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Esercizi di Matematica II
Francesco Bottacin
A.A. 2002/03
Capitolo 1
Spazi Vettoriali
1. Richiami di teoria
1.1. Spazi vettoriali
Sia C un campo fissato (usualmente C `e il campo dei numeri reali R oppure
il campo dei numeri complessi C).
Definizione 1.1. Uno spazio vettoriale su C `e un insieme V dotato di una
operazione +V , detta somma,
+V : V V V,
(v1 , v2 ) 7 v1 +V v2 ,
e di una operazione V
V : C V V,
(, v) 7 V v,
detta prodotto per uno scalare, che soddisfano le seguenti propriet`a: per
ogni , 1 , 2 C e ogni v, v1 , v2 V si ha
(1)
(2)
(3)
(4)
(5)
(6)
(7)
(8)
(v1 +V v2 ) +V v3 = v1 +V (v2 +V v3 );
v1 +V v2 = v2 +V v1 ;
esiste un elemento 0V V tale che v +V 0V = 0V +V v = v;
per ogni v V esiste un elemento v 0 V tale che v+V v 0 = v 0 +V v =
0V . Tale elemento v 0 viene indicato con v e detto lopposto di v;
V (v1 +V v2 ) = ( V v1 ) +V ( V v2 );
(1 + 2 ) V v = (1 V v) +V (2 V v);
(1 2 ) V v = 1 V (2 V v);
1 V v = v.
Gli elementi di uno spazio vettoriale V sono detti vettori. Gli elementi
del campo C sono detti scalari.
Dora in poi, qualora non vi sia pericolo di confusione, loperazione di
somma in uno spazio vettoriale V sar`a indicata semplicemente con + mentre
il simbolo del prodotto per uno scalare sar`a omesso: si scriver`a quindi v1 +v2
al posto di v1 +V v2 e v al posto di V v.
Consideriamo ora uno spazio vettoriale V , definito sul campo C.
1. Spazi Vettoriali
`e un sottospazio vettoriale di V .
Lanaloga propriet`a non vale invece per lunione: se W1 e W2 sono due
sottospazi vettoriali di V , lunione W1 W2 non `e, in generale, un sottospazio
vettoriale di V .
1. Richiami di teoria
cio`e gli elementi di L(S) sono quei vettori di V che si possono esprimere
come combinazione lineare di un numero finito di elementi di S.
Se S = {v1 , v2 , . . . , vm }, il sottospazio vettoriale L(S) verr`a spesso indicato con la notazione hv1 , v2 , . . . , vn i.
Dato che, come abbiamo gi`a visto, nel contesto degli spazi vettoriali loperazione di unione di due sottospazi non ha delle buone propriet`a (lunione
di due sottospazi vettoriali non `e un sottospazio vettoriale), tale operazione
viene sostituita dalloperazione di somma:
Definizione 1.7. Se W1 e W2 sono sottospazi vettoriali di V , la somma
W1 + W2 `e il sottospazio vettoriale L(W1 W2 ) generato da W1 W2 .
Da quanto detto prima si ha che
W1 + W2 = {1 w1 + 2 w2 | 1 , 2 C, w1 W1 , w2 W2 }.
Definizione 1.8. La somma di due sottospazi vettoriali W1 e W2 di V si
dice diretta, e si indica con W1 W2 , se si ha W1 W2 = 0.
Si verifica facilmente che se v W1 W2 allora v si pu`o scrivere in un
unico modo nella forma v = w1 + w2 , con w1 W1 e w2 W2 .
Definizione 1.9. Un insieme di vettori {v1 , v2 , . . . , vm } `e detto un insieme
di generatori di V se L{v1 , v2 , . . . , vm } = V . In tal caso si dice anche che i
vettori v1 , v2 , . . . , vm generano V .
Definizione 1.10. Uno spazio vettoriale V `e detto finitamente generato se
esiste un insieme finito di generatori di V .
La relazione fondamentale tra vettori linearmente indipendenti e insiemi
di generatori `e contenuta nel risultato seguente:
Proposizione 1.11. Sia V uno spazio vettoriale. Sia {v1 , v2 , . . . , vm } un
insieme di generatori di V e {w1 , w2 , . . . , wr } un insieme di vettori linearmente indipendenti. Allora r m.
1. Spazi Vettoriali
2. Esercizi
2. Esercizi
2.1. Definizioni
Esercizio 1. Si dica se gli insiemi seguenti sono degli spazi vettoriali:
(1) Linsieme delle funzioni reali definite nellintervallo [0, 1], continue,
positive o nulle, per le operazioni di addizione e di prodotto per un
numero reale.
(2) Linsieme delle funzioni reali f definite in R, tali che
lim f (x) = 0,
x+
x A, R.
2.2. Basi
Esercizio 2. Sia V lo spazio vettoriale dei polinomi, a coefficienti reali nella
variabile x, di grado 3. Si verifichi che gli insiemi seguenti sono delle basi
di V :
(1) {1, x, x2 , x3 };
1. Spazi Vettoriali
(2) {1, 1 x, x x2 , x2 x3 };
(3) {1, 1 + x, 1 + x + x2 , 1 + x + x2 + x3 }.
Esercizio 3. Nello spazio vettoriale V dei polinomi di grado 2 si considerino i polinomi
p1 (x) = x2 + x(1 x) + (1 x)2
p2 (x) = x2 + (1 x)2
p3 (x) = x2 + 1 + (1 x)2
p4 (x) = x(1 x).
` possibile estrarre da {p1 (x), p2 (x), p3 (x), p4 (x)} delle basi di V ? In caso
E
affermativo, trovarle tutte.
Esercizio 4. Nello spazio vettoriale delle funzioni continue da R in R, si
considerino le funzioni f1 (x) = sin x, f2 (x) = sin 2x e f3 (x) = sin 3x. Si
dica se queste funzioni sono linearmente indipendenti.
Esercizio 5. Si dica se, nei casi seguenti, i vettori v1 , v2 e v3 costituiscono
una base di R3 . In caso negativo si descriva il sottospazio da essi generato.
(1) v1 = (1, 1, 1), v2 = (3, 0, 1), v3 = (1, 1, 1);
(2) v1 = (1, 2, 3), v2 = (3, 0, 1), v3 = (1, 8, 13);
(3) v1 = (1, 2, 3), v2 = (1, 0, 1), v3 = (1, 10, 11).
Esercizio 6. In R4 i vettori seguenti formano:
(i ) un insieme libero (cio`e un insieme di vettori linearmente indipendenti)?
In caso affermativo, completarlo per ottenere una base di R4 , altrimenti
determinare le relazioni di dipendenza lineare tra di loro ed estrarre da
questo insieme di vettori almeno un insieme libero.
(ii ) un insieme di generatori? In caso affermativo, estrarne almeno una base
di R4 , altrimenti determinare la dimensione del sottospazio da essi generato.
(1) v1
v4
(2) v1
(3) v1
v4
Esercizio 7. Si determini una base del sottospazio vettoriale V di R5 costituito dai vettori (x1 , . . . , x5 ) che sono soluzioni del seguente sistema di
equazioni lineari:
x1 3x2 + x4 = 0
x2 + 3x3 x5 = 0
x + 2x + x x = 0.
1
2
3
4
2. Esercizi
` possibile
Esercizio 8. In R4 siano v1 = (1, 2, 3, 4) e v2 = (1, 2, 3, 4). E
determinare due numeri reali x e y in modo tale che (x, 1, y, 1) L{v1 , v2 }?
(Ricordiamo che L{v1 , v2 } indica il sottospazio generato dai vettori v1 e v2 .)
Esercizio 9. Sia V uno spazio vettoriale. Si dica se le affermazioni seguenti
sono vere o false.
(1) Se i vettori v1 , v2 e v3 sono a due a due non proporzionali allora la
famiglia {v1 , v2 , v3 } `e libera.
(2) Se nessuno fra i vettori v1 , . . . , vr `e combinazione lineare dei vettori
rimanenti allora la famiglia {v1 , . . . , vr } `e libera.
Esercizio 10. In R4 siano v1 = (0, 1, 2, 1), v2 = (1, 0, 2, 1), v3 =
(3, 2, 2, 1), v4 = (0, 0, 1, 0), v5 = (0, 0, 0, 1). Si dica se le affermazioni
seguenti sono vere o false.
(1) L{v1 , v2 , v3 } = L{(1, 1, 0, 0), (1, 1, 4, 2)};
(2) (1, 1, 0, 0) L{v1 , v2 } L{v2 , v3 , v4 };
(3) dim(L{v1 , v2 } L{v2 , v3 , v4 }) = 1;
(4) L{v1 , v2 } + L{v2 , v3 , v4 } = R4 ;
(5) L{v1 , v2 , v3 } + L{v4 , v5 } = R4 .
Esercizio 11. Si studi la dipendenza o lindipendenza lineare dei vettori seguenti, e si determini in ogni caso una base del sottospazio da essi
generato.
(1) (1, 0, 1), (0, 2, 2), (3, 7, 1), in R3 ;
(2) (1, 0, 0), (0, 1, 1), (1, 1, 1), in R3 ;
(3) (1, 2, 1, 2, 1), (2, 1, 2, 1, 2), (1, 0, 1, 1, 0), (0, 1, 0, 0, 1), in R5 .
Esercizio 12. Sia V lo spazio vettoriale dei polinomi in x, a coefficienti in
R, di grado n, con n intero positivo. Si dimostri che, per ogni a R,
linsieme
{1, x a, (x a)2 , . . . , (x a)n }
`e una base di V . Sia poi f (x) V ; si esprima f (x) come combinazione
lineare dei precedenti polinomi. Chi sono i coefficienti di tale combinazione
lineare?
Esercizio 13. Siano Ut = L{u1 , u2 } e Vt = L{v1 , v2 } due sottospazi di R4 ,
con u1 = (1, t, 2t, 0), u2 = (t, t, t, t), v1 = (t 2, t, 3t, t) e v2 = (2, t, 2t, 0).
(1) Si dica se esiste t R tale che Ut + Vt = R4 .
(2) Per quali t R si ha dim(Ut Vt ) = 1?
(3) Si determini una base di U1 V1 e la si estenda ad una base di R4 .
Esercizio 14. In R4 si considerino i sottospazi U = L{v1 , v2 , v3 } e V =
L{v4 , v5 }, dove v1 = (1, 2, 3, 4), v2 = (2, 2, 2, 6), v3 = (0, 2, 4, 4), v4 =
(1, 0, 1, 2) e v5 = (2, 3, 0, 1). Si determinino delle basi dei sottospazi U V ,
U, V e U + V .
1. Spazi Vettoriali
3. Soluzioni
3. Soluzioni
3.1. Definizioni
Svolgimento esercizio 1. Si tratta solo di verificare, caso per caso, se
tutte le condizioni necessarie alla definizione di uno spazio vettoriale sono
soddisfatte.
(1) In questo caso linsieme in questione non `e uno spazio vettoriale. In
effetti non `e neppure un gruppo abeliano rispetto alloperazione di somma,
in quanto non contiene gli opposti dei suoi elementi: se f `e una funzione
continua positiva o nulla, la funzione opposta f sar`a allora negativa o
nulla, e non apparterr`a dunque allinsieme in questione.
(2) Si verifica facilmente che linsieme in questione `e uno spazio vettoriale,
ricordando che, se limx+ f (x) e limx+ g(x) esistono, allora
lim (f + g)(x) = lim f (x) + lim g(x)
x+
x+
x+
e
lim (f g)(x) =
x+
lim f (x)
x+
lim g(x) .
x+
10
1. Spazi Vettoriali
3.2. Basi
Svolgimento esercizio 2. (1) Ogni polinomio f (x) V si scrive nella
forma
f (x) = a0 1 + a1 x + a2 x2 + a3 x3 ,
ci`o significa che i polinomi 1, x, x2 , x3 sono un insieme di generatori di V .
Vediamo se sono anche linearmente indipendenti: se a0 1 + a1 x + a2 x2 +
a3 x3 = 0V (0V indica lo zero dello spazio vettoriale V , cio`e il polinomio
nullo), allora, per il principio di identit`a dei polinomi, si deve avere a0 =
a1 = a2 = a3 = 0. Quindi {1, x, x2 , x3 } `e una base di V , da cui si deduce,
tra laltro che V ha dimensione 4.
(2) Anche in questo caso bisognerebbe dimostrare che i polinomi in questione sono un insieme di generatori e che sono linearmente indipendenti.
Tuttavia sapendo che dim V = 4, che `e anche il numero dei polinomi della
ipotetica base, `e sufficiente effettuare una sola delle due verifiche (perche?).
Verifichiamo allora, ad esempio, che questi sono un insieme di generatori, e
cio`e che ogni polinomio f (x) = a0 + a1 x + a2 x2 + a3 x3 si pu`o scrivere nella
forma 0 1 + 1 (1 x) + 2 (x x2 ) + 3 (x2 x3 ). Sviluppando i calcoli ed
uguagliando i coefficienti delle successive potenze di x, si ottiene il sistema
0 + 1 = a0
2 1 = a1
3 2 = a2
3 = a3
che ha come soluzione
2
1
= a3
= a2 a3
= a1 a2 a3
= a0 + a1 + a2 + a3
3. Soluzioni
11
0 + 1 + 2 + 3 = 0
1 + 2 + 3 = 0
2 + 3 = 0
3 = 0
che ha come unica soluzione 0 = 1 = 2 = 3 = 0. Si conclude cos` che i
polinomi in questione sono linearmente indipendenti, e dunque, essendo nel
numero giusto, sono una base di V .
Svolgimento esercizio 3. Lo spazio vettoriale V dei polinomi di grado 2
ha dimensione 3. Infatti una sua base `e costituita dai tre polinomi {1, x, x2 }
(ogni polinomio di grado 2 si scrive, in modo unico, come combinazione
lineare a0 1 + a1 x + a2 x2 di questi tre polinomi).
Con un semplice calcolo si verifica che p3 (x) = 2p1 (x), quindi, se da quei
quattro polinomi si pu`o estrarre una base, tale base deve essere data da
{p1 (x), p2 (x), p4 (x)} (o, equivalentemente, da {p2 (x), p3 (x), p4 (x)}). Tuttavia si verifica che p4 (x) = p2 (x) p1 (x), quindi i polinomi p1 (x), p2 (x) e
p4 (x) sono linearmente dipendenti e non costituiscono pertanto una base di
V . In conclusione, dai quattro polinomi dati non `e possibile estrarre una
base di V .
Svolgimento esercizio 4. Consideriamo una combinazione lineare a1 f1 +
a2 f2 + a3 f3 delle funzioni f1 , f2 e f3 . Supponiamo che tale combinazione
lineare sia nulla (cio`e sia la funzione nulla). Si ha dunque:
a1 sin x + a2 sin 2x + a3 sin 3x = 0,
x R.
Dato che lespressione precedente deve essere nulla per ogni valore di x,
attribuendo ad x dei valori particolari otteniamo (ad esempio):
a1 a3 = 0,
3
3
x = /3 :
a1 +
a2 = 0,
2
2
2
2
a1 + a2 +
a3 = 0.
x = /4 :
2
2
Lunica soluzione di tali equazioni `e: a1 = a2 = a3 = 0. Ci`o dimostra che le
tre funzioni date sono linearmente indipendenti.
x = /2 :
12
1. Spazi Vettoriali
1 + 32 3 = 0
1 + 3 = 0
= 0
1
2
3
che, risolto, fornisce 1 = 2 = 3 = 0. Ci`o dimostra che questi tre vettori
sono linearmente indipendenti e, di conseguenza, sono una base di R3 .
Svolgimento esercizio 6. (1) I cinque vettori dati sono sicuramenti linearmente dipendenti, dato che il numero massimo di vettori linearmente
indipendenti in R4 (che coincide con la dimensione dello spazio vettoriale) `e
4. Infatti si vede immediatamente che v5 = 2v1 + v4 . Si verifica inoltre, con
un facile calcolo, che i vettori v1 , v2 , v3 e v4 sono linearmente indipendenti,
e quindi costituiscono una base di R4 .
(2) I tre vettori dati sicuramente non sono dei generatori di R4 (che ha dimensione 4). Si verifica comunque che essi sono linearmente indipendenti.
Se introduciamo un quarto vettore v4 = (0, 0, 1, 0) (ad esempio), si verifica facilmente che v1 , v2 , v3 e v4 sono linearmente indipendenti, e quindi
costituiscono una base di R4 .
(3) Si verifica che i quattro vettori dati sono linearmente dipendenti, infatti
v4 = v1 + v2 + v3 . Pertanto essi non costituiscono una base di R4 . Si scopre
poi che anche v1 `e combinazione lineare di v2 e v3 , si ha infatti v1 = 23 v2 + 12 v3 .
In conclusione i vettori v1 e v4 appartengono al sottospazio generato da v2
e v3 . Infine si verifica facilmente che v2 e v3 sono linearmente indipendenti.
In conclusione, i quattro vettori dati generano un sottospazio di dimensione
2 di R4 , una cui base `e data, ad esempio, dai vettori v2 e v3 . Per ottenere
una base di R4 si possono considerare i vettori v2 , v3 , (0, 0, 1, 0) e (0, 0, 0, 1),
che sono, come si verifica facilmente, linearmente indipendenti.
Svolgimento esercizio 7. Risolvendo il sistema si ottiene (ad esempio
esplicitando x1 , x4 e x5 in funzione di x2 e x3 ):
1
1
x
=
x
x3
1
2
2
2
x5 = x2 + 3x3
5
1
x4 = x2 + x3
2
2
Tale sistema ha dunque infinite soluzioni, dipendenti da due parametri. In
altre parole, lo spazio V delle soluzioni ha dimensione 2. Per trovare una base di V `e allora sufficiente trovare due vettori, linearmente indipendenti, che
3. Soluzioni
13
siano soluzioni del sistema precedente. Tali vettori si trovano semplicemente attribuendo dei valori qualunque alle variabili libere x2 e x3 (facendo
attenzione a che i vettori trovati siano linearmente indipendenti!). In pratica sar`a sufficiente attribuire alle variabili libere alternativamente i valori 0
e 1; saremo cos` sicuri di ottenere dei vettori linearmente indipendenti (perche?). Ponendo dunque x2 = 1 e x3 = 0, si ottiene il vettore ( 12 , 1, 0, 52 , 1),
mentre per x2 = 0 e x3 = 1 si ha ( 12 , 0, 1, 12 , 3). Questi due vettori sono
una base di V .
Svolgimento esercizio 8. Il vettore (x, 1, y, 1) appartiene al sottospazio
generato da v1 e v2 se e solo se esso si pu`o esprimere come combinazione
lineare di v1 e v2 :
(x, 1, y, 1) = 1 v1 + 2 v2 .
La seconda e la quarta equazione del sistema ottenuto sono, rispettivamente:
21 22 = 1 e 41 42 = 1, che non hanno soluzioni comuni. Di
conseguenza (x, 1, y, 1) 6 L{v1 , v2 }.
Svolgimento esercizio 9. (1) Laffermazione `e falsa. Per dimostrarne la
falsit`a basta fornire un controesempio: sia V = R2 , v1 = (1, 0), v2 = (0, 1),
` evidente che tali vettori sono a due a due non proporzionali,
v3 = (1, 1). E
ma non possono essere linearmente indipendenti, dato che la dimensione di
R2 `e 2.
(2) Laffermazione in questione `e vera. Infatti se fosse falsa, cio`e se i vettori
v1 , . . . , vr fossero linearmente dipendenti, si avrebbe
1 v1 + 2 v2 + + r vr = 0,
con i coefficienti i non tutti nulli. Supponiamo allora che j 6= 0. Si ha
dunque
1 X
vj =
i v i ,
j i6=j
e quindi il vettore vj sarebbe combinazione lineare dei rimanenti, contro
lipotesi.
Svolgimento esercizio 10. Per semplicit`a di notazione poniamo u1 =
(1, 1, 0, 0) e u2 = (1, 1, 4, 2).
(1) Si ha: v1 = 21 (u1 + u2 ), v2 = 12 (u1 u2 ), v3 = 12 (5u1 u2 ), quindi
L{v1 , v2 , v3 } L{u1 , u2 }. Viceversa, si ha anche: u1 = v1 +v2 e u2 = v1 v2 ,
quindi L{u1 , u2 } L{v1 , v2 , v3 }. Quindi si conclude che L{v1 , v2 , v3 } =
L{u1 , u2 }.
(2) Abbiamo visto al punto (1) che u1 L{v1 , v2 }. Dato che u1 = 12 (v3 v2 ),
si ha anche u1 L{v2 , v3 , v4 }, e quindi u1 L{v1 , v2 } L{v2 , v3 , v4 }.
(3) Dato che v2 L{v1 , v2 } L{v2 , v3 , v4 }, si ha
dim(L{v1 , v2 } L{v2 , v3 , v4 }) 1.
14
1. Spazi Vettoriali
3. Soluzioni
15
n
X
f (i) (a)
i=0
i!
(x a)i .
1 + t2 = 2
t1 + t2 = t
2t1 + t2 = 2t
t2 = 0
che ha soluzione se e solo se t = 0. Quindi, per t = 0, si ha Ut = Vt , solo
che ora `e dim Ut = dim Vt = 1, e quindi anche in questo caso la dimensione
di Ut Vt `e 1. In conclusione, dim(Ut Vt ) = 1 per ogni t R.
(3) Per quanto visto nei punti precedenti, v1 `e una base di Ut Vt , per ogni
t. Ponendo t = 1 si ottiene dunque v1 = (1, 1, 3, 1). Per completare
questa base ad una base di R4 `e sufficiente trovare altri tre vettori w1 , w2
e w3 in modo che v1 , w1 , w2 , w3 siano linearmente indipendenti. Si verifica
facilmente che w1 = (1, 0, 0, 0), w2 = (0, 1, 0, 0) e w3 = (0, 0, 1, 0) vanno
bene.
16
1. Spazi Vettoriali
1 = 24
2 = 4
2
3
3 = 4
5 = 0.
Pertanto lo spazio vettoriale U V ha dimensione 1 ed una sua base `e data
dal vettore w che si ottiene ponendo, ad esempio, 4 = 2, nella soluzione
precedentemente trovata: w = 4v1 v2 3v3 = (2, 0, 2, 2).
Una base di U `e data dai vettori v1 , v2 e v3 , dato che essi sono linearmente
indipendenti (la verifica `e immediata).
Anche i vettori v4 e v5 sono linearmente indipendenti, quindi sono una
base di V .
Infine, si vede facilmente che i vettori v1 , v2 , v3 e v5 sono linearmente
indipendenti (mentre v4 `e combinazione lineare di v1 , v2 e v3 ). Pertanto lo spazio vettoriale U + V coincide con R4 e una sua base `e data da
{v1 , v2 , v3 , v5 } (oppure si prenda la base canonica di R4 ).
3. Soluzioni
17
18
1. Spazi Vettoriali
Capitolo 2
1. Richiami di teoria
1.1. Applicazioni lineari
Siano V e W due spazi vettoriali sul corpo C.
Definizione 1.1. Una funzione f : V W `e detta lineare se
f (v1 + v2 ) = f (v1 ) + f (v2 )
e
f (v) = f (v),
per ogni v, v1 , v2 V e per ogni C.
Osservazione 1.2. Nella letteratura matematica si incontra spesso la seguente terminologia. Una funzione lineare f : V W `e anche detta un
omomorfismo. Se f `e iniettiva `e chiamata monomorfismo, se `e suriettiva
`e chiamata epimorfismo, mentre se `e biiettiva `e detta isomorfismo. Una
funzione lineare f : V V `e chiamata endomorfismo. Se essa `e biiettiva `e
detta automorfismo.
Le due propriet`a che caratterizzano unapplicazione lineare si possono
riunire nella seguente uguaglianza:
f (1 v1 + 2 v2 ) = 1 f (v1 ) + 2 f (v2 ),
per ogni v1 , v2 V e per ogni 1 , 2 C.
Fissiamo ora una base {v1 , . . . , vn } di V e una base {w1 , . . . , wm } di W .
Se v V si scrive come
v = 1 v 1 + + n v n ,
dalla linearit`a di f segue che
f (v) = 1 f (v1 ) + + n f (vn ).
Quindi per conoscere f (v), per ogni v V , `e sufficiente conoscere le immagini dei vettori di base, f (vj ), per j = 1, . . . , n.
20
m
X
aij wi .
i=1
Si conclude quindi che la funzione f `e unicamente determinata dai coefficienti aij C, per i = 1, . . . , m, j = 1, . . . , n.
Definizione 1.3. La matrice A dellapplicazione lineare f : V W , rispetto alle basi di V e W fissate, `e linsieme dei coefficienti aij , organizzati
in uno schema rettangolare come segue:
1.2. Matrici
Richiamiamo ora le definizioni e i principali risultati della teoria delle matrici
che ci serviranno in seguito.
Definizione 1.5. Una matrice A, a coefficienti nel campo C, `e uno schema
rettangolare di numeri aij C, organizzati come segue:
1. Richiami di teoria
21
Si verifica senza difficolt`a che linsieme MC (m, n), con le operazioni di somma e prodotto per uno scalare appena introdotte, `e uno spazio vettoriale su
C di dimensione mn. Una sua base naturale `e costituita dalle matrici Eij i
cui elementi sono tutti nulli, tranne lelemento di posto ij che `e uguale a 1.
Sia ora A MC (m, n) e B MC (n, r) (cio`e il numero di colonne di A `e
uguale al numero di righe di B. Si definisce il prodotto (righe per colonne)
delle matrici A e B come segue: C = AB `e la matrice C = (cij ) MC (m, r)
i cui elementi sono dati dalla seguente espressione:
cij =
n
X
ail blj .
l=1
Si noti che il prodotto fra due matrici A e B non `e sempre definito, bisogna
infatti che il numero di colonne di A sia uguale al numero di righe di B. In
particolare pu`o essere definito il prodotto AB ma non il prodotto BA.
Proposizione 1.6. Il prodotto di matrici gode delle seguenti propriet`
a:
(1) Siano A, B MC (m, n) e C MC (n, r). Allora
(A + B)C = AC + BC;
(2) Siano A MC (m, n) e B, C MC (n, r). Allora
A(B + C) = AB + AC;
(3) Siano A MC (m, n), B MC (n, r) e C MC (r, s). Allora
A(BC) = (AB)C;
(4) Siano A, B MC (n, n). Allora in generale sar`
a
AB 6= BA;
(5) Esiste una matrice I MC (n, n) tale che
AI = I A = A
per ogni A MC (n, n). Tale matrice `e
1 0 0
0 1 0
I=
... ... . . . ...
0 0 1
ed `e lelemento neutro per il prodotto di matrici.
Osservazione 1.7. Il prodotto di matrici appena definito presenta delle
peculiarit`a che lo rendono molto diverso dal solito prodotto tra numeri:
non `e sempre definito; non `e commutativo, cio`e AB 6= BA in generale; `e
possibile che AB = 0 con A 6= 0 e B 6= 0 (esistono divisori dello zero); `e
possibile che An = 0 con A 6= 0 (esistono elementi nilpotenti). Particolare
22
1. Richiami di teoria
23
xn
A ... = 0.
xn
Si dimostra che il rango di una matrice A coincide con il massimo numero di
righe linearmente indipendenti, che coincide anche con il massimo numero
di colonne linearmente indipendenti.
24
m
X
aij wi
i=1
e
f (vj0 )
m
X
a0ij wi0
i=1
vj =
n
X
plj vl0
l=1
ove i plj sono gli elementi di una matrice quadrata P di ordine n. Con una
notazione pi`
u compatta, possiamo scrivere:
(v1 , . . . , vn ) = (v10 , . . . vn0 )P,
ove il prodotto `e il solito prodotto righe per colonne.
Dato che il ruolo delle due basi di V `e perfettamente simmetrico, si
deduce che si deve avere
(v10 , . . . , vn0 ) = (v1 , . . . vn )P 1 ,
e quindi la matrice P deve essere invertibile.
Un discorso analogo si pu`o fare per lo spazio vettoriale W . Si conclude
quindi che deve esistere una matrice invertibile Q, quadrata di ordine m,
tale che
0
(w1 , . . . , wm ) = (w10 , . . . wm
)Q,
e quindi
0
(w10 , . . . , wm
) = (w1 , . . . wm )Q1 .
2. Esercizi
25
n
X
l=1
n
X
plj f (vl0 )
plj
l=1
m
X
h=1
a0hl
n
X
l=1
m
X
plj
m
X
a0hl wh0
h=1
qkh wk =
k=1
m
X
X
k=1
!
plj a0hl qkh
wk ,
l,h
m
X
akj wk .
k=1
2. Esercizi
2.1. Definizioni
Esercizio 1. Si dica se sono lineari le seguenti funzioni:
(1) f : R2 R3 , (x, y) 7 (x y, x + y + 1, 0);
(2) f : R2 R2 , (x, y) 7 (2x, x + y);
(3) f : R2 R, (x, y) 7 sin(x y).
26
2. Esercizi
27
1 0
0 0
A =
1 0 1
0 0 0
` vero o falso che, per ogni R, esiste un omomorfismo : R4 R3
(1) E
tale che sia suriettivo?
(2) Per quali valori di esistono x, y, z R tali che, posto
1 x 0 0
B = 0 y 0 0
1 z 1 0
si abbia BA = I?
28
1 2 3
A = 1 1 1
1 1 1
rispetto alla base canonica. Si determini il rango di f e delle basi di Ker f
e di Im f .
Esercizio 16. Sia V uno spazio vettoriale di dimensione finita. Si dica
sotto quali condizioni su V esiste un endomorfismo : V V tale che
Ker = Im .
0
1
A=
0
1
della matrice
1 2 1
1 1 0
1 1 1
1 4 2
0 1 2
1 2 2
A=
1 1 a
0 a 2a
1 0
1 1
0 1
a2 0
3. Soluzioni
3.1. Applicazioni Lineari
Svolgimento esercizio 1. Ricordando la definizione di funzione lineare,
si tratta solo di controllare se f (v + w) = f (v) + f (w) e se f (v) = f (v),
per ogni scelta di vettori v e w e per ogni scalare . Si verifica cos`
immediatamente che solo la funzione al punto (2) `e lineare.
Svolgimento esercizio 2. Procedendo come nellesercizio precedente si
scopre che lunico valore di t che rende lineare questa funzione `e t = 0.
Svolgimento esercizio 3. Si verifica immediatamente che
f ((x1 , y1 ) + (x2 , y2 )) = f ((x1 , y1 )) + f ((x2 , y2 )),
quindi f `e additiva. Tuttavia
y,
f ((x, y)) = x + y = x +
mentre
f ((x, y)) = x +
y,
3. Soluzioni
29
2
0
1
3 1
1
A=
0 2 1 .
1
3 3
Svolgimento esercizio 6. Dalle ipotesi sappiamo che f (v1 ) = 2w1 + 3w2 ,
f (v2 ) = w1 + 2w2 , f (v3 ) = w1 3w2 .
(1) Sappiamo che le colonne della matrice A0 sono costituite dalle coordinate,
rispetto alla base {w1 , w2 }, delle immagini dei vettori della base {v10 , v20 , v30 }.
30
0 3 1
.
A =
1 0 5
(2) In modo del tutto analogo, le colonne della matrice A00 sono costituite
dalle coordinate, rispetto alla base {w10 , w20 }, delle immagini dei vettori della
base {v10 , v20 , v30 }. Si tratta dunque di esprimere i vettori f (v10 ), f (v20 ) e f (v30 )
in funzione dei vettori w10 e w20 . Bisogner`a pertanto esprimere i vettori w1
e w2 come combinazione lineare dei vettori della nuova base. Risolvendo il
sistema
(w1 + w2 ) = w10
2
1
(w1 w2 ) = w0
2
2
si ottiene
(
w1 = w10 + w20
0
w2 = w10 w20
da cui si ricava
3. Soluzioni
31
2
A = 2
1
0
0
1
1 .
2 1
1 + 32 3 = 0
21 2 + 53 = 0
+ 2 4 = 0
1
2
3
che, risolto, fornisce
1 = 32 + 3
2 = 3
0 = 0.
Si scopre cos` che esistono soluzioni non nulle e, di conseguenza, i tre vettori
sono linearmente dipendenti. Ponendo, ad esempio, 3 = 1, si ottiene 2 = 1
e 1 = 2, e quindi una relazione di dipendenza lineare fra i tre vettori `e la
seguente
2v1 + v2 + v3 = 0.
Se una tale f esiste, per linearit`a si deve avere
0 = f (2v1 + v2 + v3 ) = 2f (v1 ) + f (v2 ) + f (v3 ) = 2w1 + w2 + w3 ,
ma tale relazione non `e soddisfatta dai vettori w1 , w2 e w3 . Si conclude cos`
che non esiste nessuna applicazione lineare con le propriet`a richieste.
32
2 + 23 = 0
21 + 2 43 = 0
2 = 0
1
2
3
che, risolto, fornisce
2 = 23
1 = 33
0 = 0.
