Lezioni di Fisica II
Con richiami di meccanica e termodinamica.
Dagli appunti del corso di Fisica II
Aggiornato al 30/07/2015
Indice
Prefazione 7
Elettrostatica 63
Background matematico: nabla 65
Background matematico: teorema di Stokes 69
~ in casi particolari
Campo E 78
~ dovuto a cariche puntiformi
E 79
~ dovuto ad anello carico
E 81
~ dovuto a disco carico
E 83
~ dovuto a segmento carico
E 84
~ campo vicino ad un piano carico
Linee di flusso e Flusso di E: 86
~ dovuto a linea carica
E 89
Magnetostatica 95
Potenziale vettore 98
Legge di Biot-Savart 101
Utilizzate le leggi di Maxwell! 102
Piccola digressione storica 104
~ dovuto ad un solenoide
B 104
~ per un toroide
B 105
Dipolo magnetico 106
lezioni di fisica ii 5
Elettrodinamica 111
Induzione 113
Legge di Ohm 116
Cenni di Circuiti elettrici in CC 119
Leggi di Kirchhoff 122
Induttanze in serie e parallelo 122
Condensatori in serie e parallelo 123
Circuito RL 124
Circuito RL 126
Cenni di Circuiti elettrici in CA 127
Condizioni di lavoro in CA 128
Trasformatori 129
servazione del cosmo, dalle più antiche note alle più recenti scoperte,
e cercando una comparazione di ciò che si vede con i modelli più evo-
luti che abbiamo oggi della realtà, che insieme costituiscono il Modello
Standard della Fisica.
Un altro, ma non meno importante, fine di questo breve trattato
è quello di suggerire il significato più opportuno per questo contesto tra
i vari possibili (e spesso vedremo che questo coincide col significato
etimologico originale) di molte parole che oscillando tra l’uso in ambito
familiare e in quello rigorosamente tecnico, perdono di potenza e sono
solitamente mal utilizzate anche nel linguaggio comune. Questo punto
che a prima vista può sembrare secondario, è al contrario d’importanza
centrale: mal parlare significa mal pensare, quindi mal agire. Chi è
circondato dalla confusione genera solitamente altrettanta confusione.
Individuerei, dunque, in questa sede come punti critici da ricordare
sime opere molto più approfondite della presente che però per motivi
editoriali, stilistici, di reperibilità delle fonti (specialmente nel caso di
quei testi nati in un’era pre-internet) o di semplice pigrizia, non riporta-
no quasi mai in modo soddisfacente quelle stupende ancore d’appiglio
mentale che sono le rappresentazioni grafiche. Per quanto detto la for-
ma tipografica più adatta al mio scopo è quella che consenta un ampio
uso degli spazi a margine del testo, che avranno in questo libro ruolo
oserei dire cardine per una piena comprensione di quanto esposto.
Come tutti i testi infine, anche in questo vi saranno errori e refusi;
ne riconosco la paternità esclusiva e sarò grato a chi vorrà segnalarmeli
e sottopormi critiche e suggerimenti.
lezioni di fisica ii 11
Alfabeto greco I, i i
, i ucraina
Α, α àlfa Ï, ï ji
Β, β bèta , ì
Γ, γ gàmma K, k kà
Δ, δ dèlta L, l el
Ε, ε epsilòn Lj, lj ljè
Ζ, ζ zèta M, m em
Η, η èta N, n en
Θ, θ thèta Nj, nj njè
Ι, ι iòta O, o o
Κ, κ kàppa P, p pè
Λ, λ làmbda R, r er
Μ, μ my S, s es
Ν, ν ny T, t tè
Ξ, ξ xi , ćjè
Ο, ο omicròn U, u u
Π, π pi F, f ef
Ρ, ρ rho H, h cha gutturale aspirata
Σ, σ sìgma (finale: ς) C, c tzè
Τ, τ tàu Q, q čè
Υ, υ ypsilòn ,
dzè
Φ, φ phi X, x šà
Χ, χ khi W, w ščà
Ψ, ψ psi _, tvjordyj znak
Ω, ω omèga Y, y i gutturale
^, ~ mjagkij znak
, e
Alfabeto cirillico
, jù
A, a a , jà
B, b bè
V, v vè
Simboli fonetici usati
G, g ghè
D, d dè ð eth (th in them)
, djè þ thorn (th in thick)
Ǵ, ǵ gjè R. approssimante retroflessa breve
E, e jè sillabica
, jo S. sibilante retroflessa
,
jest ucraina M . anusvāra, suono nasale
, žè T. retroflessa occlusiva sorda non
Z, z zè aspirata
, dzè
12 pietro oliva
Abbreviazioni
lat. = latino
gr. = greco
sscr. = sanscrito
ind.e. = indoeuropeo
cfr., v. = confronta con, vedi
Fig., Figg. = figura, figure
e. g. = exempli gratia, ad esempio
ibid. = ibìdem, stessa opera
sic = così è nell’opera originale
* = le parole che iniziano con aste-
risco sono da intendersi ricostruite
da analisi etimologiche e non si tro-
vano in nessuna fonte scritta origi-
nale.
d.d.p. = differenza di potenziale
f.e.m. = forza elettromotrice
SI = Sistema Internazionale
yr = year, anno in inglese.
Generalità sul linguaggio scientifico
1
L = − Fµν Fµν − ψ γµ ∂µ + m ψ + ieAµ ψγµ ψ
4
dove Fµν è il tensore rappresentante il campo elettromagnetico ed Aµ
il suo quadripotenziale (tale cioè che sia Fµν = ∂µ Aν − ∂ν Aµ ), ψ è la
funzione d’onda della particella, γµ le matrici gamma di Dirac (una
scelta opportuna di base in un certo spazio di matrici) ed infine la e
è la costante d’accoppiamento che in questo esempio coincide con la
carica in valore assoluto dell’elettrone. Abbastanza complicato da far
perdere di vista addirittura il fatto che stiamo cercando di descrivere le
Figura 2: Richard Phillips Feynman (1918 possibilità di propagazione di fotoni ed elettroni.
- 1988) fisico statunitense, nobel per la
fisica 1965.
Ebbene, dal punto di vista di uno dei fisici più geniali mai vissuti,
Richard Phillips Feynman, si troverebbero le semplificazioni grafiche
seguenti:
1
L = − Fµν Fµν − ψ γµ ∂µ + m ψ + ieAµ ψγµ ψ =
| 4 {z } | {z } | {z }
γ
− e −γ+e
T S
mente ai simboli e avremo i connettivi logici: la congiunzione “et”,
simboleggiato da ∧, la disgiunzione esclusiva “aut” simboleggiata da ∨˙
ed infine la disgiunzione inclusiva “vel” ∨.
L’utilizzo immediato di tale notazione è sulla cosa più preziosa che
l’uomo abbia per trasmettere informazioni: il linguaggio. Tramite il lin-
guaggio si organizzano gruppi di persone per portare a termine compiti
complessi assolutamente fuori portata del singolo. Risulta allora di ra-
dicale importanza trasmettere con efficacia informazioni complesse che
consentano di decidere il valore logico di enunciati composti.
Grazie ai connettori descritti sopra si possono collegare due (o più)
enunciati (veri=V o falsi=F che siano) per ottenerne un altro dal valore
logico determinato dalla tabella detta “di verità”. Ad esempio per
quanto riguarda il connettore et (∧, detto anche AND, usando il nome
inglese) la tabella di verità, se diciamo A e B due enunciati, risulta
A B A∧B
V V V
V F F
F V F
F F F
Il Sole sorge ogni giorno e l’acqua è alla base della vita sulla Terra
usare solo quelle che non siano auto-referenti, possiamo disporre per del
connettivo AND e di altri connettivi quali l’OR e lo XOR (corrispondenti
al vel ed all’aut latino):
A B A∨B A B ˙
A∨B
V V V V V F
V F V V F V
F V V F V V
F F F F F F
sici di questo tipo erano infatti tutti legati a questi strani numeri non
4
Tutti i numeri che scaturiscono da co- esprimibili in rapporti d’interi: 4 .
struzioni con squadra e compasso danno
ovviamente numeri algebrici, numeri cioè
• Trisezione dell’angolo (dato un angolo qualunque costruire con squa-
che sono soluzione di un’equazione poli-
nomiale ak xk + ak−1 xk−1 + · · · + a0 = 0 do- dra e compasso la sua terza parte).
ve k > 0 e ak ∈ N ∀ k. Tali numeri anche
se comprendono gli irrazionali algebrici
• Quadratura del cerchio (dato un cerchio qualunque costruire con
escludono tutti gli irrazionali trascendenti
tra i quali e e π. squadra e compasso un quadrato di uguale area).
3 θ θ
cos θ = 4 cos − 3 cos
3 3
Nel nostro caso l’insieme dei numeri relativi Z è ordinato nel senso
che 3 segue 2, che segue 1, che segue 0, che segue -1, etc.; stringatamente
scriveremo che ... ≺ −3 ≺ −2 ≺ −1 ≺ 0 ≺ 1 ≺ 2 ≺ 3 ≺ .... Ma si faccia
attenzione: queste relazioni non sono ancora uguali, sebbene simili, al
concetto di “maggiore di/minore di” come ad esempio nella notazione
“2 < 4” (due è minore di quattro) perché un conto è precedere o succedere
un elemento in una fila sempre definibile a prescindere dalla metrica,
un altro è essere maggiori o minori di un altro elemento secondo una
certa “lunghezza” o magnitudine che va definita sull’insieme.
Da quanto detto fino a questo punto si può intravedere il mondo
che si cela dietro al linguaggio simbolico matematico e alla sua storia:
non essendo questo un libro di analisi, ci prenderemo ora la licenza di
passare direttamente alle conoscenze di fisica classica, cercando di in-
tegrare ove necessario spiegando il significato dei simboli che vengono
Figura 5: Galileo Galilei (1564 - 1642)
introdotti per la prima volta. Ma prima di passare al prossimo argo-
fisico, filosofo, astronomo e matematico
mento introduciamo brevemente il pilastro sul quale riposa: il metodo italiano, padre della scienza moderna.
scientifico.
nel 1610, a dire per primo che la Via Lattea è costituita da “innumere-
voli stelle deboli” ed a sostenere, a seguito dei dati osservativi, l’ipotesi
di Copernico; per averla sostenuta pubblicamente, anche Galileo ver-
rà perseguitato dalle autorità religiose dell’epoca venendo sottoposto a
carcere duro e forse a torture. Sul processo a Galilei ci sono molti testi
più approfonditi. Noi purtroppo non possiamo in questa sede soffer-
marci su tale punto e dobbiamo passare ad alcune definizioni basilari
per poter cominciare a capire il nuovo linguaggio col quale studieremo
5
Il valore vero di una grandezza è in prin- la natura.
cipio inconoscibile, qui si nomina sola-
Prima di parlare propriamente di Fisica, e di confrontare i risultati in
mente senza attribuirgli alcun valore pre-
ciso, sarà compito dello strumento di mi- modo quantitativo, è di fondamentale importanza accennare agli ordini
sura fornire una stima numerica di ta-
di grandezza, ovvero la potenza di dieci nella quale giace la dinamica
le valore, stima inscindibilmente legata
all’incertezza di misura tipica di quello della misura in studio. Se una grandezza fisica X in un dato momento
strumento. ha un certo valore vero5 , sia esso x, noi possiamo solo fornire la sua
misura attraverso una stima - che di solito è un indice centrale statistico
- di quello che teoricamente ci si attende, indicato con E[X] (dall’inglese
6
Si definisce media aritmetica del cam- expected, valore atteso della variabile X). Un esempio d’indice centrale
pione ottenuto dalla grandezza variabi-
d’una data distribuzione di valori da variabile aleatoria, è la famosa
le X estraendone N valori {x1 , x2 , . . . , xN }
tramite N misurazioni, la quantità ottenu- media aritmetica x̄ che fornisce una stima sperimentale del valore atteso
ta sommando tutti i valori misurati e divi-
E[X] proveniente dalla teoria6 .
