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Lancelotti Teoria
Lancelotti Teoria
Premessa fondamentale
Siano A e B due insiemi. Con la scrittura f : A → B si intende una funzione che associa
ad ogni elemento di A uno e un solo elemento di B. Quindi A è il dominio di f e B
è il codominio di f . Talvolta il dominio si indica con il simbolo dom (f ). Quindi se
f : A → B è una funzione, allora dom (f ) = A.
= v1 (1, 0, . . . , 0) + · · · + vn (0, . . . , 0, 1) = v1 e1 + · · · + vn en .
| {z } | {z }
e1 en
1
2 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
√ q
∀x = (x1 , . . . , xn ) : kxk = x · x = x21 + · · · + x2n .
Per n = 1 si ha che
Per n = 2 si ha che
n o
Br (x0 , y0 ) = (x, y) ∈ R2 : k(x, y) − (x0 , y0 )k < r =
n o
= (x, y) ∈ R2 : (x − x0 )2 + (y − y0 )2 < r 2
che è l’insieme dei punti interni alla circonferenza di centro (x0 , y0 ) e raggio r, mentre
n o
Br (x0 , y0 ) = (x, y) ∈ R2 : k(x, y) − (x0 , y0 )k ≤ r =
n o
= (x, y) ∈ R2 : (x − x0 )2 + (y − y0 )2 ≤ r 2
che è l’insieme dei punti della circonferenza di centro (x0 , y0 ) e raggio r e di quelli interni
ad essa.
1 Brevi richiami di topologia di Rn 3
Br (x0 , y0 )
r
y0
O x0 x
Per n = 3 si ha che
n o
Br (x0 , y0 , z0 ) = (x, y, z) ∈ R3 : k(x, y, z) − (x0 , y0 , z0 )k < r =
n o
= (x, y, z) ∈ R3 : (x − x0 )2 + (y − y0 )2 + (z − z0 )2 < r 2
che è l’insieme dei punti interni alla sfera di centro (x0 , y0 , z0 ) e raggio r, mentre
n o
Br (x0 , y0 , z0 ) = (x, y, z) ∈ R3 : k(x, y, z) − (x0 , y0 , z0 )k ≤ r =
n o
= (x, y, z) ∈ R3 : (x − x0 )2 + (y − y0 )2 + (z − z0 )2 ≤ r 2
che è l’insieme dei punti della sfera di centro (x0 , y0 , z0 ) e raggio r e di quelli interni ad
essa.
z0
Br (x0 , y0 , z0 )
r
O
y0 y
x0
cioè se ogni intorno di x0 contiene punti di Ω diversi da x0 . In tal caso non è detto
che x0 appartenga ad Ω.
Diciamo che x0 è un punto di frontiera per Ω se per ogni r > 0 si ha che
Ω ∩ Br (x0 ) 6= ∅ e CΩ ∩ Br (x0 ) 6= ∅, dove CΩ è il complementare di Ω. In tal caso
non è detto che x0 appartenga ad Ω.
Si chiama frontiera di Ω (talvolta detta anche bordo di Ω) l’insieme dei punti
di frontiera di Ω. Si denota con Fr(A) oppure ∂Ω. Evidentemente ∂Ω = ∂CΩ.
Si chiama chiusura di Ω l’insieme Ω = Ω ∪ ∂Ω.
Il termine punti di frontiera sembra indicare quei punti che “separano” un insieme
da un altro, che in questo caso è il complementare. In molte situazioni in effetti si tratta
proprio di punti che delineano un confine fra i due insiemi.
y y
∂Ω
Ω
Ω
O x
∂Ω
O x
Esistono però casi particolari ai quali mal si applica la dicitura di punti di “sepa-
1 Brevi richiami di topologia di Rn 5
(1.6) Esempio
n o
1) L’insieme Ω = (x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 = 1 è chiuso.
In tal caso denotiamo questa funzione L con il simbolo df (x0 ) (oppure dfx0 ) che è
detto differenziale di f in x0 .
∂f
(x0 ) = df (x0 )(v).
∂v
∂f
(x0 ) = df (x0 )(ei ).
∂xi
Quindi se v = v1 e1 + · · · + vn en , si ha che
∂f ∂f
= v1 (x0 ) + · · · + vn (x0 ).
∂x1 ∂xn
In particolare se m = 1, allora
∂f
3) se la funzione f ammette tutte le derivate parziali ∂xi per ogni i = 1, . . . , n in
Ω e se queste le derivate parziali sono continue in x0 , allora f è differenziabile
in x0 .
Se f è una funzione reale, cioè se m = 1, allora denotate con (dx1 , . . . , dxn ) le applicazioni
lineari da Rn in R tali che (
1 se i = j
dxi (ej ) =
0 se i 6= j,
dove ej è il j-esimo vettore della base canonica di Rn , si ha che
n
∂f ∂f X ∂f
(2.5) df (x0 ) = (x0 ) dx1 + · · · + (x0 ) dxn = (x0 ) dxi .
∂x1 ∂xn i=1
∂xi
m
X ∂g ∂f1 ∂fm
= (f (x0 )) dyj (x0 ), . . . , (x0 ) =
j=1
∂yj ∂xi ∂xi
10 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
m m
X ∂g ∂f1 ∂fm X ∂g ∂fj
= (f (x0 )) dyj (x0 ) e1 + · · · + (x0 ) em = (f (x0 )) (x0 ).
j=1
∂yj ∂xi ∂xi j=1
∂yj ∂xi
| {z }
∂f
= ∂xj (x0 )
i
Casi particolari
f g
a) Se si ha Rn −→ R −→ R, allora
∂(g ◦ f ) ∂f
(x0 ) = g0 (f (x0 )) (x0 ).
∂xi ∂xi
f g
b) Se si ha R −→ Rm −→ R, allora
m
X ∂g
(g ◦ f )0 (x0 ) = (f (x0 )) fj0 (x0 ) = ∇g(f (x0 )) · f 0 (x0 ).
j=1
∂yj
∂2f ∂2f
(x) = (x).
∂xi ∂xj ∂xj ∂xi
11
12 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Notazione Sia Ω ⊆ Rn limitato non vuoto. In questa sede diremo che Ω è misura-
bile1 se è possibile associare a Ω una misura, che per n = 2 è proprio l’area di Ω inteso
come sottoinsieme del piano, mentre per n = 3 è il classico volume di Ω inteso come
sottoinsieme dello spazio. Denotiamo la misura di Ω con mn (Ω) o più semplicemente,
quando non vi sia ambiguità, con m(Ω), e la chiamiamo misura n-dimensionale di Ω
(o più semplicemente misura di Ω). Evidentemente m(Ω) ∈ [0, +∞).
Talvolta si parla di volume n-dimensionale di Ω. In particolare, per n = 2 la
misura m(Ω) è detta area di Ω, mentre per n = 3 la misura m(Ω) è detta volume di
Ω.
Per convenzione si pone m(∅) = 0.
Introduciamo ora il concetto di integrale multiplo di una funzione reale. Nel seguito
con il termine integrabile intenderemo “integrabile secondo Riemann”.
Per questioni di semplicità espositiva tratteremo solo il caso di funzioni continue e
limitate, anche se la nozione di integrale multiplo si può introdurre per una classe di
funzioni più ampia, detta delle funzioni integrabili.
Gf
Infatti, se per semplicità consideriamo il caso n = 2, allora essendo f (x) = 1 per ogni
x ∈ Ω, si ha che il trapezoide Tf di f è un cilindro con generatrici parallelle all’asse z
avente per basi Ω e la proiezione ortogonale di Ω sul piano z = 1.
Gf
3
1 b
Elenchiamo ora alcune delle proprietà principali dell’integrale multiplo, utili anche
nelle applicazioni.
È ben noto che queste quattro proprietà valgono anche per l’integrale unidimen-
sionale.
c) se A ⊆ Ω è misurabile e f ≥ 0 su Ω, allora
Z Z
f≤ f.
A Ω
e
Z c Z b
f ≥ 0 =⇒ ∀c ∈ [a, b] : f (x) dx ≤ f (x) dx. Monotonia rispetto all’intervallo
a a
Infatti,
Z Z Z Z Z Z Z Z
f= f+ f= f = g= g+ g= g.
↑
Ω Ω\A Ω\A Ω\A Ω\A Ω
|A
{z } A
|{z}
=0 f (x) = g(x) =0
∀x ∈ Ω \ A
Quindi nel calcolo di un integrale multiplo possiamo tranquillamente non considerare gli
insiemi trascurabili.
1.1 Calcolo degli integrali doppi 17
y y
d
y = β(x)
x = γ(y)
x = δ(y)
Ω Ω
y = α(x)
c
O a b x O x
Ci sono insiemi del piano che sono sia x-semplici che y sempici. Ad esempio un
quadrato, un rettangolo, o un trapezio con le basi parallele ad uno dei due assi cartesiani
o anche più semplicemente un triangolo.
18 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
per Ω.
Figura 2.3: Insieme y-semplice.
y
d
Similmente, graficamente si osserva che Ω è
x-semplice se per ogni y0 sull’asse delle or- y0
x = γ(y)
x = δ(y)
iettando Ω sull’asse y, si ha che l’intersezione Ω
fra Ω e la retta orizzontale y = y0 è un seg-
mento. Poiché un segmento è un insieme c
convesso, è giustificata la denominazione O x
orizzontalmente convesso per Ω.
Se Ω ⊆ R2 è l’insieme x-semplice
n o
Ω = (x, y) ∈ R2 : c ≤ y ≤ d, γ(y) ≤ x ≤ δ(y) ,
Il teorema precedente, noto anche come teorema di riduzione per gli integrali doppi,
stabilisce che l’integrale doppio di una funzione reale continua e limitata di due variabili si
può determinare calcolando in cascata due integrali definiti in una variabile. Osserviamo
che nella formula relativa agli insiemi y-semplici
Z Z "Z #
b β(x)
f (x, y) dx dy = f (x, y) dy dx,
Ω a α(x)
Z β(x)
prima si calcola f (x, y) dy che è un integrale definito di una funzione nella sola
α(x)
variabile y (x va considerata come un parametro) fra gli estremi α(x) e β(x). Questo
integrale produce una funzione F (x) della sola variabile x che va poi integrata fra a e b.
In modo del tutto analogo, ma a variabili scambiate, si procede nel caso della formula
relativa agli insiemi x-semplici.
Z
(1.12) Esempio Calcoliamo l’integrale (x + y) dx dy, dove
Ω
( √ q )
2 2 2
Ω= (x, y) ∈ R : 0 ≤ y ≤ , y ≤x≤ 1−y .
2
√
√ √
Z 2 1−y 2 Z 2 q
2 1 2 2 1 3
= x + xy dy = 1 − y 2 + y 1 − y 2 − y 2 dy =
0 2 y 0 2 2
√ √
Z q 3 2
1
2
2 1 1 2 2 1
= − 2y 2 + y 1 − y 2 dy = y − y3 − 1 − y2 2
= .
0 2 2 3 3 0 3
3
Per il Teorema di Weierstrass risulta che Ω è compatto e che f è limitata.
4
Per il Teorema di Weierstrass sono anche limitate.
20 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
√
2
2 p
x= 1 − y2
y
=
x
Ω
√
O 2 1 x
2
n o
Ω = (x, y) ∈ R2 : 0 ≤ x ≤ 1, α(x) ≤ y ≤ β(x) ,
√
x 2
se 0 ≤ x < 2
dove α(x) = 0 e β(x) = . Poiché β è definita a tratti, per
√ √
2
1− se x2
≤ x ≤ 1. 2
calcolare l’integrale su Ω considerato come insieme y-semplice, conviene osservare che
Ω = Ω1 ∪ Ω2 , come in Fig. 2.6 e usare la proprietà b) della Proposizione (1.7), in modo
che
Z Z Z
(x + y) dx dy = (x + y) dx dy + (x + y) dx dy.
Ω Ω1 Ω2
√
2
2 √
y= 1 − x2
x
=
y
Ω1 Ω2
√
O 2 1 x
2
i) Φ è biiettiva;
Allora
Formula del
Z Z
cambiamento di
f (x, y) dx dy = f (Φ(u, v))| det JΦ (u, v)| du dv.
Ω Ω′ variabile negli
integrali doppi
Z Z β
= f (ϕ(t))| det Jϕ (t)| dt = f (ϕ(t)) ϕ′ (t) dt.
[α,β] α
Z ϕ(β) Z Z β
=− f (x) dx = − f (ϕ(t))| det Jϕ (t)| dt = f (ϕ(t)) ϕ′ (t) dt.
ϕ(α) [α,β] α
P (xP , yP )
yP b b
ϑ
b b
O xP x
Questo cambiamento di variabile viene usato per integrare su insiemi che presen-
tano una simmetria radiale rispetto ad un punto. Per esempio se Ω è il cerchio di
centro l’origine e raggio R > 0
n o
Ω = (x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 < R2 ,
y ϑ
2π
R
O R x Ω′
O R ρ
In particolare se (x0 , y0 ) = (0, 0) si ha Φ(ρ, ϑ) = (aρ cos ϑ, bρ sin ϑ). In ogni caso la
matrice Jacobiana di Φ è
!
a cos ϑ −aρ sin ϑ
JΦ (ρ, ϑ) = .
b sin ϑ bρ cos ϑ
Come nel caso precedente, osserviamo che per ρ = 0 la funzione Φ non è iniettiva,
e quindi biiettiva, e inoltre che det JΦ (ρ, ϑ) = 0. Poiché {0} × [0, 2π] è un insieme
trascurabile in R2 , per l’Osservazione (1.16) possiamo comunque utilizzare questo
cambiamento di variabile nel calcolo di un integrale doppio. Inoltre Φ(ρ, 0) =
Φ(ρ, 2π) per ogni ρ ≥ 0. Poiché anche l’insieme [0, +∞) × {2π} é trascurabile in
R2 , anche questo fatto non influisce sull’utilizzo di questo cambiamento di variabile
nel calcolo di un integrale doppio.
1.1 Calcolo degli integrali doppi 25
x2 y 2
(x, y) ∈ Ω ⇐⇒ + 2 < 1 ⇐⇒ ρ2 < 1 ⇐⇒ 0 ≤ ρ < 1, 0 ≤ ϑ ≤ 2π.
a2 b
Quindi Ω = Φ(Ω′ ), dove
n o
Ω′ = (ρ, ϑ) ∈ R2 : 0 ≤ ρ < 1, 0 ≤ ϑ ≤ 2π
O a x Ω′
O 1 ρ
Z
xy
(1.17) Esempio Calcoliamo l’integrale dx dy, dove
Ω x2 + y2
n o
Ω = (x, y) ∈ R2 : 1 < x2 + y 2 < 4, x > 0, y > 0 .
y ϑ
2
x2 + y 2 = 4
π
2
1 Ω
Ω′
x2 + y 2 = 1
O 1 2 x O 1 2 ρ
Allora
1 < x2 + y 2 < 4
1 < ρ2 < 4 (
1<ρ<2
(x, y) ∈ Ω ⇐⇒ x>0 ⇐⇒ ⇐⇒
cos ϑ > 0
0 < ϑ < π2 .
y>0 sin ϑ > 0
Quindi si ha che Ω = Φ(Ω′ ), dove
π
Ω′ = (ρ, ϑ) ∈ R2 : 1 < ρ < 2, 0 < ϑ < .
2
Ne segue che
Z Z Z
xy ρ2 cos ϑ sin ϑ
dx dy = ρ dρ dϑ = ρ cos ϑ sin ϑ dρ dϑ =
Ω x + y2
2
Ω′ ρ2 Ω′
essendo Ω′ un rettangolo con lati paralleli agli assi ρ e ϑ e la funzione integranda prodotto
di una funzione di ρ e di una funzione di ϑ si ottiene
Z Z π
! 2 π
2 2 1 1 2 3
= ρ dρ cos ϑ sin ϑ dϑ = ρ2 sin2 ϑ = .
1 0 2 1 2 0 4
y y
(x0 , y0 )
b
b b
O x O x
(x0 , −y0 )
Figura 2.9: Insieme simmetrico rispetto Figura 2.10: Insieme simmetrico rispetto
all’asse x. all’asse y.
( Z Z
Ω simmetrico rispetto all’asse y e
3) =⇒ f (x, y) dx dy = 2 f (x, y) dx dy,
∀(x, y) ∈ Ω si ha f (−x, y) = f (x, y) Ω Ω′
Per gli integrali tripli esistono formule di riduzione simili a quelle degli integrali doppi.
L’idea di fondo è di ricondurre il calcolo di un integrale triplo a quello in cascata di un
integrale doppio e uno definito in una variabile. A seconda che si calcoli prima l’integrale
in una variabile o quello doppio, si hanno le formule di integrazione per fili paralleli ad
un asse o per strati paralleli ad un piano.
z = β(x, y)
z = α(x, y)
y
D
x
1.2 Calcolo degli integrali tripli 29
Quindi l’integrale triplo di una funzione continua e limitata di tre variabili si può
determinare calcolando in cascata prima un integrale definito in una variabile e
poi un integrale doppio
Z β(x,y)
nelle due variabili rimanenti. Nella formula precedente,
prima si calcola f (x, y, z) dz che è un integrale definito di una funzione
α(x,y)
nella sola variabile z (x e y vanno considerate come parametri) fra gli estremi
α(x, y) e β(x, y). Questo integrale produce una funzione F (x, y) nelle variabili x e
y che va poi integrata sull’insieme D ⊆ R2 . Questo integrale doppio si calcola con
le tecniche viste precedentemente.
z = β(x, y)
Come evidenziato in Fig. 2.11,
fissato un punto (x0 , y0 ) ∈ D,
l’intersezione fra Ω e la retta
Ω
passante per questo punto pa-
rallela all’asse z è un segmen-
to (nella figura è tratteggiato).
È cosı̀ giustificata la denomi- z = α(x, y)
nazione di integrazione per fili y
paralleli all’asse z per questo
b
(x0 , y0 ) D
x
metodo di integrazione.
Similmente si introducono le formule di integrazioni per fili paralleli agli altri assi.
Allora si ha che
Formula di
Z Z "Z β(x,z)
#
integrazione per
f (x, y, z) dx dy dz = f (x, y, z) dy dx dz.
Ω D α(x,z) fili paralleli
all’asse y
30 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Allora si ha che
Formula di
Z Z "Z β(y,z)
#
integrazione per
f (x, y, z) dx dy dz = f (x, y, z) dx dy dz.
Ω D α(y,z) fili paralleli
all’asse x
z0 b
Ω
y
Ω z0
x
Formula di
Z Z b Z
integrazione per
f (x, y, z) dx dy dz = f (x, y, z) dx dy dz.
Ω a Ωz strati paralleli
al piano xy
z
Come evidenziato in Fig. 2.12,
fissato un punto z0 ∈ [a, b],
l’intersezione fra Ω e il piano b
z0 b
Ω
z = z0 è una sezione non vuota
di Ω giacente su un piano par-
allelo al piano xy. È cosı̀ gius-
a
tificata la denominazione di in-
tegrazione per strati paralleli al y
piano xy per questo metodo di
x
integrazione.
"Z # Formula di
Z Z b integrazione per
f (x, y, z) dx dy dz = f (x, y, z) dx dz dy.
Ω a Ωy strati paralleli
al piano xz
6
Per il Teorema di Weierstrass le funzioni sono anche limitate.
1.2 Calcolo degli integrali tripli 33
Z
(1.21) Esempio Calcoliamo l’integrale x2 + y 2 z dx dy dz, dove
Ω
n o
Ω = (x, y, z) ∈ R3 : x2 + y 2 + z 2 ≤ 1, z ≥ 0 .
x y
Si ha che
q
3 2 2
Ω = (x, y, z) ∈ R : 0 ≤ z ≤ 1− x2 − y2 , x +y ≤1 .
n o
Quindi, posto D = (x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 ≤ 1 , risulta che Ω è della forma adatta per
integrare per fili paralleli all’asse z. Integrando per fili paralleli all’asse z, si ha che
Z Z "Z √ #
1−x2 −y 2
2 2
x +y z dx dy dz = x2 + y 2 z dz dx dy =
Ω D 0
√
Z 1−x2 −y 2 Z
1 1
= x2 + y 2 z 2 dx dy = x2 + y 2 1 − x2 − y 2 dx dy.
D 2 0 2 D
Allora (
2 2
0≤ρ≤1
(x, y) ∈ D ⇐⇒ x +y ≤1 ⇐⇒
0 ≤ ϑ ≤ 2π.
34 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
y ϑ
2π
1
O 1 x D′
O 1 ρ
Ne segue che
Z Z
2 2 1
x +y z dx dy dz = x2 + y 2 1 − x2 − y 2 dx dy =
Ω 2 D
Z
1
= ρ3 − ρ5 dρ dϑ =
2 D′
essendo D′ un rettangolo con lati paralleli agli assi ρ e ϑ e la funzione integranda prodotto
di una funzione di ρ e di una funzione di ϑ, si ottiene
Z 1 Z 2π 1
1 1 4 1 6 π
= ρ3 − ρ5 dρ dϑ = π ρ − ρ = .