Si scopre cos` che esistono soluzioni non nulle e, di conseguenza, i tre vettori
sono linearmente dipendenti. Ponendo, ad esempio, 3 = 1, si ottiene 1 =
3 e 2 = 2, e quindi una relazione di dipendenza lineare fra i tre vettori
`e la seguente
3v1 2v2 + v3 = 0.
Se una tale f esiste, per linearit`a si deve avere
0 = f (3v1 2v2 + v3 ) = 3f (v1 ) 2f (v2 ) + f (v3 ) = 3w1 2w2 + w3 ,
e tale relazione `e effettivamente soddisfatta.
Consideriamo allora v1 e v2 e completiamoli ad una base di R3 aggiungendo, ad esempio, il vettore e3 = (0, 0, 1) (si controlli che v1 , v2 ed e3 sono
linearmente indipendenti). Dato che f `e determinata dalle immagini dei
vettori di una base, basta dire chi sono le immagini di v1 , v2 ed e3 . Ma
mentre le immagini di v1 e v2 sono fissate, limmagine di e3 non `e soggetta
ad alcuna condizione ed `e dunque arbitraria, poniamo allora f (e3 ) = (a, b).
Da quanto detto si deduce allora che esistono infinite applicazioni lineari
che soddisfano alle condizioni richieste, ed inoltre che tali applicazioni lineari dipendono da due parametri reali (che noi abbiamo indicato con a
e b). Per determinare le matrici di tali applicazioni rispetto alle basi canoniche dobbiamo conoscere le immagini dei vettori di base e1 , e2 ed e3 .
Dobbiamo quindi determinare i vettori della base canonica in funzione dei
vettori della base {v1 , v2 , e3 }. Dalle equazioni
v1 = 2e2 + e3
v2 = e1 + e2 2e3
3. Soluzioni
si ricava
33
3
1
e1 = v1 + v2 + e3
2
2
e2 = 1 v1 + 1 e3
2
2
e si ha quindi
5 3 3 3
1
3
f (e1 ) = f (v1 ) + f (v2 ) + f (e3 ) =
+ a, + b ,
2
2
2 2 2 2
1
3 1 1 1
1
f (e2 ) = f (v1 ) + f (e3 ) = + a, + b .
2
2
2 2 2 2
Le matrici richieste sono dunque tutte le matrici
5 3
+ 2 a 32 + 12 a a
2
A= 3 3
+ 2 b 12 + 12 b b
2
al variare di a, b R.
Osservazione: un altro modo per risolvere questo esercizio consiste nel
considerare una matrice incognita
a11 a12 a13
A=
a21 a22 a23
e nellimporre le condizioni Av1 = w1 e Av2 = w2 (si noti che la condizione
Av3 = w3 `e allora automaticamente soddisfatta). Si ottengono cos` 4 equazioni nelle 6 incognite aij che, una volta risolte, forniranno tutte le matrici
richieste.
Svolgimento esercizio 10. (1) Gli elementi di V sono i polinomi della
forma f (x) = a0 + a1 x + a2 x2 + a3 x3 + a4 x4 tali che f (0) = f (1) = 0, il che
equivale a richiedere che a0 = 0 e a0 + a1 + a2 + a3 + a4 = 0. Si ottiene
quindi
V = {(a2 + a3 + a4 )x + a2 x2 + a3 x3 + a4 x4 | a2 , a3 , a4 R},
che si verifica subito essere uno spazio vettoriale (cio`e chiuso rispetto alle
operazioni di somma e di prodotto per uno scalare). Inoltre, attribuendo
ad a2 , a3 , a4 i valori successivamente 1, 0, 0, poi 0, 1, 0, etc., si ottengono i
polinomi f1 (x) = x2 x, f2 (x) = x3 x, f 3 (x) = x4 x, che sono dunque
una base di V .
Gli elementi di W sono invece i polinomi della forma g(x) = b0 + b1 x +
b2 x2 + b3 x3 tali che
Z 1
(b0 + b1 x + b2 x2 + b3 x3 ) dx = 0,
0
34
Si ha dunque
1
1
1
2
3
W =
b1 + b2 + b3 + b1 x + b2 x + b3 x | b1 , b2 , b3 R ,
2
3
4
che si verifica facilmente essere uno spazio vettoriale. Ancora, attribuendo
a b1 , b2 , b3 i valori successivamente 1, 0, 0, poi 0, 1, 0, etc., si ottengono i
polinomi g1 (x) = x 21 , g2 (x) = x2 13 , g 3 (x) = x3 14 , che sono dunque
una base di W .
(2) Se f (x) V , si ha
Z 1
D(f (x)) dx = [f (x)]10 = f (1) f (0) = 0,
0
2 0 0
A = 0 3 0 .
0 0 4
Svolgimento esercizio 11. (1) Se : R3 R3 `e suriettivo, allora `e
anche iniettivo (e viceversa), ma questo implica che anche `e iniettivo, e
ci`o deve valere per ogni . Osserviamo per`o che limmagine di `e generata
dai vettori (1, 0, 1, 0), (, , 0, 0) e (0, 0, 1, 0), e quindi ha dimensione 2 se
= 0. Di conseguenza, almeno nel caso = 0, non `e iniettivo, quindi se
ne deduce che non esiste un omomorfismo con le caratteristiche richieste.
(2) Calcolando il prodotto, si ottiene:
1 (1 + x) 0
y
0
BA = 0
0 (z 1) 1
che `e la matrice identit`a se e solo se
(1 + x) = 0
y = 1
(z 1) = 0
che ammette soluzioni se e solo se 6= 0. (Si noti che B `e la matrice di
un omomorfismo : R4 R3 e che BA `e la matrice dellapplicazione
composta . Da quanto appena visto si deduce allora che, se 6= 0,
esiste tale che sia lidentit`a).
3. Soluzioni
35
1
0 2 0
2
1 .
A = 1 2
0 6 0 3
Im `e il sottospazio di W generato dai vettori (v1 ), (v2 ), (v3 ) e (v4 ).
Tra questi si trover`a dunque una base. In effetti, basta osservare che
(v3 ) = 2(v1 ) e (v2 ) = 2(v4 ), mentre (v1 ) e (v4 ) sono linearmente
indipendenti, per concludere che una base di Im `e costituita, ad esempio,
dai vettori (v1 ) e (v4 ). Si ha dunque dim(Im ) = 2 e, di conseguenza,
dim(Ker ) = dim(V ) dim(Im ) = 2. Per determinare una base di Ker
basta allora trovare due vettori linearmente indipendenti che appartengano
al nucleo di . Dalle relazioni tra i vettori (vi ) trovate precedentemente, e
dalla linearit`a di , si deduce che (2v1 + v3 ) = 0 e (v2 2v4 ) = 0, quindi i
due vettori 2v1 + v3 e v2 2v4 appartengono a Ker , ed essendo linearmente indipendenti, ne costituiscono una base. Infine il vettore w1 + w2 + w3
appartiene allimmagine di se e solo se `e combinazione lineare dei vettori
che costituiscono una base di Im . Si tratta allora di vedere se esistono due
scalari 1 e 2 tali che
w1 + w2 + w3 = 1 (v1 ) + 2 (v4 ) = 1 (w1 w2 ) + 2 (w2 3w3 ).
Si ottiene cos` il sistema
1 = 1
1 + 2 = 1
3 = 1,
2
x + 2y = 0
y+z =0
2z x = 0
da cui si ottiene
x = 2y
z = y.
36
Si scopre cos` che il nucleo di f contiene dei vettori non nulli, che ha dimensione 1 (nel sistema precedente c`e una sola variabile libera) e che il vettore
(2, 1, 1) (corrispondente alla scelta y = 1) ne `e una base (f non `e dunque
ne iniettivo ne suriettivo). La dimensione dellimmagine di f `e allora data
da
dim(Im f ) = dim(R3 ) dim(Ker f ) = 2,
e dato che Im f `e generato dallimmagine dei vettori di un base di R3 , per
esempio la base canonica, per trovare una base di Im f baster`a trovare,
fra questi, due vettori linearmente indipendenti. Calcolando f ((1, 0, 0)) =
(1, 0, 1) e f ((0, 1, 0)) = (2, 1, 0) ci accorgiamo che questi sono linearmente
indipendenti; possiamo dunque concludere che i vettori (1, 0, 1) e (2, 1, 0)
sono una base di Im f . Finalmente, ricordiamo che richiedere che la somma
di due sottospazi sia diretta equivale a richiedere che la loro intersezione
sia nulla (nel senso di {0}, non di !). Basta allora controllare se il vettore
(2, 1, 1), che genera Ker f , si pu`o scrivere come combinazione lineare dei
vettori che costituiscono una base di Im f :
(2, 1, 1) = 1 (1, 0, 1) + 2 (2, 1, 0).
Si ottiene cos` un sistema lineare che non ha soluzioni. Di conseguenza la
somma di Ker f e Im f `e diretta e, dal computo delle dimensioni, si deduce
che Ker f Im f = R3 .
Svolgimento esercizio 14. Le immagini dei vettori (1, 0, 0) e (0, 1, 0) costituiscono rispettivamente la prima e seconda colonna della matrice cercata. La terza colonna `e data dallimmagine del vettore (0, 0, 1). Dato che
(0, 0, 1) = (0, 1, 0) (0, 1, 1), dalla linearit`a di f segue che f ((0, 0, 1)) =
(1, 1, 1) (0, 2, 2) = (1, 3, 1). La matrice cercata `e quindi
2
1
1
A = 1 1 3 .
0
1 1
Si vede ora facilmente che Ker f = 0, e pertanto Im f = R3 . Come base di
Im f si pu`o allora prendere la base canonica di R3 .
Svolgimento esercizio 15. Osservando la matrice A si vede immediatamente che rango(f ) = dim Im(f ) = rango(A) = 2. Di conseguenza, si
ha dim Ker(f ) = 1. Una base del nucleo di f `e allora data dal vettore
(1, 2, 1), mentre come base dellimmagine di f si possono prendere, ad
esempio, i vettori che costituiscono le prime due colonne della matrice A.
Svolgimento esercizio 16. Ricordiamo che le dimensioni del nucleo e
dellimmagine di una applicazione lineare sono legate dalla formula
dim V = dim(Ker ) + dim(Im ).
3. Soluzioni
37
Pertanto, se esiste : V V tale che Ker = Im si deve avere necessariamente dim V = 2 dim(Ker ), cio`e la dimensione di V deve essere
pari.
Viceversa, ci chiediamo se il fatto che V abbia dimensione pari sia anche
sufficiente a garantire lesistenza di un endomorfismo con le caratteristiche richieste. Sia dunque V uno spazio vettoriale di dimensione 2n e
fissiamo una sua base {v1 , v2 , . . . , v2n }. Cerchiamo ora di costruire unapplicazione lineare tale che Ker = Im . Ricordiamo che unapplicazione
lineare `e determinata dalle immagini degli elementi di una base quindi,
per costruire , basta dire chi sono (v1 ), (v2 ), . . . , (v2n ). Poniamo allora
(v1 ) = (v2 ) = = (vn ) = 0, in modo da ottenere che il nucleo sia il
sottospazio di V generato dai primi n vettori della base. Ora che conosciamo il nucleo baster`a fare in modo che anche limmagine di sia generata
dai vettori v1 , v2 , . . . , vn . Dato che limmagine `e generata dallimmagine dei
vettori della base di V , e dato che limmagine dei primi n vettori `e zero,
baster`a allora porre (vn+1 ) = v1 , (vn+2 ) = v2 , . . . , (v2n ) = vn . Questo
prova che un tale esiste e quindi che la condizione che V abbia dimensione
pari `e anche sufficiente.
1 1 1 0
0 1 2 1
0 1 1 1
1 1 4 2
Ora sottraiamo alla quarta riga la prima,
1 1 1
0 1 2
0 1 1
0 0 3
ottenendo
0
1
1
2
38
1
0
0
0
Infine sottraiamo alla quarta riga
1
0
0
0
seconda, ottenendo
1 1 0
1 2 1
0 3 2
0 3 2
la terza, ottenendo
1 1 0
1 2 1
0 3 2
0 0 0
Si noti come lobiettivo da raggiungere sia quello di fare in modo che tutti
gli elementi situati al di sotto della diagonale principale siano 0. A questo
punto `e immediato contare quante sono le righe linearmente indipendenti:
nel nostro caso 3. Questo `e dunque il rango di A.
Osservazione: In modo del tutto analogo si possono effettuare delle operazioni elementari sulle colonne in modo da ottenere alla fine una matrice
in cui tutti gli elementi situati a destra della diagonale principale siano
nulli. Tuttavia `e bene non mescolare operazioni elementari sulle righe con
operazioni elementari sulle colonne.
Presentiamo qui un altro metodo per calcolare il rango di una matrice
(anche se gli argomenti necessari, e cio`e i determinanti, saranno trattati solo
in seguito). Ricordiamo che il rango di una matrice `e il massimo ordine dei
minori non nulli estratti dalla matrice. Dato che A `e una matrice quadrata
di ordine 4, esiste un solo minore di ordine 4, il determinante di A. Per
calcolare det A utilizziamo la regola di Laplace, sviluppando il determinante
secondo la prima colonna:
0 1 2 1
1
2
1
1
2
1
1 1 1 0
det
0 1 1 1 = det 1 1 1 det 1 1 0
1 4 2
1 1 1
1 1 4 2
1 1
1 1
1 1
= det
2 det
+ det
4 2
1 2
1 4
1 1
1 2
det
+ det
1 1
1 1
= 1 1 = 0.
Abbiamo cos` visto che det A = 0 quindi il rango di A non `e 4. Dobbiamo
ora considerare i minori di ordine 3 estratti dalla matrice A. Dato che ci sono
quattro modi diversi di scegliere tre righe tra le quattro della matrice A, e
lo stesso vale per le colonne, ci sono 16 minori di ordine 3. Fortunatamente,
3. Soluzioni
39
0 1 2
1
2
det 1 1 1 = det
= 3 6= 0,
1 1
0 1 1
quindi possiamo concludere che il rango di A `e 3.
Notiamo che, se calcolando questo primo minore di ordine tre avessimo
trovato 0, avremmo dovuto considerare un altro minore di ordine tre, fino
a trovarne uno diverso da zero. Se per`o la matrice A avesse avuto rango 2,
allora calcolando tutti i 16 possibili minori di ordine tre, avremmo sempre
trovato 0. A questo punto avremmo dovuto iniziare a calcolare i minori di
ordine due, fino a trovarne uno diverso da zero. Dato che il calcolo di un
determinante `e, in generale, un calcolo piuttosto lungo, si capisce da questo
esempio come, in generale, il calcolo dei minori estratti da una matrice non
sia un metodo molto efficace per la determinazione del rango.
Svolgimento esercizio 18. Con operazioni elementari sulle righe (vedi
esercizio precedente) si ottiene, alla fine, la matrice
1 2 2
1
1
0 1 2
1
0
0 0 a
0
0
0 0 0 a2 a 0
Si vede allora che, se a = 0 si ha rango(A) = 2, se a = 1 si ha rango(A) = 3,
mentre per tutti gli altri valori di a si ha rango(A) = 4.
Capitolo 3
Determinanti
1. Richiami di teoria
1.1. Determinanti
Sia A = (aij ) una matrice quadrata di ordine n a coefficienti in un corpo C.
Definizione 1.1. Il determinante di A, indicato con det A, `e definito come
segue:
X
det A =
(sgn )a1(1) a2(2) an(n) ,
a b
det
.
c d
Elenchiamo ora una serie di propriet`a dei determinanti.
Proposizione 1.3. Sia A una matrice quadrata di ordine n.
42
3. Determinanti
ove Aij = (1) Mij , e Mij `e il determinante della matrice che si ottiene
cancellando la i-esima riga e la j-esima colonna della matrice A (il termine
Aij `e anche detto il complemento algebrico dellelemento aij ).
1
.
det A
1. Richiami di teoria
43
T
A11 A12 A1n
A
A22 A2n
1
.21
,
A1 =
..
..
..
..
det A
.
.
.
An1 An2 Ann
ove gli Aij sono i complementi algebrici degli elementi aij della matrice A.
Si noti tuttavia che, dal punto di vista pratico, calcolare linversa di una
matrice usando questa formula non `e un metodo molto efficace, in quanto `e
richiesto il calcolo di un gran numero di determinanti. Negli esercizi verr`a
illustrato un metodo molto pi`
u efficace per determinare linversa di una
matrice.
44
3. Determinanti
2. Esercizi
2.1. Regola di Laplace
Esercizio 1. Si calcoli
2
4
det
0
2
3 1
2 0
.
0 1
2 1
0
1
3
0
Esercizio 2. Si calcoli
2
2
det
2
2
1
3 4 1 2
3 4 1 1
3 5
1
1
.
1 1
1
1
2 1 2 1
2 3 1
A = 2 1 3 .
1 3 1
Esercizio 4. Si calcoli linversa della
A= 1
1
matrice
2 1
3 0
2 2
2 1
0 0 0
3 2
1 0 0
0 3
2 1 0
An = .. . . . . . . . . ..
.
.
.
. .
.
0 0 3
2 1
0
2. Esercizi
45
Determinare una formula ricorsiva per calcolare det An , per ogni intero n
1.
Esercizio 6. Si indichi con An la seguente matrice n n:
1 + a1
1
1
1
1
1
1 + a2
1
1
1
1
1 + a3 1
1
An =
..
..
..
..
...
.
.
.
1
1 1 + an1
1
1
1
1
1
1 + an
ove a1 , . . . , an R.
Si dimostri che, per ogni intero n 2, si ha
det An = a1 a2 an +
n
X
a1 a2 a
i an ,
i=1
dove a
i significa che lelemento ai non compare nel prodotto.
A B
,
0 C
det
1
1
21
..
.
1
2
22
..
.
1
n
2n
..
.
1n1 n1
nn1
2
Y
=
(j i ).
i<j
46
3. Determinanti
3. Soluzioni
3.1. Regola di Laplace
Svolgimento esercizio 1. Utilizzando la regola di Laplace, e precisamente
sviluppando il determinante secondo la terza riga, si ha:
2 0 3 1
2
3
1
2
0
3
4 1 2 0
det
0 3 0 1 = 3 det 4 2 0 det 4 1 2
2 2 1
2 0 2
2 0 2 1
4 2
2 3
2 3
= 3 det
det
det
2 2
4 2
2 2
= 3(4 + 8) + 2 = 10.
Svolgimento esercizio 2. In questo caso non conviene applicare subito
la regola di Laplace, data la mole dei calcoli necessari. Ricordando invece le propriet`a dei determinanti possiamo cercare di ridurre la matrice ad
una forma pi`
u semplice: ci`o significa, in pratica, cercare di far comparire
parecchi zeri tra gli elementi della matrice. Ci`o si pu`o fare, ad esempio,
sottraendo alla prima riga la seconda, e ricordando che con tale operazione
non si modifica il determinante. Si ha dunque:
0 0 0
0
1
2 3 4 1 2
2 3 4 1 1
2 3 4 1 1
1
1
1
1 = det
det 2 3 5
2 3 5
2 1 1
2 1 1
1
1
1
1
1 2 1 2 1
1 2 1 2 1
e sviluppando ora secondo la prima riga, si ottiene
2 3 4 1 2
2
3
4
1
2 3 4 1 1
2 3 5
1
1
1
det
2 3 5
= det 2 1 1
1
2 1 1
1
1
1 2 1 2
1 2 1 2 1
Ancora una volta risulta conveniente trasformare
esempio sottraendo alla prima riga la seconda. Si
2 3 4 1
0 0
2 3 5
2 3
1
= det
det
2 1 1
2 1
1
1 2 1 2
1 2
questultima matrice, ad
ha cos`:
1 2
5
1
1
1
1 2
3. Soluzioni
e, sviluppando il
2 3
2 3
det
2 1
1 2
47
4 1
2 3 1
2 3 5
5
1
= det 2 1 1 + 2 det 2 1 1
1
1
1 2 2
1 2 1
1 2
Ancora una volta possiamo far comparire degli zeri in queste ultime due
matrici sottraendo, ad esempio, la seconda riga alla prima. Si ottiene cos`:
2 3 4 1
0
2
0
0
2
4
2 3 5
1
= det 2 1 1 + 2 det 2 1 1
det
2 1 1
1
1 2 2
1 2 1
1 2 1 2
2 1
2 1
= 2 det
+ 2 2 det
1 2
1 1
2 1
+4 det
1 2
= 6 + 2(6 + 12) = 42.
8
0
8
2 1
2 1
2 3
= 1 1 4
+
1 1
1 1
2 3
5 3 4
2 3
2 3
2 1
+
+
1 3
1 3
2 1
48
3. Determinanti
1
0
1
A1 = 1/8 1/8 1/2 .
5/8 3/8 1/2
Svolgimento esercizio 4. Nellesercizio precedente abbiamo visto come
si possa calcolare linversa di una matrice. Il metodo usato tuttavia non `e
molto efficace, specialmente per matrici grandi, perche richiede il calcolo
di un gran numero di determinanti.
Un altro metodo, molto pi`
u semplice del precedente anche se meno meccanico, per calcolare linversa di una matrice (quando questa esiste) consiste
nellaffiancare alla matrice A la matrice identica, ottenendo
1 2 1 | 1 0 0
1 3 0 | 0 1 0
1 2 2 | 0 0 1
A questo punto, con delle operazioni elementari sulle righe, cerchiamo di
far apparire la matrice identica a sinistra: alla fine la matrice che troveremo
a destra sar`a proprio la matrice inversa di A (perche?). In dettaglio le
operazioni da fare sono, ad esempio, le seguenti: sottraiamo alla seconda
riga la prima, e alla terza riga la prima, ottenendo
1 2 1 | 1 0 0
0 1 1 | 1 1 0
0 0 1 | 1 0 1
Ora sommiamo alla seconda
terza, ottenendo
1
0
0
Ora sommiamo alla prima
1
0
0
2 0 | 2 0 1
1 0 | 2 1 1
0 1 | 1 0 1
0 0 | 6 2 3
1 0 | 2 1
1
0 1 | 1 0
1
In conclusione, si ha
A1
6 2 3
1 .
= 2 1
1 0
1
3. Soluzioni
49
3
0
0
det An = 2 det An1 det
...
0
= 2 det An1 3 det An2 .
0 0
1 0
2 1
... ...
0 3
0 0
0
0
0
.
..
2 1
3
50
3. Determinanti
1
Ricordando che v1 =
, si scopre allora che il problema del calcolo diretto
2
dei vari dn `e ridotto al problema del calcolo delle potenze di una matrice.
Ovviamente il calcolo di B n si pu`o effettuare moltiplicando la matrice B per
se stessa n volte, ma ci`o equivale a calcolare tutti i vari di , per ogni i < n.
Tuttavia, come vedremo in seguito, c`e un modo di calcolare direttamente
B n senza dover calcolare tutte le varie potenze B i , i = 2, . . . , n 1.
Svolgimento esercizio 6. Poniamo dn (a1 , . . . , an ) = det An . Verifichiamo
la formula data per n = 2:
1 + a1
1
d2 (a1 , a2 ) = det
= a1 a2 + a1 + a2 .
1
1 + a2
Quindi, per n = 2, la formula `e corretta. Procediamo quindi per induzione,
supponendo che la formula sia corretta per An1 e cercando di dimostrare
che allora la formula data `e corretta anche per An . Per calcolare il determinante dn (a1 , . . . , an ), conviene sottrarre alla prima colonna la seconda (cos`
facendo il determinante non cambia), ottenendo
a1
1
1
1
1
a2 1 + a2
1
1
0
1
1 + a3 1
dn (a1 , . . . , an ) = det ..
..
..
..
..
.
.
.
.
.
1
1 1+a
1
n1
1 + an
1 + a2
1
1
1
1
1 + a3
1
1
1
1
1 + a4 1
dn (a1 , . . . , an ) = a1 det
.
.
.
.
..
..
..
..
1
1 1 + an1
1
1
1
1
1
1
1
1
1 1 + a3
1
1
1
1
1 + a4 1
+ a2 det
..
..
..
...
.
.
.
1
1
1 1+a
n1
1
1
1
..
.
1
1 + an
1
1
1
..
.
1
1
1
1
1 + an
= a1 dn1 (a2 , a3 , . . . , an ) + a2 dn1 (0, a3 , . . . , an ).
Usando lipotesi induttiva, si ha
dn1 (a2 , a3 , . . . , an ) = a2 a3 an +
n
X
i=2
a2 a3 a
i an ,
3. Soluzioni
51
e quindi
dn1 (0, a3 , . . . , an ) = 0 +
n
X
0 a3 a
i an = a3 an .
i=2
n
X
a2 a3 a
i an ) + a2 (a3 an )
i=2
= a1 a2 an +
= a1 a2 an +
n
X
i=2
n
X
a1 a2 a
i an + a2 a3 an
a1 a2 a
i an ,
i=1
52
3. Determinanti
xn+m,2 (n+m)
!
=
!
X
= det A det C.
Svolgimento esercizio 8. Verifichiamo la formula data nel caso n = 2:
1 1
det
= 2 1 .
1 2
Quindi la formula `e corretta.
Procediamo allora per induzione, supponendo che la formula sia corretta
per n 1 e cercando di dimostrare che in tal caso `e corretta anche per n.
Per calcolare
1
1
1
1
2 n
2
22 2n
= det
.1
..
..
..
.
.
n1
n1
n1
1
2
n
modifichiamo la matrice sottraendo ad ogni riga, a partire dalla seconda, la
riga precedente moltiplicata per 1 (facendo quanto detto il determinante
non cambia). Si ottiene allora
1
1
1
1
0
2 1
3 1
n 1
2
2
2n 1 n .
3 1 3
0
2 1 2
= det
.
..
..
..
..
.
.
.
1 nn2
0 n1
1 n2
n1
1 n2
n1
2
2
3
3
n
Sviluppando secondo la prima colonna si ha dunque
2 1
3 1
n 1
22 1 2
23 1 3
2n 1 n
.
= det
..
..
..
.
.
.
n1
n2
n1
n2
n2
n1
2 1 2
3 1 3
n 1 n
3. Soluzioni
53
1
1
2
2
2
23
= (2 1 )(3 1 ) (n 1 ) det 2
..
...
.
n2
n2
2
3
1
n
2n
..
.
n2
n
Y
=
(j i ).
i<j
Capitolo 4
Sistemi Lineari
1. Richiami di teoria
1.1. Definizioni e principali risultati
Un sistema di m equazioni lineari in n incognite, a coefficienti in un campo
C, `e un insieme di equazioni del tipo seguente:
56
4. Sistemi Lineari
lineari delle equazioni del sistema si pu`o ridurre la matrice A del sistema
a una forma triangolare superiore (cio`e tale che tutti gli elementi che si
trovano sotto la diagonale principale sono nulli). A questo punto si risolve
allindietro (cio`e partendo dallultima equazione) il sistema cos` ottenuto,
usando il metodo di sostituzione.
Da un punto di vista pi`
u teorico sono importanti i seguenti risultati.
Teorema 1.1 (Teorema di Cramer). Sia AX = B un sistema lineare
di n equazioni in n incognite (la matrice A `e quindi quadrata di ordine n).
Questo sistema ammette una soluzione unica se e solo se det A 6= 0.
Notiamo che la condizione det A 6= 0 equivale a richiedere che la matrice
A sia invertibile. Sotto tale ipotesi, moltiplicando a sinistra ambo i membri
dellequazione AX = B per la matrice inversa di A, si ottiene
X = A1 B.
Lesistenza e lunicit`a della soluzione X del sistema risulta quindi ovvia. Si
ha addirittura una formula esplicita per ottenerla: per i = 1, . . . , n, si ha
xi =
i
,
2. Esercizi
57
2. Esercizi
2.1. Sistemi parametrici
Esercizio 1. Risolvere e discutere in funzione dei valori di m R il seguente
sistema:
x + (m + 1)y = m + 2
mx + (m + 4)y = 3.
Esercizio 2. Risolvere e discutere in funzione dei valori di m R il seguente
sistema:
mx + (m 1)y = m + 2
(m + 1)x my = 5m + 3.
Esercizio 3. Risolvere e discutere in funzione dei valori di a R il seguente
sistema:
x + (a 1)y + (2 a)z = a + 5
x + ay + 2z = 4
x + (a 2)y + (2 2a2 )z = 6.
Esercizio 4. Si dica per quali valori di R il seguente sistema `e risolubile,
e lo si risolva quando ha pi`
u di una soluzione.
x + 2y + 2w + z = 1
y + 2w + z = 0
x + y + w = 0
y + 2w + 2 z = 0.
Esercizio 5. Risolvere e discutere secondo i valori dei parametri b1 , . . . , b4
il sistema
x + 3y + 5z + 3t = b1
x + 4y + 7z + 3t = b2
y + 2z = b3
x + 2y + 3z + 2t = b4 .
Esercizio 6. Al variare di Q si dica quante soluzioni vi sono in Q4 per
il seguente sistema di equazioni lineari:
x2 + ( + 1)x4 = 1
x1 + x3 + x4 = 0
( 1)x1 + x4 = 0.
58
4. Sistemi Lineari
x y z =
x y =
x y z = 0
si dica per quali coppie (, ) R2 `e risolubile e per quali la soluzione `e
unica.
3. Soluzioni
3.1. Sistemi parametrici
Svolgimento esercizio 1. Ricordiamo che un sistema lineare del tipo Ax =
b ammette soluzioni se e solo se il rango della matrice incompleta A `e uguale
al rango della matrice completa (A|b). Nel caso in questione `e
1 m+1 | m+2
(A|b) =
.
m m+4 |
3
Per calcolare il rango di questultima matrice sottraiamo alla seconda riga
la prima moltiplicata per m, ottenendo
1 m+1 |
m+2
.
0 4 m2 | 3 m2 2m
Si vede dunque che, se m 6= 2 si ha rango(A) = rango(A|b), e quindi il
sistema ha ununica soluzione, mentre per m = 2 oppure m = 2 si ha
rango(A) = 1 mentre rango(A|b) = 2, e quindi il sistema non ammette
soluzioni.
Si noti tuttavia che lesercizio richiede di risolvere esplicitamente il sistema; in casi come questo si pu`o allora evitare di studiare il rango delle
matrici in questione, e si pu`o invece risolvere direttamente il sistema; si
scoprir`a cos` strada facendo quando la soluzione esiste (e se `e unica oppure
no) e quando non esiste. Per risolvere il sistema utilizziamo il metodo di eliminazione di Gauss (che `e esattamente lo stesso metodo che abbiamo usato
per determinare il rango di una matrice): sottraiamo alla seconda equazione
la prima moltiplicata per m, ottenendo
(
x + (m + 1)y = m + 2
(4 m2 )y = 3 m2 2m
3. Soluzioni
59
m2 + 2m 3
y =
m2 4
m2 + 3m + 5
x =
m2 4
mentre, se m = 2 oppure m = 2, il sistema non ammette soluzioni.
Presentiamo ora un altro modo per analizzare e risolvere un sistema
lineare. Sia
1 m+1
A=
m m+4
la matrice (incompleta) del sistema lineare e b = (m + 2, 3) la colonna dei
termini noti. Poniamo = det A. Si ha = 4 m2 , quindi = 0 per
m = 2 o m = 2. Pertanto, se m 6= 2, la matrice A `e invertibile (il
sistema `e un sistema di Cramer) e il sistema ammette ununica soluzione,
data da
x
1
1 m + 2
=A b=A
.
y
3
Esplicitamente, si ha x = x / e y = y /, ove x (rispettivamente, y )
`e il determinante della matrice che si ottiene da A sostituendo alla prima
(rispettivamente, seconda) colonna la colonna dei termini noti. Otteniamo
quindi:
m+2 m+1
x = det
= m2 + 3m + 5,
3
m+4
1 m+2
y = det
= m2 2m + 3,
m
3
da cui si ricava
x
m2 + 3m + 5
x
=
=
4 m2
2
m + 2m 3
y = y =
m2 4
I due casi rimanenti, m = 2 e m = 2 vanno trattati a parte.
Per m = 2 si ha:
1 1
0
A=
;
b=
.
2 2
3
Si vede subito che rango(A) = 1, mentre rango(A|b) = 2, quindi il sistema
non ammette soluzioni.
Per m = 2 si ha:
1 3
4
A=
;
b=
.
2 6
3
60
4. Sistemi Lineari
3. Soluzioni
61
x
6m2 3
=
x =
2m2 1
4m2 2
y = y =
1 2m2
Per m = 1/ 2 si ha:
1/
2
1/
2
1
1/
2+2
A=
;
b=
.
1/ 2 + 1
1/ 2
5/ 2 + 3
Con un facile calcolo si scopre che rango(A) = rango(A|b) = 1, quindi
il sistema `e compatibile e ammette infinite soluzioni, dipendenti da un
parametro. Le soluzioni si trovano considerando, ad esempio, la prima
equazione
1
1
1
x + 1 y = + 2
2
2
2
e ricavando x in funzione di y:
x = (1 2)y + 1 2 2,
ovvero
(
x = (1
y=t
2)t + 1 2 2
per ogni t R.
x = ( 2 1)y + 1 + 2 2,
cio`e
(
per ogni t R.
x = ( 2 1)t + 1 + 2 2
y=t
62
4. Sistemi Lineari
1 a1 2a | a+5
a
2
|
4 .
