals. Si tratta di quei messaggi che inducono a confrontarsi con la paura,
l'angoscia e il senso di impotenza che derivano dalla rappresentazione di situazioni a rischio, cioè situazioni in
cui l'individuo viene a trovarsi per aver adottato comportamenti irresponsabili, in primis verso se stesso, e spesso
anche nei confronti dei propri simili. Anche questi messaggi devono fare i conti con le difese percettive. Il
fearing arousing appeal ha sempre avuto un ruolo importante all'interno della pubblicità sociale. La pubblicità
sociale ha infatti una funzione didattico\pedagogica. La sua finalità è quella di indicare soluzioni di utilità
collettiva, e pertanto risulta talvolta istintivo ritenere che lo strumento della paura debba essere un utile
strumento per la progettazione del contenuto dei messaggi. Esiste tuttavia il pericolo che messaggi impatto
troppo forte attivino nell'individuo una sorta di meccanismo di difesa che lo porta rimuovere un'esperienza
traumatizzante. È stato riscontrato che l'uso della paura a un risultato efficace solo in particolari condizioni. Tra
queste vi è la necessità di offrire una soluzione che sia percepita realmente e facilmente applicabile per
scongiurare gli effetti spiacevoli. Quando la paura è elevata da persone possono respingere le informazioni e non
Box l'efficacia dei Fear arousing appeals in ruolo delle istruzioni di coping
Il termine qualità è sempre più utilizzato per descrivere il valore che ci aspettiamo da un prodotto o da un
servizio. La qualità di un prodotto deve però fare i conti con la soggettività di chi vanta piccola percezione che
ha dei suoi attributi. I consumatori sono sempre più stimolati a dare indicazioni in merito ai propri sentimenti,
alle loro opinioni e alle proprie emozioni in riferimento al prodotto o al servizio, per cercare di dare senso a una
parola tanto carica di valenze simboliche quanto difficile da definire a priori. È realmente difficile comprendere
il significato profondo del termine qualità, uno dei rischi maggiori e quello di confondere la qualità del prodotto
con i riferimenti puramente tecnici e aspetti esclusivamente superficiali.
Per molte imprese qualità è una norma scritta, la famosa normativa ISO 9000. Si tratta di un insieme di
normative internazionali sulla base delle quali tutti processi aziendale sono stati ridisegnati secondo un modello
razionalistico.
La qualità a cui fa riferimento il consumatore è un importante insieme di elementi di un prodotto o di una marca
per fronteggiare con successo una competitività crescente. In questo caso una prima definizione di qualità è
relativa alla capacità naturale fare nella maniera più compiuta le istanze di base del consumatore, ovvero la
capacità fornire come minimo ciò che il consumatore si aspetta. Ma non basta. Oltre a ciò che il prodotto deve
offrire vi sono alcuni attributi che rispondono alle aspettative del consumatore e altri attributi che contribuiscono
alla valutazione soggettiva di "qualità". L’importanza di un’attenta valutazione del grado di customer satisfaction
nasce proprio dall’esigenza di misurare il grado di soggettività della qualità di un prodotto o di un servizio. La
qualità acquista quindi una valenza multidimensionale.
A volte gli elementi che contribuiscono alla qualità di un prodotto rischiano di essere in contrasto tra di loro. Per
esempio, la qualità soggettiva percepita dai consumatori relativamente a un'auto può essere garantita per alcuni
dal comfort, per altri dalla sportività, per altri ancora dalla sicurezza o dall'innovazione tecnologica. Come dice
Fabris (2003), la qualità deve essere sempre più considerata e studiata come elemento complesso e
multidimensionale di un prodotto o servizio, capace di garantire un certo polisensualissimo, di determinare forti
emozioni e di stimolare la sensazione che il prodotto sia ricco e significativo, capace di essere attuale
culturalmente, di generare esperienze nella sua globalità senza ridursi a un suo aspetto o a un suo attributo,
capace di rapportarsi con la dimensione economica e di garantire originalità e distintività rispetta ciò che offre il
mercato. La percezione della qualità di alcuni prodotti deve fare i conti con alcune convinzioni e credenze
difficili da modificare. I prodotti realizzati nel proprio paese in genere sono percepiti di migliore qualità rispetto
Fin dalla nascita noi apprendiamo. Apprendere significa riconoscere, associare e ricordare. Attraverso
l’associazione di un prodotto a un ricordo si crea la possibilità di un legame che si chiama fedeltà alla marca o
semplicemente riconoscimento della marca di un prodotto. L’apprendimento non si può osservare direttamente.
Possiamo infatti solo osservare il risultato di un processo che prevede degli input e un comportamento finale.
Secondo Hilgard e Bower (1975) il concetto di apprendimento si riferisce al cambiamento del comportamento di
un soggetto di fronte ad una data situazione per il fatto che quella situazione sia stata sperimentata ripetutamente.
Affermare che il comportamento del consumatore è in continuo cambiamento, significa riconoscere che il
consumatore evolve continuamente in base alla sua storia personale, l’influenza del gruppo di appartenenza,
influenza culturale etc. questo significa che lo studio di questi fenomeni difficilmente produce soluzioni valide
nel tempo e nello spazio perciò i dati sui consumi devono essere circoscritti ad un determinato prodotto o
servizio, ad un particolare gruppo di consumatori, così come ad uno specifico contesto spazio temporale.
L’apprendimento implica cambiamento: per apprendimento si intende qualsiasi cambiamento relativamente
stabile che si verifica in conseguenza di un’esperienza o di un’abitudine. È un processo che implica
un’esperienza diretta o indiretta con un oggetto, prodotto, situazione o persona. I consumatori apprendono
preferenze o predisposizioni a comprare certe marche, a preferire certi luoghi d’acquisto e di conseguenza
cambiano i loro comportamenti. Il cambiamento può essere innescato da nuovi stimoli che possono far cambiare
i comportamenti. Affinché il cambiamento sia duraturo è necessario che l’esperienza del prodotto sia
soddisfacente e coerente con le aspettative create dal messaggio pubblicitario. I consumatori continuano ad
apprendere le regole che possono permettere la soddisfazione dei loro bisogni e delle loro esigenze. Molti,
infatti, non sono in grado di soddisfare quei bisogni che possono permettersi o a soddisfare in maniera vicaria
quelli che sono fuori dalla sua portata. Quindi, l’intero comportamento dei consumatori è un comportamento
appreso.
Si tratta quindi di un processo complesso in quanto la modifica continua del comportamento del consumatore
impone un costante sforzo di revisione di strategie di marketing e l’esigenza di comprendere i processi di base
che caratterizzano l’apprendimento e il continuo mutamento dei comportamenti dei consumatori.
Altro aspetto importante e che i cambiamenti comportamentali che costituiscono l’apprendimento hanno un
valore adattivo. Il valore adattivo è stato studiato da Darwin (definito primo teorico moderno
dell’apprendimento). Nella sua teoria l’apprendimento rappresenta uno dei 2 meccanismi principali che
assicurano la sopravvivenza di un organismo che si adatta in maniera rapida alle molteplici richieste di
cambiamento provenienti dall’ambiente. Il meccanismo è costituito dalla selezione delle caratteristiche che
permettono alla specie di adattarsi alle variazioni macroscopiche dell’ambiente. La selezione naturale agisce
innanzitutto sul comportamento e solo in un secondo momento sulla struttura biologica; gli organismi che si
comportano in modo adattivo sono favoriti nella competizione per la sopravvivenza e ancora di più lo sono
Le teorie dell’apprendimento
Il condizionamento classico
Il condizionamento classico descritto da Pavlov nell’esperimento della salivazione di un cane, si verifica quando
ad uno stimolo neutro si associa uno stimolo in grado di esercitare (stimolo incondizionato come il cibo) una
risposta incondizionata (come la saliva) ad uno stimolo neutro (il suono di un campanello o l’illuminarsi di una
lampadina). Dopo diverse associazioni, lo stimolo neutro si trasforma in stimolo condizionato, ovvero capace di
produrre la stessa risposta che solo lo stimolo incondizionato era in grado di attivare prima del processo di
associazione. Mentre Pavlov studiava l’attività digestiva dei cani si rese conto che introducendo nella bocca di
un cane della polvere di carne o soluzione acida, questo produceva una risposta involontaria e automatica,
ovvero salivazione. Tale riflesso venne chiamato risposta incondizionale o incondizionata.
Nel corso dei suoi esperimenti notò che l’animale iniziava a salivare prima che il cibo avesse raggiunto la bocca
e che quindi la salivazione era prodotta dalla vista del cibo o addirittura dal riconoscimento dell’uomo che
generalmente gli portava il cibo. Tale reazione non era sicuramente innata e naturale, evidentemente uno stimolo
insignificante aveva assunto per il cane un nuovo significato ovvero un segnale anticipatorio della comparsa del
cibo. Pavlov cosi durante l’esperimento presentò più volte al cane il cibo in grado di produrre la salivazione
associandolo al suono di un campanello. Il cane dopo un cero numero di associazioni tra stimolo neutro e
stimolo incondizionato apprese che il campanello era premonitore dell’arrivo del cibo. In questo caso
accoppiando i due stimoli, lo stimolo condizionato (precedentemente neutro) provocava una risposta di
salivazione del cane. Si era quindi verificato il condizionamento; un processo di sostituzione dello stimolo in
base al quale uno stimolo precedentemente neutro acquista la capacità di produrre la risposta che originariamente
veniva prodotta da un altro stimolo.
In pubblicità, molte promozioni e messaggi pubblicitari si ispirano al condizionamento classico, attraverso
associazioni di immagini positive capaci di produrre una risposta immediata e automatica con un prodotto che in
origine è neutro. L’associazione dell’immagine piacevole di un testimone con un prodotto neutro è un esempio di
condizionamento classico al mondo dei consumi. L’immagine del testimone agisce anche nei processi di
identificazione con i valori, i modi, gli stili di vita del testimone con cui si entra in contatto tramite la pubblicità
determinando una reazione piacevole alla vista del prodotto come a quella stimolata dal testimone. Il
condizionamento classico permette di associare ad alcuni prodotti degli stimoli capaci di generare emozioni forti
con l’obbiettivo di generalizzare tale emozione anche in relazione al prodotto. Ad esempio, alcuni spot televisivi
e radiofonici utilizzano la voce di famosi cronisti sportivi per evocare l’emozione che l’ascoltatore ha provato
durante eventi sportivi del passato. Nel condizionamento classico bisogna tenere in considerazione quattro
variabili:
1. Stimolo incondizionale (SI): è sempre in grado di provocare una risposta specifica da parte
dell’organismo. Incondizionata indica che è innata e naturale.
2. Stimolo condizionale (SC), in partenza stimolo neutro (SN): se viene associato a quello incondizionale
dopo un certo numero di presentazioni riesce a svolgere la stessa funzione producendone la risposta
specifica.
3. Risposta incondizionale (RI): risposta specifica prodotta da uno stimolo incondizionale (la saliva
prodotta dalla polvere di carne).
Il condizionamento operante
I comportamenti di consumo sono determinati dall’effetto che producono. Se otteniamo soddisfazione e piacere
la probabilità di ripetere il comportamento che ci ha provocato tale sensazione sarà sicuramente molto alta.
Questo processo è il risultato di un condizionamento definito operante. Mentre il condizionamento classico è
caratterizzato dal processo di associazione tra due stimoli; il condizionamento operante secondo Skinner (1938)
si basa sul ruolo delle conseguenze di un comportamento. Il condizionamento operante prende questo nome dal
fatto che il ruolo dell’individuo è maggiormente attivo: l’individuo agisce e continuerà ad agire in funzione del
tipo di conseguenza che riceve. Le conseguenze infatti possono modificare la probabilità che il comportamento
che le aveva prodotte si verifichi ancora; esse possono quindi rendere un apprendimento o un comportamento già
stabilizzato più forte, ovvero più probabile, o meno. Questa possibilità rappresenta nel campo dei consumi, uno
dei principali obiettivi dei responsabili marketing di un prodotto specifico.
L’uso finalizzato delle conseguenze, ovvero la somministrazione di ricompense e punizioni in un contesto
sperimentale per individuarne le regole, i principi e le funzionalità, si deve allo psicologo americano Skinner, il
quale svolse una precisa analisi sistematica del rapporto tra un comportamento e le conseguenze naturalmente
prodotte dall’ambiente.
Il metodo proposto da Skinner è lo Skinner box una gabbia a prova di luce e suono nella quale un operandum
(una leva che veniva premuta da un ratto o un disco di luminoso beccato da un piccione) era collegato ad un
meccanismo di erogazione programmata di conseguenze ( un dispensatore di cibo o acqua e una sorgente di
stimolazione negativa) e a un registratore di risposte. La procedura prevedeva un periodo di deprivazione di cibo
al ratto che esplorava la gabbia, ed entro 10-15 minuti premeva casualmente la leva. La pressione esercitata sulla
leva dal ratto portava all’erogazione del cibo all’interno di una vaschetta. Fu osservato che il ratto una volta
mangiata la pallina di cibo ricominciava a curiosare per la gabbia premendo ancora la leva. Tutte le risposte
registrate su un grafico mostrarono come le pressioni diventavano sempre più frequenti e l’intervallo che
separava l’una dall’altra sempre minore. Questo processo fu integrato con un elemento aggiuntivo, facendo si
che a volte il cibo fosse erogato dalla pressione e a volte no. Inoltre, la leva fungeva anche da elemento
anticipatorio delle conseguenze. Appare chiaro come nel condizionamento operante la conseguenza cibo rinforza
il comportamento che ne ha prodotto l’erogazione. Quindi le conseguenze che possono incrementare o ridurre la
probabilità dell’azione sono 4:
• rinforzo positivo: è uno stimolo che rafforza una determinata classe di risposte. Gli esempi nella vita
sono infiniti, dalla buona riuscita di un’interrogazione ai complimenti per l’eleganza nel vestire.
Ottenere un rinforzo positivo facilita l’apprendimento di un nuovo comportamento o il rafforzamento di
un’abitudine.
• rinforzo negativo: È uno stimolo che rafforza un comportamento mediante la sua rimozione. È’ quella
conseguenza che rafforza quei comportamenti che ci hanno permesso di evitare qualcosa di spiacevole,
come per esempio svegliarsi presto la mattina per arrivare puntuali in ufficio onde evitare il rimprovero
del capo. Molti messaggi pubblicitari si servono del messaggio che sottolinea l’importanza
dell’evitamento di qualcosa di spiacevole. Comprare un profumo per evitare di non essere apprezzati è
un comportamento che si basa sul rinforzo negativo.
• Punizione: È l’ottenimento di qualcosa di spiacevole e tende a inibire o a ridurre un comportamento. La
punizione diminuisce temporaneamente l’intensità o la frequenza del comportamento che segue ma non
lo elimina completamente, esso infatti ricompare e addirittura la punizione può avere l’effetto
paradossale di impedire che si verifichi questo processo di disapprendi mento chiamato estinzione. Non
basta aumentare le punizioni perché si riduca un determinato comportamento, si pensi ad esempio alle
droghe. La punizione non cancella l’apprendimento del comportamento che segue, ma dà luogo con
Riepilogando, la differenza tra condizionamento classico e operante è che il primo avviene in maniera
automatica senza la consapevolezza del consumatore e l’apprendimento è il risultato di un’associazione. Il
secondo invece più complesso e spiega come i consumatori apprendono attraverso prove ed errori.
A volte apprendiamo un comportamento attraverso l’insight. Studiato già da Kotler nel 1968, non è altro che una
forma di intuizione che ci permette di trovare una soluzione a volte molto innovativa per risolvere un problema
o un quesito. Questo deriva dalla capacità di essere flessibili, dall’uscire da schemi precostituiti. È un processo di
apprendimento studiato dalla psicologia cognitivista che si è occupata dell’elaborazione delle informazioni, dei
processi di categorizzazione degli stimoli etc. L’attenzione per la mente da parte del cognitivismo porta ad un
superamento del comportamentismo, concentrandosi sulla mente non più come magazzino nel quale si
accatastano conoscenze, ma bensì una struttura assai elaborata e connessa. Viene abbandonata l’idea della
memoria come passiva e vengono alla luce dei dati centrali: tanto più la conoscenza è strutturata tanto più facile
è memorizzare. La struttura è tanto più potente quanto ramificata e connessa con altre. A questo modello si può
fare risalire l’apprendimento e la memorizzazione delle mappe cognitive. Anche per il processo d’acquisto,
l’utilizzo delle mappe è molto interessante. Ognuno di noi infatti ha delle mappe più o meno elaborate che
indicano dove alcuni prodotti dovrebbero essere in un particolare negozio.
Il processo di apprendimento per imitazione viene definito modeling da Albert Bandura e consiste nel processo
attraverso cui una persona osserva l’azione di un modello (affascinante, attraente prestigioso). In questo caso le
ricompense ricevute dagli altri in maniera indiretta rappresentano una forma di rinforzo del comportamento
osservato. Il modeling parte dalla considerazione che il termine esperienza non si riferisce solo al contatto diretto
con le cose, eventi e conseguenze di un comportamento ma anche esperienze indirette e conseguenze mediate, la
cui azione è stata vista su altre persone. Presupposto del modeling è l’apprendimento osservatorio, che implica
un modello e un osservatore. Se la frequenza del comportamento dell’osservatore cambia in funzione del
comportamento del modello osservato si parla di modellamento. Tra i vari fattori che entrano in gioco nel
modellamento, primo fra tutti è il processo di imitazione, poi le proprietà di stimolo del modello (età, sesso,
Teoria della disinibizione: Secondo alcuni autori la visione prolungata di immagini violente desensibilizza il
soggetto ad un punto tale che scene di stupro di un film producano una riduzione del livello di ansia legato a quel
tema e minore empatia e solidarietà per le vittime. Con il concetto di emulazione si intende un processo
pericoloso che in questi ultimi anni abbiamo imparato ad apprendere. Proprio per evitare tale rischio molte
notizie di cronaca vengono comunicate cercando di non enfatizzarle eccessivamente.
Il termine memoria si riferisce a informazioni o rappresentazioni interne basate su esperienze passate e in grado
di influenzare il comportamento futuro. Rappresenta quindi l’abilità cognitiva di acquisire, conservare e
utilizzare in un momento successivo le informazioni riguardanti il mondo intorno a noi e la nostra esperienza in
esso. Nel mondo dei consumi possiamo fare riferimento a diversi aspetti del processo mnemonico. Tra i vari, ad
esempio la capacità di un messaggio promozionale di un prodotto di essere ricordato nel momento della scelta o
ancora il ricordo di un’esperienza passata in relazione a quel prodotto o l’emozione provata per averlo posseduto
sono tutti elementi che incidono sulla scelta. I prodotti fungono da stimolazioni per rivivere o anche evitare di
rivivere esperienze passate. La nostalgia è un’emozione che viene molto utilizzata nella pubblicità per legare un
prodotto o servizio ad un momento storico pieno di ricordi positivi. Il termine nostalgia deriva dal greco nostos
(ritorno a casa) e algos (dolore) e fu coniato da un medico svizzero nel 1688 e utilizzato per descrivere una
precisa malattia. Poteva essere una sindrome privata o un morbo pubblico. Nel marketing si è consolidata una
branca chiamata marketing della memoria che crea prodotti e brand come tasselli principali nella costruzione di
identità e storie di gruppi e generazioni. La Nutella un tempo alimento d’élite, è stata riposizionata creando
Uno dei primi autori a occuparsi di memoria è stato Ebbinghaus (1885) che concentrandosi sull’oblio riteneva
fosse da attribuire al passare del tempo. Tale teoria conosciuta come legge del decadimento fu confutata sulla
base dei risultati sperimentali che misero in evidenza come non fosse il passare del tempo a causare l’oblio ma
quello che avviene tra l’apprendimento e il recupero dell’esperienza. Si parla perciò di interferenza: retroattiva e
proattiva.
• Interferenza retroattiva: avviene quando la nuova informazione inibisce il recupero dell’informazione
vecchia. Le info di un nuovo prodotto possono interferire con il ricordo di uno specifico prodotto.
• Interferenza proattiva: le informazioni vecchie agiscono inibendo il recupero delle info apprese
recentemente.
Lo studio dell’interferenza nella comunicazione mediatica è determinante affinché le informazioni siano
correttamente memorizzate. Alcuni studiosi dicono che quando singoli blocchi monotematici diventano troppo
consistenti è auspicabile attuare salti di argomento che portino ad un reset del sistema cognitivo di ricezione e
immagazzinamento della memoria. L’interferenza dimostra come il processo economico non è un semplice
rispecchiamento della realtà ma un continuo processo di riorganizzazione delle informazioni.
Alla fine degli anni 60, all’interno della prospettiva cognitivista dello Human Informating Processing, gli
psicologi Atkinson e Shiffrin, elaborano il primo modello della memoria che per immagazzinamento, che
distingue memoria a breve termine (MBT) da quella a lungo termine (MLT). La memoria è immaginata come
una sequenza di tre magazzini in cui passa l’informazione che non può essere elaborata da un magazzino se non
è stata filtrata da quello precedente. Il primo magazzino è definito memoria sensoriale, qui l’info rimane per
qualche secondo. Questo tipo di registro non richiede l’attenzione da parte dell’individuo e rappresenta la prima
forma di immagazzinamento degli stimoli con le loro caratteristiche sensoriali. Successivamente se si presta
attenzione alla stimolazione, l’informazione passa nel magazzino a breve termine che ha capacità limitata;
generalmente il limite è di sette elementi, questa permette all’uomo di mantenere in uno stato attivo una limitata
quantità d’informazioni per un breve periodo di tempo e compiere su tali info diverse operazioni. Infine, solo
Introduzione
Occorre considerare il comportamento di consumo come risultante di tre principali aspetti: le specificità
personali e caratteriale degli individui (che comprendono quindi personalità, percezioni, atteggiamenti, bisogni
e desideri), l’ambiente e le influenze sul singolo soggetto (rappresentati dall’influenza della cultura, delle
subculture, della famiglia, degli amici e del contesto sociale in genere), le specificità fisiologiche dei singoli
(dimensione biologica ereditaria dell’individuo). Questi tre elementi sono quindi strettamente correlati tra di
loro. Secondo il modello indicato da Chaudhuri, così eventuali stimoli di marketing si trasformano in risposte
razionali e affettive in relazione alle influenze determinate dagli aspetti individuali, ambientali e genetici.
Secondo tale modello, le emozioni influenzano le motivazioni principali nei processi decisionali e nel
comportamento del consumatore, essendo questi aspetti determinanti nella celta dei prodotti e dei servizi e nella
valutazione dei messaggi pubblicitari. Per questo, nello studio delle motivazioni al consumo, occorre non solo
far riferimento ai processi razionali e di valutazione, ma anche al valore emotivo e affettivo degli stimoli, e al
ruolo che la cultura e i valori hanno nell’influenzare sia le emozioni che il processo di valutazione razionale.
La teoria dell’aspettativa ci dice che l’individuo è motivato dall’attesa di ottenere ricompense positive
dall’evitare esperienze negative. Weiner e altri autori per spiegare il processo motivazionale analizzano le
componenti cognitive dei processi di attribuzione della causalità del successo e dell’insuccesso. Egli distingue le
cause in: interne/esterne, stabili/instabili, controllabili/non controllabili.
L’impegno è causa interna variabile e controllabile, mentre l’abilitò è causa interna stabile e non controllabile.
Non è sufficiente aver stabilito di essere causa dei propri successi poiché occorre decidere se il proprio successo
è frutto di impegno oppure di specifiche capacità. La spinta motivazionale è strettamente dipendente da una serie
di fattori: tra questi vi è l’attribuzione del locus of control. Gli individui nell’accumulare successi e insuccessi e
nel rapportarsi con eventi positivi o negativi che costellano la sua esperienza, struttura un proprio sistema
specifico di attese.
Questi sistemi di attese vengono divisi in due categorie dalle quali derivano due prototipi di soggetti. A un
estremo si posizionano coloro che hanno un locus of control interno che credono nella propria capacità di
controllare gli eventi, questi soggetti attribuiscono i propri successi o insuccessi alle proprie capacità volontà e
abilità. All’altro estremo si posizionano coloro che hanno un locus of control esterno secondo i quali gli eventi
della vita, come premi e punizioni dipendono da fattori esterni imprevedibili, quali il caso e la fortuna.
Altri due fattori in grado di influenzare il processo di motivazione sono: la stabilità della causa e la sua
controllabilità. Sul piano psicologico questi due processi possono influire sul modo di percepirsi e di percepire
gli altri. Se l’individuo attribuirà il suo insuccesso ad un impegno sufficiente e non alla mancanza di abilità
persevererà nel suo scopo e si sentirà motivato a impegnarsi maggiormente la volta successiva. Se al contrario
attribuirà l’insuccesso alla mancanza di abilità sarà propenso a rinunciare.
Le motivazioni possono essere intese come sistemi gerarchi di scopi e come sistemi di monitoraggio e controllo
per raggiungere gli scopi medesimi attraverso un processo che può essere distinto in diverse fasi:
1) individuazione degli obiettivi;
2) valutazione dei mezzi disponibili;
3) traduzione delle intenzioni in azioni;
4) cambiamento degli obiettivi e delle strategie per raggiungerli in funzioni del variare del contesto.
Questa visione gerarchica prevede anche una suddivisione degli scopi in maniera altrettanto gerarchica, infatti
possiamo individuare obiettivi o scopi centrali e obiettivi o scopi secondari. Per esempio, se la motivazione che
spinge il consumatore è perdere kili di troppo, questa rappresenta lo scopo principale al quale possono essere
correlati una serie di copi secondari quali la cura del proprio corpo ed il benessere. La motivazione quindi può
essere definita come una configurazione organizzata di esperienze soggettive che consente di spiegare l’inizio, la
direzione e la persistenza di un comportamento per raggiungere uno scopo. È sempre più frequente sostituire al
termine motivazione orientamento motivazionale che esprime meglio questa evoluzione teorica.
La presenza di molteplici bisogni alla base del comportamento di consumo era già stata rappresentata da
Williams nel 1982 che diceva che è possibile descrivere il rapporto tra comportamento agito e aspetti
motivazionali sulla base di due rappresentazioni: modello mezzi-fini e quello che presenta la motivazione come
un conglomerato di bisogni.
La catena mezzi fini è lo strumento concettuale che permette di comprendere il modo in cui i consumatori
percepiscono le conseguenze che derivano dall’utilizzo e consumo di un prodotto. L’ acquisto di una
lavastoviglie di una certa marca risponde contemporaneamente a diversi bisogni posti in ordine gerarchico: il
piacere della pulizia, il desiderio di un aiuto nelle pulizie di casa, la voglia di autonomia.
Le tipologie di bisogno
Secondo Murray, il bisogno è un costrutto ipotetico che organizza e guida il comportamento al fine di mantenere
l’organismo in una condizione di equilibrio. I bisogni secondo questo studioso possono essere suddivisi in 4
dimensioni.
• Bisogni primari e secondari, a seconda che abbiano origine fisiologica o no.
• Bisogni positivi e negativi, a seconda che il soggetto sia attirato o respinto dall’oggetto
• Bisogni manifesti o latenti a seconda che il bisogno conduca a un comportamento reale o no
• Bisogni consapevoli o inconsapevole a seconda che il soggetto mantenga nei loro confronti un
atteggiamento introspettivo o meno.
Secondo Murray l’insieme dei bisogni è universale e uguale per tutti e ciò che differenzia un individuo da un
altro è la diversa attività attribuita a un particolare bisogno. Murray utilizza il TAT (thematic apperception
Un contributo significativo allo studio sulle motivazioni viene dalla teoria psicanalitica secondo la quale il
comportamento umano sembra determinato da un perenne conflitto tra i desideri di una soddisfazione immediata
e la necessità di rispondere alle regole della società e della morale.
Freud riteneva che in ogni uomo operassero due tipi di pulsioni: la pulsione della vita (Eros) comprendente
libido e istinto di autoconservazione e la pulsione di morte (Thanatos) che si manifesta in tendenze
autodistruttive.
Nel modello dinamico di Freud, l’inconscio coincide con il “rimosso”, cioè con tutti quei contenuti psichici il cui
accesso alla coscienza è costantemente impedito dalla rimozione. La rimozione rappresenta uno tra i possibili
meccanismi di difesa teorizzati da Freud per spiegare il contrasto tra ciò che è voluto e desiderato e ciò che è
lecito agire in un contesto sociale. I meccanismi di difesa sono utili per spiegare i comportamenti dei
consumatori. Quelli individuati da Freud sono:
• Identificazione: è il meccanismo secondo il quale l’individuo si identifica in un’altra persona
(testimonial ad esempio) considerata migliore e meno vulnerabile nei confronti delle proprie pulsioni.
• Rimozione: ha lo scopo di impedire che contenuti mentali pericolosi affiorino alla coscienza.
• Sublimazione: l’individuo sostituisce un obiettivo non raggiungibile o inaccettabile con un altro
socialmente accettabile.
Secondo la teoria della gerarchica dei bisogni di Maslow, i bisogni possono essere suddivisi in 5 categorie
disposte in ordine progressivo, per cui senza la soddisfazione dei bisogni dei livelli inferiori non si sente la
necessità di soddisfare quelli dei livelli superiori. I bisogni di livello inferiori sono i bisogni fisiologici legati alla
dimensione biologica, poi troviamo i bisogni di sicurezza legati alla sensazione di protezione e di sicurezza fisica
e psichica. Seguono i bisogni di appartenenza e di riconoscimento sociale, legati all’esigenza di sentirsi parte
integrante di un gruppo. Poi abbiamo i bisogni di autostima legati all’esigenza di avere una buona immagine di
sé, ed infine quelli più difficili da raggiungere i bisogni di autorealizzazione legati alla sensazione di
realizzazione personale. Questa scala dei bisogni è stata utilizzata dal mondo del marketing in maniera forse un
po’ troppo semplificata. In realtà i consumatori non passano in maniera così schematica da un livello all’altro.
Inoltre, non è detto che un prodotto o una marca soddisfino solo uno dei suddetti bisogni, così come non
possiamo non considerare che questa gerarchia potrebbe andare bene solo per il contesto culturale e sociale
all’interno del quale è stata studiata. Gli appartenenti ad altre culture per esempio potrebbero considerare molto
più importante la dimensione sociale piuttosto che la sicurezza. Ed ancora bisogna poi considerare la
predisposizione personale, ogni individuo infatti ha una particolare situazione personale e quindi avere differenti
priorità e specifici bisogni da soddisfare.