2 0 0 4 6 0 12
Si può procedere anche integrando per strati paralleli ad un piano. Infatti, osser-
viamo che
n o
Ω = (x, y, z) ∈ R3 : x2 + y 2 ≤ 1 − z 2 , 0 ≤ z ≤ 1 .
n o
Quindi, per ogni z ∈ [0, 1] posto Ωz = (x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 ≤ 1 − z 2 , risulta che Ω è
della forma adatta per integrare per strati paralleli al piano xy.
Integrando per strati paralleli al piano xy, si ha che
Z Z 1 Z
x2 + y 2 z dx dy dz = x2 + y 2 z dx dy dz.
Ω 0 Ωz
1.2 Calcolo degli integrali tripli 35
y ϑ
2π
√
1 − z2
Ωz
√
O 1 − z2 x Ω′z
b
√ ρ
O 1 − z2
Poiché per ogni z ∈ [0, 1] l’insieme Ωz è costituito dai punti interni alla circonferenza
di equazione x2 +y 2 = 1−z 2 e da quelli della stessa circonferenza, passiamo in coordinate
polari nel piano xy. Poniamo quindi
(
x = ρ cos ϑ
Φ: ρ ≥ 0, 0 ≤ ϑ ≤ 2π, |det JΦ (ρ, ϑ)| = ρ.
y = ρ sin ϑ,
Allora
( √
2 2 2 0≤ρ≤ 1 − z2
(x, y) ∈ Ωz ⇐⇒ x +y ≤1−z ⇐⇒
0 ≤ ϑ ≤ 2π.
Quindi si ha che Ωz = Φ(Ω′z ), dove
n p o
Ω′z = (ρ, ϑ) ∈ R2 : 0 ≤ ρ ≤ 1 − z 2 , 0 ≤ ϑ ≤ 2π .
Ne segue che
Z Z 1 Z
x2 + y 2 z dx dy dz = x2 + y 2 z dx dy dz =
Ω 0 Ωz
Z "Z #
1
= ρ3 z dρ dϑ dz =
0 Ω′z
essendo Ω′z un rettangolo con lati paralleli agli assi ρ e ϑ e la funzione integranda prodotto
di una funzione di ρ e di una funzione di ϑ, si ottiene
Z Z √ ! Z Z √1−z 2
1 1−z 2 2π 1 1
3
= z ρ dρ dϑ dz = 2π z ρ4 dz =
0 0 0 0 4 0
Z 1
π 1
2 2 π 1 3 π
= z 1−z dz = − 1 − z2 = .
2 0 2 6 0 12
36 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
i) Φ è biiettiva;
Allora
Z Z
f (x, y, z) dx dy dz = f (Φ(u, v, w))| det JΦ (u, v, w)| du dv dw.
Ω Ω′
(1.23) Osservazione Come nel caso bidimensionale, la funzione Φ è quella che pro-
duce il cambiamento di variabili, da (u, v, w) a (x, y, z) ed è anche detta del cambia-
mento di coordinate. Valgono le stesse considerazioni fatte nell’Osservazione (1.14) a
proposito dell’analogia fra questa formula e quella del caso unidimensionale. In tal
caso si pone formalmente (x, y, z) = Φ(u, v, w) e nell’integrale di sinistra si sostitui-
sce (x, y, z) con Φ(u, v, w), il dominio Ω con Ω′ tale che Φ(Ω′ ) = Ω e dx dy dz con
| det JΦ (u, v, w)| du dv dw. Si rammenta di NON dimenticare il modulo del determi-
nante Jacobiano di Φ. Come già osservato nel caso bidimensionale, il cambiamento di
variabile negli integrali multipli è utile molto spesso non tanto per modificare la funzione
quanto per modificare e quindi semplificare il dominio di integrazione. Evidentemente,
come sottolineato nell’Osservazione (1.20) il caso più semplice nello spazio è quello del
parallelepipedo con spigoli paralleli agli assi cartesiani.
(1.24) Osservazione Come nel caso bidimensionale, anche la formula del cambia-
mento di variabile negli integrali tripli continua a valere anche se Φ non è biiettiva,
oppure se det JΦ = 0, su un sottoinsieme di misura nulla di Ω′ . Infatti, come sotto-
lineato nell’Osservazione (1.8), gli insiemi di misura nulla non danno alcun contributo
nell’integrale.
zP b
P (xP , yP , zP )
ϑ: colatitudine b
ϕ: longitudine ϑ
ρ
O
b b
yP y
ϕ
xP b b
Q(xP , yP , 0)
x
Questo cambiamento di variabile viene usato per integrare su insiemi che presen-
tano una simmetria radiale rispetto ad un punto. Per esempio se Ω è la sfera di
centro l’origine e raggio R > 0
n o
Ω = (x, y, z) ∈ R3 : x2 + y 2 + z 2 < R2 ,
z
2π
R Ω′
R π
x Ω y
ϑ
ρ
zP b
P (xP , yP , zP )
b
O
b b
ρ yP y
xP b
ϑ b
Q(xP , yP , 0)
x
Anche in questo caso si osserva che per certi valori di ρ e ϑ risulta che Φ non è
biiettiva. Come nei casi precedenti, questo fatto non pregiudica la possibilià di
utilizzare questo cambiamento di variabile negli integrali tripli.
Questo cambiamento di variabile viene usato per integrare su cilindri, coni, paraboloi-
di. Per esempio se Ω è il cilindro circolare retto con asse coincidente con l’asse z e
raggio R compreso fra i piani z = a e z = b, con a < b,
n o
Ω = (x, y, z) ∈ R3 : x2 + y 2 < R2 , a < z < b ,
40 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
z z
b
b
Ω
R Ω′ π
x y ϑ
a
ρ
a
In modo del tutto analogo si introducono le coordinate cilindriche con asse parallelo
all’asse x o all’asse y.
z
ϕ
Ω y
x
Ω′
ϑ
ρ
Si ha che
√
1 < ρ2 < 2
1<ρ< 2
π
(x, y, z) ∈ Ω ⇐⇒
sin2 ϑ − cos2 ϑ < 0 ⇐⇒
0≤ϑ< 4
cos ϑ > 0 0 ≤ ϕ ≤ 2π.
Allora si ha che
Z Z Z
x2 ρ2 sin2 ϑ cos2 ϕ 2
dx dy dz = ρ sin ϑ dρ dϑ dϕ = ρ2 sin ϑ cos2 ϕ dρ dϑ dϕ =
Ω x2 + z 2 Ω′ ρ2 sin2 ϑ Ω′
42 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
√ 2 h iπ 1 2π
1 π √
= ρ3 − cos ϑ 4
(ϕ + sin ϕ cos ϕ) = 5 2−6 .
3 1 0 2 0 6
M (Ω)
Se la densità di massa ρ è costante in Ω, allora ρ = m(Ω) e si ha che
Z Z
M (Ω)
I= d2 (x, y, z) ρ(x, y, z) dx dy dz = d2 (x, y, z) dx dy dz.
Ω m(Ω) Ω
Ne segue che Ω′ è un cilindro con basi S e la proiezione di S sul piano ϑ = 2π. Quindi
il volume di Ω è Z Z
m(Ω) = dx dy dz = ρ dρ dϑ dz =
Ω Ω′
Analoghe formule se S è contenuto negli altri semipiani dei piani coordinati in cui una
delle coordinate è non negativa.
Per esempio, consideriamo il toro Ω di Fig. 2.20 ottenuto dalla rotazione del cerchio
n o
S = (y, z) ∈ R2 : (y − y0 )2 + (z − z0 )2 ≤ R2 , y0 , R > 0, z0 ∈ R.
Il volume di Ω è dato da Z
m(Ω) = 2π y dy dz.
S
Allora
che è un rettangolo con lati paralleli agli assi coordinati. Ne segue che
Z Z
m(Ω) = 2π y dy dz = 2π ρ(y0 + ρ cos ϑ) dρ dϑ =
S S′
Z "Z #
2π R
= 2π y0 ρ + ρ cos ϑ dρ dϑ = 2π 2 y0 R2 .
2
0 0
y = f (z)
S
O y
m3 (Ω) = 2π yB m2 (S)
7
Si osservi che in tal caso y è l’asse cartesiano orizzontale, e quindi Ω è orizzontalmente convesso.
48 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Appendice A
Momento d’inerzia
~ = m ~r ∧ ~v .
L
~ lungo l’asse a è
La componente di L
La = m d2 ω = I ω,
dove ω = |~
ω | è il modulo della velocità angolare.
49
50 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Appendice B
Integrale di Riemann
51
52 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
y
z
R
R y
O x x
Figura B.1: Iperrettangolo nel piano R2 . Figura B.2: Iperrettangolo nello spazio R3 .
Gli estremi degli intervalli Ij possono essere o non essere inclusi nell’intervallo.
Come vedremo, analogamente a quanto accade per l’integrale in una variabile, ciò non
ha alcuna importanza nella teoria dell’integrazione.
Osserviamo che se R è un iperrettangolo in Rn , allora ∂R è unione di un numero
finito di iperrettangoli in Rm con m ≤ n − 1.
1) R = R1 ∪ · · · ∪ Rk ;
y
R = R1 ∪ · · · ∪ Rk
R1 R2
Rk
O x
z z
f f
y y
R R
x x
Figura B.4: Suddivisione adattata alla Figura B.5: Suddivisione non adattata
funzione a scala. alla funzione a scala.
1
Un iperpiano è una generalizzazione in Rn della nozione di piano dello spazio R3 .
Appendice B Integrale di Riemann su un iperrettangolo 55
Tf
R
x
n volte
Z Z zZ }| Z {
f, f (x1 , . . . , xn ) dx1 · · · dxn , ··· f (x1 , . . . , xn ) dx1 · · · dxn .
R R R
Si dimostra facilmente che questa definizione è ben posta, ossia non dipende dalla
scelta della suddivisione di R adattata a f .
Z Z
f = inf g : g ∈ Hf+ (Integrale superiore di f su R).
R R
Z Z
Essendo f limitata su R si ha che f, f ∈ R e evidentemente
R R
Z Z
f≤ f.
R R
R Rn
g
definita da
(
1 se x ∈ Q, y ∈ R
f (x, y) =
0 se x 6∈ Q, y ∈ R
Z Z
g(x, y) dx dy ≤ 0, h(x, y) dx dy ≥ 1.
R R
Ne segue che
Z Z
f ≤ 0, f ≥ 1.
R R
Z Z
Quindi f< f ∈ R da cui segue che f non è integrabile su R.
R R
2 Misura di Peano-Jordan
y y
P = R1 ∪ R2 P = R1 ∪ R2
R1 R1
R2 R2
O x O x
Ω
Q⊆Ω⊆P
Q
Q ∈ S − (Ω)
P ∈ S + (Ω)
O x
Infatti, in tal caso S − (Ω) = ∅ e quindi m∗ (Ω) = 0, mentre m∗ (Ω) = 1. Ne segue che
m∗ (Ω) < m∗ (Ω) e quindi Ω non è misurabile.
60 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Omettiamo la dimostrazione.
Z
Se f ≥ 0, allora come nel caso precedente si ha che f è il volume in Rn+1 del
Ω
trapezoide di f ,
n o
Tf = (x1 , · · · , xn , xn+1 ) ∈ Rn+1 : x = (x1 , · · · , xn ) ∈ Ω, 0 ≤ xn+1 ≤ f (x) .
Z
Si osserva infine che se f = 1 su Ω, allora f = m(Ω).
Ω
Concludiamo questa sezione elencando alcune delle proprietà principali dell’integrale
multipo, utili anche nelle applicazioni.
a) f + g è integrabile su Ω e si ha che
Z Z Z
(f + g) = f+ g;
Ω Ω Ω
b) λf è integrabile su Ω e si ha che
Z Z
λf = λ f;
Ω Ω
Z Z
c) se f ≤ g su Ω, allora f≤ g;
Ω Ω
d) |f | è integrabile su Ω e si ha che
Z Z
f ≤ |f |.
Ω Ω
d) se A ⊆ Ω è misurabile e f ≥ 0 su Ω, allora
Z Z
f≤ f.
A Ω
Capitolo 3
Integrali curvilinei
Se una curva è semplice, allora può assumere gli stessi valori solo negli estremi
dell’intervallo I, se I contiene i suoi estremi.
63
64 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
ii) γ ′ (t) 6= 0 in tutti i punti in cui γ è derivabile tranne che in un numero finito
di punti;
iii) nei punti in cui γ non è derivabile esistono le derivate destra e sinistra.
In altri termini γ è regolare a tratti se esistono a = t0 < t1 < · · · < tm = b tali che
γ è regolare in ogni intervallo [tk−1 , tk ], per ogni k = 1, . . . , m, cioè se l’intervallo [a, b] è
suddivisibile nell’unione di un numero finito di intervalli adiacenti su cui γ è regolare.
η = γ ◦ α.
1 Brevi richiami sulle curve parametriche 65
η ′ (τ ) = γ ′ (α(τ ))α′ (τ ).
(1.8) Proposizione Siano γ, η, α come nella Definizione (1.6) tranne che per
il segno di α′ e supponiamo che α′ (τ ) < 0 per ogni τ ∈ J.
Allora valgono i seguenti fatti:
η ′ (τ ) = γ ′ (α(τ ))α′ (τ ).
(2.3) Esempio Calcolare l’integrale curvilineo della funzione f (x, y) = x lungo la curva
γ : [0, 1] → R2 definita da γ(t) = t, t2 .
2 Integrale curvilineo di I specie 67
La curva γ è regolare. Infatti, è derivabile con derivata continua γ ′ (t) = (1, 2t) 6=
(0, 0) per ogni t ∈ (0, 1). Inoltre per ogni t ∈ [0, 1] si ha che
p
f (γ(t)) = f t, t2 = t, kγ ′ (t)k = 1 + 4t2 .
Quindi
Z Z Z 1 Z 1 3 1
p 1
f= x= f (γ(t))kγ ′ (t)k dt = t 1 + 4t2 dt = 1 + 4t2 2 =
γ γ 0 0 12 0
1 h 3
i
= (1 + 4) 2 − 1 .
12
(2.5) Osservazione Per questo teorema se γ e η sono equivalenti, e quindi in base alla
Proposizione (1.7) se hanno lo stesso sostegno e inducono su di esso il medesimo verso
di percorrenza, allora l’integrale curvilineo non cambia. Questa proprietà sussiste anche
se γ e η sono tali che esiste α : [c, d] → [a, b] biiettiva e di classe C 1 con α′ (τ ) < 0 per
ogni τ ∈ [c, d] tale che η = γ ◦ α. In tal caso per la Proposizione (1.8) γ e η hanno lo
stesso sostegno ma inducono su di esso versi di percorrenza opposti. Infatti, si ha che
Z Z d Z d
′
f= f (η(τ ))kη (τ )k dτ = f (γ(α(τ )))kγ ′ (α(τ ))α′ (τ )k dτ =
η c c
Z d Z d
= f (γ(α(τ )))kγ ′ (α(τ ))k |α′ (τ )| dτ =
x − f (γ(α(τ )))kγ ′ (α(τ ))k α′ (τ ) dτ =
c c
α′ (τ )<0
In altri termini l’integrale curvilineo lungo una curva regolare a tratti è la somma
degli integrali curvilinei lungo i tratti su cui la curva è regolare.
Il Teorema (2.4) e l’Osservazione (2.5) sussistono anche per le curve regolari a tratti.
3 Integrale curvilineo di II specie 69
dove il simbolo “·” (nell’integrale di destra) indica il prodotto scalare fra i due
vettori di Rn .
Talvolta Zl’integrale curvilineo di seconda specie di F lungo γ è denotato con il
simbolo F · dT .
γ
Se la curva parametrica γ è chiusa, cioè γ(a) = γ(b), allora l’integrale di linea del
campo vettoriale F lungo γ è anche
I
detto circuitazione di F lungo γ e viene
talvolta denotato con il simbolo F · dP .
γ
F (γ(t))
γ(t)
b
γ(a) b γ(b)
im (γ)
La componente del campo di forze F che agisce sul sostegno di γ nel punto γ(t) per
“trasferire” la grandezza fisica in oggetto dal punto γ(a) al punto γ(b) è quella tangente
70 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
al sostegno stesso nel punto γ(t). Quindi è la proiezione ortogonale del vettore F (γ(t))
nella direzione del vettore tangente al sostegno in γ(t), che è appunto quella del vettore
γ ′ (t). Essendo γ ′ (t) un versore tangente al sostegno in γ(t), questa proiezione è il vettore
kv(t)k =
[F (γ(t)) · γ ′ (t)]γ ′ (t)
= |F (γ(t)) · γ ′ (t)| kγ ′ (t)k = |F (γ(t)) · γ ′ (t)|.
| {z }
=1
(3.3) Esempio Calcolare l’integrale di linea del campo vettoriale F (x, y) = y, x2 + y 2
lungo la curva γ che parametrizza la circonferenza di centro (0, 0) e raggio 1 a partire
dal punto (1, 0), inducendo su di essa un verso di percorrenza antiorario.
1
γ
Il campo F è continuo. La curva γ :
2
[0, 2π] → R è definita da γ(t) = (cos t, sin t)
ed è regolare. Infatti, è derivabile con b
derivata continua O 1 x
Quindi Z Z Z
2π 2π
F · dP = F (γ(t)) · γ ′ (t) dt = − sin2 t + cos t dt =
γ 0 0
2π
1
= − (t − sin t cos t) + sin t = −π.
2 0
ii) se esiste una funzione α : [c, d] → [a, b] biiettiva, di classe C 1 con α′ (τ ) < 0
per ogni τ ∈ [c, d] tale che η = γ ◦ α, allora
Z Z
F · dP = − F · dP.
γ η
η ′ (τ ) = γ ′ (α(τ ))α′ (τ ).
Allora
Z Z d Z d
′
F · dP = F (η(τ )) · η (τ ) dτ = F (γ(α(τ ))) · γ ′ (α(τ ))α′ (τ ) dτ.
η c c
τ =c =⇒ t = α(c) = b, τ =d =⇒ t = α(d) = a.
72 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Quindi
Z Z d
F · dP = F (γ(α(τ ))) · γ ′ (α(τ ))α′ (τ ) dτ =
η c
Z a Z b Z
′ ′
= F (γ(t)) · γ (t) dt = − F (γ(t)) · γ (t) dt = − F · dP,
b a γ
Nella ii) la funzione α ha tutte le proprietà elencate nella Definizione (1.6) di curve
equivalenti tranne che per il segno della sua derivata. Per la Proposizione (1.8) si ha che
γ e η inducono versi opposti sul loro comune sostegno. In tal caso l’integrale di linea che
si ottiene è l’opposto.
In definitiva questo teorema stabilisce che l’integrale di linea dipende solo dal verso
indotto dalla parametrizzazione sulla curva e non da altro.
Chiaramente se si percorrono “due strade diverse”, cioè si scelgono due curve che
non hanno lo stesso sostegno, allora l’integrale può essere diverso.
Nel Capitolo sui campi vettoriali conservativi vedremo che l’integrale di linea di
un campo vettoriale conservativo non dipende dal percorso, ma solo dai punti iniziali e
finali.
In altri termini l’integrale curvilineo di seconda specie lungo una curva regolare a
tratti è la somma degli integrali curvilinei lungo i tratti su cui la curva è regolare.
Le proprietà del Teorema (3.4) sussistono anche per le curve regolari a tratti.
γ ′ (t)
Z b Z b Z
= F (γ(t)) · kγ ′ (t)k dt = F (γ(t)) · γ ′ (t) dt = F · dP.
a kγ ′ (t)k a γ
74 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Appendice C
Ascissa curvilinea
Introduciamo una nozione più generale di curve equivalenti rispetto a quella introdotta
a pag. 64.
Nel seguito considereremo n ∈ N, n ≥ 1.
75
76 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
segue che γ e η hanno lo stesso sostegno. Dimostriamo che inducono su di esso lo stesso
verso di percorrenza.
Consideriamo t1 , t2 ∈ [a, b] con t1 < t2 . Allora il punto γ(t) percorre il sostegno di
γ fra i punti γ(t1 ) e γ(t2 ) nel verso da γ(t1 ) a γ(t2 ).
η(τ2 ) =γ(t2 )
b
im (η)=im (γ)
b γ(t1 )
η(τ1 )
Poiché α è biiettiva esistono e sono unici τ1 , τ2 ∈ [c, d] tali che t1 = α(τ1 ) e t2 = α(τ2 ).
Essendo α strettamente crescente su [c, d] si ha che
Ne segue che il punto η(τ ) percorre il sostegno di η fra i punti η(τ1 ) = γ(α(τ1 )) = γ(t1 )
e η(τ2 ) = γ(α(τ2 )) = γ(t2 ) nel verso da η(τ1 ) a η(τ2 ), come γ. Quindi γ e η inducono lo
stesso verso di percorrenza sul loro comune sostegno.