(A|b) = 1
2
1 a 2 2 2a |
6
Per calcolare il rango di questa matrice utilizzeremo trasformazioni elementari sulle righe per ridurla a forma triangolare superiore. Iniziamo
scambiando tra di loro la prima e seconda riga, ottenendo:
1
a
2
|
4
1 a 1 2 a | a + 5 .
1 a 2 2 2a2 |
6
Ora sostituiamo la seconda riga con la differenza tra la prima e la seconda
riga, e alla terza riga sottraiamo la prima:
1 a
2
|
4
0 1
a
| a 1 .
2
0 2 2a |
2
A questo punto alla terza riga sommiamo la seconda riga moltiplicata per
2:
1 a
2
|
4
0 1
a
| a 1 .
2
0 0 2(a a ) | 2a
` ora immediato riconoscere che, per a = 0 si ha rango(A) = rango(A|b) =
E
2, quindi il sistema `e compatibile ed ammette infinite soluzioni, dipendenti
da 3 2 = 1 parametro. Le soluzioni si trovano risolvendo il sistema corrispondente alle prime due righe dellultima matrice (ovviamente per a = 0),
cio`e:
x + 2z = 4
y = 1
da cui si ricava (ad esempio)
x = 4 2t
y = 1
z =t
per ogni t R.
Per a = 1 si ha invece rango(A) = 2 ma rango(A|b) = 3, quindi il sistema
`e incompatibile, ossia non ammette soluzioni.
3. Soluzioni
63
Infine, se a 6= 0, 1, si ha rango(A) = rango(A|b) = 3, quindi il sistema ammette ununica soluzione, che si trova risolvendo il sistema corrispondente
allultima matrice:
x + ay + 2z = 4
y + az = a 1
2(a a2 )z = 2a
Questo sistema si risolve facilmente per sostituzione, ricavando z dallultima
equazione, sostituendo il valore trovato nelle equazioni precedenti, ricavando
poi y dalla penultima, etc. Si trova:
z=
a1
a2 a + 1
y=
a1
3
2
x = a + a + 3a 6
a1
Presentiamo ora un altro metodo per discutere e risolvere lo stesso sistema lineare. Sia
1 a1 2a
a
2
A = 1
1 a 2 2 2a2
la matrice (incompleta) del sistema e b = (a + 5, 4, 6) la colonna dei termini
noti. Poniamo = det A. Si ha = 2a(1 a), quindi = 0 per a = 0
o a = 1. Pertanto, se a 6= 0, 1, la matrice A `e invertibile (il sistema `e un
sistema di Cramer) e il sistema ammette ununica soluzione, data da
x
a+5
y = A1 b = A1 4 .
z
6
Esplicitamente, si ha x = x /, y = y / e z = z /, ove x (rispettivamente, y , z ) `e il determinante della matrice che si ottiene da A
sostituendo alla prima (rispettivamente, seconda, terza) colonna la colonna
dei termini noti. Otteniamo quindi:
x = 2a(6 3a a2 a3 ),
y = 2a(a2 + a 1),
z = 2a,
64
4. Sistemi Lineari
da cui si ottiene
x
6 3a a2 a3
=
x
=
1a
2
y
a +a1
y=
=
1a
z = z =
a1
I due casi rimanenti, a = 0 e a = 1, vanno trattati a parte.
Per a = 0 si ha:
1 1 2
5
A = 1 0 2 ;
b = 4 .
1 2 2
6
x = 4 2t
y = 1
z =t
per ogni t R.
Infine, per a = 1, si ha:
1 0 1
A = 1 1 2 ;
1 1 0
6
b = 4 .
6
1 2 2 1 | 1
0 1 2 1 | 0
(A|b) =
1 1 0 | 0 .
0 2 2 | 0
3. Soluzioni
65
Con operazioni elementari sulle righe si pu`o trasformare questa matrice fino
ad ottenere la matrice seguente:
1 2 2
1
| 1
0 1 2
1
| 0
.
0 0
0
| 1
0 0 0 2 | 0
Si scopre allora che, se = 0 si ha rango(A) = 2 e rango(A|b) = 3, quindi il
sistema non ammette soluzione. Se = 1 si ha rango(A) = 3 = rango(A|b),
quindi il sistema ammette soluzioni e, dato che il rango di A non `e 4, le
soluzioni sono infinite (e dipendono da 4 3 = 1 parametro). Infine, se
6= 0, 1, la matrice A ha rango massimo (= 4), quindi `e invertibile, ed il
sistema ha ununica soluzione.
A questo punto non ci rimane altro che risolvere il sistema nel solo caso
= 1. In questo caso il sistema diventa
x + 2y + 2w + z = 1
y + 2w + z = 0
x+y+w =0
y + 2w + z = 0
che, mediante eliminazione di Gauss, `e equivalente al sistema
x + 2y + 2w + z = 1
y + 2w + z = 0
w = 1
0=0
da cui si ottiene, ricavando ad esempio x, y e w in funzione di z,
x=z1
y =2z
w = 1.
Svolgimento esercizio 5. Utilizzando il metodo di eliminazione di Gauss
si ottiene, alla fine, il sistema
x + 3y + 5z + 3t = b1
y + 2z = b2 b1
0 = b3 b2 + b1
t = 2b1 b2 b4 .
Si trova dunque che, se b3 b2 + b1 6= 0, il sistema non ha soluzione, mentre
se b3 b2 + b1 = 0 ci sono infinite soluzioni, date (ad esempio ricavando x,
66
4. Sistemi Lineari
y e t in funzione di z) da
t = 2b1 b2 b4
y = b2 b1 2z
x = 2b + 3b + z.
1
4
Svolgimento esercizio 6. In questo caso non `e richiesto di risolvere il
sistema, quindi basta studiare il rango delle matrici completa e incompleta.
1 2 0
3
| 0
0
0 + 1 | 1
(A|b) =
1
0
1
| 0
1 0 0
1
| 0
Con operazioni elementari sulle righe si pu`o trasformare questa matrice fino
ad ottenere
1 0
1
| 0
0 2 2 4 | 0
0 0 2 2 | 0 .
0 0
0
1
| 1
A questo punto si scopre che, se = 0, 1 si ha rango(A) = 3 e rango(A|b) =
4, quindi il sistema non ha soluzioni. Se invece 6= 0, 1 la matrice A
ha rango massimo, quindi `e invertibile e dunque la soluzione esiste ed `e
unica. Il fatto che tale soluzione appartenga a Q4 `e ovvio, dato che tutte
le operazioni necessarie per risolvere il sistema coinvolgono solo somme e
prodotti di numeri razionali.
Svolgimento esercizio 7. Calcoliamo il rango delle matrici completa e
incompleta:
|
(A|b) = 0 | .
1 1 1 | 0
Con operazioni elementari sulle righe si ottiene alla fine la matrice
1 1
1 |
0
0 |
.
0
0
| +
Bisogna distinguere allora i seguenti casi:
(1) = 0, = 0: si ha rango(A) = rango(A|b) = 1, quindi esistono
infinite soluzioni (dipendenti da 3 1 = 2 parametri);
(2) = 0, 6= 0: si ha rango(A) = 2, rango(A|b) = 3, quindi non
esistono soluzioni;
(3) 6= 0, = : si ha rango(A) = 2, rango(A|b) = 3, quindi non
esistono soluzioni;
(4) 6= 0, 6= : si ha rango(A) = rango(A|b) = 3, quindi il sistema
ha ununica soluzione.
3. Soluzioni
A=
1
67
0
1 1
0 ;
A = 0
b = 0 .
1 1 1
0
Ora, se 6= 0 si ha rango(A) = 2 e rango(A|b) = 3, quindi il sistema non
ammette soluzioni. Se invece = 0, si ha rango(A) = rango(A|b) = 1,
quindi il sistema `e compatibile ed ammette infinite soluzioni, dipendenti da
3 1 = 2 parametri.
Nellultimo caso, cio`e per = 6= 0, si ha:
0
A=
;
b = .
1 1 1
0
Anche in questo caso si ha rango(A) = 2 e rango(A|b) = 3, quindi il sistema
non ammette soluzioni.
Capitolo 5
Autovalori e Autovettori
1. Richiami di teoria
1.1. Definizioni
Sia f : V V unapplicazione lineare di uno spazio vettoriale V in se.
Definizione 1.1. Un vettore non nullo v V `e detto autovettore di f se
esiste uno scalare C tale che
f (v) = v.
In tal caso lo scalare `e detto autovalore di f , e si dice che lautovettore v
`e associato allautovalore .
Se A `e la matrice di f rispetto a una base fissata di V , si parla di
autovalori e autovettori di A per indicare gli autovalori e autovettori di f .
Pi`
u precisamente, possiamo dare la seguente definizione:
Definizione 1.2. Sia A una matrice quadrata di ordine n a coefficienti nel
campo C. Un autovettore di A `e un vettore non nullo (x1 , . . . , xn ) C n
tale che
x1
x1
.
A .. = ... ,
xn
xn
per uno scalare C, detto autovalore di A.
Definizione 1.3. Sia A una matrice quadrata di ordine n. Il polinomio
PA (x) = det(A xI)
`e detto il polinomio caratteristico di A.
Teorema 1.4. Gli autovalori di una matrice quadrata A sono le radici
del polinomio caratteristico, cio`e sono le soluzioni della seguente equazione
(detta equazione caratteristica):
det(A xI) = 0
Notiamo che se due matrici A e A0 sono simili, cio`e rappresentano la
stessa applicazione lineare f : V V rispetto a basi diverse di V , allora
70
5. Autovalori e Autovettori
1. Richiami di teoria
71
1.2. Diagonalizzazione
Sia f : V V unapplicazione lineare. Se esiste una base di V costituita da
autovettori di f allora si vede immediatamente che la matrice di f rispetto
a tale base `e diagonale, e gli elementi sulla diagonale sono precisamente gli
autovalori di f .
Ricordiamo che due matrici A e A0 si dicono simili se rappresentano la
stessa applicazione lineare f rispetto a due basi diverse e questo accade se
e solo se esiste uma matrice invertibile P tale che A0 = P AP 1 . Possiamo
quindi dare la seguente definizione:
Definizione 1.11. Una matrice quadrata A `e diagonalizzabile se essa `e
simile a una matrice diagonale, cio`e se esiste una matrice diagonale D e una
matrice invertibile P tali che
A = P DP 1 .
Da quanto detto in precedenza si deduce che, se A `e diagonalizzabile e
vale la relazione A = P DP 1 , la matrice diagonale D deve avere sulla diagonale gli autovalori di A, mentre la matrice P deve essere composta dagli
autovettori della matrice A, scritti in colonna, e considerati nello stesso ordine in cui sono stati disposti sulla diagonale di D gli autovalori di A. Precisamente, se 1 , . . . , n sono gli n autovalori di A e se v1 = (p11 , p21 , . . . , pn1 ),
. . . , vn = (p1n , p2n , . . . , pnn ) sono gli autovettori corrispondenti, allora si ha:
72
5. Autovalori e Autovettori
0
J =
.
..
0
..
.
0 0
1 0
1
.. . .
.
.
0 0 0 0
..
.
0
0
0 .
2. Esercizi
J1 0
0
0 J2 0
0
0 J3
J =
.
..
..
..
.
.
0
0
0
73
..
.
0
0
0
..
.
Jr
ove sulla diagonale troviamo le matrici Ji che sono dei blocchi di Jordan
relativi agli autovettori i di A. La matrice J `e detta la forma canonica di
Jordan di A, essa `e unica a meno di una permutazione dei blocchi di Jordan
Ji .
Negli esercizi verranno illustrati dei metodi per determinare la forma
canonica di Jordan di una matrice A.
2. Esercizi
2.1. Diagonalizzazione
Esercizio 1. Si dica se la matrice
1
4 1
A = 4 7 2
6
6 0
`e diagonalizzabile (cio`e simile ad una matrice diagonale). In caso affermativo, si determinino una matrice diagonale D ed una matrice invertibile P
tali che A = P DP 1 .
Esercizio 2. Si dica se la matrice
1 4 0 2
0 1 0 0
A=
0 2 1 1
0 4 0 1
`e diagonalizzabile (cio`e simile ad una matrice diagonale). In caso affermativo, si determinino una matrice diagonale D ed una matrice invertibile P
tali che D = P 1 AP .
Esercizio 3. Determinare per quali valori del parametro reale t la matrice
3
1
1
A = t 1 t + 3 t + 1
t
t 2 t
`e diagonalizzabile (cio`e simile ad una matrice diagonale). Per ciascuno di
questi valori determinare una matrice diagonale D ed una matrice invertibile
P tali che A = P DP 1 .
74
5. Autovalori e Autovettori
3
A= 0
3
A `e la matrice
2 0
0 2 .
2 2
Esercizio 6. Sia A una matrice quadrata non nulla, tale che An = 0 per
qualche intero n 2 (una tale matrice A `e detta nilpotente). Dimostrare
che tutti gli autovalori di A sono nulli.
3
4
4
A = 3 6 8 .
3
7
9
Si determini inoltre una base di R4 rispetto a cui la matrice di `e la forma
canonica trovata.
Esercizio 8. Determinare la forma canonica di Jordan dellendomorfismo
: R4 R4 la cui matrice, rispetto alla base canonica, `e
1 0
0
0
0
1
0
0
A=
1 3 1 1 .
0 2 0
1
Si determini inoltre una base di R4 rispetto a cui la matrice di `e la forma
canonica trovata.
Esercizio 9. Determinare la forma canonica di Jordan dellendomorfismo
: R4 R4 la cui matrice, rispetto alla base canonica, `e
2 0 0
0
4 2 4 3
.
A=
4 0 5
3
3 0 2 0
Si determini inoltre una base di R4 rispetto a cui la matrice di `e la forma
canonica trovata.
2. Esercizi
75
0 0 2 4
1 2 1 2
.
A=
0 0 2
0
1 0 1 4
Si determini inoltre una base di R4 rispetto a cui la matrice di `e la forma
canonica trovata.
Esercizio 11. Sia A una matrice n n a coefficienti reali tale che A2 = A.
Si dimostri che A `e diagonalizzabile e che i suoi autovalori sono solo 0 oppure
1. Si dimostri inoltre che, se anche B `e una matrice tale che B 2 = B, allora
A e B sono simili se e solo se hanno lo stesso rango.
Esercizio 12. Sia A una matrice n n a coefficienti reali, non-degenere
e antisimmetrica. Si dimostri che tutti gli autovalori di A sono puramente
immaginari.
dim Im(2 ) = 7.
Esercizio 14. Sia V uno spazio vettoriale complesso di dimensione 6. Si
determinino tutti gli endomorfismi di V che hanno rango 4 ed il cui
polinomio minimo `e x4 6x3 + 9x2 .
76
5. Autovalori e Autovettori
3. Soluzioni
3.1. Diagonalizzazione
Svolgimento esercizio 1. Determiniamo gli autovalori di A. Si ha:
1
4
1
det(A I) = det 4 7 2
6
6
1 3+
1
= det 4 3 2
6
0
1 3+ 1
0
3
= det 3
6
0
3 3
= (3 + ) det
6
= (3 + )(2 + 3 18),
dove, nel primo passaggio abbiamo sottratto alla seconda colonna la prima,
mentre nel secondo abbiamo sommato alla seconda riga la prima.
Si ha dunque det(A I) = 0 per = 3, = 3 e = 6. Questi
sono i tre autovalori della matrice A, che `e quindi diagonalizzabile avendo
tre autovalori (reali e) distinti. Possiamo dunque prendere come matrice
diagonale D, ad esempio, la matrice
6 0 0
D = 0 3 0 .
0
0 3
Per determinare una matrice invertibile P tale che A = P DP 1 `e necessario
determinare gli autovettori della matrice A.
Iniziamo dagli autovettori relativi allautovalore 1 = 6; essi sono le
soluzioni del sistema
x1
(A 1 I) x2 = 0.
x3
Sviluppando i calcoli si ottiene il sistema
7x1 + 4x2 + x3 = 0
4x1 x2 + 2x3 = 0
6x + 6x + 6x = 0
1
2
3
3. Soluzioni
77
4x1 + 4x2 + x3 = 0
4x1 4x2 + 2x3 = 0
6x + 6x + 3x = 0
1
2
3
le cui soluzioni sono x1 = x2 e x3 = 0. Un autovettore relativo allautovalore 2 = 3 `e, ad esempio, il vettore v2 = (1, 1, 0). Questo costituir`a la
seconda colonna della matrice P .
Finalmente, per lautovalore 3 = 3 si ottiene il sistema
x1
(A 3 I) x2 = 0,
x3
che fornisce
2x1 + 4x2 + x3 = 0
4x1 10x2 + 2x3 = 0
6x + 6x 3x = 0
1
2
3
le cui soluzioni sono x2 = 0 e x3 = 2x1 . Un autovettore relativo allautovalore 3 = 3 `e, ad esempio, il vettore v3 = (1, 0, 2). Questo costituir`a la
terza colonna della matrice P . Si ha quindi
1 1 1
P = 2 1 0 .
1
0 2
Si pu`o ora verificare, per esercizio, che AP = P D, cio`e che A = P DP 1 ,
come richiesto.
78
5. Autovalori e Autovettori
1
4
0
2
0
1
0
0
det(A I) = det
0
2 1
1
0
4
0
1
1
0
0
1
= (1 ) det 2 1
4
0
1
1
1
2
= (1 ) det
0
1
= (1 )3 (1 ) = 0,
le cui soluzioni sono 1 = 1, con molteplicit`a 3, e 2 = 1, con molteplicit`a
1. Si noti che gli autovalori di A non sono tutti distinti, di conseguenza le
informazioni che abbiamo finora non sono sufficienti per decidere se A sia
diagonalizzabile o meno. Determiniamo allora gli autovettori di A.
Iniziamo dagli autovettori relativi allautovalore 1 = 1; essi sono le
soluzioni del sistema
x1
x2
(A 1I)
x3 = 0.
x4
Sviluppando i calcoli si ottiene il sistema
4x2 2x4 = 0
2x2 + x4 = 0
4x 2x = 0
2
4
le cui soluzioni sono date da x4 = 2x2 (x1 , x2 e x3 sono liberi di variare).
Si scopre cos` che lautospazio relativo allautovalore 1 = 1 ha dimensione
3, uguale alla molteplicit`a dellautovalore in questione. Una base di tale
autospazio `e data, ad esempio, dai vettori v1 = (1, 0, 0, 0), v2 = (0, 1, 0, 2) e
v3 = (0, 0, 1, 0).
Per lautovalore 2 = 1 si ottiene il sistema
x1
x2
(A + 1I)
x3 = 0,
x4
3. Soluzioni
79
che fornisce
2x2 = 0
2x2 + 2x3 + x4 = 0
4x2 = 0
le cui soluzioni sono x1 = 2x3 , x2 = 0 e x4 = 2x3 . Lautospazio relativo
allautovalore 2 = 1 ha quindi dimensione 1 (ovviamente!), uguale anche
in questo caso alla molteplicit`a dellautovalore in questione. Una base di
tale autospazio `e data, ad esempio, dal vettore v4 = (2, 0, 1, 2).
In conclusione, la matrice A `e diagonalizzabile e le due matrici D e P
richieste sono, ad esempio,
1 0 0 0
0 1 0 0
D=
0 0 1 0
0 0 0 1
e
1 0 0 2
0 1 0 0
P =
0 0 1 1 .
0 2 0 2
3
1
1
t+1
det(A I) = det t 1 t + 3
t
t
2t
4
1
1
t+1
= det 4 + t + 3
0
t
2t
4
1
1
t+2
t
= det 0
0
t
2t
t+2
t
= (4 ) det
t
2t
= (4 )( 2)2 ,
dove, nel primo passaggio abbiamo sottratto alla prima colonna la seconda,
mentre nel secondo abbiamo sommato alla seconda riga la prima.
Le soluzioni di det(A I) = 0 sono quindi 1 = 2, con molteplicit`a
2, e 2 = 4, con molteplicit`a 1. Si noti che gli autovalori di A non sono
tutti distinti, di conseguenza le informazioni che abbiamo finora non sono
80
5. Autovalori e Autovettori
x1 x2 x3 = 0
(t 1)x1 + (t + 1)x2 + (t + 1)x3 = 0
tx tx tx = 0
1
2
3
Se t 6= 0, le soluzioni sono x1 = 0 e x2 = x3 , da cui si deduce che lautospazio relativo allautovalore 1 = 2 ha dimensione 1. Dato che la dimensione
dellautospazio `e minore della molteplicit`a dellautovalore corrispondente,
possiamo concludere che, per t 6= 0, la matrice A non `e diagonalizzabile.
Se invece t = 0, le soluzioni del sistema lineare sono date da x1 = x2 +x3 .
In questo caso lautospazio relativo allautovalore 1 = 2 ha dimensione 2,
uguale alla molteplicit`a dellautovalore corrispondente. Dato che lautovalore 2 = 4 ha molteplicit`a 1, possiamo concludere che la matrice A `e
diagonalizzabile solo per t = 0. Una base dellautospazio relativo allautovalore 1 = 2 `e data, ad esempio, dai vettori v1 = (1, 1, 0) e v2 = (1, 0, 1),
che costituiranno le prime due colonne della matrice P .
Per lautovalore 2 = 4 si ottiene il sistema
x1
(A 4I) x2 = 0,
x3
che fornisce
x1 x2 x3 = 0
(t 1)x1 + (t 1)x2 + (t + 1)x3 = 0
tx tx (t + 2)x = 0
1
2 0 0
D = 0 2 0
0 0 4
3. Soluzioni
81
1 1 1
P = 1 0 1 .
0 1 0
Svolgimento esercizio 4. Determiniamo gli autovalori di A:
5/2
1
det(A I) = det
3
1
1
3
= 2 + = 0,
2
2
le cui soluzioni sono 1 = 1/2 e 2 = 1. Dato che gli autovalori di A sono
tutti distinti, A `e diagonalizzabile.
Determiniamo ora gli autovettori di A. Iniziamo dagli autovettori relativi
allautovalore 1 = 1/2; essi sono le soluzioni del sistema
1
x
(A I) 1 = 0.
x2
2
Sviluppando i calcoli si ottiene il sistema
2x1 x2 = 0
3
3x1 x2 = 0
2
le cui soluzioni sono date da x2 = 2x1 . Un autovettore relativo allautovalore
1 = 1/2 `e, ad esempio, v1 = (1, 2).
Per lautovalore 2 = 1 si ottiene il sistema
x
(A 1I) 1 = 0,
x2
che fornisce
3x x = 0
1
2
2
3x 2x = 0
1
2
le cui soluzioni sono x1 = 32 x2 . Un autovettore relativo allautovalore 2 = 1
`e, ad esempio, v2 = (2, 3).
In conclusione, la matrice A `e diagonalizzabile e, se poniamo
1/2 0
1 2
,
P =
,
D=
0 1
2 3
si ha A = P DP 1 . Calcoliamo ora P 1 . Si ha det P = 1, quindi
3 2
1
P =
.
2 1
82
5. Autovalori e Autovettori
= P exp(D)P 1 ,
quindi il calcolo di exp(A) si riduce al calcolo di P , exp(D) e P 1 .
Determiniamo gli autovalori di A:
3 2
0
2
det(A I) = det 0
3
2 2
= (2 + + 2) = 0,
le cui soluzioni sono 1 = 0, 2 = 1 e 3 = 2. Dato che gli autovalori di A
sono tutti distinti, A `e diagonalizzabile.
Determiniamo ora gli autovettori di A. Iniziamo dagli autovettori relativi
allautovalore 1 = 0; essi sono le soluzioni del sistema
x1
A x2 = 0.
x3
3. Soluzioni
83
3x1 2x2 = 0
2x3 = 0
3x + 2x 2x = 0
1
2
3
le cui soluzioni sono date da x1 = 32 x2 e x3 = 0. Un autovettore relativo
allautovalore 1 = 0 `e, ad esempio, v1 = (2, 3, 0).
Per lautovalore 2 = 1 si ottiene il sistema
x1
(A + 1I) x2 = 0,
x3
che fornisce
4x1 2x2 = 0
x2 2x3 = 0
3x + 2x x = 0
1
2
3
le cui soluzioni sono x1 = x3 e x2 = 2x3 . Un autovettore relativo allautovalore 2 = 1 `e, ad esempio, v2 = (1, 2, 1).
Per lautovalore 3 = 2 si ottiene il sistema
x1
(A 2I) x2 = 0,
x3
che fornisce
x1 2x2 = 0
2x2 2x3 = 0
3x + 2x 4x = 0
1
2
3
le cui soluzioni sono x1 = 2x2 e x3 = x2 . Un autovettore relativo
allautovalore 3 = 2 `e, ad esempio, v3 = (2, 1, 1).
In conclusione, la matrice A `e diagonalizzabile e, se poniamo
0 0 0
2 1 2
P = 3 2 1 ,
D = 0 1 0 ,
0 0 2
0 1 1
si ha A = P DP 1 . Calcoliamo ora P 1 . Si
1
1
1
1 2/3
P =
1 2/3
ha det P = 3 e
1
4/3 .
1/3
84
5. Autovalori e Autovettori
2 1 2
e
0 0
1
1
1
= 3 2 1 0 e1 0 1 2/3 4/3
1 2/3 1/3
0 0 e2
0 1 1
2
4
2 + 1e + 2e2 2 3e
43 e2 2 + 3e
+ 23 e2
4
8
23 e2 3 + 3e
+ 13 e2 .
= 3 + 2e + e2 3 3e
4
1
2
2 2
1 2
2
e
3e + 3 e
3e
e
3e
Svolgimento esercizio 6. Sia C un autovalore di A (ricordiamo che il
corpo complesso C `e algebricamente chiuso, quindi ogni matrice quadrata A
ammette tutti i suoi autovalori in C) e sia v un autovettore corrispondente.
Si ha dunque Av = v e, di conseguenza, A2 v = A(Av) = A(v) = Av =
2 v. Ci`o significa che, se `e un autovalore di A, allora 2 `e un autovalore di
A2 . Analogamente si dimostra che A3 v = 3 v e, in generale, che An v = n v
per ogni intero n 2. In altre parole, se `e un autovalore di A, allora n
`e un autovalore di An . Supponendo ora che An = 0, si deduce che n = 0,
e quindi = 0, per ogni autovalore di A, cio`e che tutti gli autovalori di
A sono nulli.
3 4
4
+6
8
det(I A) = det 3
3
7 9
3
3 + 6
+ 6
8
8
+ 4
= ( 3)
3 9 4 3 7
7 9
= 3 62 + 11 6 = 0,
le cui soluzioni sono 1 = 1, 2 = 2 e 3 = 3. La matrice A ha quindi 3
autovalori distinti e, di conseguenza, la sua forma canonica di Jordan `e
1 0 0
J = 0 2 0 .
0 0 3
Una base di R3 rispetto alla quale la matrice di `e J `e costituita dagli
autovettori relativi agli autovalori 1, 2 e 3 di A.
3. Soluzioni
85
3x + 7x + 8x = 0
1
2
3
le cui soluzioni sono date da x1 = 2x3 e x2 = 2x3 . Un autovettore relativo
allautovalore 1 = 1 `e, ad esempio, il vettore v1 = (2, 2, 1). Questo sar`a
il primo vettore di una base di Jordan.
Per lautovalore 2 = 2 si ottiene il sistema
x1
(A 2 I) x2 = 0,
x3
che fornisce
x1 + 4x2 + 4x3 = 0
3x1 8x2 8x3 = 0
3x + 7x + 7x = 0
1
2
3
le cui soluzioni sono x1 = 0 e x2 = x3 . Un autovettore relativo allautovalore 2 = 2 `e, ad esempio, il vettore v2 = (0, 1, 1). Questo sar`a il secondo
vettore di una base di Jordan.
Finalmente, per lautovalore 3 = 3 si ottiene il sistema
x1
(A 3 I) x2 = 0,
x3
che fornisce
4x2 + 4x3 = 0
3x1 9x2 8x3 = 0
3x + 7x + 6x = 0
1
2
3
le cui soluzioni sono x1 = 31 x3 e x2 = x3 . Un autovettore relativo allautovalore 3 = 3 `e, ad esempio, il vettore v3 = (1, 3, 3). Questo sar`a il terzo
vettore di una base di Jordan.
Se indichiamo con S la matrice le cui colonne sono costituite dalle componenti dei vettori della base di Jordan trovata,
2
0
1
S = 2 1 3 ,
1
1
3
86
5. Autovalori e Autovettori
+1
0
0
0
0
1
0
0
det(I A) = det
1
3
+1
1
0
2
0
1
+ 1
0
0
1
0
= ( + 1) 0
0
2
1
= ( + 1)2 ( 1)2 .
Gli autovalori di A sono quindi 1 = 1, con molteplicit`a 2, e 2 = 1,
anchesso con molteplicit`a 2.
Determiniamo ora gli autovettori relativi allautovalore 1 = 1; essi
sono le soluzioni del sistema
x1
x2
(A 1 I)
x3 = 0.
x4
Sviluppando i calcoli si ottiene il sistema
2x2 = 0
x1 3x2 x4 = 0
2x + 2x = 0
2
4
le cui soluzioni sono date da x1 = x2 = x4 = 0 e x3 qualunque. Linsieme
delle soluzioni costituisce quindi un sottospazio vettoriale di dimensione 1,
che `e precisamente lautospazio relativo allautovalore 1 = 1. Una sua
base `e data, ad esempio, dal vettore v1 = e3 = (0, 0, 1, 0). Questo sar`a il
primo vettore di una base di Jordan.
Si pu`o ora dedurre che nella forma canonica di Jordan di A comparir`a
un blocco di Jordan della forma
1 1
,
0 1
perche lautovalore 1 ha molteplicit`a 2, per`o c`e un solo autovettore linearmente indipendente relativo a tale autovalore.
Di conseguenza, come secondo vettore v2 di una base di Jordan, dovremo
prendere un vettore che soddisfi la condizione seguente:
Av2 = v2 + v1 ,
ossia
(A + 1I)v2 = v1 .
3. Soluzioni
87
Si ottiene cos` un sistema di equazioni lineari che `e uguale al sistema precedente in cui abbiamo sostituito la colonna di zeri a destra delluguale con
la colonna delle componenti del vettore v1 .
Sviluppando i calcoli si ottiene il sistema
2x2 = 0
x1 3x2 x4 = 1
2x + 2x = 0
2
4
le cui soluzioni sono date da x1 = 1, x2 = x4 = 0 e x3 qualunque. Possiamo
quindi prendere come secondo vettore di una base di Jordan il vettore v2 =
(1, 0, 0, 0).
Passiamo ora a considerare lautovalore 2 = 1. Gli autovettori corrispondenti si trovano risolvendo il sistema
x1
x 2
(A 2 I)
x3 = 0.
x4
Sviluppando i calcoli si ottiene il sistema
2x1 = 0
x1 3x2 2x3 x4 = 0
2x = 0
2
le cui soluzioni sono date da x1 = x2 = 0 e x4 = 2x3 . Linsieme delle
soluzioni costituisce quindi un sottospazio vettoriale di dimensione 1, che
`e precisamente lautospazio relativo allautovalore 2 = 1. Una sua base `e
data, ad esempio, dal vettore v3 = (0, 0, 1, 2). Questo sar`a il terzo vettore
di una base di Jordan.
Si pu`o ora dedurre che nella forma canonica di Jordan di A comparir`a
un blocco di Jordan della forma
1 1
,
0 1
perche lautovalore 1 ha molteplicit`a 2, ma c`e un solo autovettore linearmente indipendente relativo a tale autovalore.
Di conseguenza, come quarto vettore v4 di una base di Jordan, dovremo
prendere un vettore che soddisfi lequazione seguente:
Av4 = v4 + v3 ,
ossia
(A 1I)v4 = v3 .
Si ottiene cos` un sistema di equazioni lineari che `e uguale al sistema precedente in cui abbiamo sostituito la colonna di zeri a destra delluguale con
la colonna delle componenti del vettore v3 .
88
5. Autovalori e Autovettori
2x1 = 0
x1 3x2 2x3 x4 = 1
2x = 2
2
le cui soluzioni sono date da x1 = 0, x2 = 1 e x4 = 2x3 4. Possiamo
quindi prendere come quarto vettore di una base di Jordan il vettore v4 =
(0, 1, 0, 4).
Si conclude pertanto che i vettori v1 , v2 , v3 e v4 costituiscono una base
di Jordan, rispetto alla quale lendomorfismo ha matrice di Jordan
1 1 0 0
0 1 0 0
.
J =
0
0 1 1
0
0 0 1
Se indichiamo con S la matrice le cui colonne sono costituite dalle componenti dei vettori della base di Jordan trovata,
0 1 0
0
0 0 0
1
,
S=
1 0 1
0
0 0 2 4
si ha dunque AS = SJ, da cui si deduce che A = SJS 1 (come esercizio, si
pu`o verificare questa uguaglianza con un calcolo diretto).