dendo tale somma per il numero di ele-
N Lo scarto della misura dal valore vero, anche esso in linea di principio
menti del campione quindi x̄ = N1
P
xk .
k =1 impossibile da determinarsi a causa dell’inconoscibilità del valore vero,
Questo è un buon stimatore di E[X] per
conoscere il quale bisognerebbe esten- dicesi errore di misura; è questa dunque una quantità squisitamente
dere la somma a tutti gli elementi della teorica. La quantità che invece si usa operativamente è lo scarto dalla
popolazione.
stima del valore atteso, di cui possiamo definire procedure di calcolo,
detto incertezza di misura. Spesso si parla quindi di “errore di misura”
impropriamente: ripetiamo che l’errore di misura è la “distanza” della
misura (nota) dal valore vero (quantità teorica che nella maggior parte
dei casi non è possibile sapere), mentre la “distanza” della misura dal
suo valore atteso stimato, noto attraverso processi statistici che derivano
da ipotesi sulla distribuzione della variabile aleatoria, è detta incertezza
di misura, ed è dunque con tale terminologia che opportunamente ci si
7
La precisione in Fisica è il grado di “con- riferirà alla capacità dello strumento di essere preciso7 .
vergenza” dei dati strumentali rispetto al-
In mancanza di strumenti precisi e accurati, è importante saper forni-
l’indice centrale usato come estimatore
dell’E[X]. Si noti che uno strumento può re almeno l’ordine di grandezza del valore che ci si aspetta da una certa
essere molto preciso ma poco accura-
osservabile, ed ovviamente della sua incertezza. Spesso anzi il numero
to, dare cioè una dispersione piccola dei
dati attorno ad un valore che però è di- preciso della grandezza in esame non è neanche troppo interessante (si
stante da quello atteso, come ad esem- pensi al numero di gocce di pioggia che cadono in un anno a Roma)
pio succederebbe se si tarasse male una
bilancia di precisione. mentre lo è sicuramente l’ordine di grandezza. Un esempio pratico:
sapendo che in un anno su Roma è caduto 1 cm di pioggia, possia-
mo calcolare l’ordine di grandezza delle gocce d’acqua effettivamente
cadute a patto di conoscere o stimare la superficie dell’area della città
lezioni di fisica ii 23
yocto- y 0.000 000 000 000 000 000 000 001 10−24
zepto- z 0.000 000 000 000 000 000 001 10−21
atto- a 0.000 000 000 000 000 001 10−18
femto- f 0.000 000 000 000 001 10−15
pico- p 0.000 000 000 001 10−12
nano- n 0.000 000 001 10−9
micro- μ 0.000 001 10−6
milli- m 0.001 10−3
centi- c 0.01 10−2
deci- d 0.1 10−1
- - 1 100
deca- da 10 101
etto- h 100 102
kilo- k 1,000 103
mega- M 1,000,000 106
giga- G 1,000,000,000 109
tera- T 1,000,000,000,000 1012
peta- P 1,000,000,000,000,000 1015
exa- E 1,000,000,000,000,000,000 1018
zetta- Z 1,000,000,000,000,000,000,000 1021
yotta- Y 1,000,000,000,000,000,000,000,000 1024
α = k · 10n (1)
matrice αki , di modo che gli elementi βi = k λk αki siano proprio i coef-
P
Isaac Newton,
Philosophiæ Naturalis Principia Mathematica (1687).
(a + b) + c = a + (b + c)
a+b = b+a
(3)
0+a = a+0 = a
∀ a ∃ − a t/c a + (−a) = −a + a = 0
(a · b) · c = a · (b · c)
a·b = b·a
(4)
1·a = a·1 = a
∀ a , 0 ∃ a−1 t/c a · a−1 = a−1 · a = 1
duple addende:
(a, b) + (c, d) = (a + c, b + d)
Faremo fin d’ora una scelta “grafica” che però nasconde un preciso
significato geometrico che risulterà chiaro solo più avanti: decidiamo
che i nostri vettori debbano essere scritti in verticale, l’equazione appena
scritta quindi sarà
! ! !
a c a+c
+ = (5)
b d b+d
Solo nel caso speciale di vettori dello spazio affine (le famose “freccet-
te”), quando cioè descriveremo la fisica classica a partire da uno spazio
vettoriale privato però di qualsivoglia punto di riferimento privilegiato,
utilizzeremo per un vettore la notazione con la freccia sovrapposta ~ v.
In un caso del tutto particolare, ma che verrà praticamente sempre
adottato nel contesto della fisica, la “lunghezza” di un vettore quale
quello decritto nella (7) è definibile come
q
|v| = x2 + y2 ∈ R (8)
a × b = |a||b| sin ab
c · n̂ (9)
lezioni di fisica ii 33
z
poiché si intenderà dire che
x
−−→ −−→
OP = y sta per OP = x ı̂ + y ̂ + z k̂
~0 = (x − x0 ) ı̂ + ( y − y0 ) ̂ + (z − z0 ) k̂ (12)
con
0
~0 =
0
0
particolare vettore parallelo e perpendicolare allo stesso tempo ad ogni
altro vettore. Dato che i versori di base non sono nulli l’unico modo di
verificare la (12) è che x = x0 , y = y0 e z = z0 sicché è dimostrato per
34 pietro oliva
→
−u · →
−v = →
−u →
−v cos u
cv ∈R (13)
→
−u × →
−v = →
−u →
−v sin u
cv · n̂ ∈ V3 (14)
Cinematica
d d d
(Axm + Bxn + · · · ) = A xm + B xn + · · ·
dx dx dx
Facciamo l’esempio più facile immaginabile: un punto fermo nell’o-
rigine, per il quale scriveremo
x=0
vx = 0
ax = 0
y=0 vy = 0 ay = 0
z=0 vz = 0 az = 0
1
x = x0 + v0 t + a0 t2 vx = v0 + a0 t ax = a0
2
che ha per caratteristica generale ~a = costante.
Nello specifico caso di accelerazione costante c’è un’utilissima rela-
zione tra quest’ultima e lo spostamento: restringiamoci al moto uni-
dimensionale senza perdere di generalità; essendo per ogni istante a
costante, se il moto da studiare è compreso tra due istanti di tempo t1 e
t2 sarà sempre definibile una velocità media
v ( t1 ) + v ( t2 )
v̄ =
2
dal canto suo lo spostamento ∆x che il sistema effettua in tale intervallo
di tempo è
v ( t2 ) − v ( t1 )
x(t2 ) − x(t1 ) ≡ ∆x = v̄∆t = v̄
a
ovvero
v ( t1 ) + v ( t2 ) v ( t2 ) − v ( t1 )
x ( t2 ) − x ( t1 ) =
2 a
quindi
v(t2 )2 = v(t1 )2 + 2a∆x (20)
Non serve andare oltre per capire che, data una qualsiasi funzione
lezioni di fisica ii 37
d f (t) d2 f (t)
x = f (t) vx = ax =
dt dt2
Sfruttiamo dunque questa conoscenza per descrivere un moto im-
portantissimo: il moto circolare uniforme. Nel parlare di moti circolari
bisogna fare uno sforzo in più e capire che l’equivalente di quello che
prima era la variabile della posizione (es. x(t)), che si misura in metri,
adesso diventa una misura goniometrica θ(t) di un angolo la cui unità
è il radiante. Se θ(t) è la nuova “posizione” angolare ci sarà anche una
velocità angolare ed un’accelerazione angolare date da
Figura 9: Un punto P a distanza fissa R
dθ(t) dω(t) d2 θ(t)
ω(t) = α(t) = = (21) dal centro O ruota con velocità angolare
dt dt dt2 costante ω di modo che, istante per istan-
te, l’angolo è θ(t) = ωt. La relazione tra
con la grande differenza che nel mondo delle rotazioni la velocità ango- “posizione” angolare e arco di circonfe-
lare ha unità di misura radianti su secondi (la velocità lineare è dimen- renza percorso è s = θR mentre la relazio-
ne tra modulo della velocità lineare v e ve-
sionata metri su secondi) mentre l’accelerazione angolare si misura in
locità angolare ω è v = ωR. Similmente si
radianti su secondi quadri (e quella lineare metri su secondi quadri). trova che accelerazione lineare e angolare
Come il moto rettilineo uniforme ha velocità lineare costante anche sono legate dalla relazione a = ω2 R.
(
ax = −Rω2 cos(ωt) q
~a(t) = ⇒ |~a(t)| = a2x + a2y = Rω2 (24)
a y = −Rω2 sin(ωt)
v v2
ω= → a = Rω2 = (25)
R R
ma si faccia attenzione: a non è proporzionale all’inverso del raggio
perché in v2 è nascosta la dipendenza quadratica col medesimo. Il
modulo dell’accelerazione centripeta è infatti ∝ R.
38 pietro oliva
2π
ω= (26)
T
donde T chiamasi periodo ovvero quel lasso di tempo che, molti-
plicato per la velocità lineare v, fornisce la circonferenza del cerchio
(vT = 2πR). Ciò è anche visualizzabile in modo chiaro pensando di for-
Figura 10: L’arco di circonferenza L è mare un cerchio con uno spago e poi tagliarlo ed estendere tale spago a
lungo Rθ. formare un segmento. Percorrendo lo spago in linea retta con velocità v
si impiegherebbe il tempo T per giungere da un capo all’altro così come
ruotando lungo il cerchio, che prima lo spago realizzava, con velocità
angolare ω si impiega sempre un tempo T per compiere un giro (2π).
Da questo esempio banale è evidente che vi debba essere un legame
immediato tra la velocità v “lineare” e quella ω “angolare” così come
è evidente che debba sussistere lo stesso tipo di relazione tra angolo e
lunghezza. Infatti come tutti abbiamo imparato nelle scuole elementari
la lunghezza di una circonferenza è data da 2πR essendo R il raggio
del cerchio. Più in generale varrà sempre che L = θR per ogni arco
di circonferenza. Mentre la pulsazione è dimensionata come radianti
al secondo, è l’inverso del periodo che indica quanti giri avvengono
nell’unità di tempo ed è per questo che prende il nome di frequenza
1
ν= (2πν = ω) (27)
T
Solo quest’ultima ha diritto ad un diverso nome per l’unità di misura,
che si chiama hertz (1 Hz = 1/s) dal cognome del fisico Heinrich Rudolf
Hertz, anche se sovente - e inopportunamente aggiungiamo noi - è in
uso fra tecnici riferirsi anche alla pulsazione in termini di Hz.
Dalla (25) è ad esempio immediato trovare la terza legge di Keplero:
una generica forza F(r) di tipo gravitazionale produrrà l’accelerazione
a = rω2 su un pianeta orbitante. Se la forza viene scoperta essere del
tipo F(r) ∼ 1/r2 allora
r3
rω2 ∝ F(r) → ω2 ∝ r−3 → T2 ∝ r3 → = costante.