Dimostrazione.
a) Poiché γ ′ è continua su [a, b], per il Teorema fondamentale del calcolo integrale si
ha che s è derivabile su [a, b] con s′ (t) = kγ ′ (t)k per ogni t ∈ [a, b]. Inoltre essendo
γ ′ continua su [a, b] con γ ′ (t) 6= 0 per ogni t ∈ (a, b), si ha che s è di classe C 1
su [a, b] con s′ (t) = kγ ′ (t)k > 0 per ogni t ∈ (a, b). Ne segue che s è strettamente
crescente su [a, b] e quindi s : [a, b] → [0, lγ ] è invertibile.
kγ ′ (α(τ ))k
kη ′ (τ )k = kγ ′ (α(τ ))α′ (τ )k = kγ ′ (α(τ ))k |α′ (τ )| = = 1.
kγ ′ (α(τ ))k
78 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
∀t ∈ [a, b] ∃!τ ∈ [c, d] : γ(t) = η(τ ), ∀τ ∈ [c, d] ∃!t ∈ [a, b] : γ(t) = η(τ ).
γ(a) =η(c)
b γ(t)
γ(b) =η(d) η(τ )
Figura C.1: Curve che inducono lo stesso verso di percorrenza sul sostegno.
Osserviamo che γ(t) = η(τ ). Infatti, poiché s(t) = σ(τ ), s(a) = σ(c) = 0 e s(b) =
σ(d) = lγ = lη , si ha che il tratto di curva compreso fra η(c) e η(τ ) misura σ(τ ) − σ(c) =
Appendice C Ascissa curvilinea 79
s(t) − s(a) come quello compreso fra γ(t) e γ(a). Poiché γ(a) = η(c), ne segue che
γ(t) = η(τ ).
Consideriamo la funzione α : [c, d] → [a, b] definita da
Ne segue la tesi e in particolare γ e η sono equivalenti nel senso della Definizione (1.1).
Consideriamo ora il caso in cui γ e η inducono versi di percorrenza opposti sul loro
comune sostegno. In tal caso si ha che per ogni τ ∈ [c, d] esiste un unico t ∈ [a, b] tale
che s(t) = σ(τ ), cioè t = s−1 (σ(τ )).
σ(τ ) {
b
}| η(τ )
z γ(a) =η(d)
γ(b) =η(c) }
γ(t)
b
{z
| s(t)
Figura C.2: Curve che inducono versi di percorrenza opposti sul sostegno.
Osserviamo che γ s−1 (σ(d) − σ(τ )) = η(τ ). Infatti, essendo s(t) = σ(τ ) e s(b) =
σ(d) = lγ = lη , si ha che il tratto di curva compreso fra η(τ ) e η(d) misura σ(d) − σ(τ ) =
s(b) − s(t) come quello compreso fra γ(t) e γ(b). Quindi
s−1 (σ(d) − σ(τ )) = s−1 (s(b) − s(t)) = s−1 (s(b) − σ(τ )).
Come si evince da Fig. C.2 u è il punto a cui corrisponde γ(u) = η(τ ). Quindi
η(τ ) = γ s−1 (s(b) − σ(τ )) = γ s−1 (σ(d) − σ(τ )) .
80 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
σ ′ (τ )
∀τ ∈ (c, d) : α′ (τ ) = −(s−1 )′ (σ(d) − σ(τ ))σ ′ (τ ) = − < 0.
s′ (s−1 (σ(d) − σ(τ )))
Ne segue la tesi.
Capitolo 4
Integrali di superficie
81
82 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
v z
σ(u0 , v0 )
A
γ
σ
η
v0
Σ
y
O u0 u
x
Infatti,
∂σ ∂σ
γ 0 (u) = (u, v0 ), η 0 (v) = (u0 , v).
∂u ∂v
In particolare
∂σ ∂σ
γ 0 (u0 ) = (u0 , v0 ), η 0 (v0 ) = (u0 , v0 ).
∂u ∂v
Poiché questi due vettori sono linearmente indipendenti, essi individuano un piano in R3
passante per il punto σ(u0 , v0 ) e tangente alle curve γ e η. Questo piano è detto piano
tangente alla superficie parametrica σ in σ(u0 , v0 ).
∂σ ∂σ
(1.4) N (u, v) = (u, v) ∧ (u, v).
∂u ∂v
N
Il versore n = kN k è detto versore normale alla superficie avente lo stesso
verso di N .
mediante la (1.4). Questo vettore individua uno dei due possibili versori normali alla su-
perficie σ in questo punto. L’altro è il suo opposto. Si dice che σ induce (o individua)
su Σ un orientamento, detto anche verso di attraversamento. Evidentemente
su Σ sono possibili solo due orientamenti, uno opposto all’altro.
τ = σ ◦ α.
(1.8) Proposizione Siano σ, τ, α come nella Definizione (1.6) tranne che per il
segno di det Jα e supponiamo che det Jα (x, y) < 0 per ogni (x, y) ∈ B.
Allora σ e τ hanno lo stesso sostegno ma inducono su di esso orientamenti opposti.
Il sostegno di σ è
n o
Σ = σ(A) = (x, y, z) ∈ R3 : (x, y, z) = σ(u, v), (u, v) ∈ A =
n o
= (x, y, z) ∈ R3 : (x, y, z) = (ρ cos v, ρ sin v, u), u ∈ R, 0 < v < 2π .
84 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
In altri termini, posto σ(u, v) = (x, y, z), si hanno le equazioni parametriche della
superficie Σ
x = ρ cos v
y = ρ sin v u ∈ R, 0 < v < 2π.
z = u,
x y
0 −ρ sin v
∂σ ∂σ
∀(u, v) ∈ A : Jσ (u, v) = (u, v), (u, v) =
0 ρ cos v
.
∂u ∂v
1 0
Il sostegno di σ è
n o
Σ = σ(A) = (x, y, z) ∈ R3 : (x, y, z) = σ(u, v), (u, v) ∈ A =
n o
= (x, y, z) ∈ R3 : (x, y, z) = (ρ sin u cos v, ρ sin u sin v, ρ cos u), 0 < u < π, 0 < v < 2π .
1 Brevi richiami sulle superfici parametriche 85
In altri termini, posto σ(u, v) = (x, y, z), si hanno le equazioni parametriche della
superficie Σ
x = ρ sin u cos v
y = ρ sin u sin v 0 < u < π, 0 < v < 2π.
z = ρ cos u,
x y
Σ = Gf
y
A
x
∂σ ∂σ
N (u, v) = (u, v) ∧ (u, v).
∂u ∂v
i) se Σ è la superficie definita da
n o
Σ = (x, y, z) ∈ R3 : (x, y) ∈ K, z = g(x, y) ,
i j k
∂σ ∂σ
∂σ1 ∂σ2 ∂σ3
N (x, y) = (x, y) ∧ (x, y) = ∂x (x, y) ∂x (x, y) ∂x (x, y) =
∂x ∂y
x
∂σ1 ∂σ2 ∂σ3
∂y (x, y) ∂y (x, y) (x, y)
σ = (σ1 , σ2 , σ3 ) ∂y
i j k
= − ∂g (x, y), − ∂g (x, y), 1 ;
∂g
= 1 0 ∂x (x, y)
∂x ∂y
∂g
0 1 ∂y (x, y)
i j k
∂σ ∂σ
∂σ1 ∂σ2 ∂σ3
N (x, z) = (x, z) ∧ (x, z) = ∂x (x, z) ∂x (x, z) (x, z)
=
∂x
∂x ∂z
x
∂σ1 ∂σ2 ∂σ3
∂z (x, z) ∂z (x, z) (x, z)
σ = (σ1 , σ2 , σ3 ) ∂z
i j k
∂g ∂g
∂g
= 1 ∂x (x, z) 0=
(x, z), −1, (x, z) ;
∂x ∂z
∂g
0 ∂z (x, z) 1
i j k
∂σ ∂σ
∂σ1 ∂σ2 ∂σ3
∂y (y, z) ∂y (y, z) (y,
z)
N (y, z) = (y, z) ∧ (y, z) =
∂y
=
∂y ∂z
x
∂σ1 ∂σ2 ∂σ3
∂z (y, z) ∂z (y, z) (y, z)
σ = (σ1 , σ2 , σ3 ) ∂z
i j k
∂g ∂g
∂g
= ∂y (y, z) 1 0 = 1, − (y, z), − (y, z) .
∂g
∂y ∂z
(y, z) 0 1
∂z
∂f ∂f
N (x, y) = − (x, y), − (x, y), 1 .
∂x ∂y
Essendo s 2 2
∂f ∂f
kN (x, y)k = 1+ (x, y) + (x, y) ,
∂x ∂y
si ha che
s 2 2
∂f ∂f
Z Z
AΣ = kN (x, y)k dx dy = 1+ (x, y) + (x, y) dx dy.
K K ∂x ∂y
1
x2 + y 2 con x2 + y 2 < 8, allora
Se per esempio consideriamo f (x, y) = 2
1 2
3
Σ = Gf = (x, y, z) ∈ R : z = x + y 2 , x2 + y 2 < 8 .
2
2 Integrale di superficie di una funzione reale 89
y
z √
2 2
K
√
Σ O 2 2 x
x y
1
x2 + y 2 al di sotto del piano
È la parte del paraboloide circolare di equazione z = 2
z = 4.
Si ha che Σ = σ(K), dove σ : K → R3 è definita da
1 2
σ(x, y) = (x, y, f (x, y)) = x, y, x + y2 ,
2
n o
e K = (x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 < 8 . Quindi l’area di Σ è
Z
AΣ = kN (x, y)k dx dy,
K
∂σ ∂σ
dove N (x, y) = ∂x (x, y) ∧ ∂y (x, y). Si ha che
∂σ ∂σ ∂g ∂g
N (x, y) = (x, y) ∧ (x, y) = − (x, y), − (x, y), 1 = (−x, −y, 1),
∂x ∂y ∂x ∂y
q
kN (x, y)k = 1 + x2 + y 2 .
Quindi Z Z q
AΣ = kN (x, y)k dx dy = 1 + x2 + y 2 dx dy.
K K
x = ρ cos ϑ
(
Φ: ρ ≥ 0, 0 ≤ ϑ ≤ 2π, |det JΦ (ρ, ϑ)| = ρ.
y = ρ sin ϑ,
Allora ( √
0≤ρ<2 2
(x, y) ∈ K ⇐⇒
0 ≤ ϑ ≤ 2π.
Quindi si ha che K = Φ(K 0 ), dove
n √ o
K 0 = (ρ, ϑ) ∈ R2 : 0 ≤ ρ < 2 2, 0 ≤ ϑ ≤ 2π .
90 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Ne segue che
Z Z q Z q
AΣ = kN (x, y)k dx dy = 1 + x2 + y 2 dx dy = ρ 1 + ρ2 dρ dϑ =
K K K0
Z
(2.4) Esempio Consideriamo l’integrale x2 + y 2 dσ, dove
Σ
q
3 2 2
Σ = (x, y, z) ∈ R : z = x2 + y2 , x +y <1 .
p
La superficie Σ è il grafico della funzione g : K → R definita da g(x, y) = x2 + y 2 ,
dove
n o
K = (x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 < 1 .
p
È quindi la parte del semicono di equazione z = x2 + y 2 compresa fra il vertice
O(0, 0, 0) e il piano z = 1.
y
z
1
Σ O 1 x
x y
Quindi si ha che
Z Z
x2 + y 2 dσ = x2 + y 2 kN (x, y)k dx dy,
Σ K
2 Integrale di superficie di una funzione reale 91
∂σ ∂σ
dove N (x, y) = ∂x (x, y) ∧ ∂y (x, y). Si ha che
∂σ ∂σ ∂g ∂g
N (x, y) = (x, y) ∧ (x, y) = − (x, y), − (x, y), 1 =
∂x ∂y ∂x ∂y
!
x y √
= −p 2 , − p ,1 =⇒ kN (x, y)k = 2.
x + y2 x2 + y 2
Quindi
Z
2 2
Z
2 2
√ Z 2
x +y dσ = x +y kN (x, y)k dx dy = 2 x + y 2 dx dy.
Σ K K
Ne segue che
Z
2 2
√ Z 2 2
√ Z
x +y dσ = 2 x + y dx dy = 2 ρ3 dρ dϑ =
Σ K K0
Dimostrazione. È analoga alla dimostrazione del Teorema (2.4) del Capitolo 3. In tal
caso si usa il Teorema del cambiamento di variabile negli integrali doppi.
92 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
∂σ ∂σ
N (u, v) = (u, v) ∧ (u, v)
∂u ∂v
N
en= kN k è il versore normale a Σ avente lo stesso verso di N .
Chiaramente il simbolo “·” (nell’integrale di destra) indica il prodotto scalare fra
i due vettori di R3 . Talvolta il flusso del campo vettoriale F su σ è denotato con
uno dei seguenti simboli
Z Z Z
F · n, F · n dσ, F · n dσ.
Σ σ Σ
deve controllare che il vettore N (u, v) normale a Σ in σ(u, v) sia uscente da D (oppure
entrante in D). Se c’è corrispondenza, allora quello è il vettore da usare nella formula
(3.2); altrimenti si considera il suo opposto.
Essendo σ una calotta regolare, per controllare se il vettore
∂σ ∂σ
N (u, v) = (u, v) ∧ (u, v)
∂u ∂v
σ(u0 , v0 ) + εN (u0 , v0 ) ∈ D.
Quindi Z Z Z
F ·n= F ·n+ F · n.
∂D Σ1 Σ2
94 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
z z
∂D = Σ1 ∪ Σ2 N1 Σ1
D
Σ2
N2
x y x y
Z Z
F ·n= F (σ2 (x, y)) · N2 (x, y) dx dy,
Σ2 K
Z Z Z
F ·n= F (σ2 (x, y)) · N2 (x, y) dx dy = F x, y, x2 + y 2 · (2x, 2y, −1) dx dy =
Σ2 K K
Z Z h i
= x2 , y 2 , x2 + y 2 · (2x, 2y, −1) dx dy = 2 x3 + y 3 − x2 + y 2 dx dy =
K K
Z 2π Z 1 Z 2π Z 1
π
3 3 4 3
= cos ϑ + sin ϑ dϑ 2ρ dρ − dϑ ρ dρ = − .
0 0 0 0 2
In conclusione si ha che
π
Z Z Z
F ·n= F ·n+ F ·n= .
∂D Σ1 Σ2 2
ii) se esiste2 α : K 0 → K biiettiva e di classe C 1 con det Jα (x, y) < 0 per ogni
(x, y) ∈ K 0 tale che τ = σ ◦ α, allora
Z Z
F ·n=− F · n.
σ τ
Dimostrazione. È analoga alla dimostrazione del Teorema (3.4) del Capitolo 3. In tal
caso si usa il Teorema del cambiamento di variabile negli integrali doppi.
N (u, v)
Z Z Z
= F (σ(u, v)) · kN (u, v)k du dv = F (σ(u, v)) · N (u, v) du dv = F · n.
K kN (u, v)k K σ
Questi teoremi stabiliscono delle uguaglianze fra integrali in “dimensioni diverse”, ossia
fra integrali di linea (in “una dimensione”) e integrali doppi e/o di flusso (in “due dimen-
sioni”) e fra integrali di flusso e integrali tripli (in “tre dimensioni”). Più precisamente:
In tutti questi casi si tratta di integrali di campi vettoriali e che quindi, per le pro-
prietà studiate, dipendono dall’orientamento indotto dalla parametrizzazione sul sosteg-
no. Perciò è fondamentale definire bene a priori qual è l’orientamento che deve indurre
la curva parametrica o la superficie parametrica sul suo sostegno.
Omettiamo la dimostrazione.
circonferenza C di centro l’origine e raggio 1 percorsa una sola volta in senso antiorario.
y
C = ∂A 1
γ
A
O 1 x
l’integrale di linea con la definizione. In tal caso si deve individuare una curva paramet-
rica γ che parametrizzi la circonferenza C inducendo su di essa un verso di percorrenza
antiorario.
n o
Oppure, posto A = (x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 < 1 , osserviamo che essendo C = ∂A,
si ha che ∂A è orientato positivamente e quindi possiamo ricorrere al Teorema di Green.
Posto F = (f1 , f2 ), per il Teorema di Green si ha che
∂f2 ∂f1
Z Z Z
F · dP = (x, y) − (x, y) dx dy = (1 − 2y)dx dy =
γ A ∂x ∂y A
Z 2π
1 2
= − sin ϑ dϑ = π.
0 2 3
∂f2 ∂f1
(4.5) ∀(x, y) ∈ A : (x, y) − (x, y) = 1.
∂x ∂y
O x
Osserviamo che γ è chiusa e che induce sul suo sostegno un verso di percorrenza
antiorario. Infatti, γ(0) = γ(1) = (0, 0) e
1 21 15 1 3 3
γ = , , γ = , .
4 64 64 2 8 8
100 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Quindi
Z 1 Z 1
m(A) = F (γ(t)) · γ 0 (t) dt = 3t5 − 6t4 − t3 + 6t2 − 2t dt =
0 0
1
1 6 6 5 1 4 1
= t − t − t + 2t3 − t2 = .
2 5 4 0 20
(4.7) Osservazione Può succedere che ∂A sia l’unione di più sostegni di curve para-
metriche chiuse, semplici e regolari a tratti, tutti orientati positivamente, ad esempio
come in Fig. 4.7.
Γ1
Γ2 Γ3
Figura 4.7: ∂A = Γ1 ∪ Γ2 ∪ Γ3
In tal caso ∂A = Γ1 ∪ Γ2 ∪ Γ3 e
I Z Z Z
F · dP = F · dP + F · dP + F · dP.
∂A Γ1 Γ2 Γ3
4.1 Teorema di Green 101
γ2
A
γ1
O 1 2 x
(4.9) Definizione Siano A ⊆ R2 un aperto limitato connesso per archi tale che
∂A sia il sostegno di una curva parametrica chiusa, semplice e regolare a tratti,
K = A = A ∪ ∂A (e quindi K è compatto con ∂K = ∂A) e σ : K → R3 una calotta
regolare.
Si chiama bordo di σ, denotato con ∂σ, la restrizione di σ a ∂K.
Denotiamo con Σ = σ(K) il sostegno di σ e con N (u, v) il vettore normale a Σ in
σ(u, v) definito da
∂σ ∂σ
N (u, v) = (u, v) ∧ (u, v).
∂u ∂v
Diciamo che ∂σ è orientato positivamente se la curva σ(∂K) è percorsa in senso
antiorario rispetto ad un osservatore posto come il vettore N . In altri termini, ∂σ
è orientato positivamente se percorrendo idealmente σ(∂K) appoggiato alla faccia
di Σ da cui esce N , si vedono in punti di Σ alla propria sinistra. Talvolta, anche
se impropriamente, si parla di bordo di Σ anzichè di bordo di σ.
∂Σ = Γ1 ∪ Γ2 ∪ Γ3
Γ3 N
Σ Γ2
Γ1
∂Σ = Γ1 ∪ Γ2
Γ1
Γ2
N
(4.11) Teorema (di Stokes (o del rotore)) Siano Ω ⊆ R3 aperto non vuoto,
F : Ω → R3 un campo vettoriale di classe C 1 , F = (f1 , f2 , f3 ), A ⊆ R2 un
aperto limitato connesso per archi tale che ∂A è l’unione di un numero finito di
sostegni a due a due disgiunti di curve parametriche chiuse, semplici e regolari a
tratti, K = A = A ∪ ∂A e σ : K → Ω una calotta regolare con ∂σ orientamento
positivamente.
Allora I Z
F · dP = rotF · n,
∂σ σ
Omettiamo la dimostrazione.
(4.12) Esempio Calcolare l’integrale di linea del campo F (x, y, z) = (x, 0, y) lungo il
bordo della superficie
n o
Σ = (x, y, z) ∈ R3 : x2 + y 2 + z 2 = 1, x, z ≥ 0
z ϕ
∂Σ = Γ1 ∪ Γ2
γ2 N π
2
Σ K
Γ2
Γ1 y O π
2 ϑ
γ1
x − π2
Si può calcolare l’integrale di linea con la definizione. In tal caso si devono deter-
minare due parametrizzazioni γ1 e γ2 rispettivamente di Γ1 e Γ2 e si ha che
Z Z Z
F · dP = F · dP + F · dP.
∂Σ γ1 γ2
Altrimenti, poiché la linea su cui si integra è il bordo di una superficie, si può procedere
applicando il Teorema di Stokes.
Z
Calcoliamo l’integrale F · dP applicando il Teorema di Stokes. Si ha che
∂Σ
Z Z
F · dP = rotF · n,
∂Σ Σ
dove
π π π
K = (ϑ, ϕ) ∈ R2 : 0 ≤ ϑ ≤ , − ≤ϕ≤ .