Svolgimento esercizio 9. Determiniamo gli autovalori di A:
2
0
0
0
4
2
4
3
det(I A) = det
4
0
5 3
3
0
2
5 3
= ( 2)2
2
= ( 2)2 (2 5 + 6)
= ( 2)3 ( 3).
Gli autovalori di A sono quindi 1 = 2, con molteplicit`a 3, e 2 = 3, con
molteplicit`a 1.
Determiniamo ora gli autovettori relativi allautovalore 1 = 2; essi sono
le soluzioni del sistema
x1
x 2
(A 1 I)
x3 = 0.
x4
3. Soluzioni
89
3x 2x 2x = 0
1
3
4
le cui soluzioni sono date da x1 = x3 = x4 = 0 e x2 qualunque. Linsieme
delle soluzioni costituisce quindi un sottospazio vettoriale di dimensione 1,
che `e precisamente lautospazio relativo allautovalore 1 = 2. Una sua base
`e data, ad esempio, dal vettore v1 = e2 = (0, 1, 0, 0). Questo sar`a il primo
vettore di una base di Jordan.
Si pu`o ora dedurre che nella forma canonica di Jordan di A comparir`a
un blocco di Jordan della forma
2 1 0
0 2 1 ,
0 0 2
perche lautovalore 2 ha molteplicit`a 3, per`o c`e un solo autovettore linearmente indipendente relativo a tale autovalore.
Di conseguenza, come secondo vettore v2 di una base di Jordan, dovremo
prendere un vettore che soddisfi la condizione seguente:
Av2 = 2v2 + v1 ,
ossia
(A 2I)v2 = v1 .
Si ottiene cos` un sistema di equazioni lineari che `e uguale al sistema precedente in cui abbiamo sostituito la colonna di zeri a destra delluguale con
la colonna delle componenti del vettore v1 .
Le soluzioni di tale sistema sono date da x1 = 0, x3 = 1, x4 = 1 e x2
qualunque. Possiamo quindi prendere come secondo vettore di una base di
Jordan il vettore v2 = (0, 0, 1, 1).
Analogamente, come terzo vettore v3 di una base di Jordan, dovremo
prendere un vettore che soddisfi la condizione seguente:
Av3 = 2v3 + v2 ,
ossia
(A 2I)v3 = v2 .
Si ottiene cos` un sistema di equazioni lineari che `e uguale al sistema precedente in cui abbiamo sostituito la colonna dei termini noti con la colonna
delle componenti del vettore v2 .
Le soluzioni di tale sistema sono date da x1 = 1, x3 = 1, x4 = 0 e
x2 qualunque. Possiamo quindi prendere come terzo vettore di una base di
Jordan il vettore v3 = (1, 0, 1, 0).
90
5. Autovalori e Autovettori
Passiamo ora a considerare lautovalore 2 = 3. Gli autovettori corrispondenti si trovano risolvendo il sistema
x1
x 2
(A 2 I)
x3 = 0.
x4
Sviluppando i calcoli si ottiene il sistema
x1 = 0
4x1 x2 4x3 3x4 = 0
4x + 2x + 3x = 0
1
3
4
le cui soluzioni sono date da x1 = 0, x2 = 2x3 e x4 = 32 x3 . Linsieme
delle soluzioni costituisce quindi un sottospazio vettoriale di dimensione 1,
che `e precisamente lautospazio relativo allautovalore 2 = 3. Una sua base
`e data, ad esempio, dal vettore v4 = (0, 6, 3, 2). Questo sar`a il quarto
vettore di una base di Jordan.
Si conclude pertanto che i vettori v1 , v2 , v3 e v4 costituiscono una base
di Jordan, rispetto alla quale lendomorfismo ha matrice di Jordan
2 1 0 0
0 2 1 0
J =
0 0 2 0 .
0 0 0 3
Se indichiamo con S la matrice le cui colonne sono costituite dalle componenti dei vettori della base di Jordan trovata,
0 0 1 0
1 0
0 6
,
S=
0 1 1
3
0 1
0 2
si ha dunque AS = SJ, da cui si deduce
per esercizio, che
6 1
2 0
S 1 =
1 0
1 0
6
3
,
0
1
3. Soluzioni
91
0
2
4
1 2
1
2
det(I A) = det
0
0
2
0
1
0
1
4
2
4
0
= ( 2) 0 2
1
1
4
4
= ( 2)2
1 4
= ( 2)4 .
Quindi A ha un unico autovalore = 2, con molteplicit`a 4.
Determiniamo ora gli autovettori relativi allautovalore = 2; essi sono
le soluzioni del sistema
x1
x 2
(A I)
x3 = 0.
x4
Sviluppando i calcoli si ottiene il sistema
x x + 2x = 0
1
3
4
le cui soluzioni sono date da x1 = x3 2x4 e x2 , x3 , x4 qualunque. Linsieme
delle soluzioni costituisce quindi un sottospazio vettoriale di dimensione 3,
che `e precisamente lautospazio relativo allautovalore = 2. Una sua
base `e data, ad esempio, dai vettori v1 = (0, 1, 0, 0), v2 = (1, 0, 1, 0) e
v3 = (2, 0, 0, 1).
Da quanto visto si deduce che la forma canonica di Jordan di A `e (a
meno di un riordinamento dei blocchi di Jordan)
2 1 0 0
0 2 0 0
J =
0 0 2 0 .
0 0 0 2
In questo caso non `e pi`
u possibile applicare il metodo descritto nei due
esercizi precedenti per determinare una base di Jordan. Infatti bisognerebbe
ora determinare un autovettore generalizzato v4 relativo allautovalore =
2, cio`e v4 deve soddisfare lequazione
Av4 = 2v4 + v,
92
5. Autovalori e Autovettori
2 1 0 0
0 2 0 0
J =
0 0 2 0 .
0 0 0 2
3. Soluzioni
93
Se indichiamo con S la matrice le cui colonne sono costituite dalle componenti dei vettori della base di Jordan trovata,
6 2 1 0
3 1 0 1
S=
0 1 1 0 ,
3 1 0 0
si ha dunque AS = SJ, da cui si deduce che A = SJS 1 . Si verifichi ora,
per esercizio, che
1
1
9 0 19
9
1 0 1 2
3
3
3
S 1 =
1 0 4 2 ,
3
3
3
0 1 0 1
e si verifichi luguaglianza A = SJS 1 con un calcolo diretto.
Svolgimento esercizio 11. Lavoriamo nel corpo complesso C. In questo
modo esiste una forma canonica di Jordan J per la matrice A, e si ha
A = SJS 1 , per una qualche matrice invertibile S (a coefficienti complessi).
Da ci`o segue che A2 = SJS 1 SJS 1 = SJ 2 S 1 , e dunque luguaglianza
A2 = A equivale a J 2 = J. Ricordando la forma della matrice di Jordan J,
si vede subito che J 2 = J `e possibile se e solo se J `e diagonale (e quindi A
`e diagonalizzabile) e, in tal caso, per ogni autovalore di A si deve avere
2 = , da cui segue che = 0 oppure = 1. In conclusione, la matrice A
`e simile alla matrice
Ir
0
J=
,
0 0nr
ove Ir indica la matrice identit`a di ordine r e 0nr `e la matrice nulla di
ordine n r.
Si noti a questo punto che lintero r coincide con il rango di A, pertanto,
se B `e unaltra matrice con le stesse propriet`a di A, essa sar`a simile a J (e
quindi ad A) se e solo se il suo rango coincide con r.
Svolgimento esercizio 12. La matrice A `e antisimmetrica, cio`e si ha
AT = A. Da ci`o segue che la matrice A2 `e simmetrica:
(A2 )T = (AT )2 = (A)2 = A2 .
Ricordiamo che ogni matrice simmetrica a coefficienti reali `e diagonalizzabile
e tutti i suoi autovalori sono reali. Pertanto tutti gli autovalori di A2 sono
reali. Dimostriamo ora che sono tutti negativi.
Sia v Rn un vettore non nullo; si ha allora
v T (A2 )v = (v T A)(Av) = (v T AT )(Av) = (Av)T (Av) = w w < 0,
ove si `e posto w = Av e si `e usato il fatto che il prodotto scalare in Rn `e
definito positivo (si noti che w 6= 0 perche A `e supposta non-degenere).
94
5. Autovalori e Autovettori
= e, dato
che Av = v,
v v =
v v. In conclusione si ha quindi
che 6= 0 perche A `e non-degenere, questo significa che lautovalore `e
puramente immaginario.
1 0
0 1
.
.
J = 0 0 . . . .
. . .
.. .. ..
0 0 0
0
0
0
..
.
un blocco di Jordan di ordine r, relativo ad un autovalore . Si verifica immediatamente che in queste condizioni si ha: dim Ker(J I) = 1,
dim Ker(J I)2 = 2, dim Ker(J I)3 = 3, etc., fino a dim Ker(J I)r =
r.
Ritorniamo ora al problema in questione. La condizione dim Ker(
2 id) = 1 equivale a dire che 2 `e un autovalore di e che lautospazio ad
esso relativo ha dimensione 1, cio`e esiste un solo autovettore linearmente
indipendente relativo allautovalore 2. Nella matrice di Jordan di comparir`a quindi un blocco di Jordan relativo allautovalore 2, di cui non conosciamo la dimensione, dato che non conosciamo la molteplicit`a dellautovalore
2. Tuttavia, ricordando losservazione iniziale, si deduce dalla condizione
dim Ker( 2 id)3 = 3 che il blocco di Jordan relativo allautovalore 2 deve
avere almeno ordine 3.
In modo analogo, la condizione dim Ker(3 id) = 2 significa che ci sono
due autovettori linearmente indipendenti relativi allautovalore 3, e quindi
ci sono due blocchi di Jordan relativi allautovalore 3. Di questi blocchi
3. Soluzioni
95
0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 2 1 0 0 0 0 0
0 0 0 2 1 0 0 0 0
J 1 = 0 0 0 0 2 0 0 0 0
0 0 0 0 0 3 1 0 0
0 0 0 0 0 0 3 0 0
0 0 0 0 0 0 0 3 1
0 0 0 0 0 0 0 0 3
e
0 1 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 2 1 0 0 0 0 0
0 0 0 2 1 0 0 0 0
J 2 = 0 0 0 0 2 0 0 0 0 .
0 0 0 0 0 3 1 0 0
0 0 0 0 0 0 3 0 0
0 0 0 0 0 0 0 3 1
0 0 0 0 0 0 0 0 3
Dato che la forma canonica di Jordan di una matrice `e unica, a meno di
una permutazione dei singoli blocchi di Jordan, si deduce che ci sono (essenzialmente) solo due endomorfismi di V soddisfacenti alle condizioni
richieste.
96
5. Autovalori e Autovettori
1 0 0
0 1 0
.
.
Jr = 0 0 . . . . 0
. . .
.. .. .. ...
0 0 0
`e precisamente (x)r , si deduce che la matrice di Jordan dellendomorfismo
deve essere del tipo
0 1 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0
0 0 a b 0 0
J =
,
0 0 0 c 0 0
0 0 0 0 3 1
0 0 0 0 0 3
a b
dove la matrice A =
pu`o essere una qualunque delle seguenti: J0 =
0 c
0 0
0 1
3 0
3 1
0 0
, J1 =
, J2 =
, J3 =
, J4 =
.
0 0
0 0
0 3
0 3
0 3
Si vede ora immediatamente che se A = J0 il rango di J `e 3, se A = J1
oppure A = J4 il rango di J `e 4, mentre per A = J2 oppure A = J3 si ha
rango(J) = 5.
Abbiamo cos` determinato tutti gli endomorfismi (pi`
u precisamente, le
loro forme canoniche di Jordan) che soddisfano alle condizioni richieste.
3. Soluzioni
97
Il polinomio caratteristico
di A`e 2 1, quindi gli autovalori di A
1
1
sono 1 = 2 (1 5) e 2 = 2 (1 + 5). Gli autovettori corrispondenti sono
(1 5) 12 (1 + 5)
S=
1
1
e
1
(1
5)
0
J= 2
.
1
0
(1
+
5)
2
Si calcola inoltre facilmente che
1 1 12 (1 + 5)
1
S =
.
1
5 1 2 (1 5)
1
2
Si ha quindi
vn = An1 v1 = (SJS 1 )n1 v1 = SJ n1 S 1 v1 =
n+1
n+1
1
1
((1
+
5)
(1
n+1
2
n
5)n ) ,
=
1
((1
+
5)
(1
5) )
5
2n
da cui si ottiene la seguente formula per lennesimo numero di Fibonacci:
1
xn = (1 + 5)n (1 5)n .
2n 5
Si noti che, anche se non `e evidente dalla formula trovata, questi numeri
sono sicuramenti interi.
Capitolo 6
Forme Bilineari
1. Richiami di teoria
1.1. Prodotto scalare in Rn
Finora abbiamo visto come i vettori si possano sommare e moltiplicare per
degli scalari. Non sappiamo per`o misurare la lunghezza di un vettore, ne
langolo tra due vettori. Per definire queste due quantit`a introduciamo
la nozione di prodotto scalare di due vettori. Iniziamo dal caso dello spazio
vettoriale Rn .
Definizione 1.1. Il prodotto scalare di due vettori v = (x1 , . . . , xn ) e w =
(y1 , . . . , yn ) di Rn `e il numero reale
vw =
n
X
xi yi .
i=1
100
6. Forme Bilineari
x2 .
kvk = v v = t
i
i=1
Un vettore di norma unitaria `e detto versore. Spesso si usa anche la notazione |v| al posto di kvk, in tal caso si preferisce usare il termine modulo di
v al posto di norma di v.
Definizione 1.3. Siano v = (x1 , . . . , xn ) e w = (y1 , . . . , yn ) Rn . Langolo
tra i due vettori v e w `e definito dalla seguente uguaglianza:
vw
cos =
.
kvk kwk
Da questa definizione segue subito che
Osservazione 1.4. Due vettori (non nulli) sono ortogonali se e solo se il
loro prodotto scalare `e 0.
Ricordiamo ora le principali propriet`a del prodotto scalare.
Proposizione 1.5. Per ogni u, v, w Rn e ogni scalare R, si ha:
(1) (u + v) w = u w + v w,
(2) u (v + w) = u v + u w,
(3) (v) w = v (w) = v w,
(4) v w = w v,
(5) v v > 0 se v 6= 0.
Le prime tre propriet`a esprimono il fatto che il prodotto scalare `e una
applicazione bilineare definita su Rn Rn a valori in R. La quarta propriet`a
dice che questa applicazione bilineare `e simmetrica. La quinta esprime, per
definizione, il fatto che questa applicazione bilineare simmetrica `e definita
positiva.
1. Richiami di teoria
101
e che
(v, w) + (w, v)
2
`e una forma bilineare simmetrica, mentre
s (v, w) =
(v, w) (w, v)
2
`e una forma bilineare antisimmetrica, possiamo concludere che ogni forma
bilineare `e somma di una forma bilineare simmetrica e di una alternante.
` quindi sufficiente studiare separatamente le forme bilineari simmetriche e
E
quelle alternanti.
Introduciamo ora i concetti di vettore isotropo e sottospazio isotropo.
Sia V uno spazio vettoriale dotato di una forma bilineare .
Definizione 1.8. Un vettore v V `e detto isotropo se (v, v) = 0.
Definizione 1.9. Un sottospazio U V `e detto isotropo se (u1 , u2 ) = 0,
per ogni u1 , u1 U .
Si noti che, se U `e un sottospazio isotropo di V , allora tutti i vettori
` invece falso che un insieme di vettori isotropi di V
di U sono isotropi. E
sia un sottospazio isotropo di V ; in generale, infatti, non sar`a neanche un
sottospazio vettoriale di V .
Sia oraP
{v1 , . . . , vn } unaP
base di V . Se due vettori v, w V si scrivono
come v = ni=1 xi vi e w = nj=1 yj vj , usando la bilinearit`a di si ottiene:
X
X
n
n
X
(v, w) =
xi vi ,
yj vj =
xi yj (vi , vj )
a (v, w) =
i=1
j=1
i,j
aij xi yj ,
i,j
102
6. Forme Bilineari
h,k
k=1
h,k
1. Richiami di teoria
103
Teorema 1.15. Lo spazio vettoriale V , dotato della forma bilineare simmetrica non-degenere , ammette basi ortogonali. Esiste cio`e una base di
V costituita da vettori a due a due ortogonali.
Lo stesso risultato, espresso in termini di matrici, si traduce nel seguente
teorema:
Teorema 1.16. Ogni matrice quadrata A, simmetrica e non-degenere, `e
congruente a una matrice diagonale A0 . Esiste cio`e una matrice invertibile
P tale che P T AP sia diagonale.
Imitando ancora le definizioni valide per il prodotto scalare usuale in Rn ,
vorremmo definire la norma di un vettore v V come segue:
p
kvk = (v, v),
ma per fare ci`o bisogna prima essere sicuri che, nel campo C, esistano le
radici quadrate degli elementi del tipo (v, v). Se C `e un campo algebricamente chiuso, come il campo complesso, non ci sono problemi. Se per`o
C non `e algebricamente chiuso, come `e il caso del campo dei numeri reali, le radici quadrate degli elementi di C non esistono sempre. In tal caso
bisogner`a porre delle ipotesi ulteriori sulla forma bilineare .
Sia quindi C il campo dei numeri reali R (oppure un campo ordinato).
Diamo la seguente definizione:
Definizione 1.17. Una forma bilineare simmetrica `e detta:
(1) definita positiva se (v, v) > 0, per ogni v V , con v 6= 0,
(2) semidefinita positiva se (v, v) 0, per ogni v V ,
(3) definita negativa se (v, v) < 0, per ogni v V , con v 6= 0,
(4) semidefinita negativa se (v, v) 0, per ogni v V ,
(5) indefinita se esistono due vettori v, w V tali che (v, v) > 0 e
(w, w) < 0.
Esiste un criterio molto semplice per stabilire se una forma bilineare
simmetrica `e definita positiva o negativa.
Teorema 1.18. Sia A = (aij ) la matrice (quadrata di ordine n) di rispetto
a una qualche base fissata di V . Indichiamo con r , per r = 1, . . . , n, il
determinante della sottomatrice costituita dalle prime r righe e colonne di
A. Si ha quindi
a11 a1r
.
a11 a12
.. .
, , r = ..
1 = a11 , 2 =
.
a21 a22
a
a
r1
rr
Allora (o equivalentemente A) `e
(1) definita positiva se i > 0, per ogni i = 1, . . . , n.
(2) definita negativa se i < 0 per ogni i dispari, e i > 0, per ogni i
pari, per i = 1, . . . , n.
Finalmente possiamo definire la norma di un vettore:
104
6. Forme Bilineari
(v, w)
1,
kvk kwk
(v, w)
.
kvk kwk
Si vede cos` che in uno spazio vettoriale reale, dotato di una forma bilineare simmetrica, non-degenere e definita positiva, `e possibile definire la
lunghezza di un vettore e langolo tra due vettori in modo analogo a quanto
avviene nel caso di Rn dotato del prodotto scalare usuale.
Definizione 1.24. Uno spazio vettoriale V , dotato di una forma bilineare
simmetrica, non-degenere e definita positiva, `e detto spazio euclideo (o
anche spazio metrico, o spazio normato)
Terminiamo ricordando un importante teorema che classifica gli spazi
vettoriali reali dotati di una forma bilineare simmetrica, non necessariamente definita positiva:
1. Richiami di teoria
105
H 0 0
0 H 0
. . .
.. ..
. . ...
0
ove
H=
0 1
.
1 0
106
6. Forme Bilineari
u (v + w) = u v + u w,
(u + v) w = u w + v w,
(v) w = v (w) = (v w),
v w = w v.
x1
u (v w) = det y1
z1
= (y1 , y2 , y3 ) e w = (z1 , z2 , z3 )
x2 x3
y2 y3 .
z2 z3
2. Esercizi
107
2. Esercizi
Gli esercizi sul prodotto scalare usuale in Rn e sul prodotto vettoriale in
R3 verranno svolti nel capitolo dedicato agli spazi affini. Qui di seguito
riportiamo alcuni esercizi sulle forme bilineari in generale.
2 3 1
G = 3 4 0 .
1 0 1
Si determini una matrice invertibile P tale che P T GP = I.
Esercizio 2. Sia V uno spazio vettoriale sul corpo dei numeri reali, con
base {v1 , v2 , v3 }, e sia g la forma bilineare simmetrica di matrice, rispetto
alla base data,
0 2
1
G = 2 3 1 .
1 1 2
Si determini una base di V rispetto alla quale la matrice di g sia diagonale,
con soli elementi 1 e 1 sulla diagonale.
Esercizio 3. Sia V uno spazio vettoriale sul corpo dei numeri reali, con
base {v1 , v2 , v3 }, e sia g la forma bilineare simmetrica di matrice, rispetto
alla base data,
0 2 1
G = 2 0 3 .
1 3 0
Si determini una base di V rispetto alla quale la matrice di g sia diagonale,
con soli elementi 1 e 1 sulla diagonale.
Esercizio 4. Sia V uno spazio vettoriale reale di dimensione 3, e sia
{v1 , v2 , v3 } una sua base. Si consideri la forma bilineare simmetrica g di
matrice
3 1
0
2 1 ,
G= 1
0 1 1
108
6. Forme Bilineari
3 2 1
1
2 1 1 1
,
G=
1 1 1
4
1 1 4
2
rispetto alla base canonica.
(1) Si verifichi che g `e non-degenere, se ne calcoli lindice dinerzia e si
determini una base ortogonale di V relativamente a g.
(2) (R4 , g) `e isometrico allo spazio R4 dotato del prodotto scalare usuale? E allo spazio di Minkowski?
Esercizio 6. Sullo spazio vettoriale R4 si consideri la forma bilineare simmetrica g di matrice
0
2 2 0
2
0
1 3
G=
2 1
0 1
0 3 1 0
rispetto alla base canonica.
(1) Si determini lindice dinerzia di g.
(2) Si determini, se esiste, una base di R4 rispetto a cui g ha matrice
1 0 0 0
0 1 0 0
0 0 0 1 .
0 0 1 0
(3) Si determini, se esiste, una base di R4 rispetto a cui g ha matrice
0 1 0 0
1 0 0 0
0 0 0 1 .
0 0 1 0
2. Esercizi
0 1
1 0
0 0
0 0
109
0
0
0
0
.
1 0
0 1
0
3 4 1
3 0 5 2
G=
4 5 0 6 ,
1 2 6 0
rispetto alla base data.
Si determini una base {w1 , . . . , w4 } di V tale che la matrice di g rispetto
a questa nuova base sia
0 1 0 0
1 0 0 0
G0 =
0 0 0 1 .
0 0 1 0
2.3. Isometrie
Esercizio 8. Sia V uno spazio vettoriale reale di dimensione finita e sia g :
V V R una forma bilineare simmetrica definita positiva. Se : V V
`e una isometria, si dimostri che si ha
Im( id) = Ker( id) .
110
6. Forme Bilineari
3. Soluzioni
3.1. Forme Bilineari Simmetriche
Svolgimento esercizio 1. Dato che P T GP `e la matrice della forma bilineare g rispetto ad una nuova base {v10 , v20 , v30 }, ottenuta dalla base {v1 , v2 , v3 }
per mezzo della matrice di cambiamento di base P , cio`e
(v10 , v20 , v30 ) = (v1 , v2 , v3 )P,
il problema si riduce alla determinazione di una base {v10 , v20 , v30 } rispetto
alla quale la matrice di g sia lidentit`a, ossia alla determinazione di una
base ortonormale. Utilizziamo a tal fine il
procedimento di Gram-Schmidt.
0
Dato che g(v1 , v1 ) = 2, poniamo v1 = v1 / 2. Si ha cos` g(v10 , v10 ) = 1. Un
vettore v200 ortogonale a v10 si trova nel modo seguente: si ponga v200 = av10 +v2
e si richieda che g(v10 , v200 ) = 0. Si ottiene in questo modo a = g(v10 , v2 ) e
dunque si ha:
v200 = v2 g(v10 , v2 )v10
= v2 g(v1 / 2, v2 )v1 / 2
3
= v2 v1 .
2
00 00
A questo punto bisogna normalizzare questo vettore. Si calcola g(vq
2 , v2 ) =
g(v2 32 v1 , v2 23 v1 ) = 12 , e si pone di conseguenza v20 = v200 / 12 =
3
3
= v3 g(v1 / 2, v3 )v1 / 2 g( i 2v1 i 2v2 , v3 )( i 2v1 i 2v2 )
2
2
= v3 4v1 + 3v2 .
00
Anche questultimo vettore deve essere normalizzato. Si ha g(v300 , v
3) =
0
00
g(v3 4v1 + 3v2 , v3 4v1 + 3v2 ) = 5, e si pone di conseguenza v3 = v3 / 5 =
45 v1 + 35 v2 + 15 v3 .
3. Soluzioni
111
i
2
5
2
P = 0 i 2 35 .
1
0
0
5
Si verifichi che si ha effettivamente P T GP = I.
Svolgimento esercizio 2. Utilizziamo il procedimento di Gram-Schmidt.
Dato per`o che il vettore v1 `e isotropo, non possiamo prendere come primo
vettore v10 della nuova base un suo multiplo. Per ovviare a questo inconveniente `e sufficiente scambiare tra loro i vettori v1 e v2 della base data ed applicare il procedimento di Gram-Schmidt
partendo dunque0 da0 v2 . Dato che
0
g(v2 , v2 ) = 3, bisogner`a porre v1 = v2 / 3. Si ha cos` g(v1 , v1 ) = 1. Continuando, poniamo v200 = av10 +
v1 ed imponiamo che sia
g(v10 , v200 ) = 0. Si trova
5
3
1
0
0
00
0
0
ha g(v2 , v2 ) = 1). Si ha dunque v3 = 3 v1 + 6 v2 + v3 = 12 v2 + 54 v1 + v3 .
Si ha allora g(v300 , v300 ) = 15/4 e quindi si deve porre v30 = 215 v300 , ottenendo
cos` g(v30 , v30 ) = 1.
La matrice di g nella base {v10 , v20 , v30 } `e dunque
1 0 0
G0 = 0 1 0 .
0 0 1
Svolgimento esercizio 3. Dato che tutti i vettori della base data sono
isotropi non `e possibile prendere un loro multiplo come vettore della nuova
base. In questo caso si dovranno invece considerare, ad esempio, i vettori
v100 = v1 + v2 e v200 = v1 v2 . Questi due vettori sono ortogonali, dato
che g(v100 , v200 ) = g(v1 , v1 ) g(v2 , v2 ) = 0, e non sono isotropi. Infatti si ha
g(v100 , v100 ) = 4 e g(v200 , v200 ) = 4. Si prendono quindi come vettori per la nuova
base i vettori v10 = 21 v100 e v20 = 12 v200 , ottenendo g(v10 , v10 ) = 1 e g(v20 , v20 ) = 1.
A questo punto v30 si potr`a determinare nel modo usuale. Poniamo dunque
v300 = av10 + bv20 + v3 ed imponiamo che g(v10 , v300 ) = 0 e g(v20 , v300 ) = 0. Si
ottiene allora a = g(v10 , v3 ) = 1 e b = g(v20 , v3 ) = 2. Di conseguenza
si ha v300 = v10 2v20 + v3 e, dato che g(v300 , v300 ) = 3, si porr`a v30 = v300 / 3,
ottenendo g(v30 , v30 ) = 1.
112
6. Forme Bilineari
1 0 0
G0 = 0 1 0 .
0 0 1
Svolgimento esercizio 4. (1) Si ha
2 1 1 1
= 10,
det G = 3
1 1 0 1
quindi g `e non-degenere.
Procediamo quindi alla determinazione di una base ortogonale. Poniamo
w1 = v1 ; si ha g(w1 , w1 ) = 3 6= 0. Si noti che non `e necessario normalizzare
i vettori della nuova base, perche `e richiesta una base ortogonale e non una
base ortonormale.
Osservando la matrice G si nota che il vettore v3 `e ortogonale a w1 , quindi
come secondo vettore della base ortogonale possiamo prendere w2 = v3 ; si
ha quindi g(w2 , w2 ) = 1.
Rimane ora solo da determinare un terzo vettore w3 ortogonale ai due
precedenti. Poniamo w3 = 1 v1 + 2 v2 + 3 v3 ed imponiamo a w3 di essere
ortogonale a w1 e w2 . Si ottiene il seguente sistema:
g(w1 , w3 ) = 31 + 2 = 0
g(w2 , w3 ) = 2 3 = 0,
da cui si ricava
= 1
3
1
3
= .
2
3 0 0
0 1 0 .
0
0 30
(2) Osservando la matrice appena trovata si scopre che la restrizione di g al
sottospazio L{w1 , w2 }, generato da w1 e w2 , `e definita negativa, mentre la
restrizione di g al sottospazio generato da w3 `e definita positiva. Si deduce
quindi che lindice dinerzia di g `e dato da i(g) = 1 2 = 1.
(3) Dato che g non `e definita, esistono sicuramente dei vettori isotropi non
nulli. Ad esempio, se consideriamo un vettore w = 1 w1 + 2 w2 + 3 w3 , la
condizione che w sia isotropo `e
g(w, w) = 321 22 + 3023 = 0,
che ha ovviamente soluzioni reali non nulle.
3. Soluzioni
113
il vettore w = 30w2 + w3 . Il sottospazio U = L{w} `e pertanto un sottospazio isotropo di dimensione massima (ovviamente tale sottospazio non `e
unico).
Svolgimento esercizio 5. (1) Per dimostrare che g `e non-degenere basta
dimostrare che det G 6= 0, oppure che esiste una base ortogonale di V . Visto
che, in ogni caso, dobbiamo determinare una base ortogonale, possiamo
evitare di calcolare il determinante di G; quando avremo calcolato una
base ortogonale avremo anche dimostrato che essa esiste, e quindi che g
`e non-degenere.
Indichiamo con {e1 , . . . , e4 } la base canonica di R4 . Come primo elemento di una base ortogonale possiamo prendere v1 = e1 ; si ha g(v1 , v1 ) = 3.
Cerchiamo ora un secondo vettore v2 ortogonale a v1 : possiamo prendere v2
della forma seguente
v2 = 1 v1 + e2 ,
ed imporre che sia g(v1 , v2 ) = 0. Si trova allora 1 = 32 e quindi
2
2
v2 = v1 + e2 = e1 + e2 ;
3
3
1
si calcola facilmente che g(v2 , v2 ) = 3 .
Per determinare il terzo vettore v3 della base ortogonale il procedimento
`e analogo. Sia
v3 = 1 v1 + 2 v2 + e3 ,
ed imponiamo che g(v1 , v3 ) = 0 e g(v2 , v3 ) = 0. Si ottengono le seguenti due
equazioni:
g(v1 , v3 ) = 31 + 1 = 0
1
1
g(v2 , v3 ) = 2 = 0,
3
3
1
che hanno come soluzione 1 = 3 e 2 = 1. Si ha quindi
1
v3 = v1 v2 + e3 = e1 e2 + e3 ,
3
da cui si ottiene g(v3 , v3 ) = 1.
Analogamente, ponendo
v4 = 1 v1 + 2 v2 + 3 v3 + e4 ,
ed imponendo che g(v1 , v4 ) = 0, g(v2 , v4 ) = 0 e g(v3 , v4 ) = 0, si trova che
1 = 31 , 2 = 1 e 3 = 4, da cui si ottiene
1
v4 = v1 v2 4v3 + e4 = 3e1 + 3e2 4e3 + e4 ,
3
114
6. Forme Bilineari
e g(v4 , v4 ) = 14.
In conclusione, abbiamo visto che esiste una base ortogonale, data da
{v1 , . . . , v4 }; ci`o dimostra che g `e non-degenere. Inoltre abbiamo visto che
la matrice di g rispetto alla base {v1 , . . . , v4 } `e
3 0 0 0
0 1 0 0
3
0 0 1 0
0 0 0 14
da cui si deduce che lindice dinerzia di g `e i(g) = 0.
(2) Il prodotto scalare usuale su R4 ha indice dinerzia 4. Pertanto R4
dotato del prodotto scalare usuale non `e isometrico allo spazio V dotato
della forma bilineare simmetrica g, che ha indice dinerzia 0 (si ricordi il
teorema di Sylvester). Analogamente, (V, g) non `e isometrico allo spazio di
Minkowski, perche questultimo `e R4 dotato della forma bilineare di matrice
1 0 0 0
0 1 0 0
0 0 1 0
0 0 0 1
che ha indice dinerzia 2.
Svolgimento esercizio 6. (1) Per determinare lindice dinerzia cerchiamo
innanzitutto una base ortogonale (dato che sar`a utile anche nel seguito).
Indichiamo con {e1 , . . . , e4 } la base canonica di R4 . In questo caso tutti
e quattro i vettori della base canonica sono isotropi, quindi non possiamo prendere nessuno di questi come primo vettore di una base ortogonale.
Prendiamo allora v1 = e1 + e2 ; questo vettore non `e isotropo, dato che si ha
g(v1 , v1 ) = 2g(e1 , e2 ) = 4.