Il coinvolgimento
Il concetto di coinvolgimento (involvement) indica la rilevanza che un particolare oggetto o prodotto può avere
per un individuo in base ai suoi bisogni, ai suoi valori e ai suoi interessi. Il grado di informazione a cui presta
attenzione un consumatore è strettamente dipendente dal suo grado di coinvolgimento. Questo grado di
coinvolgimento può essere considerato come un continuum dove da parte vi è lo stato di inerzia, che porta a
prestare attenzione solo agli aspetti più superficiali, il comportamento del consumatore è legato all’abitudine e le
decisioni vengono prese senza analizzare attentamente le possibili alternative. Dall’altra parte vi è il
coinvolgimento massimo che spinge l’individuo a cercare informazioni e a scegliere solo dopo un’attenta analisi
di tutte le possibili scelte. Heath propone uno schema con 3 diversi livelli di attività cognitiva in relazione al
coinvolgimento verso uno specifico stimolo: livello di attivazione di elaborazione delle informazioni; tipologia
di apprendimento; effetto consecutivo all’apprendimento.
Nel caso di elevato coinvolgimento e quindi di un’attrazione o attenzione alta verso lo stimolo, il processo di
elaborazione delle informazioni prevede un impegno maggiore. Nel caso di un più basso gradi di coinvolgimento
(inerzia), l’analisi dei dati sarà più superficiale e il consumatore sarà astratto dagli aspetti più irrilevanti e
superficiali della comunicazione. In questo caso il tipo di apprendimento sarà più passivo e meno consapevole e
il conseguente cambiamento degli atteggiamenti più lento e graduale. Ci troviamo di fronte ad una forma di
apprendimento a basso coinvolgimento cognitivo che Shiv e altri autori chiamano lower-order cognition. In
questo caso la frequenza di presentazione della comunicazione avrà una funzione determinante nel processo di
apprendimento. Poiché i fattori che influenzano il grado di coinvolgimento possono essere diversi e attribuibili
L’influenza dei processi caldi e della motivazione nella costruzione della realtà.
Uno dei contributi più interessanti allo studio del grado di influenza dei processi psicologici “caldi” (la
motivazione, aspettative, bisogni) sui processi cognitivi e decisionali è quello di Bruner che sottolinea e indica il
ruolo delle motivazioni, i desideri e le emozioni hanno nei processi sociali e in quelli decisionali. Per dimostrare
ciò l’autore si è servito di uno dei più noti esperimenti di psicologia sociale. Tale esperimento consisteva nel
chiedere a un gruppo di bambini di 10 anni di giudicare la grandezza di alcune monete. Metà del gruppo
proveniva da un’area benestante di Boston, l’altra metà da sobborghi e zone povere. I risultati mostrarono come
questi ultimi bambini tendevano a sovrastimare la grandezza delle monete rispetto al primo gruppo. In questo
caso l’appartenenza al contesto sociale, i bisogni e desideri hanno influenzato la percezione della grandezza delle
monete indicando chiaramente l’influenza dei processi caldi affettivi nell’elaborare le informazioni. Le
motivazioni sembrano quindi avere un ruolo determinante nell’interpretazione della realtà e nel giudicare i
comportamenti. Diversi studi hanno infatti sottolineato l’influenza esercitata dalla motivazione all’accuratezza
sui processi cognitivi.
La motivazione all’accuratezza spinge l’individuo a ricercare e adottare strategie più onerose, il suo contrario
invece, la motivazione alla chiusura spinge all’adozione di strategie semplificatrice, esempio le euristiche.
Infatti, la motivazione alla chiusura coincide con l’uso di schemi e stereotipi e con l’impazienza e l’impulsività
nel formulare un giudizio e arrivare alla soluzione del problema. Si tratta di un modo di reagire al contesto
sociale dettato prevalentemente da una forma di rigidità di pensiero e dalla riluttanza ad accettare punti di vista
diversi dal proprio.
La realtà quindi non è assoluta ma la sua percezione può variare a seconda del gruppo a cui un individuo
appartiene.
Secondo Lewin le forze ambientali hanno un ruolo di grande rilievo nello sviluppo dell’individuo e nella
determinazione del suo comportamento, ma ciò che è importante è la profonda relazione causale circolare fra le
une e le altre. L’ambiente esperito dall’individuo è visto diverso da persona a persona, come anche per la stessa
persona in momenti diversi. Solo negli ultimi anni si è assistito in campo psicologico a una maggiore attenzione
alla dimensione narrativa e simbolica per la comprensione dei comportamenti social. Così lo stesso oggetto o
comportamento umano assumono un significato diverso nel tempo e nello spazio, perché condizionati dalla
cultura e dal modo di interpretare secondo principi situazionali di costruzione sociale. L’individuo deve essere
considerato come sistema complesso interrelato con un sistema ancora più ampio come quello sociale, culturale
e valoriale analizzabile attraverso una modalità di studio di tipo olistico.
La maggior parte delle decisioni di acquisto e di consumo non è frutto di una valutazione consapevole, razionale
e logica. Infatti, contrariamente a quanto rappresentato teoricamente dalle teorie economiche normative, tutte le
volte che un individuo si trova a fare una scelta e decidere se acquistare un prodotto o un servizio, egli è
inconsciamente coinvolto in una tempesta di emozioni di segno positivo e negativo, che incideranno sulla
decisione di acquisto.
Il conflitto neuronale che conduce alla decisione, interessa essenzialmente la componente emotiva della mente,
che a sua volta può anche essere attivata da marcatori somatici, sviluppati dalle aziende con la loro
comunicazione.
Le emozioni, dunque, non sono un elemento disturbante del processo decisionale, ma ne rappresentano una parte
essenziale, ovvero diventano il modo con cui viene contestualizzato un problema e le opzioni che caratterizzano
una scelta di acquisto.
A partire dagli anni ’70, in particolare, è stato infatti evidenziato che la decisione non può essere guidata
esclusivamente da processi logici e razionali (freddi), essa è determinata da vissuti e percezioni strettamente
legati ad aspetti emotivi e motivazionali (caldi). Oggi più che mai, in seguito a numerose ricerche
neuroscientifiche, questo cambiamento epocale è stato riconfermato.
In particolare, un enorme contributo è stato offerto da uno dei più noti neuroscienziati contemporanei, Damasio,
il quale, nel suo saggio L’errore di Cartesio (1995), ha offerto una nuova visione dell’uomo che decide, andando
a ribaltare la concezione cartesiana del dualismo mente – corpo, evidenziando l’azione reciproca del corpo e del
cervello, che costituiscono un organismo unico e indissociabile. In questo saggio infatti, Damasio inquadra la
funzione delle emozioni non come elementi perturbanti la serenità della ragione, bensì come elementi di base del
buon funzionamento della mente, andando a dimostrare che un danno all’area cerebrale deputata alle capacità
emozionali, va a rendere le persone incapaci anche di manifestare ragionevolezza, soprattutto nella presa di
decisioni in condizioni socialmente rilevanti. In questo modo, i consumatori non sarebbero macchine pensanti
che si emozionano, ma macchine emotive che pensano.
Questa nuova prospettiva e questo nuovo modo di intendere la relazione tra emozione e decisione, impone nuovi
modelli di studio del consumatore, come quelli offerti dal neuromarketing. Il consumatore non può più essere
studiato nella sua rappresentazione razionale e logica, tipica dell’età moderna, quindi semplicemente come homo
oeconomicus, ma deve essere analizzato nella sua più complessa rappresentazione, in cui la dimensione
razionale si fonde con il suo substrato biologico, e quindi come homo neurobiologicus.
Lo studio neuroscientifico non deve essere dunque uno studio fine a se stesso, ma deve essere capace di
analizzare quali possono essere gli elementi in grado di orientare l’azione e giustificare un atto di consumo. Si
parte dal presupposto che se ci emozioniamo positivamente alla vista di un prodotto, probabilmente saremo più
propensi ad acquistarlo. Alla base del neuromarketing, vi sono due elementi caratterizzanti:
• La consapevolezza che molte scelte di acquisto sono fatte senza un’immediata attivazione del sistema
cognitivo, ma grazie al sistema adattivo delle emozioni, offrendo, a volte, significato a ciò che si è fatto
solo dopo aver agito.
• La convinzione che i segnali psicofisiologici e neurologici possono essere in qualche modo misurati e
registrati, permettendo di arricchire con utili informazioni gli esiti delle indagini sul consumatore svolte
con le tecniche tradizionali (focus group, interviste, questionari, ecc.). Infatti, attraverso le tecnologie
Un soggetto umano giudica le offerte che gli vengono presentate non sulla base del loro valore oggettivo e
razionale, ma sulla base delle sensazioni soggettive che tali offerte gli suscitano e gli prospettano.
Il mondo delle esperienze soggettive è ancora in gran parte misterioso e solo in anni recenti le neuroscienze lo
hanno preso in considerazione grazie agli sviluppi delle tecniche di brain imaging e delle metodologie di
registrazione diretta dell’attività neurale in soggetti umani e animali coscienti.
Il decennio 1990 - 2000 è stato considerato il decennio del cervello dagli esperti delle neuroscienze perché ha
visto un impressionante incremento nella comprensione delle basi neurale dell’esperienza soggettiva.
Si deve tener presente che prima di questa data la maggior parte degli esperimenti era condotta su animali
anestetizzati, mentre per l’essere umano ci si basava su patologie oppure sui dati ottenuti su soggetti deceduti.
Si prova a spiegare l’esperienza soggettiva, ma cos’è? È fatta di colori, forme, sapori, sensazioni, piaceri, dolori?
Il momento di svolta in questa disciplina sono stati gli anni ’90, quando vari autori hanno iniziato a occuparsi di
esperienza soggettiva e si sono resi conto dell’esistenza di quello che, con nome appropriato, è stato definito
problema difficile: ovvero, anche se si potessero individuare tutte le connessioni neurali, perché tale attività
dovrebbe trasformarsi nella qualità dell’esperienza dei soggetti?
Il problema quindi non è solo scientifico, ma anche pratico.
Allo stato attuale delle ricerche ci sono due diversi approcci all’esperienza soggettiva: secondo il primo la
coscienza è il frutto delle interazioni tra il mondo esterno e il soggetto grazie alla percezione, all’apprendimento,
alla cultura, alle relazioni intersoggettive, alla comunicazione, all’interazione linguistica.
Addirittura, secondo molti autori, l’esperienza soggettiva dipende in maniera sostanziale dall’ambiente esterno.
Alternativamente, le neuroscienze reputano che l’esperienza soggettiva sia esclusivamente una proprietà dei
neuroni, anche se, per potersi sviluppare il cervello richiede un corpo inserito in una rete di relazioni.
Strettamente apparentate con l’esperienza soggettiva, e tradizionalmente altrettanto sfuggevoli, sono le
emozioni.
Da un punto di vista neurologico, queste possono essere viste come stati prodotti da un segnale di rinforzo,
generati da quei particolari stimoli che un essere vivente deve essere in grado di riconoscere in quanto legati a
situazioni critiche per la sua sopravvivenza.
I segnali di rinforzo devono il loro nome al fatto di essere responsabili dell’apprendimento delle reti neurali e di
condizionare la crescita e lo sviluppo di un individuo da un punto di vista cognitivo.
Lo studio della motivazione e quello dell’affetto sono strettamente correlati. I concetti di affetto, emozione,
sentimento sono spesso citati e descritti dagli studiosi, e sono fondamentali, in quanto in grado di influenzare il
comportamento dei consumatori.
L’affetto ha la capacità di attivare, di preparare all’azione e di stimolare il raggiungimento dell’obiettivo. Per
affetto intendiamo uno stato sentimentale interiore, una valutazione sentimentale verso un oggetto, evento o
persona che nulla ha a che fare con i pensieri e la valutazione cognitiva ma con genuino sentimento interiore o
con l’umore. L’affetto di distingue dall’umore semplicemente perché quest’ultimo è considerato come uno stato
affettivo che generalmente può mancare di una precisa identificazione della sua origine ed è di bassa intensità.
L’umore può essere facilmente manipolabile, attraverso ad esempio l’esposizione a stimoli sonori, musica,
immagini o attraverso il recupero di particolari ricorsi emotivamente connotati. L’intensità della manipolazione
dello stato emotivo ed affettivo con stimoli ad esempio pubblicitari è alla base della distinzione tra emozione ed
umore. L’emozione è una reazione intensa, improvvisa, di breve durata, in grado di incidere sul consumatore a
tre livelli:
1. quello fisiologico attraverso modificazioni riguardanti la respirazione, la pressione arteriosa, il battito
cardiaco, la circolazione, la digestione e così via;
2. quello comportamentale grazie al quale possiamo vedere come cambiano le espressioni facciali, la
postura, il tono della voce e le reazioni;
3. quello psicologico che si riferisce a ci che sentiamo e proviamo personalmente e che Ł in grado di
modificare il controllo di noi stessi.
L’emozione è uno stato affettivo più intenso dell’umore e meno stabile.
I sentimenti invece, si riferiscono alla capacità di provare sensazioni ed emozioni in maniera consapevole e
riguardano la coscienza delle proprie azioni, del proprio essere e dell’altro. Si riferiscono ad una o a più persone,
sono meno intensi delle emozioni, hanno una durata più lunga delle emozioni e sono consapevoli.
Il ruolo della comunicazione pubblicitaria è di creare una emozione alla vista della marca o del prodotto e con il
tempo di promuovere un conseguente coinvolgimento sentimentale. Le emozioni hanno un ruolo guida nei
comportamenti. Permettono di aumentare l’intensità del ricordo ma anche magari di inibire il processo
Un primo punto condiviso da quasi tutte le teorie risiede nel fatto che le emozioni si possono dividere in
primarie, o di base, e secondarie, o complesse. Mentre le emozioni di base hanno una forte determinazione
biologica (paura o collera per esempio), quelle secondarie derivano dal diverso peso di alcune emozioni
primarie, ma sono anche il risultato delle esperienze passate e quindi del contesto educativo, storico e culturale.
Autori diversi sostengono diversi tipi e numeri di emozioni, ma quelle comuni sono la tristezza, la rabbia, la
paura, la felicità e la sorpresa. Di certo c’è un consenso generale nell’ascrivere agli stati emotivi i seguenti
denominatori comuni: spontaneità, pervasività e transitorietà.
Un altro fattore condiviso risiede nell’attribuzione agli stati affettivi di una connotazione o di un valore. Per
questo alcuni ricercatori parlano di valenza, lungo l’asse su cui possono essere scanditi i giudici di piacevolezza /
spiacevolezza di una emozione. Il significato del termine valenza può essere anche spiegato come la qualità di
una esperienza emotiva, per cui essa può essere giudicata da chi la prova come positiva o negativa.
Vale la pena di riflettere sul rilievo che la soggettività esercita su una emozione. Per questa ragione si parla di
qualità edonica di una persona, e con questa etichetta si vuole catturare la dimensione soggettiva di uno stato
psicologico o affettivo, in termini di positività / negatività.
Un ultimo denominatore comune e condiviso consiste nel riconoscere alle emozioni un correlato biologico di
attivazione, in inglese chiamato arousal. In sostanza, ogni qual volta si fa l’esperienza di una emozione, si
ravvisa un cambiamento, rilevabile anche attraverso delle alterazioni fisiologiche e biologiche del corpo e/o del
sistema nervoso centrale e periferico.
Secondo la teoria degli effetti periferici di James (1890), nota come teoria di James - Lange, la percezione di
eventi esterni è in grado di determinare delle modificazioni corporee periferiche, che vengono poi elaborate
retroattivamente a livello cognitivo, ed etichettate come emozione o sentimento emozionale. La relazione
stimolo – sentimento emotivo può essere riassunta nella sequenza: STIMOLO RISPOSTA FISIOLOGICA
RETROAZIONE SENTIMENTO.
La pratica di misurare le reazioni psico – fisiologiche correlate con le emozioni è anche conosciuta generalmente
con il termine di Biofeedback, che dagli anni ’70 in poi è stata la base dei trattamenti di medicina
comportamentale. Proprio come il termine suggerisce, il concetto di base ruota attorno alla possibilità di fornire
una informazione di ritorno in merito al singolo stato psicofisico generale col fine di migliorare la propria
regolazione dei processi fisiologici che più o meno direttamente influiscono sugli stati mentali.
Nella terapia basata su questa tecnica, attraverso l’impiego di schermi di computer che rappresentano i loro
indici fisiologici, gli individui sono allenati ad esercitare il proprio controllo volontario sui loro parametri
fisiologici, che in genere sono: l’attività cardiaca, la sudorazione della pelle, la respirazione, la temperatura
periferica, la pressione del sangue, la tensione muscolare e l’attività cerebrale. Le applicazioni nel campo del
marketing si servono degli stessi processi e delle medesime tecniche di indagine. Nello specifico i parametri
fisiologici più utilizzati sono:
• sudorazione cutanea: quando aumenta il sudore, diminuisce la resistenza elettrica della pelle;
• variabilità cardiaca: comprendente le misure del battito cardiaco in tutte le sue espressioni;
• consumo di ossigeno: generalmente nel sangue;
• livello di tensione / rilassamento (elettromiografia EMG): del tono muscolare;
• vasocostrizione periferica: pulsazione del volume del sangue presente nei capillari;
• segnale elettroencefalografico del cervello (EEG): con cui si misurano le onde cerebrali.
Oltre a questi parametri un ulteriore dato è offerto dalla dilatazione pupillare che permette di misurare il grado di
attivazione di un soggetto. La dilatazione pupillare può essere misurata attraverso uno strumento indispensabile
per analizzare i movimenti oculari, l’eye tracker. Questo è in grado di tracciare su uno schermo tutti i punti dove
gli occhi guardano e di tracciare il percorso degli occhi sullo schermo. Quando si guarda qualcosa, gli occhi
compiono delle soste, dette fissazioni e dei salti o movimenti molto rapidi detti saccadi. Infine, non si può non
fare un breve cenno alle tecniche di neuroimmagine frutto di tecnologie molto complesse ma in continua
evoluzione, come la risonanza magnetica funzionale, la magnetoencefalografia, la tomografia computerizzata, la
tomografia a emissione di positroni. Tutte tecniche che hanno permesso di mettere in evidenza le aree del
cervello che si attivano maggiormente quando il soggetto fa l’esperienza di stati emotivi.
La risonanza magnetica funzionale è una tecnica di imaging biomedico che consiste nell’uso dell’imaging a
risonanza magnetica per valutare la funzionalità di un organo o di un apparato, in maniera complementare
all’imaging morfologico. Si tratta di tecniche che da una parte hanno permesso di avere una più chiara
conoscenza del sistema cerebrale e dall’altra hanno permesso di avere interessanti applicazioni dirette nel campo
della ricerca sul consumatore già dagli anni ’90. Sebbene la RMF sia una terminologia generica, essa è spesso
usata come sinonimo di risonanza magnetica funzionale neuronale. Questa tecnica è in grado di visualizzare la
risposta emodinamica correlata all’attività neuronale del cervello o del midollo spinale. Nell’uomo o in animali.
La RMF ha contribuito in maniera significativa nel dare alla neuropsicologia la possibilità di analizzare
differenti aspetti del ruolo di ciascuna regione cerebrale attraverso lo studio delle aree attivate in funzione di un
particolare atto o pensiero.
Se la RMF misura l’attività sanguigna, che ha tempi di risposta molto più lunghi, la magnetoencefalografia
(MEG) è, invece, una tecnica di immagine molto più veloce usata per misurare i campi magnetici attraverso
l’impiego di apparecchiature elettroniche molto sensibili, in inglese SQUIDs.
Prima ancora dello sviluppo del marketing esperienziale fondato proprio sulla capacità di coinvolgimento
emotivo ed affettivo il marketing ha sempre cercato di misurare l’emozione che stava dietro la relazione con il
brand e con il prodotto. Fin dagli anni ’60 è possibile trovare le prime applicazioni sui consumatori e le ricerche
finalizzate ad analizzare le emozioni, l’attenzione, la memorizzazione. Negli anni abbiamo assistito all’utilizzo
di specifiche tecniche:
• negli anni ’60 e ’70 la dilatazione pupillare e la conduttanza elettrodermica‚
• negli anni ’80 la misurazione cardiovascolare e le espressioni facciali.
• Dal 2000 in poi si è assistito ad un incremento dell’utilizzo di tutti gli indicatori grazie allo sviluppo
delle conoscenze sul funzionamento cerebrale e al miglioramento delle tecnologie sempre più sofisticate
e sensibili.
La misurazione della dimensione affettiva che si svilupperebbe spontaneamente, senza alcuno sforzo cognitivo,
permetterebbe di valutare oggettivamente ci che Mehrabian e Russel (1974) avevano definito reazione emotiva
nelle sue principali dimensioni, quella di piacere, di attivazione e di dominanza.
Il grado di piacere e di attivazione legata alla dimensione affettiva è stato già studiato attraverso l’analisi delle
onde alpha e delle onde beta dell’elettroencefalogramma (EEG), utilizzate anche per misurare l’attività
cerebrale, l’impegno cognitivo che una scelta può generare nel consumatore e lo stato di attivazione cognitiva
(attenzione e memorizzazione).
Sebbene le neuroscienze confermino che l’attivazione selettiva di ciascun emisfero può variare a seconda dell’et,
del sesso, del tipo di stimolo, gli studi sulla possibilità di distinguere le attivazioni differenziate per area
cerebrale non hanno ancora portato a dati indiscutibilmente attendibili e validi.
Gli studi sul funzionamento del cervello, effettuati grazie sia alle tecniche encefalografiche che a quelle offerte
da attrezzature più sofisticate come la risonanza magnetica funzionale, hanno permesso anche di analizzare
eventuali differenze funzionali e anatomiche tra uomo e donna, tra giovani e anziani, permettendo di giungere a
soluzioni applicative nel campo dei consumi e della comunicazione pubblicitaria coerenti con queste eventuali
differenziazioni. Sappiamo per esempio che il cervello dell’uomo e quella donna si differenziano molto anche
per motivi di ordine adattivo.
Nella donna per esempio il corpo calloso che permette la congiunzione tra i due emisferi è molto sviluppato più
che nell’uomo, e ci si traduce in una maggiore predisposizione delle donne alla gestione di più compiti
contemporaneamente ed una capacità di elaborazione delle informazioni maggiore (l’uomo invece ha più
sviluppata l’amigdala, cioè la ghiandola necessaria per la gestione dell’aggressività e della sessualità).
Individuare le aree cerebrali coinvolte in un messaggio pubblicitario, unitamente alla misura dell’eccitazione
neuronale, consente prima di esporsi a grandi spese di valutare l’efficacia del prototipo sulla base del livello di
Introduzione
Esempio Simone: dirigente di una grande multinazionale. Molto attento alla cura del proprio corpo e della
propria forma fisica. Questo aspetto lo si riscontra anche nella scelta di determinati prodotti. Interessato prima di
tutto a se stesso, alla sua immagine, ai suoi hobby (nuoto) e a mettere in atto pratiche di consumo che riflettono
l’interesse per la propria autodeterminazione.
Alcuni cambiamenti sociali, come l’indipendenza delle donne, le famiglie monoparentali, il moltiplicarsi dei
single, destrutturano gli equilibri attorno ai quali si caratterizzavano i consumi negli anni ’60 – ’70.
Anni ’80: il consumatore vive all’insegna dell’individualismo. In questi anni si parla di “sovranità
dell’individuo”, come della “sovranità della marca”, quasi a suggerire il dialogo esclusivo che il consumatore
instaura con il brand, appropriandosi dei valori e dei significati che rappresenta al fine della sua costruzione
identitaria. Questo modo di rapportarsi ai prodotti di consumo raffigura una relazione di dipendenza
dell’individuo rispetto alla marca, che egli stesso, anche a seguito di condizionamenti sociali, erige a modello di
riferimento, quale detentrice e rappresentante di immagini valoriali a cui ispirarsi e di cui perseguire
l’acquisizione. Sebbene oggi si registri un calo della sovranità della marca, la sovranità dell’individuo permane,
anche se rispetto agli anni ’80, il consumatore trova nella scelta di un prodotto un appiglio momentaneo rispetto
ad un’esigenza di autodeterminazione.
I concetti di identità e di self (il sé) sono usati sempre per fare riferimento a descrizioni della persona nella sua
individualità. Il concetto di self viene più spesso utilizzato per fare riferimento a specifiche componenti o a
posizioni di auto - osservazione o ancora a determinati processi che riguardano l’idea che ci facciamo di noi
stessi.
Il termine identità rimanda più frequentemente alla unicità della persona nel suo complesso.
Per quanto riguarda il piano individuale, si è distinto il self come soggetto dal self come oggetto. Già James
(1890) ha distinto i due modi di guardare a se stessi:
• il self come conoscitore, ovvero l’IO ‚
• il self come conosciuto, ovvero il ME
Il self come conoscitore comprende i vari stati del self, come per esempio lo stato di consapevolezza di sé detto
self - awareness, e le motivazioni del self che riguardano tutti i processi auto - riflessivi e di auto - regolazione
che influiscono sull’azione. Quando si parla di self conosciuto, invece, possiamo distinguere definizioni del self
che fanno riferimento a ruoli e a categorie di appartenenza, e definizioni del self che fanno riferimento al
confronto tra diverse rappresentazioni del self, come la distinzione fra Sé ideale e Sé reale, oppure si riferiscono
ai vari Sé possibili, e ai giudizi su diverse dimensioni del self, come l’auto - stima (giudizio di valore generico
attribuito alla persona) e l’auto - efficacia (giudizio circa la capacità relativa a specifici contesti di azione).
Le varie percezioni del self e i sistemi di conoscenza del self sarebbero organizzati in strutture gerarchiche utili
all’attivazione mnestica oppure in narrative che attribuiscono coerenza e continuità al senso di identità altrimenti
frammentate in una moltitudine di rappresentazioni.
Il piano di analisi sociale concepisce il self - identità come sostanzialmente condizionato dall’esterno. Si parla di
modello sociale condiviso, di aspettative sociali, di concezione culturale della persona, di valori culturali
prevalenti e processi di costruzione identitaria influenzati dagli standard di riferimento sociali.
Quindi, i concetti di “cultura” e di “identità” sono strettamente correlati tra di loro nella costruzione identitaria;
basti pensare alle diverse concezioni delle società occidentali e orientali circa l’identità (es.: queste ultime
antepongono l’identità di gruppo all’identità individuale contrariamente a quanto avviene nelle società
occidentali dove l’espressione individuale è considerata al pari di un valore e sin dall’infanzia si va alla ricerca
della propria unicità.
Queste differenze culturali hanno un impatto considerevole sulle valutazioni delle considerazioni delle
condizioni che favoriscono o impediscono l’espressione individuale verso quelle del gruppo.
È per esempio il caso della “privacy”: la legislazione deve tener conto delle differenze culturali circa il valore
attribuito all’identità individuale e alle conseguenti diversità nelle percezioni in materia di diritto alla privacy.
Nella concettualizzazione di Altman (1975) l’abilità o l’incapacità di regolare le barriere personali è un fattore di
primaria importanza per la definizione del self. La percezione di essere in grado di controllare l’interazione con
gli altri fornisce informazione positiva circa la propria competenza ad affrontare il mondo e a mantenere allo
stesso tempo la propria individualità. Per la definizione del self è importante quindi saper regolare le barriere
personali e i meccanismi della privacy definiscono proprio i limiti e le barriere del self. Ciò che è importante è
l’abilità di regolare il contatto nella misura che si ritiene adeguata, allontanando le influenze degli altri quando
non sono gradite o avvicinandole senza paura quando ritenute necessarie.
“Se posso controllare quello che sono io da quello che non sono io, se posso definire cosa è una da cosa non lo
è, se posso osservare i limiti e lo scopo dal mio controllo, allora ho fatto un grande passo verso la comprensione
Con il termine self - concept si fa riferimento all’idea che si ha di Sé, ovvero a quel self conosciuto. E quindi:
✳ Sé reale: quello che penso di essere, la condizione attuale;
✳ Sé ideale: quello a cui aspiro, l’ideale da raggiungere;
✳ Sé possibili: molteplici sfaccettature di me stesso, sia attuali che potenziali. Rappresenta il collegamento
fra cognizione e motivazione.
Le valutazioni del “Sé reale” e del “Sé ideale” possono discostarsi l’una dall’altra. La pubblicità sfrutta proprio
questo gap, presentando modelli di identificazione che forniscono un ideale troppo lontano dal reale e
incentivando una valutazione severa del sé reale, per esempio associando valutazioni negative alle rughe o ai
capelli bianchi. L’associazione tra bellezza giovinezza e successo economico produce un divario tra i due “Sé”,
colmabile solo sul piano simbolico attraverso la scelta di prodotti e di marche in grado di rappresentare gli stessi
valori.
Dal momento che il contesto sociale svolge un ruolo importante nella costruzione del “Sé”, è possibile
considerare il self come una realtà dinamica ed in costante evoluzione. Si tratta di interpretazioni socio-
centriche, in quanto l’identità appare composta di molte sfaccettature che trovano espressione in base ai diversi
contesti e stimolazioni che provengono dall’ambiente. Rosenberg parla di “identità sociali” a seconda dei ruoli
rivestiti. Esse tuttavia non esauriscono la molteplicità delle identità di una persona e a queste si associano anche
tratti individuali non riconducibili a particolari ruoli sociali.
Il Sé ideale è formato da modelli che si sono introiettati, che rappresentano come si pensa si dovrebbe essere.
Essi derivano dalla sovrapposizione di modelli parentali con modelli aspirazionali acquisiti attraverso
l’esposizione diretta o mediatica ad altre persone che vengono assunte a ideali di riferimento.
Secondo la tradizione più prettamente sociologica dell’interazionismo simbolico, ogni persona ha
potenzialmente più Sé sociali che si costruiscono e si esprimono nell’interazione sociale. Qui gli stimoli che
provengono dall’esterno non sono dati oggettivi, ma piuttosto il frutto di processi interpretativi che si forgiano
attraverso la comunicazione, il linguaggio, i simboli che emergono nello scambio con l’altro. Le persone
attribuiscono significato a se stesse e alle cose in base ai significati che vi attribuiscono e al modo in cui
agiscono verso queste stesse cose o persone. Il significato emerge quindi, dall’agire stesso nel contesto
Fra i principali cambiamenti rispetto al passato si rileva la crescente individualizzazione, per cui il consumatore
agisce e sceglie in quanto individuo, seguendo le proprie inclinazioni e nel tentativo di esprimere se stesso
piuttosto che come membro di un gruppo o in funzione di necessità utilitaristiche.
