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Ponti, mulini, canali fanno di questa città veneta, lambita dal Sile e dai suoi affluenti, un
ambiente originale di provincia, dove i piaceri della vita, cibo compreso, hanno spazio e
Treviso, come la dea Venere, sembra proprio essere nata dall'acqua. Può capitare quindi che
passeggiando per la città , ci si imbatta in ponti, si percorrano 1'riviere" si senta il suono dolce
e borbottante della corrente che fa girare (ancora oggi!) le ruote dei pochi mulini superstiti. E
le acque in questione sono quelle del Sile (il fiume "serenissimo”) e dei suoi affluenti, il Siletto,
il Cagnan di mezzo, il Cagnan grande, il Canale delle Convertite che, dopo aver oltrepassato
Il consiglio che viene dato ai visitatori “foresti” è proprio quello di fare la conoscenza, per prima
cosa, con questa strana e insolita mescolanza di mattoni e acque, di ponti sospesi e portici
che si affacciano direttamente sulla corrente, di isolotti e canali. Una Venezia minore, dirà
qualcuno. Sì, a patto che per minore si intenda solo più piccola. Ma fare confronti non è mai
simpatico e le due "sorelle", che pur hanno qualche tratto di somiglianza, differiscono per
decadente, Treviso accoglie il visitatore con la gaiezza gentile della sua gente e la lucentezza
dei suo canali: la sua, insomma, è una bellezza più quieta e riposante, che ha saputo
mantenere quasi intatta l’impronta medioevale nelle strade piccole e tortuose, nelle chiese
monumentali, nei palazzi signorili. Tutto parla a Treviso di un passato splendido fatto di
Treviso, in pieno Medio Evo, arrivavano, ed erano ospitati dalle nobili famiglie delle città,
poeti, trovatori e pittori: Dante e Petrarca, Sordello da Goito e Tomaso da Modena qui
trovarono ispirazione e lasciarono traccia del loro passaggio. Come lasciò traccia del suo
passaggio n folto numero di pittori minori che furono incaricati dai signori della città di
affrescare le loro case. "Urbs picta" cioè "città dipinta" veniva allora detta Treviso e ancora
oggi a percorrere a piedi l'intricato sviluppo di vicoli e strade si potranno scoprire le tracce di
quella città dipinta. Decorazioni geometriche che, quasi con un effetto di trompe-d'oeil,
suggeriscono tappezzerie e tappeti stesi: fiori, tralci di rampicanti e frutti che incorniciano
balconi e finestre: putti che rincorrono mostri leggendari sotto cornicioni e lungo i
marciapiano. Madonne che benedicono : scene di vita quotidiana con cavalieri, damigelle e
scudieri: santi cristiani e divinità pagane che guardano tra l'ironico e il benevolo i passanti: un
intero mondo riemerge dal passato a rinverdire le glorie e le memorie di quella che fu la
capitale della "Marca". E se, spesso, questi affreschi sono nati dalla fantasia del pittore,
qualche volta essi sono legati a fatti o avvenimenti particolari successi in città. E' il caso per
esempio, dei Sambemardini, cioè quelle immagini che raffigurano un solo raggiante, al cui
centro stanno le lettere IHS. Le tre lettere che sono le iniziali di Jesus Hominum Salvator
(Gesù Salvatore degli uomini) erano utilizzate da un santo predicatore, San Bernardino da
Siena, come suo monogramma. Le antiche cronache trevisane raccontano di una predica
fatta dall'oratore francescano, proprio nella piazza di Treviso. il sermone ebbe un successo
pietre, formelle di terracotta o affreschi e ricordarono così la visita in città del Santo,
riproducendone la "griffe" anche sulle facciate di case e palazzi. Accanto a una Treviso
attenta ai problemi dello spirito, ce n'era, però, anche un'altra molto più attenta a quelli della
carne.