Figura 11: Heinrich Rudolf Hertz (1857 T2
- 1894) ha per primo provato l’esistenza
della radiazione elettromagnetica.
lezioni di fisica ii 39
che suona più o meno così: “Ogni corpo persevera nello stato di quiete
o di moto rettilineo uniforme a meno che non sia costretto a mutare tale
stato a causa di forze su esso impresse”.
la prima e la seconda non sono valide sempre: la prima vale solo per
sistemi inerziali mentre la seconda solo in contesto non relativistico. La
terza ha validità generale, anche in contesto relativistico.
Durante il corso di Fisica Generale I lo studente ha inoltre studiato
varie forme funzionali di forze. Ne ricordiamo solo alcune notevoli:
• Legge di Hooke:
~ = −k−
F
→
∆x
~12 = G m1 m2 r̂21
F
r221
• Attrito:
~ = −µs,d,v N
F ~ F̂
• Attrito viscoso:
~ = −β~
F v
Si era poi visto che nell’ambito degli urti (forze molto intense appli-
cate per pochissimo tempo) non era utile ragionare in termini di forza
bensì di impulso ovvero di ~I = F∆t.
~
Definendo infatti la quantità di moto come
~
p = m~
v (28)
lezioni di fisica ii 41
~ = d(m~v) p
d~ ~ dt = d~
F = → F p
dt dt
sicché vale il teorema dell’impulso:
Zt
~I = p
d~ (29)
t0
dato che, inoltre, durante un urto le forze esterne possono essere tran-
quillamente trascurate, il terzo principio della dinamica ci assicura che
∆~ptotale = 0 per tutti i tipi di urto. Facciamo notare che la quantità (28)
è l’unica che abbia senso considerare nell’ambito di scambi d’energia
cinetica, come vedremo nel prossimo paragrafo è infatti in modulo la
derivata rispetto la velocità di tale energia, e dunque in particolar modo
per gli urti.
~ · d~s
dL = F (30)
~ · d~s = m v
d~ d~s
dL = F · d~s = m d~
v· = m~v · d~v
dt dt
da cui
Zv
Figura 15: William John Macquorn Ran- 1 2 1 2
kine (1820 - 1872), ingegnere e fisico scoz- L= mv~0 · dv~0 = mv − mv0 (31)
2 2
zese. Coniò il termine “energia potenzia- v0
le” e, tra le altre scoperte, indicò il ciclo
alla base dei motori a vapore di qualsiasi perciò se L > 0 → v2 > v20 → |v| > |v0 | e viceversa. La quantità
tipo detto appunto Ciclo Rankine.
1 2
mv ≡ K (32)
2
è nota come energia cinetica di un corpo di massa m che possiede
velocità ~
v nel sistema di riferimento presso il quale descriviamo il moto
e la (31) è nota come “teorema dell’energia cinetica”. Va da sé che K
dipende dal sistema di riferimento. Anche il valore del lavoro di una
forza, come quello della velocità, è legato alla misura dello spostamento,
variabile quest’ultima che dipende dal sistema di riferimento scelto.
Tuttavia risulta che in tutti i sistemi di riferimento inerziali il lavoro della
risultante delle forze è sempre pari alla variazione dell’energia cinetica,
rendendo la (31) del tutto generale.
Caso particolare incontrato in seguito dagli studenti è quello in cui il
campo di forze sia rappresentato da un campo vettoriale conservativo
(o meglio irrotazionale in un semplicemente connesso). Ciò significa in
soldoni che il campo di forze è il gradiente di una qualche funzione U
il che rende particolarmente semplice il calcolo dell’integrale dato che
~ · d~s = ∂U dx + ∂U dy + ∂U dz = dU
∇U
∂x ∂y ∂z
lezioni di fisica ii 43
Momento angolare
quindi c’è una evidente dipendenza dal polo da parte di ~l. Lo stesso Figura 16: Il momento angolare, detto an-
che momento della quantità di moto, di-
identico punto materiale può nello stesso istante assumere momento pende dal punto Ω che si sceglie. Non
angolare elevato per una data scelta di polo (es. lontano dal punto e è dunque in generale una proprietà del
perpendicolare alla velocità) mentre per un’altra scelta di polo (es. uno sistema in studio. Il vettore ~l è perpendi-
colare al foglio ed uscente dal medesimo
sulla direzione della velocità del punto materiale in quell’istante) valere (per non appesantire la grafica è indica-
zero. Da qui la cattiva comprensione dell’utilità di definire un qualcosa to accanto al punto materiale m e non ad
esso sovrapposto).
44 pietro oliva
d~l d~rΩ d~
p
= ×~
p + ~rΩ × →
dt dt dt
d~l ~
→ = ~rΩ × F (36)
dt
dove si è tenuto conto del fatto che d~dtrΩ
= ~v ∝ ~p e della seconda legge
della dinamica. La quantità a sinistra della (36) è detta momento mecca-
nico (torque in inglese). Fate attenzione a non dimensionare il momento
meccanico M ~ ≡ ~rΩ × F
~ come joule: anche se le dimensioni sono newton
per metri il momento meccanico è un vettore, il lavoro uno scalare. M ~
si misura dunque in N·m.
Ecco svelato dunque il mistero di come usare il momento angolare: il
vettore momento angolare si mantiene costante (ha derivata nulla) solo
se non c’è nessun momento meccanico che agisca sul sistema. Evidente-
mente nel caso del moto circolare uniforme scegliere il centro dell’orbita
è una scelta saggia poiché il raggio~rΩ è sempre parallelo alla forza centri-
peta sicché il momento della forza è sempre zero. Terminiamo il ripasso
sul momento angolare facendo notare che è profondamente sbagliato
associare il concetto di momento angolare solamente alle rotazioni: ba-
sta immaginare il caso di un moto rettilineo uniforme e scegliere un
polo che non giaccia sulla direzione di movimento. Il momento angola-
re sarà istante per istante non nullo eppure il nostro sistema non ruota
affatto! Quel che “ruota” è semmai il vettore posizione rispetto al polo
scelto.
Passiamo adesso al mondo dei sistemi estesi, sistemi per i quali ci in-
teressano i gradi di libertà interni (le rotazioni, le deformazioni, etc.).
Normalmente il modello ideale è quello di corpo rigido, un corpo cioè
che mantiene le distanze fisse tra tutti i volumetti elementari di cui è
composto. Naturalmente non esiste in natura nessun corpo rigido, ogni
materiale ha una sua elasticità e viscosità. Però è un’ottima semplifi-
cazione. Diciamo adesso di avere un disco rigido che sta ruotando: è
evidente che un volumetto elementare scelto sul bordo avrà velocità
lezioni di fisica ii 45
dove si è chiamato Z
I= r2C dm (38)
disco
Siccome in un corpo rigido la forma e la massa sono costanti, I è
sempre lo stesso. Esiste inoltre un teorema che non dimostriamo e che
ci assicura che il momento d’inerzia I è una caratteristica intrinseca
di un sistema, non dipende cioè da che polo abbiamo scelto per far
l’integrale (38). Ogni altra scelta di un asse di rotazione parallelo ad uno
passante per il baricentro e distante da esso D, porta alla modifica del
momento d’inerzia di un corpo rigido di massa M della quantità D2 M
(I0 = I + D2 M). Questo risultato è noto come teorema di Huygens-
Steiner.
La (36) si scrive pertanto, parlando di corpi rigidi in rotazione rispetto
un proprio asse, che le variazioni del momento angolare sono legate
all’accelerazione angolare attraverso il momento d’inerzia
d~l
~˙ ≡ I~
= Iω α (39) Figura 17: Sopra: Christiaan Huygens
dt (1629 - 1695), matematico, astronomo e
fisico olandese. Sotto: Jakob Steiner (1796
quindi se non ci sono momenti torcenti esterni il momento angolare è - 1863), matematico svizzero.
conservato. Naturalmente il fatto di avere o non avere una certa rota-
zione è un’informazione che si ritrova nell’energia cinetica del sistema.
In effetti il contributo cinetico all’energia per una rotazione libera con
velocità angolare ω è
1 1 1
Er = m (~
v·~
v) = mr2 ω2 = Iω2 (40)
2 2 2
che si va a sommare all’eventuale energia dovuta al moto del baricentro.
Le equazioni che si devono quindi considerare per descrivere il moto
di un corpo rigido esteso sono le cosiddette equazioni cardinali
~ = d~p
(
F dt
(41)
~ = d~l
M dt
46 pietro oliva
che essendo sei equazioni scalari individuano le soluzioni del moto per
sistemi rigidi, a sei gradi di libertà.
Non ci resta che applicare la definizione di lavoro infinitesimo nel
caso di momenti torcenti: dL = M dθ e conseguentemente trovare
Z θ0
L= M dθ
0
dθ
P=M = Mω.
dt
Fluidostatica
dm
ρ= (42)
dV
~ · n̂
F
P= (43)
A
F m
F = mg → =P= gy = ρgy
A Ay
P2 = P1 + ρgh (44)
Figura 19: Evangelista Torricelli (1608
- 1647), matematico e fisico italiano fu
dalla (44) si trova immediatamente l’altezza di una colonnina di mercu- assistente di Galilei e suo successore.
rio (ρHg ' 1, 36 · 104 kg/m3 ) di un barometro: all’equilibrio infatti
Patm. 1, 01 · 105 Pa
Patm. = ρHg gh → h= = ' 760 mmHg
ρHg g 1, 36 · 104 kg/m3 9, 81 m/s2
Fluidodinamica
Nel caso un fluido di densità ρ1 si muovesse nel settore “1” d’un tubo di
sezione S1 , con velocità v1 , potremmo facilmente sapere quanta massa
transita in un intervallo di tempo ∆t essendo
∆m = ρ1 ∆V1 = ρ1 S1 ∆x(t) = ρ1 S1 v1 ∆t
Più in avanti e sempre allo stesso livello, nel settore 2, il tubo cambia
sezione (è importante che non vari la quota nel campo gravitazionale
per adesso). Ci si aspetta che nell’intervallo di tempo di prima, ∆t,
transiti la stessa quantità di materia (la massa deve conservarsi, non
48 pietro oliva
∆m = ρ1 S1 v1 ∆t = ρ2 S2 v2 ∆t
1
∆p∆V = ∆L = ∆(mv2 )
2
cioè
(p2 − p1 ) = 1 ρ
∆V (v2 − v2 )
∆V →
2 1
Figura 20: Jakob Bernoulli (1654 - 1705), 2
matematico e scienziato svizzero.
1
→ p + ρv2 = costante (45)
2
La (45) è detta equazione di Bernoulli. Se il tubo nel settore 2 cam-
biasse quota, diciamo portandosi ad altezza y rispetto al settore 1, allora
la (45) assumerebbe la forma più generale
1
p + ρgy + ρv2 = costante (46)
2
Grazie a tale legge di conservazione possiamo facilmente trovare la
velocità di fuoriuscita di un liquido da un recipiente, a patto che il foro
sia molto piccolo rispetto alla sezione del recipiente e che il recipiente
stesso sia a contatto con l’aria nella parte superiore (cioè la superficie
del liquido sia a pressione atmosferica): ρgh = 12 ρv2 quindi v = 2gh
p
“Non ci si può mai preparare abbastanza alla morte. Altre azioni possono
essere ripetute, si possono ritentare se non riescono la prima volta. Non è
così con la morte: essa avviene una volta sola e non c’è alcuna possibilità
di ripeterla perché riesca meglio.”
Robert Boyle,
The Christian Virtuoso (1690) .
In realtà ci sono varie versioni di questa legge; forse quella più chiara è
che se abbiamo due sistemi all’equilibrio termico tra loro, allora la loro
temperatura è la stessa. La condizione di equilibrio è inoltre transitiva.