Come secondo vettore si vede immediatamente che si pu`o prendere v2 =
e1 e2 , dato che esso `e ortogonale a v1 : g(v1 , v2 ) = 0. Si ha poi g(v2 , v2 ) =
4.
A questo punto possiamo prendere
v3 = 1 v1 + 2 v2 + e3 ,
ed imporre che g(v1 , v3 ) = g(v2 , v3 ) = 0. Si trova allora 1 =
Si ha quindi
1
3
1
v3 = v1 v2 + e3 = e1 + e2 + e3 ,
4
4
2
da cui si ottiene g(v3 , v3 ) = 2.
Analogamente, ponendo
v4 = 1 v1 + 2 v2 + 3 v3 + e4 ,
1
4
e 2 = 34 .
3. Soluzioni
115
3
,
4
3
3
1
v4 = v1 + v2 + 2v3 + e4 = e1 + 2e2 + 2e3 + e4 ,
4
4
2
e g(v4 , v4 ) = 8.
La matrice di g rispetto alla base
4 0
0 4
0 0
0 0
{v1 , . . . , v4 } `e quindi
0 0
0 0
2 0
0 8
1 0
0 1
0 0
0 0
0
0
0
1
0 1
ha indice
1 0
0
0
1
0
0 1
1 0
0 0
0 0
la matrice
0 0
0 0
0 1
1 0
0 1 0
1 0 0
0 0 1
0 0 0
che la matrice
0
0
0
1
116
6. Forme Bilineari
b + 4c = 0
5
a + c = 0.
3
Ponendo, ad esempio, c = 3, si trova b = 12 e a = 5. Di conseguenza si
ha w3 = 5w1 12w2 + 3v3 = 5v1 4v2 + 3v3 .
Infine per determinare w4 poniamo w4 = aw1 + bw2 + cw3 + dv4 ed
imponiamo le condizioni g(w1 , w4 ) = 0, g(w2 , w4 ) = 0 e g(w3 , w4 ) = 1. Si
ottiene cos` il sistema
bd=0
2
a+ d=0
31d = 1,
2
1
che ha come soluzione a = 93
, b = d = 31
(e c qualunque). Prendendo
2
1
1
2
1
w2 31
v4 = 93
v1 93
v2
c = 0 si ottiene allora il vettore w4 = 93 w1 31
1
v.
31 4
Osservazione: possiamo ora scrivere anche la matrice P di cambiamento
di base. Si ha infatti
1 0
5 2/93
0 1/3 4 1/93
,
(w1 , . . . , w4 ) = (v1 , . . . , v4 )
0 0
3
0
0 0
0 1/31
e quindi
1 0
5 2/93
0 1/3 4 1/93
.
P =
0 0
3
0
0 0
0 1/31
Si pu`o allora controllare che vale la nota formula G0 = P T GP .
3. Soluzioni
117
3.3. Isometrie
Svolgimento esercizio 8. Dimostriamo che Im( id) Ker( id) .
Sia v V e w Ker(id); bisogna dimostrare che (id)(v) `e ortogonale
a w, cio`e che g(( id)(v), w) = 0. Osserviamo che si ha (w) = w, dato
che ( id)(w) = 0. Si ottiene quindi:
g(( id)(v), w) = g((v), w) g(v, w)
= g((v), (w)) g(v, w)
= 0,
ove si `e usato il fatto che g((v), (w)) = g(v, w), cio`e che `e una isometria.
Dato che la dimostrazione precedente `e valida per ogni v ed ogni w, si `e
cos` provato che Im( id) Ker( id) . Daltra parte, ricordiamo che
dim Im( id) = dim V dim Ker( id)
e
dim Ker( id) = dim V dim Ker( id).
Quindi Im( id) e Ker( id) hanno la stessa dimensione e pertanto
devono essere uguali.
118
6. Forme Bilineari
Capitolo 7
Spazio Affine
1. Richiami di teoria
1.1. Spazi Affini
Ai fini dello studio della geometria, gli spazi vettoriali presentano linconveniente di non contenere punti ma solo vettori. Introduciamo ora una
categoria di spazi in cui si possono definire allo stesso tempo i concetti di
punto e vettore; questi sono gli spazi affini.
Definizione 1.1. Uno spazio affine A sul campo C `e una terna A =
(S, V, +), costituita da un insieme S, detto linsieme dei punti, da uno spazio
vettoriale V sul campo C, detto linsieme dei vettori, e da una operazione
(vedi figura 1)
+ : S V S,
(P, v) 7 Q = P + v,
r P
120
7. Spazio Affine
che la funzione
V S,
v 7 P + v,
`e una biiezione. Linsieme dei punti S pu`o quindi essere identificato con
linsieme dei vettori V , ma tale identificazione dipende dalla scelta di un
punto P .
Definizione 1.2. Lo spazio affine n-dimensionale standard sul campo C `e
An (C) = (C n , C n , +), ove linsieme S dei punti `e C n , lo spazio vettoriale V
`e ancora C n e loperazione di somma di un punto con un vettore `e definita
come segue: se P = (p1 , . . . , pn ) e v = (x1 , . . . , xn ) allora
P + v = (p1 + x1 , . . . , pn + xn ).
Si verifica facilmente che tutte le propriet`a richieste dalla definizione di
uno spazio affine sono soddisfatte.
1.3. Sottovariet`
a lineari
Sia A = (S, V, +) uno spazio affine.
Definizione 1.6. Una sottovariet`a lineare L di A `e un insieme di punti di
A definito come segue:
L = {Q S | Q = P + v, v W },
1. Richiami di teoria
121
n
X
aij vi ,
i=1
r
X
j=1
j wj =
X
i,j
aij j vi =
n
X
i=1
i v i ,
122
7. Spazio Affine
r
X
aij j .
j=1
1. Richiami di teoria
123
rP
-r
v R
|a1 p1 + a2 p2 + + an pn + b|
p
.
a21 + + a2n
124
7. Spazio Affine
Q r
r
*
P
r
v
u
HH
r
H
H
HH
w
RH
HH
HH
HH
H
j
H
Hr
H s
S H
H
|u (v w)|
.
kv wk
2. Esercizi
125
2. Esercizi
2.1. Rette e Piani
Esercizio 1. Nello spazio affine A3 (R) si determini la retta r passante per
il punto P = (p1 , p2 , p3 ) e parallela al vettore v = (v1 , v2 , v3 ).
Esercizio 2. Nello spazio affine A3 (R) si determini la retta r passante per
i punti P = (p1 , p2 , p3 ) e Q = (q1 , q2 , q3 ).
Esercizio 3. Nello spazio affine A3 (R) si determini il piano passante
per il punto P = (p1 , p2 , p3 ) e parallelo ai vettori v = (v1 , v2 , v3 ) e w =
(w1 , w2 , w3 ).
Esercizio 4. Nello spazio affine A3 (R) si determini il piano passante per
i tre punti (non allineati) P = (p1 , p2 , p3 ), Q = (q1 , q2 , q3 ) e R = (r1 , r2 , r3 ).
Esercizio 5. Nello spazio affine A3 (R) sia r la retta di equazioni
2x 3y + 1 = 0
2x 2y + z 1 = 0.
126
7. Spazio Affine
x = t + 1
y=2
z = t 1.
2. Esercizi
127
0 12
1
x
x
2
0
y
0
f : y 7
+ 0 1
1
1
z
z
0 2
21
2
rispetto ad un sistema di riferimento ortonormale.
Si mostri che f `e una isometria dello spazio affine euclideo che ammette
una retta r fatta di punti uniti, e si determini lequazione di tale retta. Si
dica inoltre se f `e una rotazione di asse r e, in caso affermativo, si determini
langolo di rotazione.
Esercizio 18. Nel piano affine euclideo A2 (R) siano r1 e r2 le rette di
equazione x 2y + 1 = 0 e 3x y + 2 = 0 rispettivamente. Si determinino
le equazioni delle rette s1 e s2 bisettrici degli angoli formati da r1 e r2 .
128
7. Spazio Affine
3. Soluzioni
3.1. Rette e Piani
Svolgimento esercizio 1. La retta r cercata `e linsieme dei punti X tali
che il vettore X P `e multiplo del vettore v. Si ha quindi
r = {X A3 | X P = v, R}.
Se poniamo X = (x1 , x2 , x3 ), si ottengono cos` le equazioni
x1 p1 = v1
x2 p2 = v2
x p = v
3
3
3
Queste sono le equazioni parametriche della retta r.
Se da queste equazioni eliminiamo il parametro , e se supponiamo che
v1 6= 0, v2 6= 0 e v3 6= 0, si ottengono le due equazioni seguenti
x2 p2
x3 p3
x1 p1
=
=
v1
v2
v3
che sono le equazioni cartesiane della retta r cercata.
Svolgimento esercizio 2. La retta r cercata `e la retta passante per il
punto P parallela al vettore v = Q P = (q1 p1 , q2 p2 , q3 p3 ). A questo
punto basta applicare quanto visto nellesercizio precedente. Le equazioni
parametriche di r sono quindi
x1 p1 = (q1 p1 )
x2 p2 = (q2 p2 )
x p = (q p )
3
x1 p1 = v1 + w1
x2 p2 = v2 + w2
x p = v + w
3
3
3
3
Queste sono le equazioni parametriche del piano .
3. Soluzioni
129
x1 p1 = (q1 p1 ) + (r1 p1 )
x2 p2 = (q2 p2 ) + (r2 p2 )
x p = (q p ) + (r p )
3
, R.
x=
1
y=
z =
3
Eliminando il parametro si ottengono le equazioni cartesiane di s, che
sono (ad esempio)
2x 3y = 0
y + z = 0.
Passiamo ora alla determinazione del piano in questione. Lequazione del
fascio di piani di asse r `e
(2x 3y + 1) + (2x 2y + z 1) = 0.
130
7. Spazio Affine
Questo fornisce
4x 5y + z = 0.
Svolgimento esercizio 6. Le equazioni cartesiane di r1 sono
x0
y1
z2
=
=
,
2
1
1
da cui si ottiene
r1 :
x 2y + 2 = 0
y z + 1 = 0.
x = 2t + 2
y = 3t 1
z = 0,
da cui si ricava
r2 :
3x + 2y 4 = 0
z = 0.
x 3y + z + 1 = 0
3x + 2y z 4 = 0.
3. Soluzioni
131
x+y =0
y 2z 1 = 0.
Il piano 1 `e il piano del fascio di asse r passante per R. Lequazione del
fascio di piani di asse r `e
s:
(x + y + 1) + (5y + z + 2) = 0,
e dalla condizione di passaggio per R si ottiene = 73 . Ponendo = 3
si trova cos` lequazione del piano 1 :
1 : 7x + 8y + 3z 1 = 0.
Il punto medio M del segmento P Q `e il punto dato da
P +Q
M=
= (1/2, 1/2, 1/2)
2
132
7. Spazio Affine
(si noti che in uno spazio affine non ha alcun senso fare la somma di due
punti. Tuttavia la formula 12 (P + Q) fornisce precisamente le coordinate
del punto medio del segmento P Q. Si consiglia al lettore di verificarlo per
esercizio).
A questo punto il piano 2 si pu`o determinare con lo stesso procedimento
usato in precedenza per determinare 1 (si consideri il fascio di piani di asse
s e si imponga la condizione di passaggio per il punto M ). Si trova
2 : x + y = 0.
La retta 1 2 ha quindi equazioni
7x + 8y + 3z 1 = 0
1 2 :
x + y = 0,
e per trovare un vettore parallelo a questa retta basta trovarne due punti,
ad esempio i punti A = (0, 0, 13 ) e B = (1, 1, 0). Il vettore in questione `e
dunque u = B A = (1, 1, 31 ).
k(P Q) vk
,
kvk
ottiene d(P, r) = 23 2.
3. Soluzioni
133
((P Q) v)2
.
kvk2
(x + z + 1)2
,
x2 + (y 1)2 + (z + 1)2
da cui si ricava
y 2 2xz 2x 2y + 1 = 0.
Questa equazione descrive il luogo dei punti X tali che la retta passante
per Q e X ha distanza fissata, uguale a 1, dal punto P ; si tratta quindi
di un cono di vertice Q il cui asse `e la retta per Q e P . Dato che le rette
che interessano sono solo quelle contenute nel piano , queste si trovano
intersecando il cono trovato con il piano in questione. Si noti, a questo
proposito, che il piano contiene il vertice Q del cono, quindi lintersezione
del piano con il cono consiste precisamente di due rette (almeno se il piano
non `e tangente al cono). Lintersezione tra il piano e il cono `e data dal
seguente sistema:
(
y 2 2xz 2x 2y + 1 = 0
y + z = 0.
Ricavando y = z e sostituendo nella prima equazione, si ottiene lequazione
(z + 1)(z + 1 2x) = 0,
da cui si ricavano quindi i due sistemi
z+1=0
y+z =0
e
z + 1 2x = 0
y + z = 0.
Queste sono quindi le equazioni delle due rette ottenute intersecando con
il cono in questione, che sono precisamente le rette cercate.
Svolgimento esercizio 11. Dallequazione del piano si deduce che il
vettore n = (2, 1, 1) `e ortogonale al piano . Una retta forma un angolo
di 6 con se e solo se forma un angolo di 3 con il vettore n, quindi il
problema si riduce a determinare tutte le rette passanti per P che formano
un angolo fissato, pari a 3 , con il vettore n. Queste rette formano pertanto
un cono di vertice P , di asse la retta per P parallela ad n, e di semiapertura
134
7. Spazio Affine
|2(x 2) + (y 1) (z 1)| =
6p
(x 2)2 + (y 1)2 + (z 1)2 ,
2
x = txS + 3(1 t)
y = tyS + 3(1 t)
z = tz + 3(1 t).
S
6
6 xS zS
3. Soluzioni
135
x = t + 1
r : y = 3t
z = t.
Sia X = (x,
y, z) un punto generico del cilindro in questione: si deve avere
d(X, r) = 6. Ricordando la formula che fornisce la distanza di un punto
da una retta, si ha:
((X P ) v)2
= 6,
kX P k
kvk2
2
da cui si ottiene
(x 1 + 3y + z)2
= 6.
11
Sviluppando i calcoli e semplificando, si ha:
(x 1)2 + y 2 + z 2
7 385
7 + 385
xz =
xz =
;
,
6
6
y = x + 2z.
y = x + 2z.
7+ 385
;
6
136
7. Spazio Affine
3. Soluzioni
137
x = t + 1
y =t+1
z = t 1.
Intersecando questa retta con il piano si trova il punto Q0 = (0, 0, 0).
Finalmente, per determinare la retta s `e sufficiente trovare un vettore v
parallelo ad s, cio`e perpendicolare a w ed anche alla retta r1 . Si vede subito
che i punti A = (0, 1, 1) e B = (0, 0, 0) appartengono a r1 , quindi un vettore
parallelo a r1 `e il vettore u = A B = (0, 1, 1). Di conseguenza, un vettore
v perpendicolare a u e w `e il vettore v = u w = (2, 1, 1). La retta s
cercata ha quindi equazioni
x = 2t
y=t
z = t.
Si noti infine che la retta s si pu`o determinare anche come lintersezione del
piano con il piano passante per Q0 e perpendicolare a r1 , che ha equazione
y + z = 0. La retta s ha quindi equazioni cartesiane
x+yz =0
y + z = 0.
x = 0
y=t
z = 1 t.
138
7. Spazio Affine
p
3
2
2
|2t 1| = 1 + t + (1 t) 2
.
2
Elevando al quadrato e semplificando si ottiene alla fine
t2 t 2 = 0,
che ha le seguenti soluzioni: t = 1 e t = 2.
In corrispondenza a questi valori di t si ottengono due punti di r, X1 =
(0, 1, 2) e X2 = (0, 2, 1). Le rette cercate sono quindi le rette s e s0
passanti rispettivamente per P e X1 e per P e X2 . Le loro equazioni
cartesiane sono quindi
xy1=0
xz1=0
0
s:
s :
2y + z = 0,
y + 2z = 0.
Svolgimento esercizio 17. Sia A la matrice che descrive lazione dellaffinit`a sui vettori:
1
0 12
2
0
A=0 1
1
1
0
2
2
Si verifica subito che AT A = I (dove I indica la matrice identica), quindi
AT = A1 , cio`e A `e una matrice ortogonale. Ci`o prova che f `e una isometria
dello spazio affine euclideo A3 (R).
Cerchiamo ora i punti uniti di f . Sia X = (x, y, z); X `e un punto unito
se f (X) = X, cio`e se
z
x
1
+
=x
2
2
y=y
z
x
2 1 + + = z,
2
2
che equivale al seguente sistema:
z
1
x +1=0
2
2
x + 1
z + 2 1 = 0.
2
2
Ma queste sono proprio le equazioni di una retta, che `e quindi la retta r
fatta di punti uniti.
3. Soluzioni
139
cos
sin
2
2
4
4
=
1
1
sin
cos
4
4
2
2
che corrisponde pertanto ad una rotazione di un angolo pari a
alla retta r).
(attorno
=
.
5
10
Eliminando i denominatori e i valori assoluti, si ottengono le due equazioni:
2 (x 2y + 1) = (3x y + 2),
da cui segue che le rette cercate hanno equazione:
s1 : (3 2)x + (2 2 1)y + 2 2 = 0
e
s2 : (3 +
2)x (2 2 + 1)y + 2 + 2 = 0.
Capitolo 8
Coniche
1. Richiami di teoria
1.1. Coniche
In questo capitolo richiameremo i principali risultati utili allo studio delle
coniche nel piano affine euclideo reale standard. Facciamo per`o notare come
lambiente pi`
u adatto allo studio delle coniche non sia il piano affine ma il
piano proiettivo (che `e unestensione del piano affine ottenuta aggiungendo
i punti allinfinito).
Definizione 1.1. Una conica C `e il luogo degli zeri di un polinomio di
secondo grado nelle variabili x e y:
P (x, y) = ax2 + bxy + cy 2 + dx + ey + f = 0.
La conica C `e detta degenere se il polinomio P (x, y) `e il prodotto di due
polinomi di primo grado, non-degenere altrimenti.
Alla conica C si associa la seguente matrice simmetrica
a 2b d2
A = 2b c 2e ,
d
e
f
2
2
in modo che si abbia
x
P (x, y) = (x, y, 1) A y .
1
Se poniamo X = (x, y, 1), lequazione della conica C si scrive quindi semplicemente come
XAX T = 0.
Questa equazione pu`o essere interpretata come segue: il punto (x, y) appartiene alla conica C se e solo se il vettore X = (x, y, 1) corrispondente
`e un vettore isotropo per la forma bilineare simmetrica di matrice A. Da
questa osservazione si pu`o facilmente intuire come lo studio delle coniche
sia intimamente legato allo studio delle forme bilineari simmetriche.
142
8. Coniche
1.2. Ellisse
Occupiamoci ora dello studio dettagliato di una ellisse.
Sia dunque C una conica di matrice A = (aij ), con det A 6= 0 e det A0 >
0. C `e quindi una ellisse non-degenere.
Il centro (di simmetria) dellellisse `e il punto C = (x, y) le cui coordinate
sono le soluzioni del seguente sistema:
a11 x + a12 y + a13 = 0
a21 x + a22 y + a23 = 0,
dove gli aij sono i coefficienti della matrice A. Per determinare gli assi (di
simmetria) abbiamo bisogno di conoscere gli autovettori, e quindi anche gli
autovalori, della sottomatrice A0 di A. Siano dunque 1 , 2 gli autovalori di
A0 e v1 , v2 gli autovettori corrispondenti. Gli assi sono le rette passanti per
il centro C e parallele ai vettori v1 e v2 .
Nel sistema di riferimento che ha come origine il centro C dellellisse e
come assi X e Y gli assi dellellisse, lequazione dellellisse assume la seguente
1. Richiami di teoria
143
d=
1.3. Iperbole
Consideriamo ora lo studio di una iperbole.
Sia dunque C una conica di matrice A = (aij ), con det A 6= 0 e det A0 <
0. C `e quindi una iperbole non-degenere.
Come nel caso dellellisse, il centro (di simmetria) delliperbole `e il punto
C = (x, y) le cui coordinate sono le soluzioni del seguente sistema:
a11 x + a12 y + a13 = 0
a21 x + a22 y + a23 = 0.
Per determinare gli assi (di simmetria) abbiamo bisogno di conoscere gli
autovettori, e quindi anche gli autovalori, della sottomatrice A0 di A. Siano
dunque 1 , 2 gli autovalori di A0 e v1 , v2 gli autovettori corrispondenti. Gli
assi sono le rette passanti per il centro C e parallele ai vettori v1 e v2 .
Nel sistema di riferimento che ha come origine il centro C delliperbole
e come assi X e Y gli assi delliperbole, lequazione delliperbole assume la
seguente forma, detta forma canonica:
C : X 2 + Y 2 = 1,
ove i coefficienti e sono dati da
= 1
det A0
,
det A
= 2
det A0
.
det A
144
8. Coniche
Nel caso delliperbole ci sono altre due rette che hanno un importante
significato geometrico: gli asintoti.
Gli asintoti di una iperbole C sono le rette passanti per il centro C e
tangenti allinfinito a C . Le direzioni degli asintoti sono determinate dai
vettori v = (x, y) che soddisfano lequazione
a11 x2 + 2a12 xy + a22 y 2 = 0.
Uniperbole `e detta equilatera se i suoi asintoti sono ortogonali.
Infine, come nel caso dellellisse, ci sono due punti notevoli detti fuochi
(che non sono punti delliperbole). I fuochi di una iperbole sono due punti
che stanno su uno degli assi delliperbole, detto asse focale, in posizione
simmetrica rispetto al centro, a una distanza d da esso. Tale distanza `e
data dalla seguente formula:
s
d=
,
1.4. Parabola
Consideriamo infine lo studio di una parabola.
Sia dunque C una conica di matrice A = (aij ), con det A 6= 0 e det A0 =
0. C `e quindi una parabola non-degenere.
Consideriamo il vettore w = (a11 , a12 ) e sia v = (a12 , a11 ) un vettore
ortogonale a w. Il vettore v determina la direzione dellasse di simmetria
della parabola. Il punto V in cui la parabola interseca il suo asse di simmetria `e detto il vertice della parabola. Si pu`o dimostrare che lasse della
parabola `e la retta di equazione ax + by + c = 0, ove i coefficienti a, b e c
sono dati da:
a11
a
b = A a12 .
0
c
Trovato lasse della parabola si determina poi facilmente il vertice V mettendo a sistema lequazione dellasse con lequazione della parabola.
Nel sistema di riferimento che ha come origine il vertice V , come asse
Y lasse della parabola e come asse X la retta per il vertice ortogonale
allasse Y , lequazione della parabola assume la seguente forma, detta forma
1. Richiami di teoria
145
canonica:
1
C : Y = X 2 ,
2
ove il coefficiente `e dato da
r
=
,
det A
1
.
2
C`e poi una retta notevole, detta direttrice; `e la retta parallela al vettore
w, distante d dal vertice, e contenuta nella regione esterna alla parabola
(cio`e nella regione di piano concava delimitata dalla parabola). Si dimostra
infine che la parabola `e caratterizzata dalla seguente propriet`a:
Proposizione 1.7. La parabola `e il luogo geometrico dei punti del piano
equidistanti dal fuoco e dalla direttrice.
146
8. Coniche
2. Esercizi
2.1. Coniche Degeneri
Esercizio 1. Nel piano euclideo, si studi la conica C di equazione
4x2 + 9y 2 12xy + 4x 6y + 1 = 0.
Esercizio 2. Nel piano euclideo, si studi la conica C di equazione
2x2 3y 2 5xy + 3x + 5y 2 = 0.
2.2. Iperbole
Esercizio 3. Nel piano euclideo, si studi la conica C di equazione
x2 4xy + 3y 2 + 2x 2y + 2 = 0.
2.3. Ellisse
Esercizio 4. Nel piano euclideo, si studi la conica C di equazione
3x2 4xy + 4y 2 + 6x + 2y + 2 = 0.
2.4. Parabola
Esercizio 5. Nel piano euclideo, si studi la conica C di equazione
x2 + 4xy + 4y 2 2x + 4y + 1 = 0.
3. Soluzioni
147
3. Soluzioni
3.1. Coniche Degeneri
Svolgimento esercizio 1. Una matrice associata alla conica C `e:
4 6 2
A = 6 9 3 .
2 3 1
Calcolando il determinante di A si trova det A = 0, quindi la conica C `e
degenere. Bisogna allora determinare il rango di A, che risulta essere 1,
dato che la prima e la seconda riga di A sono multiple della terza (oppure,
dato che tutti i minori di ordine 2 sono nulli). Da ci`o si deduce che la conica
C `e una retta, contata con molteplicit`a 2. Se indichiamo con
ax + by + c = 0
lequazione di tale retta, si deve avere
4x2 + 9y 2 12xy + 4x 6y + 1 = (ax + by + c)2 ,
da cui si deduce che lequazione della retta cercata `e
2x 3y + 1 = 0.
La conica C `e rappresentata in figura 1.
Svolgimento esercizio 2. Una matrice associata alla conica C `e:
4 5 3
A = 5 6 5 .
3
5 4
Calcolando il determinante di A si trova det A = 0, quindi la conica C `e
degenere. La matrice A ha rango 2, come si vede facilmente considerando i
148
8. Coniche
1.5
1
0.5
-2
-1
-0.5
-1
Figura 1.
minori di ordine due. Da ci`o si deduce che la conica C `e costituita da due
rette distinte r1 e r2 .
Per calcolare le equazioni di r1 e r2 si pu`o procedere come segue. Indichiamo con C il punto r1 r2 (se r1 e r2 non sono parallele); per determinare
C si pu`o, ad esempio, intersecare la conica con un fascio di rette, ad esempio
il fascio di rette di equazione y = , ed imporre che vi sia un solo punto
di intersezione; questunico punto di intersezione sar`a dunque il punto C
(alla fine dellesercizio `e proposto un altro procedimento per determinare il
punto C). Risolvendo il sistema
(
2x2 3y 2 5xy + 3x + 5y 2 = 0
y=
si ottiene
2x2 + (3 5)x 32 + 5 2 = 0.
Questultima equazione ha una sola soluzione (con molteplicit`a 2) se e solo
se il suo discriminante `e nullo:
= 492 70 + 25 = (7 5)2 = 0,
da cui si ricava = 57 . Sostituendo questo valore di nellequazione () e
risolvendo, si ottiene x = 17 . Il punto C ha dunque coordinate C = ( 71 , 57 ).
Basta ora trovare altri due punti di C , per esempio i due punti di
intersezione della conica con la retta di equazione y = 0:
(
2x2 3y 2 5xy + 3x + 5y 2 = 0
y=0
da cui si ricava P1 = ( 21 , 0) e P2 = (2, 0). Le due rette r1 e r2 sono allora
le rette passanti per C e P1 , e per C e P2 rispettivamente, le cui equazioni
3. Soluzioni
149
-1
-0.5
0.5
-1
Figura 2.
sono:
r1 : 2x + y 1 = 0,
r2 : x 3y + 2 = 0.
La conica C `e rappresentata in figura 2.
Determinazione del punto C: un altro modo per determinare il punto
C = r1 r2 `e basato sul fatto che C `e lunico punto singolare della conica
C , quindi le sue coordinate si ottengono risolvendo il sistema
(x, y) = 0
x
f
(x, y) = 0
y
dove f (x, y) = 0 `e lequazione della conica C .
Chi non fosse convinto di ci`o, pu`o facilmente dimostrare (farlo per esercizio) che, se
f (x, y) = (ax + by + c)(a0 x + b0 y + c0 ),
allora i due sistemi lineari
(x, y) = 0
x
f
(x, y) = 0
y
e
ax + by + c = 0
a0 x + b 0 y + c 0 = 0
hanno la stessa soluzione (si tratta proprio del punto C in cui si intersecano
le due rette di equazione ax + by + c = 0 e a0 x + b0 y + c0 = 0).
150
8. Coniche
3.2. Iperbole
Svolgimento esercizio 3. Una matrice associata alla conica C `e:
1 2 1
A = 2 3 1 .
1 1 2
Calcolando il determinante di A si trova det A = 2, quindi la conica C `e
non-degenere.
Consideriamo la sottomatrice
1 2
0
A =
.
2 3
Si ha det A0 = 1 < 0, quindi la conica C `e una conica a centro e,
precisamente, uniperbole.
Centro: il centro C = (xC , yC ) `e il punto le cui coordinate sono date da
1 a11 a13
1 a12 a13
,
yC =
,
xC =
det A0 a22 a23
det A0 a12 a23
dove gli aij sono i coefficienti della matrice A. Nel nostro caso, si ha:
2 1
1
1
= 1,
= 1,
xC =
yC =
3 1
2 1
quindi C = (1, 1).
Assi: gli assi si possono determinare come segue. Come prima cosa determiniamo gli autovalori di A0 : nel nostro caso si trova
1 = 2 5, 2 = 2 + 5.
Gli autovettori corrispondenti sono, rispettivamente,
v1 = (1 + 5, 2), v2 = (1 5, 2).
Gli autovettori di A0 rappresentano le direzioni degli assi. Gli assi sono
quindi le rette r1 e r2 passanti per il centro C e parallele ai vettori v1 e v2
rispettivamente. Le loro equazioni parametriche sono quindi:
(
(
x = 1 + (1 5)t
x = 1 + (1 + 5)t
r2 :
r1 :
y = 1 + 2t
y = 1 + 2t
Forma canonica: la forma canonica di uniperbole `e data dalla seguente
matrice
0 0
= 0 0 .
0 0 1
3. Soluzioni
151
Gli elementi e sulla diagonale non sono altro che gli autovalori di A0
A0
moltiplicati per det
. Nel nostro caso si trova:
det A
1
5
= 1 = 1 +
,
2
2
5
1
.
= 2 = 1
2
2
Fuochi: i fuochi reali delliperbole sono due punti che si trovano sullasse
focale ad una distanza d dal centro C. Per determinare i fuochi bisogna
quindi determinare lasse focale e la distanza d.
Fra i due valori e trovati, uno di essi `e positivo (nel nostro caso ),
mentre laltro (nel nostro caso ) `e negativo: lasse focale `e quello determinato dallautovettore di A0 corrispondente al valore positivo. Nel nostro
caso lasse focale `e quello determinato dallautovettore v1 (che corrisponde
allautovalore 1 che, a sua volta, corrisponde ad ), ed `e quindi la retta r1 .
Dato che si ha < 0 < , la distanza d tra i fuochi e il centro C si
calcola con la formula seguente:
s
d=
.
F2 = C + d
v1 .
s2 : x + y = 0.
152
8. Coniche
10
-10
-5
10
-5
-10
Figura 3.
Si noti che i vettori w1 e w2 non sono ortogonali, quindi C non `e una iperbole
equilatera. La conica C `e rappresentata in figura 3.
3.3. Ellisse
Svolgimento esercizio 4. Una matrice associata alla conica C `e:
3 2 3
A = 2 4 1 .
3
1 2
Calcolando il determinante di A si trova det A = 35, quindi la conica C `e
non-degenere.
Consideriamo la sottomatrice
3 2
0
A =
.
2 4
Si ha det A0 = 8 > 0, quindi la conica C `e una conica a centro e, precisamente, una ellisse.
3. Soluzioni
153
7 + 17
7 17
, 2 =
.
1 =
2
2
Gli autovettori corrispondenti sono, rispettivamente,
x = 7/4 + (1 + 17)t
x = 7/4 + (1 17)t
r1 :
r2 :
y = 9/8 + 4t
y = 9/8 + 4t
Forma canonica: la forma canonica di una ellisse `e data dalla seguente
matrice
0 0
= 0 0 .
0 0 1
Gli elementi e sulla diagonale non sono altro che gli autovalori di A0
A0
moltiplicati per det
. Nel nostro caso si trova:
det A
8
4(7 17)
= 1 =
,
35
35
8
4(7 + 17)
= 2 =
.
35
35
Fuochi: i fuochi reali dellellisse sono due punti che si trovano sullasse
focale ad una distanza d dal centro C. Per determinare i fuochi bisogna
quindi determinare lasse focale e la distanza d.
Fra i due valori e trovati, entrambi positivi, uno di essi `e minore
dellaltro (perche la conica non `e un cerchio). Nel nostro caso si tratta di
. Lasse focale `e quello determinato dallautovettore di A0 corrispondente
al valore minore. Nel nostro caso lasse focale `e quello determinato dallautovettore v1 (che corrisponde allautovalore 1 che, a sua volta, corrisponde
ad ), ed `e quindi la retta r1 .
154
8. Coniche
-3.5
-3
-2.5
-2
-1.5
-1
-0.5
-0.5
-1
-1.5
-2
-2.5
Figura 4.
Dato che < , la distanza d tra i fuochi e il centro C si calcola con la
formula seguente:
s
d=
.
35 17
Nel nostro caso si trova d =
.
8
Per trovare le coordinate dei fuochi, si pu`o procedere ora come segue: si
determini il versore dellasse focale v1 = kvv11 k . I fuochi sono i due punti F1
e F2 dati da:
F1 = C d
v1 ,
F2 = C + d
v1 .