Oltre ad essere concentrato su di Sé, il consumatore postmoderno si trova ad affrontare una tendenza alla
frammentazione dei modelli, dei valori e degli stili.
Anche Giddens, sebbene preferisca adottare il termine di modernità radicale per sottolineare la permanenza di
forze strutturali ed evitare il rischio di relativismo, riconosce nella frammentazione e nell’individualizzazione
alcuni dei cambiamenti più significativi che investono l’individuo nella società contemporanea.
Inoltre, come Beck, puntualizza l’emergere della percezione del rischio come elemento di ulteriore
complicazione nel quadro già incerto dell’identità moderna.
Di fronte alla complessità, all’incertezza e al rischio percepito, il consumatore di oggi si trova nella necessità di
affidarsi alla fiducia ontologica per evitare l’effetto paralizzante dell’ansia che esperisce nel dover scegliere. La
possibilità dell’auto - determinazione obbliga il consumatore a dedicare tempo ed energie nel tentativo di operare
scelte corrette, che garantendo l’apprezzamento sociale possano apparire adeguate al perseguimento della
felicità. Egli è infatti, sicuramente più libero nell’auto-determinarsi, ma paga questo atto di libera espressione in
termini di insicurezza, ansia da prestazione e paura.
La concentrazione sul self (self - focus) appare pertanto una esigenza dettata dalla necessità di esercitare
discrezionalità e autonomia. Il self-focus aumenta all’aumentare dell’insicurezza e dalla mancanza di controllo
percepito ed è un’esigenza che nasce dal perseguimento della felicità. Se prima si affidava la felicità alla
religione, rimandando la questione all’aldilà, i nuovi valori di riferimento sollecitano un’autorealizzazione tutta
terrena e costringono l’individuo a ricercare nella contemporaneità la ragione della propria esistenza. Il self
focus si esprime in termini di riflessività, per cui il soggetto tende a sottoporsi a valutazione continua, in
relazioni ai risultati che ottiene nell’ambiente e in base ai quali si predispone al cambiamento. La dimensione
postmoderna enfatizza la dimensione sociale dei processi riflessivi che, stimolati dalla pervasività
dell’informazione, inducono la società nel suo insieme e gli individui che ne fanno parte a riflettere
costantemente sui propri processi, predisponendosi in questo modo ad una dinamica di costante evoluzione.
Il rapporto con i beni di consumo non è di tipo utilitaristico. I beni sono infatti portatori di significati e possono
svolgere un ruolo simbolico ai fini dell’espressione identitaria. Ne deriva che il consumo è un atto di
comunicazione. Douglas e Isherwood (1979) hanno evidenziato il significato culturale degli oggetti e messo in
evidenza la loro funzione simbolica al di là delle caratteristiche funzionali e utilitaristiche.
Nella società contemporanea i significati simbolici si amplificano per via delle strategie di comunicazione delle
marche che diventano portatori di valori e significati. Tuttavia, il consumatore non sempre è fruitore passivo in
questo processo di significazione ma attribuiscono agli oggetti significati propri e intangibili, non previsti dal
produttore e dal marketing.
La condivisione sociale del valore economico di certi beni è un fattore importante nella spiegazione del
materialismo, termine con cui ci si riferisce alla tendenza ad attribuire valore al possesso di beni e alle persone
che li possiedono. La ricerca psicologica ha infatti dimostrato che le persone materialistiche misurano il proprio
e l’altrui valore con riferimento ai beni materiali posseduti, che apparirebbe quindi anche come garanzia di
felicità.
Se i beni possono essere considerati come espressione di valore individuale, essi assumono anche il significato
simbolico di estensione del self (extended self). I beni con cui entriamo in relazione, che diventano di nostra
proprietà e di cui ci circondiamo, assumono significati ulteriori che vanno ad aggiungersi a quelli definiti dalla
marca.
Per spiegare il legame tra le proprietà materiali e l’identità, Dittmar (1992) propone un modello simbolico -
comunicazionale. Secondo questo modello, alcuni oggetti sono considerati per le caratteristiche fisiche e
assumono quindi un significato strumentale; tali oggetti possono assumere anche una funzione simbolica. Altri
oggetti invece hanno solamente significato simbolico, che può essere suddiviso in categorico ed espressivo del
Sé. Il significato simbolico categorico posiziona l’individuo in termini socio - materiali, essendo un indicatore di
status e della posizione economica e sociale; il significato espressivo del sé riguarda invece la rappresentazione
di attributi, qualità, attitudini e inclinazioni personali.
Dittmar sottolinea l’aspetto pubblico dei beni materiali, ovvero il significato che viene attribuito ad un oggetto
da osservatori esterni, distinguendola dalla dimensione privata che è invece rappresentata dalla somma dei
significati che l’oggetto rappresenta per un individuo e può comprendere anche il significato pubblico. Al di là
del significato privato, è il significato pubblico dei beni che spiega molte delle scelte individuali.
I giudizi categorici svolgono un ruolo importante nella formazione della prima impressione. Di conseguenza il
nostro comportamento nei confronti delle persone varierà in funzione di questa prima impressione che ci siamo
formati. In questo modo viene dato un giudizio sulla condizione della persona (valutazione categorica) e
successivamente si forma una impressione sulle qualità personali (valutazione espressiva). In funzione della
prima valutazione.
Nell’ambito delle ricerche di mercato, le tecniche qualitative sono utilmente impiegate per la comprensione dei
significati simbolici attribuiti agli oggetti di consumo. Per esempio, l’approccio semiotico si basa sull’analisi dei
sistemi di senso che concorrono alla creazione e alla caratterizzazione di prodotti e marche attraverso i processi
della comunicazione sociale. Esso serve per individuare quelle forme di relazione e valori in gioco che
caratterizzano gli oggetti di analisi, al fine di poterlo posizionare (per analogie o differenze), incrementando il
potere euristico (si spiega meglio ciò che è stato smontato e confrontato).
La ricerca socio-semiotica è però anche uno strumento che può essere utilizzato autonomamente per esempio per
costruire scenari editoriali, per evidenziare scarti e specificità di posizionamento o per individuare aree non
ancora presidiate. È possibile costruire così una tabella comparativa (mappa o grafico) che mette in evidenza
queste caratteristiche.
Nell’ambito del ripiegamento narcisistico che è funzionale al monitoraggio della narrativa identitaria e alla
protezione rispetto al rischio percepito di inadeguatezza, le pratiche trasformative del corpo, le cure di bellezza
come l’attenzione per la moda sono tutti comportamenti di consumo sintomatici del bisogno di controllo sul
proprio self.
Il corpo è il primo territorio a ospitare pratiche di consumo per la costruzione identitaria. Il proprio corpo e tutto
ciò che lo adorna e lo ricopre, così come gli oggetti che hanno a che fare con la persona (auto, casa, letto, …)
sono tutte funzioni rappresentative dell’estensione del self. Le pratiche trasformative del corpo, come la cura
della bellezza l’attenzione per la moda e per la chirurgia estetica e così via, sono invece comportamenti di
consumo sintomatici del bisogno di controllo sul proprio self, per proteggersi dal rischio percepito di
inadeguatezza, per intervenire sul pericolo di esclusione sociale, per contrastare l’invecchiamento.
Il corpo rappresenta quindi, il fulcro del controllo sull’espressione del sé nella relazione sociale, percepito come
uno strumento funzionale al successo nelle relazioni intime come in quelle di lavoro. Ci sono poi casi in cui si
assiste ad una parziale o totale sovrapposizione fra immagine fisica e identità, come per esempio coloro che
ricorrono in maniera intensiva e continua alla chirurgia plastica e nonostante ciò restano comunque insoddisfatti.
Tutta la loro insicurezza e instabilità sociale e relazionale, si ripercuote sul corpo, visto come l’unico territorio
sul quale sentono di poter esercitare un certo dominio.
Per identità di genere si intendono non solo la consapevolezza dell’individuo di essere maschio o femmina, ma
soprattutto quelle categorie interpretative condivise che ispirano il comportamento secondo il genere di
appartenenza e il ruolo ad esso legato.
Dittmar (1995) propongono una spiegazione del differente comportamento di consumo di uomini e donne
basandosi sulla doppia dimensione del significato che gli oggetti possono assumere: strumentale ed emozionale
simbolico.
Le interviste di venti studenti di sesso maschile e venti di sesso femminile hanno evidenziato che, in accordo con
la self - completion theory, gli individui paiono rapportarsi agli oggetti per il loro significato emozionale e
simbolico a seconda delle mancanze percepite nel concetto di Sé.
L’acquisto di prodotti a contenuto simbolico si spiega in base alla discrepanza percepita fra Sé reale e Sé ideale
e tale discrepanza appare spesso riferita a rappresentazioni di genere. Il genere sessuale e le rappresentazioni che
lo connotano sul piano sociale svolgono un ruolo importante nella costruzione identitaria perché fanno emergere
scelte di consumo differenti in base al genere di appartenenza.
Le donne sono più focalizzate su compensazioni inerenti l’immagine sociale e scelgono quindi prodotti che sono
in relazione trasformativa con il corpo (cibo, trucchi, vestiti). Gli uomini, invece, si concentrano sui simboli che
sono più significativi per l’identità personale, prediligendo così consumi che riguardano l’intrattenimento
personale, consumi funzionali che assumono un ruolo simbolico strumentale alla realizzazione del self. In
entrambi i casi, la scelta dei consumi dipende dal significato emozionale e simbolico a seconda delle mancanze
percepite nel concetto di sé.
• Consumi generici tutti prodotti che non rientrano nelle altre tre categorie e che vengono acquistati anche
da eterosessuali;
• Consumi ad hoc assicurazioni gay, viaggi gay, gay club, porno gay, siti gay;
• Consumi simbolici gay “maker goods”: cosmetici, moda, design + gay “maker brand” : Gucci, Prada,
Absolut Vodka;
• Consumi consumption cross – over cosmetici, moda, design, arte.
I mercati e i consumi non solo manifestano le identità dei consumatori, ma partecipano anche alla loro
ridefinizione. Come dice Laura Oswald: “Per quanto da una parte il comportamento di consumo sia una sorta
di specchio del sé, dall’altra il consumo costituisce il sé: i prodotti sono oggetti da amare, odiare, maneggiare e
contribuiscono alla formazione sociale e psicologica del consumatore e della cultura.”
Lo studio della personalità è stato utilizzato dal marketing per individuare comportamenti stabili e riconoscibili
a caratteristiche personali. Anche in psicologia questo studio nasce dal desiderio di spiegare delle apparenti
regolarità nel comportamento degli individui attraverso una varietà di situazioni diverse.
In realtà, i tratti della personalità anche se concepiti come caratteristiche stabili, risultano più come una funzione
di impulsi innati, motivazioni apprese ed esperienza.
Brand personality
Il brand serve per ridurre la distanza fisica tra consumatori e impresa differenziando i brand rispetto ai
concorrenti, sia come garante della qualità del prodotto. Il brand non è più solo indicatore del produttore o della
provenienza geografica ma con l’aumentare dell’offerta, esso acquisisce ulteriori significati, è sempre più
autonomo, in grado di esprimere la personalità e i valori. A partire dagli anni ’80, il brand è diventato sempre più
segno autonomo, in grado di rappresentare il prodotto e di esprimere personalità e valori in modo indipendente
dal produttore, che viene identificato con il concetto distinto di corporate brand. In questi anni emerge sempre
più chiara la differenza fra comunicazione istituzionale che promuove la reputazione del produttore, e
STILI DI VITA
Il concetto di stile di vita viene associato di frequente a quello di personalità. Secondo la teoria che cerca di
interpretare l’esistenza di tratti che nelle persone inducono a pattern regolari di comportamento, la relazione fra
personalità e consumo si potrebbe tradurre in aggregati di scelte tali da portare all’identificazione di diversi stili
di vita. Questi rappresentano un miglioramento delle segmentazioni classiche e hanno incluso variabili di ordine
psicologico come gli atteggiamenti e in qualche caso anche i tratti di personalità. Rispetto alle segmentazioni
classiche basate solo su dati socio-demografici, gli stili di vita includono variabili di tipo psicologico come gli
atteggiamenti, tratti della personalità, vengono così chiamate psicografie. Gli stili di vita così strutturati si sono
difatti chiamate psicografie con l’intento di enfatizzare la componente di misurazione psicologica che Ł
La tecnica psicografica più nota è il VALS (Value And Life Style) di Mitchell (1989) che si basa soprattutto
sulla teoria gerarchica motivazionale di Maslow, secondo cui il comportamento delle persone risulta dai bisogni
che sono ordinati gerarchicamente e il cui soddisfacimento seguo per l’appunto un ordine gerarchico che va dai
bisogni fisiologici e di sicurezza, ai bisogni di tipo sociale come quelli di appartenenza, attaccamento, stima,
riconoscimento e autorealizzazione. Per cui si avranno consumatori orientati al soddisfacimento di bisogni di
sicurezza, altri focalizzati sui bisogni di riconoscimento sociale e altri ancora alle prese con necessità di
autorealizzazione. Secondo questa tecnica, una volta soddisfatti i bisogni fisici (need driven), i consumatori si
dividono in:
✳ Outer Directed (eterodiretto): da più importanza al giudizio degli altri e si rifà a valori socialmente
condivisi;
✳ Inner Directed (autodiretto): puntano più sull’autogratificazione e sono orientati a valori più personali;
✳ Integrati: sono alle prese con i bisogni di autorealizzazione.
Per risolvere i limiti della VALS, viene creata una nuova tecnica chiamata VALS 2, che dà minore peso ai valori
e alle influenze sociali e si concentra molto di più su caratteristiche psicologiche che dovrebbero discriminare fra
gli individui in modo stabile e spiegare, insieme all’educazione e al potere di acquisto, specifiche costellazioni di
acquisti. Questa tecnica individua due dimensioni psicologiche di base:
• Self-orientation, che spiegherebbe il comportamento a seconda che si sia orientati a perseguire la
coerenza con i propri principi; migliorare il proprio status; ottenere informazioni e sfide;
• Dimensione delle risorse personali: rappresentate tramite un continuum che esprime il diverso grado di
motivazione, intelligenza, interesse al consumo ed energia, che possono caratterizzare gli individui
anche in considerazione dell’età anagrafica e dell’educazione
Secondo l’approccio VALS 2, la spiegazione psicologica, quando è in grado di identificare orientamenti
personologici stabili, appare più persuasiva soprattutto se si è alla ricerca di determinati universali che superino
eventuali differenze culturali per raggiungere mercati globali.
Sul territorio italiano possiamo trovare la 3SC con i suoi 14 stili di vita, tra cui stili giovanili, stili superiori, stili
centrali maschili, stili centrali femminili, stili marginali. Essa è stata elaborata con la tecnica di segmentazione di
Sinottica di Eurisko, fondata da Galvi (1972) e consiste nell’elaborazione di 14 stili di vita tramite un
questionario su atteggiamenti, interessi, opinioni, realizzato su un campione di circa 1000 persone dai 14 anni in
su, da cui è possibile mettere in evidenza delle aggregazioni per stili giovanili, stili superiori, stili centrali
maschili e femminili, stili marginali, a seconda delle variabili prese in considerazione che fanno riferimento
soprattutto a descrittori socio-anagrafici e ad attività di spesa e consumo.
Però ci sono comunque parecchie critiche riguardanti la vera funzionalità di queste tecniche, cioè se davvero
mantengono la promessa di consentire la previsione del comportamento.
La mancanza di una teoria che spieghi la creazione di tali aggregazioni, vanifica anche la questione della
validità. Inoltre, queste tecniche difficilmente consentono di prevedere il comportamento. Si limitano, in genere,
a descrivere gruppi di consumatori, giungendo alla formulazione del target già raggiunto. Risulta perciò sempre
Brand management
Con il termine brand management, si fa riferimento a tutte le strategie di gestione della marca finalizzate ad
aumentare il valore percepito di uno o più prodotti in termini di istintività, qualità e attrattività dell’offerta
rispetto a quella dei concorrenti. Si parla infatti di:
✳ Brand Equity (valore della marca): con riferimento alla conoscenza e alla forza di una marca in un dato
mercato come fra i principali indicatori di successo per un dato prodotto. Essa è determinata da:
• Proprietà della marca (Brand awareness)
• Fedeltà alla marca (Brand loyalty)
• Qualità percepita della marca
• Immagine di marca (Brand image)
Le attività di gestione della marca comprendono tutte le strategie orientate a promuoverne la conoscenza e a
raggiungere gli obiettivi prefissati dal marketing a livello di immagine e di qualità percepita.
✳ Line Extension: strategia di marca che riguarda il lancio di una categoria di prodotti nuovi all’interno di
una linea di prodotti già noti (es.: la mozzarella Santa Lucia della Galbani che introduce la mozzarella
alle olive).
✳ Brand Extension: strategia di marca che coinvolge il lancio di nuove categorie di prodotti utilizzando
una marca già nota (es.: il brand Ferrari utilizzato per le linee di abbigliamento).
✳ Licencing: i diritti di sfruttamento di un marchio sono venduti ad un altro produttore per la vendita di
prodotti appartenenti categorie non concorrenti, per edizioni speciali e limitate nel tempo.
✳ Co-Branding: associazione fra due marchi al fine di consentire al prodotto di un marchio di raggiungere
il target del secondo (es.: telefonino lanciato da LG Electronics con il marchio Prada).
Il successo delle strategie di gestione del brand dipende da molteplici fattori. Per esempio, un fattore critico nella
realizzazione di strategie di brand extension è la consonanza percettiva. La somiglianza fra la nuova categoria di
prodotto e alla categoria per la quale la marca gode già di notorietà influisce sulla reale possibilità di
trasferimento del capitale della marca.
Le persone con cui ci si relaziona influenzano gli atteggiamenti verso la politica e anche verso molte altre
questioni.
Gli atteggiamenti si formano e cambiano in virtù delle informazioni che riceviamo nel nostro ambiente di
interazioni. Il gruppo dei pari come i contesti lavorativi svolgono un ruolo importante nella spiegazione delle
posizioni attitudinali e dei comportamenti di ciascuno.
Gli atteggiamenti possono perciò essere considerati come il risultato di predisposizioni personali e delle tante
forze sociali che agiscono sulla persona fino a determinare le preferenze, le intenzioni e i comportamenti.
Atteggiamenti diversi portano a reazioni diverse anche nei confronti del consumo, per questo, possiamo dire che
gli atteggiamenti dei consumatori hanno un importante influenza sui comportamenti d’acquisto e questi ultimi
possono successivamente andare a rinforzare un certo atteggiamento o modificarlo.
La ricerca sugli atteggiamenti può essere utilizzata per comprendere le potenzialità di un nuovo prodotto, oppure
per comprendere e prevedere eventuali cambiamenti nelle abitudini di consumo.
Aalport: atteggiamento-stato mentale, organizzato grazie all’esperienza che esercita un’influenza sulle risposte
dell’individuo nei confronti di tutti gli oggetti e le situazioni con cui è in relazione.
I vari approcci alla definizione degli atteggiamenti corrispondono a diverse metodologie di misurazione. Ci sono
3 modelli che hanno interpretato l’atteggiamento in base alle componenti:
✳ Modello a una componente (Thurstone): l’atteggiamento consiste in un sentimento o valutazione verso
un determinato oggetto, persona o evento. In termini di misurazione è stato tradotto attraverso l’uso di
scale attitudinali volte a descrivere “il grado di valutazione positiva o negativa associata a un dato
oggetto psicologico.” È stata poi individuata anche una componente di predisposizione all’azione.
✳ Modello a due componenti: l’atteggiamento consiste in una condizione mentale che influenza il
comportamento e che di conseguenza influisce sui giudizi valutativi in maniera persistente.
L’atteggiamento viene quindi visto come qualcosa di inosservabile all’esterno se non attraverso le
valutazioni e comportamenti.
✳ Modello a tre componenti: l’atteggiamento è costituito da una componente cognitiva (si riferisce alla
convinzione, probabilità che un’affermazione sia vera o falsa), una componente affettiva (che implica
sentimenti negativi o positivi) e una componente conativa (che esprime la tendenza a comportarsi in un
certo modo nei confronti dell’oggetto dell’atteggiamento).
Modello tripartito dell’atteggiamento – Hogg e Vaughan – considera la relazione tra atteggiamento e
comportamento come già data, definita.
La necessità di perseguire una sorta di coerenza cognitiva è al centro anche della BALANCE THEORY che
formula l’esistenza di strutture attitudinali triadiche che tenderebbero alla ristrutturazione cognitiva in caso di
disequilibrio. Essa presuppone l’esistenza di triadi date da due persone e un oggetto, oppure da tre persone, che
a seconda degli atteggiamenti con cui si associano gli uni agli altri possono rappresentare strutture equilibrate o
disequilibrate che tendono pertanto a un cambiamento. Questa teoria mette in evidenza la possibilità di
intervenire su una triade di atteggiamenti presentando una associazione fra un certo prodotto e un testimonial o
un altro prodotto verso il quale esiste già un atteggiamento. Sempre in linea con il concetto di coerenza
cognitiva, la teoria del giudizio sociale sostiene che le persone raccolgono informazioni sugli oggetti di
atteggiamento in base a quello che sanno già e di cui hanno accumulato precedente esperienze.
Secondo questa teoria, gli atteggiamenti iniziali identificano uno standard entro il quale vanno ad adattarsi le
nuove informazioni. Tale standard definisce inoltre il livello di accettabilità soggettiva che informa il giudizio
sociale e che incide sulla predisposizione positiva o negativa verso determinati messaggi.
Tutte le informazioni che cadono entro il livello soggettivo di accettabilità sono inoltre considerate molto più
coerenti con la propria posizione rispetto alle informazioni che invece non rientrano in tale standard e che
vengono percepite come più lontane dalla posizione personale rispetto a quanto lo siano veramente.
Questi due effetti, per cui lo standard soggettivo di accettabilità influisce sull’interpretazione dei messaggi e sul
loro effetto, sono noti rispettivamente come effetto assimilazione ed effetto contrasto.
La strategia di marketing, a partire da una conoscenza approfondita del target della comunicazione, dovrà
puntare a stimolare un effetto assimilazione, soffermandosi ed enfatizzando gli elementi che risultano essere in
maggiore sovrapposizione con la struttura di atteggiamenti pregressi.
I MODELLI DI ATTEGGIAMENTI
Il comportamento non sempre è spiegato dall’atteggiamento. La nuova frontiera dello studio degli atteggiamenti
consiste nella distinzione fra atteggiamenti manifesti e atteggiamenti impliciti (non richiedono una valutazione
esplicita di un oggetto di atteggiamento, ma è ricavata in genere dai tempi di reazione associati ad un compito di
tipo cognitivo. Corrispondono a fattori associativi, veloci, impulsivi, automatici, contro quelli riflessivi e
deliberativi degli atteggiamenti espliciti. I comportamenti sono determinati da entrambi i fattori, mentre gli
atteggiamenti privilegiano o un aspetto o l’altro).
Un problema nella misurazione degli atteggiamenti è rappresentato dalla difficoltà a verbalizzare tutte le
componenti. Non sempre il consumatore è in grado di esprimere una valutazione su un dato prodotto e in ogni
caso, gli atteggiamenti sono costrutti complessi che non si esauriscono in una semplice valutazione di
apprezzamento. Si sono così sviluppati modelli di atteggiamento multi-attributo che sostengono l’importanza di
valutare i diversi atteggiamenti che il consumatore può esprimere verso i numerosi attributi di un prodotto al fine
di giungere ad una misurazione dell’atteggiamento complessivo verso un dato oggetto di atteggiamento. Questi
modelli implicano quindi per il ricercatore di mercato una analisi degli attributi significativi del prodotto che
deve precedere la valutazione dei relativi atteggiamenti fino a giungere alla determinazione dell’atteggiamento
complessivo. Successivamente all’identificazione di tutti i tratti che il consumatore prende in considerazione
nella valutazione del prodotto di questa categoria, i modelli multi - attributo prevedono la rilevazione dei credi
del consumatore circa gli attributi posseduti dallo specifico oggetto di atteggiamento. Un terzo livello di
misurazione prevede infine la valutazione del peso dell’importanza soggettivamente attribuita ai diversi tratti del
prodotto.
Fra i diversi modelli multi-attributo di atteggiamento, il più noto è il modello di Fishbein, del 1983. Questo
modello misura:
• i credi salienti circa un certo oggetto di atteggiamento ‚
• la relazione esistente fra lo specifico oggetto di atteggiamento e i credi
• la valutazione soggettiva di importanza circa la presenza di tali attributi
Il limite di questi modelli sta nel fatto che essi prevedono che le persone possono razionalmente valutare ciascun
attributo singolarmente e che siano in grado di esprimere una preferenza o meno per ciascuno prima ancora di
giungere alla formulazione di un atteggiamento complessivo.
Si presuppone pertanto che il consumatore proceda all’elaborazione di tali informazioni prima di giungere alla
formulazione di un atteggiamento complessivo e influente sul comportamento.
L’atteggiamento generale cos calcolato per non soddisfa la necessità di prevedere il comportamento di consumo.
Come si ricava l’atteggiamento generale nel modello di Fishbein?
Nel tentativo di perseguire tale predizione, è stato elaborato il cosiddetto modello esteso di Fishbein, ovvero la
teoria dell’azione ragionata. Questa teoria basa sul presupposto centrale che il modo migliore per prevedere un
certo comportamento è chiedere alle persone se sono effettivamente intenzionate a metterlo in atto.
In maggior dettaglio, questa teoria prevede che l’intenzione ad agire sia condizionata rispettivamente da:
• atteggiamento verso il comportamento che si declina nel prodotto dei credi individuali verso il
comportamento e dell’importanza soggettiva attribuita a tali credi;
• norma soggettiva, ovvero il prodotto delle percezioni individuali circa le aspettative altrui e la
motivazione individuale a conformarsi a tali aspettative.
Secondo la teoria, una particolare azione sarà messa in atto se l’atteggiamento verso l’azione è favorevole, le sue
conseguenze sono valutate come desiderabili ed esiste una spinta motivazione a compiere l’azione come risultato
del bisogno di conformarsi alle aspettative sociali percepite.
Le principali critiche rivolte alla teoria dell’azione ragionata evidenziano che il modello si adegua
esclusivamente alla predizione di comportamenti che sono sotto il controllo dell’individuo (c’è la mancanza del
controllo percepito).
Come la motivazione anche gli atteggiamenti hanno direzione e forza e possono influire sul comportamento
attraverso la loro reazione con l’intenzione ad agire.
Una particolare azione sarà messa in atto se l’atteggiamento verso l’azione è favorevole, se le sue conseguenze
sono valutate come desiderabili ed esiste una spinta motivazionale a compiere l’azione come risultato del
bisogno di conformarsi alle aspettative sociali percepite.
Mentre per Fishbein il modo migliore per prevedere un certo comportamento è chiedere alle persone se sono
effettivamente intenzionate a metterlo in atto, secondo la teoria dell’azione ragionata, l’intenzione ad agire è
condizionata dall’atteggiamento verso il comportamento (credi e importanza cognitiva) e dalla norma soggettiva
cioè il prodotto delle percezioni individuali circa le aspettative e la motivazione a conformarsi ad esse.
Questa teoria predilige solo quei comportamenti che sono sotto il controllo dell’individuo.
Le ricerche di mercato supportano il marketing aziendale nella presa di decisione su molteplici temi (prodotto,
comunicazione, prezzo), fornendo informazioni che favoriscono scelte di successo, riducendo i margini di
incertezza nel processo decisionale. Sempre più spesso l’ambito in cui si trova ad operare è quello dei mercati
maturi caratterizzati dalla saturazione del mercato, elevata competitività e omologazione dei prodotti.
Quindi, forte è l’esigenza di individuare il quid che fornisce al prodotto/servizio un vantaggio competitivo
capace di differenziarlo dai suoi concorrenti. Va quindi alla ricerca di un’idea innovativa che richiede una certa
creatività, ovvero la capacità di individuare una soluzione originale e nuova che altri non hanno saputo trovare.
Bisogna quindi rompere e superare schemi di pensiero consolidati (pensiero convergente) per esplorarne di
nuovi e inconsueti, approdando a soluzioni inedite e, si spera, sorprendenti (pensiero divergente).
Nel processo di individuazione creativa di nuove idee può intervenire la ricerca qualitativa per l’innovazione
attraverso tecniche specificamente finalizzate ad attivare il pensiero creativo.
Questa ricerca si basa su sessioni creative che possono durare poche ore o anche tutta la giornata, durante le
quali uno o più conduttori guidano e coordinano il lavoro di uno o più gruppi di persone nel processo di
creazione di nuove idee.
Tra le tecniche creative più utilizzate la più nota è il brainstorming (tempesta di cervelli), introdotta da Osborn,
prevede un processo di soluzione e definizione del problema in 4 fasi:
✳ Presentazione e definizione del problema (limiti e confini);
✳ Raccolta, analisi e condivisione delle informazioni e dati;
✳ Produzione delle idee, fase del pensiero divergente: è il brainstorming vero e proprio, dove vi è la
sospensione del giudizio;
✳ Fase del pensiero convergente: le idee prodotte vengono esaminate, valutate, finalizzate e selezionate.
Un’altra tecnica creativa è la sinettica (unione di elementi diversi). Si fonda sull’impiego dell’analogia, la
situazione (o oggetto di studio) viene messa a confronto con altre situazioni, apparentemente diversi, al fine di
individuare aspetti comuni aprendo così la possibilità di trasferire e applicare ad un determinato settore,
conoscenze e soluzioni già sviluppate in un altro campo.
La tecnica dei 6 cappelli per pensare permette di affrontare il problema secondo prospettive o atteggiamenti
diversi. Ad ogni cappello di colore diverso (bianco, rosso, nero, giallo, verde, blu) corrisponde una diversa
modalità di approccio al problema. Nel caso dell’incontro il moderatore invita i partecipanti ad indossare
simbolicamente cappelli di colori diversi.
Obiettivo comune a queste tecniche è quello di liberare il pensiero creativo e produrre nuove idee per il
marketing delle aziende.