2 2 2
Per definizione di integrale di flusso si ha che
Z Z
rotF · n = rotF (σ(ϑ, ϕ)) · N (ϑ, ϕ) dϑ dϕ,
Σ K
4.2 Teorema di Stokes 105
dove N (ϑ, ϕ) è il vettore normale uscente dalla sfera nel punto σ(ϑ, ϕ). Si ha che il
∂σ ∂σ
vettore N1 (ϑ, ϕ) = ∂ϑ (ϑ, ϕ) ∧ ∂ϕ (ϑ, ϕ) è normale alla superficie Σ = σ(K). Si ha che
i j k
∂σ ∂σ
N1 (ϑ, ϕ) = (ϑ, ϕ) ∧ (ϑ, ϕ) = cos ϑ cos ϕ cos ϑ sin ϕ − sin ϑ =
∂ϑ ∂ϕ − sin ϑ sin ϕ sin ϑ cos ϕ 0
= sin2 ϑ cos ϕ, sin2 ϑ sin ϕ, sin ϑ cos ϑ .
Questo vettore normale è uscente dalla sfera. Quindi un vettore uscente è N (ϑ, z) =
N1 (ϑ, z) = sin2 ϑ cos ϕ, sin2 ϑ sin ϕ, sin ϑ cos ϑ . Ne segue che
rotF (σ(ϑ, ϕ)) · N (ϑ, ϕ) = (1, 0, 0) · sin2 ϑ cos ϕ, sin2 ϑ sin ϕ, sin ϑ cos ϑ =
= sin2 ϑ cos ϕ
e Z Z
rotF · n = rotF (σ(ϑ, ϕ)) · N (ϑ, ϕ) dϑ dϕ =
Σ K
Z
= sin2 ϑ cos ϕ dϑ dϕ =
K
essendo K un rettangolo con lati paralleli agli assi ϑ e ϕ e la funzione integranda prodotto
di una funzione di ϑ e di una funzione di ϕ, si ottiene
π
! Z π
! π h iπ
1 π
Z
2 2 2
2 2
= sin ϑ dϑ cos ϕ dϕ = (ϑ − sin ϑ cos ϑ) sin ϕ = .
0 − π2 2 0 − π2 2
Osservazione
Si può procedere anche osservando che la superficie Σ è il grafico della funzione g : K → R
p
definita da g(x, y) = 1 − x2 − y 2 , dove
n o
K = (x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 ≤ 1, x ≥ 0 .
106 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
∂D = Σ1 ∪ Σ2 ∪ Σ3
Omettiamo la dimostrazione.
(4.15) Esempio Calcoliamo il flusso uscente del campo vettoriale F (x, y, z) = x2 , y 2 , z 2
n o
dal bordo dell’insieme D = (x, y, z) ∈ R3 : 0 ≤ x ≤ 1, 0 ≤ y ≤ 1, 0 ≤ z ≤ 1 .
Si ha che ∂D = Σ1 ∪ Σ2 ∪ Σ3 ∪ Σ4 ∪ Σ5 ∪ Σ6 , dove Σ1 , Σ2 , Σ3 , Σ4 , Σ5 , Σ6 sono
le sei facce del cubo avente spigoli di misura 1 paralleli agli assi cartesiani, un vertice
4.3 Teorema di Gauss 107
N4 y
Σ4
Σ2 N2
Σ3
Σ5 Σ6
N3
K
Σ1
N6 y
O 1 x
N5
x
N1
nell’origine e uno nel punto (1, 1, 1). Quindi, volendo procedere come da definizione si
ha che
Z Z Z Z Z Z Z
F ·n= F ·n+ F ·n+ F ·n+ F ·n+ F ·n+ F · n.
∂D Σ1 Σ2 Σ3 Σ4 Σ5 Σ6
In questa sezione vogliamo sottolineare alcuni aspetti riguardanti gli operatori di gra-
diente, rotore e divergenza.
∂f ∂f
∇f = ,···, .
∂x1 ∂xn
Rotore. Si indica talvolta con il simbolo rot. È un operatore che trasforma un campo
vettoriale di R3 in un campo vettoriale di R3 . Infatti, se Ω ⊆ R3 è un aperto non
vuoto e F : Ω → R3 è campo vettoriale di classe C 1 , F = (f1 , f2 , f3 ), allora il
rotore di F è il campo vettoriale rotF : Ω → R3 definito da
∂f1 ∂fn
divF = + ··· + .
∂x1 ∂xn
109
110 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
∂2f ∂2f
∆f = div∇f = + · · · + .
∂x21 ∂x2n
Significato fisico del rotore (Tratto dal testo A. Bacciotti, CALCOLO DIFFEREN-
ZIALE E INTEGRALE II. Seconda parte: Vettori, funzioni reali di più variabili reali,
serie, Celid).
Il termine rotore rimanda inevitabilmente alla rotazione. In effetti, dato il campo
vettoriale F di R3 , si osserva che il vettore rotF è in qualche modo legato alla rotazione.
Per renderci conto di ciò, consideriamo un caso molto semplice di un corpo rigido. Ogni
movimento del corpo rigido si può immaginare come una combinazione di un moto
traslatorio e di un moto rotatorio intorno al baricentro. Supponiamo per semplicità che
in ogni punto P (x, y, z) del corpo rigido la velocità ~v (P ) dipenda solo dalla posizione del
punto P e che la velocità angolare ω
~ sia costante. Allora
~
i ~j ~k
−−→
~v (P ) = ω
~ ∧ P O = (ω1 , ω2 , ω3 ) ∧ (x, y, z) = ω1 ω2 ω3 =
x y z
Ne segue che
~i ~j ~k
∂ ∂ ∂
rot ~v (P ) = ∂x ∂y ∂z
= (2ω1 , 2ω2 , 2ω3 ) = 2~
ω.
ω z − ω y ω3 x − ω1 z ω1 y − ω2 x
2 3
Quindi il rotore del campo di velocità è multiplo del vettore velocità angolare, che è
chiaramente legato alla rotazione. In particolare in questo semplice esempio si ha che
rot ~v = ~0 ⇐⇒ ~ = ~0.
ω
Appendice D Gradiente, rotore, divergenza 111
Per questo motivo si dice che un campo è irrotazionale quando il suo rotore è nullo.
Questa terminologia si utilizza anche nei casi più generali. Quando si considera ad
esempio il moto di un fluido, rot ~v = ~0 indica assenza di vorticosità.
Significato fisico della divergenza (Tratto dal testo A. Bacciotti, CALCOLO DIF-
FERENZIALE E INTEGRALE II. Seconda parte: Vettori, funzioni reali di più variabili
reali, serie, Celid).
Consideriamo un fluido e supponiamo che in ogni punto la velocità dipenda solo
dalla posizione del punto. Studiamo il moto del fluido attraverso un cubo di lato h con
spigoli paralleli agli assi cartesiani e con un vertice in un punto P . Vogliamo calcolare
la variazione di flusso del fluido nel cubo nell’unità di tempo.
P
h
h y
x
Supponiamo per semplicità che la densità del fluido sia 1. Il flusso del fluido at-
traverso una superficie Σ è proporzionale alla densità del fluido, all’area di Σ e al prodotto
scalare fra il campo di velocità ~v e il versore normale n a Σ. Consideriamo il contributo
di ogni coppia di facce parallele del cubo. In tal caso Σ è una faccia del cubo e la sua
area è h2 .
Partiamo da quelle ortogonali all’asse x. La variazione di flusso (uscente - entrante)
è
h i h i
h2 ~v (x + h, y, z) − ~v (x, y, z) · ~i =
x h2 v1 (x + h, y, z) − v1 (x, y, z) .
v=(v1 ,v2 ,v3 )
Dividendo per il volume h3 del cubo, in modo da ricondurci al cubo unitario, otteniamo
v1 (x + h, y, z) − v1 (x, y, z)
h
112 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
v1 (x + h, y, z) − v1 (x, y, z) ∂v1
lim = (x, y, z).
h→0 h ∂x
Quindi la divergenza del campo di velocità tiene conto della variazione del flusso del
fluido. In particolare div ~v = 0 significa che il fluido si muove senza dilatarsi e sen-
za comprimersi. In generale, quando la divergenza è nulla, si dice che il campo è
solenoidale.
Capitolo 5
∂f
∇f (x) = F (x) ⇐⇒ (x) = fi (x), ∀i = 1, . . . , n.
∂xi
113
114 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
F (x) = ϕ(kxk) x,
è un campo radiale.
y y
b
(x1 , y1 )
Ω
Ω
γ
b
(x0 , y0 )
O x O x
Figura 5.1: Insieme connesso per archi Figura 5.2: Insieme non connesso per
nel piano. archi nel piano.
ogni intervallo (tk−1 , tk ), per ogni k = 1, . . . , m, con derivata non nulla, e negli estremi
di tali intervalli esistono le derivate laterali.
Consideriamo la funzione ϕ : [a, b] → R definita da ϕ(t) = (f − g)(γ(t)). Si ha che
ϕ è derivabile in ogni t 6= tk , per ogni k = 0, . . . , m, con
Ne segue che ϕ è costante in ogni intervallo (tk−1 , tk ). Essendo anche continua su [a, b],
ne segue che ϕ è costante su tutto [a, b]. In particolare si ha che ϕ(a) = ϕ(b). Quindi
(1.8) Osservazione Questa proposizione afferma che due potenziali di un campo con-
servativo su un aperto connesso per archi differiscono al più per una costante. Si tratta
di un’estensione della proprietà delle primitive di una funzione reale di una variabile su
un intervallo. Infatti, un intervallo è evidentemente un insieme connesso per archi.
Se Ω non è connesso per archi, allora la proprietà precedente può non essere vera.
Infatti, consideriamo le funzioni
1
f (x, y) = arctan (xy), g(x, y) = − arctan .
xy
y x
∀(x, y) ∈ Ω : ∇f (x, y) = ∇g(x, y) = , .
1 + x2 y 2 1 + x2 y 2
L’insieme Ω, che è costituito dai quattro quadranti del piano privati degli assi, non è
connesso per archi. Osserviamo che f − g non è costante in Ω. Infatti,
( π
2 se xy > 0
f (x, y) − g(x, y) =
− π2 se xy < 0.
1 Campi conservativi e potenziali 117
Quindi
Z m Z
X tk m Z
X tk
′
F · dP = F (γ(t)) · γ (t) dt = ϕ′ (t) dt =
γ k=1 tk−1 k=1 tk−1
i) F è conservativo;
η(t) = γ2
γ2 (b + d − t) se b < t ≤ b + d − c.
η Ω
γ1
Si ha che η è regolare a tratti, semplice e b
γ1 (a) = γ2 (c)
chiusa. Infatti, η(a) = γ1 (a) e η(b + d − c) =
γ2 (c) = γ1 (a).
Z
Per l’ipotesi iii) si ha che F · dP = 0. Quindi
η
Z Z b Z b+d−c
′
0= F · dP = F (η(t)) · η (t) dt + F (η(t)) · (η ′ (t)) dt =
η a b
1 Campi conservativi e potenziali 119
Z b Z b+d−c
= F (γ1 (t)) · γ1′ (t) dt + F (γ2 (b + d − t)) · (−γ2′ (b + d − t)) dt =
a b
operando il cambiamento di variabile τ = b+d−t nel secondo integrale, da cui dτ = −dt,
si ottiene
Z Z c Z Z d
= F · dP + F (γ2 (τ )) · γ2′ (τ ) dτ = F · dP − F (γ2 (τ )) · γ2′ (τ ) dτ =
γ1 d γ1 c
Z Z
= F · dP − F · dP.
γ1 γ2
Quindi Z Z
F · dP = F · dP.
γ1 γ2
Infine proviamo che ii) =⇒ i). Dobbiamo dimostrare che F è conservativo, cioè che
esiste una funzione differenziabile f : Ω → R tale che ∇f = F , ossia se F = (f1 , . . . , fn ),
∂f
che per ogni j = 1, . . . , n si ha ∂xj = fj .
Sia x0 ∈ Ω. Consideriamo la funzione f : Ω → R definita da
Z
∀x ∈ Ω : f (x) = F · dP,
γ
dove γ : [a, b] → Ω è una curva parametrica semplice e regolare a tratti tale che γ(a) = x0
e γ(b) = x. Per l’ipotesi ii) la funzione f è ben definita, cioè non dipende dalla scelta
della curva γ. Dimostriamo che f è un potenziale di F . Per fare ciò proviamo che f
∂f
ammette tutte le derivate parziali ∂xj in Ω, che sono continue e che per ogni j = 1, . . . , n
∂f
si ha ∂xj = fj . Per semplicità espositiva consideriamo j = 1.
Si ha che
x0 = (x0,1 , . . . , x0,n ), x = (x1 , . . . , xn ).
Rn−1
Poiché Ω è aperto, esiste r > 0 tale che Br (x) = x = (x1 + h, x2 , . . . , xn )
n
{u ∈ R : ku − xk < r} ⊆ Ω. Sia 0 < h < r e x x
b b
Ω definita da Ω
( x0 b
γ(t) se a ≤ t ≤ b
η(t) =
(x1 + t − b, x2 , . . . , xn ) se b < t ≤ b + h.
x1 x1 + h
b
Inoltre
η(a) = γ(a) = x0 , η(b + h) = (x1 + h, x2 , . . . , xn ).
120 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
essendo η = γ su [a, b]
Z Z Z !
1 b+h
= F · dP + F (x1 + t − b, x2 , . . . , xn ) · (1, 0, . . . , 0) dt − F · dP =
h γ b γ
Z b+h Z h
1 1
= f1 (x1 + t − b, x2 , . . . , xn ) dt =
x f1 (x1 + τ, x2 , . . . , xn ) dτ.
h b h 0
τ = t−b
dτ = dt
Essendo la funzione {τ → f1 (x1 + τ, x2 , .(. . , xn )} continua, per il Teorema )
fondamentale
Z h
del calcolo integrale la funzione integrale h → f1 (x1 + τ, x2 , . . . , xn ) dτ è derivabile
0
in h con derivata uguale a f1 (x1 + h, x2 , . . . , xn ).
Allora si ha che
Z h
f1 (x1 + τ, x2 , . . . , xn ) dτ
f (x1 + h, x2 , . . . , xn ) − f (x1 , x2 , . . . , xn ) 0
lim = lim =
h→0+ h h→0+ h
per il Teorema di De l’Hôpital
(1.12) Osservazione
∂fi ∂fj
∀i, j = 1, . . . , n : (x) = (x).
∂xj ∂xi
potenziale f è di classe C 2 . Per il Lemma di Schwarz si ha che per ogni x ∈ Ω e per ogni
i, j = 1, . . . , n
∂fi ∂fj
∀x ∈ Ω, ∀i, j = 1, . . . , n : (x) = (x),
∂xj ∂xi
y y
Ω
Ω
O x
O x
Figura 5.3: Insieme semplicemente con- Figura 5.4: Insieme non semplicemente
nesso nel piano. connesso nel piano.
Nello spazio, contrariamente a quanto accade nel piano, esistono aperti connessi per
archi che hanno dei “buchi” che sono semplicemente connessi. Per esempio lo spazio R3
privato di un punto, o di una sfera piena, è semplicemente connesso. L’insieme costituito
dall’intercapedine fra due sfere concentriche di raggi diversi è semplicemente connesso.
z
Infatti, se ad esempio Ω è lo spazio
Ω = R3 \ sfera
R3 privato di una sfera piena come σ
in Fig. 5.5, allora se si considera
una qualunque curva chiusa, sem-
plice e regolare a tratti γ avente γ
sostegno in Ω, esiste una calotta re- x y
golare σ il cui bordo sia il sostegno
di γ e tale che il sostegno di σ sia
contenuto in Ω. Figura 5.5: Insieme semplicemente connesso
nello spazio.
Il toro, la cui forma ricorda quella di una ciambella con il buco, invece non è
semplicemente connesso. Lo spazio privato di una retta non è semplicemente connesso.
124 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
∂fi ∂fj
(1.18) ∀i, j = 1, . . . , n : (x) = (x),
∂xj ∂xi
allora F è conservativo.
∂f2 ∂f1
∀(x, y) ∈ Ω : (x, y) = (x, y).
∂x ∂y
Sia A l’aperto costituito dalla parte di piano racchiusa nel sostegno di γ avente per bordo
proprio il sostegno di γ. Quindi ∂A = im (γ) e, essendo Ω semplicemente connesso, si
ha che A = A ∪ ∂A ⊆ Ω. Se γ induce su ∂A un verso di percorrenza antiorario, allora
per il Teorema di Green si ha che
I Z
∂f2 ∂f1
F · dP = (x, y) − (x, y) dx dy = 0.
γ A ∂x ∂y
1 Campi conservativi e potenziali 125
2x 2y
G(x, y) = (g1 (x, y), g2 (x, y)) = , 2 .
x + y x + y2
2 2
126 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Questo metodo è quello che è stato utilizzato nella dimostrazione del Teorema di
equivalenza (vedi Teorema (1.11)) quando si è provata l’implicazione ii) =⇒ i).
Siano Ω ⊆ R2 un aperto connesso per archi, F : Ω → R2 un campo vettoriale
continuo e conservativo, F = (f1 , f2 ) e (x0 , y0 ) ∈ Ω.
Consideriamo un qualunque punto (x, y) ∈ Ω e una curva γ : [a, b] → Ω semplice
e regolare a tratti tale che γ(a) = (x0 , y0 ) e γ(b) = (x, y). La curva γ è una curva
parametrica il cui sostegno congiunge i punti (x0 , y0 ) e (x, y) rimanendo all’interno di
Ω. Allora un potenziale di F su Ω è f : Ω → R definito da
Z
f (x, y) = F · dP.
γ
x2
Allora un potenziale f di F su Ω è
Z Z Z Z 1 Z 1
f (x, y) = F ·dP = F ·dP + F ·dP = F (γ1 (t))·γ1′ (t) dt+ F (γ2 (t))·γ2′ (t) dt =
γ γ1 γ2 0 0
γ1′ (t) = (1, 0), F (γ1 (t)) · γ1′ (t) = F (x0 + t(x − x0 ), y0 ) · (1, 0) = f1 (x0 + t(x − x0 ), y0 ),
γ2′ (t) = (0, 1), F (γ2 (t)) · γ2′ (t) = F (x, y0 + t(y − y0 )) · (0, 1) = f2 (x, y0 + t(y − y0 )),
si ottiene
Z 1 Z 1
= f1 (x0 + t(x − x0 ), y0 ) dt + f2 (x, y0 + t(y − y0 )) dt =
0 0
x2
γ
rappresentata nella Figura 5.8, allora in mo-
Ω
do del tutto analogo al precedente si ha che
y0 b
un potenziale f di F su Ω è
Z x Z y
f (x, y) = f1 (s, y) ds + f2 (x0 , s) ds.
x0 y0 O x0 x x1
∂f
(1.22) (x, y) = f2 (x, y), ∀(x, y) ∈ Ω.
∂y
Essendo F continuo, anche le sue componenti f1 e f2 sono continue. Se in (1.21)
consideriamo y come parametro, risulta che f è una primitiva di f1 rispetto alla variabile
x. Quindi se F1 è una primitiva di f1 considerata come funzione solo di x, allora esiste
una funzione k dipendente solo da y, e quindi costante rispetto a x, tale che
k(y) = F2 (x, y) + c.
1.1 Ricerca dei potenziali di un campo vettoriale conservativo 129
∂f 1
(1.27) (x, y) = f2 (x, y) = − .
∂y 1 + x2
Integrando (1.27) rispetto a y si ottiene
Z
1 y
(1.28) f (x, y) = − 2
dy = − + c(x),
1+x 1 + x2
∂f 2xy 2xy
(x, y) = 2 2
+ c′ (x) = =⇒ c′ (x) = 0 =⇒ c(x) = c ∈ R.
∂x (1 + x ) (1 + x2 )2
y
f (x, y) = − + c, c ∈ R.
1 + x2
(1.29) Esercizio Nell’Esempio (1.20) abbiamo visto che il campo vettoriale F (x, y) =
2
− x22y 2x
+y 2 , x2 +y 2 definito su Ω = R \{(0, 0)} non è conservativo. Se invece consideriamo
F definito ad esempio solo per ogni (x, y) con y > 0, allora è conservativo? In caso
affermativo, chi è un suo potenziale?
Z x Z y Z z
f (x, y, z) = f1 (s, y, z0 ) ds + f2 (x0 , s, z0 ) ds + f3 (x, y, s) ds,
x0 y0 z0
Z x Z y Z z
f (x, y, z) = f1 (s, y, z) ds + f2 (x0 , s, z0 ) ds + f3 (x0 , y, s) ds,
x0 y0 z0
Z x Z y Z z
f (x, y, z) = f1 (s, y0 , z) ds + f2 (x, s, z) ds + f3 (x0 , y0 , s) ds,
x0 y0 z0
Z x Z y Z z
f (x, y, z) = f1 (s, y, z) ds + f2 (x0 , s, z) ds + f3 (x0 , y0 , s) ds.
x0 y0 z0
132 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Capitolo 6
Serie numeriche
1 Nozioni preliminari
Introduciamo la nozione di serie numerica reale. Per le serie complesse si veda pag. 159.
(1.1) Definizione Sia (an ) una successione di numeri reali. Si chiama serie di
an la scrittura formale
∞
X
an
n=0
P
o più semplicemente (dove non vi sia ambiguità) an . Il numero reale an è detto
termine generale della serie.