Dobbiamo adesso introdurre una quantità fisica che crea sempre
molte incomprensioni: il calore. Generalmente il calore è definito come
quella quantità d’energia trasferita tra due sistemi a causa della diffe-
renza di temperatura esistente tra i due. Questa è uno possibile tra
alcuni modi di definire il calore, tuttavia non è un modo troppo preciso.
Q ∝ TA − TB ≡ ∆T
S = k log W (53)
Ciò che è più importante capire è che la (53) o una qualunque delle sue
forme equivalenti non sono definite né attraverso il calore né tantomeno
attraverso la temperatura. Ed è questo l’errore enorme che si compie
quando al contrario ci si ostina a definire l’entropia come d̄Q/T. Più
in generale è un errore esecrabile definire l’entropia in termini d’ener-
gia e/o viceversa. Non bisogna assolutamente cadere in questo tranello:
l’entropia è quella che è a prescindere dall’energia. L’entropia è una fun-
54 pietro oliva
estensiva
X ∂E z }| {
dE = dXk (54)
∂Xk tutte le var.,kcost.
k | {z }
intensiva
dalla (55) subito si vede per essere coerenti con quanto detto prima deve
essere
∂E
≡T (56)
∂S
Xh = cost.
∂E ∂E
dE = dV + dS =
∂V S= cost. ∂S V = cost.
∂E
= dV + T dS (57)
∂V S= cost.
∂E
Convenzionalmente risulta che la quantità ∂V viene definita
S= cost.
come −P cioè l’opposto della pressione di modo che
dE = T dS − P dV = q − ` (58)
lezioni di fisica ii 55
1 ∂W1 1 ∂W2
=
W1 ∂E1 W2 ∂E2
56 pietro oliva
∆kB ln W ∆S 1 ∆E
= = → ∆S =
∆E ∆E T T
e se l’energia, come posto all’inizio del ragionamento, viene scambiata
solo attraverso il calore ∆E = ∆Q e
∆Q
∆S = (60)
T
Figura 25: Rudolf Julius Emanuel Clau-
sius (1822 - 1888), fisico e matema- ma questa definizione vale solo in questo mondo ideale e ristretto del-
tico tedesco, ha introdotto il concetto l’esempio fatto. Perciò deploriamo il modo d’introdurre l’entropia di-
d’entropia.
rettamente attraverso la (60) e anzi in maniera ancora più problematica
attraverso la definizione - formalmente errata -
dQ
dS = (61)
T
per poi dover subito avvertire lo spaesato lettore che il numeratore del-
la (61) non è in realtà un differenziale esatto (frase piuttosto equivoca
poiché tende a far passare il messaggio che trattasi d’un differenziale
non esatto, mentre il numeratore dell’integranda non è affatto un diffe-
renziale). Comunque sia la distinzione tra trasformazioni reversibili ed
irreversibili sta nel tipo di relazione da usare in
Z
d̄Q
∆S > (62)
T
• volume V,
• pressione P,
• temperatura T,
• massa m,
• numero di moli n,
• entropia S.
Pv = f (T ) ∝ T → Pv = RT
J
R ' 8, 31
mol K
58 pietro oliva
mv2
1 2 2
P= nmhv2 i = n = nhKi
3 3 2 3
2
PV = U (65)
3
Più in generale si usa porre
PV
PV = (γ − 1)U → U= (66)
γ−1
dU = −d̄L = −P dV
lezioni di fisica ii 59
(V dP + P dV )
dU =
γ−1
(V dP + P dV ) − γP dV
= −P dV → V dP + =
P dV P dV
γ−1
ovvero
dP dV
+γ =0 → ln P + γ ln V = cost. → PV γ = cost. (67)
P V
Non solo abbiamo imparato a trovare le condizioni di comprimibilità
per un gas qualunque14 , ma abbiamo anche capito che quello che noi 14
anche di fotoni: nel caso di luce in una
scatola ad esempio possiamo scrivere
chiamiamo “temperatura” è null’altro che un’indicatore dell’energia ci-
l’equivalente di P = 2nmv2x che nel ca-
netica media delle componenti elementari del gas stesso. Perché allora so più generale si scriverà P = 2nmpx vx .
Passando alle medie questo si scrive
non abbiamo chiamato “temperatura” l’energia cinetica stessa rispar-
P = nmh~ p·~vi/3 quindi
miandoci un sacco di problemi? abbiamo visto che la risposta sta solo
p·~
PV = Nh~ vi/3
in motivi storici e di ignoranza riguardo la struttura atomica della ma-
ma si dà il caso che h~ p·~
vi sia nel ca-
teria. Purtroppo abbiamo scelto ormai una scala (kelvin) che è lineare so dei fotoni proprio l’energia di singola
in energia attraverso una costante kB ' 1, 38 · 10−23 J/K: risulta infatti particella E = pc, allora
essere PV = U/3 → γ = 4/3
3
hKi = kB T e possiamo quindi scrivere che PV 4/3 =
2 costante.
dove il fattore 3/2 è messo per comodità per semplificare la (65) ed è
interpretabile come un fattore kB T/2 preso per ognuno dei tre gradi di
libertà. Pertanto riscriviamo la (63) come
PV = NkB T (68)
Trasformazioni notevoli
Platone,
Timeo (c. 360 a.C.).
Per tutto ciò che seguirà in questo capitolo, se non altrimenti specificato,
sceglieremo sempre un sistema di riferimento ortonormale per lo
spazio vettoriale che ci farà da palcoscenico.
ax
a ∈ V3 ∼
a y ∈ R3
az
Con questa intesa riguardo l’isomorfismo di cui abbiamo accennato
prima, definiamo tutta una serie di oggetti senza i quali l’elettromagne- Figura 29: Daremo per scontato l’isomor-
tismo non potrebbe essere spiegato. Nello specifico diamo per scontato fismo tra vettori e terne di numeri data
una base ortonormale fissata.
che il lettore conosca, dati ad esempio
Ax Bx
~=
A Ay
e ~=
B By
Az Bz
~·B
A ~ = Ax Bx + A y B y + Az Bz
A y Bz − Az B y
~×B
A ~=
Az Bx − Ax Bz
Ax B y − A y Bx
Considerando che l’elettromagnetismo parla di campi, va da sé che
per prima cosa dobbiamo capire come caratterizzare un campo vetto-
riale. Sono due le informazioni principali che caratterizzano un campo
vettoriale: la circuitazione ed il flusso. Per capire questi due concetti bi-
sogna prima passare per le proprietà locali dei campi per poi integrare
e passare a proprietà macroscopiche di un certo volume di spazio.
Uno strumento indispensabile risulta essere l’operatore nabla. Par-
tiamo con l’applicazione più facile di tale operatore: definiamo a tal fine
il gradiente di un campo scalare f (x, y, z) : R3 7→ R come
∂f
∂x
∂ f
~f =
∇
(70)
∂y
∂f
∂z
dove la scrittura utilizzata serve appunto per poter vedere l’operatore
~
∂ ∂ ∂
differenziale ∇ ≡ ∂x , ∂y , ∂z agire su un campo scalare f , per generare
66 pietro oliva
• col suo versore indica in ogni dato punto il verso di massima varia-
zione del campo scalare ψ;
~ è un campo vettoriale.
• ψ è un campo scalare, ∇ψ
∂A y
∇ ~ = ∂Ax +
~ ·A +
∂Az
(71)
∂x ∂y ∂z
~ che, agendo
in modo di poterlo vedere come l’operatore differenziale ∇
~
su un vettore A a mo’ di prodotto scalare, genera uno scalare. È in
qualche modo un maniera d’usare il nabla “opposto” alla generazione
di un gradiente. A cosa ci servirà questa informazione? cosa indica la
divergenza di un vettore?
lezioni di fisica ii 67
Basta guardare Fig. (30) per capire il senso di fare questa operazione
su un campo vettoriale; in generale la divergenza ∇ ~ ·A~ d’un vettore A
~
∂Az ∂A y
−
∂y ∂z
~ = ∂Ax − ∂Az
~ ×A
∇ ∂z (72)
∂x
∂A y ∂Ax
−
∂x ∂y
~
Per quanto detto è banale verificare che, così definito, per l’operatore ∇
~ f:
varranno le seguenti relazioni ∀A,
~× ∇ ~f =0
∇
(73)
~· ∇ ~ ×A ~ =0
∇
~ ( f ) ≡ ∇2 f = ∂ f + ∂ f + ∂ f
2 2 2
~ ·∇
∇ (74)
∂x2 ∂y2 ∂z2
~× ∇ ~ ×A~ =∇ ~ ∇ ~ − ∇2 A
~ ·A ~
∇ (76)
lezioni di fisica ii 69
Ci sono due teoremi (che provengono da uno solo più generale) che
vengono usati in continuazione in elettromagnetismo. Non daremo
qui nessuna dimostrazione limitandoci ad enunciarli. Prima però una
piccola nota: ricordiamo a scanso d’equivoci che, data una qualunque
~ come quel
superficie Σ, in ogni punto possiamo definire il vettore dS
vettore che ha direzione ortogonale al piano tangente della superficie
in quel punto e modulo l’area della porzione elementare di superficie
dS, come esemplificato in Fig. (32). I due teoremi che incontreremo in
continuo da ora in poi sono
Facciamo per inciso notare che entrambe i teoremi (77) e (78) sono in
realtà casi particolari del teorema di Stokes, il cui enunciato riportiamo
per completezza:
Zb
f (x) dx = F(b) − F(a)
a
Non vedete che interpretando f (x) dx come una 1-forma, derivata della
0-forma F(x), tutto si spiega molto più facilmente? La varietà è sempli-
cemente il segmento [a, b] ed ovviamente la frontiera di tale segmento
sono gli estremi a e b. Possiamo pensare quindi di riscrivere tutto come
Z Z
f (x) dx = F(x)
Ω ∂Ω
dove Ω ≡ [a, b] e ∂Ω ≡ a, b.
Le forme differenziali sono l’aspetto duale dei campi vettoriali e delle
loro costruzioni tensoriali. Si continua tuttavia ad insegnare Fisica II
in termini di campi vettoriali poiché un vettore è molto più facile da
visualizzare da parte degli studenti. In definitiva, la visione della Fisica
classica è ad esempio quello di descrivere il moto di un corpo che si
muove nello spazio tridimensionale da un punto A ad un punto B in
presenza, per dire, di un campo di forze con determinate proprietà. Se
il campo è conservativo il lavoro in questione dipende solo dai punti A
e B e non dal percorso intermedio, proprio come avviene per l’integrale
della 0-forma F(x).
In Fisica quello che però conta di più è la funzione V = −F(x) che
chiamiamo potenziale di f (x) di modo che f = −∇V. La ricerca della
primitiva F nel nuovo linguaggio delle forme differenziali equivale a
chiedere di trovare la 1-forma
scenza del fatto che, così come verranno adesso presentate, le seguenti
equazioni si dicono leggi di Maxwell in forma integrale:
1.) Legge di Gauß per il campo elettrico: Il flusso del campo elettrico
attraverso qualsiasi superficie chiusa è proporzionale al valore della
carica elettrica netta interna17 alla superficie stessa.
E ~ = Qint
~ · dS (79)
Σ ε0
~q−Q = k Qq r̂Q−q
F (85)
r2
~ = k Q r̂ N · m2
E k ' 9 · 109 (86)
r2 C2
Non sempre saremo così fortunati.