La misurazione dell’atteggiamento
Scala di Thurstone
✳ Vengono formulate un numero notevole di affermazioni su uno specifico oggetto di atteggiamento in
modo tale da rappresentare nel modo più esauriente possibile tutti gli atteggiamenti che le persone
possono avere nei confronti di tale oggetto.
✳ Queste affermazioni vengono sottoposte al giudizio di numero elevato di persone che le devono ordinare
lungo un continuum a più punti in modo da rappresentare la distribuzione degli atteggiamenti da quello
meno favorevole a quello più favorevole. I giudici non devono esprimere la propria opinione personale
verso l’oggetto di atteggiamento.
✳ Tra queste vengono poi scelte una trentina di affermazioni dal valore maggiormente condiviso dai
giudici, che andranno a formare la scala per la misurazione dell’atteggiamento da sottoporre ai
partecipanti agli studi.
Questo metodo permette di avere valori circa gli atteggiamenti più attendibili e anche più numerosi, ma
comporta un alto dispendio di tempo, per questo viene poco utilizzato.
Scala Likert
L’obiettivo era quello di produrre un metodo di più facile realizzazione rispetto alla scala di Thurstone.
L’atteggiamento di una persona viene misurato sottoponendo al soggetto una serie di affermazioni (item) circa
l’oggetto di atteggiamento e chiedendo di esprimere il grado di accordo o disaccordo rispetto a ciascuna
affermazione (da 1 a 5 o da 1 a 7 o da 1 a 9: l’elemento dispari serve per consentire di dare un giudizio neutrale,
di mezzo, oppure lungo una scala che va da “molto d’accordo” a “per niente d’accordo”).
Questa scala ci dà la posizione attitudinale di un individuo ma non consente di esprimere con esattezza di quanto
gli atteggiamenti differiscono tra loro.
Misurare un atteggiamento significa accedere ad un costrutto non direttamente osservabile La misurazione tenta
di quantificare l’intensità di tale costrutto, chiedendo al soggetto della misurazione da manifestare,
consapevolmente o inconsapevolmente, il proprio atteggiamento.
Il problema consiste nella bontà di tale operazione, cioè valutare la validità e l’attendibilità degli strumenti
utilizzati.
Validità: quando lo strumento misura effettivamente ciò che vorremmo misurasse (validità convergente = deve
essere coerente con altre misure dell’atteggiamento, ma non con le misure di altri costrutti validità
discriminante). Queste vengono stabilite valutando la validità predittiva, capacità di predire scelte,
comportamenti, opinioni che dipendono dall’atteggiamento.
Attendibilità: quando lo strumento misura un solo costrutto che deve essere sempre lo stesso dimostrando così di
avere un’alta coerenza interna che deve mantenersi nel tempo (test-retest).
Dal punto di vista teorico, gli atteggiamenti impliciti riflettono i fattori associativi, impulsivi, automatici e
contribuiscono al comportamento, mentre quelli espliciti riguardano riflessione.
In conseguenza al crescente interesse per lo studio dei processi automatici, si è assistito all’avvento di una nuova
generazione di misure: misure indirette o implicite.
Queste nuove misure differiscono dai questionari tradizionali, in quanto non richiedono valutazione esplicita di
un oggetto di atteggiamento, ma ne ricavano la sua valutazione dai tempi di reazione associati ad un compito
cognitivo. Una misura cos ricavata viene definita atteggiamento implicito.
Le caratteristiche di questa misura sono per esempio il fatto che risente meno della desiderabilità sociale, delle
conseguenti distorsioni delle risposte.
Tra i metodi più usati vi è l’Implicit Association Test che è un compito di doppia categorizzazione veloce di vari
stimoli appartenenti a quattro categorie:
• concetto target (es. fiori) ‚
• concetto di contrasto (es. insetti) ‚
• attributo (es. positivo/negativo)
Il partecipante deve associare velocemente gli stimoli (es. fiori/positivo vs insetti/negativo); poi le coppie
vengono invertite fiori/negativo vs Insetti/positivo.
Il compito risulterà più facile, quindi più rapido, se quella soluzione è compatibile con pensiero della persona: se
la persona ha associazioni più positive verso gli insetti sarà più veloce nella seconda fase delle associazioni e
viceversa.
I comportamenti dei consumatori non possono essere studiati se non all’interno di un contesto sociale e culturale
(Bauman, 2007), attraverso lo studio del ruolo delle interrelazioni e dei processi dinamici che danno senso e
significato alle azioni dei consumatori. Per farlo ci avvaliamo di contributi del costruzionismo sociale, che, come
scrive Siri (2004), prende le mosse da un lavoro di Berger e Luckman dall’esplicito titolo “La realtà come
costruzione sociale”. Secondo Siri la tesi dei due studiosi fino ad allora intendeva sottolineare come, nel contesto
specifico di azione dotata di senso, le persone interpretano il significato dell’esperienza e orientano il loro
vissuto e il loro comportamento concreto sulla base della lettura dei segnali interni. La realtà vissuta
dall’individuo sarebbe in questo caso una costruzione intersoggettiva emersa nel rapporto sociale.
Nel campo dei consumi possiamo quindi servirci del costruzionismo sociale (Berger e Luckman): nel contesto
specifico di azione dotata di senso, le persone interpretano il significato dell’esperienza e orientano il loro
vissuto e il loro comportamento concreto sulla base della “lettura” dei segnali interni (stati d’animo, poli di
attenzione, attribuzioni causali).
Berger e Luckman intendevano soprattutto indicare con forza che la grammatica che guida questa
“interpretazione” non è decisa dai soggetti, né dalla loro specificità biologica, ma dal contesto socioculturale e
anzi più specificatamente dai percorsi di socializzazione e dai gruppi di riferimento. Tale prospettiva riconosce
l’influenza delle variabili sociali sui processi individuali (e viceversa):
“la realtà vissuta dall’individuo sarebbe in questo caso una costruzione intersoggetiva emersa nel rapporto
sociale”.
Questo modo di considerare il consumatore ci porta ad analizzare il ruolo delle appartenenze gruppali,
organizzative e culturali e il valore dell’influenza sociale sui processi di scelta e di consumo. Il contesto di
interazione sociale riesce a orientare le opinioni, i sentimenti e/o le azioni delle persone. Si tratta di
un’interazione che coinvolge la sfera individuale e quella sociale, ponendosi come ponte del dualismo cartesiano
interno-esterno.
L’ interazionismo simbolico concepisce l’individuo come inserito sempre in un dato contesto socioculturale,
entro il quale opera come attivo interprete dei significati attribuiti all’azione altrui (De Grada e Bonaiuto, 2002)
e si caratterizza per 3 principi di base:
✳ Le persone agiscono nei confronti dei prodotti sulla base dei significati che quegli oggetti hanno per
loro;
✳ Tali significati nascono dall’interazione tra l’individuo e gli altri;
✳ L’interpretazione è usata da ogni individuo in ogni momento della vita come essere sociale.
Un’implicazione teorica di queste concezioni è che il comportamento umano non risulta essere unicamente il
risultato di forze immodificabili, ma è influenzato da azioni razionali, e spesso irrazionali che dipendono delle
esperienze specifiche di quell’individuo e dalle sue motivazioni.
Uno dei più autorevoli studiosi di tale approccio è certamente Tajfel (1972), con la sua teoria dell’identità
sociale, secondo cui gli individui cercano di raggiungere e di mantenere una immagine di sé positiva
esclusivamente in relazione alle loro appartenenze di gruppo, e ci ha contribuito allo studio del rapporto fra
individuo e consumo secondo l’ottica costruttivista. Ci possiamo riferire quindi alla teoria dello studioso Colautti
(2005) la Teoria dell’identità sociale secondo cui gli individui cercano di raggiungere e di mantenere
un’immagine di sé positiva esclusivamente in relazione alle loro appartenenze di gruppo (contribuendo così allo
studio del rapporto tra individuo e consumo secondo l’ottica costruttivista).
Nello studio del comportamento di consumo si va oltre la descrizione delle singole funzioni elementari per fare
sempre più spesso riferimento al contesto normativo condiviso, proponendo una visione del consumatore non
La cultura è definibile come il complesso di conoscenze, convinzioni, espressioni artistiche, principi giuridici e
morali, costumi e di qualunque altra capacità e abitudine acquisite dagli individui in quanto membri di una
società. (Sherry) Queste facilitano l’unione degli individui, trasmettono un sentimento di identità, offrono una
guida ai processi di soluzione dei problemi. Ciascuna cultura è caratterizzata da un sistema di valori ben precisi
che occorre conoscere accuratamente per comprendere i comportamenti degli individui che ne fanno parte.
Questo è infatti uno dei compiti più ardui che il marketing delle grandi multinazionali deve affrontare, in
particolare per lanciare la promozione di un prodotto, in quanto obbligate a considerare le forti differenziazioni
culturali e valoriali.
Si evidenzia quindi una funzione adattiva e regolatoria della cultura, la quale è in grado di trasmettere senso di
identità, di appartenenza, definire le regole e costituire una guida per la risoluzione dei problemi.
Nell’ambito dello studio delle differenziazioni culturali, la prima grande distinzione è quella tra culture
individualiste e culture collettiviste.
Secondo Hofstede è possibile distinguere le culture sulla base di cinque indicatori:
2. POWER DISTANCE INDEX (PDI) (distanza di potere): Distanza di potere, questo indicatore si
riferisce al grado di aderenza all’autorità formale. Soggetti con un elevato PDI si trovano perfettamente
in linea con organizzazioni in cui il potere è fortemente accentrato e centralizzato (sistema di autorità)
rispetto a coloro che hanno punteggi più bassi. Culture con un elevato PDI prevedono e legittimano la
differenziazione del potere tra le persone e la non equa distribuzione di opportunità e risorse.
3. Uncertainty avoidance index (UAI) (tolleranza all’incertezza): misura l’importanza attribuita alle
regole e alle procedure standard e il grado con cui le persone ritengono arduo affrontare e gestire le
situazioni ambigue e incerte. Le modalità con cui le diverse società, tradizionali e moderne, fronteggiano
l’incertezza derivano dalle loro tradizioni culturali e vengono trasmesse e rinforzate attraverso le
istituzioni come la famiglia, la scuola e lo Stato.
Una definizione utile a chiarirne la natura e anche la complessità è quella proposta da Weinreich, dove il
marketing sociale è inteso come l’uso delle tecniche del marketing commerciale per promuovere comportamenti
capaci di migliorare la salute o il benessere delle persone cui ci si rivolge o della società nel suo complesso.
(1999)
Un’altra definizione, più focalizzata sulle finalità della disciplina, è quella offerta da Kotler, il quale intende
invece il marketing sociale come quell’attività che ha lo scopo di influenzare comportamenti individuali per far
sì che essi, in modo volontario, tendano al benessere di individui, gruppi e della società nel suo complesso.
Per entrambe le tipologie di marketing è fondamentale il ruolo centrale del destinatario, del consumatore; il
marketing sociale però si differenzia da quello commerciale per l’obiettivo delle sue attività: non tanto gestire la
relazione di scambio tra produttore e consumatore in grado di soddisfare i bisogni dei secondi e garantire profitti
ai primi, ma piuttosto nel promuovere il cambiamento dei comportamenti delle persone in modo che siano
dissuase le condotte nocive e rinforzate quelle positive con beneficio di tutta la comunità.
L’attività di marketing sociale non è riconducibile alla messa in atto di campagne, ma comprende un insieme di
operazioni assai complesse e numerose:
• Fase di pianificazione (definiscono obiettivi, strumenti, destinatari);
• Messa a punto dei materiali utilizzati per l’azione (messaggi attraverso i media);
• Fase di implementazione (intervento viene realizzato).
Obiettivo delle sue attività è di promuovere il cambiamento dei comportamenti delle persone soprattutto in
ambito di salute.
Il marketing sociale oltre alle 4p (promozione, prodotto, prezzo, punto vendita) ne aggiunge altre 4:
1. partnership: per ottimizzare risorse è utile collaborare con altre organizzazioni con obiettivi simili;
2. politica: coinvolgere chi ha responsabilità politico/amministrative che possano creare condizioni
ambientali in grado di facilitare raggiungimento obiettivi;
3. purse-strings: risorse economiche;
4. pubblico: pubblico di riferimento e persone che partecipano al programma
I cartoncini appesi in metropolitana, il passaggio di Emergency in tv, la lettera del medico di base sono tutti
esempi di marketing sociale.
Le appartenenze a subculture
La presenza in Italia di una immigrazione molto consistente deve far riflettere gli operatori di marketing sulle
necessarie differenziazioni di bisogni e di desideri di una fascia di popolazione che appartiene a etnie diverse.
Il processo di globalizzazione ha permesso ai consumatori di confrontarsi con realtà, prodotti e significati assai
diversi da quelli della propria terra di origine e della propria cultura.
La globalizzazione, lungi dal promuovere una cultura totalizzante e omogenea, ha definito uno spazio nel quale
le diverse culture del mondo si confrontano e si scontrano, generando significati e condividendo valori e
costruiscono modi di leggere la realtà nuovi ed eterogenei. I prodotti vengono percepiti in funzione della loro
origine, e ciò può essere positivo o anche molto negativo. Infatti, a causa del processo di generalizzazione, gli
aspetti negativi di un paese possono essere generalizzati a tutti i prodotti di quello stesso paese. Per l’origine del
prodotto può solo essere una ulteriore variabile da considerare insieme a tanti altri attributi per poter decidere se
acquistare un prodotto o meno.
In alcuni casi la possibilità di acquistare prodotti importati significa potere accedere a un livello di qualità può
elevato, mentre in altri casi i prodotti importati da altre culture o aree geografiche devono confrontarsi con
stereotipi e profonde convinzioni. Nei confronti di alcuni prodotti non sempre vi è la consapevolezza di potere
fruire della qualità attesa. I prodotti realizzati nel proprio paese in genere sono percepiti di migliore qualità
rispetto alla percezione che hanno i consumatori di altri paesi per gli stessi prodotti, così come la qualità
provenienti dai paesi industrializzati Ł percepita migliore rispetto a quella dei prodotti provenienti dai paesi in
via di sviluppo. I prodotti quindi vengono percepiti in funzione della loro origine.
Il primo Gruppo di Acquisto Solidale nato in Italia risale al 1994: consorzi, più o meno informali, di consumatori
che si riuniscono per dar vita a processi di acquisto e consumo all’insegna della solidarietà e del rispetto
dell’ambiente, inteso sia in termini meramente ecologisti che in termini sociali. (definiti da Valera come “il
popolo dei gasati”)
I valori contribuiscono a creare regole di convivenza civile e a guidare i comportamenti e possono essere rilevati
attraverso l’analisi di usi, costumi e convenzioni sociali. Questi infatti riescono a dare indicazioni dei valori
condivisi in una specifica comunità o gruppo.
Gli usi sono le consuetudini della vita derivanti dalla tradizione: per esempio ci si aspetta che la gestione degli
affari domestici sia prevalentemente assegnata alle donne.
I costumi sono invece le norme più forti: essi hanno una valenza morale profonda e indicano quali sono i
comportamenti che possono essere agiti in relazione al contesto, ai momenti e alle persone con cui si entra in
relazione.
Inoltre, un ruolo determinante viene riconosciuto ai canali di comunicazione. I valori, infatti, sono trasmessi e
influenzati dai messaggi mediatici. Anche la comunicazione di marketing può, dunque, influenzare il processo di
acquisizione di valori e di regole sociali.
Un ulteriore suggerimento e indicazioni sui valori di una comunità ci vengono offerti dall’analisi dei miti e dei
rituali.
I miti sono “aneddoti contenenti elementi che simboleggiano gli ideali di una cultura, che generalmente
presentano un conflitto tra due forze opposte, il bene e il male, e dal cui esito i membri di una società traggono
un’indicazione morale di comportamento” (Solomon, 1996)
I rituali sono attività simboliche ed espressive manifestate con azioni o comportamenti che vengono ripetuti
periodicamente. (rituali religiosi, r. magici, r. culturali, r. civici, r. di passaggio)
Come possiamo distinguere i valori attraverso una prima grande categorizzazione? E ancora, come possiamo
misurare i valori?
Possiamo distinguere valori terminali e valori strumentali:
Valori terminali: una vita serena, una vita eccitante, uguaglianza, libertà, amore, saggezza, vera amicizia (sono
gli obiettivi ultimi della vita)
Valori strumentali: ambizione, apertura mentale, coraggio, onestà, intelligenza, indipendenza, autocontrollo
(sono i comportamenti per raggiungere gli obiettivi)
Questa classificazione prevede una distribuzione dei valori lungo un continuum, in cui da una parte troviamo i v.
strumentali e dall’altra quelli terminali. I primi, caratterizzati da un grado di astrattezza superiore, portano al
soddisfacimento di quelli terminali.
Una scala alternativa è quella definita LOV (list of values) che distingue valori interni ed esterni in nuove
tipologie (appartenenza, eccitazione rel. amichevoli, rispetto da parte di altri, autorealizzazione, sicurezza,
I valori tendono a cambiare quando eventuali situazioni culturali, economiche e sociale che le persone vivono in
prima persona cambiano. Il valore dell’ambiente e la sensibilità alla riduzione degli sprechi sembra che stiano
caratterizzando il mondo dei desideri e al contempo sembrano avere acquisito una valenza personale che prima
era inimmaginabile. I consumatori in questa società post - crescita sono sempre più riflessivi, capaci di
intercettare le informazioni per una scelta più consapevole, critica, sono più attenti alla qualità in una perenne
ricerca del giusto rapporto tra prezzo e qualità. Oggi il consumo sembra determinato da una sorta di interesse
lungimirante, cioè votato alla comunità più che sul personale.
Il valore del superfluo e del lusso sfrenato lascia sempre più spazio all’etica come dimensione della qualità e alla
responsabilità sociale come metro di valutazione, anche se al contempo persiste il mantenimento della ricerca del
piacere e della soddisfazione offerta dall’esperienza prima ancora che del valore d’uso e della funzionalità dei
prodotti stessi.
La situazione di crisi che stiamo vivendo ha determinato un nuovo senso di consapevolezza caratterizzato dal
recupero dei valori fondanti, originari perché percepiti come utile strumento per il recupero di un passato che
può garantire le certezze che hanno contribuito a realizzare una epoca di grande sviluppo e di grande crescita.
Per comprendere ci che attira oggi l’interesse dei consumatori occorre prendere atto del declino dell’intero
modello socio - economico che ha caratterizzato il più recente passato, ovvero il modello di matrice prettamente
americana.
Oggi si sente parlare sempre più spesso nei tavoli di discussione tra gli esperti di stili e modelli di vita, e quindi
di scelta più vicini alla nostra cultura, ovvero del modello mediterraneo come alternativa al sistema fondato sul
superfluo e sul consumo spropositato.
In questo nuovo modello di consumo i temi che più attireranno l’attenzione dei consumatori saranno la lentezza,
la misura, la genuinità, la naturalità e la sostenibilità.
Uno dei concetti fondamentali per la comprensione e la spiegazione del comportamento di consumo è quello che
fa riferimento allo stile di vita. La ricerca psicografica fornisce un’ampia e realistica analisi dell’universo dei
consumatori, facendo emergere le particolarità che permettono di descrivere lo stile di vita di un gruppo sociale.
Psicografia VALS
VALS 2
Ha sostituito la prima versione ritenuta eccessivamente universalistica e troppo astratta per analizzare le
specificità delle situazioni di consumo. Si differenzia dalla VALS 1 per la minore enfasi che pone sui
valori sociali e per la maggiore attenzione che dedica alle risorse psicologiche, economiche ed educative
degli individui. Essa definisce i consumatori secondo due dimensioni: self-orientation e personal
resources.
La tipologia VALS 2 suddivide la popolazione in 8 segmenti con caratteristiche distintive diverse:
✳ actualizers: sono soggetti indipendenti, propensi a essere leader e amanti del rischio;
consumatori di successo dalle molte risorse, sono interessati ai temi sociali e aperti al
cambiamento;
✳ fulfilleds: sono persone molto organizzate, pratiche intellettuali e sicure delle proprie capacità;
soddisfatte, riflessive e pacate, tendono a prestare attenzione alla concretezza e a i valori di
funzionalità;
✳ believers: sono individui fedeli, rispettosi delle convenzioni e puntigliosi; hanno forti principi e
preferiscono brand sperimentati;
✳ achievers: sono pragmatici, seguono le convenzioni sociali, hanno un forte senso del dovere e
della famiglia; orientati alla carriera, preferiscono la prevedibilità al rischio o alla scoperta;
✳ strivers: seguono la moda, sono influenzati dagli altri e dominati dalla volontà di migliorare la
loro condizione;
✳ experiencers: soggetti impazienti, dal comportamento impulsivo e spontaneo, giovani e amanti
delle esperienze rischiose;
✳ makers: curano molto i rapporti familiari, sono pratici e autosufficienti; orientati all’azione,
pensano alla propria autosufficienza;
✳ strugglers: persone conformiste, conservative e molto caute; sono molto centrate nel soddisfare
i bisogni del momento.
Sinottica di Eurisko
L’Istituto Eurisko è stato fondato nel 1972 da Gabriele Calvi; è nata ufficialmetnte nel 1976 con il nome di
Psychographia. A partire dal 1993 l’indagine si basa su un campione di 10000 casi, rappresentativo di individui
maschi e femmine, in età compresa fra i 14 e i 64 anni. Le interviste vengono realizzate attraverso due
rilevazioni di 5000 casi ciascuna, rispettivamente a novembre e a maggio.
La psicografia dell’Istituto Eurisko si presenta come un’indagine single source (tutte le informazioni vengono
rilevate sugli stessi soggetti) assai completa e operativa e a classificazione standardizzata, dove, cioè, la
suddivisione degli stili di vita deve sottostare ai vincoli che il sistema informativo integrato richiede.
Attraverso l’analisi dei comportamenti e degli orientamenti comportamentali all’interno delle principali aree
settoriali Eurisko ha proceduto alla creazione di specifiche tipologie.
In particolare, sono state definite, accanto a quella generale (gli stili di vita), 13 segmentazioni stilistiche
settoriali, quali alimentazione (individuale e familiare), abbigliamento (maschile e femminile), cosmesi
(maschile e femminile), salute e cura di sé, tempo libero, gestione della casa, esposizione ai mezzi,
amministrazione finanziaria, comportamento d’acquisto, uso dell’automobile.
La struttura degli stili di vita crea così una grande mappa, che è lo strumento attraverso il quale poter inquadrare
e interpretare qualsiasi fenomeno o caratteristica della popolazione, sia essa strutturale, piuttosto che relativa ad
atteggiamenti e comportamenti. Si tratta di uno strumento standard, utile per tutti i settori e di immediata
operatività.
La struttura composta dagli stili di vita è ripartita secondo questi stili:
✳ stili giovanili: liceali, delfini, spettatori;
✳ stili superiori: gli arrivati e gli impegnati;
✳ stili centrali maschili: gli organizzatori e gli esecutori;
✳ stili di vita centrali femminili: colleghe, commesse, raffinate, massaie;
✳ stili marginali: gli avventati, gli accorti, le appartate modeste, le appartate povere
Oltre alle segmentazioni stilistiche vengono effettuate delle segmentazioni su mappa, ove l’universo degli
individui non è più suddiviso in gruppi bensì distribuito in modo continuo in uno spazio geometrico
immaginario, rispettando una logica di caratterizzazione del profilo secondo il posizionamento: individui
“vicini” sono individui “simili”.
Le due dimensioni rappresentanti gli assi portanti della mappa possono essere così interpretate:
✳ Prima dimensione tratti duri: è la dimensione del confronto sociale, della competizione con gli altri,
della conquista. Gli attributi di questa dimensione sono: la forza, la ricchezza, la fisicità del corpo, la
razionalità, il rischio, la lotta, il piacere.
PRIVATO
Cultura edonistica, legata all’accettazione del rischio
e prospettive temporali di breve periodo, orientata al
soddisfacimento di bisogni individuali e alla continua
Cultura di stampo piccolo borghese, stratificata,
ricerca di stimoli e gratificazioni.
conformista, intollerante, orientata alla difesa di
Il consumo vissuto come strumento di piacere e
interessi particolari e al raggiungimento di traguardi
differenziazione del sé, è caratterizzato dalla precoce
materiali.
adozione e dalla rapida obsolescenza delle mode,
Il consumo vissuto come indicatore di prestigio sociale,
degli acquisti di impulso e da una forte valorizzazione
è caratterizzato dall’accettazione passiva di modelli di
dei benefit intangibili di marche e prodotti.
consumo etero diretti.
APERTURA
Cultura austera e do veristica, fondata sulla
condivisione dei valori più tradizionali: famiglia,
Cultura post-materialista, orientata alla realizzazione
religione. La diffusa ostilità al nuovo è speculare alla
del sé e caratterizzata dalla ricerca di autenticità e
nostalgia del passato e alla ricerca di certezze e di
progettualità, dal rifiuto delle convenzioni sociali,
radici.
dall’impegno etico, dalla sensibilità ambientale.
Tutte le forme di sollecitazione al consumo sono fonte
L’approccio al consumo, di tipo critico e selettivo, è
di ostilità e di diffidenza. Il risparmio è vissuto come
orientato all’autodirezione e al pragmatismo. Forte
valore. Il prezzo è la principale leva competitiva.
interesse riscuotono i benefit prestazionali e le
innovazioni di prodotto e di servizio.
Da vedere: BOX pag. 325 – pag. 327 – pag. 339 – pag. 341
Introduzione
Quando si parla di consumo il primo pensiero che viene in mente Ł l’azione di acquisto che coinvolge una
famiglia in prossimità di un centro commerciale. La famiglia è infatti l’attore principale dell’azione di consumo,
con un ruolo sempre più determinante da parte dei bambini e degli adolescenti.
Il consumismo nei giovani si è accentuato molto e soprattutto da un’età sempre più bassa, quindi i bambini e gli
adolescenti sono diventati un target importante sia per il loro effetto trainante nelle decisioni dell’intera famiglia
sia per la loro effettiva capacità di acquisto: un nuovo attore economico da fidelizzare. Essi sono infatti oggi
un’importante fonte di profitto e indiscussi attori persuasivi nei confronti delle decisioni familiari.
Essi apprendono, si formano e interagiscono con i loro coetanei in un mondo dominato dalle leggi del mercato,
circondati da merci facilmente acquistabili e capaci di fornire una gratificazione immediata.
I bambini trascorrendo la maggior parte del tempo libero davanti alla tv, conoscono perfettamente i prodotti in
commercio e le loro marche. Rischiano di essere troppo coinvolti in questo consumismo e di acquisirne i valori;
passando la maggior parte del tempo davanti la tv con messaggi pubblicitari o nei centri commerciali conoscono
La strategia di Tim nasce nel 2005 un momento in cui l’azienda è leader di mercato ma c’è voglia di rinnovarsi,
cambiare, usare nuovi mezzi di comunicazione e differenziarsi dalla concorrenza.
L’obiettivo di TIM era quello di proporsi in maniera diversa sul mercato, aggregando un’ampia il segmento dei
più giovani. Ci si concentra su target 14-24 anni.
Per la prima volta non si analizzano più solo i dati (n. chiamate, n. sms, orari chiamate ecc), ma si fanno analisi
psicosociali, si analizzano gli stili di vita, interessi motivazioni, aspirazioni, bisogni che poi vanno integrati con
dati come sesso, et, provenienza geografica. La forte spinta data dall’innovazione tecnologica, insieme a un
costante cambiamento della società e del modo di vivere le relazioni interpersonali, aveva permesso al mondo
delle community di prendere piede in modo consistente.
A livello strategico e quindi come modo per rinnovare le strategie di marketing a lungo termine viene pensata
l’idea della Tim Tribù (non solo un nuovo piano tariffario quindi).
Tim crea un fenomeno sociale basato su concetto di comunità, con immagine giovane e divertente. La strategia
di Tim Tribù si articola su fronti diversi:
• Dal punto di vista economico, un’offerta chiara, semplice e vantaggiosa;
• Forte enfasi su tecnologie per creare gruppo;
• Eventi e operazioni di co-marketing con gadget e package differenziato (Tim Tribù e non Tim).
Altro aspetto importante unione con Mtv, possibilità di scaricare contenuti gratis, blog, chat e sponsorizzazioni
di eventi attraverso il cinema. La TIM essendo entrata per prima sul mercato aveva un numero di utenti e una
community più grande degli altri operatori entrati nel mercato per target o con tariffe diverse (Vodafone si
differenzia perché orientata ad un target più giovane; Wind per i suoi prezzi bassi). Anche Tim decide di
rivolgersi in particolar modo ai più giovani con una maggiore conoscenze dei nuovi mezzi di comunicazione e le
nuove tecnologie, l’immagine dell’azienda era troppo lontana dal nuovo target che si voleva colpire. Il nuovo
target a cui voleva indirizzarsi era però cambiato negli anni, andava studiato, capito; un target esperto, curioso e
attento alle relazioni interpersonali, alle community, da qui l’idea di un gruppo di amici, una comunità di amici
globale che Tim definisce con il concetto di Tribù per creare appartenenza a quel gruppo. Anche la
comunicazione di Tim cambia, il linguaggio più vicino ai giovani, diversi co-marketing, azioni virali, mezzi ATL
e BTL, partnership con Mtv, cinema e sponsorizzazioni di eventi per lancio di nuovi film: il concetto era
semplice diventare indispensabili per ogni utente giovane che volesse sentirsi parte di quella tribù e non escluso
da agevolazioni, partecipazioni a giochi e premi. Si differenzia dalla concorrenza non con una guerra tariffaria,
semplicemente essendo più vicina centrata ai bisogni del target generando awareness fino a diventare un nuovo
fenomeno sociale.
Per comprendere il processo di sviluppo cognitivo del bambino, è possibile riferirsi a una delle teorie più note
sullo sviluppo infantile, ovvero la teoria di J. Piaget, che individua quattro stadi dell’attività cognitiva del
bambino. Le fasi evolutive di cui parla Piaget sono:
1. La fase sensomotoria (fino ai 2 anni)
2. La fase preoperazionale (dai 2 ai 7 anni)
3. La fase operazionale concreta (dai 7 ai 12 anni)
4. La fase operazionale formale (dai 12 anni)
(1) Nella prima fase sensomotoria, il bambino utilizza un approccio multi - sensoriale e le sue abilità motorie per
capire ciò che lo circonda, è aperto e sensibile ad ogni stimolo sensoriale e risponde con comportamenti fissi che
seguono uno schema semplice stimolo-risposta. (solo nella seconda fase iniziano a svilupparsi le capacità
cognitive).