La conica C `e rappresentata in figura 4.
3.4. Parabola
Svolgimento esercizio 5. Una matrice
1 2
A= 2 4
1 2
1
2 .
1
3. Soluzioni
155
0
0
= 0 0 1 .
0 1 0
=
,
det A
ove `e lautovalore non nullo di A0 e il segno `e scelto in modo che sia
positivo (dipende in realt`a da come si orientano gli assi del nuovo sistema
di riferimento).
156
8. Coniche
-1
-1
-2
-3
Figura 5.
La direttrice `e invece la retta parallela al vettore w, distante d dal vertice,
e contenuta nella regione esterna alla parabola (cio`e nella regione di piano
concava delimitata dalla parabola).
La conica C `e rappresentata in figura 5.
0 1 0
A = 1 2 1 .
0 1 1
Calcolando il determinante di A si trova det A = 1, quindi la conica C `e
non-degenere.
Consideriamo la sottomatrice
0 1
0
A =
.
1 2
Si ha det A0 = 1, quindi C `e una iperbole.
3. Soluzioni
157
( 3 + 3)x + 6y + 3 + 3 3 = 0,
(retta per P e A) e
( 3 3)x 6y 3 + 3 3 = 0,
Questa `e lequazione della conica C ; ovviamente il parametro e `e ancora indeterminato. Per determinare leccentricit`a e e, di conseguenza, lequazione
di C , basta ora imporre la condizione
di passaggio per il punto P = (1, 3).
In questo modo si trova e = 10/3. Dato che e > 1 possiamo affermare che
la conica C `e una iperbole. Sostituendo questo valore di e nellequazione
precedente, e sviluppando i calcoli, si trova lequazione di C :
2x2 + 2y 2 + 10xy + 2x 4y 10 = 0.
158
8. Coniche
3. Soluzioni
159
a2
xP
b2 = B y P .
c2
1
Capitolo 9
1. Richiami di teoria
1.1. Limiti e continuit`
a
Sia f~ : Rn Rm una funzione di n variabili a valori vettoriali. Indicheremo
con ~x = (x1 , . . . , xn ) il generico punto di Rn e con ~y = (y1 , . . . , ym ) il generico
punto di Rm . Quindi la scrittura f~(~x) = ~y significa in realt`a
f~(x1 , . . . , xn ) = (y1 , . . . , ym ).
Di conseguenza la funzione a valori vettoriali f~ : Rn Rm `e data da
m funzioni a valori scalari y1 = f1 (x1 , . . . , xn ), . . . , ym = fm (x1 , . . . , xn ).
Scriveremo quindi f~ = (f1 , . . . , fm ) ove le fi : Rn R, per i = 1, . . . , m,
sono delle funzioni reali di n variabili dette le componenti di f~.
Definizione 1.1. Sia A Rn un sottoinsieme aperto, sia f~ : A Rm e
sia ~x0 A. Diremo che
lim f~(~x) = ~y Rm
~
x~
x0
162
9. Funzioni di pi`
u Variabili
se e solo se
lim fi (~x) = yi ,
~
x~
x0
allora esiste anche il limite, per ~x che tende a ~x0 , della funzione f~ ristretta
a una qualunque curva passante per ~x0 , e tutti questi limiti coincidono.
Si ha quindi
lim f~(~x) = ~y ,
~
x~
x0
~
x
2. Esercizi
163
2. Esercizi
2.1. Limiti
Esercizio 1. Si dimostri che il seguente limite non esiste:
xy
lim
.
2
(x,y)(0,0) x + y 2
Esercizio 2. Si dimostri che il seguente limite non esiste:
x2 y
.
(x,y)(0,0) x4 + y 2
lim
e xy cos(y 2 ) + 1
f (x, y) =
sin(log(xy 2 ) x)
`e continua nel suo insieme di definizione.
Esercizio 8. Si dica se la seguente funzione
(
sin(xy)
se (x, y) 6= (0, 0)
2
2
f (x, y) = x +2y
0
se (x, y) = (0, 0)
`e continua in tutto R2 .
164
9. Funzioni di pi`
u Variabili
3. Soluzioni
3.1. Limiti
Svolgimento esercizio 1. Calcoliamo il limite in questione facendo tendere
il punto (x, y) a (0, 0) lungo una retta di equazione y = mx (cio`e calcoliamo
il limite della funzione ristretta a questa retta). Si trova quindi:
xy
mx2
m
=
lim
=
.
2
2
2
2
2
x0 x + m x
1 + m2
(x,y)(0,0) x + y
lim
y=mx
Il valore del limite dipende quindi da m, e cio`e dalla retta scelta. In altre
parole, facendo tendere il punto (x, y) a (0, 0) lungo due rette diverse si
trovano due limiti diversi. Si conclude quindi che il limite cercato non pu`o
esistere.
Svolgimento esercizio 2. Calcoliamo il limite in questione facendo tendere
il punto (x, y) a (0, 0) lungo una retta di equazione y = mx. Si trova:
x2 y
mx3
=
lim
4
2
x0 x4 + m2 x2
(x,y)(0,0) x + y
lim
y=mx
mx
= 0,
+ m2
almeno se m =
6 0. Trattiamo a parte il caso m = 0, cio`e il caso della retta
y = 0.
x2 y
0
lim
= lim 4 = 0.
4
2
x0 x
(x,y)(0,0) x + y
= lim
x0
x2
y=0
3. Soluzioni
165
y=x2
Dato che questo limite `e diverso dai precedenti, si conclude che il limite
cercato non esiste.
Svolgimento esercizio 3. In questo caso bisogna dimostrare che un limite
esiste. Non serve a nulla quindi calcolare il limite della restrizione della
funzione a particolari curve passanti per lorigine: bisogna procedere in un
altro modo.
Nel caso in questione osserviamo che, per ogni x e y, si ha
x2 x2 + y 2 ,
da cui deriva che
x2
1.
x2 + y 2
Da queste disuguaglianze deriva che
2x2 y
2|y|.
0 2
x + y2
0
Ma la funzione |y| tende a zero per (x, y) (0, 0), quindi si ha necessariamente
2x2 y
= 0.
lim
(x,y)(0,0) x2 + y 2
Svolgimento esercizio 4. Anche in questo caso bisogna dimostrare che
il limite in questione esiste. Possiamo utilizzare un ragionamento simile
a quello usato nellesercizio precedente. Innanzi tutto ricordiamo che la
funzione sin z `e asintotica a z, per z 0,
sin z z.
Si ha quindi
sin2 (xy) (xy)2 ,
da cui si deduce che
sin2 (xy)
x2 y 2
lim
=
lim
.
(x,y)(0,0) x2 + y 2
(x,y)(0,0) x2 + y 2
Osservando che
0
x2
1,
x2 + y 2
x2 y 2
y2.
x2 + y 2
si ottiene
166
9. Funzioni di pi`
u Variabili
Infine, dato che la funzione y 2 tende a zero per (x, y) (0, 0), si conclude
che
x2 y 2
lim
= 0.
(x,y)(0,0) x2 + y 2
Svolgimento esercizio 5. Dato che non sappiamo se il limite esiste oppure
no, iniziamo cercando di vedere se il limite non esiste. Proviamo a calcolare
il limite in questione facendo tendere il punto (x, y) a (0, 0) lungo una retta
di equazione y = mx. Si trova:
x3 y
mx4
=
lim
6
2
x0 x6 + m2 x2
(x,y)(0,0) x + y
lim
y=mx
mx2
= 0,
x0 x4 + m2
= lim
y=ax2
= lim
x0 x2
ax
= 0,
+ a2
y=x3
Dato che questo limite `e diverso dai precedenti, si conclude che il limite
cercato non esiste.
3. Soluzioni
167
y=mx
m sin x
= 0,
x0 sin(mx) + m2
= lim
almeno per m 6= 0.
Proviamo ora a calcolare lo stesso limite lungo la parabola y = x2 :
xy sin x
x3 sin x
x sin x
=
lim
= lim
.
2
2
2
2
4
x0 x sin(x ) + x
x0 sin(x2 ) + x2
(x,y)(0,0) x sin y + y
lim
y=x2
1
= ,
2
1
dato che
sin x
= 1.
x0 x
Poiche questo limite `e diverso dai precedenti, si conclude che il limite cercato
non esiste.
lim
xy 0
log(xy 2 ) x 6= k, k Z
2
xy > 0
In ogni caso, qualunque sia il suo insieme di definizione, la funzione f `e
ottenuta componendo (sommando, sottraendo, moltiplicando, etc.) funzioni
elementari continue. Di conseguenza f `e necessariamente continua dove `e
definita, cio`e in tutto il suo dominio.
Svolgimento esercizio 8. In R2 privato dellorigine la funzione f `e definita
da
sin(xy)
f (x, y) = 2
.
x + 2y 2
168
9. Funzioni di pi`
u Variabili
(x,y)(0,0)
cio`e se
sin(xy)
= 0.
(x,y)(0,0) x2 + 2y 2
Se calcoliamo questo limite lungo le rette di equazione y = mx, e ricordiamo
che sin z z, per z 0, si ha:
lim
sin(xy)
sin(mx2 )
=
lim
2
2
x0 x2 + 2m2 x2
(x,y)(0,0) x + 2y
lim
y=mx
mx2
x0 x2 (1 + 2m2 )
m
.
=
1 + 2m2
Dato che il valore del limite dipende da m, cio`e dalla retta scelta, si conclude
che il limite cercato non esiste. Di conseguenza la funzione f non `e continua
nellorigine.
= lim
(x,y)(0,0)
cio`e se
lim
1
x2 +y 2
= 0.
(x,y)(0,0)
Dato che
1
= +,
(x,y)(0,0) x2 + y 2
lim
e ricordando che
lim ez = 0,
z+
si conclude che
lim
1
x2 +y 2
= 0,
(x,y)(0,0)
3. Soluzioni
169
lim
(x + y) sin2 x
(x,y)(0,0)
2xy 2
(x + y)x2
= lim
(x,y)(0,0)
2xy 2
x(x + y)
= lim
.
(x,y)(0,0)
2y 2
f (x, y) =
(x,y)(0,0)
lim
Calcolando questo limite per (x, y) che tende a (0, 0) lungo le rette di
equazione y = mx, si trova:
x(x + y)
x(x + mx)
1+m
= lim
=
.
2
2
2
x0
2y
2m x
2m2
(x,y)(0,0)
lim
y=mx
Dato che il valore del limite dipende da m, cio`e dalla retta scelta, si conclude
che il limite cercato non esiste. Di conseguenza la funzione f non `e continua
nellorigine.
Consideriamo ora i punti del tipo (a, 0), con a 6= 0. Si ha:
lim
(x,y)(a,0)
(x + y) sin2 x
(x,y)(a,0)
2xy 2
(a + y) sin2 a
= lim
= ,
y0
2ay 2
f (x, y) =
lim
170
9. Funzioni di pi`
u Variabili
f (x, y) =
lim
Y =mX
Dato che il valore del limite dipende da m, cio`e dalla retta scelta, si conclude
che il limite cercato non esiste. Di conseguenza la funzione f non `e continua
nei punti del tipo (k, 0).
Rimangono ora da considerare solo i punti del tipo (0, b), con b 6= 0. Si
ha:
(x + y) sin2 x
lim f (x, y) = lim
(x,y)(0,b)
(x,y)(0,b)
2xy 2
b sin2 x
= lim
x0 2xb2
x2
= lim
= 0.
x0 2xb
Si ha pertanto
lim f (x, y) = f (0, b) = 0,
(x,y)(0,b)
Capitolo 10
1. Richiami di teoria
1.1. Curve in Rn
Definizione 1.1. Una curva (continua) in Rn `e una funzione continua
~r : I Rn ,
172
~r0 (t)
~r(t)
~r(t + dt)
~r(t)
2. Esercizi
173
a
n
Z
f ds =
2. Esercizi
2.1. Lunghezza di una curva
Esercizio 1. Determinare la lunghezza dellarco di elica cilindrica (di
raggio R e passo P ) parametrizzato da
[0, 2] 3 7 ~r() = (R cos , R sin , P ) R3 .
Esercizio 2. Determinare i punti singolari e la lunghezza della curva
(astroide) parametrizzata da
[0, 2] 3 t 7 ~r(t) = (cos3 t, sin3 t) R2 .
Esercizio 3. Si determini la lunghezza L dellarco di curva piana parametrizzato da x(t) = t2 , y(t) = t3 , per t [0, 1].
Esercizio 4. Calcolare la lunghezza L dellarco di cicloide parametrizzato
da x(t) = t sin t, y(t) = 1 cos t, per t [0, 2].
Esercizio 5. Calcolare la lunghezza L del tratto di grafico della funzione
y = ex , compreso tra i punti (0, 1) e (1, e).
Esercizio 6. Calcolare la lunghezza L dellarco chiuso della curva di
equazione
9y 2 = x(x 3)2 .
174
x2
a2
y2
b2
x(2 x)
f (x, y) = p
.
2 2 y2
3. Soluzioni
3.1. Lunghezza di una curva
Svolgimento esercizio 1. Essendo ~r() = (R cos , R sin , P ), si ha
~r 0 () = (R sin , R cos , P ),
0
Z 2
=
R2 + P 2 d = 2 R2 + P 2 .
0
3. Soluzioni
175
Figura 3. Lastroide in R2
ove si `e usato il fatto che nel primo quadrante si ha 0 t /2, e quindi sin t
e cos t sono sempre positivi. Di conseguenza la lunghezza darco elementare
`e
ds = 3 sin t cos t dt,
176
Z
=
3 sin t cos t dt
0
3
=
2
Z
0
/2
3
sin 2t dt = .
2
0
Z 1
=
t 9t2 + 4 dt
0
1 2
13 13 8
3/2 1
=
(9t + 4)
=
.
0
27
27
Svolgimento esercizio 4. Larco di cicloide `e rappresentato in figura 4.
Si ha ~r 0 (t) = (1 cos t, sin t) e quindi
p
0
r
Z 2
t
= 2
2 sin2 dt
2
0
2
t
= 8,
= 2 2 2 cos
2 0
3. Soluzioni
177
1 + e2x dx,
u2
u
du.
1
Si ha quindi:
Z
L=
0
1 + e2x dx
1+e2
u2
du
u2 1
2
Z 1+e2
1
1+ 2
du
=
u 1
2
Z 1+e2
1
1
1+
du
=
2(u 1) 2(u + 1)
2
1+e2
1
1
= u + log(u 1) log(u + 1)
2
2
2
2
= 1 + e 2 + 1 log(1 + 1 + e2 ) + log(1 + 2),
Z
ove lultima uguaglianza `e stata ottenuta usando le note propriet`a del logaritmo.
Svolgimento esercizio 6. In questo caso la curva non `e fornita in forma
parametrica, bens` come luogo dei punti che soddisfano lequazione 9y 2 =
x(x3)2 . Da una attenta analisi di questa equazione si deduce che il grafico
della curva `e quello rappresentato in figura 5.
178
Figura 5.
Larco chiuso di cui si vuole calcolare la lunghezza `e larco compreso tra
i punti di ascissa x = 0 e x = 3. Inoltre, dato che la curva `e simmetrica rispetto allasse delle x, sar`a sufficiente calcolare la lunghezza dellarco
compreso tra i punti di ascissa x = 0 e x = 3 e contenuto nel semipiano superiore, y 0. Questarco si pu`o evidentemente rappresentare come grafico
di una opportuna funzione y = y(x), dove questa funzione dovr`a soddisfare
lequazione 9y(x)2 = x(x 3)2 . Derivando questa equazione rispetto a x, si
ottiene:
18y(x)y 0 (x) = 3x2 12x + 9,
da cui si ricava
y 0 (x) =
x2 4x + 3
.
6y
3. Soluzioni
179
x+1
1
dx =
(u2 + 1) du = u3 + u
= 2 3.
3
0 2 x
0
0
f ds =
=
0
t2
p
4t2
4t2 + cos2 t dt
sin t + 1
2
1 3
8
2
t
= 3.
t dt =
3
3
0
/2
q
ab sin t cos t (a2 b2 ) sin2 t + b2 dt
ab
=
2
3(a b2 )
3
"
ab(a b )
.
3(a2 b2 )
(a2 b2 ) sin2 t + b2
3/2 #/2
0
180
dm
,
ds
Nel nostro caso il filo `e parametrizzato da ~r(t) = (R cos t, R sin t, P t), da cui
si deduce che ~r 0 (t) = (R sin t, R cos t, P ), e quindi il differenziale darco `e
dato da
M = ds =
R2 cos2 t + R2 sin2 t + |P t| R2 + P 2 dt
0
Z 2
= R2 + P 2
R2 + P t dt
0
2
2
2
3/2
2
2
(R + P t)
= R +P
3P
0
2
2
2 R +P
2
3/2
3
=
(R + 2P ) R .
3P
Svolgimento esercizio 10. Chiamiamo la curva, contenuta nel piano
xy, di equazione y = sin x. La superficie S `e la superficie eretta verticalmente sulla base e delimitata in basso dal piano di equazione z = 0 e
in alto dal grafico della funzione z = f (x, y). Si veda la figura 6 per una
rappresentazione grafica della superficie S.
Da quanto detto si deduce che larea A di S `e data dal seguente integrale
di linea:
Z
A = f ds.
ds = 1 + cos2 t dt.
3. Soluzioni
181
4
3
z2
1
0
0
1
2
3
x
0y
5
Figura 6.
Si ha quindi:
Z
A=
f ds =
1
2
t(2 t)
p
1 + cos2 t dt
2
2 2 sin t
t(2 t) dt
2
1
1 3
2
2
=
t t
= 3.
2
3 0
3
=
Capitolo 11
1. Richiami di teoria
1.1. Derivate parziali
Ricordiamo brevemente la definizione delle derivate parziali di una funzione
di pi`
u variabili a valori reali. Per semplicit`a ci limiteremo a trattare il caso
delle funzioni di due variabili.
Sia dunque A un sottoinsieme aperto di R2 , f : A R una funzione e
(x0 , y0 ) un punto di A.
Definizione 1.1. La derivata parziale della funzione f , rispetto alla varia(x0 , y0 ), `e:
bile x, nel punto (x0 , y0 ), indicata con il simbolo f
x
f
f (x0 + h, y0 ) f (x0 , y0 )
(x0 , y0 ) = lim
.
h0
x
h
Analogamente, la derivata parziale della funzione f , rispetto alla variabile
y, nel punto (x0 , y0 ), indicata con il simbolo f
(x0 , y0 ), `e:
y
f
f (x0 , y0 + h) f (x0 , y0 )
(x0 , y0 ) = lim
.
h0
y
h
La funzione f `e detta derivabile nel punto (x0 , y0 ) se esistono le sue derivate
parziali in quel punto (cio`e se i due limiti precedenti esistono finiti).
Definizione 1.2. Il gradiente di f , indicato con f , `e il vettore le cui
componenti sono le derivate parziali di f :
f
f
f (x0 , y0 ) =
(x0 , y0 ),
(x0 , y0 ) .
x
y
Osservazione 1.3. Osserviamo che, mentre per le funzioni di una variabile
la derivabilit`a della funzione in un punto implica la sua continuit`a in quel
punto, ci`o non `e vero per le funzioni di pi`
u variabili. Si possono facilmente
trovare esempi di funzioni di due variabili che sono derivabili, ma non continue, in un punto. Questo mostra come la nozione di derivabilit`a per le
funzioni di pi`
u variabili non sia lequivalente, nel caso di pi`
u variabili, della
derivabilit`a per le funzioni di una sola variabile.
184
1.2. Differenziali
Introduciamo ora una condizione pi`
u forte della derivabilit`a, cio`e dellesistenza delle derivate parziali, per una funzione di due variabili f (x, y).
Sia A un sottoinsieme aperto di R2 , f : A R una funzione e (x0 , y0 )
un punto di A.
Definizione 1.4. La funzione f `e differenziabile nel punto (x0 , y0 ) se esiste
una forma lineare : R2 R tale che
f (x0 + h, y0 + k) f (x0 , y0 ) (h, k)
= 0,
(h,k)(0,0)
k(h, k)k
df (x0 , y0 ) : R2 R,
(h, k) 7 h + k,
f
(x0 , y0 ),
x
f
(x0 , y0 ).
y
Si ha quindi:
(1)
df (x0 , y0 )(h, k) =
f
f
(x0 , y0 )h +
(x0 , y0 )k.
x
y
f
f
(x0 , y0 ) dx +
(x0 , y0 ) dy,
x
y
ove i simboli dx e dy (i differenziali delle variabili indipendenti) vengono spesso pensati come degli incrementi infinitesimi delle variabili x e y
1. Richiami di teoria
185
186
1. Richiami di teoria
187
parziali seconde. Questo processo si pu`o iterare, per costruire derivate parziali di ordine successivo al secondo, fin tanto che le funzioni in questione
sono derivabili.
Per indicare le derivate parziali seconde si usa la seguente notazione
abbreviata:
2f
f
2f
f
=
,
=
,
x2
x x
xy
x y
2f
f
2f
f
=
,
=
.
y 2
y y
yx
y x
Lestensione di tale notazione al caso di derivate parziali di ordine superiore
al secondo e di funzioni di pi`
u di due variabili `e ovvia. Si avr`a, ad esempio,
f
5f
=
.
x2 yz 2
x x y z z
Per quanto riguarda le derivate parziali miste, si dimostra il seguente
risultato importante:
Teorema 1.14 (Teorema di Schwarz). Se le derivate seconde miste
2f
xy
f
e yx
della funzione f esistono in un intorno del punto (x0 , y0 ) e sono
continue in tale punto, allora si ha:
2f
2f
(x0 , y0 ) =
(x0 , y0 ).
xy
yx
2
f
f
Di conseguenza, se le derivate seconde miste xy
e yx
esistono e sono
continue in tutto un aperto A, allora esse coincidono in tutto laperto A.
188
x2 x1
H(f ) =
..
.
2f
xn x1
x1 x2
2f
x22
..
.
2f
xn x2
..
.
2f
x1 xn
2f
x2 xn
..
.
2f
x2n
n
X
2f
(~x0 ) hi hj ,
x
x
i
j
i,j=1
h1
d2 f (~x0 )(h1 , h2 , . . . , hn ) = (h1 , h2 , . . . , hn )H(f )(~x0 ) ... ,
hn
n
X
2f
(~x0 ) dxi dxj ,
x
x
i
j
i,j=1
ove i dxi vengono pensati come incrementi infinitesimi delle variabili xi , per
i = 1, . . . , n.
+ h2
+ + hn
,
x1
x2
xn
1. Richiami di teoria
189
f
f
f
definito ponendo D(f ) = h1 x
+ h2 x
+ + hn x
, ove hi R, per
n
1
2
i = 1, . . . , n.
Possiamo ora enunciare il seguente risultato:
Teorema 1.18. Se la funzione f : A R, A Rn , `e di classe C m in A,
si ha:
m
X
1 i
~
f (~x0 + h) = f (~x0 ) +
D f (~x0 ) + o(k~hkm ),
i!
i=1
ove
i
i
D = h1
+ h2
+ + hn
x1
x2
xn
`e loperatore differenziale che si ottiene sviluppando formalmente la potenza
i-esima delloperatore differenziale D, e o(k~hkm ) `e una funzione trascurabile
rispetto a k~hkm , cio`e tale che
o(k~hkm )
= 0.
~h0 k~
hkm
lim
f (x0 + h, y0 + k) = f (x0 , y0 ) + h
+k
f (x0 , y0 )
x
y
2
1
h
+k
f (x0 , y0 ) + o(k(h, k)k2 )
+
2 x
y
f
f
= f (x0 , y0 ) + h (x0 , y0 ) + k (x0 , y0 )
x
y
2
1 2 f
2f
+
h
(x
,
y
)
+
2hk
(x0 , y0 )
0
0
2
x2
xy
2
2 f
+k
(x0 , y0 ) + o(h2 + k 2 ).
y 2
190
Si vede quindi che il segno di f (~x0 + ~h) f (~x0 ) `e uguale al segno del termine
di secondo grado
n
X
2f
(~x0 ) hi hj ,
xi xj
i,j=1
cio`e al segno del differenziale secondo di f calcolato nellincremento ~h =
(h1 , . . . , hn ).
La determinazione della natura dei punti critici di una funzione f `e
quindi legata allo studio del segno della forma quadratica corrispondente al
differenziale secondo di f calcolato nei punti critici.
Ricordiamo ora alcuni fatti riguardanti lo studio delle forme quadratiche
in Rn .
1. Richiami di teoria
191
q : R R,
q(x1 , . . . , xn ) =
n
X
aij xi xj ,
i,j=1
192
per ogni x I.
1. Richiami di teoria
193
Analogamente, se f
(x0 , y0 ) 6= 0, allora esiste un intorno J di y0 in R
x
e una unica funzione x = x(y), definita in J, tale che F (x(y), y) = 0, per
ogni y J. Questa funzione x = x(y) `e di classe C m in J e si ha
f
(x(y), y)
dx
y
,
(y) = f
dy
(x(y), y)
x
per ogni y J.
194
2f
2f
(x,
y(x))
+
2
(x, y(x)) y 0 (x)
x2
xy
2f
f
+ 2 (x, y(x)) y 0 (x)2 +
(x, y(x)) y 00 (x).
y
y
2. Esercizi
195
2. Esercizi
2.1. Derivate parziali
Esercizio 1. Determinare le derivate parziali della funzione
x
f (x, y) = sin
.
x+y
Esercizio 2. Determinare le derivate parziali della funzione
f (x, y) = log(x2 + cos y).
Esercizio 3. Determinare le derivate parziali della funzione
f (x, y) = p
x2 y
x2 + y 2 + 1
2.2. Differenziali
Esercizio 6. Si dica se la seguente funzione
ex sin y
f (x, y) =
x+y
`e differenziabile in tutto il suo insieme di definizione.
Esercizio 7. Si dimostri che la seguente funzione
f (x, y) = x2 cos(xy) 2y
`e differenziabile in tutto R2 . Si calcoli poi il suo differenziale nel punto di
coordinate (1, /2).
Esercizio 8. Si determini lequazione del piano tangente al grafico di
f (x, y) = xy sin x y 2
nel punto di coordinate x0 = 0, y0 = 1, z0 = f (x0 , y0 ) = 1.
Esercizio 9. Si consideri la funzione f : R2 R definita come segue:
2
2
xy y 2x se (x, y) 6= (0, 0),
f (x, y) =
x2 + y 2
0
se (x, y) = (0, 0).
196
(1)
(2)
(3)
(4)
3 2
xy
se (x, y) 6= (0, 0),
f (x, y) = (x2 + y 2 )2
0
se (x, y) = (0, 0).
Si calcolino tutte le derivate direzionali di f nel punto (0, 0). Si dica poi se
f `e differenziabile nellorigine.
2
2
xy y 2x se (x, y) 6= (0, 0),
f (x, y) =
x2 + y 2
0
se (x, y) = (0, 0).
Alla luce del teorema di Schwarz, spiegare il risultato trovato.
2. Esercizi
197
2 +y 2 )
198
2
2
f (x, y) = (y 2)e x +y
nellinsieme A = {(x, y) R2 | x2 + y 2 16}.
Esercizio 32. Determinare i massimi e i minimi assoluti della funzione
x
f (x, y, z) =
z+1
3
2
2
nellinsieme A = {(x, y, z) R | x + y = 4(1 + z)2 , x + 2z = 2}.
3. Soluzioni
199
3x y 0}.
3. Soluzioni
3.1. Derivate parziali
Svolgimento esercizio 1. Si ha:
y
x
f
=
cos
,
x
(x + y)2
x+y
f
x
=
cos
y
(x + y)2
x
.
x+y
f
sin y
= 2
.
y
x + cos y
f
x4 + x2
= 2
.
y
(x + y 2 + 1)3/2
2
.
y
sin(y 2 )
(sin(y 2 ))2
Svolgimento esercizio 5. In questo caso, per calcolare le derivate parziali
di f nellorigine, bisogna ricorrere alla definizione:
f
f (0 + h, 0) f (0, 0)
(0, 0) = lim
= 0,
h0
x
h
e analogamente
f
f (0, 0 + h) f (0, 0)
(0, 0) = lim
= 0.
h0
y
h
La funzione f `e quindi derivabile nellorigine, e le sue derivate parziali sono
nulle.
200
Facciamo notare che per calcolare le derivate parziali di f nel punto (0, 0)
non si poteva calcolarne le derivate parziali nel punto (x, y) 6= (0, 0), e poi
passare al limite per (x, y) che tende a (0, 0). Infatti luguaglianza
f
f
(0, 0) = lim
(x, y)
(x,y)(0,0) x
x
vale se e solo se la derivata parziale f
`e continua nellorigine (in base
x
alla definizione stessa di continuit`a). Nel nostro caso invece non sapevamo
neppure se le derivate parziali di f esistessero nellorigine, tanto meno se
esse fossero o meno continue.
Nel nostro caso si ha infatti
f
y 3 x2 y
(x, y) = 2
,
x
(x + y 2 )2
per (x, y) 6= (0, 0), e il limite
f
y 3 x2 y
(x, y) = lim
(x,y)(0,0) (x2 + y 2 )2
(x,y)(0,0) x
lim
non esiste, come si vede facilmente calcolando tale limite per (x, y) che tende
a (0, 0) lungo le rette di equazione y = mx (un discorso analogo si pu`o fare
per la derivata parziale f
). Si conclude quindi che la funzione f `e derivabile
y
ovunque, ma le sue derivate parziali non sono continue nel punto (0, 0).
Osserviamo, per concludere, che la funzione f , pur essendo derivabile
nellorigine, non `e continua nellorigine. Infatti il limite
xy
lim f (x, y) = lim
(x,y)(0,0)
(x,y)(0,0) x2 + y 2
non esiste, come si vede facilmente calcolando tale limite per (x, y) che tende
a (0, 0) lungo le rette di equazione y = mx.
3.2. Differenziali
Svolgimento esercizio 6. La funzione f `e definita nellinsieme
A = {(x, y) R2 | x + y 6= 0}.
Osserviamo che A `e un sottoinsieme aperto di R2 .
Le derivate parziali di f sono:
f
ex sin y(x + y 1)
=
,
x
(x + y)2
f
ex ((x + y) cos y sin y)
=
.
y
(x + y)2
Tali derivate parziali esistono e sono continue in tutto linsieme aperto A.
Da ci`o segue che la funzione f `e differenziabile in tutto linsieme A, cio`e in
tutto il suo dominio di definizione.
3. Soluzioni
201
f
(1, /2) = ,
(1, /2) = 3.
x
2
y
Il differenziale di f nel punto in questione `e quindi
df (1, /2) : R2 R,
(h, k) 7 df (1, /2)(h, k) = h 3 k.
2
Svolgimento esercizio 8. La funzione
f (x, y) = xy sin x y 2
`e definita e continua in tutto R2 . Le sue derivate parziali sono
f
= y sin x + xy cos x,
x
f
= x sin x 2y.
y
Le derivate parziali esistono e sono continue in tutto R2 , quindi f `e differenziabile ovunque. Per definizione, lequazione del piano tangente al grafico
di f nel punto di coordinate (x0 , y0 , z0 = f (x0 , y0 )) `e:
f
f
z = f (x0 , y0 ) +
(x0 , y0 )(x x0 ) +
(x0 , y0 )(y y0 ).
x
y
Nel nostro caso tale equazione diventa:
z = 1 2y.
Svolgimento esercizio 9. (1) Calcoliamo il limite
lim
(x,y)(0,0)
f (x, y) =
lim
(x,y)(0,0)
xy
y 2 2x2
.
x2 + y 2
202
xy
(x,y)(0,0)
y 2 2x2
= lim 2 sin cos (sin2 2 cos2 ).
0
x2 + y 2
La funzione
sin cos (sin2 2 cos2 )
`e limitata, dato che le funzioni sin e cos assumono valori compresi tra
1 e 1, di conseguenza si ha:
lim 2 sin cos (sin2 2 cos2 ) = 0,
f
2x5 + 5x3 y 2 + xy 4
(x, y) =
.
y
(x2 + y 2 )2
La funzione
sin5 7 cos2 sin3 2 cos4 sin
`e limitata, dato che le funzioni sin e cos assumono valori compresi tra
1 e 1, di conseguenza si ha:
lim (sin5 7 cos2 sin3 2 cos4 sin ) = 0,
3. Soluzioni
203
vx3 vy2
.
(vx2 + vy2 )2
204
f
f
(0, 0) dx +
(0, 0) dy = 0,
x
y
= 0.
(h,k)(0,0)
h2 + k 2
lim
Ma si ha:
f (0 + h, 0 + k) f (0, 0) df (0, 0)(h, k)
(h,k)(0,0)
h2 + k 2
lim
h3 k 2
,
(h,k)(0,0) (h2 + k 2 )2 h2 + k 2
lim
3. Soluzioni
205
= 2 log y y 4 sin(xy 2 ),
2x
2xy 3 sin(xy 2 ) + 2y cos(xy 2 ),
y
2x
=
2xy 3 sin(xy 2 ) + 2y cos(xy 2 ),
y
x2
= 2 4x2 y 2 sin(xy 2 ) + 2x cos(xy 2 ).
y
=
f
f
Si noti che si ha xy
= yx
, come previsto dal teorema di Schwartz, dato
che le derivate seconde miste sono ovviamente continue.