Poniamo
S0 = a0 ,
n
X
Sn = ak = a0 + a1 + · · · + an , ∀n ≥ 1.
k=0
∞
X
Diciamo che an diverge (o che è divergente) positivamente (risp.
n=0
negativamente) se lim Sn = +∞ (risp. −∞).
n
∞
X
Diciamo che an è indeterminata se non esiste lim Sn .
n
n=0
133
134 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
∞
X ∞
X
Diciamo che an converge assolutamente se converge la serie |an |.
n=0 n=0
1) Serie geometrica
3) Serie telescopiche
= an+1 − a0 .
si ha che
n
X
Sn = (ak+p − ak ) =
k=0
= (ap − a0 ) + (ap+1 − a1 ) + (ap+2 − a2 ) + · · · + (an+p−1 − an−1 ) + (an+p − an ) =
2 Criteri di convergenza
P P
Dimostrazione. Sia an una serie e sia bn la serie ottenuta modificando un numero
P
finito di termini della serie an (in modo analogo si procede se la serie di bn è ottenuta
aggiungendo oppure eliminando un numero finito di termini della serie di an ). Dimo-
striamo che il carattere della serie di bn è lo stesso di quello della serie di an .
Sia p ∈ N tale che an = bn per ogni n ≥ p e siano
n
X n
X
Sn = ak , σn = bk
k=0 k=0
le somme parziali n-esime delle serie di an e bn rispettivamente. Allora per ogni n > p
si ha che
n
X p
X n
X n
X
σn = bk = bk + bk =
x σp + ak =
k=0 k=0 k=p+1
k=p+1
| {z }
σp a k = bk
se k > p
n
X n
X p
X
essendo ak = ak − ak si ottiene
k=p+1 k=0 k=0
n
X p
X
= σp + ak − ak = σp + Sn − Sp .
k=0 k=0
P
lim σn = lim(σp + Sn − Sp ) = σp + S − Sp ∈ R =⇒ bn converge.
n n
P
Se an diverge, allora lim Sn = +∞ (oppure −∞). Ne segue che
n
P
lim σn = lim(σp + Sn − Sp ) = +∞ (oppure −∞) =⇒ bn diverge.
n n
P
Se infine an è indeterminata, allora non esiste lim Sn . Ne segue che
n
P
lim σn = lim(σp + Sn − Sp ) 6 ∃ =⇒ bn è indeterminata.
n n
2.1 Criteri di convergenza per tutte le serie 137
(2.2) Osservazione Come si evince anche dalla dimostrazione, se una serie converge,
allora aggiungendo, oppure eliminando o modificando un numero finito di termini, la
∞
X
somma della serie potrebbe cambiare. In particolare, se la serie an = S ∈ R, preso
n=0
m ∈ N, m ≥ 1, si ha che
∞
X ∞
X m−1
X
an = an − an = S − (a0 + a1 + · · · + am−1 ).
n=m n=0 n=0
Ad esempio,
∞ ∞ n ∞ n 0
X 1 X 1 X 1 1
= = − = 1.
n=1
2n n=1
2 n=0
2 2
∞
X ∞
X
(2.3) Proposizione (Algebra delle serie) Siano an e bn due serie e
n=0 n=0
λ ∈ R. Allora valgono i seguenti fatti:
∞
X ∞
X ∞
X ∞
X
a) se an e bn convergono, allora anche (an + bn ) e λan ,
n=0 n=0 n=0 n=0
convergono e si ha che
∞
X ∞
X ∞
X ∞
X ∞
X
(an + bn ) = an + bn , λan = λ an ;
n=0 n=0 n=0 n=0 n=0
∞
X ∞
X
b) se an e bn divergono entrambe positivamente (risp. negativamente),
n=0 n=0
X∞
allora anche (an + bn ) diverge positivamente (risp. negativamente);
n=0
∞
X ∞
X
c) se an converge e bn diverge positivamente (risp. negativamente),
n=0 n=0
∞
X
allora (an + bn ) diverge positivamente (risp. negativamente).
n=0
∞
X
(2.4) Teorema (Condizione necessaria) Se an converge, allora
n=0
lim an = 0.
n
P
Dimostrazione. Sia Sn la somma parziale n-esima della serie an . Si ha che Sn =
P
Sn−1 + an . Poiché an converge, allora lim Sn = S ∈ R. Essendo (Sn−1 ) una sottosuc-
n
cessione di (Sn ), si ha anche lim Sn−1 = S. Ne segue che
n
P
lim an 6= 0 =⇒ an non converge.
n
P
lim an = 0 =⇒
/ an converge.
n
∞
X 1
Infatti, se si considera ad esempio la serie log 1 + , si ha che
n=1
n
1
lim log 1 + =0
n n
= (log 2 − log 1) + (log 3 − log 2) + (log 4 − log 3) + · · · + (log (n + 1) − log n) = log (n + 1).
Quindi
∞
X 1
lim Sn = lim log (n + 1) = +∞ =⇒ log 1 + diverge positivamente.
n n
n=1
n
2.2 Criteri di convergenza per le serie a termini positivi 139
(2.6) Teorema Sia (an ) una successione tale che an ≥ 0 per ogni n ∈ N.
∞
X
Allora an converge o diverge positivamente a seconda che la successione delle
n=0
somme parziali della serie sia limitata o illimitata.
Dimostrazione. Poiché an ≥ 0 per ogni n, risulta che la successione (Sn ) delle somme
P
parziali della serie an è crescente. Infatti, si ha che
Sn+1 = Sn + an+1 ≥ Sn .
Quindi la successione (Sn ) ammette limite lim Sn = sup Sn . Ne segue che lim Sn è finito
n n n
P
se (Sn ) è limitata, mentre è +∞ se (Sn ) è illimitata. Nel primo caso an converge, nel
secondo diverge positivamente.
P
an ≥ 0 per ogni n e lim an 6= 0 =⇒ an diverge positivamente.
n
(2.8) Teorema (Criterio del confronto) Siano (an ) e (bn ) due successioni
tali che 0 ≤ an ≤ bn per ogni n ∈ N.
Valgono i seguenti fatti:
∞
X ∞
X
i) se bn converge, allora anche an converge e si ha che
n=0 n=0
∞
X ∞
X
an ≤ bn ;
n=0 n=0
∞
X ∞
X
ii) se an diverge, allora anche bn diverge.
n=0 n=0
Dimostrazione. Siano (Sn ) e (σn ) le successioni delle somme parziali delle serie di
an e bn rispettivamente. Poiché an , bn ≥ 0, per il Teorema precedente le serie di an
140 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
(2.9) Osservazione Il Criterio del confronto non esaurisce tutti i casi possibili. In
particolare si ha che:
P
a) se 0 ≤ an ≤ bn per ogni n ∈ N e bn diverge, allora NON possiamo concludere
P
nulla sulla convergenza di an ;
P
b) se 0 ≤ an ≤ bn per ogni n ∈ N e an converge, allora NON possiamo concludere
P
nulla sulla convergenza di bn .
In queste situazioni è necessario ricorrere ad altri metodi per stabilire il carattere della
serie.
∞
X 1
(2.10) Esempio Consideriamo la serie . È una serie a termini positivi, quindi
n2 n=1
converge o diverge positivamente. Per ogni n ≥ 2 si ha che
1 1
n2 ≥ n(n − 1) =⇒ 2
≤ .
n n(n − 1)
∞
X 1
La serie è la serie di Mengoli, che converge a 1 (vedi pag. 135). Infatti,
n=2
n(n − 1)
∞ ∞
X 1 X 1
=
x .
n=2
n(n − 1) k=1
k(k + 1)
k=n−1
∞
X 1
Per il Criterio del confronto anche converge. Inoltre, si ha che
n=1
n2
∞ ∞ ∞
X 1 X 1 X 1
= +1≤ + 1 = 2.
n=1
n2 n=2
n2 n=2
n(n − 1)
2.2 Criteri di convergenza per le serie a termini positivi 141
∞
X 1 π2
Utilizzando le serie di Fourier si prova che = .
n=1
n2 6
∞
X 1
(2.11) Esempio Consideriamo la serie armonica . È una serie a termini positivi,
n n=1
quindi converge o diverge positivamente. Per ogni n ≥ 1 si ha che
1 1
log 1 + ≤ .
n n
Infatti, se consideriamo la funzione f : [0, +∞) → R definita da f (x) = log(1 + x) − x,
x
si ha che f è derivabile con derivata f ′ (x) = − x+1 < 0 per ogni x ≥ 0. Quindi f è
decrescente in [0, +∞) e in particolare si ha che f (x) ≤ f (0) = 0 per ogni x ≥ 0, cioè
1 1 1
log(1 + x) − x ≤ 0. Preso x = n si ottiene che log 1 + n ≤ n per ogni n ≥ 1. La
∞ ∞
X 1 X 1
serie log 1 + diverge (vedi pag. 138). Per il Criterio del confronto anche
n=1
n n=1
n
diverge.
(2.12) Esercizio Utilizzando il Criterio del confronto provare che la serie armonica
∞
X 1
generalizzata converge per p > 2 e diverge per p < 1.
n=1
np
(2.13) Teorema (Criterio del confronto asintotico) Siano (an ) e (bn ) due
successioni tali che an ≥ 0 e bn ≥ 0 per ogni n ∈ N. Supponiamo che esista
an
lim = l ∈ [0, +∞).
n bn
Dimostrazione.
l
i) Se l > 0, per la definizione di limite preso ε = 2 esiste n0 ∈ N tale che per ogni
l an 3 l 3
n ≥ n0 si ha 2 ≤ bn ≤ 2 l. In particolare, 2 bn ≤ an ≤ 2 lbn per ogni n ≥ n0 .
Applicando le Proposizioni (2.1) e (2.3) e il Criterio del confronto ne segue che
P P
an converge se e solo se bn converge.
142 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
ii), iii) Se l = 0, per la definizione di limite preso ε = 1 esiste n0 ∈ N tale che per ogni
an
n ≥ n0 si ha bn ≤ 1. In particolare, an ≤ bn per ogni n ≥ n0 . Applicando la
Proposizione (2.1) e il Criterio del confronto si ottiene tesi.
(2.14) Osservazione Le tre affermazioni del teorema precedente possono essere cosı̀
riformulate:
∞
X
i) se an , bn ≥ 0 per ogni n ∈ N e an ∼ l bn con l 6= 0 per n → +∞, allora an
n=0
∞
X
converge se e solo se bn converge;
n=0
∞
X
ii) se an , bn ≥ 0 per ogni n ∈ N, an = o(bn ) per n → +∞ e bn converge, allora
n=0
∞
X
anche an converge;
n=0
∞
X
iii) se an , bn ≥ 0 per ogni n ∈ N, an = o(bn ) per n → +∞ e an diverge, allora
n=0
∞
X
anche bn diverge.
n=0
(2.15) Osservazione Il Criterio del confronto asintotico non esaurisce tutti i casi
possibili. In particolare si ha che:
P
a) se an , bn ≥ 0 per ogni n ∈ N, an = o(bn ) per n → +∞ e an converge, allora
P
NON possiamo concludere nulla sulla convergenza di bn ;
P
b) se an , bn ≥ 0 per ogni n ∈ N, an = o(bn ) per n → +∞ e bn diverge, allora NON
P
possiamo concludere nulla sulla convergenza di an .
In queste situazioni è necessario ricorrere ad altri metodi per stabilire il carattere della
serie.
∞
1 X
(2.16) Esempio Consideriamo la serie . È una serie a termini positivi,
n=1
−n+1 n2
quindi converge o diverge positivamente. Osserviamo che per ogni n ≥ 1 si ha che
1 1
n2 − n + 1 ≤ n2 =⇒ ≥ 2.
n2 −n+1 n
2.2 Criteri di convergenza per le serie a termini positivi 143
∞
X 1
La serie converge (vedi Esempio (2.10)) ma non è possibile applicare il Criterio
n2
n=1
del confronto. Osserviamo però che
1 1
∼ 2, n → +∞.
n2 − n + 1 n
∞
X 1
Quindi per il Criterio del confronto asintotico la serie converge.
n=1
n2 −n+1
∞
1 X
(2.17) Esempio Consideriamo la serie . È una serie a termini positivi,
n=1
5n +3
quindi converge o diverge positivamente. Osserviamo che per ogni n ≥ 1 si ha che
1 1
5n + 3 ≥ 5n =⇒ ≤ .
5n + 3 5n
∞
X 1
La serie diverge (vedi Esempio (2.11) e l’algebra delle serie) ma non è possibile
n=1
5n
applicare il Criterio del confronto. Osserviamo però che
1 1
∼ , n → +∞.
5n + 3 5n
∞
X 1
Quindi per il Criterio del confronto asintotico la serie diverge.
n=1
5n +3
(2.18) Osservazione I criteri del confronto e del confronto asintotico si usano per
determinare il carattere di una serie a termini positivi confrontando o confrontando
asintoticamente il termine generale di questa serie con quello di una serie di cui è già
noto il carattere. In genere si cerca di confrontare con le serie notevoli ed in particolare
con la serie geometrica e la serie armonica generalizzata (vedi Esempio (1.3)).
(2.19) Teorema (Criterio della radice) Sia (an ) una successione tale che
an ≥ 0 per ogni n ∈ N. Supponiamo che esista
√
lim n
an = l ∈ [0, +∞) ∪ {+∞}.
n
P
Per la Condizione necessaria per la convergenza delle serie si ha che an diverge.
Infine consideriamo il caso l = +∞. Per la definizione di limite, esiste n0 ∈ N tale
√
che per ogni n ≥ n0 si ha n an > 1. In particolare, an > 1 per ogni n ≥ n0 . Ne segue che
P
lim an 6= 0. Per la Condizione necessaria per la convergenza delle serie si ha che an
n
diverge.
∞ 2
1 n X
(2.21) Esempio Consideriamo la serie 1− . È una serie a termini positivi,
n=1
n
quindi converge o diverge positivamente. Osserviamo che
n2
1 2 log(1− n
1
)
1− = en .
n
1
Inoltre n2 log 1 − n ∼ −n, per n → +∞, ma
2 log(1− n
1
)
en 6∼ e−n , n → +∞.
1
(2.22) Osservazione Si osservi che n2 log 1 − n ∼ −n − 12 , per n → +∞ e che
2 log(1− n
1
) 1 1
en ∼ e−n− 2 = √ , n → +∞.
e en
∞ ∞ 2
X 1 X 1 n
Poiché √ n converge, per il Criterio del confronto asintotico 1− con-
n=1
ee n=1
n
verge.
(2.23) Teorema (Criterio del rapporto) Sia (an ) una successione tale che
an ≥ 0 per ogni n ∈ N. Supponiamo che esista
an+1
lim = l ∈ [0, +∞) ∪ {+∞}.
n an
an
an
an+1
Dimostrazione. Essendo an−1 una sottosuccessione di = l.
an , si ha che lim
an−1 n
Consideriamo inizialmente il caso in cui l ∈ R. Per la definizione di limite, per ogni
an
ε > 0 esiste n0 ∈ N tale che per ogni n ≥ n0 si ha l − ε < an−1 < l + ε. In particolare,
(l − ε)an−1 < an < (l + ε)an−1 per ogni n ≥ n0 .
1−l
Se l < 1, preso ε = 2 esiste n0 ∈ N tale che per ogni n > n0 si ha che
an < (l + ε)an−1 < (l + ε)2 an−2 < (l + ε)3 an−3 < · · · < (l + ε)n−n0 an0
l+1
con l + ε = 2 < 1. Poiché la serie geometrica di ragione l + ε converge (vedi pag. 134),
P
per la Proposizione (2.1) e il Criterio del confronto anche an converge.
l−1
Se l > 1, preso ε = 2 esiste n0 ∈ N tale che per ogni n > n0 si ha che
an > (l − ε)an−1 > (l − ε)2 an−2 > (l − ε)3 an−3 > · · · > (l − ε)n−n0 an0
l+1
con l − ε = 2 > 1. In particolare si ha che
P
Per la Condizione necessaria per la convergenza delle serie si ha che an diverge.
146 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
an+1 (n + 1)! nn (n + 1) n! nn nn 1
= n+1
· = n
· = n
= n .
an (n + 1) n! (n + 1) (n + 1) n! (n + 1) 1 + n1
Quindi
an+1 1 1
lim = lim n = < 1.
n an n
1+ 1 e
n
∞
X n!
Per il Criterio del rapporto converge.
n=1
nn
√
(2.26) Osservazione Per la Formula di Stirling si ha che n! ∼ nn e−n 2πn, per
n → +∞. In particolare
√
n
√
n! ∼ ne−1
2n
2πn, n → +∞.
Quindi volendo ricorrere al Criterio della radice per studiare il carattere della serie
∞
X n!
n
, si ha che
n=1
n
s √
n
√
n n! n! ne−1 2n 2πn 1
lim = lim = lim = < 1.
n nn n n n n e
∞
X n!
Per il Criterio della radice converge.
n=1
nn
In altri termini, il Criterio della radice è più generale di quello del rapporto. Il
viceversa non è vero.
Pertanto 1− n0
√ ε n √
n
an < l + n an0 .
2
Analogamente
n − n0 fattori
z }| { n−n0
an an−1 an +1 ε
∀n > n0 : an = ··· 0 an0 > l − an0 .
an−1 an−2 an0 2
| {z } | {z } | {z }
>l− 2ε >l− 2ε >l− 2ε
Quindi
1− n0
√ ε n √
n
an > l − n an0 .
2
Ne segue che per ogni n > n0
1− n0 1− n0
ε n √ √ ε n √
l− n a
n0 <
n
an < l + n an0 .
2 2
√
Poiché lim n an0 = 1 (vedi Appendice E pag. 164), ne segue che
n
1− n0 1− n0
ε n √ ε ε n √ ε
lim l − n an0 = l − , lim l + n a
n0 = l + .
n 2 | {z
} 2 n 2 | {z
} 2
| {z
} y | {z
} y
y y
1 1
ε
l− 2 ε
l+ 2
Quindi per la definizione di limite esiste n1 ∈ N, n1 ≥ n0 , tale che per ogni n > n1 si ha
1− n0 1− n0
ε n √ ε n √
l−ε< l− n an0 < l, l< l+ n an0 < l + ε.
2 2
148 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
√
l−ε< n
an < l + ε,
√
cioè lim n
an = l.
n
Se l = 0, allora si procede come nel caso precedente, utilizzando solo la stima
√
dall’alto, essendo n an ≥ 0.
Infine, se l = +∞, allora si procede come nel caso precedente, utilizzando solo la
stima dal basso.
f (n + 1) ≤ f (x) ≤ f (n).
Z n+1
Posto bn = f (x) dx, risulta quindi che an+1 ≤ bn ≤ an . Per il Criterio del confronto
n
∞
X ∞
X
si ha che se an converge, allora bn converge e
n=1 n=1
∞
X ∞
X
(2.29) bn ≤ an .
n=1 n=1
Inoltre, essendo
∞
X ∞
X
(2.30) an+1 =
x ak
n=1
k=2
k=n+1
2.2 Criteri di convergenza per le serie a termini positivi 149
∞
X
per il Criterio del confronto e la Proposizione (2.1) si ha che se bn converge, allora
n=1
∞
X
an converge e
n=1
∞
X ∞
X
(2.31) an ≤ bn .
n=2 n=1
∞
X ∞
X
Quindi an converge se e solo se bn converge. Detta Sn la somma parziale n-esima
n=1 n=1
della serie di bn , si ha che
n
X n Z
X k+1 Z n+1
Sn = bk = f (x) dx = f (x) dx.
k=1 k=1 k 1
Quindi si ha che Z Z
n+1 +∞
lim Sn = lim f (x) dx = f (x) dx.
n n 1 1
∞
X
Pertanto la convergenza di bn corrisponde a quella dell’integrale improprio
Z n=1
+∞
f (x) dx, da cui segue la tesi. Infine, in caso di convergenza si ha che
1
∞
X Z +∞
bn = f (x) dx
n=1 1
Infine, se p ≤ 0, allora (
1 1 se p = 0
lim p =
n n +∞ se p < 0.
Ne segue che non è verificata la condizione necessaria per la convergenza della serie e
quindi per p ≤ 0 la serie diverge.
∞
X ∞
X ∞
X
an ≤ 2n a2n ≤ 2 an .
n=1 n=0 n=1
n
X k
X
Dimostrazione. Siano Sn = ah e Tk = 2m a2m la somma parziale n-esima della
h=1 m=1
serie di an e la somma parziale k-esima della serie di 2n a2n rispettivamente. Se n ≤ 2k ,
allora
n
X n
X 2k+1
X−1
Sn = ah ≤ ah + ah =
h=1 h=1 h=n+1
n 2 k
X X
Sn = ah ≥ ah =
h=1 h=1
2.3 Criteri di convergenza per le serie a termini di segno variabile 151
e
∞
X ∞
X
2n a2n = lim Tk ≤ 2 lim Sn = 2 an .
k n
n=0 n=1
∞
X
Dimostrazione. La serie (|an | + an ) è a termini positivi. Poiché per ogni n risulta
n=0
|an |+an ≤ 2|an |, per il Criterio del confronto e l’algebra delle serie questa serie converge.