(2) Nella fase preoperazionale, il bambino inizia ad avere un’idea del mondo, l’attività cognitiva è basata su un
pensiero simbolico; si sviluppano le capacità linguistiche e la capacità di pensare in modo più organizzato
attraverso gesti, simboli, immagini. Il suo pensiero è però ancora intuitivo e legato solo a ciò che vede attorno a
lui. Il gioco è simbolico, reinventa l’uso degli oggetti, il bambino è ancora egocentrico, esiste solo il suo punto di
vista.
(3) Nella fase operazionale-concreta, l’attività diventa più complessa, sviluppa ragionamenti sempre più
flessibili, strutture logiche per compiere operazioni mentali e ottenere informazioni sugli oggetti. Decentra
l’attenzione, è attento a più messaggi provenienti da fonti diverse contemporaneamente.
(4) Nella fase operazionale-formale, si sviluppa la capacità di pensiero astratto/ipotetico, si raggiunge il
completo sviluppo delle abilità cognitive e un ragionamento più articolato. Si sviluppano un pensiero di tipo
astratto e un ragionamento più articolato e organizzato che permette di eseguire operazioni mentali non più solo
legate alla realtà circostante e agli oggetti concreti, ma anche ad affermazioni verbali o logiche e concetti.
Secondo questa teoria la vulnerabilità e la suggestionabilità del bambino alle sollecitazioni del marketing e della
comunicazione mediatica risultano molto spiccate fino ai 7 anni di et circa, dal momento che la sua concezione
del mondo passa soprattutto attraverso l’esperienza multisensoriale ed emotiva piuttosto che attraverso i canali
intellettivo - cognitivi. In questa fase perciò sono più indifesi e non riescono a prenderne le distanze, è in questa
fase che il ruolo dei genitori e della scuola sono determinanti per lo sviluppo delle sue capacità critiche e del suo
ruolo di soggetto economico.
In questo panorama si ritiene che approfondire il rapporto tra infanzia, comunicazione e consumo significhi
soprattutto studiare un corpus di atteggiamenti, valori e competenze che, al contrario dell’adulto, è ancora in via
di ristrutturazione
A tal fine la prospettiva più adeguata per studiare il fenomeno risulta essere quella della consumer socialization,
vale a dire quel sistema di ricerche appartenente alla matrice del consumer behaviour che indaga il processo
mediante il quale bambini e adolescenti apprendono il loro ruolo di consumatori. La socializzazione ai consumi
è stata infatti definita da Ward (1974) come il processo attraverso il quale i giovani acquisiscono competenze,
conoscenze e atteggiamenti rilevanti per il loro futuro ruolo di consumatori nel mercato.
Si tratta di un processo che ha il suo avvio nei primi mesi di et del bambino e si estende sino all’adolescenza,
anche se è opportuno riconoscere un ruolo importante alla socializzazione anche in et adulta; in questo caso si
può parlare di socializzazione inversa o retroattiva secondo cui sono i più giovani a socializzare al consumo gli
adulti.
I principali filoni di ricerca sulla consumer socialization non si sono limitati a studiare soltanto gli output del
processo di socializzazione, ma si sono rivolti anche ad analizzare i complessi meccanismi cognitivi che lo
I principali filoni di ricerca sulla consumer socialization, non si sono limitati a studiare solo gli output del
processo di socializzazione, ma si sono rivolti anche ad analizzare i complessi meccanismi cognitivi che lo
caratterizzano in quanto vero e proprio processo di apprendimento sul consumo, approfondendo inoltre il ruolo
di tutti gli attori sociali che esercitano un’influenza su di esso (come le agenzie di socializzazione). Tra questi
attori notiamo la presenza della comunicazione di marketing, questa influenza il bambino non solo con
comunicazione e pubblicità ma anche con gli stessi prodotti con cui interagisce per fargli già sperimentare il suo
ruolo di consumatore, e con luoghi di consumo che facilitano l’apprendimento dell’atteggiamento di acquisto. Il
ruolo dei media e in particolare della pubblicità influisce anche nella cultura e nella trasmissione di valori e
modelli di vita, con un’attenzione anche allo sviluppo poi di valori materialistici.
Il processo di socializzazione ai consumi può essere rappresentato attraverso uno schema input-output dove ai
due estremi troviamo le agenzie di socializzazione e gli esiti del processo. Nella sua semplicità, il modello è in
grado di tener conto della complessità cognitiva del soggetto, in quanto considera il suo livello di sviluppo
cognitivo, le sue competenze relazionali e gli stili di apprendimento che possono essere messi in atto negli
specifici contesti di apprendimento.
Dai dati di ricerca i bambini imparano a riconoscere le marche e i prodotti ancora prima di imparare a leggere.
Già dai 2-3 anni di età. A 3 anni i bambini sono in grado di effettuare una suddivisione logica delle diverse
famiglie di prodotti sulla base di attributi dominanti sotto l’aspetto visivo. All’età di 7-8 anni cominciano a
raggruppare i prodotti in base ad attributi che suggeriscono funzioni di uso e occasioni di consumo.
Lo sviluppo di conoscenze relative al mondo di marche e prodotti comprende anche la comprensione delle
funzioni del packaging. I bambini riescono a riconoscere le marche ancora prima di saper leggere, riconoscono
nei punti vendita i diversi packaging di diversi prodotti o sanno richiamare quei brand che hanno visto
continuamente in tv soprattutto se associati a forti colori, figure e forme o personaggi. Verso l’età scolare i
bambini non solo sono in grado di riconoscerne le caratteristiche visive ma ne riconoscono anche le
caratteristiche principali e pian piano iniziano a catalogarli in base alle funzioni d’uso. La comprensione delle
marche dipende anche dal ruolo e dalla comprensione delle funzioni del packaging. Nei primi anni c’è scarso
interesse verso la scatola ed è quasi un ostacolo al prodotto, anche perché sono gli stessi genitori a scartare il
prodotto e a mettere via la confezione. Già verso i 6 anni i bambini iniziano a vedere nel packaging un modo per
riconoscere e differenziare i prodotti, c’è più interesse per le confezioni colorate, brillanti con disegni. La fase
Gli studi si occupano di questo perché è stato appurato che un terzo delle spese familiari Ł attribuibile alle
richieste dei bambini. I bambini hanno viste replicate le proprie risorse finanziarie per piccole spese, dolciumi,
giocattoli; questi sono i bambini che poi diventeranno i consumatori di domani per cui vale la pensa socializzarli
da subito al consumo, ma cosa più importante questi bambini hanno un grande potere di influenzare le scelte dei
genitori. Questo potere per guadagnarsi l’acquisto di un bene è conosciuto come nag factor (o pester power) è
un’azione di assillo continuo ai genitori per ottenere qualcosa sotto la spinta di pubblicità o gruppo dei pari. Si
può anche distinguere tra assillo persistente e assillo d’importanza: il primo fa riferimento al continuo richiedere
da parte del bambino che aumenta il volume della voce e diminuisce le pause tra una richiesta e un’altra, ritmo
incalzante fino alla resa dei genitori. L’assillo d’importanza invece più potente e subdolo è appreso dalla
pubblicità, le richieste sono sempre le stesse ma argomentate secondo la presunta importanza personale di
possedere quel bene facendo riferimento all’educazione, al tempo, alla felicità propria alla sicurezza personale,
argomentazione a cui un genitore non può resistere. Per capire il motivo o la nascita di questo nag factor bisogna
prima capire il rapporto tra genitori e figli e il modo in cui i bambini vivono la propria quotidianità, il ruolo dei
genitori, l’educazione data, il fatto stesso che si innesca nei bambini la convinzione che solo i genitori possano
darti ciò di cui hai bisogno e non bisogna chiedere ad altri come segno anche di buona educazione, è come se
queste richieste quindi fossero in un certo senso incentivate dagli stessi genitori. Le richieste sono più forti per
prodotti di marca.
Più complesso diventa comprendere le determinanti psicologiche e comportamentali che innescano o
incentivano il nag factor. Tali fattori vanno sicuramente cercati nelle famiglie, nelle relazioni con i genitori e
nella modalità tipica con cui il bambino vive la quotidianità. Secondo Mc Neal, alla base del nag factor si
nasconderebbe un’educazione di un certo tipo, attraverso l’ancoraggio da un lato al senso della proprietà e
dall’altro all’installare nei piccoli l’idea che debbano essere i genitori e solo loro a fornire al piccolo tutto ci di
cui ha bisogno.
Quando il nag factor diventa oggetto di ricerca sono due le tematiche più intriganti:
1) capire il contropotere dei genitori, ovvero come e se i genitori sono in grado di resistere e che tipo di
comportamento adottano di fronte agli attacchi dei loro figli;
2) capire l’oggetto dei desideri dei piccoli e come avviene, a livello cognitivo, la costruzione valoriale di simili
oggetti.
I luoghi di vendita
Nei punti vendita il bambino inizia a costruire i primi schemi cognitivi sul consumo grazie a degli stimoli esterni
e ambientali del punto vendita come prodotti, display, sistema di prezzi, personale di vendita, promozioni.
Apprendono così i comportamenti più idonei per agire in questi luoghi: interazione con personale di vendita, altri
consumatori, transazioni, modalità di utilizzare offerte e promozioni; ovviamente il genitore diventerà un
Fino all’adolescenza vengono dedicate relativamente scarse attenzioni ai prezzi. Durante la prima e la seconda
infanzia i prezzi vengono ricondotti alle caratteristiche fisiche dei prodotti: un oggetto costa di più perché è più
grande o pesa di più.
La consapevolezza che il prezzo di un oggetto possa essere legato alla quantità di lavoro necessaria per produrlo
comincia ad emergere intorno agli 8 - 10 anni, mentre soltanto verso i 13 anni il prezzo viene collegato alla
qualità dei fattori produttivi e alla soddisfazione delle preferenze dei potenziali consumatori.
Nel caso del rapporto tra bambini e denaro, la letteratura evidenzia come l’esperienza diretta e i processi di
socializzazione degli individui conducono a una percezione del denaro caratteristica. Nei bambini è documentata
una visione maggiormente funzionale del denaro e le monete sono associate al loro essere strumento di acquisto
in mancanza di una chiara corrispondenza di valore.
In una ricerca di Bustreo et al che ha avuto come obiettivo quello di esplorare i fattori predominanti nel
comportamento individuale di fronte al denaro, si è cercato di fare una comparazione tra la percezione propria
dei bambini in confronto con quella degli adulti. È stato quindi osservato che al concetto di denaro, i bambini
associano con maggiore frequenza le categorie semantiche di bisogno, valore e desiderio.
Il denaro appare così:
• Come strumento funzionale necessario per comprare quanto desiderato, principalmente beni
necessari e accessori;
• Come espressione dei valori presenti nella loro vita quotidiana;
• Come mezzo di differenziazione sociale.
Sono presenti riferimenti espliciti ai significati simbolici del denaro: indipendenza, responsabilità, autonomia,
colpa, controllo, relazione e conflitto. Si è inoltre dimostrato come l’atteggiamento verso il denaro sia
strettamente correlato al contesto familiare, al processo di socializzazione e allo sviluppo individuale.
Per acquisire competenze d’acquisto è anche importante conoscere i prezzi e valutare la convenienza.
Nell’infanzia i prezzi vengono associati alle caratteristiche fisiche dei prodotti, un oggetto costa di più perché è
più grande o più pesante, solo con l’età poi capiscono che il prezzo può dipendere dalla quantità di lavoro
necessaria o ai fattori produttivi o alla realtà di marca; come la comparazione tra prezzi per valutarne la
convenienza iniziano a manifestarsi quando iniziano a prendere parte alle decisioni d’acquisto familiari o quando
hanno a disposizione somme di denaro per potersi gestire autonomamente.
L’atteggiamento nei confronti del denaro, del suo universo simbolico, come del suo utilizzo, cambia durante lo
sviluppo individuale, dall’infanzia fino all’età adulta e matura, passando da una predominanza funzionale a una
complessa dinamica relazionale e metaforica. Tale processo sembra essere influenzato da diversi fattori, tra cui
l’educazione familiare, le esperienze sociali, il contesto, i differenti ruoli professionali agiti e i modelli socio-
economici assunti come riferimento.
Nella società postmoderna assistiamo a una perdita di valore di famiglia, scuola e istituzioni che ha visto
crescere il ruolo dei media e della televisione come guida a modelli e stili di vita, soprattutto per il tempo che i
bambini trascorrono davanti la tv. I dati di ricerca confermano che bambini ed adolescenti trascorrono la maggior
parte del tempo libero guardando programmi televisivi.
La tv scandisce i momenti di una giornata dei bambini, prima o dopo la scuola soli, in famiglia con amici, anche
se trascorrono la maggior parte del tempo soli davanti la tv come passatempo il pomeriggio. Si può affermare
che i bambini italiani ed europei in generale guardano troppo la televisione, che viene percepita da una parte
come fonte di divertimento, di piacere e di possibilità di evasione e dall’altra come fonte di conoscenza e di
informazioni attraverso cui capire e conoscere il mondo.
La fruizione dipende dall’età e quindi dalla comprensione dei programmi e dall’interesse, dalla stagione, il
livello culturale della famiglia in grado di offrire anche delle alternative durante la giornata. I bambini oggi
guardano troppa tv, come fonte di divertimenti, di evasione e di conoscenza e informazione grazie ad un
linguaggio semplice e immediato dove prevalgono le immagini.
Secondo Francois Mariet (1992), tre sono gli stili di consumo televisivo a cui corrispondono tre diversi livelli
della qualità di ascolto:
• Tv-passione, l’attenzione è massima;
• Tv-tappezzeria, la tv fa da sottofondo mentre il bambino svolge un’altra attività e non è molto
attento;
• Tv-tappabuchi, guardano la tv quando non hanno niente da fare o per passatempo però
accetterebbero volentieri proposte alternative.
Oggi siamo davanti a una tv più generalista con meno contenuti per ragazzi e bambini che spesso sono costretti
a guardare film, programmi pesati per tutti. Al contrario della tv invece nella pubblicità i bambini appaiono
sempre più o come testimonial di prodotti destinati ad un pubblico giovane o adulto, o come destinatari di questi
messaggi. È nei momenti in cui i bambini sono davanti alla tv e in cui magari sono attenti a fruire programmi
adatti a loro come cartoni o telefilm (orari pomeridiani) che la pubblicità li bombarda di più, pubblicità in cui i
bambini però sono specifici destinatari.
Uno degli aspetti da considerare nel rapporto tra bambini e pubblicità è il grado di fiducia e credibilità ad essa
attribuita in relazione all’età dei bambini. Ad 8 anni i bambini hanno molta fiducia, sono convinti che la
pubblicità dica cose vere, che dia ottimi consigli; con l’aumentare dell’età diminuisce questa credibilità. Iniziano
a riconoscere la pubblicità intorno ai 5 anni e vengono distinti per la loro breve durata; riconoscerla non significa
capirne la natura commerciale anzi vengono percepiti come una forma di intrattenimento o di informazione sui
prodotti senza alcuno scopo, non essendo in grado di capirli non sono neanche in grado di difendersi. I bambini
sono soggetti fragili, sensibili, sprovveduti e vulnerabili dal punto di vista psicologico perché non hanno capacità
e abilità mentali sviluppate. Al crescere dell’et nel bambino si sviluppano le abilità cognitive che gli permettono
di prestare maggior attenzione alle informazioni contenute nel messaggio, di memorizzare ci che vede, di
elaborare e interpretare le informazioni e infine di comprendere a pieno il contenuto, la natura e lo scopo della
pubblicità.
I bambini non sono passivi davanti la tv in quanto c’è bisogno di uno sforzo di elaborazione e interpretazione
delle informazioni ma non tutti i contenuti sono facilmente decodificabili, questo può variare in base all’età e
La pubblicità è un genere televisivo che attrae e interessa molto bambini e adolescenti per la sua forma estetica
e per un linguaggio vicino a loro, la apprezzano perché è vista come fonte di divertimento e di informazioni sulla
realtà diventando oggetto di discussione con i compagni. Lo spot si presenta come una storia breve a lieto fine
con un sottofondo musicale, protagonisti sorridenti in un clima familiare e sereno.
Per i bambini in età pascolare l’elemento centrale nell’elaborazione dei messaggi è dato dalla rilevanza
percettiva. Ecco le caratteristiche formali dello spot che attraggono i bambini suscitando in loro piacere e
gradimento:
I bambini trascorrono di fronte allo schermo televisivo molte ore del pomeriggio, in media tra le 2 e le 3 ore, e
quindi dedicano molto del loro tempo anche alla pubblicità. Secondo l’indagine “in bocca al lupo” che ha
Oltre alla pubblicità le aziende oggi hanno scoperto le potenzialità di internet, l’età in cui i bambini iniziano a
navigare in rete si abbassa sempre di più, è un mezzo innovativo e in espansione che non attrae solo il pubblico
adulto ma anche i più piccoli per il suo modo di comunicare e di interagire in modo dinamico; i bambini
giocano, si divertono e sono più attivi, devono decider e compiere azioni ci vuole più impegno; la rete è anche
considerata per questo più pericolosa perché può sfuggire al controllo dei genitori. Così le aziende alimentari
sfruttano la comunicazione online costruiscono i siti in forma di cartoon, colorati ricchi di giochi e gadget di
ogni tipo per raggiungere direttamente i bambini senza dover passare tra i genitori, inoltre il marketing online
può tenere l’attenzione e impiegare i bambini anche per più tempo coinvolgendoli e immergendoli totalmente nel
mondo della marca. La caratteristica di tutti i siti per bambini è l’advergaming (advertisement e videogame) per
definire la pubblicità sottoforma di videogioco, confonde gioco e pubblicità; alcuni siti di aziende di prodotti
alimentari come Nesquik Nestlè sono strutturati come dei videogiochi in cui il bambino può esplorare, divertirsi
e giocare con diverse attività che ruotano intorno al brand e al prodotto, i bambini si divertono con personaggi e
testimonial inconsapevoli di essere sottoposti continuamente a un bombardamento pubblicitario, instaurano con
la marca un rapporto amichevole e familiare (per loro è un videogioco, un passatempo e non una pubblicità, ma
non fa altro che creare fedeltà e atteggiamenti positivi verso un brand).
Tra i principali vantaggi che un’azienda può trarre dall’advertgaming vi sono:
• Creare un impegno e una relazione confidenziale con la marca;
• Attirare l’attenzione sul brand mediante il gioco e per un tempo prolungato;
• Essere uno strumento economico per fare pubblicità;
• Possibilità di monitorare l’audience: numero visitatori, tempo trascorso sul sito, visite ripetute;
• Possibilità di diventare il punto centrale per un piano integrato di comunicazione.
Advergame
Il rapporto della Kaiser family foundation ha segnalato la presenza in alcuni siti americani di un ad alert, ossia di
scritte che avvertono i bambini che quello che stanno guardando è pubblicità. Ma si tratta di casi molto rari.
L’advergaming rende le marche più familiari e amichevoli agli occhi dei bambini. Attraverso questi siti il
pubblico dei minori ha modo di conoscere meglio, prendere confidenza, fidelizzarsi e interagire con la marca
dalla quale poi sarà difficile separarsi.
L’obiettivo delle aziende è infatti far avvicinare il bambino al proprio mondo attraverso giochi e regali, così da
rafforzare la fedeltà e la consapevolezza di marca.
In alcuni siti americani esiste un ‘’ad alert’’ ossia scritte che avvertono i bambini che stanno guardando
pubblicità, ma sono casi rari (es. Mc Donald’s in America).
Giotto Be-Bè è la nuova linea di prodotti Fila, dedicata al pubblico dei bambini a partire dai 2 anni di età. Giotto
Be-bè rappresenta un caso interessante sia per la peculiarità del pubblico a cui si rivolge, sia perle peculiarità del
pubblico a cui si rivolge, sia per l’innovativo approccio da parte della marca alla dimensione dei consumi rivolti
all’infanzia.
La linea è partita da una constatazione che sul mercato mancasse una serie di prodotti dedicata alla primissima
infanzia e orientata allo sviluppo delle capacità espressive e creative dei più piccoli.
Quello che è stato creato va oltre la realizzazione di una nuova linea di prodotti, ma si costituisce come un
approccio radicalmente innovativo rispetto alla dimensione del consumo nella prima infanzia, con un deciso
orientamento al valore della relazione con la marca e al legame simbolico con il brand.
La confezione del prodotto si offre come un elemento ludico utile a sviluppare le capacità spaziali e manuali del
bambino, tanto che da un lato il divertimento è nel colorare, disegnare e modellare un mondo di forme e colori
sempre diversi, dall’altro l’ulteriore gioco sta nel riporre i prodotti nella confezione componendo una tavolozza
o puzzle da completare.
L’idea di Giotto è comunicare attraverso i sensi e l’esperienza rendendo tangibile la presenza della marca e
costituendo una relazione con il bambino destinata a proseguire e consolidarsi nel tempo.
Tra gli elementi che costituiscono l’identità di Giotto, oltre il nome, anche un simbolo che è stato spesso citato
anche nei focus group che hanno coinvolto le mamme: l’immagine che vede Giotto, insieme a Cimabue,
impegnato nel disegno di una pecora nella roccia.
L’obiettivo principale di chi si occupa di marketing e di comportamento dei consumatori è di modificare gli
atteggiamenti per fidelizzare un consumatore alla scelta di una marca o per indirizzarlo nella scelta di un nuovo
prodotto. Le modalità possono essere diverse per rendere più favorevoli gli atteggiamenti dei consumatori verso
un brand o un’azienda, come la scelta del packaging, di un bravo testimonial, la segnalazione di ingredienti
contenuti nei prodotti alimentari, l’impegno sociale delle aziende. In un contesto attuale sempre più saturo di
informazioni e suggerimenti è sempre più difficile riuscire a persuadere i consumatori e provare a cambiarne gli
atteggiamenti, riuscire ad attirare l’attenzione di un pubblico distratto ed esigente figuriamoci a cambiarne gli
atteggiamenti. È evidente come ormai non basta più solo presentare un prodotto e ripetere il messaggio perché
sia percepito e faccia effetto, il modo in cui elaboriamo le informazioni risponde al principio del massimo
risparmio energetico (economia dell’attenzione) rendendo ancora più difficile il compito di chi vuole attirare
l’attenzione. Generalmente le informazioni che vengono più recepite dai consumatori sono quelle attese che
concordano con gli stereotipi o con schemi già consolidati.
La prima cosa da dire è che si occupa di persuasione deve fare i conti con meccanismi psicologici a volte poco
razionali e standard; tra i fattori che rendono più efficace la persuasione ci sono:
✳ La reciprocità: le persone sono più propense a modificare i propri atteggiamenti se si sentono in dovere
verso qualcuno o qualcosa (il regalo ai consumatori prima di una vendita, effetto ‘piede nella porta’ per
far sentire il consumatore in dovere verso il venditore).
Le neuroscienze stanno studiando le differenze funzionali fra cervello maschile e femminile. In particolare, sono
state evidenziate le influenze delle differenze di genere su numerose aree cerebrali come l’ippocampo,
l’amigdala, processi cognitivi come la memoria, l’elaborazione di stimoli visivi e acustici, i circuiti delle
emozioni ecc.
Studio sulle differenze di genere, le differenze funzionali tra il cervello dell’uomo e quello delle donne. In
particolare, le differenze durante il processo d’acquisto, le emozioni sono decisive talvolta nell’acquistare un
certo bene, uomini e donne sembrano diversi di fronte a uno stimolo emotivo intenso, le donne ricordano in
modo particolare gli stimoli emotivi quando viene attivata di più l’amigdala sinistra, per gli uomini avviene il
contrario; quindi uomini e donne memorizzano in modo diverso le diverse emozioni e quindi i diversi prodotti.
Le donne utilizzano per decidere l’emisfero sinistro, gli uomini il destro, ciò è fondamentale per iniziare a
pensare strategie di marketing gender-oriented. Le donne utilizzano strategie di acquisto mirate a classificare i
prodotti in precise categorie, quindi la decisione d’acquisto si basa molto su ciò che è contenuto in memoria e
quindi sulle esperienze, ciò permette decisioni più veloci in situazioni routinarie nel caso di un prodotto già
conosciuto e provato, è un processo di scelta più veloce e anche più efficace basato su categorizzazioni (basta
vedere le corsie dei supermercati per vedere le differenza tra uomo e donna nel fare gli acquisti). Gli uomini
sono meno determinati in alcuni tipi di scelta come al supermercato e quindi più vulnerabili rispetto a
informazioni marginali ma con un impatto emotivo più positivo, quindi l’abilità comunicativa sembra fare più
Uno dei primi obiettivi della comunicazione pubblicitaria è rendere disponibile le informazioni e provare a
determinare un cambiamento cognitivo. Per capire la persuasività di un messaggio bisogna capirne l’obiettivo,
quindi che tipo di cambiamento si vuole promuovere con un messaggio persuasivo.
Uno dei primi obiettivi della comunicazione pubblicitaria è provare a determinare un cambiamento cognitivo che
non necessariamente porta poi a un cambiamento di comportamento.
Come abbiamo visto, gli studi di Ajzen e Fishbein (1980) dimostrano che perché ci sia l’intenzione di cambiare
un comportamento non basta solo essere consapevoli e avere delle opinioni verso un prodotto o una situazione,
ma considerare anche il contesto sociale, ovvero se il nostro comportamento e le nostre scelte sono apprezzate da
altri. Nel caso della semplice trasmissione di info lo scopo principale del processo persuasivo è di creare
consapevolezza e conoscenza, fornendo esclusivamente informazioni adeguate.
Un diverso obiettivo è quello del cambiamento dell’azione, un po’ più complicato, ovvero quello di indurre
determinate persone a compiere una specifica azione in un periodo di tempo, quindi non solo riuscire a
comprendere il messaggio e le informazioni ma occorre fornire adeguate informazioni ed efficaci motivazioni in
base alle quali gli individui saranno spinti a compiere una determinata azione.
Ancora più complesso è l’obiettivo di cambiamento comportamentale ovvero indurre una modificazione più o
meno permanente del comportamento di un gruppo che presentano un atteggiamento favorevole verso il
cambiamento. La relazione tra atteggiamento e comportamento non è lineare, un cambiamento
dell’atteggiamento non comporta un cambiamento dell’azione vera e propria; la difficoltà nell’attuazione di
processi comunicativi persuasivi è dovuta al fatto che il cambiamento di un atteggiamento verso una persona,
un’azione o una situazione non corrisponde poi in un cambiamento di comportamento (Es. persone convinte
della nocività di un comportamento ma continuano cmq a ad agire con comportamenti pericolosi, come il fumo).
Certe informazioni su alcuni prodotti o situazioni non sono sufficienti per determinare un certo comportamento,
ad es. quando non si è liberi di rispettare i propri atteggiamenti per paura della valutazione sociale, sono
atteggiamenti quindi a cui non corrispondono dei comportamenti (e viceversa).
La teoria dell’azione ragionata (Fishbein e Ajzen) indica che il comportamento di una persona dipende oltre che
dalla valutazione degli attributi di un particolare prodotto, dalla possibilità che lo caratterizzino ma anche da
altre variabili quali la pressione sociale, le aspettative individuali dei risultati di un’azione e il valore attribuito a
questi risultati (infatti nella costruzione del messaggio pubblicitario bisogna anche fare attenzione al ruolo della
norma soggettiva e del contesto del consumatore).
Nella vita quotidiana la maggior parte delle nostre intenzioni è così immediata da non sembrare un processo
consapevole o ragionato analizzando costi e benefici; la teoria dell’azione ragionata vede l’uomo fortemente
razionale quindi in questo caso la persuasione e il rapporto tra atteggiamento tra atteggiamento e comportamento
agito dipendono da un processo di valutazione razionale degli attributi, del loro valore e della pressione sociale
riguardo un’azione. Questa teoria, integrata poi da quella del Comportamento Pianificato, offre utili indicazioni
su quali siano gli elementi su cui agire per determinare un cambiamento degli atteggiamenti. L’applicabilità del
modello sembra valere solo ed esclusivamente per quei comportamenti che possono ritenersi ragionevolmente
intenzionali
L’ultimo tipo di cambiamento che la comunicazione persuasiva tenta di attuare, e anche quello più difficile, è un
cambiamento di valori, ovvero modificare i valori radicati in alcuni individui rispetto a determinate situazioni;
questo perché i media assumono un ruolo importante accanto ai vecchi organizzatori sociali come famiglia,
Informazione: le persone normalmente valutano e decidono cosa fare anche in base a ciò che sanno, le
informazioni di cui dispongono anche se selezionate, costruiscono un sistema di conoscenze che orientano il
proprio comportamento. L’influenzamento della comunicazione pubblicitaria consiste quindi nell’informazione:
uno spot può dire qualcosa su quel prodotto su qualsiasi aspetto che prima non si sapeva, ora che si sa quindi,
questo, può indurre il consumatore a comportarsi in modo diverso rispetto al comportamento iniziale senza
quell’informazione.
Persuasione: Una seconda modalità di influenzamento è rappresentata dalla persuasione, persuadere significa
indurre il proprio interlocutore a cambiare la propria opinione alla luce di un argomento convincente. I significati
del termine persuasione sono due:
1. Il primo significato presuppone l’idea di verità e presume che la ragione possa riconoscerla in quanto
resa evidente dall’argomento; in questo senso la persuasione fa appello alla razionalità presupponendo
un interlocutore ragionevole disposto a mettere in discussione la propria opinione e se persuaso ad
adottare quella nuova, è intelligente colui che grazie a un argomento ragionevole si persuade a
modificare le proprie credenze e i propri comportamenti; una giusta via di mezzo, né essere facilmente
influenzabili né però restare ciechi e sordi di fronte ad un argomento mantenendo le proprie opinioni e
resistenza al cambiamento. Chi viene persuaso riconosce la verità dell’argomento, convincere diventa un
vincere insieme condividendo qualcosa di vero razionalmente: ciò che a volte fa la pubblicità mostrando
qualcosa che il consumatore possa cogliere in quanto vero, cerca di persuadere mostrando come dato un
problema, il prodotto o la marca che si vuole promuovere offre la soluzione migliore.