Un piccolo cenno riguardante la costante di Coulomb: il valore in
(86) viene dall’esperimento della bilancia di torsione però può essere
ricavata da argomenti teorici e in effetti il modo con cui usiamo scriverla
oggi deriva da quest’ultimo approccio. Prendiamo la prima legge di
Maxwell in (83) e usiamo come superficie chiusa una che sappiamo
facilmente integrare: una sfera di raggio r. eseguiamo l’integrale
1
E4πr2 = Q/ε0 → k=
4πε0
1 d2 r̂τ
~=− Q
E
r̂τ
+
rτ d r̂τ
+ (87)
4π0 r2τ c dt r2τ c2 dt2
dove le rτ si riferiscono alla distanza del punto nel quale calcoliamo il
campo dalla posizione che aveva la carica Q nel passato, quando l’infor-
mazione del campo che adesso arriva nel punto dove stiamo calcolando
~ è partita. Naturalmente questo tempo nel passato dista da “adesso”
E
un tempo τ = rτ /c. Come il lettore potrà apprezzare quando le cariche
si muovono la semplicità della (85) è persa e l’interpretazione del valore
del campo elettrico in un punto coinvolge interessanti speculazioni filo-
sofiche sullo spazio-tempo. Ma in tale sede non volgiamo addentrarci
in difficili, seppur stimolanti, discorsi su cosa sembra essere veramente
il tempo e lo spazio.
Il tutto si complica ulteriormente per banali motivi storici: la defini-
zione di carica è infatti derivata (in maniera contro-intuitiva) da quella
di corrente elettrica che altro non è se non il movimento di una carica.
Ma tant’è, e dobbiamo purtroppo tenerci il fastidioso e ingombrante
valore del coulomb, che risulta essere pari in assoluto alla carica che
hanno poco più di 6 · 1018 elettroni, che sono tanti. Basti pensare che
tutti gli oggetti della vita quotidiana, che possono acquisire carica per
strofinamento, tipicamente non superano come ordine di grandezza i
µC.
È altresì evidente dall’equazione F ~ = E ~ · q che le dimensioni di E
~
sono N/C. Ciò che invece non è evidente è che la forma più semplice per
descrivere gli effetti del campo elettrico su una carica elettrica non si
ottiene passando attraverso la scrittura della forma del campo. Simile
discorso per il “campo magnetico” che, vedremo, essere un tutt’uno
con quello elettrico. Rimandiamo il discorso sul campo magnetico a
dopo, anticipando tuttavia che se E ~ ha forma complicata anche solo per
una carica puntiforme, non sarà certo meglio per B, ~ che in generale si
scriverà
~ = −r̂τ × E/c
B ~ (88)
dove con Qint qui si indica la carica netta totale dentro la superficie
chiusa Σ. Ovviamente nel caso più generale dentro tale superficie ci
sarà una qualsivoglia distribuzione di densità di carica ρ = ρ(x, y, z).
lezioni di fisica ii 77
sicché $ $
∇ ~ dV = 1
~ ·E ρ dV
V (Σ) ε0 V (Σ)
∇ ~ (x, y, z) = ρ(x, y, z)
~ ·E (91)
ε0
~ in casi particolari
Campo E
~P =
X
~ jP = 1 X qj
E E r̂ jP (95)
j
4πε0
j
r2j
con sole cariche puntiformi sono dunque non solo triviali ma a nostro
avviso anche tediosi al limite del sopportabile. È solo questione di saper
usare i vettori, quindi sono null’altro che esercizi di geometria.
Purtroppo normalmente la posizione delle cariche nello spazio non è
nota bensì dipenderà dal particolare materiale, in particolare da com’è
~ internamente al materiale e/o nello spazio. Il
fatto il campo elettrico E
~
campo E tuttavia dipende da dove sono le cariche e il problema sembra
essere un circolo vizioso. La realtà è che dobbiamo essere onesti con lo
studente e dire la verità: l’approccio classico all’insegnamento di Fisica
II prevederebbe adesso di spiegarvi come calcolare il campo elettrico
nei:
• casi in cui c’è una carica puntiforme o più cariche puntiformi fisse in
posizioni note nel piano e nello spazio.
• casi in cui c’è un dipolo fisso in posizione nota nello spazio (tipica-
mente solo lungo l’asse del dipolo e lungo l’asse ortogonale passante
per il baricentro del dipolo stesso).
e2 1 42 2.6 · 10−38 1
7
Fq1 = 1− ' − ' −2.25 · 10−16 N
4πε0 R2 32 9 · 10−9 10−14 9
d d2 d d2 d d2 2
1 + dr − 4r
d
!
q 1+ r + 4r2
−1+ r − 4r2 q 1+ r + 4r 2 − 2
= = =
4πε0 r2 d2 4πε0 r2 d2
1− 4r2
1 − 4r 2
! ! !
q 2 dr qd 1 p 1 rd p
= d2
= d2
= d2
−−−→
4πε0 r2 1− 2πε0 r3 1− 2πε0 r3 1 − 4r2 2πε0r
3
4r2 4r2
ovvero se ci allontaniamo abbastanza dal baricentro del dipolo lungo
l’asse, dunque, siamo autorizzati a scrivere
p
EP = (97)
2πε0 r3
quello che però ci preme sottolineare è che facendo i calcoli risulta per
qualsiasi punto abbastanza distante dal centro del dipolo, un campo
elettrico
EP ∝ 1/r3
dq
dE =
4πε0 r2
dq
dE cos θ = cos θ
4πε0 r2
λR dφ
dE cos θ = cos θ
4πε0 r2
λR dφ
dE cos θ = cos θ
4πε0 (R2 + z2 )
λR dφ z
dE cos θ = =
4πε0 (R2 + z2 ) (R2 + z2 )1/2
λRz
= dφ
Figura 43: Capire quali sono le simme- 4πε0 (R2 + z2 )3/2
trie di ogni problema non solo aiuta ma a Adesso sì che siamo autorizzati a procedere con l’integrazione in dφ su
volte è essenziale per la riuscita dei conti.
tutto l’angolo giro:
2π
λRz
Z Z
Ez, anello = ( dE cos θ) dφ = dφ =
2π 0 4πε0 (R2 + z2 )3/2
2πλRz q z
= =
4πε0 (R2 + z2 )3/2 4πε0 (R2 + z2 )3/2
donde nell’ultimo passaggio s’è tenuto conto della definizione di densità
lineare di carica.
Naturalmente, come da prassi, bisogna sempre controllare i casi limite.
Ci si deve chiedere: cosa ci si aspetta al centro dell’anello? Ovviamente
la risposta è un campo nullo. Infatti sostituendo nell’equazione
q z
Ez, anello = (98)
4πε0 (R2 + z2 )3/2
q z 1 q
Ez, anello → =
4πε0 z3 4πε0 z2
lezioni di fisica ii 83
σz
2π r dr
Ez, anello infinitesimo = =
0 (r + z2 )3/2
4πε
2
σz r dr
= = dEz,disco Figura 44: Il caso del disco si affron-
2ε0 (r2 + z2 )3/2 ta sempre dopo quella dell’anello perché
Adesso dobbiamo integrare l’ultimo si risolve integrando i contributi
infinitesimi al campo dovuti alla prima
R distribuzione.
σz
Z Z
r
E= dEz,disco = dr
sul disco 2ε0 0 (r2 + z2 )3/2
(R2 +z2 )
σz
Z
1/2
E= (2r dr) =
2ε0 z2 y3/2 | {z }
dy
(R2 +z2 )
σz
Z
= y−3/2 dy
4ε0 z2
e quest’ultimo integrale risulta triviale:
σ z h −1 σ
i z
= z − (R2 + z2 )−1/2 = 1− √
2ε0 2ε0 R2 + z2
Come al solito adesso bisogna controllare che alle condizioni limite tale
soluzione abbia senso: cosa succede alla soluzione trovata per il campo
84 pietro oliva
σ
z
Ez,disco = 1− √ (99)
2ε0 R2 + z2
ovviamente
zR σ
Ez,disco lontano −−−→ (1 − 1) = 0
2ε0
come si vede la (99) tende naturalmente a zero. Cosa succede invece alla
soluzione trovata per il campo in un punto dell’asse d’un disco carico
se z tende a zero (cioè ci si mette molto vicino al disco)?
zR σ
Ez,disco vicino −−−→ (100)
2ε0
~= 1 dq 1 λ dx
dE r̂ = r̂
4πε0 r2 4πε0 r2
1 λdx
dEx = − 4πε
0 r2
cos θ
1 λdx
dE =
y 4πε0 r2 sin θ
1 λdx x λ
dEx = − 4πε xdx
0 r2 r
= − 4πε 0 (x2 + y2 )3/2
dE y = 1 λdx y λ ydx
4πε0 r2 r = 4πε0 (x2 + y2 )3/2
λy λy y cosh ξdξ
Z Z
dx
Ey = = =
4πε0 2
(x + y )2 3/2 4πε0 y (sinh2 ξ + 1)3/2
3
λ cosh ξdξ λ
Z Z
dξ
2
=
4πε0 y (cosh ξ) 3/2 4πε0 y cosh2 ξ
R dξ
L’ultimo è un integrale notevole di soluzione
cosh2 ξ
= tanh ξ + co-
stante. Basta adesso scrivere
λ λ sinh ξ λ sinh ξ
Ey = [tanh ξ] = = √ =
4πε0 y 4πε0 y cosh ξ 4πε0 y sinh ξ2 + 1
" #b !
λ x/y λ x λ b a
= q 2 = p = p − p
4πε0 y x 4πε0 y x2 + y2 a 4πε0 y b2 + y2 a2 + y2
2 +1
y
86 pietro oliva
Il campo elettrico totale nel punto P sarà ovviamente dato dal vettore
che ha le due componenti trovate E ~ P = (Ex , E y )
√ 1 1
− √
~P = λ b2 −y2 a2 −y2
E (101)
b/y a/y
4πε0
√ − √2
b 2 + y2 a + y2
d p
τ = 2 F sin θ → Fd sin θ = Eq sin θ = Ep sin θ
2 q
lezioni di fisica ii 87
1. il suo flusso.
2. la sua circuitazione.
Se quello che entra è maggiore di ciò che esce diremo che il flusso è
negativo, viceversa il flusso sarà positivo (questa convenzione viene
dall’aver scelto la normale uscente).
Calcoliamo adesso il flusso attraverso una qualunque superficie chiu-
sa (per adesso scegliamo una sfera) con all’interno una singola carica
puntiforme - sia essa positiva, senza perdita di generalità - posta nel cen-
tro. Ovviamente in questo caso ogni singolo elemento dA ~ sarà parallelo Figura 49: Immaginando di dividere la
ad E~ che sarà costante su tutta la superficie della sfera. Conseguen- nostra superficie in tasselli elementari
(potete pensare di ricoprirla di matto-
temente il flusso risulta essere Φ = 4πR2 · E. Esplicitando il campo nelle) ogni elemento avrà il suo vettore
elettrico infine troviamo: dA~ ed il campo entrante o uscente avrà
un rappresentante applicato nello stesso
Q Q ~ In figura nel caso
Φ = 4πR2 · E = 2 punto del vettore dA.
4πR
= (102)
0 R2
4πε ε0 3) il contributo al flusso sarà negativo per-
~ entra, in 2) il contributo sarà nullo
ché E
Il risultato (102) è importantissimo: innanzitutto ci dice che il flusso perché E ~ ⊥ dA, ~ infine in 1) il contributo
sarà positivo perché il campo è uscente.
non dipende dal raggio. Avremmo potuto mettere la carica ovunque
all’interno della sfera ottenendo lo stesso risultato. In secondo luogo
avremmo anche potuto scegliere una qualunque superficie chiusa; in
effetti qui ci aiuta vedere la cosa coll’analogo del flusso di fluido: quan-
to fluido uscirà dipende solo dalla sorgente indipendentemente da che
88 pietro oliva
• sferica;
• cilindrica;
• cubica.