∞
X
Infine, essendo an = (|an | + an ) − |an |, per l’algebra delle serie anche an converge.
n=0
Infine, dette Sn e σn le somme parziali n-esime delle serie di an e |an | rispettivamente,
dalla disuguaglianza triangolare del valore assoluto segue che |Sn | ≤ σn per ogni n. Per
il Primo teorema del confronto sui limiti si ha che
X∞ ∞
X
an = lim |Sn | ≤ lim σn = |an |.
n n
n=0 n=0
152 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
(2.36) Osservazione Il viceversa non è vero. L’esempio classico è quello della serie
armonica a termini di segno alterno
∞
X (−1)n
.
n=1
n
Poiché
∞ n ∞
(−1) = 1
X X
n n
n=1 n=1
è divergente, ne segue che la serie armonica a termini di segno alterno non converge
assolutamente. Come vedremo a pag. 153 questa serie converge.
(2.38) Teorema (Criterio di Leibniz) Sia (bn ) una successione tale che
bn ≥ 0 per ogni n ∈ N. Supponiamo che
i) lim bn = 0;
n
n
X
Dimostrazione. Sia Sn = (−1)k bk la somma parziale n-esima della serie. Essendo
k=1
(bn ) decrescente, si ha che
2n+2
X 2n
X
k
S2n+2 = (−1) bk = (−1)k bk − (b2n+1 − b2n+2 ) ≤ S2n ,
| {z }
k=1 k=1
≥0
2.3 Criteri di convergenza per le serie a termini di segno variabile 153
2n+1
X 2n−1
X
S2n+1 = (−1)k bk = (−1)k bk + (b2n − b2n+1 ) ≥ S2n−1 .
| {z }
k=1 k=1
≥0
Quindi la successione delle somme parziali con indice pari (S2n ) è decrescente, mentre
quella con indice dispari (S2n+1 ) è crescente. Inoltre, S2n − S2n+1 = b2n+1 ≥ 0 implica
che S2n ≥ S2n+1 per ogni n da cui segue che, essendo (S2n+1 ) crescente, S2n ≥ S1 .
Quindi la successione (S2n ) è anche limitata inferiormente. Per le proprietà dei limiti
delle successioni monotone, ne segue che esiste lim S2n = inf S2n = S ∈ R. In particolare,
n n
n0
fissato ε > 0 esiste n0 ∈ N tale che per ogni n ≥ 2 si ha
|S2n − S| < ε.
n1
In particolare, esiste n1 ∈ N, n1 ≥ n0 , tale che per ogni n ≥ 2 si ha
|S2n+1 − S| < ε.
a) se non vale l’ipotesi i) del Criterio di Leibniz, cioè se lim bn 6= 0, allora anche
n
lim(−1)n bn 6= 0 e per la condizione necessaria della convergenza di una serie, si ha
n
∞
X
che (−1)n bn non converge, e quindi diverge oppure è indeterminata;
n=1
b) se la successione (bn ) non è decrescente, allora o è crescente, oppure non è né cres-
cente né descrescente. Se è crescente, ma non costantemente nulla, allora risulta
che lim bn = sup bn > 0, e quindi per la condizione necessaria della convergenza di
n n
∞
X
una serie (−1)n bn non converge. Se invece non è né crescente né descrescente,
n=1
allora NON è possibile concludere nulla sulla convergenza, divergenza o indetermi-
natezza della serie. È necessario ricorrere ad altri metodi per stabilire il carattere
della serie.
∞
X
(2.41) Teorema (Criterio di Dirichlét) Siano an una serie, (Sn ) la suc-
n=0
cessione delle somme parziali di questa serie e (bn ) una successione con bn ≥ 0 per
ogni n. Supponiamo che:
n
X
Dimostrazione. Sia σn = ak bk la somma parziale n-esima della serie di an bn .
k=0
Essendo ak = Sk − Sk−1 per ogni k ≥ 1 e a0 = S0 , si ha che
n
X n
X
σn = ak bk = S0 b0 + (Sk − Sk−1 )bk =
k=0 k=1
2.3 Criteri di convergenza per le serie a termini di segno variabile 155
(2.42) σn = Tn−1 + Sn bn .
Poiché (Sn ) è limitata, esiste M > 0 tale che |Sn | ≤ M per ogni n ∈ N. Inoltre,
essendo (bn ) decrescente, si ha che bn−1 − bn ≥ 0, per ogni n ≥ 1. Osserviamo che la
∞
X
serie Sn−1 (bn−1 − bn ) converge assolutamente. Infatti, se consideriamo la successione
n=1
∞
X
delle somme parziali della serie |Sn−1 (bn−1 − bn )| si ha che
n=1
n
X n
X n
X
|Sk−1 (bk−1 − bk )| = |Sk−1 |(bk−1 − bk ) ≤ M (bk−1 − bk ) =
k=1 k=1 k=1
lim σn = lim(Tn−1 + Sn bn ) = T ∈ R,
n n
∞
X ∞
X
(3.1) Definizione Siano an e bn due serie. Si chiama prodotto di
n=0 n=0
X∞
Cauchy delle serie di an e bn la serie cn , dove
n=0
n
X
cn = ak bn−k .
k=0
∞
X ∞
X
(3.2) Teorema (di Mertens) Siano an e bn due serie convergenti
n=0 n=0
rispettivamente a A e B. Supponiamo che almeno una delle due serie converga
assolutamente.
Allora il prodotto di Cauchy delle serie di an e bn converge a AB. In altri termini,
n
X
se cn = ak bn−k , allora
k=0
∞ ∞
! ∞
!
X X X
cn = an bn .
n=0 n=0 n=0
P
Dimostrazione. Supponiamo che an converga anche assolutamente. In modo del
P
tutto analogo si procede se a convergere assolutamente è bn . Siano An , Bn e Cn le
P P P
somme parziali n-esime delle serie an , bn e cn rispettivamente. Si ha che
n
X
Cn = ck = c0 +c1 +· · ·+cn = a0 b0 +(a0 b1 +a1 b0 )+· · ·+(an b0 +an−1 b1 +· · ·+a0 bn ) =
k=0
= a0 Bn + a1 Bn−1 + · · · + an−1 B1 + an B0 =
= An B − a0 Rn − a1 Rn−1 − · · · − an−1 R1 − an R0 .
n
X
Mostriamo che lim ak Rn−k = 0. Sia ε > 0. Poiché Rk → 0 per k → +∞, esiste
n
k=0
k0 ∈ N tale che |Rk | < ε per ogni k ≥ k0 . Posto M = max{|Rk |}, si ha che per ogni
k≤k0
n ≥ k0
n−k
X n X0 n
X
ak Rn−k = ak Rn−k + ak Rn−k ≤
k=0 k=0 k=n−k0 +1
n−k
X0 n
X n−k
X0 n
X
≤ |ak ||Rn−k | + |ak ||Rn−k | ≤ ε |ak | + M |ak |.
k=0 k=n−k0 +1 k=0 k=n−k0 +1
∞
X
P
Poiché an converge assolutamente, posto |an | = σ ∈ R, si ha che
n=0
n−k
X0
|ak | ≤ σ.
k=0
Inoltre,
!
n
X n−k
X0 ∞
X n−k
X0 n
X
|ak | = σ − |ak | − |ak | = σ − |ak | − σ − |ak | .
k=n−k0 +1 k=0 k=n+1 k=0 k=0
∞
X
Poiché |an | = σ, si ha che
n=0
n−k
X0 n
X
lim |ak | = lim |ak | = σ.
n n
k=0 k=0
Quindi
n n−k n
!
X X0 X
lim |ak | = lim σ − |ak | − σ − |ak | = 0.
n n
k=n−k0 +1 k=0 k=0
n
X
Per l’arbitrarietà di ε si ha che lim ak Rn−k = 0. Da (3.3) si ha che
n
k=0
n
!
X
lim Cn = lim An B − ak Rn−k = AB,
n n
k=0
P P
(3.4) Osservazione Se an e bn convergono ma nessuna delle due converge as-
solutamente, allora il loro prodotto di Cauchy potrebbe non convergere. Infatti, se
(−1)n P P
consideriamo ad esempio an = bn = √
n+1
, si ha che an e bn convergono ma non
assolutamente. Inoltre.
n n
X X (−1)n
cn = ak bn−k = p .
k=0 k=0
(k + 1)(n − k + 1)
Poiché
(−1)n
1 1
p = p ≥ ,
(k + 1)(n − k + 1) (k + 1)(n − k + 1) n+1
si ha che
n n
X
(−1)n
X 1 1
|cn | = p = p ≥ (n + 1) = 1.
k=0
(k + 1)(n − k + 1) (k + 1)(n − k + 1)
k=0
n+1
Ne segue che lim cn 6= 0 e per la condizione necessaria per la convergenza di una serie
n
P
cn non converge.
4 Serie complesse 159
4 Serie complesse
Poiché la nozione di limite per una successione in C è la stessa di quella per le successioni
reali (vedi Definizione (1.1) in Appendice E limitatamente al caso l ∈ C), in modo del
tutto analogo a quanto visto precedentemente possiamo introdurre la nozione di serie
anche nel campo C dei numeri complessi.
∞
X
Se lim Sn non esiste, allora diciamo che zn non converge (o che non è
n
n=0
convergente).
∞
X
Diciamo che zn converge assolutamente se converge la serie (reale a termini
n=0
∞
X
positivi) |zn |.
n=0
(4.2) Osservazione Sia (zn ) una successione in C e siano Re (zn ) e Im (zn ) rispetti-
vamente la parte reale e la parte immaginaria di zn . Essendo
zn = Re (zn )+iIm (zn ) , |Re (zn ) | ≤ |zn |, |Im (zn ) | ≤ |zn |, |zn | ≤ |Re (zn ) |+|Im (zn ) |,
P P P
a) zn converge a S ∈ C se e solo se Re (zn ) e Im (zn ) convergono rispettiva-
mente a Re (S) e Im (S) e in tal caso si ha che
∞
X ∞
X ∞
X
zn = Re (zn ) + i Im (zn ) ;
n=0 n=0 n=0
P P P
b) zn converge assolutamente se e solo se Re (zn ) e Im (zn ) convergono asso-
lutamente.
∞ ∞
X cos n X sin n
(4.3) Esempio Consideriamo le serie e . Sono serie reali a termini
n n=1
n=1
n
di segno variabile ma non alterno. Dalla formula di Eulero si ha che ein = cos n +
i sin n. Quindi queste due serie sono le serie della parte reale e della parte immaginaria
∞ in
in X e
rispettivamente di en . Osserviamo che non converge assolutamente. Infatti,
n=1
n
∞ in ∞
X e X 1
= che diverge.
n n
n=1 n=1
∞ in ∞
X e X 1
Per studiare la convergenza della serie = ein · ricorriamo al Criterio di
n=1
n n=1
n
1
Dirichlét, ponendo an = ein , bn = n (il Criterio di Dirichlét vale anche se (an ) è una
successione complessa). Si ha che la successione (bn ) è non negativa, infinitesima e
decrescente. Detta Sn la somma parziale n-esima della serie di an , si ha che
n n
X X k 1 − ei(n+1 ) 2
ik i
|Sn | = e = e =
x ≤ .
1 − ei |1 − ei |
k=0 k=0
vedi pag. 134
∞ in
X e
Quindi (Sn ) è limitata (in C). Per il Criterio di Dirichét converge e per l’Osser-
n=1
n
∞ ∞
X cos n X sin n
vazione (4.2) anche le serie e convergono.
n
n=1 n=1
n
Osserviamo che queste due serie non convergono assolutamente. Per l’Osservazio-
∞ in
X e
ne (4.2) non possono convergere entrambe assolutamente perché altrimenti anche
n=1
n
convergerebbe assolutamente, contraddicendo quanto affermato in precedenza. Essendo
| cos n| ≤ 1, | sin n| ≤ 1, si ha che cos2 n ≤ | cos n|, sin2 n ≤ | sin n|. Per le formule di
bisezione si ha che
| cos n| cos2 n 1 + cos (2n) 1 cos (2n)
≥ = = + ,
n n 2n 2n 2n
| sin n| sin2 n 1 − cos (2n) 1 cos (2n)
≥ = = − .
n n 2n 2n 2n
4 Serie complesse 161
∞ ∞
X | cos n| X | sin n|
Se per assurdo una delle due serie e convergesse, allora per il
n n=1 n=1
n
Criterio del confronto convergerebbero anche le serie i cui termini generali sono
1 Limiti di successioni
In particolare se l ∈ R si ha
∀b ∈ R ∃n0 ∈ N: ∀n ∈ N con n ≥ n0
lim an = +∞ (−∞) ⇐⇒
n
si ha che an > b (an < b).
163
164 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
(1.2) Osservazione Poiché il limite di successione altro non è che il limite di funzione
per la variabile che tende a +∞, per esso valgono tutti i teoremi e le considerazioni fatti
per i limiti di funzione di una variabile reale. Più precisamente valgono:
√
n
2) lim ak = 1, per ogni a > 0 e k ∈ R.
n
√
n
3) lim n! = +∞.
n
n
a
4) lim 1 + = ea , per ogni a ∈ R.
n n
logp n
5) lim = 0, per ogni p, k ∈ R con k > 0.
n nk
Appendice E Limiti di successioni 165
nk
6) lim = 0, per ogni k, a ∈ R con a > 1.
n an
an
8) lim = 0, per ogni a ∈ R.
n n!
n!
9) lim = 0.
n nn
√
Formula di Stirling n! ∼ nn e−n 2πn, n → +∞.
(1.3) Definizione Sia (an ) una successione. Diciamo che una successione (bn )
è una sottosuccessione (o successione estratta) di (an ) se bn = aϕ(n) , dove
ϕ : N → N è una successione strettamente crescente.
Usualmente una sottosuccessione di (an ) si denota con (ank ).
Una sottosuccessione di una successione (an ) è quindi una successione i cui termini
sono selezionati tra quelli della successione di partenza, in modo che se un elemento è
selezionato, allora i successivi sono selezionati fra quelli che hanno un indice maggiore
di quest’ultimo.
lim ank = l.
k
(1.8) Teorema (Criterio della radice per le successioni) Sia (an ) una suc-
√
cessione a termini positivi. Supponiamo che esista lim n an = l ∈ [0, +∞) ∪ {+∞}.
n
Allora valgono i seguenti fatti:
Il Criterio della radice è più generale di quello del rapporto, come afferma il seguente
risultato (vedi pag. 146).
(1.10) Teorema Sia (an ) una successione a termini positivi. Supponiamo che
an+1
esista lim = l ∈ [0, +∞) ∪ {+∞}.
n an
√
Allora lim n an = l.
n
Capitolo 7
Successioni di funzioni
Introduciamo le nozioni per le funzioni reali. In modo del tutto analogo si introducono
per le funzioni complesse.
167
168 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
lim kfn − f k∞ = 0,
n
lim kfn − f k∞ = 0,
n
f +ε
fn
f
f −ε
O a b x
fn
f
O 1 x
−ε
e quindi (fn ) converge uniformemente a f su [0, a]. Questo fatto è ben visibile an-
che graficamente. Infatti, per ogni ε > 0 il grafico delle funzioni fn è definitivamente
contenuto fra quello delle funzioni f − ε e f + ε,
y
f2 (x) = x2
ε f5 (x) = x5
a x
O f
a = 0, 75
−ε
∃δ > 0 tale che ∀x ∈ Ω con |x − x0 | < δ si ha |fn0 (x) − fn0 (x0 )| < 3ε .
Sia ε > 0. Poiché (fn ) converge uniformemente a f in [a, b], esiste n0 ∈ N tale che per
ε
ogni n ≥ n0 si ha che kfn − f k∞ < b−a . Ne segue che per ogni n ≥ n0
Z Z b Z Z
b b b
fn (x) dx − f (x) dx = (fn (x) − f (x)) dx ≤ |fn (x) − f (x)| dx ≤
a a a a
Z b ε
≤ kfn − f k∞ dx = kfn − f k∞ (b − a) < (b − a) = ε.
a b−a
Pertanto Z Z
b b
lim fn (x) = f (x) dx.
n a a
Per il Teorema fondamentale del calcolo integrale si ha che f è derivabile in [a, b] con
f 0 (x) = g(x) per ogni x ∈ [a, b]. In particolare f è derivabile in x0 con derivata continua
e f 0 (x0 ) = g(x0 ). Per l’arbitrarietà di x0 si ha la tesi.
3 Approfondimenti: scambio di ordine nei limiti 175
lim lim fn (x) = lim lim fn (x) .
x→x0 n n x→x0
Sia ε > 0. Poiché (fn ) converge uniformemente a f in Ω, esiste n0 ∈ N tale che per ogni
n ∈ N, con n ≥ n0 , si ha kfn − f k∞ < 3ε . Ne segue che per ogni n ∈ N, con n ≥ n0 , e
per ogni x ∈ Ω si ha
ε
(3.2) |fn (x) − f (x)| < .
3
In particolare per ogni n, m ∈ N, con n, m ≥ n0 , e per ogni x ∈ Ω si ha
ε ε 2
|fn (x) − fm (x)| ≤ |fn (x) − f (x)| + |f (x) − fm (x)| < + = ε.
3 3 3
2
|ln − lm | = lim |fn (x) − fm (x)| ≤ ε < ε.
x→x0 3
Quindi (ln ) è di Cauchy. Poiché R è uno spazio normato completo 1 , la successione (ln )
converge ad un certo l ∈ R.
Dimostriamo ora che lim f (x) = l. Poiché ln → l per n → +∞, esiste n1 ∈ N, con
x→x0
n1 ≥ n0 , tale che per per ogni n ∈ N con n ≥ n1 si ha |ln − l| < 3ε . In particolare per
n = n1 si ha |ln1 − l| < 3ε . Poiché fn1 (x) → ln1 per x → x0 , esiste δ > 0 tale che per ogni
1
Uno spazio normato è completo se ogni successione di Cauchy in questo spazio è convergente (vedi
Appendice F).
176 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
x ∈ Ω con 0 < |x − x0 | < δ si ha |fn1 (x) − ln1 | < 3ε . Quindi, applicando (3.2) si ha che
per ogni x ∈ Ω con 0 < |x − x0 | < δ
ε ε ε
|f (x) − l| ≤ |f (x) − fn1 (x)| + |fn1 (x) − ln1 | + |ln1 − l| < + + = ε.
3 3 3
Serie di funzioni
Introduciamo le nozioni per le funzioni reali. In modo del tutto analogo si introducono
per le funzioni complesse.
S0 (x) = f0 (x),
n
X
Sn (x) = fk (x) = f0 (x) + f1 (x) + · · · + fn (x), n ≥ 1.
k=0
177
178 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
∞
X ∞
X
Diciamo che fn (x) converge assolutamente in Ω se la serie |fn (x)|
n=0 n=0
converge puntualmente in Ω.
∞
X
Fissato x ∈ Ω, la serie fn (x) è una serie numerica. Quindi questa definizione
n=0
corrisponde a quella introdotta per le serie numeriche.
lim kSn − f k∞ = 0,
n
Il prossimo risultato stabilisce quale relazione sussista fra i quattro tipi di conver-
genza introdotti per una serie di funzioni limitate.
1 Nozioni preliminari sulle serie di funzioni 179
∞
X
Dimostrazione. Se fn (x) converge assolutamente in Ω, allora per il Criterio della
n=0
X∞
convergenza assoluta fn (x) converge puntualmente in Ω e si ha
n=0
X∞ ∞
X
∀x ∈ Ω : fn (x) ≤ |fn (x)|.
n=0 n=0
∞
X
Se fn (x) converge uniformemente in Ω, allora la successione (Sn ) delle somme parziali
n=0
della serie di fn converge uniformemente in Ω. Per la Proposizione (1.7) del Capitolo 7
∞
X
(Sn ) converge puntualmente in Ω e quindi fn (x) converge puntualmente in Ω.
n=0
∞
X ∞
X
Se fn (x) converge totalmente in Ω, allora kfn k∞ converge. Essendo |fn (x)| ≤
n=0 n=0
∞
X
kfn k∞ per ogni x ∈ Ω, per il Criterio del confronto anche |fn (x)| converge per ogni
n=0
∞
X
x ∈ Ω, quindi fn (x) converge assolutamente in Ω.
n=0
∞
X ∞
X
Infine, supponiamo che fn (x) converga totalmente in Ω, cioè che kfn k∞
n=0 n=0
∞
X
converga. Dimostriamo che fn (x) converge uniformemente in Ω. Per quanto visto
n=0
X∞
nei passi precedenti, la serie fn (x) converge assolutamente e puntualmente in Ω con
n=0
X∞ ∞
X
(1.5) ∀x ∈ Ω : fn (x) ≤ |fn (x)|.
n=0 n=0
1
Vale più in generale anche per funzioni non limitate.