2. Il secondo significato del termine persuasione prescinde dall’idea di verità e presuppone i limiti e la
soggettività dei ragionamenti umani, quindi l’argomento è persuasivo non perché mostra la verità
razionale ma perché riesce a far prevalere le ragioni del persuasore su quelle del persuaso avvalendosi di
espedienti. Il termine convincere qui rimanda alla relazione tra uno che vince e uno che perde, il
prevalere di chi convince e sa usare argomenti persuasivi su chi viene convinto, sono in posizione di uno
‘one up’ sull’altro ‘one down’.
Seduzione: Un terzo modo di influenzare si avvale della seduzione. Sedurre significa condurre a sé, attrarre
l’altro e indurlo a seguire spontaneamente quanto indicato da chi seduce. È un modo di comunicare che fa
appello alle emozioni e influenza il soggetto ponendosi come risposta illusoria ai suoi bisogni e desideri;
l’autorevolezza della fonte induce a credere nelle sue affermazioni, induce a fidarsi, suscita consenso e
disponibilità verso chi si dimostra amichevole e umoristico, simpatico. La comunicazione pubblicitaria si mostra
a volte come informativa a volte come persuasiva, ma soprattutto come seduttiva per suscitare interesse,
adesione, sorrisi, positività mostrandosi gioiosa, fantasiosa, giocando con i sentimenti che legati a prodotti o
marche liberano l’oggetto dalla sua funzione d’acquisto e lo caricano di significati simbolici.
Oggi il rapporto tra pubblicità e consumatore si è evoluto: è una relazione bilaterale che entrambi gli attori
contribuiscono a costruire. Un esempio potrebbe essere gli advergame: sono giochi interattivi attraverso i quali si
promuovono campagne pubblicitarie online.
È un nuovo formato di comunicazione vincente proprio grazie all’interattività, dove il consumatore ha un ruolo
più attivo nel rapporto.
Il modo di studiare la persuasione e i processi che stanno alla base del cambiamento degli atteggiamenti si è
modificato nel tempo fino a giungere ad una visione costruttivista.
L’idea della persuasione della modernità è influenzata dal positivismo (‘800) che si è imposta nella riflessione
sull’uomo, promuovendo un’immagine forte e indipendente, capace di dominare la natura con il proprio
ingegno, di costruire e di influenzare la natura; era un periodo storico caratterizzato dall’ottimismo e una visione
dell’uomo come forza, artefice della propria vita e del mondo. Questa visione prevedeva anche una perdita della
centralità dell’anima e della sua coscienza, piuttosto ciò lasciava più spazio al ruolo delle forze esterne nella sua
determinazione. Da quest’influenzamento esterno che scaturisce la dimensione ansiogena del tema della
persuasione e della decisione: nel momento che l’uomo si appropria della libertà e dell’autonomia rischia di
essere la preda di qualcosa di esterno e incontrollabile come la persuasione occulta dei poteri nascosti e divini.
A contribuire ad aumentare le differenze verso il termine persuasione troviamo l’esperienza dei totalitarismi che
hanno fornito un esempio di pericolosità dell’influenzamento della propaganda nelle decisioni e nella
manipolazione delle coscienze. È diventato per questo un tema contraddittorio che ha messo da una parte la
libertà dell’individuo come forza creatrice e dall’altra ha messo l’uomo nella natura e l’ha reso dipendente da
altre forze esterne.
L’uomo però è sempre e comunque visto come un essere razionale, e inizialmente anche il processo di acquisto
poteva essere spiegato da un modello razionale e logico, il soggetto quindi veniva visto come capace di prendere
decisioni e cambiare i propri atteggiamenti su una razionale ricerca di informazioni e un’attenta valutazione delle
alternative per ottenere il massimo beneficio con le minime energie. Questa stabilità era collegata al principio di
coerenza che vincolava l’individuo ad essere coerente con i valori e i principi che aveva interiorizzato e metterli
in pratica poi coerentemente.
La postmodernità ha cambiato radicalmente il modo di vedere l’uomo e i suoi processi decisionali e di
cambiamento, rinunciando all’idea di un soggetto e una coscienza stabile e razionale, non esistono più i valori
universali e le istituzioni guida per le scelte decisionali e per la costruzione di atteggiamenti e hanno lasciato il
posto alla continua riscoperta di valori, al continuo cambiamento degli atteggiamenti e ad un modo per esprimere
la propria individualità.
La persuasione cambia il proprio ruolo, l’audience non ascolta più in modo neutrale e riesce ad accettare più
facilmente ciò che è coerente con le proprie aspettative quindi per modificare gli atteggiamenti occorre
confermare alcuni aspetti e idee preesistenti.
Teoria Ipodermica: che descrive gli effetti che nel dopoguerra aveva la comunicazione di massa, teoria chiamata
anche del proiettile magico, muovendosi in una teoria meccanicistica considerando che esistesse un repertorio
comportamentale dell’uomo e i messaggi potessero essere recepiti nello stesso modo con tutte risposte
immediate e dirette; in questo caso la comunicazione persuasiva può influenzare decisioni di un gruppo di
persone indifese di fronte alla forza della comunicazione, se il bersaglio viene raggiunto si otteneva il successo
prefissato (la fiducia dei mass media derivava dai risultati della propaganda in atto nella Grande Guerra che
influenzava le masse).
Teoria degli Effetti Limitati e dell’Agenda Setting: Secondo la teoria degli effetti limitati l’interesse ad acquisire
informazioni così come la memorizzazione avvengono secondo procedimenti selettivi, esponendosi alle
informazioni più congeniali alle proprie attitudini e a evitare i messaggi contrastanti; le campagne di persuasione
hanno effetto soprattutto se gli individui sono già d’accordo, sono i più interessati ad esporsi all’informazione,
per rinforzare certi atteggiamenti e comportamenti. Inoltre, il contenuto del messaggio pubblicitario viene
rielaborato all’interno di dinamiche sociali e ha valore solo in queste interazioni in cui viene poi interpretato,
accettato o rifiutato. La mente umana è punto di incontro di tante influenze strutturanti, e non c’è una
corrispondenza diretta tra messaggio, decisione e successiva risposta comportamentale, esistono anche variabili
di mediazione come la percezione selettiva o gli stati mentali del ricevente. Perciò la gente tende a includere o
escludere dalle proprie conoscenze ciò che i media includono o escludono dal proprio contenuto, dando più
importanza a ciò che includono proprio perché sono i media a dare più enfasi e priorità a certe informazioni. Si
può ipotizzare quindi che lo spazio e l’enfasi dedicata alla notizia influenzino il modo in cui l’ascoltatore
costruisce la propria agenda personale in cui inserisce e diverse notizie; i media in una prospettiva di agenda
setting definiscono quali sono le notizie a cui dare più attenzione e importanza, dicendo a cosa devono pensare
gli ascoltatori (non come i soggetti devono pensare). Ciò è strettamente collegato al meccanismo euristico della
disponibilità, ovvero, dovendo stimare la probabilità di accadimento di un certo fenomeno il giudizio delle
persone sarà influenzato dalle informazioni più disponibili o più reperibili in memoria; nel caso dell’agenda
setting certe informazioni sono più reperibili perché presentate con più frequenza rendendo queste informazioni
più disponibili.
I media in questo caso non dicono come i soggetti devono pensare, ma a cosa devono pensare. Le modalità
utilizzate per rendere più pregnante una notizia e incidere sulla rappresentazione che l’ascoltatore si fa di una
particolare tematica o fenomeno sono:
• Ripetizione frequente della notizia;
La Teoria Della Coltivazione: A differenza della teoria dell’agenda setting, la teoria della coltivazione non solo ci
dice quali sono le cose su cui decidere e pensare ma anche in che modo dobbiamo pensare ad esse. Secondo
questa teoria i media hanno un ruolo di socializzazione che possa plasmare decisioni, comportamenti, le persone
soggette ai media hanno una visione uniforme e condivisa del mondo a causa della presentazione unica della
realtà comunicata, è un processo mainstreaming in cui la televisione conduce ad un’omogeneizzazione della
visione del mondo (basti vedere la differenza con chi guarda meno la televisione, ci sono differenze di idee
dovute al diverso grado di esposizione).
Una delle principali critiche però è posta proprio su questa relazione, non si riesce a dimostrare che chi guarda di
più la tv è più influenzato da essa, la relazione potrebbe essere inversa considerando che nell’ideazione dei
programmi si cerca di rispecchiare i gusti e le opinioni dei potenziali spettatori e le persone scelgono i
programmi in base alle proprie opinioni quindi potrebbero avere una visione comune perché selezionati
dall’inizio per condivisione di opinioni.
Già nel 1949, in un testo dal titolo Esperimenti sulla comunicazione di massa sull’efficacia persuasiva della
propaganda filmica statunitense, un gruppo di ricercatori aveva riportato i risultati di una serie di ricerche
attraverso le quali si è dimostrato che gli effetti persuasivi e di propaganda ottenuti con i film o le trasmissioni
radio erano decisamente limitati.
Il messaggio per avere un’efficacia deve avere dei criteri:
• Credibilità: riassume le caratteristiche della validità e dell’attendibilità del messaggio (deve essere
distinta dalla verità);
• Coerenza: sottolinea l’importanza dell’organizzazione logica degli elementi che vengono portati a
sostegno di una determinata argomentazione;
• Consistenza: indica il valore e l’importanza della continuità temporale della comunicazione
persuasiva, la non contraddittorietà e la costanza della proposta del persuasore;
• Congruenza: Fa riferimento a tutto ci che nel linguaggio comune viene definito come capacità di
trovarsi nel luogo giusto, al momento giusto, con le parole giuste.
La Teoria dei Ruoli e Il Ruolo Attivo dello Spettatore: per essere persuasivi bisogna produrre un messaggio che
corrisponde il più possibile con quanto gli altri si immaginano o si aspettano da noi, sottolineando la visione
dell’uomo razionale e coerente, e quindi gli uomini in questo caso possono essere persuasi dalla coerenza di un
discorso razionale. Per fortuna poi successivamente si è passati a valutare anche il ruolo del destinatario oltre che
il ruolo del messaggio, quindi alle sue differenze individuali e alle variabili cognitive e sociali, un pubblico
attivo. Le motivazioni personali, le emozioni e il contesto sociale influenzano il modo di percepire la realtà.
Questo rappresenta una guida capace di influenzare il modo di percepire la realtà esterna e per costruire
categorie dotate di senso.
Non c’è più un pubblico dormiente, ma un pubblico attivo che a sua volta influenza i media. È proprio il
significato che diamo alle cose, a guidare il nostro modo di percepire la realtà; realtà non data per scontata, ma
Per capire i fattori che rendono efficace la persuasione bisogna studiare le caratteristiche della fonte, del
messaggio e del ricevente (aspetti studiati dalla scuola di Yale).
La fonte può avere grande impatto per la ricezione del messaggio, può essere attrattiva ed efficace nell’attirare
l’attenzione (un bel testimonial), così come rendere credibile e veritiero il messaggio (testimonial prestigiosi); tra
l’altro alcuni elementi positivi di una persona possono creare un effetto alone su tutto ciò che lo circonda e sul
prodotto che utilizza per esempio nel caso di una pubblicità. Infatti, l’uso di personaggi famosi come testimonial
negli spot, ha un costo elevato, ma è una delle strategie più usate. Sono persone che rappresentano il successo, la
bellezza; non dimentichiamo per che oltre alla loro attrattività, devono essere anche credibili: il personaggio
famoso deve avere un qualche legame con prodotto o servizio che sponsorizza.
Nel caso in cui non ci fosse un reale legame tra personaggio e prodotto, il consumatore pensa che si tratti solo di
questioni economiche e il prodotto o la marca perdono credibilità.
L’efficacia persuasiva è ancora più forte se il messaggio e la sua fonte rispondono a specifici bisogni dei
consumatori, e sono più motivati pure a lasciarsi trasportare, soprattutto coloro che tendono ad essere più
sensibili al giudizio degli altri sono più facilmente persuasibili da una fonte attrattiva rispetto a quelli orientati
internamente. Invece la credibilità, la fiducia e l’oggettività della fonte hanno più efficacia soprattutto se il
consumatore non ha potuto sapere molto di quel prodotto affidandosi del tutto alla fonte, soprattutto se è una
fonte legittima (quasi si arriva a un grado di obbedienza che induce ad eseguire ordini in quanto si riconosce una
figura autoritaria e legittima; es. esperimento: delle persone sono state incaricate a dare scosse elettriche a
collaboratori complici che avrebbero finto dolore, nel caso in cui le risposte di quest’esperimento fossero
sbagliate, così i soggetti dell’esperimento finirono per venir meno ai propri principi morali perché non si
sentivano personalmente responsabili in quanto persuasi da un potere esterno più grande e legittimo, loro
avevano solo agito come esecutori di quel comando). Altro fattore importante che influenza l’attrattività della
fonte è il processo di identificazione con essa (usando ad es personaggi famosi che offrono esempi di
simbolizzazione e aspirazione) interpretando diverse categorie sociali simboliche e attraenti (uomo manager,
donna elegante e affascinante, mascolinità) ovviamente dipende anche dalla credibilità di quei personaggi e la
coerenza tra il personaggio famoso e il prodotto che deve essere immediato per i consumatori.
È stato scoperto però che la credibilità della fonte a parità di messaggio non ha per forza degli effetti immediati
sugli atteggiamenti; esiste un effetto sleeper (Kelman e Hovland) secondo il quale i consumatori dopo un po’
tendono a dimenticare l’identità della fonte del messaggio e si lasciano influenzare solo dal contenuto del
messaggio memorizzato, si dissocia la fonte e il contenuto del messaggio, oppure il contenuto del messaggio è
più forte.
Il gruppo di Yale studiò anche la variabile del soggetto destinatario con la sua personalità e suscettibilità alla
persuasione e inoltre anche la struttura del messaggio in base alla sequenza di informazioni, e gli effetti di
primacy ovvero memorizzazione e influenza delle prime informazioni, e recency ovvero memorizzazione delle
ultime informazioni con conclusioni esplicite o i contenuti minacciosi. Solitamente se parliamo di memoria,
quando il tempo che passa tra la presentazione della lista di parole e il ricordo è breve i soggetti ricorderanno le
parole all’inizio e alla fine della lista, ciò è definito effetto della posizione seriale, le parole all’inizio di una lista
sono ricordate meglio alla fine, però siccome la memoria a breve termine ha una capienza limitata ogni parola
successiva della lista esclude quella precedente e per questo motivo è più probabile che vengano ricordate le
La persuasione agisce sia a livello consapevole che inconsapevole. Ciò significa che bisogna riconoscere che
esistono meccanismi automatici di associazione tra concetti e vissuti. Uno di questi processi fondati sulla
connessione tra un concetto ed un vissuto o atteggiamento è legato al termine atteggiamento implicito. Tale
concetto riflette infatti processi particolari, come i fattori associativi, impulsivi, automatici in grado di
determinare un comportamento. Si va a differenziare dal concetto di atteggiamento esplicito, che riguarda ciò
che comprende la riflessione.
Questo interesse nei confronti dei processi automatici, ha anche avviato una nuova generazione di misure
indirette o implicite degli atteggiamenti, che non richiedono quindi una valutazione esplicita di un oggetto di
atteggiamento, ma ne ricavano la sua valutazione dai tempi di reazione associati ad un compito cognitivo. Tra
questi troviamo l’Implicit Association Test (IAT), sviluppato da Tony Greenwald e i suoi collaboratori,
strumento sviluppato per studiare la forza dei legami associativi tra concetti rappresentati in memoria. Lo IAT è
infatti una misura implicita del collegamento della forza del legame di alcuni concetti nella memoria. Esso
sfrutta l’effetto Stroop, interferenza tra significato della parola e colore in cui è scritto, connesso a concetti e
qualificatori emotivamente rilevanti per il tema di studio. Tale effetto consiste nel ritardo del processamento del
colore della parola osservabile tramite un rallentamento dei tempi di reazione e tramite l’aumento degli errori
nella condizione incongruente (es. parola verde scritta in rosso) rispetto a quella congruente (es. parola rossa
scritta in rosso). Per le associazioni parola – aggettivo congruenti, ci si aspettano tempi di latenza minori rispetto
alle associazioni incongruenti. Analizzando i tempi di latenza di ciascuna associazione, è possibile dedurre quali
associazioni sono percepite implicitamente come più congruenti e quali meno.
Le applicazioni iniziali di questo strumento riguardavano soprattutto l’indagine del pregiudizio, il suo uso è stato
poi successivamente esteso anche all’indagine degli stereotipi, dell’identificazione sociale, degli atteggiamenti
verso il cibo. In questo caso, la dissonanza o consonanza tra parole è stimolata dall’associazione incrociata tra
diverse categorie di parole e attributi positivi o negativi, come:
• Parole target positive (colorate di verde): bontà, benessere, genuinità, natura ecologia;
• Parole target negative (colorate di blu): spreco, egoismo, consumismo, sfruttamento, inquinamento;
• Attributi positivi (non colorati): utile, attraente, intelligente, efficace, divertente;
• Attribuiti negativi (non colorati): terribile, orribile, sgradevole, atroce.
In sintesi, riguardo alle parole target, il soggetto deve concentrarsi solo sul colore, indipendentemente dal
significato che le parole esprimono; per quanto riguarda gli aggetti, invece (che non compaiono colorati), si
chiede al soggetto di rispondere in base al significato.
La possibilità di misurare gli atteggiamenti impliciti con la tecnica dello IAT ha permesso di fare confronti tra
atteggiamenti espliciti e auto - dichiarati e atteggiamenti impliciti misurati indirettamente.
Vedi ricerche pag. 443
Il gruppo di Yale ha fornito il modello più serio di spiegazione del messaggio persuasivo, però col tempo s’è
visto che non sempre si realizzano tutti i passaggi per avere effetto, ad esempio gli argomenti non sempre
vengono compresi per parlare di persuasione, basti pensare ai bambini che vengono comunque influenzati dai
messaggi pubblicitari.
Se parliamo del modello della probabilità di elaborazione ELM (1986) di Petty e Cacioppo, considera la
persuasione come un processo che ha l’obiettivo di cambiare gli atteggiamenti o i comportamenti senza l’uso
dell’inganno o della forza che può avvenire attraverso due vie: la periferica e la centrale.
Se il ricevente è motivato a elaborare il messaggio e quindi disposto a collaborare si ottiene un’elaborazione di
tipo centrale, mentre se una delle due condizioni (motivazione e capacità) non si avvera si ottiene solo
un’elaborazione periferica di intrattenimento piacevole ma senza effetti duraturi. La pubblicità quindi lavora su
questi due percorsi: quello centrale prevede una razionalità e un’elaborazione cognitiva delle informazioni e
delle alternative, richiede energia e attenzione, è attivato soprattutto dai più motivati e dai più competenti in
materia. La seconda via periferica è caratterizzata da un minore impegno nell’elaborazione delle informazioni e
nelle decisioni, la decisione in questo caso viene presa in modo automatico secondo abitudini determinata anche
da pregiudizi esterni senza un’attenta riflessione sulle informazioni e le possibili alternative.
Questo dovrebbe spingere il marketing a prestare attenzione al grado di coinvolgimento (+ coinvolta/motivata –
coinvolta/motivata) e alle competenze del proprio target perché ciò permette di capire se il messaggio deve
essere strutturato per agire a livello centrale o periferico, quindi con un’attenta elaborazione delle informazioni
o in modo più superficiale su aspetti secondari. Il modello ELM prevede che una stessa variabile possa attivare
allo stesso tempo sia un percorso centrale che periferico; alcune variabili per le loro caratteristiche sono capaci di
attivare quasi esclusivamente la via centrale o identificare una lista di variabili centrali e una lista di variabili più
periferiche.
Il modello di Chaiken prevede invece la possibilità che i due processi si verifichino contemporaneamente, chi
riceve il messaggio può avere la motivazione e la capacità di seguire un’elaborazione sistematica e allo stesso
tempo se disponibile potrebbe lasciarsi guidare da pregiudizi o elementi più superficiali; il giudizio finale e il
cambiamento di atteggiamento possono essere influenzati da entrambe le modalità di elaborazione perché il
modo di reagire di un individuo deve essere sempre visto nella sua complessità in modo dinamico e interattivo
(es. scelta e acquisto di un auto, oggi si somigliano così tanto che l’influenza del processo comunicativo e la
decisione di acquisto vengono guidate soprattutto da aspetti simbolici e affettivi piuttosto che solo dalla
valutazione costi-benefici). Il processo decisionale è complesso e deve fare i conti anche con processi non
razionali o automatici, quindi le decisioni istintive e controllate non possono escludersi; i processi automatici
sono quelli attivati in modo più immediato e forniscono la prima risposta che poi viene controllata e nel caso
Introduzione
Esempio: la protagonista ha un'amica che si sposa e non ha ancora acquistato il regalo. La sposa ha fatto la lista
nozze ai magazzini John Lewis di Londra che permettono di acquistare on line. Sul sito ad assistere i clienti ivi
sono delle commesse virtuali che attraverso delle domande aiutano il cliente nella scelta del regalo. il cliente
soddisfatto e felice si ricorderà dell'acquisto in futuro e provvederà a recarsi nel negozio durante un viaggio a
Londra. Vi sono altri casi in cui dopo l'acquisto le persone continuano a ricevere messaggi promozionali a volte
graditi a volte no. Alcune persone non autorizzano l'invio di tali messaggi per proteggere la propria privacy.
Negli Usa se ne inventano di tutti i colori, come i carrelli intelligenti che forniscono info sui prodotti e
riconoscendo il cliente suggeriscono cosa manca nella sua dispensa. Ciò non è fantascienza ma l'incrocio fra
tecnologia e servizi al cliente.
Dall'e-commerce all'm-commerce
Molti ricercatori hanno studiato il mezzo internet per vedere se fosse stato possibile utilizzarlo nelle ricerche di
mercato. in psicologia dei consumi, tra le ricerche svolte negli anni, si evince che le principali barriere
all'acquisto on line vi è quello della insicurezza sulla privacy.
Oggi affrontiamo un'ulteriore evoluzione: l'm-commerce, ovvero il commercio sui telefonini, nuovo grande
mezzo di comunicazione, interattivo, indipendente da un terminale (casa, uffici, etc), ma sempre limitato nelle
occasioni d'uso. La mobilità della nuova tecnologia sembrerebbe spontaneamente favorire quello che è stato
definito come l’inesorabile destino di ogni artefatto, secondo cui dopo un iniziale periodo in cui l’artefatto
irrompe sulla scena, in un secondo momento sarebbero le ristrutturazioni stimolate e i contesti d’uso a prendere
il sopravvento.
Questa tecnologia permette, quindi, di concentrarci su nuovi contesti di consumo, per cui serviranno nuove
strategie di mkt che vedranno come obiettivo la possibilità di scambiare info e dati con il consumatore ai fini
della ricerca.
Secondo i dati Istat, sull'utilizzo delle nuove tecnologie in Italia, il 23% degli italiani acquista on line (fascia tra
i 20 e i 44, in maggioranza uomini). Ciò è dovuto anche al fatto che nel nostro paese solo il 43% delle famiglie
possiede un accesso ad Internet. Dato inferiore alla media europea.
1995: USA come una community di appassionati. 2001: in Italia. 2007: 5 milioni di utenti. Italia tra i paesi con
crescita di utenti maggiore. In Italia ha avuto successo anche in relazione al fatto della sfiducia degli italiani
nell'acquisto a distanza e scambio tra privati.
La sfida di Ebay è stata quella di assicurare le persone sulla sicurezza delle transazioni (metodo diverso per ogni
paese: in Italia con il codice fiscale, In usa con la carta di credito).
Hanno anche realizzato una campagna in rete per la sicurezza, e per sfatare dei miti su interrogativi che le
persone nella vita quotidiana non si pongono. Venne fornito un vademecum in cui la gente doveva affidarsi ai
propri sensi:
• vista: controllare password
• olfatto: fiutare l'odore di bruciato
• ascolto: ascoltare e prestare attenzione alle credenziali degli altri utenti.
• gusto: assaggiare un acquisto, leggere bene le descrizioni
• tatto: toccare la spedizione ovvero scegliere un metodo sicuro
Evento university ebay, in cui vi sono formatori.
Successo di ebay: piattaforma realizzata da persone comuni.
es Archio Palmas: Giuseppe palmas era un fotografo della dolce vita i cui lavori non ebbero successo in vita. Il
figlio decise di mettere su ebay i lavori e ben presto girarono per il mondo.
Poco dopo il figlio riuscì a realizzare una personale a NY.
L'adozione dei computer per le ricerche informative sui consumatori è avvenuta perché si pensava che fossero
più attendibili delle interazioni faccia a faccia in cui l'intervistato è condizionato dall'interazione con
l'intervistatore (desiderabilità sociale).
Tuttavia, vi sono pensieri contrastanti. Weisband e Kiesler hanno condotto una meta-analisi di 39 studi dal 69 al
94, secondo la quale l'assenza di informazioni sul contesto sociale dell'intervistato riduce la percezione di essere
identificati e quindi aumenta la disponibilità a fornire informazioni.
Inizialmente quindi, la self-disclosure appariva più alta nelle interviste via computer ma con il tempo questa si
abbassava perché aumentava la consapevolezza del mezzo nei consumatori, riguardo le attività di raccolta delle
informazioni e dei dati attraverso i computer. Quindi gli autori riconoscono che all’inizio le persone tendevano
ad aprirsi di più con i metodi di raccolta tramite pc, proprio grazie al senso di anonimato, supportato dalla
condizione di isolamento di fronte allo schermo. Con il tempo però, questo metodo di raccolta è diventato più
usuale e la preoccupazione rispetto al trattamento dei dati raccolti è salita notevolmente. Ad oggi si può
affermare quindi che la consapevolezza dei rischi relativi alla corretta gestione dei dati porta a diminuire
l’eventuale effetto positivo della visual anonimity.
Vi sono anche altri studi che dimostrano come la desiderabilità sociale può aumentare in certi casi nelle
interviste via pc a seconda delle identità rese salienti e delle relazioni di potere che si instaurano.
Moon, a partire dalla letteratura Psicologica sulla self-disclosure, ha tentato di verificare gli effetti di Linking
(principio secondo cui il consumatore sarebbe disposto a fornire più informazioni al pc verso il quale ha
sviluppato una preferenza) e gli effetti di reciprocity (principio secondo cui il consumatore tenderebbe a
rispondere in modo più intimo dopo aver ricevuto informazioni dal pc). Questo avviene quando il consumatore
ha un rapporto con la macchina come se si trattasse di una persona (teoria della Risposta Sociale). Secondo
questa teoria, quando una macchina ha come caratteristiche funzioni comunicative che sono simili a quelle degli
esseri umani, le persone risponderebbero con attribuzioni sociali e svilupperebbero una relazione specifica con la
macchina, come se si trattasse di una persona.
Inoltre, si verificano tali risultati quando è il pc ad iniziare il dialogo fornendo prima domande più superficiali e
poi domande più intime (al contrario non si verificano effetti positivi). In questo studio i consumatori erano
consapevoli che fosse un esperimento quindi non erano condizionati ne dall'interlocutore, ne da ricompense
come accade a volte.
La ricerca si è concentrata anche sulla relazione tra consumatore e organizzazione. Spesso è possibile ottenere
info tramite lo “scambio secondario” (ovvero non monetario come nel caso di quello primario, in cui in cambio
di informazioni personali, i consumatori ottengono servizi e offerte personalizzate).
Culnan e Milberg hanno segnalato che la gestione dello scambio secondario è importante perché un errore può
compromette anche quello primario.
Data la voglia di diminuire la percezione del rischio sui consumatori, si è fatto ricorso alle “fair information
practises”, ovvero le pratiche per mezzo delle quali le aziende comunicano ai consumatori la necessità di fare
delle ricerche di mercato ed automaticamente loro saranno maggiormente disponibili a fornire informazioni.
Inoltre, i consumatori sembrano diventati più consapevoli circa il valore di mercato delle loro informazioni, e
potrebbero quindi essere disponibili a scambiare informazioni contro denaro. Anche lo scambio di info con il
denaro secondo alcuni fa diminuire il rischio perché gli utenti percepiscono questo scambio come una
dimostrazione di trasparenza. Secondo altri studiosi, invece, le informazioni più delicate non verrebbero
scambiate con denaro perché si contribuirebbe alla mercificazione dell'informazioni, e ciò di conseguenza
farebbe aumentare la probabilità di un uso non corretto dei dati personali.
La consapevolezza che l’informazione può avere un valore di mercato, insieme alla percezione del rischio,
motiva un bisogno di emancipazione dal potere esterno che è espresso attraverso la domanda di controllo attivo
sull’uso dell’informazione privata. Tale atteggiamento che emerge in modo sempre più significativo tra i
consumatori che possono essere definiti pragmatici e consapevoli, potrebbe essere un sintomo del cambiamento
della natura della relazione con le aziende. Infatti, emerge il bisogno di strumenti che consentano al consumatore
di prendere decisioni consapevoli nell’ambito degli scambi con le aziende e di negoziare benefici adeguati.
Economia della mobilità e nuovi strumenti per l'analisi comportamentale del consumatore
Con la nuova tecnologia del mobile e la possibilità di connettersi ad internet si aprono nuovi mercati. Tale
tecnologie si può suddividere in una macro-suddivisione:
• tecnologie wireless che consentono l'accesso, la gestione, il trasferimento di dati in modo indipendente
dalla presenza di un cavo (smartphone). A questa categoria si collocano per esempio i cellulari della
nuova generazione, definiti smartphone e personal digital assistant.
• tecnologie di posizionamento che consentono di rilevare posizione e spostamento di un oggetto/soggetto
con riferimento a un dato contesto geografico.
Alcuni autori hanno evidenziato la voglia di sviluppare una sinergia tra psicologia dei consumi, mkt e
progettazione informatica per disegnare applicazioni davvero utili.
Per fare in modo che queste applicazioni siano davvero utili bisogna adattarle, in seguito a testing dei reali
bisogni dei consumatori.
L'Italia sembra il Paese ideale per sviluppare m-commerce per questo sta crescendo sempre più il mobile-
marketing che ha l'obiettivo di raggiungere il consumatore in maniera interattiva direttamente al cellulare.
Le strategie di interazione con il consumatore potrebbero essere ancora più pervasive perché raggiungono
l'utente ovunque e sono in grado di fornire informazioni sul comportamento in atto, immediatamente e con
consapevolezza da parte del consumatore.