σ
→ E= (104)
2ε0
Il risultato (104) è proprio il limite per z molto piccolo del campo trovato
per il disco carico (v. (100)), e uguale risultato avremo per qualsivoglia
forma intagliata in un piano carico a patto di porsi abbastanza vicini
da non sentire gli effetti di bordo. Allontanandosi da la generica distri-
buzione superficiale (necessariamente finita se reale) alla fine vedremo
il campo andare giù come 1/r2 , come fosse solo una carica puntifor-
me. Questi due comportamenti devono sempre essere verificati quan-
do trovate una forma per il campo elettrico vicino e lontano da una
qualsivoglia distribuzione bidimensionale di carica.
r→0 σ r→∞
Emolto vicino −−−→ Emolto lontano −−−−→ 0
2ε0
lezioni di fisica ii 89
Forti di aver già trovato il campo elettrico per segmento carico, vediamo
adesso una linea carica infinita di densità lineare λ: Anche qui il cilindro
ci aiuta; l’unico contributo sarà, stavolta, quello attraverso la superficie Figura 51: Un altro tipico caso in cui il
laterale: campo elettrico si trova banalmente.
E2πrL = λL/ε0
λ
E= (105)
2πε0 r
q1 q2 1
L=
4πε0 r
la lettera U:
q1 q2 1
L≡U= (106)
4πε0 r
U è null’altro che il lavoro che devo compiere per portare una delle due cariche
a distanza r dall’altra. Nient’altro. Inoltre, ovviamente, U si misura in
joule.
Possiamo pensare di scrivere invece il potenziale elettrico dovuto a
q1 , ad esempio, come l’energia potenziale elettrostatica per una unità di
carica che bisogna avvicinare da infinito a r: in pratica dividiamo U per
q2 ed otteniamo il potenziale elettrico
U q 1
V= = 1 [V ] = J/C = V
q2 4πε0 r
V è null’altro che il campo scalare il cui gradiente è l’opposto del campo elet-
trico e si misura in volt. Osservando la (106) si capisce immediatamente
che il lavoro svolto per portare la generica carica q a distanza r dalla
carica che genera il potenziale è L = qV.
Se muoviamo una carica q dal punto a al punto b all’interno di una re-
gione dove c’è potenziale elettrico la variazione del lavoro sarà dunque
e quindi in maniera del tutto analoga per quanto visto in Fisica Generale
I, si può scrivere la conservazione dell’energia meccanica come
~
~ = −∇V
• spesso è più rapido trovare V e successivamente E
∆V = −E∆x
1 p cos θ
V= (111)
4πε0 r2
Dato che E = −∇V tutto torna: la derivata di 1/r2 va infatti come 1/r3 .
σd Qd
V = Ed = =
ε0 Aε0
guardando la (113) immediatamente capiamo che per tale geometria Figura 56: Un condensatore sferico.
Aε0
C= (114)
d
L’unità per la capacità è il farad F (non dite faraday perché è un’altra
cosa) pari ad un coulomb su un volt.
[C]
[F] =
[V]
Purtroppo per motivi storici si usa il coulomb che è molto grande (per-
ché è definito come un ampère per secondo, e l’ampère è una corrente
molto alta), il che fa del farad una quantità poco utile per le normali
applicazioni. In effetti è molto più utile usare i microfarad, i nanofarad
o addirittura i picofarad. Giustifichiamo la nostra asserzione: calcolia-
moci la capacità di un condensatore sferico e poi di una singola sfera
scrivendo che è Q e chi V (dipende dalla geometria).
Q
Q = ε0 E(4πr2 ) → E=
4πε0 r2
quindi
−
dove sono
Z le q ZR2
Q Q 1 1
V= E dr = dr = −
4πε0 r2 4πε0 R1 R2
dove sono le q+ R1
Q R R
Csferico = = 4πε0 1 2
V R2 − R1
quindi se mandiamo R2 → ∞
in effetti dalla (115) si capisce che i conduttori da soli hanno sempre una
capacità molto piccola rispetto all’unità di misura.
La forma funzionale della capacità dipende dalla geometria. Può
anche essere molto complesso calcolarla. Prendiamo un condensatore
cilindrico alto L: Sia la superficie di Gauß quella indicata dalla freccia.
Il campo sarà dunque
Q Q
Figura 57: Un condensatore cilindrico. E(2πrL) = → E=
ε0 2πε0 Lr
L
C = 2πε0 (116)
b
ln a
CV 2
E/Ad ≡ u =
2Ad
ma C = ε0 A/d sicché la densità d’energia per unità di volume sarà
1
u= ε0 E 2 (118)
2
La (118) è stata ricavata sfruttando le relazioni del condensatore piano
ma si può dimostrare essere del tutto generale.
Magnetostatica
Abbiamo visto che una carica ferma subisce eventualmente una forza
dovuta al campo elettrico in cui è immersa (dovuto ad altre cariche).
Abbiamo visto altresì che tale forza dipende dalla posizione della ca-
rica. Una carica in movimento però subisce un’altro tipo di forza che
chiameremo magnetica. Questa forza dipende non più dalla posizione
ma dalla velocità con cui una carica si muove. Sperimentalmente risul-
ta che la forza magnetica agente su una carica elettrica in movimento è
sempre perpendicolare alla velocità ed al vettore del campo magnetico
in quel punto. In particolare risulta che
~m = q~
F ~
v×B (119)
[N] [N]
[B] = [m]
= =T
[ C ] [s] [A][m]
È bene sapere che è molto usata un’unità non-SI che è il gauß di simbolo
G: per definizione 1 T=104 G. Possiamo quindi scrivere in generale che
la forza totale che subisce una carica elettrica in movimento in un campo
elettromagnetico è
~ = q(E
F ~+~ v×B ~) (120)
~ = q(E
F ~+~ ~ ) + qm ( B
v×B ~ +~ ~)
vm × E
~ ·B
~=0
∇
(122)
~ ×B
∇ ~ = µ0~
~ = ne~
vd (123)
~ · ~ = 0
∇ (124)
sicché $
~=
~ · dA ρ dV (127)
Σ V (Σ)
~ · ~ = − ∂ρ
∇ (129)
∂t
La (129) l’avete già vista: è l’equazione di continuità di Fisica Generale
I riguardante la conservazione della massa per i fluidi; la forma che
in quell’ambito ottenevate era, imponendo che ṁ = 0 dentro un dato
volume,
∂ρ ~
+ ∇ · (ρ~v) = 0
∂t
Anche nel nostro caso abbiamo infatti che ~ = ρcarica ~
vd .
98 pietro oliva
~ = n∆Ve(~
∆F ~ ) = ∆V (~ × B
v×B ~) (130)
~ = ∆L[(A~) × B
∆F ~ ] = ∆L (~I × B
~) (131)
~
∆F
= ~I × B
~ (132)
∆L
Facciamo notare per completezza che molti testi preferiscono accorpare
la (130) scrivendo
~ = I~L × B
F ~
Potenziale vettore
~ ·B
∇ ~=0 sempre ⇒ ~=∇
B ~
~ ×A
~=∇ ~ ×A ~
(
B
~=∇
B ~ ×A ~0
~−A
A ~0 = ∇ψ
~ ⇒ ~=A
A ~0 + ∇ψ
~ (133)
dunque due vettori potenziali il cui rotore dia lo stesso campo magnetico
posso differire tra loro solo di un campo vettoriale che è il gradiente di
un certo campo scalare. Stavolta però non è lampante il come scegliere
ψ tale da renderci la vita più facile. In realtà non c’è un’unica scelta
bensì la forma che prenderemo per il potenziale vettore dipenderà dal
nostro particolare problema.
In magnetostatica tuttavia è sempre una buona idea, a livello di sem-
plificazione matematica, scegliere un potenziale vettore la cui divergen-
za sia nulla. La nostra scelta quindi sarà in questa parte del programma
∇ ~=0
~ ·A (134)
E ~
~ = −∇V → ~ ·E
∇ ~ = −∇2 V = ρ/ε0
∇ ~ + ∇ψ
~ · (A ~ )=∇ ~ + ∇2 ψ
~ ·A
100 pietro oliva
~ ·A
allora la scelta ∇2 ψ ≡ −∇ ~ sia la migliore semplificazione: infatti ne
segue che ∇ ~ + ∇ψ
~ · (A ~ ) = 0 e che quindi
~ ×B
∇ ~ = µ0~
~ = −∇2 A
20
Nella realtà operativa di solito si trova ~ che
Sia come esercizio sui generis20 un campo magnetico uniforme B
il campo a partire dal potenziale e non
ha valore costante B0 solo lungo la direzione z di un sistema di rife-
viceversa.
rimento ortonormale. Troviamo una possibile scrittura del potenziale
vettore. Basta innanzitutto scrivere
∂A y ∂A y
∂Az ∂Az
∂y
− ∂z ∂y − ∂z = 0
0
∂Ax ∂Az
~= ∂Ax ∂Az
B 0 = ∂z − ∂x ⇒ ∂z − ∂x = 0
B0 ∂A y ∂A y − ∂Ax = B
− ∂Ax
∂x ∂y ∂x ∂y 0
∂A y
∂g( y,z) ∂ f ( y,z)
∂A
z
∂y − ∂z = 0 ⇒ 3.) ∂y = ∂z
0 − ∂A z
∂x = 0 ⇒ 1.) Az = g( y, z)
∂A y
∂x − 0 = B0 ⇒ 2.) A y = xB0 + f ( y, z)
0
Naturalmente avremmo potuto scegliere molto diversamente: per fare
lezioni di fisica ii 101
un veloce esempio
−yB0 −yB0
~=
A 0
oppure ~= 1
A xB0
2
0 0
e infinite altre soluzioni. Ma questo è solo per dare un’idea del tipo di
difficoltà che s’incontrano lavorando a ritroso dal campo al potenziale.
~2 = µ0 Id~l1 × r̂
dB (138)
4π r2
µ0 I ∞ sin θ ds
Z ∞ Z ∞ Z
BP = dBP = 2 dBP =
−∞ 0 2π 0 r2
lezioni di fisica ii 103
R R
sin θ = = √
r R + s2
2
dunque
µ0 I ∞
sin θ ds µ0 I ∞
Z Z
R
BP = 2
= √ ds =
2π 0 r 2π 0 (R2 + s2 ) R2 + s2
µ0 I ∞
Z
R
= ds
0 + s2 )3/2
2π (R2
√ √
Dato che s2 + R2 cos θ = R → s2 + R2 = cosR θ provvediamo
alla sostituzione e cerchiamo una relazione che ci faccia scomparire
la somma sotto radice: prendiamo la prima relazione somma di due
Figura 61: Adesso bisogna ricordarsi
quadrati che ci viene in mente in trigonometria, sin2 θ + cos2 θ = 1, e quant’è importante aver studiato Anali-
2
moltiplichiamola per cosR2 θ . si I. Ogni volta che c’è un fattore del tipo
(x2 ± a2 )k nell’integrando ci deve subito
venire in mente il teorema di Pitagora e
R2 R2
(sin2 θ + cos2 θ) = → con esso le possibili sostituzioni trigono-
cos θ
2 cos2 θ metriche. Nel√ nostro caso vogliamo far
scomparire x2 + a2 che è un’ipotenusa!.