Metropoli dell'amore
"Trevigi che di chiare fontane tutta ride e del piacer d'amore che qui vi è fine "diceva di "lei"
uno scrittore del Trecento, alludendo ad un'altra delle prerogative della città in quei secoli,
quella, cioè, di essere una specie di "metropoli dell'amore" (per usare un'epressione dello
scrittore Giovanni Comisso.)Si racconta, infatti, che la bellezza delle ragazze di Treviso fosse
proverbiale e conosciuta dovunque: qui si radunavano i giovani delle più nobili famiglie
straniere e qui combattevano, per conquistare le grazie delle belle trevigiane, una specie di
scherzosa battaglia che prendeva il nome di "Castello d'Amore"
I coraggiosi cavalieri si impegnavano per espugnare una torre della cui sommità le donne
incitavano i loro pretendenti con il lancio di petali di fiori e di dolci parole d'amore. Che sia per
questo che il contado di Treviso fu anche detto "Marca gioiosa et amorosa" e che tutto ciò
che riguardava i fatti d'amore venne chiamato, allusivamente, "danza trivigiana" Può darsi.
Sta di fatto che di quel tempo è rimasto, nell’anima della città, un atteggiamento rivolto più a
godere le gioie della vita che a sprecar tempo in controversie e contrasti: è la filosofia, tutta
trevigiana, del "Mi no vado a combatar" ("non vado a combattere") suonerebbe il
corrispondente italiano, che però, come tutte le tradizioni, non riesce a rendere appieno il
significato più profondo di queste parole). E' la stessa filosofia che ha fatto dire a Carlo
Goldoni (un habituè di questi luoghi) che, qui "se spassiza se zoga, se ciacola, e qualche
bella ragazza). E, ancora oggi, il gusto per la "ciacola" nella piazza (così viene chiamata la
piazza dei Signori), per la buona tavola e il buon vino si richiama appunto a questa particolare
Appuntamento in piazza
La piazza è uno dei punti nevralgici di Treviso: qui ci si dà appuntamento e qui sono riuniti
alcuni tra i monumenti più importanti della storia della città: La Torre Civica col suo
Campanon che suona tutti i giorni alle ore 9 e alle 17 per segnare l'inizio e la fine della
giornata di lavoro, il Palazzo del Podestà, la Prefettura e il Palazzo dei Trecento con la sua
Loggia fanno da scenografia alla vita quotidiana di tutti i trevigiani che, per una ragione o per
l'altra, si trovano a passare nella piazza. La Loggia funziona, nella buona e nella cattiva
stagione, come salotto frequentato dagli avventori dei caffè aperti sotto il porticato e qui, tra
l'altro (il martedì prima di Natale) si tiene la Mostra del radicchio rosso di Treviso che raduna
tutti i migliori produttori di questa tipica verdura della Marca: Tra il Palazzo dei Trecento e
quello del Monte di Pietà, sotto l'ombra della Torre ecco "Le Beccherie" piazza Ancillotto : è il
primo incontro con la cucina della città ed è quello più tradizionale. La cucina trevigiana tipica
ha le sue radici più autentiche nelle campagne che da secoli circondano il recinto delle mura.
Da queste campagne, infatti, giornalmente arrivavano in città i contadini che portavano nelle
case dei signori o sui banchi del mercato i prodotti dei loro campi. Ortaggi e verdure, carni di
animali da cortile e di maiale, pesce pescato nelle limpide acque del Sile: questi gli ingredienti
principali di una cucina semplice, genuina, "ruspante", si direbbe oggi, cadenzata e regolata
più dalle stagioni e dai diversi periodi dell'anno, che dai capricci e dai gusti del momento.
Grande spazio, quindi, a zuppe e minestre: dal minestron alla sopa de fasioi (di fagioli), dalla
sopa de tripe (in brodo di carne e profumata di rosmarino) al più celebrato primo piato della
città, la sopa coada (strati di pane raffermo, piccione disossato e parmigiano grattugiato,
messi poi in forno a "coare", cioè a covare, ad appassire lentamente in brodo di carne).