Si parla quindi di Mobile Customer Relationship Management dovrà anche esso soddisfare dei bisogni dei
consumatori in termini di servizi e informazioni ma anche di privacy (problematica importante).
Il mobile consente l'implementazione di metodologie qualitative come chiamate telefoniche e altre adatte alla
mobilità. Tali tecnologie possono essere sfruttate per monitorare comportamenti all'interno di musei, centri
commerciali, librerie etc. In alcuni ipermercati si utilizza il portale shopping system (PSS) che dà la possibilità ai
consumatori di registrare i prodotti acquistati e risparmiare tempo e ai venditori il vantaggio di raccogliere info
sul comportamento del cons che vengono associati ai dati sociodemografici raccolti al momento della
distribuzione dello strumento.
Randel e Muller presentano lo shopping jacket, un pc portatile dove inserire la lista della spesa che ti avvisa
quando il con si trova nelle vicinanze del negozio.
Un sistema più elaborato è l'iGrocer, uno smartphone che memorizza il profilo nutrizionale del cliente e
controlla che i prodotti nel carrello non contengano ingredienti desiderati; suggerisce gli acquisti; inserendo
ricette ti dice quali alimenti comprare etc. My Grocer combina tecnologia wireless con l'RFID che avvisa il
fornitore sulla mancata disponibilità di alcuni alimenti nello scaffale, grazie all'etichetta presente in ogni
prodotto. alla cassa viene automaticamente trasmessa la lista della spesa.
La relazione tra azienda e consumatore ha assunto un ruolo importante nel determinare le scelte e influenzare il
grado di soddisfazione del cliente (ovvero il giudizio espresso nei confronti del servizio o del prodotto offerto).
Esso dipende dalla percezione della qualità relazionale. Tale relazione viene influenzata dalla comunicazione,
Il cambiamento organizzativo rappresenta la carta vincente per ogni organizzazione che voglia sopravvivere in
un mercato competitivo e resistere alla concorrenza. Secondo Weik è preferibile parlare di organizing (processo
continuo dell'organizzazione) piuttosto che organization (dà il senso della stabilità). Cambiamenti tecnologici,
economici e socioculturali sono alcune delle variabili con cui bisogna entrare in relazione per adattarsi alle
esigenze del consumatore. Anche la globalizzazione ha creato una profonda instabilità dei processi organizzativi
per questo motivo le organizzazioni in grado di relazionarsi e stare vicino al cliente sono quelle con maggiore
possibilità di sopravvivere.
Questo modello gestionale impone l'abbandono di modelli organizzativi burocratici e stabili.
Il pensiero delle persone è flessibile ed instabile per cui è difficile trovare delle regole fisse e universali per
dimostrare che il prezzo o la qualità o le caratteristiche del prodotto etc, sono variabili sulle quali operare quando
bisogna catturare il cliente. Vi sono altre variabili socioculturali che possono incidere. Il nuovo consumatore è
sempre più autonomo e si fa guidare dalla libertà del suo potere di scelta più che da altre ideologie particolari.
Anche la relazione tra consumatore e produttore diventa più confusa; da un lato i consumatori hanno sempre più
possibilità di scelta, sono più critici e consapevoli ma anche più bombardati dalle promozioni e dall'altro le
organizzazioni lavorano sempre più in funzione dei comportamenti dei consumatori.
Ecco perché sempre più si cerca di analizzare la soddisfazione dei clienti per orientare il lavoro
dell'organizzazione.
Se prima il consumatore doveva ricercare il prodotto adesso può accedere ad internet e confrontare prezzi e
qualità di tutti i competitor.
Le organizzazioni si ritrovano quindi a gestire e progettare prodotti e servizi con la mutevolezza delle aspettative
dei consumatori, da una parte, e con l’attesa di una relazione significativa dall’altra. Quindi, l’organizzazione
deve essere in grado di ridefinire la propria funzione strategica, valorizzando le sollecitazioni provenienti
dall’esterno, riducendo i tempi di progettazione, pianificazione, distribuzione e controllo, rispondendo con
rapidità.
Questa liberalizzazione del processo di scelta del consumatore l'ha reso più sensibile al fascino della valutazione
della qualità del prodotto ma anche più attendo ai messaggi provenienti dall'organizzazione, che grazi agli input
dei clienti riduce i tempi di progettazione, pianificazione, distribuzione e controllo, risponde con rapidità: questo
è organizing (la capacità di ascoltare, di comunicare e vendere la propria immagine.)
l’importanza della relazione tra consumatore e l’intera organizzazione è testimoniata dal valore che ha assunto
oggi il concetto di corporate brand. Il concetto di marca tradizionalmente legato al prodotto e riferito al vissuto
del consumatore, si è sviluppato caratterizzando l’intera organizzazione.
Il concetto di identità organizzativa può essere descritto tramite due denominazioni: corporate identity e
organizational identity. La prima, nel campo del Marketing, si riferisce a come l'organizzazione si relaziona con
gli stakeholder e la seconda richiama la letteratura di tipo organizzativo e psicologico-sociale, si riferisce a come
i membri si percepiscono. Entrambe devono essere coerenti tra di loro e non in contrasto.
Albert e Whetten ritengono che da una parte l'identità è analizzata per definire le caratteristiche più specifiche di
una organizzazione, per comunicarla all'esterno, dall'altra è utilizzata all'interno per descriversi e pensarsi nella
relazione con gli altri.
Il concetto di identità risponde da una parte all'esigenza di creare valore, dall'altra alla necessità di individuare e
comunicare aspetti specifici dell'organizzazione. le dimensioni che possono essere utili per distinguere l'identità
di una organizzativa, sono ad esempio, la filosofia gestionale, i valori in cui crede, la sua cultura, il significato
che intende trasmettere. Un'identità è forte quando è coerente sia all'interno che all'esterno, perché le
incongruenze sono fatali per l'organizzazione. Le incongruenze corrispondono a contraddizioni che potrebbero
Concetti come identità, cultura e immagine devono essere analizzati nei processi di cambiamento. Tuttavia, una
eccessiva semplificazione o la sovrapposizione dei termini, rende difficile la comprensione di alcuni concetti.
Per questo motivo, si può far riferimento all'analisi di Hatch e Schultz, che propongono di analizzare il concetto
di identità in relazione al concetto di image da una parte e cultura dall'altra.
Una prima considerazione a fatta in relazione alla distinzione tra corporate e organizational identity: la prima
nasce dal marketing e fa riferimento ai processi di comunicazione, la seconda legata ai processi organizzativi fa
capo all'area delle scienze organizzative.
La corporate identity richiama la specificità dell'organizzazione e il modo con cui viene comunicata ai propri
stakeholders e come si differenzia dagli altri. Balmer analizza tale concetto da due diverse prospettive: quella
della scuola e quella legata alla dimensione visiva ed espressiva ovvero si sofferma sui processi di
comunicazione grafica (logo, colori, stili comunicativi). La corporate identity rappresenta non chi si è ma chi si
vuol diventare, è una linea guida per i cambiamenti che si vogliono mettere in atto.
Il concetto di organizational identity (identità organizzativa) ha una valenza psicosociale e fa riferimento a ciò
che i membri dell'organizzazione percepiscono in relazione a chi sono. L'organizational identity è legata alla
teoria dell'identità sociale secondo la quale la relazione ed il confronto con gli altri diventano necessari e
indispensabili per costruire la propria identità, rappresenta la miriade di modi attraverso i quali i membri
percepiscono chi sono effettivamente.
Per quanto riguarda i concetti di image e cultura, Hatch e Schultz mettono in relazione identità e immagine e
identità e cultura. L'immagine fa riferimento a ciò che si comunica verso l'esterno ed è strettamente legata
all'identità, a come essa viene percepita dagli altri. È quindi più prossima al concetto di corporare identity. In
ogni caso quando si fa riferimento all'identità si considera il valore comunicativo che alcuni attributi hanno in
Il Museo Nazionale della Scienza e della tecnologia “Leonardo da Vinci” è il caso di una organizzazione che ha
cercato di mantenere la relazione con i clienti in un momento di crisi come quella della ristrutturazione.
Oggi i musei scientifici sono più attenti ai bisogni di un consumatore postmoderno esigente, informato, selettivo,
sempre più alla ricerca di esperienze che coinvolgano i sensi.
Per tale motivo, il museo affianca l'efficace sistema di raccolta e catalogazione, anche lo sviluppo di servizi
educativi e di professionalità come l'exhibition design, il mkt e la comunicazione.
Questi sperimentano nuovi linguaggi, metodologie e modalità di coinvolgimento per creare esperienze uniche.
Il continuo evolversi, sia nelle esposizioni sia nella struttura è una caratteristica di un museo.
Si può scegliere o di chiudere e sparire dall'agenda setting o tenere aperta solo una parte dell'edificio o chiudere
per tre mesi durante i lavori. L'efficacia della strategia dipende dalla condivisione dei valori e degli obiettivi.
Comunicare i valori in corso: All'inizio del 2008 iniziano i lavori che ebbero la durata di un anno.
Diventava allora importante coinvolgere il pubblico all'interno del cambiamento, bisognava garantire
un'immagine interna ed esterna coerente al delicato momento di cambiamento, costruire una relazionale stabile
tra tutti i livelli di personale e i visitatori. Il concept della campagna: “Con che faccia teniamo aperti?”, i soggetti
erano 4 facce della campagna ed ognuno veicolava messaggi diversi.
Sagome segnaletiche di operai al lavoro senza volto in cui introdurre la propria faccia per scattare foto.
Info-piantine che riportano oltre alla giuda del museo anche la spiegazione dei lavori, come nel sito internet.
L'attività di comunicazione parla sia ai visitatori ma anche ai possibili clienti del museo.
Secondo molti autori per fidelizzare i clienti occorre considerare gli effetti che i processi comunicativi hanno
all'interno dell'organizzazione. Questo non è solo giustificato dal fatto che i clienti interni sono al contempo
Rappresenta l'obiettivo principale dell'azienda orientata al marketing, i cui sforzi tendono allo sviluppo di una
relazione di qualità con la clientela e alla sua conseguente fidelizzazione. La soddisfazione dell'acquirente di un
prodotto o dell'utente di un servizio. Nel contesto sanitario si parla di soddisfazione del paziente.
Nel libro il cliente nella sanità, Favretto riassume i risultati di una ricerca presso i degenti dimessi dell'Azienda
ospedaliera Ospedaliera di Desenzano del Garda, relativamente alla soddisfazione percepita rispetto al loro
ricovero ospedaliero.
Le ipotesi erano: l'esistenza di una relazione tra la soddisfazione del paziente e le sue caratteristiche scio-
anagrafiche; l'esistenza di una relazione tra la soddisfazione espressa dall'utente per il ricovero ospedaliero e la
soddisfazione per la sua vita in genere; l'esistenza di una relazione tra la soddisfazione espressa dall'utente per il
ricovero ospedaliero e la soddisfazione per i servizi pubblici in generale.
Strumento utilizzato: questionario a 1025 persone e una serie di focus group.
I risultati: Non sono emerse differenze per quanto riguarda la soddisfazione percepita che tuttavia tende ad
aumentare con il crescere dell'età e a diminuite con l'aumentare del grado di istruzione. È stata evidenziata una
correlazione tra la soddisfazione dichiarata per la propria vita privata e la soddisfazione del paziente e tra questa
e la soddisfazione per i servizi pubblici in generale.
“Organizzare la soddisfazione in sanità” è stata un'altra ricerca condotta per verificare una relazione tra le
caratteristiche socioanagrafiche e la soddisfazione.
Strumento: intervista telefonica tramite questionario standardizzato.
Risultati: identici all'indagine precedente.
La comunicazione interna non è solo inducting, ovvero non ha solo obiettivi di manipolazione, ma offre anche
un'opportunità di identificazione sia per il consumatore esterno sia per il cliente interno.
La comunicazione assume un ruolo fondamentale nei processi di socializzazione, in quanto il modo in cui il
soggetto attribuisce un senso agli eventi che si susseguono nella vita sociale e lavorativa può spiegare gran parte
delle decisioni concrete, dello stile di azione e delle caratteristiche del suo comportamento nell'ambito
dell'organizzazione. Anche gli studi di marketing relazionale, evidenziano il ruolo cruciale della comunicazione
interna nel sistema di gestione delle relazioni verso l’esterno. Infatti, i collaboratori di un’impresa, essendo in
relazione con i clienti esterni, ed essendo inseriti a pieno titolo nel sistema di relazioni, contribuiscono al valore
dell’appartenenza e della rappresentanza a gestire le relazioni con il cliente esterno.
In letteratura si parla di “contratto psicologico”, ovvero la ricerca sul patto che si instaura tra i collaboratori e
l'organizzazione, fondato sull'appartenenza, sul coinvolgimento, sull'impegno, sull'engagement etc, che indicano
il passaggio dall'adesione a stare nell'organizzazione verso l'attivazione di tutte le proprie risorse per dare senso
e contribuire al successo complessivo.
Per fare in modo che ciò si verifichi, il management deve proporre ai collaboratori una narrazione
dell'organizzazione più efficace affinché possa essere compresa. Gli abili manager sono quelli che affrontano il
cambiamento attraverso l'abilità del dialogo e della condivisione dei valori e degli obiettivi.
Collaborazione tra IULM e l'Associazione Nazionale Dentisti Italiani per sviluppare un ricerca che prendesse in
esame percezioni, vissuti e soddisfazione dei pazienti odontoiatrici.
Il processo: L'obiettivo era valutare la qualità della prestazione odontoiatrica da parte dei pazienti.
Strumenti: una parte della ricerca con focus group e interviste in profondità e una parte quantitativa con
questionari somministrati in parte in formato cartaceo in parte formato elettronico.
Analisi: La prima dimensione analizzata è l'immagine; è emerso che l'immagine degli studi privati sia più alta
per la maggior parte degli intervistati, ma anche molti risultano sconosciuti evidenziando una carenza
comunicativa.
Un'altra dimensione è la valutazione della soddisfazione dei pazienti in merito ai diversi aspetti costitutivi della
qualità del servizio privato.
Secondo la letteratura anglosassone, la soddisfazione è un concetto multidimensionale che presenta una certa
difficoltà ad essere valutato oggettivamente dai pazienti, per questo si presta attenzione all'esperienza di cura nel
suo insieme. il paziente è sempre più agente attivo nella relazione di cura (si parla anche qui di prosumer).
Risultati: Il successivo ritorno del paziente è legato al livello di soddisfazione attribuita a una o poche variabili,
quali attenzione ricevuta dal personale, chiarezza delle info ricevute, accessibilità confort e pulizia, etc.
Pag. 468 mappa: confronto tra grado di importanza esplicita (verbale) assegnata a ciascun servizio e la
correlazione dei singoli fattori con il grado di soddisfazione generale.
Dall'incrocio dei dati è possibile generare delle mappe in cui i diversi fattori oggetto di analisi appaiono collocati
in uno dei quattro possibili quadranti:
• fattori dovuti- prerequisiti di un servizio
• fattori strategici- servizi di reale impatto
• fattori critici o opportunità- aspetti che dimostrano di possedere un forte impatto nel determinare la
soddisfazione.
• Gli aspetti relazionali hanno una valenza strategica di grande valore.
Introduzione
L’attività di shopping consiste nell’andare in giro a guardare le vetrine, esplorare i negozi, i centri commerciali
etc. L’obiettivo di un tale comportamento sembra essere quello di raccogliere stimoli, informazioni e più in
generale fare nuove esperienze. La gratificazione deriva dall’esplorazione di ambienti di shopping in grado di
mettere in scena significati, utili quindi a comunicare chi si è e chi piace essere.
Quest’interpretazione sul ruolo dell’ambiente sull’esperienza di shopping mette l’accento sulla componente
simbolica del consumo e sulla sua funzione al fine della costruzione identitaria. Così, come attraverso l’acquisto
di un prodotto, anche attraverso l’interazione con un ambiente di shopping connotato simbolicamente, il
consumatore può soddisfare bisogni legati all’espressione del self più che non di tipo funzionale-utilitaristico.
La sollecitazione ludica e la stimolazione cognitiva che il consumatore ottiene nel luogo d’acquisto sono da
considerarsi al pari delle componenti funzionali di un prodotto, costituiscono le “ragioni d’uso”. La
progettazione dell’esperienza attraverso il design e la pianificazione degli stimoli ambientali sembra
rappresentare una delle nuove frontiere della strategia di “marketing al retail”.
Le applicazioni strategiche riguardanti l’esperienza si possono distinguere in 2 diversi ambiti:
✳ il marketing esperienziale, il cui obiettivo è quello di intervenire sul vissuto del consumatore all’interno
del punto vendita e di manipolare percezioni e comportamenti attraverso una pianificazione ad hoc delle
variabili ambientali;
✳ il marketing dell’esperienza, il cui scopo è la produzione e la commercializzazione dell’esperienza intesa
come vera e propria offerta economica.
Per entrambi gli ambiti, nel primo caso gestire l’esperienza di consumo, nel secondo creare e commercializzare
nuove esperienze, emerge la necessità di comprendere che cosa sia l’esperienza in senso psicologico, come si
possa valutare e osservare.
Holbrook e Hirshman (1982) criticano la visione di stampo cognitivista che descriverebbe il consumatore come
un mero risolutore di problemi, impegnato nell’elaborazione di informazioni e nella presa di decisione necessaria
alla selezione e all’acquisto di prodotti. A questa visione tradizionale i due autori contrappongono una visione
esperienziale per la quale il consumatore sarebbe anche condizionato da emozioni, fantasie che non solo
condizionano scelte e comportamenti, ma che sembrerebbero costituire una parte imprescindibile del consumo.
Affianco alla scelta funzionale-utilitaristica c’è una stimolazione sensoriale e ludica per gratificazioni legate al
piacere.
L’approccio esperienziale suggerisce l’importanza di integrare allo studio del consumatore come risolutore di
problemi anche l’indagine sulle componenti ludiche e creative, sulle risposte emozionali, sui significati simbolici
del consumo che concorrono a definire la relazione che il consumatore instaura con i prodotti e con i brand. Il
focus sull’esperienza implica quindi uno spostamento dal paradigma dell’acquisto come atto di scambio fra
Schmitt dopo l’elaborazione del marketing estetico si concentra su come promuovere l’esperienzializzazione
dell’offerta. Secondo l’autore, l’esperienza è principalmente legata all’offerta dell’impresa che può orchestrare e
gestire la stimolazione sensoriale e mettere in scena i significati simbolici della marca per migliorare la qualità
della relazione instaurabile con il consumatore.
Le strategie di branding devono perciò coinvolgere tutti i possibili momenti di contatto tra il prodotto e il
pubblico, dal design, alla distribuzione in modo da creare una rappresentazione chiara e coerente con l’universo
della marca e dei suoi tratti identitari. Diventa indispensabile, quindi, creare contesti in cui impresa e cliente
possano interagire al di là della rappresentazione classica pubblicitaria. Il marketing dell’esperienza sottolinea la
necessità di superare un destinatario passivo e riconoscere l’importanza dell’esperienza significa elevare il
consumatore ad un ruolo attivo e partecipativo. Di qui, il crescente ricorso a mezzi “non-convenzionali”, che
perseguono la creazione di esperienze spettacolari finalizzate ad aumentare il coinvolgimento con il brand
entrando in contesti di interazione quotidiana.
Per Schmitt, gli ambiti in cui il marketing deve intervenire per pianificare strategie esperienziali rivolte al
consumatore sono i seguenti:
✳ il sense con riferimento alle stimolazioni estetiche;
✳ il think che riguarda l’elaborazione cognitiva dell’esperienza;
✳ il feel che comprende emozioni e affettività;
✳ l’act con riferimento ai comportamenti e agli stili di vita;
✳ il relate che fa riferimento al contesto socioculturale in cui il consumatore è inserito e le relazioni di
influenza che egli instaura.
Pine e Gilmore (1999), inaugurando il marketing dell’esperienza hanno descritto l’esperienza come una forma di
offerta economica a sé stante, distinta dai servizi e dai prodotti, nei confronti della quale esistono da parte dei
consumatori aspettative di intrattenimento, coinvolgimento e memorabilità. Esperienzalizzare l’offerta significa
ricorrere ai servizi per creare il contesto dell’esperienza e ai beni per coinvolgere il consumatore sul piano
emozionale, fisco e intellettuale.
Alla base dell’offerta esperienziale c’è quindi la partecipazione del consumatore, e quindi non solo intrattenere i
clienti, ma anche coinvolgerli.
Le tipologie o ambiti di esperienza sarebbero:
✳ il campo dell’intrattenimento, che prevede l’esposizione passiva del consumatore a stimolazioni
cognitive come accade quando si ascolta musica
✳ il campo dell’educazione, quando alla semplice stimolazione cognitiva si coniuga la partecipazione
attiva con l’obiettivo di stimolare un apprendimento
✳ l’area dell’evasione, caratterizzata da esperienze dove l’immersione è molto più profonda rispetto alle
esigenze di intrattenimento o educative
Gli approccio esperienziali risultano oggi caratterizzati da una certa parzialità in quanto spesso vengono associati
all’attività di shopping e quindi si focalizzavano solo sul mondo del retail o ancora vengono banalizzati
nell’ambito della comunicazione pubblicitaria senza che in realtà vi sia una vera esperienzializzazione
dell’offerta.
In realtà un approccio esperienziale può essere concepito per rinnovare la posizione competitiva di un prodotto-
servizio, rafforzando agli occhi del consumatore il significato e il valore dell’offerta. Di conseguenza
l’esperienza che il consumatore vive va intesa in senso “olistico”: egli infatti deve formarsi la sua customer
experience lungo tutto il suo processo di acquisto e uso del prodotto-servizio.
Prendendo spunto dai contributi di Schmitt e Laselle Britton possiamo far riferimento a 5 valenze che possono
contribuire a produrre customer experience. La situazione deve essere gratificante dal punto di vista razionale,
ma anche stimolante su 1 o più piani (emotiva, relazionale, valoriale, cognitiva, sensoriale) in modo da formare
un ricordo positivo e duraturo verso il brand. Il modello però rischia di concretizzarsi in una serie di azioni
operative disarticolate che non concorrono alla concezione olistica necessario al vissuto esperienziale. Serve
perciò una cornice strategica dove assumano coerenza le singole iniziative esperienziali. Per questa ragione si
può ricorrere a un processo/metodo in 5 fasi con cui governare l’esperienzializzazione dell’offerta aziendale.
• Fase 1: individuazione del “potenziale esperienziale” che è proprio del brand. Esso viene esplorato con
ricerca qualitativa e osservazionale sui clienti e non-clienti della marca. I l risultato è una mappa
esperienziale che riproduce le 5 valenze esperienziali (cognitiva, emozionale, sensoriale, relazionale e
Gli stimoli fisici che sperimentiamo nei luoghi prescelti influiscono non solo sulla qualità dell’esperienza e sulla
soddisfazione, ma possono condizionare il consumo attraverso due livelli di influenza: fisico-sensoriale e
simbolico.
Kotler (1973), ha ampiamente dimostrato l’effetto dell’esperienza legata alle caratteristiche ambientali sul
comportamento di consumo. La pianificazione atmosferica è stata definita da molti come una determinante
primaria del successo o fallimento di un’attività commerciale.
Olivero (2005) ha introdotto il concetto di “experience design paradox” e cioè la contraddizione osservabile da
un lato tra l’esistenza di un notevole background di ricerca empirica sul tema, la consapevolezza della rilevanza
della progettazione dell’esperienza ormai condivisa da tutti e, dall’altro lato, la difficoltà a rispondere attraverso
l’implementazione di una strategia sistematica nella progettazione.
La maggior parte delle sperimentazioni hanno spesso adottato il paradigma di tradizione neo-comportamentista
Stimolo-Organismo-Risposta (S-O-R) concentrandosi su risposte comportamentali quali l’approccio,
l’evitamento, il grado di soddisfazione, la quantità di shopping e il tempo trascorso nel negozio.
Barman e Evis (1995) distinguono 5 categorie principali di stimoli:
1. variabili esterne (es. architettura edificio, vetrine…)
2. variabili interne (illuminazione, profumi, suoni…)
3. layout e design (organizzazione degli spazi, arredamento)
4. point of purchase e decorazioni (display dei prodotti, indicazioni...)
5. variabili umane (affollamento, personale di vendita …)
Colori
L’evidenza empirica dimostra come saremmo attratti maggiormente dai colori caldi quali il rosso o l’arancione,
ma poi tenderemmo a considerare come più piacevoli quelli freddi. Inoltre, molti effetti vengono manipolati
dall’illuminazione e in ulteriori studi si è potuto vedere come l’adozione di illuminazione supplementare produca
un effetto positivo sul comportamento del consumatore in termini di numero di prodotti acquistati, di tempo
dedicato all’esplorazione dei prodotti e di numero di items visionati.
Musica
L’impatto della musica influenza la quantità delle vendite e il livello di eccitazione dei consumatori. Tuttavia,
l’impatto della musica appare dipendere dall’età dei consumatori, dal tempo, dal volume e dall’uso della musica
in sottofondo. In uno studio condotto da Yalch e Spangenberg (1990) i consumatori più giovani trascorrevano più
tempo nel negozio in presenza di musica in sottofondo, mentre i consumatori più anziani reagivano allo stesso
modo in assenza di musica di sottofondo. La musica inoltre sembrava poter influire sull’acquisto d’impulso, ma
solo quando i consumatori non erano task-oriented, cioè già motivati verso acquisti specifici.
Odore
Anche l’odore appare influenzare il comportamento del consumatore. Mitchell, Kahn e Knasko (1995) hanno
dimostrato l’effetto positivo dell’uso di odori congruenti con il tipo di merce in vendita. In presenza di odori
congruenti aumentava il tempo dedicato alla ricerca di informazioni sul prodotto e ne migliorava la relativa
memoria. Inoltre, i soggetti sperimentali percepivano il tempo trascorso nel negozio come inferiore rispetto al
tempo percepito in assenza di profumo. In generale gli studi dedicati alla manipolazione dell’odore
nell’ambiente di shopping hanno evidenziato la sua tendenza a interagire con le altre variabili e il suo impatto
sulla sfera emotiva, data la connessione del bulbo olfattivo al sistema limbico deputato al controllo delle
emozioni.
Layout
Il modo in cui i prodotti vengono esposti pare avere un effetto significativo sull’esperienza di shopping. Usare
grandi display e cartelli che forniscono informazioni sul prodotto sono tutte strategie che consentono di attirare
l’attenzione verso il prodotto con il risultato di aumentare le vendite. Il layout del negozio, ovvero il modo e lo
stile in cui i prodotti sono organizzati nello spazio sembra invece avere un ruolo sulla percezione dei prezzi.
Smith e Burns (1996) in un loro studio hanno dimostrato come, al diminuire del numero di prodotti esposti si
verificava un aumento del prezzo percepito degli stessi.
Variabile umana
È un’altra componente fondamentale. Le persone che popolano un ambiente di consumo, siano esse clienti o
personale addetto alle vendite, influiscono sul modo in cui il contesto di shopping viene esperito. La variabile
umana può incidere in termini di affollamento e determinare difficoltà nella mobilità all’interno del contesto di
shopping, rendendo difficile la reperibilità dei prodotti o addirittura ostacolando l’esperienza di consumo. Gli
autori (Grossbart,Hampton,Lapidus, 1990) hanno poi fatto una distinzione tra affollamento reale e affollamento
percepito, dimostrando come quello percepito ha un’influenza particolarmente negativa soprattutto nei
consumatori task-oriented.
La maggior parte della ricerca empirica in questo ambito ha seguito il paradigma stimolo-risposta-organismo
osservando il verificarsi di effetti anziché proporre nuovi quadri interpretativi. Tra le eccezioni di ricorda un
tentativo di ampliamento del modello classico credo-atteggiamento-comportamento basato sulla teoria
dell’azione ragionata (Ajzen e Fishbein, 1980), con cui si dimostra che, al fine di aumentarne la capacità
predittiva sul comportamento di shopping, il modello dovrebbe includere le caratteristiche di negozio, design,
assortimento, caratteristiche demografiche e variabili riflettenti l’identità sociale e l’orientamento in termini di
stile di vita dei consumatori. Ci si allontana dalla concezione neo-comportamentista di un consumatore che
elabora informazioni e risponde agli stimoli esterni con una certa gamma di risposte comportamentali per
abbracciare una concezione di consumatore che interagisce con l’ambiente esterno anche ai fini
dell’appartenenza sociale, dell’autoespressione e della costruzione identitaria.
Berman e Evans (1995) hanno proposto uno schema dove si elencano le variabili intervenienti rispettivamente ai
livelli dello stimolo, dell’organismo e delle risposte. Lo schema è stato aggiornato e sono state aggiunte le
componenti culturali e motivazionali che consentono l’interpretazione di possibili risposte comportamentali,
relative allo sviluppo di fiducia, al bisogno di controllo, alla percezione di rischio o a processi identificativi e
comunicativi. Lo schema suggerito evoca il superamento del paradigma S-O-R, ma anche della prospettiva che
vorrebbe il consumatore come un decision maker sempre impegnato nell’elaborazione razionale di informazioni
in quanto orientato alla risoluzione di problemi. Al contrario, si aderisce a una interpretazione del consumo che
evidenzia il ruolo delle sue componenti edonistiche e simboliche.
Douglas e Isherwood (1979) hanno dato un contributo antropologico che vede il consumo come un momento
privilegiato per la costruzione identitaria che si attua attraverso la scelta fra diverse marche, ovvero attraverso
l’adesione a determinati simboli culturali che si accompagnano ai prodotti e agli ambienti in cui i prodotti
vengono rappresentati. In alcuni ambiti la funzione simbolico-rappresentativa è particolarmente saliente, ad
esempio in contesti di consumo artistico-ludico, come nei prodotti di moda.
Distinguere il consumo dall’acquisto consente di riconoscere il ruolo primario dell’esperienza e di evidenziare
che le variabili atmosferiche costituenti il luogo di consumo possono considerarsi fra le determinanti del
significato simbolico attribuibile ai prodotti.
Nel proporre la prospettiva esperienziale in contrapposizione a quella dell’information processing, Holbrook e
Hirschman (1982) oltre alla componente simbolica enfatizzano il ruolo dei processi di pensiero primari che
assecondano il principio del piacere derivante dalla stimolazione fisico-sensoriale.