R2
→ R2 tan2 θ + R2 =
cos2 θ
è evidente che la sostituzione che andavamo cercando è
R
s = R tan θ ; ds = dθ
cos2 θ
i limiti d’integrazione diventano 0 e π/2.
π/2
µ0 I ∞
µ0 I
Z Z
R R R
BP = ds = dθ =
2π 0 (R2 + s2 )3/2 2π 0 (R2 + R2 tan2 θ)3/2 cos2 θ
π/2
µ0 I
Z
1 1 Figura 62: Jean-Baptiste Biot (1774 - 1862)
= dθ
2πR 0 (1 + tan2 θ)3/2 cos2 θ fisico e matematico francese e Félix Savart
(1791 - 1841) fisico e medico francese.
Tutti adesso ricorderanno che 1 + tan2 θ = 1/ cos2 θ sicché
π/2 π/2
µ0 I µ0 I
Z Z
1 1
BP = dθ = cos θ dθ
2πR 0 ( cos12 θ )3/2 cos2 θ 2πR 0
µ0 I µ0 I
BP = [sin θ]π/2
0 =
2πR 2πR
Adesso dopo tutta questa fatica prendiamo la quarta legge di Max-
104 pietro oliva
~ dovuto ad un solenoide
B
µ0 Idl
dB =
4π r2
lezioni di fisica ii 105
Z2πr
µ0 I µ0 2πrI µ0 I
Z
B= dB = dl = =
2πr 4π r2 4π r2 2r
0
I ZB ZD
~ · d~l =
B ~ · d~l +
B ~ · d~l
B
A C
B = µ0 nI (139)
~ per un toroide
B
In maniera analoga troviamo il campo interno ad un toroide: stavolta Figura 68: Dimostrazione che il cam-
po interno è costante se il solenoide è
però I infinito.
~ · d~l = 2πrB = µ0 NI
B
106 pietro oliva
µ0 NI
B= (140)
2πr
Quindi il campo interno scala come 1/r.
1 p cos θ
V=
4πε0 r2
1 ~
1 ~r · R ~ )2 − r2 R2
3(~rk · R
' + k 3 + k
+···
|R − r| R R 2R5
lezioni di fisica ii 107
1
moltiplicando per ogni termine 4πε0 qk s’otterrà
~ ~ )2 − r2 R2 )
k qk~ k qk ((~
P P P
1
k qk rk ·R 3 rk ·R k
V' + + +···
4πε0 R } R3 2R 5
| {z | {z } | {z }
m. di monopolo momento di dipolo momento di ottupolo
~ ~
"P # "P #
1 k qk~
rk · R 1 k~
pk · R
V' = (141)
4πε0 R3 4πε0 R3
λa b. E ovviamente
Non ci resta che adattarci al nostro caso dove p = |{z}
carica
il coseno tra ~ ~ è −y/R. Il nostro potenziale vettore lungo x è dunque
p ed R
µ0 yIab
1 yλab
Ax = − =− (142)
4πε0 R3 4π R3
ma per la simmetria del sistema allora anche
µ0 xIab
Ay = (143)
4π R3
µ ~
~ = IS (145)
~ × R̂
~ = µ0 µ ~
~ ×A
~=∇
A e B (146)
4π R3
Sappiamo adesso tutto. Ovviamente il nome “dipolo magnetico” è
alquanto inappropriato perché non c’è nessuno monopolo magnetico.
Però serve per ricordare che la forma funzionale del campo è identica
sia per il campo elettrico creato da un dipolo elettrico sia per il campo
108 pietro oliva
3xz
R5
µ0 µ
~ 3yz
B=
R5
(147)
4π
3z2 1
r5
− r3
∇ ~= ρ
~ ·E ~ ·B
∇ ~=0
ε0
~ ×E
∇ ~=0 ~ ×B
∇ ~ = µ0~
La risposta a tale enigma è che tali soluzioni sono state trovate in luoghi
lezioni di fisica ii 109
~ ·E
∇ ~=0 ~ ·B
∇ ~=0
~ ×E
∇ ~=0 ~ ×B
∇ ~=0
~=
F
Qq r̂ ~ = q(E
F ~+~ v×B~)
4π0 r2
~ ·E
dove ∇ ~ = ρ/ε0
~ ×E
∇ ~=0 ∇ ~ = − ∂B~
~ ×E
∂t
~
~ = −∇V ~ +
~ = − ∇V ~
∂A
E E ∂t
~ ·B
∇ ~=0
~=∇
dove B ~
~ ×A
∇ ~ = µ0 ~j
~ ×B ~ = µ0 ~j + µ0 ε0 ∂E~
~ ×B
∇ ∂t
# ε0
#
Ee = 1
ρ(x, y, z)V (x, y, z) dxdydz Ee = ~·E
E ~ dxdydz
2 2
# #
Em = 1 ~j · A
~ dxdydz Em = 1 ~ ·B
B ~ dxdydz
2 2µ0
∇ ~ ∝ ∂V
~ ·A (152)
∂t
e quindi arrangiare le cose di modo da riavere zero sommando i due
~ ·A
pezzi ∇ ~ e ∂V . Naturalmente i due oggetti non sono omogenei ( ∂V ha
∂t ∂t
le dimensioni di [V][s]−1 mentre ∇ ~ è ovviamente dimensionato come
~ ·A
[T]) perciò dobbiamo scrivere
~+
~ ·A ∂V
k∇ =0
∂t
con k dimensionato come [V][s]−1 [T]−1 =[V][s]−1 ([V][s]/[m]2 )−1 =[m]2 [s]−2 .
Quindi k ha le dimensioni di una velocità al quadrato. Questa velocità
è naturalmente quella cui il campo si propaga (tra poco mostreremo
essere quella della luce). Il fatto che cariche elettriche in movimento
generino un capo magnetico è una scoperta epocale fatta come detto
lezioni di fisica ii 113
dΦB~
Σ
|Ef.e.m. | = (154)
dt
~
dΦB
Ef.e.m. =− Σ (155)
dt
In suo onore la lettera che useremo per indicare l’induttanza sarà L.
Figura 76: mili Hristianoviq
Lenc (1804 - 1865), fisico russo.
114 pietro oliva
Ef.e.m.
I= (156)
R
dove R è la resistenza totale del circuito. Vedremo tra un attimo che
questa è la legge di Ohm, per adesso prendiamola per buona.
Il caso più banale: campo uniforme (sia entrante) e spira rettango-
lare che estraiamo dalla regione immersa in B.~ Le due forze F2 ed F3
hanno entrambe lo stesso modulo, ixB ma sono dirette in versi opposti
e s’annullano. Resta solo la forza
F1 = iLB
che si vuole opporre all’estrazione della spira dal campo per conservare
il flusso originale. Quanto vale F1 ?
Il flusso sta cambiando: diminuisce. ΦB = BLx ma x cambia, infatti
dΦB d
= BL x = BLv
dt dt
Figura 77: Tipico esercizio di elettrodina-
mica è la forza sulla spira in movimento sicché la corrente sarà
in un campo magnetico. BLv
i=
R
e ruoterà in senso orario per generare un campo magnetico indotto a
supporto del B~ entrante che vede l’area della spira diminuire. Possiamo
quindi trovare il modulo della forza F1 :
(BL)2 v
F1 =
R
e possiamo anche dire la potenza dissipata essendo questa
(BLv)2 E2
W = F1 v = = f.e.m.
R R
Maxwell aveva già scritto in realtà la legge di Faraday in forma dif-
ferenziale. Riscriviamo quel che abbiamo capito in seria matematica:
la variazione del flusso di B attraverso una superficie Σ cambiata di
segno è pari alla circuitazione del campo elettrico sulla frontiera di Σ
(generando una corrente elettrica se ∂Σ è in realtà un filo fisico).
I "
Ef.e.m. = ~ · d~l = − d
E B ~
~ · dS
∂Σ dt Σ
li che agiscono sullo stesso dominio per poter eguagliare gli integrandi.
Ci viene in ausilio il teorema del rotore (78):
I " "
~ ~ ~ ~ ~ d ~
~ · dS
E · dl = (∇ × E) · dS = − B
∂Σ Σ dt Σ
~
~ ×E
∇ ~ = − ∂B
∂t
a patto di tenere fissa la superficie Σ. Ecco ricavata la seconda eq. di
Maxwell. In generale possiamo dire che il sistema d’equazioni
~ = q(E
~+~ ~)
(
F v×B
~ ×E
~=− ∂ ~
B
∇ ∂t
Definiamo allora
nLΦB
=L (157)
I
“induttanza”. Nel nostro caso l’induttanza di un pezzo di solenoide
lungo L risulta essere
L = n2 LAµ0
d dI
Ef.e.m. = − (LI ) = −L (158)
dt dt
dove l’ultimo passaggio tiene se non varia la geometria.
Legge di Ohm
Abbiamo ormai tutti gli strumenti per parlare di correnti e circuiti resisti-
vi. Abbiamo già visto che per definizione chiamiamo corrente elettrica
dQ
I= [Q] = A · s = C (159)
dt
Quindi la corrente elettrica consta di cariche in movimento. Non è
tuttavia necessariamente vero il contrario: non tutte le cariche in
movimento costituiscono correnti elettriche. Per esempio:
L J
L = QV ⇒ V= [V] = =V (160)
Q A·s
lezioni di fisica ii 117
dL dQ
W= =V = V·I [W] = V · A = W
dt dt
ed infine abbiamo incontrato una proprietà dei materiali detta
Q C
C= [C] = =F
V V
Abbiamo già incontrato la densità di corrente (123). Dovrebbe ormai
essere ovvio per quanto imparato che il campo elettrico in un puno di
un materiale in cui scorre corrente elettrica è proporzionale alla densità
di corrente in quel punto:
~ ∝ ~
E
ρ = E/ j (161)
~ = ρ~
E ~
~ = σE (162)
dE dqV V2
P= = = IV = I2 R = (166)
dt dt R
Siamo adesso pronti a parlare di circuiti e dell’analisi di questi. Introdu-
ciamo gli elementi che ci servono. Riportiamo fin d’ora le caratteristiche
V − I di resistore, induttore e condensatore, rispettivamente (164), (158)
e (113).
• Resistore
V
V = IR I=
R
• Induttore
Zt
dI 1
V=L I= V (t0 ) dt0
dt L
t0
• Condensatore
Zt
1 dV
V= I (t0 ) dt0 I=C
C dt
t0
1 1
V = I1 R1 → V = I1 V = I2 R2 → V = I2
R1 R2
1 X 1
= (168)
Rp Rk
k
122 pietro oliva
Leggi di Kirchhoff
1 X 1 1 1 R1 R2
= = + V=I
Rp Rk R1 R2 R1 + R2
k
Dato che ponendo due induttori in parallelo deve sempre valere che
ai loro capi vi sia istante per istante stessa d.d.p. e che sia comunque
lezioni di fisica ii 123
di d
= (i1 + i2 ) = V/L1 + V/L2 →
dt dt
1 1 1
→ = + (171)
Ltot L1 L2
come avviene per i resistori in parallelo.
D’altronde anche in serie le induttanze si comportano come i resistori
perché vi scorre la stessa corrente quindi
di di
V = (L1 + L2 ) = Ltot →
dt dt
→ Ltot = L1 + L2 (172)
Q1 Q2
C1 = C2 = → Q = Q1 + Q2 = (C1 + C2 )|∆V|
|∆V| |∆V|
di modo che
Q Q
|∆V| = |∆V1 | + |∆V2 | = +
C1 C2
perciò due o più capacità in serie sono equivalenti ad una capacità il cui
124 pietro oliva
Circuito RL
NI
B = µ0
d
quindi un flusso
N2 πr2 µ0
φB = Nπr2 B = I
d
N2 πr2 µ0
In tale caso allora L = d . Tale induttanza può essere molto piccola
e spesso nei circuiti reali viene ignorata, però è sempre presente poiché
anche solo un filo reale chiuso in cui scorre corrente ha sempre un campo
magnetico associato e dunque un flusso.