2f
2f
=
= 6x2 cos z + 2yz,
xy
yx
2f
2f
=
= 6x2 y sin z + y 2 ,
xz
zx
2f
= 2xz,
y 2
2f
2f
2f
=
= 2x3 sin z + 2xy,
= 2x3 y cos z.
yz
zy
z 2
La matrice Hessiana di f `e quindi:
12xy cos z
6x2 cos z + 2yz 6x2 y sin z + y 2
2xz
2x3 sin z + 2xy .
H(f ) = 6x2 cos z + 2yz
2
2
3
6x y sin z + y 2x sin z + 2xy
2x3 y cos z
Svolgimento esercizio 14. La funzione f (x, y) `e la stessa dellesercizio 9.
Nello svolgimento di tale esercizio abbiamo visto che f `e continua ovunque
(anche nellorigine), che essa `e derivabile ovunque e che le sue derivate
parziali sono date da
5
2 3
4
y 7x y 2x y se (x, y) 6= (0, 0),
f
(x, y) =
(x2 + y 2 )2
x
0
se (x, y) = (0, 0),
206
5
3 2
4
2x + 5x y + xy
f
(x, y) =
(x2 + y 2 )2
y
0
f
(0
y
+ h, 0)
f
(0, 0)
y
h
2h5 /h4
= lim
= 2,
h0
h
h0
e
2f
f
(0, 0) =
(0, 0)
yx
y x
= lim
h0
f
(0, 0
x
+ h)
h
f
(0, 0)
x
h5 /h4
= 1.
h0
h
Abbiamo cos` scoperto che le due derivate parziali seconde miste di f
nellorigine non sono uguali:
= lim
2f
2f
(0, 0) 6=
(0, 0).
xy
yx
Ricordando il teorema di Schwarz, possiamo quindi concludere che, anche
se le derivate parziali seconde miste esistono nellorigine, esse non possono
essere continue in tale punto (altrimenti dovrebbero essere necessariamente
uguali).
La funzione f `e quindi un esempio di una funzione che `e di classe C 1 ,
ma non di classe C 2 , in un intorno dellorigine.
f
f
f (x0 + h, y0 + k) = f (x0 , y0 ) +
(x0 , y0 ) h +
(x0 , y0 ) k + o( h2 + k 2 ).
x
y
3. Soluzioni
207
f (1 + h, 1 + k) = h (1 + )k + o( h2 + k 2 ).
Svolgimento esercizio 16. Ricordiamo che lo sviluppo in serie di Taylor
al primo ordine di una funzione f (x, y, z) allintorno di un punto (x0 , y0 , z0 )
`e dato da
f
f
(x0 , y0 , z0 ) h +
(x0 , y0 , z0 ) k
f (x0 + h, y0 + k, z0 + l) = f (x0 , y0 , z0 ) +
x
y
f
+
(x0 , y0 , z0 ) l + o( h2 + k 2 + l2 ).
z
Nel nostro caso si ha:
f (1, 1, 1) = 1,
f
= y 2 z 2y sin(y),
x
f
= 2xyz + cos(z/2) 2x sin(y) 2xy cos(y),
y
f
= xy 2 y sin(z/2),
z
2
da cui segue
f
f
f
(1, 1, 1) = 1,
(1, 1, 1) = 2 2,
(1, 1, 1) = 1 .
x
y
z
2
Lo sviluppo in serie di Taylor cercato `e quindi
f (1 + h, 1 + k, 1 + l) = 1 + h 2(1 + )k (1 + /2)l + o( h2 + k 2 + l2 ).
Svolgimento esercizio 17. Ricordiamo che lo sviluppo in serie di Taylor
al secondo ordine di una funzione f (x, y) allintorno di un punto (x0 , y0 ) `e
dato da
f
f
f (x0 + h, y0 + k) = f (x0 , y0 ) +
(x0 , y0 ) h +
(x0 , y0 ) k
x
y
1 2f
2f
2f
2
2
+
(x0 , y0 ) h + 2
(x0 , y0 ) hk + 2 (x0 , y0 ) k
2 x2
xy
y
2
2
+ o(h + k ).
208
2f
(0, 1) = 1,
xy
2f
(0, 1) = 0.
y 2
3. Soluzioni
209
f
= 4x cos(yz) yz cos(xz),
x
f
= 2x2 z sin(yz) sin(xz),
y
f
= 2x2 y sin(yz) xy cos(xz),
z
da cui segue
f
(1, 1, 0) = 4,
x
f
(1, 1, 0) = 0,
y
f
(1, 1, 0) = 1.
z
= 4 cos(yz) yz 2 sin(xz),
= 2x2 z 2 cos(yz),
= 2x2 y 2 cos(yz) + x2 y sin(xz),
= 4xz sin(yz) z cos(xz),
= 4xy sin(yz) + xyz sin(xz) y cos(xz),
= 2x2 yz cos(yz) 2x2 sin(yz) x cos(xz),
da cui segue
2f
(1, 1, 0) = 4,
x2
2f
(1, 1, 0) = 0,
y 2
2f
(1, 1, 0) = 2,
z 2
2f
2f
(1, 1, 0) = 0,
(1, 1, 0) = 1,
xy
xz
Lo sviluppo in serie di Taylor cercato `e quindi
2f
(1, 1, 0) = 1.
yz
f (1 + h, 1 + k, 0 + l) = 2 + 4h l + 2h2 l2 hl kl + o(h2 + k 2 + l2 ).
210
= 3x2 + 3y 2 15 = 0
x
f
= 6xy 12 = 0
y
Questo sistema ammette quattro soluzioni, date dai punti di coordinate
(2, 1), (2, 1), (1, 2) e (1, 2).
La matrice Hessiana di f `e
6x 6y
H(f ) =
6y 6x
quindi si ha:
12 6
12 6
H(f )(2, 1) =
,
H(f )(2, 1) =
,
6 12
6 12
e
6 12
6 12
H(f )(1, 2) =
,
H(f )(1, 2) =
.
12 6
12 6
La matrice H(f )(2, 1) `e definita positiva, quindi (2, 1) `e un punto di minimo
relativo. La matrice H(f )(2, 1) `e definita negativa, quindi (2, 1) `e
un punto di massimo relativo. Le matrici H(f )(1, 2) e H(f )(1, 2) sono
indefinite, quindi (1, 2) e (1, 2) non sono ne punti di massimo ne punti
di minimo relativo (sono punti di sella).
Infine, per quanto riguarda gli estremi assoluti, si vede facilemente che
f non ammette ne minimo ne massimo assoluti, dato che si ha, ad esempio,
lim f (x, 0) = ,
e
lim f (x, 0) = +,
x+
cio`e dato che f assume, nel suo dominio di definizione, valori arbitrariamente piccoli e valori arbitrariamente grandi.
Svolgimento esercizio 20. Le derivate parziali della funzione f sono
f
f
f
= x + yz,
= xz + 1,
= xy 1.
x
y
z
I punti critici si trovano risolvendo il sistema
= x + yz = 0
f
= xz + 1 = 0
= xy 1 = 0.
z
Si trova un solo punto critico, di coordinate (1, 1, 1).
3. Soluzioni
211
La matrice Hessiana di f `e
1 z y
H(f ) = z 0 x
y x 0
quindi si ha
1 1 1
H(f )(0, 0) = 1 0 1 .
1
1 0
1 1
=
La catena dei minori principali `e data da 1 = 1 > 0, 2 =
1 0
1 < 0, 3 = det H(f )(0, 0) = 3 < 0. Da ci`o si deduce che la matrice
H(f )(0, 0) `e indefinita, e quindi il punto (0, 0) non `e ne un punto di massimo
ne un punto di minimo relativo.
Svolgimento esercizio 21. Le derivate parziali della funzione f sono
f
= 3x2 + y 2 4x,
x
f
= 2xy.
y
I punti critici si trovano risolvendo il sistema
= 3x2 + y 2 4x = 0
x
f
= 2xy = 0.
y
Si trovano due punti critici, di coordinate (0, 0) e (4/3, 0), rispettivamente.
La matrice Hessiana di f `e
6x 4 2y
H(f ) =
2y
2x
quindi si ha
4 0
H(f )(0, 0) =
0 0
4 0
H(f )(4/3, 0) =
.
0 8/3
212
1
y
0 0
.
0 16
3. Soluzioni
213
y1
+
214
= 12x3 8xy = 0
x
f
= 4x2 + 2y = 0.
y
Lunica soluzione di questo sistema `e il punto di coordinate (0, 0).
La matrice Hessiana di f `e
36x2 8y 8x
H(f ) =
8x
2
e si ha pertanto
0 0
H(f )(0, 0) =
.
0 2
Questa matrice `e semidefinita positiva, quindi siamo in presenza di un caso
dubbio: in questo modo non possiamo affermare nulla sulla natura del punto
critico (0, 0).
Procediamo in un altro modo. Osserviamo che f (0, 0) = 0, quindi cerchiamo di scoprire se, in un intorno di (0, 0) la funzione f assume valori
positivi o negativi. In altre parole, cerchiamo di risolvere la disequazione
f (x, y) > 0. A tal scopo osserviamo che il polinomio f (x, y) = 3x4 4x2 y+y 2
si scompone come segue:
f (x, y) = (y x2 )(y 3x2 ),
3. Soluzioni
215
+
+
+ +
+
+
2
y2
+
+
216
m 6= 0. Si ottiene la funzione
F (x) = f (x, mx) = 3x4 4mx3 + m2 x2 .
La derivata seconda di questa funzione `e
F 00 (x) = 36x2 24mx + 2m2 ,
quindi F 00 (0) = 2m2 > 0, da cui si deduce che anche la restrizione di f a
una qualunque retta di equazione y = mx ha un minimo relativo nel punto
(0, 0).
In conclusione abbiamo visto che la funzione f (x, y) pur non avendo nellorigine ne un massimo ne un minimo relativo, `e tale che la sua restrizione
a una qualsiasi retta passante per lorigine ammette sempre un minimo
relativo nellorigine.
Svolgimento esercizio 24. Le derivate parziali della funzione f sono
f
= 4x3 2xy 2 ,
x
f
= 4y 3 2x2 y.
y
I punti critici si trovano risolvendo il sistema
= 4x3 2xy 2 = 0
x
f
= 4y 3 2x2 y = 0.
y
Lunica soluzione di questo sistema `e il punto di coordinate (0, 0).
La matrice Hessiana di f `e
12x2 2y 2
4xy
H(f ) =
4xy
12y 2 2x2
quindi si ha
0 0
H(f )(0, 0) =
.
0 0
Siamo dunque in presenza di un caso dubbio: in questo modo non possiamo
affermare nulla sulla natura del punto critico (0, 0).
Procediamo in un altro modo. Osserviamo che f (0, 0) = 0, quindi cerchiamo di scoprire se, in un intorno di (0, 0) la funzione f assume valori
positivi o negativi. In altre parole, cerchiamo di risolvere la disequazione
f (x, y) > 0. A tal scopo osserviamo che la funzione f (x, y) si pu`o riscrivere
come segue:
f (x, y) = x4 + y 4 x2 y 2 = (x2 y 2 )2 + x2 y 2 .
In questo modo si vede che f (x, y) `e la somma di due quadrati, e come tale
assume sempre valori 0.
3. Soluzioni
217
f
2
2
= 2xe(x +y ) (1 x2 y 2 ) = 0
x
f
2
2
= 2ye(x +y ) (1 x2 y 2 ) = 0.
y
2
Dato che il fattore e(x +y ) non si annulla mai, le soluzioni di questo sistema
sono date dal punto di coordinate (0, 0) e da tutti i punti che soddisfano
lequazione x2 +y 2 = 1, cio`e dai punti della circonferenza di raggio 1 centrata
nellorigine.
In questo caso non `e necessario determinare le derivate parziali seconde
di f . Notiamo infatti che f (x, y) 0 per ogni (x, y), e che f (0, 0) = 0. Da
ci`o segue che il punto (0, 0) `e un punto di minimo relativo, e anche assoluto,
per f . Osserviamo inoltre che
lim f (x, y) = 0,
(x,y)
f (, ) = 2 e .
Questa funzione dipende effettivamente solo dalla variabile , quindi i suoi
massimi e minimi si trovano con il solito metodo usato per le funzioni di
una sola variabile.
218
parziali di f . Si ha:
f
2yexy
= xy
,
x
e + exy
f
2xexy
= xy
.
y
e + exy
2y(x)exy(x)
exy(x) + exy(x)
exy(x) + exy(x)
2xexy(x)
y(x)
=
.
x
=
d y
Per calcolare la derivata seconda dx
2 basta ora derivare lespressione appena
trovata:
d2 y
d
y(x)
(x) =
dx2
dx
x
0
xy (x) y(x)
=
x2
2y(x)
=
.
x2
Osserviamo infine che lequazione f (x, y) = 0 `e sufficientemente semplice
da permetterci di ricavare esplicitamente y in funzione di x. Si ha infatti:
log(e 1)
,
2x
3. Soluzioni
219
y (0) =
f
(0, 0)
x
f
(0, 0)
y
= 1.
220
= 0). Questa `e la ragione per cui, in un intorno del punto (1, 0),
non `e possibile esprimere come grafico di una funzione y = y(x).
Svolgimento esercizio 28. Supponiamo che, in un intorno del punto
(1, 1, 0), esistano delle funzioni y = y(x) e z = z(x) tali che valgano le
due identit`a
( 2
x + log(xy(x)) x cos z(x) = 0
x2 y(x)3 + z(x)2 + x2 z(x) = 0.
Derivando rispetto a x si ottiene:
0
2x + y + xy cos z + xz 0 sin z = 0
xy
0
2zz + 2x 3y 2 y 0 + x2 z 0 + 2xz = 0.
Valutando queste espressioni nel punto (1, 1, 0) si trova:
(
2 + y 0 (1) = 0
2 3y 0 (1) + z 0 (1) = 0,
da cui si ricava infine
y 0 (1) = 2
z 0 (1) = 8.
3. Soluzioni
221
z
z
z
y 2 cos z
+ 2z cos y
=0
3x2 2xy + 2yz + 2xy
x
x
x
y
y
y
Valutando queste espressioni nel punto (1, 1, 0) si trova:
(1, 1) = 0
1 +
x
z
(1, 1) = 0,
1+
y
da cui si ricava
(1, 1) = 1
x
z
(1, 1) = 1.
y
= y + 2x + y = 0
L
= x + x + 2y = 0
= x2 + xy + y 2 1 = 0.
222
f
x(y 2) x2 +y2
p
=
e
=0
x
x2 + y 2
f
y(y 2) x2 +y2
= 1 p
e
= 0.
y
x2 + y 2
Lunica soluzione di questo sistema `e il punto di coordinate (0, 3) (attenzione: risolvendo il sistema si trovano altre soluzioni, che non sono per`o
accettabili). Effettivamente il punto trovato `e interno al cerchio A, quindi
la funzione f ha un solo punto critico allinterno dellinsieme A.
3. Soluzioni
223
Notiamo a questo punto come non sia necessario procedere allo studio
delle derivate parziali seconde per determinare la natura del punto critico
(0, 3). Infatti lesercizio richiede di determinare i massimi e minimi assoluti
di f e non quelli relativi. Per fare ci`o basta calcolare il valore di f nei
punti interessanti (punti critici, punti di non-derivabilit`a, etc.) e prendere
rispettivamente il pi`
u grande e il pi`
u piccolo tra i valori trovati.
Nel nostro caso si ha: f (0, 3) = e3 e f (0, 0) = 2 (ricordiamo che (0, 0)
non `e un punto critico di f , ma va considerato ugualmente perche f non `e
derivabile in (0, 0)).
Passiamo ora al secondo problema: la ricerca dei massimi e minimi di f
vincolati a stare sulla circonferenza di equazione x2 + y 2 = 16.
Dato che tale circonferenza si pu`o parametrizzare come segue
[0, 2] 3 7 (4 cos , 4 sin ),
la ricerca dei punti critici di f su questa circonferenza equivale alla ricerca
dei punti critici della funzione
F () = f (4 cos , 4 sin ) = (4 sin 2)e4 ,
per [0, 2].
Si ha:
F 0 () = 4e4 cos = 0,
per = /2 e = 3/2. La funzione F () ha dunque due punti critici
nellintervallo [0, 2], tuttavia bisogna considerare separatamente anche i
punti corrispondenti ai valori estremi = 0 e = 2, perche in tali punti
la funzione F () non `e derivabile (questi punti sono i due estremi di un
intervallo chiuso). Si ottengono quindi i seguenti tre punti in cui bisogna
valutare la funzione f : (4, 0) (per = 0 e = 2), (0, 4) (per = /2) e
(0, 4) (per = 3/2). I valori di f sono: f (4, 0) = 2e4 , f (0, 4) = 2e4
e f (0, 4) = 6e4 .
Analizzando i valori di f nei cinque punti interessanti precedentemente
trovati, si vede subito che f (0, 0) = 2 `e il pi`
u piccolo, mentre f (0, 3) = e3
`e il pi`
u grande. Si conclude quindi che f ha un minimo assoluto nel punto
(0, 0) e un massimo assoluto nel punto (0, 3).
Svolgimento esercizio 32. Iniziamo osservando che, per i punti dellinsieme A, `e sempre z 6= 1, quindi la funzione f `e definita in tutto linsieme
A (in realt`a f `e definita addirittura in un aperto contenente linsieme A).
Linsieme A `e definito dal seguente sistema di equazioni
(
x2 + y 2 = 4(1 + z)2
x + 2z = 2.
Ricavando z dalla seconda equazione e sostituendo nella prima, si ottiene
y 2 = 16 8x
224
1 2
da cui si ricava x = 2 18 y 2 , e quindi z = 16
y . Si vede cos` che `e possibile
ottenere una parametrizzazione globale dellinsieme A:
1 2
1 2
y 7 (x(y), y, z(y)) = 2 y , y, y .
8
16
Componendo la funzione
x
z+1
con questa parametrizzazione, si ottiene la funzione
f (x, y, z) =
32 2y 2
.
16 + y 2
Gli estremi (liberi) della funzione h(y) rappresentano quindi gli estremi
(vincolati) della funzione f (x, y, z) nellinsieme A.
Derivando si ottiene:
128y
h0 (y) =
(16 + y 2 )2
che si annulla solo per y = 0. Da ci`o si ricava che x = 2 e z = 0. La
funzione f ha quindi un solo punto critico nellinsieme A, di coordinate
(2, 0, 0). Studiando ora il segno di h0 (y), si scopre che la funzione h(y) `e
crescente per y < 0 e decrescente per y > 0. Il punto y = 0 `e quindi
un punto di massimo relativo, e anche assoluto, per la funzione h(y). Di
conseguenza il punto di coordinate (2, 0, 0) `e di massimo relativo, e anche
assoluto, per la funzione f nellinsieme A.
Infine notiamo che si ha
h(y) = f (x(y), y, z(y)) =
lim h(y) = 2.
3. Soluzioni
225
D
B
A
C
Figura 5. Linsieme X.
La retta
y
=
3x
interseca
lellisse
nei
due
punti
A
=
(
2/4,
6/4)
e B = ( 2/4, 6/4). Si conclude quindi che linsieme X `e costituito dalla regione interna alla semi-ellisse che giace sotto il segmento AB. La
situazione `e rappresentata in figura 5.
Per determinare i massimi e i minimi della funzione f (x, y) = x + y
nellinsieme X utilizzeremo il metodo delle curve di livello. Le curve di
livello della funzione f sono date dallequazione
f (x, y) = x + y = c,
con c costante. Si tratta quindi di un fascio di rette parallele alla bisettrice
del secondo e quarto quadrante.
Cerchiamo le due rette del fascio che sono tangenti allellisse. Dal sistema
x + y = c
4
4x2 + y 2 = 1
3
si ottiene lequazione
16x2 8cx + 4c2 3 = 0.
La condizione di tangenza richiede che sia nullo il discriminante di tale
equazione. I valori di c che annullano il discriminante sono c = 1. Le due
rette tangenti cercate sono quindi le rette di equazione x+y = 1 e x+y = 1
rispettivamente. Tali rette intersecano lellisse nei punti C = (1/4, 3/4)
e D = (1/4, 3/4) rispettivamente. Ma, dalla descrizione dellinsieme X, si
vede facilmente che il punto D non appartiene allinsieme X (si veda la
226
allinsieme
X.
Il
valore
massimo
di
f
`
e
dato
da
f
(B)
=
f
(
2/4,
6/4) =
( 2 + 6)/4.
Svolgimento esercizio 34. Per risolvere questo esercizio utilizzeremo il
metodo dei moltiplicatori di Lagrange. Ricordiamo, innanzi tutto, che tale
metodo si pu`o applicare solo nei punti non-singolari dellinsieme X. Iniziamo quindi cercando gli eventuali punti singolari di X, che dovranno essere
studiati a parte.
Poniamo g(x, y, z) = z 3 + 3x2 + y 2 + 2z 2 + 2z + 1. Linsieme X `e definito
dallequazione g(x, y, z) = 0 (da ci`o deriva che X `e un insieme chiuso, ma
non limitato. Il lettore lo verifichi per esercizio). I punti singolari di X sono
quelli in cui si annulla il gradiente di g. Si ha:
= 6x = 0
g
= 2y = 0
= 3z 2 + 4z + 2 = 0.
z
La terza equazione non ha soluzioni reali, quindi il gradiente di g non si
annulla mai e, di conseguenza, linsieme X non ha punti singolari. Possiamo
quindi applicare senza problemi il metodo dei moltiplicatori di Lagrange.
La funzione Lagrangiana `e
L(x, y, z, ) = z + (z 3 + 3x2 + y 2 + 2z 2 + 2z + 1).
Determiniamone ora i punti critici:
= 6x = 0
= 2y = 0
= 1 + (3z 2 + 4z + 2) = 0
L = g(x, y, z) = 0.
3. Soluzioni
227
z
+ 6x = 0
x
(3z 2 + 4z + 2)
z
+ 2y = 0.
y
z
(0, 0, 1) = 0,
y
come deve essere, dato che sappiamo che (0, 0, 1) `e un punto critico della
Lagrangiana, cio`e un punto critico vincolato per la funzione f , e quindi deve
anche essere un punto critico per la funzione h(x, y) = z(x, y).
Per studiare la natura di tale punto critico basta ora determinare la
matrice Hessiana della funzione h(x, y). Derivando ulteriormente, rispetto
228
Capitolo 12
1. Richiami di teoria
1.1. Differenziabilit`
a: la matrice Jacobiana
Una funzione di pi`
u variabili a valori vettoriali `e una funzione che ha come
dominio un sottoinsieme di Rn e come codominio (un sottoinsieme di) Rm ,
per qualche n e m. Si tratta quindi di una funzione del tipo
f~ : A Rm ,
n
X
fi
(~x0 ) hj + o(k~hk),
x
j
j=1
230
f1 (~x)
f2 (~x)
f~(~x) =
... ,
h1
h
~h = .2
..
hn
fm (~x)
e se introduciamo la matrice
f1
(~x)
x1
f2 (~x)
x1
Jf~(~x) =
..
.
fm
(~x)
x1
f1
(~x)
x2
f2
(~x)
x2
...
..
.
fm
(~x)
x2
f1
(~x)
xn
f2
(~x)
xn
..
.
fm
(~x)
xn
ove il prodotto Jf~(~x0 )~h `e il solito prodotto righe per colonne (di una matrice
per un vettore colonna).
Diamo ora la seguente definizione:
Definizione 1.2. La matrice
f1 f1
f1
x
x1
x2
n
f2 f2 f2
xn
Jf~ = x. 1 x. 2 .
..
..
..
..
.
fm
x1
fm
x2
fm
xn
1. Richiami di teoria
231
X zj
yl
zj
(~x0 ) =
(f~(~x0 ))
(~x0 ),
xi
yl
xi
l=1
per i = 1, . . . , n e j = 1, . . . , k.
1.2. Superficie
Vediamo ora alcuni esempi di funzioni di pi`
u variabili a valori vettoriali.
Ricordiamo che abbiamo definito il concetto di curva in Rn (in forma parametrica) come una funzione ~r : I Rn , dove I `e un intervallo di R.
Analogamente possiamo definire il concetto di superficie in Rn :
Definizione 1.7. Una superficie S (di classe C r ), in forma parametrica, in
Rn `e una funzione di classe C r
~r : A Rn ,
dove A `e un sottoinsieme aperto di R2 . Scriveremo
~r(u, v) = x1 (u, v), x2 (u, v), . . . , xn (u, v) ,
232
~
r
v
~
r
u
x2
J~r = u
.
..
xn
u
v
x2
v
.. .
.
xn
v
1. Richiami di teoria
233
.
u v
~
r
~
r
Il vettore ~n cos` definito `e un vettore ortogonale ai due vettori u
e v
tangenti alla superficie S, e quindi `e un vettore ortogonale al piano tangente
~
r
a S, quando questo esiste. Si noti che ~n 6= 0 se e solo se i due vettori u
e
~
r
sono linearmente indipendenti, cio`e se e solo se la matrice jacobiana di
v
~r ha rango massimo. Si ottiene cos` il seguente criterio per la regolarit`a di
una superficie in R3 :
Proposizione 1.10. Una superficie S in R3 , parametrizzata da
~n =
~r : A R3 ,
`e regolare se e solo se il vettore
~r ~r
u v
`e diverso da zero in tutti i punti di A. Se S non `e regolare, i punti di A in
cui si annulla il vettore ~n sono i punti singolari di S.
Il vettore normale ~n, oltre a fornire una condizione per la regolarit`a di
una superficie, risulta essere estremamente utile anche per la determinazione
del cosiddetto elemento infinitesimo di area su una superficie S.
Consideriamo il rettangolo infinitesimo dR, contenuto in A R2 , di
vertici (u, v), (u + du, v), (u, v + dv) e (u + du, v + dv), e quindi di area pari
a du dv. Questo rettangolo viene trasformato dalla funzione ~r : A R3
in un quadrilatero curvilineo dQ, anchesso infinitesimo, di vertici ~r(u, v),
~r(u+du, v), ~r(u, v+dv) e ~r(u+du, v+dv) (si veda la figura 2). Considerando
lo sviluppo in serie di Taylor al primo ordine, si ha
~n =
~r
du
u
234
~
r (u,v+dv)
A
~
r (u,v)
dQ
S
~
r (u+du,v+dv)
~r
~
r(u+du,v)
dv dR
du
u
~r
dv.
v
1. Richiami di teoria
235
superficie S:
x = u
y=v
z = f (u, v),
al variare di (u, v) A. In altre parole, la superficie S `e parametrizzata
dalla funzione
~r : A R3 ,
f
1, 0,
u
e
f
~r
= 0, 1,
v
v
e il vettore normale ~n `e dato da
~r ~r
f
f
~n =
=
, ,1 .
u v
u v
Notiamo che lultima componente di ~n `e costante (pari a 1), quindi il vettore
~n non si annulla mai. Da ci`o discende che la superficie S non ha punti
singolari.
Calcoliamo infine lespressione che assume lelemento infinitesimo di area:
s
2
2
f
f
dS = k~nk dudv =
+
+ 1 du dv.
u
v
1.2.2. Superficie di rotazione
Consideriamo ora una superficie S ottenuta dalla rotazione di una curva
attorno a una retta r. Per semplicit`a analizzeremo solo il caso in cui la
retta r (cio`e lasse di rotazione) coincide con lasse z e la curva `e contenuta
nel piano yz. Nella rotazione della curva attorno allasse z, ogni punto
P = (0, yP , zP ) di descrive un cerchio CP contenuto nel piano di equazione
z = zP , centrato nel punto OP = (0, 0, zP ) e di raggio RP pari alla distanza
di P dallasse z, cio`e RP = |yP | (la situazione `e descritta in figura 3). Questo
cerchio si pu`o descrivere in forma parametrica come segue:
x = yP cos
CP : y = yP sin
con 0 < 2.
z =z
P
Al variare del punto P lungo la curva , linsieme dei cerchi cos` ottenuti
descrive la superficie di rotazione S.
236
OP
CP
y
x = y(t) cos
S : y = y(t) sin
con a t b, 0 < 2.
z = z(t)
Riassumendo, possiamo affermare che la superficie S ottenuta dalla rotazione di una curva (contenuta nel piano yz) attorno allasse z `e parametrizzata dalla funzione
~r(t, ) = y(t) cos , y(t) sin , z(t) ,
con a t b e 0 < 2, ove si `e indicata con (y(t), z(t)) la parametrizzazione di .
A questo punto possiamo determinare i vettori tangenti alla superficie
S:
~r
= y 0 (t) cos , y 0 (t) sin , z 0 (t) ,
t
~r
= y(t) sin , y(t) cos , 0 ,
e il vettore normale
~r ~r
~n =
1. Richiami di teoria
237
238
dQ
f~
dP
dz
dx
dy
Consideriamo un parallelepipedo n-dimensionale infinitesimo dP , contenuto in A Rn , avente un vertice nel punto (x1 , x2 , . . . , xn ) e i lati paralleli
agli assi coordinati, di lunghezza dx1 , dx2 , . . . , dxn rispettivamente. Il volume n-dimensionale di questo parallelepipedo `e quindi pari a dx1 dx2 dxn .
Questo parallelepipedo n-dimensionale dP viene trasformato dalla funzione
f~ : A Rn in un parallelepipedo curvilineo n-dimensionale dQ, anchesso
infinitesimo, i cui vertici sono i trasformati tramite f~ dei vertici del parallelepipedo dP , cio`e sono i punti f~(x1 , x2 , . . . , xn ), f~(x1 + dx1 , x2 , . . . , xn ),
f~(x1 , x2 + dx2 , . . . , xn ), etc. (si veda la figura 4, che rappresenta il caso tridimensionale). Considerando lo sviluppo in serie di Taylor al primo ordine,
si ha:
f~
f~(x1 + dx1 , x2 , . . . , xn ) f~(x1 , x2 , . . . , xn ) +
dx1
x1
f~
f~(x1 , x2 + dx2 , . . . , xn ) f~(x1 , x2 , . . . , xn ) +
dx2
x2
f~
f~(x1 , x2 , . . . , xn + dxn ) f~(x1 , x2 , . . . , xn ) +
dxn .
xn
Si pu`o cos` concludere che, a meno di infinitesimi di ordine superiore al
primo, il volume n-dimensionale del parallelepipedo curvilineo dQ coincide
con il volume n-dimensionale del parallelepipedo n-dimensionale generato
f~
f~
f~
dx1 , x
dx2 , . . . , x
dxn . Ma questultimo volume `e pari al
dai vettori x
n
1
2
valore assoluto del determinante della matrice che ha come colonne i vettori
2. Esercizi
f~
x1
dx1 ,
f~
x2
dx2 , . . . ,
239
f~
xn
dxn . Si ha quindi:
f1
f1
dx1 x
dx2 . . .
x1
2
f2 dx1 f2 dx2 . . .
x2
Vol(dQ) det x1 .
..
..
..
.
.
fn
fn
dx1 x2 dx2 . . .
x1
f1
xn
f2
xn
dxn
dxn
..
.
fn
dxn
xn
2. Esercizi
2.1. Differenziabilit`
a: la matrice Jacobiana
Esercizio 1. Sia f~ : R3 R2 la funzione definita da
f~(x1 , x2 , x3 ) = (x1 + x2 cos(x23 ), 2x21 x2 x3 ).
Si scriva la matrice jacobiana di f~ e si dica se f~ `e differenziabile in tutto il
suo dominio di definizione.
Esercizio 2. Sia f~ : R2 R3 la funzione definita da
f~(x1 , x2 ) = (x1 log(1 + x22 ), x2 sin(x1 ), x21 x2 ).
Si determini il differenziale della funzione f~ nel punto (/2, 0). Si calcoli
poi df~(/2, 0)(2, 1).
2.2. Superficie
Esercizio 3. Determinare il vettore normale ~n, i punti singolari e lelemento
infinitesimo di area della sfera di raggio R parametrizzata da
(, ) 7 ~r(, ) = (R sin cos , R sin sin , R cos ),
per 0 < 2 e 0 .
240
x = cos
y = sin
z = z,
definita per 0, 0 < 2 e z.
Si determinino i punti singolari di questa trasformazione di coordinate e
si esprima lelemento infinitesimo di volume dx dy dz nelle coordinate , ,
z.
Esercizio 10. (Coordinate sferiche) Si consideri la seguente trasformazione di coordinate in R3 :
x = sin cos
y = sin sin
z = cos ,
3. Soluzioni
241
y = v,
definita per u 0 e v 0.
Si determinino i punti singolari di questa trasformazione di coordinate e
si esprima lelemento infinitesimo di area dx dy nelle coordinate u, v.