Secondi robusti a base di carni bollite (gallina, manzo ma anche insaccati di maiale: tipici
sono, tra gli altri, il museto e la bondiola), arrostite (faraone e oche) o in umido (pollastrelli
tradizione, "le Beccherie" mescola i suoi ricordi con quelli di Treviso, fin dal nome: nella
materia prima per uno dei piatti più conosciuti della cucina di qui, la zuppa con le trippe. Il
ristorante ha conservato gran parte del suo fascino antico (la data di fondazione ufficiale è il
1870) grazie alle travi annerite dal fumo delle cucine, ai secchi di rame che pendono dal
soffitto, alla fuga di sale e salette situate su livelli diversi. Al centro di tutto questo sta la
cucina a vista da dove provengono le proposte più golose: radicchio fritto con pastella e
un saporito radicchio ai ferri possono essere faraona in sa/sa peverada (realizzata con aglio,
un trito di fegatini, soppressa, carne di maiale e di vitello, sale e abbondantissimo pepe, vino
bianco e limone), coniglio in casseruola o stinco di vitello alforno.
Il dolce è sicuramente costituito dagli zaleti (biscottini a base di farina di granoturco, da qui il
"giallo" a cui il loro nome fa riferimento) che vengono serviti con una crema di mascarpone.
Un altro punto caratteristico in città è l'isola della Pescheria, che sorge nel bacino del Cagnan
grande e dove si tiene giornalmente il mercato del pesce: bisate (le saporite anguille del Sile)
e trote, astici e moleche (i granchi catturati durante la "muta" della corazza), capesante e
sogliole, insomma tutto quello che ogni giorno può essere pescato si ritrova qui. Nella via
adiacente all'isolotto un altro piccolo mercato, questa volta di frutta e verdura, completa il
quadro d'insieme di uno shopping gastronomico all'insegna del "tutto fresco". Nel quartiere
circostante, chiamato a scanso di equivoci "della Pescheria", altre testimonianze della Treviso
che fu: la Casa dei Carraresi, il Sottoportico dei Buranelli e la chiesa di San Francesco.
I Carraresi, cui fa riferimento il nome della casa, furono una delle potenti e nobili famiglie che
si avvicendarono, nel corso del Trecento, nel governo della città. Essi, anzi, furono gli ultimi
Signori di Treviso, perché un insurrezione contro di loro portò la città sotto il controllo della
Gli storici hanno fatto notare come le fortune economiche di Treviso, siano, in parte, una
conseguenza del dominio veneziano: dalla città lagunare, infatti, le merci che provenivano dai
Paesi orientali partivano verso i mercati dell'Europa centrale e Treviso diventava così una
specie di meta obbligata per le carovane e i convogli dei mercanti. Insieme alle mercanzie
giungevano in città anche gli uomini, il denaro, le idee, la cultura, le nuove mode che Treviso
Un santo esagerato
Nell'imponente chiesa di San Francesco, fatta costruire dai frati francescani alla metà del
'200, due sono i particolari curiosi e meritevoli di attenzione: le tombe di Pietro Alighieri e
Francesca Petrarca, figli dei due celebri poeti e la gigantesca immagine di San Cristoforo
affrescata su una delle pareti della chiesa. Non bisogna stupirsi per questa rappresentazione
"extra large": una leggenda medioevale raccontava, infatti, che chi fosse riuscito a vedere il
santo avrebbe avuto la sua protezione e per quel giorno non sarebbe morto, da qui le
raffigurazioni smisurate perché il protettore potesse essere visto anche da lontano, da tutti.