180 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
n
X ∞
X
Siano Sn (x) = fk (x) la somma parziale n-esima della serie e f (x) = fk (x) la
k=0 k=0
somma della serie. Per ogni x ∈ Ω si ha che
n ∞
∞
X X X
|Sn (x) − f (x)| = fk (x) − fk (x) = fk (x) ≤
x
k=0 k=0 k=n+1
(1.5)
∞
X ∞
X
≤ |fk (x)| ≤
x kfk k∞ .
k=n+1 k=n+1
|fk (x)|≤kfk k∞
Ne segue che
∞
X
kSn − f k∞ = sup |Sn (x) − f (x)| ≤ kfk k∞ .
x∈Ω k=n+1
∞
X
Poiché kfk k∞ converge, allora
k=0
∞ ∞ n
! ∞ ∞
X X X X X
lim kfk k∞ = lim kfk k∞ − kfk k∞ = kfk k∞ − kfk k∞ = 0.
n n
k=n+1 k=0 k=0 k=0 k=0
lim kSn − f k∞ = 0
n
∞
X
da cui segue che fn (x) converge uniformemente in Ω.
n=0
(1.7) Osservazione Fra convergenza uniforme e convergenza assoluta non c’è alcuna
implicazione. Questo significa che esistono serie che convergono uniformemente ma non
assolutamente e serie che convergono assolutamente ma non uniformemente.
(−1)n
Per esempio, la serie di funzioni costanti fn (x) = n converge uniformemente
ma non assolutamente su R. Infatti, per l’Osservazione (1.3) la convergenza uniforme
1 Nozioni preliminari sulle serie di funzioni 181
∞
X (−1)n
coincide con quella puntuale, ed essendo convergente , converge anche uni-
n=1
n
formemente in R. Inoltre per ogni x ∈ R si ha che
∞ ∞ ∞
X X (−1)n X 1
|fn (x)| =
n = è divergente.
n=1 n=1
n n=1
∞
X
Quindi fn (x) non converge assolutamente.
n=1
Un esempio di serie convergente assolutamente ma non uniformemente è
∞
X
arctan (nx) − arctan [(n − 1)x] .
n=1
È una serie di funzioni continue su R. Per ogni n ≥ 1 poniamo fn (x) = arctan (nx) −
arctan [(n − 1)x].
Osserviamo che la serie data è telescopica. Consideriamo inizialmente la convergenza
puntuale. La somma parziale n-esima della serie è
n
X n
X
Sn (x) = fk (x) = arctan (kx) − arctan [(k − 1)x] =
k=1 k=1
∞
X
Allora fn (x) converge totalmente in Ω.
n=0
∞
X ∞
X
Poiché Mn converge, per il Criterio del confronto anche kfn k∞ converge e quindi
n=0 n=0
∞
X
fn (x) converge totalmente in Ω.
n=0
(1.12) Osservazione Abbiamo già osservato che le serie numeriche sono particolari
serie di funzioni (costanti).
Nei prossimi capitoli studieremo con maggiore attenzione serie di funzioni non
costanti che godono di particolari proprietà. Più precisamente ci occuperemo di se-
rie di potenze, serie di Taylor (e di McLaurin), serie di Fourier. Da un punto di vista
grafico possiamo cosı̀ rappresentare questi insiemi di serie di funzioni:
Serie di funzioni
Serie numeriche
Serie di potenze
Serie di Taylor
e di McLaurin
Serie di Fourier
1.2 Approfondimenti: limite di una serie 185
∞
X
Allora ln converge a l ∈ R e si ha che lim f (x) = l. In particolare si ha che
x→x0
n=0
∞
! ∞
X X
lim fn (x) = lim fn (x) .
x→x0 x→x0
n=0 n=0
Dimostrazione. Si applica il Teorema sullo scambio di ordine nei limiti alla successione
delle somme parziali (Sn ) della serie di fn (vedi Teorema (3.1) del Capitolo 7).
186 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
2 Serie di potenze
Introduciamo le serie di potenze reali. Per quelle complesse si veda pag. 213.
∞
X ∞
X
esiste |x| < x1 < R tale che an xn1 converge. Per il Criterio del confronto an xn
n=0 n=0
converge assolutamente e per l’arbitrarietà di x ∈ (−R, R) la serie di potenze converge
assolutamente in (−R, R).
Sia ora 0 < k < R. Per quanto appena dimostrato la serie di potenze converge
assolutamente in k. Inoltre per ogni x ∈ [−k, k] si ha che per ogni n ∈ N
∞
X
(2.3) Teorema (di Abel) Siano an xn una serie di potenze e R ∈ (0, +∞)
n=0
il suo raggio di convergenza.
∞
X
Se la serie di potenze an xn converge anche in x = R (risp. x = −R), allora
n=0
converge uniformemente in ogni intervallo [−k, R] (risp. [−R, k]), con 0 < k < R.
In particolare, se converge in x = ±R, allora converge uniformemente in [−R, R].
|x| ≥ 1. Si ha che
∞ ∞
X xn X 1
x=1 =⇒ = =⇒ diverge;
n=0
n n=0
n
∞ ∞
X xn X (−1)n
x = −1 =⇒ = =⇒ converge;
n=0
n n=0
n
( ∞
xn +∞ se x > 1 X xn
|x| > 1 =⇒ lim = =⇒ non converge.
n n 6∃ se x < −1 n
n=0
Quindi
( ∞
)
X xn
x∈R: è convergente = [−1, 1).
n=0
n
∞
X
(2.5) Osservazione Siano an xn una serie di potenze, I ⊆ R l’insieme di conver-
n=0
genza puntuale della serie e f : I → R la somma della serie.
Allora f è continua.
∞
X
∀x ∈ I : f (x) = an xn
n=0
è continua in x0 .
Se il raggio di convergenza della serie è R = 0, allora x0 = 0, I = {0} e la tesi è
ovvia. Sia quindi R ∈ (0, +∞]. Se x0 = 0, essendo R > 0 la serie di potenze converge
uniformemente in [−k, k] per ogni 0 < k < R. Poiché le funzioni fn (x) = an xn sono
continue su I, quindi anche su [−k, k], per la Proposizione (1.6) f è continua su [−k, k],
quindi anche in x0 = 0. Supponiamo che x0 > 0 (analogamente se x0 < 0). Le funzioni
fn (x) = an xn sono continue su I, quindi anche su [0, x0 ]. Per i Teoremi (2.2) e (2.3) la
serie converge uniformemente in [0, x0 ]. Per la Proposizione (1.6) f è continua in [0, x0 ]
e in particolare in x0 . Per l’arbitrarietà di x0 si ha la tesi.
2 Serie di potenze 189
∞
X
(2.6) Teorema (della radice o di Cauchy-Hadamard) Sia an xn una
n=0
serie di potenze. Supponiamo che esista
q
n
lim |an | = l ∈ [0, +∞].
n
Quindi
( ∞
)
1 1 X
n 1 1
sup − , ≤ sup x ∈ R : an x è convergente ≤ sup − , .
l l n=0
l l
| {z } | {z } | {z }
= 1l =R = 1l
q
n
(2.7) Osservazione Se non esiste lim |an |, allora NON possiamo concludere nulla
n
sul raggio di convergenza della serie di potenze utilizzando il Teorema della radice. È
necessario ricorrere ad un altro metodo per determinarlo.
∞
X
(2.8) Teorema (del rapporto o di D’Alembert) Sia an xn una serie di
n=0
potenze. Supponiamo che esista
an+1
lim
= l ∈ [0, +∞].
n a
n
Da qui in poi la dimostrazione procede in modo del tutto identico a quella del Teorema
della radice.
an+1
(2.9) Osservazione Se non esiste lim
, allora NON possiamo concludere nulla
n a n
sul raggio di convergenza della serie di potenze utilizzando il Teorema del rapporto. È
necessario ricorrere ad un altro metodo per determinarlo.
(2.10) Osservazione Come già visto nel capitolo sulle serie numeriche (vedi Osser-
vazione (2.27) del Capitolo
6 e Teorema (1.10) dell’Appendice E), se (an ) è una succes-
an+1 q
sione e se lim = l, allora anche lim n |an | = l. In altri termini, il Teorema
n→+∞ an n→+∞
della radice è più generale di quello del rapporto.
q an+1
n
Si osservi che se non esiste lim |an |, allora non esiste neppure lim . Quindi
n n an
in tal caso NON è possibile né applicare il Teorema della radice né quello del rapporto
per determinare il raggio di convergenza della serie. È necessario ricorrere ad un altro
metodo per determinarlo.
∞
X
(2.11) Esempio Consideriamo la serie di potenze (2n + 3n ) xn . Determiniamo il
n=0
raggio di convergenza. Proviamo ad applicare il Teorema della radice. Si ha che
r
√ n 2
n
lim n 2n + 3n = lim 3 + 1 = 3.
n n 3n
1
Quindi il raggio di convergenza della serie di potenze è R = 3. Ne segue che la serie
converge assolutamente in − 13 , 13 .
Consideriamo ora x = ± 13 . Si ha che
∞
1 2n + 3n X 2n + 3n
x= =⇒ lim = 1 6= 0 =⇒ diverge;
3 n 3n n=0
3n
∞
1 2n + 3n X 2n + 3n
x=− =⇒ lim(−1)n 6∃ =⇒ (−1)n non converge.
3 n 3n n=0
3n
∞
X
Quindi la serie di potenze (2n + 3n ) xn converge puntualmente in − 13 , 13 e uni-
n=0
formemente in [−k, k] per ogni 0 < k < 13 .
∞
X
(2.12) Esempio Consideriamo la serie di potenze n! xn . Determiniamo il raggio di
n=0
convergenza. Proviamo ad applicare il Teorema del rapporto. Si ha che
(n + 1)! (n + 1) n!
lim = lim = lim(n + 1) = +∞.
n n! n n! n
192 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Quindi il raggio di convergenza della serie di potenze è R = +∞. Ne segue che la serie
∞
X 2n n
di potenze x converge assolutamente su tutto R e uniformemente su [−k, k], per
n=0
n!
ogni k > 0.
∞
X
(2.14) Osservazione Sia x0 ∈ R e consideriamo la serie di potenze an (x − x0 )n .
n=0
Il raggio di convergenza R della serie si può determinare come negli esempi precedenti,
mediante i teoremi della radice o del rapporto. Si ha che
∞
X
i) se R = 0, la serie an (x − x0 )n converge solo in x0 ;
n=0
∞
X
ii) se 0 < R < +∞, la serie an (x − x0 )n converge assolutamente nell’intervallo
n=0
(x0 − R, x0 + R) e uniformemente in ogni intervallo [a, b], con x0 − R < a < b <
x0 + R;
∞
X
iii) se R = +∞, la serie an (x − x0 )n converge assolutamente in R e uniformemente
n=0
in ogni intervallo [a, b], con a < b.
∞
X
Inoltre, se R ∈ (0, +∞) e la serie di potenze an (x − x0 )n converge anche in
n=0
x = x0 + R (risp. x = x0 − R), allora converge uniformemente in ogni intervallo
[a, x0 + R] (risp. [x0 − R, b]), con x0 − R < a < x0 + R (risp. x0 − R < b < x0 + R). In
particolare, se converge in x = x0 ± R, allora converge uniformemente in [x0 − R, x0 + R].
Suggerimento
∞
X
Nelle applicazioni, data la serie di potenze an (x − x0 )n , conviene ricondursi ad una
n=0
serie centrata in 0 mediante il cambiamento di variabile t = x−x0 . Determinato il raggio
di convergenza R e gli insiemi di convergenza puntuale e uniforme della serie di potenze
2 Serie di potenze 193
∞
X
an tn , si determinano quelli della serie centrata in x0 (il raggio è lo stesso) mediante
n=0
il cambiamento di variabile inverso, cioè x = t + x0 .
∞
1X
(2.15) Esempio Consideriamo la serie di potenze n log (n + 1)
(x − 1)n . È una
n=1
2
serie di potenze centrata in x0 = 1. Posto t = x − 1 si ha che
∞ ∞
X 1 n
X 1
n
(x − 1) = n
tn
n=1
2 log (n + 1) n=1
2 log (n + 1)
s
1 1 1
lim n
= lim p = .
n 2n log (n + 1) n 2 n log (n + 1) 2
∞
X 1
t=2 =⇒ .
n=1
log (n + 1)
1 1
Essendo log (n+1) > n+1 , per il Criterio del confronto questa serie diverge. Inoltre
∞
X (−1)n
t = −2 =⇒ .
n=1
log (n + 1)
Per il Criterio di Leibniz questa serie converge. Quindi la serie di potenze centrata
∞
X 1
in 0, n
tn , converge puntualmente in [−2, 2) e, per il Teorema di Abel,
n=1
2 log (n + 1)
uniformemente in [−2, k] per ogni 0 < k < 2.
∞
1X
Essendo x = t + 1, si ha che la serie (x − 1)n converge puntual-
n=1
log (n + 2n
1)
mente in [−1, 3) e uniformemente in [−1, b] con −1 < b < 3.
194 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
∞
X ∞
X
(2.16) Teorema (Somma di serie di potenze) Siano an xn e bn xn
n=0 n=0
due serie di potenze con raggi di convergenza rispettivamente R1 e R2 .
∞
X
Allora la serie di potenze (an + bn )xn ha raggio di convergenza R ≥
n=0
min{R1 , R2 }.
Se R1 6= R2 , allora il raggio di convergenza è R = min{R1 , R2 }.
Inoltre, per ogni x ∈ R con |x| < min{R1 , R2 } si ha che
∞
X ∞
X ∞
X
(an + bn )xn = an xn + bn xn .
n=0 n=0 n=0
In particolare
( ∞
)
X
(−Rm , Rm ) ⊆ x∈R: (an + bn )xn è convergente .
n=0
∞
X
Quindi il raggio di convergenza R della serie (an + bn )xn è tale che
n=0
( ∞
)
X
n
R = sup x ∈ R : (an + bn )x è convergente ≥ sup(−Rm , Rm ) = Rm .
n=0
an xn = (an + bn )xn − bn xn ,
∞
X
allora per l’algebra delle serie anche la serie an xn convergerebbe: assurdo perché
n=0
∞
X
x > R1 . Quindi il raggio di convergenza R della serie (an + bn )xn è R ≤ R1 = Rm .
n=0
Essendo R ≥ Rm , si ha che R = Rm = min{R1 , R2 }.
2.1 Somma e prodotto di serie di potenze 195
b) se i raggi delle due serie coincidono, può succedere che il raggio di convergenza R
della serie somma sia maggiore del loro comune valore. Infatti, se consideriamo
ad esempio bn = −an , e se R1 ∈ (0, +∞) è il raggio di convergenza della serie di
∞
X ∞
X
potenze an xn , allora il raggio di convergenza della serie di potenze bn xn è
n=0 n=0
evidentemente R2 = R1 e essendo an + bn = an − an = 0, la serie somma è nulla e
ha raggio di convergenza R = +∞ > R1 .
∞
X
(2.18) Teorema (Prodotto di Cauchy di serie di potenze) Siano an xn
n=0
∞
X
n
e bn x due serie di potenze con raggi di convergenza rispettivamente R1 e R2 .
n=0
∞
X
Allora il prodotto di Cauchy delle serie, cioè la serie di potenze cn xn , dove
n=0
n
X
cn = ak bn−k ,
k=0
n
X n
X
k n−k
(ak x )(bn−k x )= ak bn−k xn = cn xn ,
k=0 k=0
∞
X
per il Teorema di Mertens sul prodotto di serie, la serie cn xn converge. In particolare
n=0
( ∞
)
X
n
(−Rm , Rm ) ⊆ x∈R: cn x è convergente .
n=0
196 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
∞
X
Quindi il raggio di convergenza R della serie cn xn è tale che
n=0
( ∞
)
X
R = sup x ∈ R : cn xn è convergente ≥ sup(−Rm , Rm ) = Rm .
n=0
Infine, sempre per il Teorema di Mertens sul prodotto di serie, si ha che se x ∈ R con
|x| < Rm , allora ! !
∞
X ∞
X ∞
X
cn xn = an xn bn xn .
n=0 n=0 n=0
∞
X
Dimostrazione. Denotiamo con R1 il raggio di convergenza della serie nan xn−1 .
n=1
Dimostriamo che R1 = R. Per assurdo supponiamo che R1 6= R.
Se fosse R1 > R, allora esisterebbe x ∈ R con R < |x| < R1 tale che la serie
∞
X
nan xn−1 convergerebbe assolutamente. Poiché |an xn−1 | ≤ |nan xn−1 | per ogni n ≥ 1,
n=1
∞
X
per il Criterio del confronto anche an xn−1 convergerebbe assolutamente. Essendo
n=1
∞
X ∞
X ∞
X
n n−1
|an xn−1 |,
|an x | = an−1 x = |x|
n=1 n=2 n=1
∞
X
per il Criterio del confronto anche an xn convergerebbe assolutamente: assurdo perché
n=0
|x| > R. Quindi R1 ≤ R.
2.2 Integrazione e derivazione termine a termine per le serie di potenze 197
∞
X
Se fosse R1 < R, allora esisterebbe x ∈ R con R1 < |x| < R tale che la serie an xn
n=0
∞
X
convergerebbe assolutamente. Sia t ∈ R tale che |x| < t < R. Quindi anche an tn
n=0
convergerebbe assolutamente. Poiché
n
|x|
lim(n + 1) = 0,
n t
|x| n
fissato ε > 0 esiste n0 ∈ N tale che per ogni n ≥ n0 si ha (n + 1) t ≤ ε. Allora
n
n|x| ε
|(n + 1)an+1 x | = (n + 1) |an+1 |tn ≤ |an+1 |tn+1 .
t t
Essendo
∞ ∞
X tX ε
|an tn | = |a tn+1 ,
n=1
ε n=0 t n+1|
∞
X ∞
X
per il Criterio del confronto anche (n + 1)an+1 xn = nan xn−1 convergerebbe as-
n=0 n=1
solutamente: assurdo perché |x| > R1 . Quindi R1 ≥ R. Ne segue che R1 = R.
Infine, applicando il Teorema di derivazione per serie (vedi Teorema (1.11)) alla
∞
X
serie di potenze an xn , si ha che
n=0
∞
! ∞ ∞
X X X
∀x ∈ (−R, R) : D an xn = D (an xn ) = nan xn−1 .
n=0 n=0 n=1
1
Dimostrazione. Poiché an xn = D n+1 an+1 x
n+1 , dove D è l’operatore di derivazione,
per il teorema precedente anche il raggio di convergenza della serie di potenze
∞
X 1
an xn+1 è R. Inoltre, per ogni x appartenente all’intervallo di convergenza,
n=0
n + 1
198 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
∞
X
la serie di potenze an tn converge uniformemente nell’intervallo di estremi 0 e x, non
n=0
necessariamente in questo ordine. Applicando il Teorema di integrazione per serie (ve-
∞
X
di Teorema (1.10)) alla serie di potenze an xn si ha che per ogni x appartenente
n=0
all’intervallo di convergenza
Z ∞
! ∞ Z ∞
x X X x X 1
n n
an t dt = an t dt = an xn+1 .
0 n=0 n=0 0 n=0
n + 1
2.3 Approfondimenti: dimostrazione del Teorema di Abel 199
∞
X
(2.3) Teorema (di Abel) Siano an xn una serie di potenze e R ∈ (0, +∞)
n=0
il suo raggio di convergenza.
∞
X
Se la serie di potenze an xn converge anche in x = R (risp. x = −R), allora
n=0
converge uniformemente in ogni intervallo [−k, R] (risp. [−R, k]), con 0 < k < R.
In particolare, se converge in x = ±R, allora converge uniformemente in [−R, R].
Poniamo b0 = c0 = 0 e
n+j j
x X
∀j = 1, . . . , n : bj = , γj = an+j Rn+j , cj = γm .
R m=1
Osserviamo che
p
X p
X
bj γj = bp cp − (bj − bj−1 )cj−1 .
j=1 j=1
Poiché
p
X
(bj cj − bj−1 cj−1 ) = (b1 c1 − b0 c0 ) + (b2 c2 − b1 c1 ) + · · · + (bp cp − bp−1 cp−1 ) = bp cp ,
j=1
si ottiene che
p
X p
X p
X
bj γj + (bj − bj−1 )cj−1 = (bj cj − bj−1 cj−1 ) = bp cp
j=1 j=1 j=1
x n+j
Essendo bj = R , γj = an+j Rn+j e
j
X j
X
cj = γm = an+m Rn+m = Sn+j (R) − Sn (R),
m=1 m=1
Poiché n+j !
p n+j−1
X x x
− =
j=1
R R
n n+1 n+1 n+2 n+p−1 n+p
x x x x x x
= − + − + ··· − =
R R R R R R
n n+p
x x
= − ≤ 2,
R R
2.3 Approfondimenti: dimostrazione del Teorema di Abel 201
3
Uno spazio normato è completo se ogni successione di Cauchy in questo spazio è convergente (vedi
Appendice F).
3
Si osservi che sup ≤ max sup , sup .
x∈[−k,R] x∈[−k,k] x∈[0,R]
202 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
dove f (n) (x0 ) è la derivata n-esima di f in x0 (con la convenzione che f (0) (x0 ) =
f (x0 )).
Se x0 = 0 la serie di Taylor è anche detta serie di McLaurin.