Prendendo ad esempio il circuito RL di Fig. 84, vediamo cosa succede
in transitorio alla chiusura dello switch: a t = 0 quando I = 0. La cor-
rente comincia a scorrere ma l’induttanza combatte contro la variazione
di flusso facendo crescere I da zero a V/R con una legge esponenziale.
Risulta evidente che non ha senso parlare qui di Kirchhoff alla ma-
− →
H→ −
glia poiché stavolta E · dl , 0. Piuttosto bisognerà usare la legge di
dφ
Faraday per la quale tale circuitazione vale − dtB = −L dI dt . Ma allora
evidenziamo i versi del campo elettrico e circuitiamo nel verso della
corrente. Partiamo dall’induttore: ovviamente essendo E = 0 lungo
esso, la parte di circuitazione relativa dà contributo nullo. Nella resi-
stenza l’integrale fornisce, come sappiamo, RI. Passando infine dentro
il generatore dove il campo ha verso opposto a quello di circuitazione
lezioni di fisica ii 125
dI dI
V−L = RI → RI + L −V = 0
dt dt
La soluzione di RI + L dI
dt − V = 0 è
R
I = Imax 1 − e− L t dove Imax = V/R (175)
R
I = Imax e− L t dove Imax = V/R (176)
Circuito RL
integriamo
Zq Zt
dq0 (t) 1
0
=− dt0 → q(t) = Qe−t/τ
q (t) RC
Q 0
dq(t) 1 dq(t) 1
= dt → = dt
q(t) R (CV − q(t)) RC
V− C
ZQ Zt
dq(t) 1 0
= dt
(CV − q(t)) RC
0 0
Troviamo che
q(t) − CV t t
ln =− → q(t) = CV 1 − e− RC
−CV RC
lezioni di fisica ii 127
integriamo
Zq Zt
dq0 (t) 1
0
=− dt0 → q(t) = Qe−t/τ
q (t) RC
Q 0
Dopo tutto quello che abbiamo visto è evidente che produrre un segnale
di tipo sinusoidale è facilissimo: basta far ruotare una spira ove scor-
re una corrente continua all’interno di un campo magnetico uniforme
come in Fig.86. Generiamo così nella spira una f.e.m. indotta di tipo si-
nusoidale v(t) = V0 sin(ωt). È perciò sempre facile ottenere un segnale
elettrico del tipo
i(t) = I0 sin(ωt − φ) (177)
Figura 87: Il generatore di corrente
dove il segno convenzionale negativo per la fase ha motivi solo storici.
alternata con un carico capacitivo C.
Basta connettere un carico ai capi del generatore. Sia la configurazione
più semplice possibile (a parte il corto circuito), quella ottenuta con-
nettendo un resistore solo, ai suoi capi cadrà tutta la d.d.p. come da
Fig.86:
vR = v(t) = V0 sin(ωt)
vR V
iR = = I0 sin(ωt − φ) → I0 = 0 e φ = 0 (178)
R R
Vediamo cosa succede per gli altri elementi circuitali passivi: connet-
tiamo ad esempio un condensatore solo come in Fig. 87. Con gli stessi
128 pietro oliva
ragionamenti
La corrente che scorrerà nel circuito sarà dunque la derivata della carica:
d
iC = Q = CV0 ω cos(ωt)
dt
volendo unificare la notazione al caso resistivo riscriviamo la corrente
come
V0 π 1 π
iC = sin ωt + → XC = e φ=− (180)
XC 2 ωC 2
d
Figura 88: Il generatore di corrente vL = L iL = V0 sin(ωt)
dt
alternata con un carico induttivo L.
quindi troviamo la corrente facendo l’integrale
Z
V0 V0
iL = sin(ωt) dt = − cos(ωt)
L Lω
V0 V0 π π
iL = − cos(ωt) = sin ωt − → XL = ωL e φ = (181)
Lω XL 2 2
Condizioni di lavoro in CA
a(t) = a (t + nT ) n∈N
lezioni di fisica ii 129
φR = 0 φL = π/2 φC = −π/2
V = I·Z (182)
Z = R + jX
Z̄−1 { Y = G + jS
V1 V N2
f.e.m. = = 2 ⇒ V2 = V1 (183)
N1 N2 N1
N1
V1 I 1 = V2 I 2 ⇒ I2 = I1 (184)
N2
~
!
~
~ ~
~
~ ~
2~ ~ ∂B ∂ ~ ~
∇× ∇×E = ∇ ∇·E −∇ E = ∇× − =− ∇×B
∂t ∂t
~= ∂ ~ ~
∇2 E ∇×B (189)
∂t
132 pietro oliva
~ ~
!
2~ ∂ ∂E ∂2 E
∇ E= µ0 ε0 = µ0 ε0 2 (190)
∂t ∂t ∂t
~
∂2 E
~ − µ0 ε0
∇2 E =0 (191)
∂t 2
Gli stessi identici ragionamenti potevano essere fatti per il campo ma-
gnetico che quindi soddisferà anch’esso un’equazione identica:
~
∂2 B
~ − µ0 ε0
∇2 B =0 (192)
∂t2
Per puro spirito di eleganza solitamente si usa riscrivere le (191)+(192)
come un certo operatore che agisca sui due campi, elettrico e magnetico:
2−µ ε ∂
2
∇ 0 0
~=0
E
∂t2
Figura 90: Jean Le Rond d’Alembert (1717
- 1783), enciclopedista, matematico, fisi- (193)
∂2 ~
co, filosofo ed astronomo francese, tra le
∇ − µ0 ε0 2 B = 0
2
più influenti figure dell’Illuminismo.
∂t
∂2
L’operatore ∇2 − µ0 ε0 2 è detto operatore di d’Alembert o più strin-
∂t
gatamente dalembertiano, ed è indicato con un simbolo speciale, un
quadrato , di modo da poter scrivere compatte le equazioni trovate:
~=0
E
(194)
~=0
B
1 ∂2
∇ − 2 2 f (~
2
x, t ) = 0 (195)
v ∂t
1
v= √
µ0 ε0
lezioni di fisica ii 133
“Questa velocità è così vicina a quella della luce che ho ragione di supporre
che la luce stessa sia un’onda elettromagnetica”
~ = q(E
se F ~+~ ~) = 0
v×B allora
~+~
E ~=0
v×B ⇒ ~=B
E ~ ×~
v
dove nel secondo passaggio ormai abbiamo sostituito alla velocità ge-
nerica v con quella della luce c ed abbiamo ammesso una combinazione
lineare di un termine che descrive la propagazione dell’onda nel verso
delle x crescenti ed il termine che include la possibilità di movimento
dell’onda nel verso negativo delle x (il pezzo g(x + ct)).
Fisica Moderna: il Modello Standard
Fermioni e Bosoni
Adroni e materia
I quark, tenuti insieme dalla forza forte, compongono particelle che ven-
27
dal gr. ἀδρός, corpulento, spesso. In gono dette adroni27 . Gli adroni sono dunque quelle particelle non ele-
opposizione ai leptoni.
mentari soggette alla forza forte ed aventi una certa estensione spaziale
rilevabile. Esse si dividono ulteriormente in due tipologie:
lezioni di fisica ii 137
Barioni Sono gli adroni composti da tre quark e sono fermioni. Per
motivi storici sono considerate “pesanti”, da cui il nome che viene
dal greco βαρύς, pesante. Alcuni tra i barioni, i protoni ed i neutroni,
sono i componenti dei nuclei atomici e per tale motivo vengono detti
nucleoni.
~ g = −G Mm r̂
F (196)
r2
che come appare evidente è sempre attrattiva poiché al numeratore le
“cariche” che la generano (le masse) possono solo avere segno positivo.
In modo del tutto simile una carica elettrica Q genera un campo
~
E = 4π1 Q
r̂, dove la costante29 per motivi storici è espressa in termini 29
ai fini del calcolo basta ricordare che
0 r2 1
∼ 1010 m F−1 .
della costante dielettrica del vuoto 0 ' 8, 85 · 10−12 F m−1 , tale da attrarre 4π0
~C = 1 Qq
F r̂ (197)
4π0 r2
138 pietro oliva
~L = q~
F ~
v×B (198)
dove per adesso non ci occupiamo della forma funzionale di B.~ Unendo
gli effetti del campo elettrico e magnetico su una carica esploratrice q
s’ottiene la forza del campo elettromagnetico
~e.m. = q(E
F ~+~ ~)
v×B (199)
Forza forte
Forza debole
Cosmologia Moderna
Pertanto risulterà
Vα−β ȧ(t)
= ≡ H (t) (201)
Dα−β a(t)
dove la dipendenza dalle particolari galassie α e β è sparita. Il parametro
H (t) è detta pertanto costante di Hubble anche se con il termine “co-
stante” ci si riferisce all’indipendenza dal particolare riferimento sulla
griglia e non alla costanza nel tempo che invece evidentemente non c’è.
Allo stato attuale H0 ∼ 68 km·s−1 ·Mpc−1 . Esiste dunque una legge che
lega velocità d’allontanamento di una galassia rispetto qualunque altra
Figura 94: Le intersezioni tra due punti
in proporzione con la distanza relativa tra le due, detta legge di Hubble: adiacenti della griglia distano sempre
∆x ma la distanza in metri tra due
galassie α e β adiacenti sulla griglia di
Vα−β = H0 Dα−β (202) riferimento è Dα−β = a(t)∆x e varia in
funzione del tempo. Tra due galassie
che ci conferma che più una galassia è distante più si allontana da noi generiche ν p e µ vi sarà invece distanza
con velocità elevata. Dν−µ = a(t) ∆x2 + ∆y2 + ∆z2 ≡ a(t)R.
Si può fare di più: possiamo dimostrare che l’universo così come lo Sopra: la griglia al tempo t0 dove il
fattore di scala vale a(0). Sotto: la griglia
osserviamo non può essere fermo almeno che non sia vuoto. A tal fine a t > t0 dove il fattore di scala vale
valutiamo la forza d’attrazione gravitazionale tra due galassie centran- a(t) > a(0) e quindi Dα−β (t) > Dα−β (0)
seppur per definizione ∆x rimane
do il nostro sistema di riferimento in una delle due come da Fig. 95. costantemente l’unità di griglia.
Per il noto teorema di Gauss l’unico contributo sulla galassia β per una
forza con dipendenza ∝ 1/D2 proviene da tutta la materia all’interno
della sfera di raggio D e ha risultante nulla ogni altra interazione con
masse al di fuori. La forza che attrae la galassia β di massa m verso il
centro del sistema di riferimento sarà dipendente da tutta la massa M
interna alla sfera come se essa fosse concentrata nell’origine; si scriverà
pertanto la seconda legge della dinamica come
Mm
−G = mD̈α−β
D2α−β
ä(t) 4
= − πGρ (203)
a(t) 3
1 Mm 1 M
mV 2 − G =0 → ȧ(t)2 R2 − G =0
2 D 2 a(t)R
da cui
2
2 M ȧ(t) M 8π
ȧ(t) = 2G → = 2G = Gρ
a(t)R3 a(t) a(t)3 R3 3
1 Mm M 2E
mV 2 − G =E → ȧ(t)2 R2 − 2G =
2 D a(t)R m