Un secondo affresco sproporzionato di San Cristoforo si ritrova anche nella chiesa di San
Nicolò: con estremo realismo, nell'acqua dove sguazzano gli enormi piedi del santo, nuotano
lucci e gamberi. La chiesa fatta costruire dai Domenicani nella prima metà del '300 conserva
anche affreschi di Tomaso da Modena (praticamente tutta la città è una specie di "personale"
di questo importante pittore) e nel vicino convento da non perdere è la sala del Capitolo,
interamente affrescata dallo stesso artista. lungo le pareti si affollano le immagini dei monaci
domenicani più illustri, ciascuno ritratto nella propria cella, seduto allo scrittorio, tra carte e
libri, intento a leggere, a scrivere, a fantasticare, a.. fare la punta alle penna d'oca. Uno di
loro, la cronaca dice che si tratta dei cardinale Ugo di Provenza, per leggere si aiuta con un
paio (di occhiali: questa è la prima rappresentazione pittorica di questo oggetto.) Curiosità e
storia si intrecciano nella vita ufficiale e nella vita di tutti i giorni: un altro esempio è dato dal
ristorante "Al Bersagliere" (Via Barberia): locanda e punto di ristoro fin dal Trecento, pare
abbia avuto tra i suoi avventori anche Dante e che un suo oste, Checco, abbia offerto
l'ispirazione a Boccaccio per il personaggio (di Chichibio, sicuramente uno dei più simpatici e
Cosa si mangia al "Bersagliere" è presto detto: gnocchetti alla Bersagliere a base di semolino
con verdure e prosciutto, sedanini con fùnghi chiodini, fegato e radicchio padellato, faraona in
sa/sa di radicchio e, per dessert, zuppetta alla Bersagliere preparata con pan di Spagna,
Vittorio Veneto ha una storia recente, il periodo da noi preso in esame non ha signiflcato
molto per la gastronornia locale. Le ricette che seguono sono tratte per lo più dall'ottimo libro
dei Raris "La Marca Gastronomica" ma anche da una ricerca svolta dagli allievi del locale
l.P.S.S.A.R.. Questa ricerca aveva per titolo "Nuovi piatti Vittoriesi" e fu svolta dagli allievi nel
19889-1990. Si trattò (di un primo tentativo di codificazione gastronomica dei prodotti tipici di
Vittorio Veneto e del loro uso in cucina. Fu un primo tentativo perché si volevano riunire per la
prima volta in un "Paniere Vittoriese" tutti i prodotti della zona al di fuori della dualità
Ceneda-Serravalle.
Sopa de Fasioi del Venare Santo: E' di tradizione nelle zone dell'Alta Marca Trevigiana
(Vittorio Veneto, Conegliano, Valdobbiadene). Alla Zuppa di fagioli di magro, senza pancetta
od altri parti del maiale, unire. al momento di servirla, del tenero radicchio di campo, tagliato,
Risi e patate: Si tagliano a pezzetti le patate già pelate e si aggiungono nel soffritto con
prezzemolo e rosmarino tritati: a Vittorio Veneto si prepara con prezzemolo, porro, sedano.
Trute de Vittorio Veneto: "Sono assai celebrate per il gusto della loro carne. Le migliori sono
quelle che si pescano in giugno e luglio. Si cucinano fritte, alla griglia. alla mugnaia, panate di
farina, passate anche con pane grattato" (da "Guida Gastronomica del T.C.I. - 1954).
S-ciosi de S. Augusta
Il 22 agosto a Vittorio Veneto si svolge l'antica Sagra di Serravalle. in onore della patrona di
S. Augusta. E' tradizione preparare nelle trattorie del luogo gli S-ciosi: In onore della santa fu
eretto un santuario che sovrasta Serravalle. Fino a qualche tempo fa la ricorrenza veniva
celebrata col bivacco notturno dei pellegrini sulle pendici del colle e con una luminaria fatta
con i gusci di chiocciola riempiti d'olio e di uno stoppino.
- Nel libro "La Marca Gastronomica" si riportano anche due ricette di selvaggina che
possono completare questa prima lista di ricette Vittoriesi. Le ricette sono il Lievaro a la
Vittorio Veneto" ed il Capriol de la Maria Teresa". Trova anche spazio nel loro libro, una
ricette: Ancora più dettagliati risultano essere i "Quaderni di Coltura Cimbra" di Rita
Nale in "Cansiglio - Terra Cimbra" (Belluno 1984) ha descritto i Cimbri come dei buongustai,
analizzando le loro abitudini alimentari ed i prodotti tipici, del bosco, selvaggina anche
inconsueta come ghiro, scoiattolo.
Di seguito ecco i titolo delle ricette elaborate dagli allievi dell'l.P.S.S.A.R. di Vittorio Veneto
motivazioni delle stesse sono state pubblicate dalla rivista locale "Il Quindicinale" in una serie
denominata "I quaderni del Quindicinale". Crema Rustica alla Rucola Selvatica, Rotolo