3. Soluzioni
3.1. Differenziabilit`
a: la matrice Jacobiana
Svolgimento esercizio 1. Le funzioni componenti di f~ sono f1 (x1 , x2 , x3 ) =
x1 +x2 cos(x23 ) e f2 (x1 , x2 , x3 ) = 2x21 x2 x3 . La matrice jacobiana di f~ `e quindi
!
f1
x1
f2
x1
Jf~ =
=
f1
x2
f2
x2
f1
x3
f2
x3
1
cos(x23 ) 2x2 x3 sin(x23 )
.
4x1 x2 x3 2x21 x3
2x21 x2
2x1 x2
log(1 + x22 )
1+x22
Jf~ = x2 cos x1 sin x1 ,
2x1 x2
x21
da cui segue che
0
0
Jf~(/2, 0) = 0 1 .
0 2 /4
Il differenziale della funzione f~ nel punto (/2, 0) `e la funzione lineare
df~(/2, 0) : R2 R3
242
0
0
0
h
df~(/2, 0)(h1 , h2 ) = 0 1 1 = h2 .
h2
0 2 /4
2 h2 /4
Da ci`o si deduce subito che
df~(/2, 0)(2, 1) = (0, 1, 2 /4).
3.2. Superficie
Svolgimento esercizio 3. Determiniamo i due vettori tangenti:
~r
= (R sin sin , R sin cos , 0),
~r
~v2 =
= (R cos cos , R cos sin , R sin ).
~v1 =
= R sin sin R sin cos
0
R cos cos R cos sin R sin
= (R2 sin2 cos , R2 sin2 sin , R2 sin cos )
= R sin (R sin cos , R sin sin , R cos )
= R sin ~r(, ).
I punti singolari sono quelli in cui si annulla il vettore ~n. Questo accade
se e solo se sin = 0, cio`e per = 0 e per = . I punti corrispondenti
sulla sfera sono i due punti N e S le cui coordinate sono date da N =
~r(, 0) = (0, 0, R) e S = ~r(, ) = (0, 0, R), si tratta cio`e dei due poli
Nord e Sud rispettivamente. Ovviamente, dal punto di vista geometrico,
non accade niente di speciale nei due poli Nord e Sud (una sfera `e un oggetto
perfettamente simmetrico, tutti i suoi punti godono delle stesse propriet`a),
`e solo la parametrizzazione scelta che non `e regolare in quei punti (infatti in
quei due punti si incontrano tutte le curve caratterizzate da = costante,
cio`e tutti i meridiani). La situazione `e descritta in figura 5.
Una volta determinato il vettore normale ~n, il calcolo dellelemento
infinitesimo di area `e banale. Si ha infatti:
dS = k~nk d d = R2 sin d d.
3. Soluzioni
243
~v1 =
Il vettore normale `e
~n = ~v1 ~v2
~
~k
~
= cos
sin 1
t sin t cos 0
= (t cos , t sin , t)
= t ( cos , sin , 1).
I punti singolari sono quelli in cui si annulla il vettore ~n. Questo accade
se e solo se t = 0. Il punto corrispondente sul cono `e il punto V le cui
coordinate sono date da V = ~r(0, ) = (0, 0, 0); si tratta del vertice del
cono. In questo caso, a differenza di quanto visto per i poli Nord e Sud
della sfera, la singolarit`a presente nel vertice del cono non dipende dalla
parametrizzazione usata, ma si tratta di una propriet`a intrinseca alloggetto
geometrico cono. La situazione `e descritta in figura 6.
Una volta determinato il vettore normale ~n il calcolo dellelemento infinitesimo di area `e banale. Si ha infatti:
dS = k~nk dt d = t 2 dt d.
Svolgimento esercizio 5. Sia S la superficie grafico della funzione z =
f (x, y) = x2 y 3 . La prima cosa da fare `e determinare una parametrizzazione
di S. Il modo ovvio di farlo `e semplicemente quello di cambiare i nomi delle
variabili indipendenti: se poniamo x = u e y = v, lequazione z = x2 y 3
diventa z = u2 v 3 . Si ottiene cos` la seguente descrizione di S in forma
244
2
1
V
z0
1
2
1
2
2
0x
0
y
1
2 2
x = u
y=v
z = u2 v 3 ,
al variare di (u, v) R2 . In altre parole, la superficie S `e parametrizzata
dalla funzione
~r : R2 R3 ,
1
0
1 .
J~r = 0
3
2uv 3u2 v 2
~r ~r
Si noti come, in questo caso, il vettore normale ~n non si annulli mai (lultima
componente `e costante e uguale a 1), quindi non ci sono punti singolari sulla
superficie S.
Infine, lelemento infinitesimo di area sulla superficie S `e dato da
3. Soluzioni
245
1
4
z0
1
2
4
0x
2
0
y
2
2
4 4
Figura 7. Il toro.
Svolgimento esercizio 6. La circonferenza `e parametrizzata da
y(t) = R + r cos t
z(t) = r sin t,
con 0 t < 2. Da ci`o segue che una parametrizzazione della superficie S
`e data da:
z = z(t) = r sin t,
cio`e S `e parametrizzata dalla funzione
~r(t, ) = (R + r cos t) cos , (R + r cos t) sin , r sin t ,
con 0 t < 2 e 0 < 2. La superficie di rotazione S (detta toro) `e
rappresentata in figura 7.
I due vettori tangenti sono quindi
~r
= (r sin t cos , r sin t sin , r cos t),
t
~r
= (R + r cos t) sin , (R + r cos t) cos , 0 ,
e il vettore normale `e
~r ~r
~n =
246
4
z2
0
3
3
2
1
0x
0
y
1
1
2
3
z = z(t) = t2 2t + 1,
e il vettore normale `e
~n =
~r ~r
dS = k~nk dt d = t 4t2 8t + 5 dt d.
3. Soluzioni
247
=
cos sin
.
sin cos
Si ha
det Jf~ = .
I punti singolari della trasformazione di coordinate sono quelli in cui si
annulla il determinante della matrice jacobiana. Esiste quindi un unico
punto singolare, dato da = 0, e cio`e da (x, y) = (0, 0). Si conclude
pertanto che lorigine `e lunico punto singolare per le coordinate polari nel
piano.
Per la trasformazione dellelemento infinitesimo di area vale la seguente
formula:
dx dy = | det Jf~| d d = d d.
Svolgimento esercizio 9. (Coordinate cilindriche) La trasformazione
di coordinate in questione `e espressa dalla funzione
f~ : (, , z) 7 ( cos , sin , z) = (x, y, z).
La matrice jacobiana di f~ `e
Jf~ =
y
z
x
z
y
z
z
z
cos sin 0
= sin cos 0 .
0
0
1
Si ha
det Jf~ = .
I punti singolari della trasformazione di coordinate sono quelli in cui si
annulla il determinante della matrice jacobiana, cio`e sono tutti i punti determinati dallequazione = 0. Si tratta di tutti i punti che stanno sullasse
delle z. Si conclude pertanto che lasse z `e una retta di punti singolari per
le coordinate cilindriche nello spazio.
Per la trasformazione dellelemento infinitesimo di volume vale la seguente formula:
dx dy dz = | det Jf~| d d dz = d d dz.
248
3u2
0
2 v
Si ha
3u2
det Jf~ = .
2 v
Per u = 0 (che corrisponde a x = 0) si annulla il determinante della matrice
jacobiana. Tali punti sono dunque punti singolari della trasformazione di
coordinate. Si noti per`o che per v = 0 si annulla il denominatore della
derivata y
, quindi in tali punti la funzione non `e derivabile. Di conseguenv
za anche i punti che soddisfano v = 0 (cio`e y = 0) sono punti singolari,
non perche in tali punti si annulla il determinante della matrice jacobiana,
ma semplicemente perche in essi non esiste la matrice jacobiana, cio`e la
trasformazione di coordinate non `e derivabile nei punti in cui v = 0.
In conclusione, abbiamo visto che la trasformazione di coordinate in
questione `e singolare in tutti i punti degli assi x e y.
3. Soluzioni
249
Capitolo 13
Calcolo Integrale
1. Richiami di teoria
1.1. Integrali doppi
Ricordiamo brevemente la definizione dellintegrale (di Riemann) di una
funzione di una variabile.
Sia I = [a, b] un intervallo di R e sia f : I R una funzione. Per
definire lintegrale di f esteso allintervallo I, si divide lintervallo I in N
intervallini uguali J1 , J2 , . . . , JN , di lunghezza ` = ba
, si prende poi, per
N
ogni intervallino Ji un punto xi Ji (si veda la figura 1), e si considera la
seguente somma:
N
X
S(N ) =
f (xi )`.
i=1
Dalla costruzione fatta, si deduce che tale integrale rappresenta larea della
regione di piano compresa tra lasse x e il grafico della funzione f , dove si
y
f (xi )
Ji
O
xi
Figura 1.
252
Pi
Ji
c
O
Figura 2.
considerano positive le area che stanno sopra lasse delle x e negative quelle
che stanno sotto.
Per quanto riguarda lesistenza del suddetto limite, si dimostra il seguente risultato:
Teorema 1.1. Se f : I R `e una funzione continua definita nellintervallo
I R, allora esiste lintegrale di f esteso a I.
Ci proponiamo ora di estendere questa costruzione al caso di funzioni di
pi`
u variabili. Iniziamo considerando il caso delle funzioni di due variabili.
Lanalogo bidimensionale di un intervallo di R `e un rettangolo. Sia dunque R = [a, b] [c, d] un rettangolo in R2 e sia f : R R una funzione.
Dividiamo il rettangolo R in N rettangolini uguali J1 , J2 , . . . , JN , e prendiamo, in ogni rettangolino Ji un punto Pi = (xi , yi ) Ji (si veda la figura 2).
Consideriamo poi la seguente somma:
S(N ) =
N
X
f (xi , yi ) Area(Ji ).
i=1
N +
La notazione utilizzata `e particolarmente suggestiva: il prodotto dx dy rappresenta lelemento infinitesimo di area nel piano (pensato come larea di
un rettangolino infinitesimo di lati dx e dy), quindi moltiplicando dx dy per
f (x, y) si ottiene il volume di un parallelepipedo infinitesimo di base dx dy
e di altezza f (x, y). Infine, sommando i volumi di tutti questi parallelepipedi infinitesimi si ottiene il volume della regione compresa tra il piano xy
e il grafico della funzione f , ove si considerano positivi i volumi che stanno
sopra il piano xy e negativi quelli che stanno sotto. Si noti come questa
1. Richiami di teoria
253
y
f=0
f=f
Figura 3.
interpretazione geometrica dellintegrale di una funzione di due variabili sia
del tutto analoga a quella dellintegrale di una funzione di una variabile.
Anche in questo caso si pu`o dimostrare il seguente risultato:
Teorema 1.2. Sia f : R R una funzione continua, definita su un
rettangolo R R2 . Allora esiste lintegrale di f esteso a R.
Tuttavia, se nel caso di funzioni di una variabile saperle integrare su
degli intervalli poteva essere soddisfacente, nel caso di funzioni di due variabili `e certamente troppo restrittivo poterle integrare solo su delle regioni
rettangolari del piano. Si pone allora il problema di estendere la definizione
di integrale a delle regioni limitate qualsiasi del piano.
Unidea per affrontare questo problema potrebbe essere la seguente. Sia
f : R una funzione continua definita su un insieme limitato . Consideriamo un rettangolo R sufficientemente grande da contenere . Estendiamo
la definizione di f a tutto il rettangolo R nel modo seguente:
(
f (x, y) se (x, y) ,
f(x, y) =
0
se (x, y) 6 .
La nuova funzione f : R R coincide con f nellinsieme ed `e nulla allesterno (si veda la figura 3). In base allinterpretazione geometrica
dellintegrale doppio descritta in precedenza, ha quindi senso porre
ZZ
ZZ
f (x, y) dx dy =
f(x, y) dx dy,
254
x
(b) Insieme x-semplice
ma non y-semplice.
x
(d) Insieme n
e y-semplice
n
e x-semplice.
Figura 4.
continua nel rettangolo R, e quindi lesistenza dellintegrale di f su R (e di
conseguenza lesistenza dellintegrale di f su ) non `e pi`
u garantita.
Si possono adottare delle strategie pi`
u sofisticate per definire lintegrale
di una funzione f su un sottoinsieme di R2 , tuttavia, qualunque sia la
strategia che si voglia seguire, si trovano sempre dei sottoinsiemi del piano
talmente irregolari da far si che non sia possibile integrare su di essi neppure
funzioni estremamente semplici, come ad esempio la funzione costante pari
a 1 (questi insiemi si dicono non-misurabili).
Ci proponiamo quindi un compito meno ambizioso: definire lintegrale
di una funzione di due variabili f (x, y) solo su una ben determinata classe
di sottoinsiemi di R2 (classe, tuttavia, sufficientemente estesa da contenere
tutti i casi di interesse pratico).
Definizione 1.3. Un sottoinsieme A di R2 `e detto y-semplice se `e del tipo
A = {(x, y) | a x b, h1 (x) y h2 (x)},
ove h1 e h2 sono due funzioni continue definite nellintervallo [a, b].
Analogamente, un sottoinsieme B di R2 `e detto x-semplice se `e del tipo
B = {(x, y) | c y d, k1 (y) x k2 (y)},
ove k1 e k2 sono due funzioni continue definite nellintervallo [c, d].
Infine, un sottoinsieme di R2 `e detto semplice se `e y-semplice oppure
x-semplice (si veda la figura 4).
Si pu`o dimostrare il seguente risultato fondamentale:
Teorema 1.4. Se A R2 `e un insieme y-semplice, dato da
A = {(x, y) | a x b, h1 (x) y h2 (x)},
1. Richiami di teoria
255
h1 (x)
k1 (y)
i=1
Ai
Si pu`o dimostare che questa definizione `e ben posta, nel senso che non
dipende dalla decomposizione di come unione di insiemi semplici usata
per calcolare lintegrale.
Abbiamo cos` definito la nozione di integrale di una funzione continua su
un insieme regolare. Ovviamente la classe degli insiemi regolari non contiene
tutti i sottoinsiemi di R2 , ma risulta sufficientemente ampia da contenere
256
1. Richiami di teoria
257
f (P )
dS
P
Figura 5.
Da questi fatti si deduce la seguente formula per il cambiamento di variabili
negli integrali doppi:
ZZ
ZZ
f (x, y) dx dy =
f x(u, v), y(u, v) | det J~r (u, v)| du dv,
258
N
X
f (xi , yi , zi ) Vol(Ji ).
i=1
N +
1. Richiami di teoria
259
A0
h1 (x,y)
Valgono ovviamente dei risultati analoghi per gli insiemi y-semplici e quelli
x-semplici.
Il calcolo di un integrale triplo `e cos` ricondotto al calcolo di un integrale
semplice seguito da quello di un integrale doppio. Questultimo, a sua volta,
pu`o essere decomposto in due integrali semplici come visto in precedenza.
260
zmin
f (x, y, z) dx dy ,
Az
ove abbiamo indicato con zmin e zmax i valori minimo a massimo assunti
dalla variabile z nellinsieme A.
In questo caso si esegue quindi prima un integrale doppio esteso allo
strato Az e poi un integrale semplice.
Esempio 1.12. Per illustrare questultimo metodo di integrazione consideriamo il seguente problema: calcolare il volume di una sfera di raggio r in
R3 .
Sia S 3 (r) R3 la sfera di raggio r centrata nellorigine:
S 3 (r) : x2 + y 2 + z 2 r2 .
Il suo volume `e dato dal seguente integrale triplo:
ZZZ
3
dx dy dz.
Vol(S (r)) =
S 3 (r)
S 3 (r)z
1. Richiami di teoria
261
r0
Figura 6.
Possiamo ora completare il calcolo del volume della sfera:
ZZZ
3
Vol(S (r)) =
dx dy dz
S 3 (r)
Z r
ZZ
=
dz
dx dy
r
S 3 (r)z
Z r
=
(r2 z 2 )dz
r
r
z3
2
= r z
3 r
4
= r3 .
3
Anche nel caso degli integrali tripli `e possibile estendere la definizione
dellintegrale di una funzione continua a una classe pi`
u ampia di insiemi:
Definizione 1.13. Un sottoinsieme di R3 `e detto regolare se esiste un
numero finito di insiemi semplici A1 , A2 , . . . , An , per qualche intero n, tali
che
=
n
[
Ai ,
i=1
262
i=1
Ai
Si pu`o dimostare che questa definizione `e ben posta, nel senso che non
dipende dalla decomposizione di come unione di insiemi semplici usata
per calcolare lintegrale.
Come caso particolare, possiamo usare gli integrali tripli per definire il
concetto di volume di un insieme regolare.
Definizione 1.14. Sia un sottoinsieme regolare di R3 . Il volume di `e
definito ponendo
ZZZ
Vol() =
dx dy dz.
1.4. Integrali in Rn
Avendo visto come si definiscono gli integrali per le funzioni di due o tre
variabili non dovrebbe essere difficile immaginare come si possano estendere
le definizioni e i risultati precedenti al caso di funzioni di n variabili. Non
entriamo nei dettagli ma osserviamo solo che si possono ottenere dei risultati
1. Richiami di teoria
263
da cui si ricava
S 4 (r)w : x2 + y 2 + z 2 r2 w 2 .
4
0
Si
scopre quindi che S (r)w `e una sfera tridimensionale di raggio r =
r2 w 2 , se r w r, altrimenti `e linsieme vuoto.
Lintegrale che fornisce il volume della 4-sfera pu`o quindi essere calcolato
come segue:
ZZZZ
Z r
ZZZ
dx dy dz dw =
dw
dx dy dz.
S 4 (r)
S 4 (r)w
rappresenta
il volume della sfera tridimensionale S 4 (r)w di raggio r0 =
r2 w2 , e quindi si ha:
ZZZ
4
4 p
3
dx dy dz = r0 = (r2 w2 )3 .
3
3
S 4 (r)w
264
1. Richiami di teoria
265
R
Portando tutti i termini che contengono lintegrale cos4 d a primo
membro, si ottiene
Z
Z
4
3
4 cos d = cos sin + 3 cos2 d.
Rimane ora da calcolare lintegrale
Z
cos2 d.
Questo si pu`o calcolare integrando per parti in modo del tutto analogo a
quanto appena visto, e si trova
Z
1
cos2 d = ( + sin cos ).
2
Sostituendo nellespressione precedente si trova quindi
Z
1
3
cos4 d = cos3 sin + ( + sin cos ).
4
8
Da ci`o segue che
Z /2
3
cos4 d = .
8
/2
Possiamo cos` completare il calcolo del volume della 4-sfera, ottenendo:
Z
4 4 /2
1
4
Vol(S (r)) = r
cos4 d = 2 r4 .
3
2
/2
Esempio 1.17. La 5-sfera. In questo secondo esempio ci proponiamo di
calcolare il volume di una sfera di raggio r in R5 . Sia dunque S 5 (r) R5
la sfera di raggio r centrata nellorigine:
S 5 (r) : x2 + y 2 + z 2 + w2 + t2 r2 .
Il suo volume `e dato dal seguente integrale:
ZZ Z
5
Vol(S (r)) =
dx dy dz dw dt.
S 5 (r)
266
Lintegrale che fornisce il volume della 5-sfera pu`o quindi essere calcolato
come segue:
ZZ Z
Z r ZZZZ
dx dy dz dw dt =
dt
dx dy dz dw.
S 5 (r)
S 5 (r)t
rappresenta
il volume della sfera quadridimensionale S 5 (r)t di raggio r0 =
dx dy dz dw dt
S 5 (r)
Z r ZZZZ
=
dt
dx dy dz dw
r
S 5 (r)t
Z
1 2 r 2
(r t2 )2 dt
=
2
Zr
1 2 r 4
=
(r 2r2 t2 + t4 ) dt
2
r
8 2 5
=
r .
15
Osservazione 1.18. Per terminare, osserviamo che, operando in modo del
tutto analogo a quanto fatto nei due esempi precedenti, si pu`o calcolare il
volume n-dimensionale della sfera S n (r) di raggio r in Rn . Le formule che
si trovano sono diverse a seconda che la dimensione n sia pari o dispari. Si
ha:
2p p 2p
2p
Vol(S (r)) =
r ,
(2p)!!
se n = 2p `e pari, e
Vol(S 2p+1 (r)) =
2p+1 p 2p+1
r
,
(2p + 1)!!
2. Esercizi
267
2. Esercizi
2.1. Integrali doppi
Esercizio 1. Sia I = [a, b] un intervallo di R e sia f : I R una funzione
continua e positiva. Sia A la parte di piano compresa tra lasse x e il grafico
della funzione f , cio`e
A = {(x, y) | a x b, 0 y f (x)}.
Si determini larea dellinsieme A per mezzo di un integrale doppio.
Esercizio 2. Sia D la regione limitata del piano compresa tra la retta
y = 2x e la parabola y = x2 . Si calcoli il seguente integrale:
ZZ
xy dx dy.
D
2
ove D `e la regione interna al triangolo di vertici (2, 1), (6, 3) e (5, 4).
Esercizio 5. Si calcoli il seguente integrale doppio:
ZZ
xy dx dy,
D
I=
,
4x
D
dove D `e il cerchio di raggio 2, tangente agli assi coordinati e contenuto nel
primo quadrante.
Esercizio 8. Calcolare il volume del solido limitato dal paraboloide ellittico
z = 2x2 + y 2 + 1, dal piano x + y = 1 e dai piani coordinati.
Esercizio 9. Calcolare il volume della semisfera, contenuta nel semispazio
z 0, centrata nellorigine e di raggio R.
268
3. Soluzioni
269
3. Soluzioni
3.1. Integrali doppi
Svolgimento esercizio 1. Per definizione, si ha
ZZ
dx dy.
Area(A) =
A
dx dy =
Z
dx
f (x)
dy =
0
f (x)
dx y 0 =
f (x) dx.
a
Si
R b ritrova, in questo modo, la solita interpretazione geometrica dellintegrale
f (x) dx come larea della regione di piano compresa tra lasse x e il grafico
a
della funzione f .
Svolgimento esercizio 2. La retta y = 2x e la parabola y = x2 si
intersecano nei punti (0, 0) e (2, 4). Si ha quindi:
D = {(x, y) | 0 x 2, x2 y 2x}.
Linsieme D `e dunque y-semplice (in effetti `e anche x-semplice), e lintegrale
doppio si pu`o calcolare come segue:
ZZ
Z
xy dx dy =
2x
dx
xy dy
2x
Z 2
1 2
=
x dx
y
2
0
x2
Z 2
1
=
x(4x2 x4 ) dx
2
0
2
1 4 x6
8
=
x
= .
2
6 0 3
0
x2
270
Linsieme T `e dunque y-semplice e lintegrale da calcolare pu`o essere decomposto come segue:
ZZ
Z
xy dx dy =
x/2+2
dx
xy dy
x/2+2
2
4
Z
=
2
1 2
x dx
y
2
x/2+2
x/2+2
1
x dx (x/2 + 2)2 (x/2 + 2)2
2
=
2
4
2x2 dx
=
2
x3
=2
3
4
=
2
112
.
3
ZZ
(x y) dx dy =
ZZ
(x y) dx dy +
D1
(x y) dx dy.
D2
(x y) dx dy =
D1
x1
(x y) dy
dx
2
x/2
x1
y2
=
dx xy
2 x/2
2
Z 5
1 2 1
=
x
dx
8
2
2
5
1 3 1
27
=
x x = ,
24
2 2
8
Z
3. Soluzioni
e
ZZ
(x y) dx dy =
D2
9x
(x y) dy
dx
5
271
x/2
9x
y2
=
dx xy
2 x/2
5
Z 6
81
15 2
=
x + 18x
dx
8
2
5
6
5 3
81
13
2
= x + 9x
x = .
8
2
8
5
Sommando i due valori trovati, si ha infine
ZZ
27 13
(x y) dx dy =
+
= 5.
8
8
D
Z
272
Dato che il triangolo T `e un insieme y-semplice (in effetti `e anche xsemplice), questo integrale doppio si pu`o calcolare come segue:
ZZ
Z 1 Z x
(x y + 1) dx dy =
dx
(x y + 1) dy
T
0
0
x
Z 1
y2
=
dx xy
+y
2
0
0
Z 1 2
x
2
=
+ x dx = .
2
3
0
Svolgimento esercizio 7. Il cerchio D in questione ha raggio 2 e centro
nel punto C = (2, 2). La sua equazione `e quindi
(x 2)2 + (y 2)2 = 4,
cio`e
x2 + y 2 4x 4y + 4 = 0.
Linsieme D `e sia x-semplice che y-semplice. Se lo pensiamo come insieme
y-semplice, dallequazione del cerchio ricaviamo
y = 2 4x x2 ,
e si ha dunque
D = {(x, y) | 0 x 4, 2
4x x2 y 2 +
4x x2 }.
=
dx
4x
4x
D
0
2 4xx2
Z 4
dx 2+ 4xx2
=
y
2
4 x 2 4xx
0
Z 4
2 4x x2
dx
=
4x
0
Z 4
32
=2
x dx = .
3
0
Svolgimento esercizio 8. La base del solido in questione `e il triangolo
T , contenuto nel piano xy, di vertici (0, 0, 0), (1, 0, 0) e (0, 1, 0) (si invita il
3. Soluzioni
273
0
1
1x
y3
2
dx 2x y +
+y
3
0
1
(1 x)(7x2 2x + 4)dx
3
=
0
Z
=
0
3
= .
4
Svolgimento esercizio 9. Lequazione della sfera di raggio R, centrata
nellorigine, `e
x2 + y 2 + z 2 = R 2 ,
da cui si ricava, per la semisfera contenuta nel semispazio z 0,
p
z = R 2 x2 y 2 ,
ove questa funzione `e definita nel cerchio , contenuto nel piano xy, centrato
nellorigine e di raggio R:
= {(x, y) | x2 + y 2 R2 }.
Il volume della semisfera in questione `e quindi dato da
ZZ p
V =
R2 x2 y 2 dx dy.
R2 x2
274
y
A
= sin t,
A2
(t + sin t cos t),
2
R2 x2 y 2 dy =
t + sin t cos t
= (R2 x2 ).
2
2
R2 x2
t=/2
Possiamo ora completare il calcolo dellintegrale doppio:
ZZ p
Z
R 2
4
2
2
2
R x y dx dy =
(R x2 )dx = R3 .
2 R
6
3. Soluzioni
275
D0
2
/2
2 cos sin2 d
d
0
0
2
=
0
Z
=
0
1 3
d
sin
3
2
/2
0
1 2
8
d = .
3
9
276
0
2
1
=
d
sin2
2
1
Z
1 2
3
=
d = .
4 1
8
Svolgimento esercizio 13. Si ha:
ZZ
Area(D) =
dx dy.
/4
0
Sebbene questo integrale si possa calcolare usando le coordinate cartesiane x e y, risulta pi`
u conveniente passare in coordinate polari e . La
trasformazione di coordinate `e data da
x = cos ,
y = sin .
Lelemento di area dx dy `e espresso, in coordinate polari, dalla formula
dx dy = d d.
Bisogna ora calcolare linsieme D0 , cio`e linsieme D espresso in coordinate
polari. Le disequazioni 0 y x diventano, in coordinate polari, 0
sin cos , che sono equivalenti al sistema
sin 0
cos sin .
Le soluzioni di questo sistema sono date da 0 /4.
Rimangono ora le disequazioni 2x x2 + y 2 4x che, in coordinate
polari, diventano 2 cos 2 4 cos , cio`e 2 cos 4 cos .
3. Soluzioni
277
D0
/4
4 cos
2 cos
/4
=
0
Z
=
1 2
d
4 cos
2 cos
/4
6 cos2 d
h
i/4
= 3 + sin cos
0
3
3
= + ,
4
2
ove si `e usata la (nota) uguaglianza
Z
1
cos2 d = ( + sin cos ).
2
Svolgimento esercizio 14. Data la forma dellinsieme D, per calcolare
lintegrale
ZZ
Area(D) =
dx dy,
D
278
~r
= (2u, 2v, 0),
u
~r
= (0, 2u, 2v).
v
Il vettore normale ~n `e quindi dato da
~r ~r
~n =
= (2 2v 2 , 4uv, 2 2u2 ).
u v
3. Soluzioni
279
I punti singolari sono quelli in cui il vettore ~n `e nullo, il che accade solo se
u = v = 0. Quindi lunico punto singolare di S `e il punto di coordinate
~r(0, 0) = (0, 0, 0), cio`e lorigine. Infine larea A di S `e data dal seguente
integrale:
ZZ
A=
k~nk du dv,
D
ZZ
Z 2
Z 1
80 2
2
2
2
2
A=
2 2(u + v ) du dv = 2 2
du
(u + v ) dv =
.
3
D
1
2
Svolgimento esercizio 16. Sia S la superficie sferica di raggio R centrata
nellorigine. Abbiamo gi`a visto, in uno degli esercizi del Capitolo 12, che la
superficie S `e parametrizzata dalla funzione
(, ) 7 ~r(, ) = (R sin cos , R sin sin , R cos ),
per 0 < 2 e 0 . Linsieme di definizione della funzione ~r `e
dunque il rettangolo
= {(, ) | 0 < 2, 0 }.
Determiniamo i due vettori tangenti:
~r
= (R sin sin , R sin cos , 0),
~r
~v2 =
= (R cos cos , R cos sin , R sin ).
~v1 =
= R sin sin R sin cos
0
R cos cos R cos sin R sin
= (R2 sin2 cos , R2 sin2 sin , R2 sin cos )
= R sin (R sin cos , R sin sin , R cos )
= R sin ~r(, ).
Possiamo ora calcolare lelemento infinitesimo di area sulla superficie S:
dS = k~nk d d = R2 sin d d.
280
Z
Z 2
2
=R
sin d
d
0
0
Z
2
= 2R
sin d
0
2
= 4R .
Svolgimento esercizio 17. Abbiamo gi`a visto, in uno degli esercizi del
Capitolo 12, che il toro T `e parametrizzato da
x = (R + r cos t) cos
y = (R + r cos t) sin
z = r sin t,
cio`e dalla funzione
~r(t, ) = (R + r cos t) cos , (R + r cos t) sin , r sin t ,
con 0 t < 2 e 0 < 2 (ove abbiamo indicato con r e R i due raggi
che individuano il toro). Linsieme di definizione della funzione ~r `e dunque
il rettangolo
= {(t, ) | 0 t < 2, 0 < 2}.
Determiniamo i due vettori tangenti:
~r
= (r sin t cos , r sin t sin , r cos t),
t
~r
= (R + r cos t) sin , (R + r cos t) cos , 0 .
~r ~r
3. Soluzioni
281
dS
T
ZZ
=
r(R + r cos t) dt d
Z 2
=r
dt
(R + r cos t) d
0
0
Z 2
= 2r
(R + r cos t) dt
0
2
= 2r Rt + r sin t 0
Z 2
= (2r)(2R) = 4 2 rR.
Svolgimento esercizio 18. Si ha x0 (t) = 2(1 cos t) e y 0 (t) = 2 sin t. Lelemento infinitesimo di lunghezza d` sulla curva (detto anche differenziale
darco) `e dato da:
d` =
x0 (t)2 + y 0 (t)2 dt = 2 2 1 cos t dt.
0
r
Z 2
t
=2 2
2 sin2 dt
2
0
2
t
= 16,
= 2 2 2 2 cos
2 0
Z
282
Z 2
= 2
2(1 cos t) 2 2 1 cos t dt
0
Z 2
= 8 2
(1 cos t)3/2 dt
0
Z 2
t
= 8 2
2 2 sin3 dt
2
Z 0
= 64
sin3 u du,
0
t
2
Cz
3. Soluzioni
283
r(h z)
.
h
Si ha dunque:
ZZ
dx dy = r0 =
Cz
r2
(h z)2 .
h2
0
2
r
h2
(h z)2 dz
h
r
1
3
= 2 (h z)
h
3
0
1
= hr2 .
3
2
x = sin cos
y = sin sin
z = cos ,
con 0, 0 e 0 < 2, la sfera S `e descritta come segue:
S 0 = {(, , ) | 0 R, 0 , 0 2}.
In coordinate sferiche la sfera S diventa quindi il parallelepipedo S 0 .
Ricordiamo ora che lelemento di volume dx dy dz `e espresso, in coordinate sferiche, dalla formula
dx dy dz = 2 sin d d d.
284
1 3
= 4
R
=
0
4
R3 .
3
x2 y 2 z 2
+ 2 + 2 1.
a2
b
c
x = aX
y = bY
z = cZ.
Si vede immediatamente che
a 0 0
J = 0 b 0 ,
0 0 c
e quindi det J = abc. Concludiamo quindi che, nella precedente trasformazione di coordinate, lelemento infinitesimo di volume si trasforma come
segue:
dx dy dz = abc dX dY dZ.
3. Soluzioni
285
E0
Dato che, come abbiamo prima osservato, E 0 `e una sfera di raggio 1, il suo
volume `e noto:
4
Vol(E 0 ) = .
3
Si conclude quindi che
4
Vol(E ) = abc.
3
Per terminare, notiamo come, con una semplice trasformazione di coordinate abbiamo potuto determinare il volume dellellissoide E senza dover, in
effetti, calcolare alcun integrale.