L’enfasi sulla funzione esperienziale porta a esplorare variabili fisiche o simboliche soggettivamente. L’analisi di
tali elementi non osservabili necessita l’adozione di metodologie introspettive che consentono di rendere conto
di come il consumatore stesso interpreti l’esperienza di consumo. L’approccio di ricerca indicato è pertanto
quello fenomenologico, che attribuendo all’esperienza un ruolo fondante per l’analisi dell’universo psicologico
eleva a dato significativo tutti gli aspetti dell’esperienza di consumo, relativi a colori, emozioni, ricordi evocati,
suoni.
La maggior parte degli studi sulla relazione tra stimoli ambientali e comportamento di consumo si è concentrata
sull’effetto di una o due variabili osservate in condizioni sperimentali o attraverso l’uso di questionari auto
compilati. Parallelamente alla limitata validità dei dati raccolti, l’osservazione di solo alcune variabili non
soddisfa la necessità di rilevare l’effetto del contesto di shopping in una condizione di insieme o la rilevanza di
ciascun stimolo in presenza di altri.
Un’altra dimensione di ricerca che merita di essere esplorata riguarda la relazione fra variabili ambientali e
diversi target anche se l’importanza di questi risultati viene messa in forse dalla consapevolezza di una crescente
inadeguatezza delle tecniche di segmentazione classiche basate sulle caratteristiche demografiche ai fini della
predizione del comportamento. Queste ultime non sarebbero in grado di descrivere la mutevolezza e
l’eterogeneità dei modelli di consumo non riconducibili a gruppo socio-demografici.
La soluzione è quella di costruire una segmentazione che tenga conto del valore simbolico di determinati stimoli
ambientali e del loro ruolo a livello esperienziale attraverso l’uso di tecniche introspettive di ricerca per la
rilevazione di componenti emozionali, sentimenti di identificazione e più in generale, del vissuto che il soggetto
ha della situazione e del contesto.
Thompson et al. (1989) suggeriscono il ricorso al paradigma della fenomenologia esistenzialista per studiare
l’esperienza di consumo. Il paradigma giunge ad una psicologia olistica basata sul contesto che vede gli esseri
umani in modo non dualistico e che mira a descrivere l’esperienza così come viene vissuta dall’individuo.
Nella primavera del 2007 Lines lancia la campagna pubblicitaria per due suoi prodotti di punta Lines petalo blu
e lines velo. Il marketing theme (tema della comunicazione) è stato “la cura di sé”, la pulizia e la delicatezza
sulla pelle. Il target comprendeve ragazze tra i 15-35 anni.
Petal Veil è il testimone funzionale creato dalla Lines e collegato ai brand Petalo Blu e Velo. Petal Veil è lo
strumento usato per entrare in contatto diretto con le donne attraverso il linguaggio della cura.
Le fasi che hanno scandito l’azione di marketing:
• creazione del personaggio e della sua filosofia
• credibilità e popolarità del personaggio
• veicolazione del messaggio
• reveal
Petal Veil nasce come un personaggio positivo, importante e misterioso. Attraverso il web diffonde la sua
filosofia e viene creato un tour girando tutta l’Italia a bordo di un motorhome alla ricerca di una musa ispiratrice.
La notizia è stata riportata su tutti i media e il reveal è iniziato il 10 settembre 2007. L’approccio che questo guro
ha avuto nei confronti di queste ragazze ha consentito di comunicare il ruolo e soprattutto i valori dell’azienda
rendendoli una figura d’ascolto per le giovani clienti lines. Le ragazze contattate sono state oltre 5000 e a 200 è
stato offerto un trattamento di bellezza.
Passaparola
L’uso del testimonial funzionale da parte della Lines è un tipico caso ibrido in cui si sfrutta l’effetto buzz sia
delle comunicazioni on-line sia di quelle tradizionali, oltre ad intervenire sulla narrativa del marchio. Che si
ricorra ad un evento sorprendente, o che si diffonda un concept narrativo, l’obiettivo sarà sempre quello di
coinvolgere il numero più alto di persone e ottenere la maggiore risonanza mediatica.
Marsden e Kirbi (2006) usano il termine “ombrello” connected marketing per indicare il word of mouth, il buzz
e il viral marketing ovvero tutte quelle strategie basate sulla diffusione di informazioni che ricorrono al
passaparola come mezzo per la stimolazione della domanda. Si ricorda la distinzione tra word of mouth e word of
mouse (passaparola on line). Secondo alcuni quello on line è più efficace grazie alla velocità di trasmissione
delle informazioni e anche alla capacità di raggiungere più persone.
Le strategie buzz sono finalizzate esclusivamente a diffondere notizie, l’obiettivo primario è quello di creare
“rumore” stimolando l’interesse dei consumatori che normalmente ricorrono a forum e chat.
Un’altra tipologia di intervento è il viral marketing che, come suggerisce già il termine mira a favorire la
diffusione. Solitamente viene prodotto un video o altro materiale interessante e divertente, dove la marca passa
in secondo piano, in modo da superare l’eventuale atteggiamento di chiusura nei confronti del messaggio, che
invogli il soggetto a condividerlo con i suoi contatti, facilitando in questo modo la sua diffusione. La strategia
Gli advergame propongono un’interessante combinazione tra una situazione di gioco interattivo e veicolazione
di un messaggio pubblicitario. Alla base di tale formato c’è l’obiettivo di creare e diffondere in rete una
situazione divertente.
Pensiamo a quello che ha fatto Nike qualche anno fa. Ha sfruttato una piattaforma di advergame per
pubblicizzare i propri prodotti destinati ad un pubblico di giovani interessati alla partica del basket. C’è una forte
interattività tra giocatore e situazione che vedono appunto i giovani utenti sempre più esperti e motivati a
diventare protagonisti del processo di costruzione di vere e proprie “comunità interattive”.
Il caso Kenwood inizia nel 2003 quando l’azienda si era resa conto che stava perdendo il suo appeal di marchio
tecnologico e all’avanguardia tra i consumatori che costituivano il core target. C’era quindi la necessità di
cambiare rotta, parlare ai giovani con un linguaggio diverso e con media adatti allo scopo per portare l’immagine
Kenwood ai giovani.
Kenwood lancia così il suo primo filmato virale, con l’obiettivo di far percepire ai websurfers un’immagine
diversa del marchio, meno seriosa e un po’ sopra le righe.
I canali di distribuzione usati sono stati le mailing agli appartenenti alla comunity Kenwood, gli upload sul sito
Kenwood.it, inseminazione su siti generici di intrattenimento e poi video su you tube. Infine realizza un product
placement.
Kenwood è quindi un vero esempio di consumer generated media in cui il mezzo di trasmissione sono gli utenti
stessi. Vanno quindi valutate sempre molto attentamente le potenzialità di circolazione del messaggio e bisogna
studiare una campagna ad hoc e non adattare spot nati per la tv ad un altro mezzo.
Accanto alla strategia virale, Kenwood ha poi realizzato un’azione di guerrilla “Can’t StopMe” in alcune delle
principali città italiani quali Roma, Milano, Palermo e Napoli le persone si sono trovate nel bel mezzo dei
marciapiedi un’automobile completamente bruciata e fumante con la musica dentro che suonava a tutto volume
grazie all’impianto Kenwood. Poi è stato avviato il “Girls washing Cars” in cui 20 coppie di modelle hanno
presidiato i semafori di alcune delle principali città per la gioia degli automobilisti in cui lavavano i vetri e
applicavano dei magneti.
Naturalmente il marketing non convenzionale non sostituisce quello tradizionale, ma deve essere affiancato ad
altre attività a sostegno della brand awareness e della conoscenza qualificata del marchio.
L’obiettivo della marca era quello di trasferire i valori della marca a un gruppo di persone che non acquistavano
i prodotti della marca stessa. Gli acquirenti infatti sono di solito le mamme.
Pensare a un progetto che stimolasse i giovani e che creasse un luogo di aggregazione.
La campagna di coca cola è composta da 3 fasi: la prima è quella di “SEMINA” in cui lo scopo è quello di
stuzzicare la curiosità dei consumatori stimolando la domanda “ma cos’è?”. Questo viene raggiunto attraverso
un trailer di 32 secondi in tv. Contemporaneamente sulle bottiglie di coca cola appaiano i personaggi del trailer,
così come le facciate e gli interni degli uffici… tutto è pronto per un grande evento lancio!
La seconda fase è quella di AVVIO dove si annuncio che il film completo è uscito e si chiama Happiness Factory
visibile solo nelle sale cinematografiche o sul sito coca cola.
L’altra fase è quella di suscitare una maggiore richiesta di informazioni sull’evento.
La happiness factory proposta dal brand sul sito web colpisce sull’immaginazione dello spettatore, si crea un
dialogo in cui egli stesso diventa parte del team. Coca cola grazie a questa iniziativa ha permesso di vivere
emozioni positive cercando di vivere la vita con più ottimismo.
Introduzione
Il diffondersi delle mode, così come in generale la scelta di consumo come conseguenza di un’influenza sociale
si sono spiegati con il meccanismo dell’imitazione, per cui certi beni contraddistinti in termini di pregio ed
esclusività si diffondono gradualmente nella popolazione che intende per l’appunto imitare i gruppi più agiati e
innovatori. Alla base dell’imitazione, è possibile individuare il bisogno a differenziarsi unito all’influenza del
modello ideale rappresentato dalla classe superiore.
Implicita a questa concezione è la rappresentazione piramidale di una società stratificata dove l’accessibilità ai
consumi è primariamente una questione di status sociale oltre che costituire lo stimolo di base alla significazione
dei beni.
Questo principio spiega il fenomeno dell’ostentazione nella scelta di cibi rari e costosi e anche la frequentazione
di ristoranti di lusso al fine di distinguersi dalla massa attraverso l’esibizione di consumi alimentari raggiungibili
a pochi.
Il limite di una spiegazione esclusivamente “differenzialista” per la comprensione dei consumi alimentari
emerge chiaramente nello studio delle società contemporanee complesse. Ovvero, quando il valore simbolico dei
beni si esplicita non soltanto in qualità di status symbol, ma si gioca sul piano emozionale ed esperienziale e
tutte le volte, la riflessione di Bourdieu sulle differenze fra gusti alimentari borghesi e gusti alimentari popolari
sembra essere datata rispetto alle evoluzioni contemporanee, cha hanno dato luogo sia a fenomeni trickle down,
per cui ricercatezze gastronomiche si diffondono costantemente anche tra classi sociali inferiori.
Eros e cibo
BOX – La case history: come perugina continua a essere la marca italiana del cioccolato
Fin dagli anni ’70 il cioccolato era sempre stato considerato un peccato di gola, ma all’inizio degli anni 2000 il
consumatore ha iniziato a intraprendere un cammino di ricerca del piacere, anche attraverso il consumo di
cioccolato. Negli ultimi anni si è virati verso una ricerca del piacere che fosse sia personale, sia da condividere
con gli altri. L’approccio alla degustazione del vino; il rito del bere buon vino ha educato i consumatori a
utilizzare lo stesso approccio nei consumi food classici, e di conseguenza il cioccolato ne ha risentito in modo
positivo.
Più in generale nonostante la situazione economica non favorevole, negli ultimi anni sono presenti due
macrotendenze che hanno favorito l’operazione di Nero Perugina; da una parte l’accentuarsi di prodotti a più
basso indice di prezzo, e, dall’altra l’aumento della penetrazione delle fasce premium anche nei redditi meno
abbienti, perché anche per queste fasce era molto forte il bisogno di gratificazione personale. Inoltre, diversi
studi hanno dimostrato come il consumo di cioccolato agisca in modo positivo sull’umore, e debba appartenere
a una dieta sana e equilibrata, dando grande enfasi all’aspetto di wellness del prodotto. Perugina propone ora un
prodotto sano e naturale senza sentirsi necessariamente in colpa. Il piacere che vuole veicolare l’azienda con il
lancio di Nero Perugina non è un piacere edonistico, tipico dell’adolescenza, ma un piacere adulto, che
attraverso l’esaltazione del fondente permette di vivere un’esperienza inebriante grazie a un percorso di
conoscenza e di cultura su quello che si sta mangiando. La proposizione di perugina attraverso Nero Perugina è
proprio quella di coprire per la prima volta con un nuovo marchio tutto il mondo del fondente e accompagnare i
consumatori tramite la Neroterapia suggerendo loro come e quando degustare il cioccolato, per arrivare a un
piacere che coinvolge tutti i cinque sensi. La Neroterapia vuole offrire il cioccolato della migliore qualità a un
prezzo accessibile, parlando con calore al suo target. Oltre alla comunicazione above the line, sono state
promosse iniziative con eventi e attività di pr con lo scopo di restare sempre in contatto con il consumatore.
Perugina conferma, così. Il suo ruolo di Azienda simbolo dell’arte cioccolatiera italiana e la sua duplice capacità
di essere allo stesso tempo custode di una lunga e ineguagliabile tradizione e simbolo di modernità.
Alcuni esempi tipici in cui il comportamento alimentare diventa palese rappresentazione della dinamica
dipendenza\autonomia dalla relazione affettiva sono le patologie alimentari, come anoressia e bulimia. Negli
Il comportamento alimentare può essere spiegato, almeno in parte, come esercizio di controllo su corpo e
identità. Questa tematica sembra colpire più le donne e soprattutto giovani che si rivelano più preoccupate per la
linea rispetto agli uomini.
Zajonc (1965) propone la Drive Theory, secondo la quale la presenza di altri avrebbe un effetto eccitante sul
comportamento del singolo, portando a risposte dominanti come l’intensificazione di azioni semplici o, al
contrario, l’inibizione rispetto ad azioni più complesse. L’atto del mangiare è un’azione semplice, suscettibile
pertanto di facilitazione quando condotta in presenza di altri.
Conner e Armitage (2002), come anche De Castro e Brewer (1992) sono tutti autori che hanno messo in luce
attraverso una serie di studi l’effetto della facilitazione sociale quando si mangia insieme agli altri; inoltre hanno
dimostrato che in presenza di altri il pasto durerebbe persino 15 minuti in più rispetto a quando mangiamo soli,
pertanto, le persone in compagnia, mangiano di più e più lentamente.
In sostanza possiamo dire che, se ci sono persone si mangia di più perché, grazie all’effetto di facilitazione
sociale si allenta il controllo cognitivo sul comportamento alimentare. Va detto però che, l’effetto di facilitazione
sociale dipende fortemente dal tipo di gruppo e quindi dal tipo di relazione tra le persone del gruppo, e anche
dalla gestione delle impressioni. Quando mangiamo insieme ad amici, le persone tenderebbero ad essere più
rilassate, allentando i freni inibitori e quindi ricevendo maggiori gratificazioni.
Per esempio, De Castro (2014) ha notato che l’effetto della facilitazione sociale si poteva osservare quando le
persone che mangiavano insieme erano fra di loro in relazione di parentela oppure buoni amici, mentre non si
registrava un aumento del consumo di cibo quando le persone mangiavano fra colleghi di lavoro.
Inoltre, l’idea che il modo in cui consumiamo il pasto possa essere oggetto di giudizio sociale ci porta a riflettere
sulla connotazione morale associata al controllo della pulsione orale. Il controllo della pulsione orale può essere
sottoposto a giudizi perché è rivelatrice del lato istintuale del nostro essere umani. La pulsione orale, se
soddisfatta senza alcun controllo può essere indice di scarso rigore morale, come d’altronde lo è l’assunzione di
sostanze quali fumo, alcol etc.
La cultura dell’alimentazione come espressione simbolica del bisogno di controllo nella società dei
consumi
Secondo Codispoti e Golfarini (2006), alla base dei disturbi alimentari esiste un quadro psicologico di tipo
narcisistico, caratterizzato da un’eccesiva preoccupazione per il sé. Emozioni negative, difficilmente espresse, si
spostano sul corpo, che diventa in questi casi fulcro di identità e delle azioni.
Moltissimi nuovi trend di consumi sono da ricondursi alla visione del corpo come un mezzo per il controllo e la
comunicazione del self in un contesto sociale caratterizzato da incertezza, rischio e complessità. Alcuni
cambiamenti sociali, come l’aumentata percezione del rischio e il venir meno della sicurezza, tradizionalmente
garantite da istituzioni religiose e governative, sembrano mettere in crisi la relazione fra individuo e società,
dove quest’ultima appare sempre più caratterizzata da modelli di isolamento e scambio e sempre meno ispirata a
quelli di comunità e condivisione.
In questo contesto, il comportamento alimentare diviene espressione sintomatica di un ripiegamento narcisistico
di tipo difensivo rispetto all’aumentata incertezza, ma anche proattivo nel perseguimento di una costruzione
identitaria adeguata alle richieste di un ambiente sociale complesso.
L’emergenza del bisogno di controllo, come un fenomeno della società postmoderna è stato segnalato da diversi
autori tra cui i cosiddetti sociologi del rischio come Giddens e Beck. Nuovi trend di consumo indicano un
crescente focus sul corpo, salute e aspetto fisico. Inoltre, la culturalizzazione del cibo viene interpretata come
conseguenza di un maggiore interesse per gli oggetti che sono in relazione trasformativa con il corpo
Un’importante trend di consumo emergente riguarda l’acqua in bottiglia dove tra l’altro l’Italia si rivela il paese
in cima alla classifica per il suo consumo.
Curiosamente il consumo continua a crescere nei paesi in cui l’acqua è potabile, sana e a costo zero.
Come fa notare Wilk (2006), se in alcune città l’acqua potabile pare avere un gusto peggiore, in altre si può
obiettivamente dire il contrario, mentre il risultato di ricorrenti blind test dimostra che molto più spesso di
quanto non sembri la differenza fra acqua potabile e acque in bottiglia non viene percepita.
L’acqua viene trattata come un prodotto che può differenziarsi in modo considerevole, infatti, i produttori di
acque in bottiglia cercano di distinguersi tra loro attraverso marchi riconoscibili e caratteristiche peculiari. Le
marche di acqua si posizionano sul mercato con prezzi e promesse diverse in termini di contenuti e funzionalità.
L’ampia differenziazione delle acque presenti oggi sul mercato ha portato al nascere e al graduale diffondersi
nelle metropoli di locali per la sola degustazione dell’acqua, meglio noti come water bars. Wilk nota che, a
differenza di altri prodotti, per i quali il nome del produttore o un nome fantasia, che ne costituisce il brand è in
grado di conquistare la fiducia del consumatore andando a garantire qualità e sicurezza, per l’acqua il nome del
produttore non viene mai o quasi mai utilizzato alla fine.
Per l’acqua il nome del produttore non viene quasi mai menzionato in quanto la qualità dipende dalla fonte che
la origina. Il paradosso emerge quando si considera una sorta di riluttanza in certi consumatori quando pensano
di bere acqua proveniente direttamente dalla fonte, in quanto la considerano meno sicura e meno controllata.
Il consumatore di acqua in bottiglia, è quindi un cliente che ricerca il benessere e che rinuncia ad altre
gratificazioni orali in nome della salute. È proprio l’assenza di gusto che deprime l’acqua dal senso di colpa, la
rende simbolo di purezza e di non contaminazione.
La preoccupazione nei confronti dell’ambiente esterno (fonti come acqua\gas) che può essere fonte di rischi è
tipica dell’uomo nella società postmoderna.
Per dirla con Baudrillard, diventa iperreale un prodotto di consumo che risulta essere più convincente e
accessibile del suo corrispettivo naturale (acqua), grazie a una comunicazione di marca persuasiva nel
rappresentare in modo credibile sia i valori della natura sia la competenza umana nel dominio della stessa.
L’azienda Ferrarelle S.P.A è impegnata da più di 3 anni nella rivitalizzazione del suo marchio storico, Ferrarelle.
Mentre nel ventennio precedente il posizionamento era stato chiaro, forte e efficace, negli anni 1990-2004 si è
andati costantemente alla ricerca di un nuovo posizionamento competitivo scommettendo di volta in volta, sulla
gioia di vivere, sulle proprietà dissentanti etc. Questo continuo cambio di rotta ha disorientato i consumatori
portandoli a fare altre scelte di consumo.
L’obiettivo della nuova strategia di Ferrarelle è stato quelli di rinnovare le ragioni per essere la scelta preferita
dei consumatori. Il primo aspetto considerato è stato il target (giovani tra 14-24 anni). Il lancio di nuovi formati,
e di nuovi settori, e ancora di nuovi mercati geografici.
Nella storia dell’industrializzazione alimentare cruciale per il superamento delle preoccupazioni dei consumatori
circa sicurezza e qualità dei prodotti industriali.
Con la produzione alimentare industriale il consumatore perde il controllo diretto sugli eventuali rischi
provenienti dalla natura oltre a essere ovviamente sottoposto a nuovi e inquietanti pericoli. Si diffondono così
marchi alimentari in grado di comunicare valori salutisti o più in generale, in grado di sedurre il consumatore
grazie ad una personalità accattivante.
Le resistenze dei consumatori nei confronti del rischio industriale hanno incentivato la promozione di marchi
alimentari in grado di comunicare valori salutisti, o più in generale, in grado di sedurre il consumatore grazie a
una personalità accattivante indipendentemente dalla comunicazione circa le qualità nutrizionali del prodotto. Un
esempio paradigmatico è quello del brand Mulino Bianco appartenente a Barilla.
La comunicazione a favore della naturalità del prodotto viene perseguita anche attraverso il packaging,
attraverso colori come il bianco che richiama purezza, il verde che si associa al concetto di natura e freschezza,
e il giallo per la luce del sole.
Montanari fa notare che il concetto stesso di naturale è frutto di un’elaborazione culturale: anche le scelte più
ecologiche non sono istintive, ma il risultato di apprendimenti e atteggiamenti basati su credenze e orientamenti
valoriali. Il naturale e quindi tradizionale a differenza del nuovo, rimanda a concetti conosciuti che quindi
riducono la dimensione di rischio percepito e incertezza.
Fishler (1988) nota che se una persona non sa cosa sta mangiando corre il rischio di perdere consapevolezza e
controllo su chi è. In questo senso, si spiega l’importanza di rassicurare il consumatore con una comunicazione
che gli consenta un rimando diretto a ciò che è tradizionale e genuino, ma anche attraverso il ricorso a
informazioni sulla provenienza del prodotto e a favore della rintracciabilità dei processi interni alla filiera
produttiva.
La preoccupazione per il rischio alimentare è caratterizzata anche da un effetto di amplificazione sociale, per il
quale il solo fatto di essere al centro dell’attenzione mediatica rende un argomento “amplificato” riguardo la
percezione dei suoi effetti.
Esemplificativo è il caso della diffusione del morbo della mucca pazza o crisi BSE, che comportò una
diminuzione dell’acquisto di carne dei 17% nel 1996, e del 10% nel 1997. I consumatori, a partire dal 1997,
tornarono a consumare carne e derivati in quantità simile a quella registrata in precedenza allo scandalo.
L’effetto di amplificazione sociale da parte dei media sembra dipendere da alcune caratteristiche importanti:
1. un ampio volume di informazioni, indipendentemente dall’accuratezza e dal contenuto
dell’informazione stessa;
Barilla (oggi primo gruppo alimentare italiano) nasce nel 1877 ma, a fronte di uno scenario economico
caratterizzato da inflazione crescente e controllo statale dei prezzi della pasta decide di entrare nel mercato dei
prodotti da forno. Nasce negli anni ’70 Mulino Bianco che si avvale di una strategia innovativa differenziandosi
da competitors a due livelli:
• Usa ingredienti semplici e genuini per biscotti da forma irregolare che ricorda preparazione artigianale;
• Sviluppa campagne promozionali con un richiamo esplicito ai valori della campagna e della vita semplice.
Mulino bianco diventa leadership perché ha saputo rispondere al bisogno dei consumatori di ristabilire un
contatto con valori della tradizione contadina.
Le indagini infatti evidenziavano crescente sfiducia nei prodotti alimentari industriali e Mulino Bianco ha saputo
proporre un modello di vita che si allontana dall’alienazione della città a favore del ritorno alla vita di campagna
e ai valori della condivisione dei pasti con la famiglia.
Il consumo critico nasce in Italia alla fine degli anni 80 e si fonda sulla riflessione intorno al rapporto tra imprese
e consumi e sull’idea che, dietro alla simulazione del consumatore sovrano e dei bisogni cui le imprese cercano
di rispondere, si nascondono comportamenti antiecologici, manipolatori e politicamente scorretti.
Il fine del consumo critico o responsabile è quello di condurre i consumatori a riappropriarsi dell’autonomia
decisionale e di prendere coscienza del potere che possiedono per condizionare le imprese.
La storia del consumo critico in Italia si articolo intorno ad alcune esperienze:
✳ quella del commercio equo solidale
✳ quella della finanza etica
✳ quella dei bilanci di giustizia
✳ quella dei gruppi di acquisto solidali
Il consumo critico e responsabile viene individuato come uno degli strumenti efficaci in grado di contribuire a
ridurre l’impatto ambientale e a salvaguardare l’ecosistema.
I consumatori critici prestano attenzione alla sfera politica rappresentata dai poteri locali, e la scelta di praticare
il consumo critico si inquadra all’interno di modelli di valore che coinvolgono l’organizzazione sociale e la
cultura nel loro complesso. La discussione sulla percezione del rischio rimanda al costrutto di fiducia come
elemento indispensabile per garantire la relazione fra consumatore e produttore.
Se da un lato la relazione con il consumatore appare divenire più difficile, dall’altra la stessa durata della
relazione è minata dall’aumentare costante della concorrenza.
Alle molteplici offerte dei produttori si assiste oggi al fenomeno progressivo delle private label a opera della
distribuzione.
Zuegg crea nuova linea di bevande Frull per rispondere a nuove esigenze alimentazione per l’infanzia. Rispetto
ad altri succhi di frutta, Frullì è l’unico a posizionarsi sul mercato come 100% naturale: solo frutta e acqua senza
zuccheri aggiunti e presentati in forma di polpa vellutata. È una nuova linea di bevande prodotta da Zuegg unico
a potersi configurare come 100% naturale.
Nasce perché sul mercato c’è poca differenziazione e perché le famiglie ricercano uno stile di consumo
alimentare più sano ed equilibrato e cercano di evitare il problema dell’obesità infantile.
Le caratteristiche di Frullì non sono solo il fatto di essere merenda dissetante, nutriente e piena di salute, ma
contribuiscono a diffondere nei bimbi l’attenzione nei confronti di un consumo alimentare più consapevole. Per
questo motivo, un ruolo importante per la comunicazione e promozione del nuovo prodotto sono stati eventi
nelle scuole dedicati a tema prevenzione obesità e alimentazione sana. L’altro target è costituito dalle mamme
nel loro ruolo di responsabili d’acquisto.
Nella fase di lancio si è puntato su una comunicazione comparativa rispetto a competitors dove si invitava il
consumatore a consultare le tabelle degli ingredienti (scatola succo diventa libro che invita a lettura ingredienti).
Per quanto riguarda il posizionamento distributivo, nei supermercati Frullì viene esposto insieme ai prodotti
ortofrutticoli, per sottolineare la naturalezza del prodotto. Anche nel packaging sono state proposte delle novità:
le classiche confezioni potevano risultare troppo comuni rispetto a novità decantate dal prodotto, quindi si è
scelto un formato esclusivo più sottile e slanciato e caratterizzato da disegno della fustella ondulata che percorre
tutta lunghezza del brick.
Infine, Zuegg lavora anche con logiche di tutela ambientale: il prodotto naturale riduce la produzione di rifiuti.
Il prodotto vuole collegarsi come il classico frullato di frutta, senza aggiunta di sostanza. Zuegg analizzando il
mercato ha visto che c’era una domanda insoddisfatta soprattutto per i bambini di età compresa tra i 3-8 anni per
la colazione e la merenda. Esso si dimostra anche come una risposta concreta al tema dell’obesità infantile, ma
promette anche alle mamme una qualità e un buon prezzo. La strategia del lancio è stata quella di tipo
comparativo in cui si focalizzava sugli ingredienti del prodotto. Gli espositori venivano messi vicino ai prodotti
ortofrutticoli per esaltare la naturalezza del prodotto e il packaging è stato ridefinito in quanto elemento
fondamentale per l’immagine. La nuova campagna vedrà esperti di nutrizione Zuegg promuovere tema
alimentazione in molte scuole elementari; poi ci sarà un tour in collaborazione con Disney e Mercedes Benz in
occasione della presentazione del film “Le cronache di Narnia”, dove verrà allestito un villaggio a tema dove
saranno presenti giochi e animazioni dove protagonista è Frullì e il tema della buona alimentazione.
L’accettabilità di cibi nuovi è stata oggetto di misurazione attraverso la Scala di Atteggiamento della Neofobia
Alimentare (Food Neofobia Scale) al fine di poter predire le probabilità di successo di varie tipologie di cibo, tra
cui anche i cibi etnici considerati non familiari. La familiarità del cibo è un attributo fondamentale in quando
seno di rifiuto o accettazione dei prodotti alimentari.
L’importanza data ai consumi alimentari si evidenza anche dall’attenzione che viene data al disegno di nuovi
luoghi per il consumo e il commercio del cibo.
La progettazione è sempre più orientata a soddisfare esigenze emergenti che rimandano al bisogno di recuperare
il rapporto di vicinanza con la produzione, e che oltre a richiedere un’attenzione particolare ai valori della qualità
e del genuino, perseguono un coinvolgimento sensoriale ed esperienziale.
Nelle due box successive ci sono due esempi tale proposito.
BOX – Agriservice
È una società di Teramo costituita da 136 aziende agricole e allevatrici cha hanno sperimentato con successo una
nuova formula commerciale, ovverosia, una rete di vending machine di latte fresco e di un supermercato
alimentare ad assortimento completo collocato lungo la superstrada che conduce a Giulianova.
Conta su 4000 clienti che per cultura e mentalità sono alla ricerca di prodotti alimentari del territorio di qualità
superiore.
L’azienda può praticare prezzi contenuti avendo eliminato ogni intermediazione commerciale inoltre la relazione
diretta con la struttura di vendita permette la massima garanzia di genuinità. Inoltre, si possono assaggiare
spuntini e piatti rapidi.
In sostanza Agriservice ha risolto efficacemente il compito di declinare in modo originale ed efficace il concetto
di farmer maker che tanto successo sta riscuotendo negli Stati Uniti. Il bisogno di naturalità e di salubrità
rappresenta la tendenza principale.
Eately