1 (n)
f (x) = f (x0 ) + f ′ (x0 )(x − x0 ) + · · · + f (x0 )(x − x0 )n + o ((x − x0 )n ) , x → x0
n!
n
X 1
= f (k) (x0 )(x − x0 )k + o ((x − x0 )n ) , x → x0 ,
k=0
k!
n
X 1
dove f (k) (x0 )(x − x0 )k è il Polinomio di Taylor di f di grado (o ordine) n.
k=0
k!
Osserviamo che la somma parziale n-esima della serie di Taylor di f è proprio questo
polinomio.
Poiché la serie di Taylor appare come una generalizzazione dello sviluppo di Taylor,
è lecito chiedersi se la serie di Taylor della funzione f converge a f , cioè se per ogni x
appartenente all’intervallo di convergenza della serie di Taylor di f si ha che
∞
X 1
f (x) = f (n) (x0 )(x − x0 )n .
n=0
n!
Ne segue che
∞
X 1
∀x 6= 0 : f (x) 6= f (n) (0)xn .
n=0
n!
che essendo una serie geometrica con ragione x converge se e solo se x ∈ (−1, 1), e in tal
caso
∞
X 1
∀x ∈ (−1, 1) : xn = = f (x).
n=0
1−x
Allora f è analitica in x0 .
Dimostrazione. Proviamo che esiste µ > 0 tale che per ogni n ∈ N e per ogni x ∈
(x0 − δ, x0 + δ)
n!
(2.26) |f (n) (x)| ≤ µ .
δn
204 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
n! n!
Poiché lim = +∞, esiste n0 ∈ N tale che per ogni n > n0 si ha δn ≥ 1. Poniamo
n δn
n! M
C = min : n = 0, . . . , n0 , ν = min{C, 1}, µ= .
δn ν
Poiché
n!
∀n ∈ N, ≥ ν,
δn
ne segue che per ogni n ∈ N e per ogni x ∈ (x0 − δ, x0 + δ)
M M n! n!
|f (n) (x)| ≤ M = ·ν ≤ · n = µ n.
ν ν δ δ
Sia x ∈ (x0 − δ, x0 + δ). Per la Formula di Taylor con il resto di Lagrange, per ogni
n ∈ N esiste tn compreso fra x0 e x (non necessariamente in questo ordine) tale che
1
f (x) − Pn (x) = f (n+1) (tn )(x − x0 )n+1 .
(n + 1)!
Quindi
1
(n+1)
(tn ) |x − x0 |n+1 ≤
|f (x) − Pn (x)| = f
(n + 1)!
per (2.26)
n+1
1 (n + 1)! |x − x0 |
≤ µ n+1 |x − x0 |n+1 = µ .
(n + 1)! δ δ
|x−x0 |
Poiché |x − x0 | < δ, si ha che δ < 1 e di conseguenza
n+1
|x − x0 |
lim = 0.
n δ
Per il Secondo criterio del confronto (sui limiti) si ha che per ogni x ∈ (x0 − δ, x0 + δ)
∞
X
(2.27) Teorema Sia an xn una serie di potenze con raggio di convergenza
n=0
∞
X
R ∈ (0, +∞] e per ogni x ∈ (−R, R) sia f (x) = an xn la somma della serie.
n=0
Allora f è di classe C ∞ su (−R, R) e per ogni n ∈ N si ha che f (n) (0) = n! an . In
particolare f è analitica in x0 = 0 e il suo sviluppo in serie di McLaurin è
∞
X
an xn .
n=0
Gli sviluppi in serie notevoli di McLaurin sono quelli delle funzioni di cui sono già noti
gli sviluppi di McLaurin.
1) Si ha che
∞
X 1
∀x ∈ R : ex = xn .
n=0
n!
Infatti, la funzione f (x) = ex è di classe C ∞ su R e per ogni n ∈ N e x ∈ R si ha
che f (n) (x) = ex . Quindi se x0 ∈ R, per ogni δ > 0 si ha che
(n)
f (x) = ex ≤ ex0 +δ .
∀n ∈ N, ∀x ∈ (x0 − δ, x0 + δ),
2) Si ha che
∞
X (−1)n
∀x ∈ R : sin x = x2n+1 .
n=0
(2n + 1)!
Infatti, la funzione f (x) = sin x è di classe C ∞ su R e per ogni n ∈ N e x ∈ R si
ha che (
(n)
(−1)k sin x se n = 2k
f (x) =
(−1)k cos x se n = 2k + 1.
Quindi |f (n) (x)| ≤ 1 per ogni n e per ogni x ∈ R. Per il Teorema (2.25) f è
analitica in ogni x0 ∈ R. In particolare per x0 = 0 si ha
(
0 se n = 2k
(n)
f (0) =
(−1)k se n = 2k + 1.
Quindi
∞ ∞
X 1 (n)
X (−1)n
∀x ∈ R : f (x) = sin x = f n
(0) x = x2n+1 .
n=0
n! n=0
(2n + 1)!
3) Si ha che
∞
X (−1)n
∀x ∈ R : cos x = x2n .
n=0
(2n)!
Infatti, la funzione f (x) = cos x è di classe C ∞ su R e per ogni n ∈ N e x ∈ R si
ha che (
(n)
(−1)k cos x se n = 2k
f (x) =
(−1)k+1 sin x se n = 2k + 1.
Quindi |f (n) (x)| ≤ 1 per ogni n e per ogni x ∈ R. Per il Teorema (2.25) f è
analitica in ogni x0 ∈ R. In particolare per x0 = 0 si ha
(
(−1)k se n = 2k
f (n) (0) =
0 se n = 2k + 1.
Quindi
∞ ∞
X 1 X (−1)n
∀x ∈ R : f (x) = cos x = f (n) (0) xn = x2n .
n=0
n! n=0
(2n)!
4) Si ha che
∞
X 1
∀x ∈ R : sinh x = x2n+1 .
n=0
(2n + 1)!
Infatti, per ogni x ∈ R
∞ ∞
!
ex − e−x 1 X 1 n
X (−1)n n
sinh x = = x − x =
2 2 n=0
n! n=0
n!
2.4 Serie di Taylor 207
poiché le due serie di potenze hanno lo stesso raggio di convergenza R = +∞, dal
Teorema (2.16) e dall’Osservazione (2.17) segue che
∞ ∞
1X 1 (−1)n X 1
= − xn = x2n+1 .
2 n=0 n! n! n=0
(2n + 1)!
5) Si ha che
∞
X 1
∀x ∈ R : cosh x = x2n .
n=0
(2n)!
Infatti, per ogni x ∈ R
∞ ∞
!
ex + e−x 1 X 1 n
X (−1)n n
cosh x = = x + x =
2 2 n=0
n! n=0
n!
poiché le due serie di potenze hanno lo stesso raggio di convergenza R = +∞, dal
Teorema (2.16) e dall’Osservazione (2.17) segue che
∞ ∞
1X 1 (−1)n X 1
= + xn = x2n .
2 n=0 n! n! n=0
(2n)!
6) Si ha che
∞ ∞
X (−1)n−1 X (−1)n
∀x ∈ (−1, 1] : log (1 + x) = xn = xn+1 .
n=1
n n=0
n+1
Integrando termine a termine (vedi Teorema (2.20)) si ha che per ogni x ∈ (−1, 1)
Z x Z ∞
xX ∞ Z x ∞
1 X X 1
dt = tn dt = tn dt = xn+1 .
0 1−t 0 n=0 n=0 0 n=0
n + 1
Z x 1
Poiché dt = − log (1 − x), si ha che
0 1−t
∞
X 1
∀x ∈ (−1, 1) : log (1 − x) = − xn+1 .
n=0
n + 1
∞
X 1
Osserviamo che per il Criterio di Leibniz la serie xn+1 converge anche in
n=0
n + 1
x = −1. Infatti,
∞ ∞
X 1 X (−1)n+1
x = −1 =⇒ xn+1 = .
n=0
n+1 n=0
n+1
208 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Poiché per l’Osservazione (2.5) la somma g della serie è continua in [−1, 1), essendo
g(x) = − log (1 − x) per ogni x ∈ (−1, 1), si ha che
Quindi
∞
X 1
∀x ∈ [−1, 1) : log (1 − x) = − xn+1 .
n=0
n + 1
Sostituendo −x al posto di x si ottiene
∞ ∞
X (−1)n X (−1)n−1
∀x ∈ (−1, 1] : log (1 + x) = xn+1 = xn .
n=0
n+1 n=1
n
In particolare
∞ ∞
X (−1)n X (−1)n−1
=− = − log 2.
n=1
n n=1
n
7) Si ha che
∞
X (−1)n
∀x ∈ [−1, 1] : arctan x = x2n+1 .
n=0
2n + 1
Infatti, dall’Esempio (2.24) si ha che
∞
1 X
∀x ∈ (−1, 1) : = xn
1 − x n=0
Integrando termine a termine (vedi Teorema (2.20)) si ha che per ogni x ∈ (−1, 1)
Z Z ∞ ∞ Z ∞
x 1 xX
n 2n
X x
n 2n
X (−1)n
dt = (−1) t dt = (−1) t dt = x2n+1 .
0 1 + t2 0 n=0 n=0 0 n=0
2n + 1
Z x 1
Poiché dt = arctan x, si ha che
0 1 + t2
∞
X (−1)n
∀x ∈ (−1, 1) : arctan x = x2n+1 .
n=0
2n + 1
∞
X (−1)n
Osserviamo che per il Criterio di Leibniz la serie x2n+1 converge anche
n=0
2n + 1
in x = ±1. Infatti,
∞ ∞
X (−1)n X (−1)n
x = ±1 =⇒ x2n+1 = ± .
n=0
2n + 1 n=0
2n + 1
2.4 Serie di Taylor 209
Poiché per l’Osservazione (2.5) la somma g della serie è continua in [−1, 1], essendo
g(x) = arctan x per ogni x ∈ (−1, 1), si ha che
π
g(−1) = lim g(x) = lim arctan x = arctan (−1) = − ,
x→(−1)+ x→(−1)+ 4
π
g(1) = lim− g(x) = lim− arctan x = arctan 1 = .
x→1 x→1 4
Quindi
∞
X (−1)n
∀x ∈ [−1, 1] : arctan x = x2n+1 .
n=0
2n + 1
8) Si ha che
(−1, 1) se α ≤ −1
!
∞
(−1, 1] se −1 < α < 0
X α n
(1 + x)α = x , ∀x ∈
n=0
n
[−1, 1] se α ≥ 0, α 6∈ N
R se α ≥ 0, α ∈ N,
α(α − 1) · · · (α − (n − 1))
!
α se n ∈ N, n ≥ 1
dove per ogni α ∈ R si ha che = n!
n
α se n = 0.
! ∞
α n X
Consideriamo la serie di potenze x e determiniamo il suo raggio di con-
n=0
n
vergenza. Consideriamo inizialmente α 6∈ N. Utilizziamo il Teorema del rapporto.
Si ha che
α
n+1 α(α − 1) · · · (α − (n − 1))(α − n) n!
α = · =
n (n + 1)! α(α − 1) · · · (α − (n − 1))
α(α − 1) · · · (α − (n − 1))(α − n) n! = |α − n| .
=
·
(n + 1) n! α(α − 1) · · · (α − (n − 1)) n+1
Quindi
α
n+1 |α − n|
lim α = lim = 1.
n
n
n n+1
Ne segue che il raggio di convergenza della serie di potenze è R = 1. Quindi !
la serie
∞
X α n
converge assolutamente in (−1, 1). Per ogni x ∈ (−1, 1) sia g(x) = x la
n=0
n
somma della serie. Derivando termine a termine (vedi Teorema (2.19)) si ha che
per ogni x ∈ (−1, 1) !
∞
′ α n−1X
g (x) = n x .
n=1
n
210 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
∞
!
∞ ∞
! " ! !#
X α n
X α n X α α
= (n + 1) x + n x = (n + 1) +n xn .
n=0
n + 1 n=0
n n=0
n + 1 n
Osserviamo che ! !
α α
(n + 1) +n =
n+1 n
(1 + x)g′ = αg,
che è del primo ordine a variabili separabili. L’unica soluzione costante è g(x) = 0
per ogni x ∈ (−1, 1). Per g 6= 0, ricordando che x ∈ (−1, 1), le altre soluzioni sono
date da Z Z
1 1
dg = α dx
g 1+x
log |g| = α log (1 + x) + c, c∈R
log |g| = log [c(1 + x)α ], c>0
|g| = c(1 + x)α , c>0
g(x) = c(1 + x)α , c 6= 0.
Poiché g(x) = 0 è soluzione, tutte le soluzioni dell’equazione sono
Quindi la somma della serie è una funzione della forma g(x) = c(1 + x)α , per
qualche c ∈ R. Poiché per x = 0 la somma della serie è g(0) = 1, si ottiene c = 1.
Quindi la somma della serie è g(x) = (1 + x)α , cioè
∞
!
α
X α n
∀x ∈ (−1, 1) : (1 + x) = x .
n=0
n
Inoltre si dimostra che per certi α 6∈ N la serie converge alla funzione somma
g(x) = (1 + x)α anche per x = −1 e/o per x = 1. Più precisamente si ha che
(−1, 1) se α ≤ −1
x∈ (−1, 1] se −1 < α < 0
[−1, 1] se α ≥ 0, α 6∈ N.
Se α = m ∈ N, allora
! !
α m m(m − 1) · · · (m − (n − 1))
∀n ≥ m + 1 : = = = 0.
n n n!
∞
!
X α n
Quindi la serie x ha solo un numero finito di termini non nulli. Più
n=0
n
precisamente si ha che
∞
! m
! !
X α n X α n m 2
x = x = 1 + mx + x + · · · + m xm−1 + xm = (1 + x)m
n=0
n n=0
n 2
∞
Xxn
Consideriamo la serie di potenze . Per x = 12 si ottiene la serie numerica di
n=2
n(n − 1)
partenza. Si vede facilmente che il raggio di convergenza di questa serie è R = 1 e che
la serie converge anche in x = ±1. Quindi la serie di potenze converge puntualmente e
212 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
si ha che
∞ ∞ Z
X xn X 1 x
= tn−1 dt =
n=2
n(n − 1) n=2
n − 1 0
Z ∞ Z
xX (−1)k−1 x
=− (−t)k dt = − log (1 − t) dt =
0 k=1
k 0
| {z }
=log (1−t)
Le ultime tre righe hanno senso solo se x ∈ [−1, 1). Quindi per ogni x ∈ [−1, 1) la
somma della serie è
f (x) = (1 − x) log (1 − x) + x.
Poiché per l’Osservazione (2.5) la somma f della serie è continua in [−1, 1], si ha che
Le serie di potenze possono essere introdotte in modo del tutto analogo anche nel campo
C dei numeri complessi.
Per le serie di potenze complesse continuano a valere i Teoremi della radice e del
rapporto, dove in tal caso il simbolo | · | indica in modulo in C.
214 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
3 Serie di Fourier
Poiché le funzioni f (x), cos αx e sin αx sono integrabili in [−π, π] (risp. in [0, T ]),
anche f (x) cos αx e f (x) sin αx sono integrabili4 in [−π, π] (risp. in [0, T ]) e quindi
3 Serie di Fourier 217
a0 , an , bn ∈ R, per ogni n ≥ 1.
−3π −2π −π O π 2π 3π x
dove
Z π Z π
1 1 π
a0 = f (x) dx = x dx =
2π −π π 0 2
e per ogni n ≥ 1
Z π Z π
1 2
an = f (x) cos nx dx = x cos nx dx =
π −π π 0
π
2 1 2
=− − cos nx = [cos nπ − 1] =
nπ n 0 n2 π
(
2 0 se n = 2m,
= [(−1)n − 1] = 4 m ∈ N.
n2 π (2m+1)2 π se n = 2m + 1,
4
Si ricorda che se f e g sono integrabili in [a, b], allora anche f g è integrabile in [a, b]. Infatti,
1
f (x)g(x) = (f (x) + g(x))2 − (f (x) − g(x))2 .
4
218 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
∞
π 4 X 1
− cos [(2n + 1)x].
2 π n=0 (2n + 1)2
3) la convergenza è uniforme?
1 1
(3.7)
(2n + 1)2 cos [(2n + 1)x] ≤ .
(2n + 1)2
∞
X 1
Poiché la serie converge, per il Criterio di Weierstrass la serie di Fourier
n=1
(2n + 1)2
converge totalmente, e quindi anche uniformemente, assolutamente e puntualmente su
R. Quindi in questo caso abbiamo risposto a due delle tre domande che ci siamo posti.
Nel prossimo paragrafo, vedremo che sotto opportune ipotesi è possibile rispondere anche
alla domanda 2) e, più precisamente, è possibile determinare la somma della serie (per
la serie di Fourier in questione si veda l’Osservazione (3.19)).
3 Serie di Fourier 219
an b
ρn
ϑn
b
bn
Evidentemente si ha che
an = ρn sin ϑn , bn = ρn cos ϑn .
∞
X
= a0 + ρn sin (nx + ϑn )
n=1
220 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
che è l’espressione della serie di Fourier di f in termini di ampiezza e fase delle singole
armoniche.
In virtù della proprietà b) della Proposizione (3.2) possiamo considerare solo le funzioni
periodiche di periodo 2π ed enunciare i risultati per queste funzioni. Infatti, se f è
T
periodica di periodo T 6= 0, allora la funzione g(x) = f 2π x è periodica di periodo 2π.
(3.12) Esempio La funzione f (x) = |x| è classe C 1 a tratti su ogni intervallo [a, b] ⊆ R
ma non è C 1 su R.
Inoltre si ha che
Z π ∞
X
|f (x)|2 dx = 2πa20 + π a2n + b2n . Identità di Parseval
−π n=1
lim an = lim bn = 0.
n n
222 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
f (x) − f (x−
0)
f ′ (x−
0 ) = lim− ∈ R, (pseudo derivata sinistra di f in x0 )
x→x0 x − x0
f (x) − f (x+
0)
f ′ (x+
0 ) = lim+ ∈ R, (pseudo derivata destra di f in x0 )
x→x0 x − x0
dove f (x− +
0 ) = lim f (x) e f (x0 ) = lim f (x).
x→x−
0 x→x+
0
1
Allora la serie di Fourier di f calcolata in x0 converge a f (x−
0 ) + f (x+
0 ) .
2
Inoltre, se f è anche continua in x0 , allora la serie di Fourier di f calcolata in x0
converge a f (x0 ).
Le serie di Fourier si possono introdurre in modo del tutto analogo anche per funzioni
complesse di una variabile reale.
Premettiamo la seguente
(3.23) Definizione Sia f : [a, b] → C una funzione. Quindi per ogni x ∈ [a, b]
si ha che f (x) = Re (f ) (x) + iIm (f ) (x), dove Re (f ) , Im (f ) : [a, b] → R sono
rispettivamente la parte reale e la parte immaginaria di f .
Diciamo che f è integrabile su [a, b] se Re (f ) e Im (f ) sono integrabili su [a, b] e
in tal caso si ha che
Z b Z b Z b
f (x) dx = Re (f ) (x) dx + i Im (f ) (x) dx.
a a a
La nozione di serie di Fourier per una funzione complessa di una variabile reale
periodica di periodo 2π è la stessa introdotta per le funzioni reali.
Posto
c0 = a0 ,
1
∀n ≥ 1 : cn = (an − ibn ),
2
1
∀n ≥ 1 : c−n = (an + ibn ),
2
essendo
einx + e−inx einx − e−inx
cos nx = , sin nx = ,
2 2i
3.1 Approfondimenti: Serie di Fourier complesse 225
si ha che
∞ ∞ ∞ +∞
X X X 5 X
a0 + an cos nx + bn sin nx = c0 + cn einx + c−n e−inx = cn einx
n=1 n=1 n=1 n=−∞
5
Si è posto formalmente
−1 ∞
X X
cn einx =
x c−k e−ikx .
n=−∞
k=1
k=−n
226 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Appendice F
Spazi normati
b) kvk = 0 se e solo se v = 0;
è una norma su Rn .
(1.3) Esempio Sia Ω ⊆ Rm non vuoto. Denotiamo con B(Ω) l’insieme delle funzioni
f : Ω → R limitate. Osserviamo che B(Ω) è uno spazio vettoriale su R.
La funzione k · k∞ : B(Ω) → R definita da
227
228 S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
(1.4) Definizione Siano V uno spazio normato munito della norma k · k e (vn )
una successione in V .
Diciamo che (vn ) è di Cauchy in V se per ogni ε > 0 esiste n0 ∈ N tale che per
ogni n, m ≥ n0 si ha kvn − vm k < ε.
(1.5) Definizione Siano V uno spazio normato munito della norma k · k, (vn )
una successione in V e v ∈ V .
Diciamo che (vn ) converge a v in V (o che (vn ) è convergente a v in V ) se
lim kvn − vk = 0.
n
Dimostrazione. Sia ε > 0. Poiché lim kvn − vk = 0, allora esiste n0 ∈ N tale che per
n
ogni n ≥ n0 si ha kvn − vk < 2ε . Quindi per ogni n, m ≥ n0 si ha
ε ε
kvn − vm k ≤ kvn − vk + kv − vm k < + = ε.
2 2