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AZIONE E CONTEMPLAZIONE
1. PREMESSA
3.1. La radice del fare. Connesso al tema dell’azione, c’è quello della vocazione.
È principio ispiratore e unificatore di ogni espressione operativa. È quello che
comunemente si chiama l’ideale, con al centro l’opzione fondamentale. Che agisce
come motivo totalizzante, all’interno della quale tutte le altre si muovono e da cui
promanano: si tratta della causa esistenziale o motivo di vita. È la causa per cui si
vive.
L’azione si specifica negli atti delle varie aree. E questi atti ripetuti si coagulano
attorno ai cosiddetti ruoli. Il soggetto dei ruoli è il personaggio. La persona si porta
dentro tanti personaggi, spesso scoordinati e contraddittori. Il potenziamento di un
personaggio o di un altro senza l’unità vitale può produrre la frantumazione interiore
della persona. Questa è chiamata a fare sintesi interiore dei ruoli, lottando contro il
proprio assorbimento nel personaggio pluriforme. La persona, come abbiamo già vi-
sto, non arriverebbe mai al livello di personalità senza l’unità. È necessaria, pertanto,
l’unificazione interiore sistematica, che faccia come da collante e principio vitale tra i
vari ruoli. Mounier parla di vocazione, vera chiamata della persona all’auto-
costruzione. Per individuarla, è necessario portarsi – egli dice – al «piano della
coscienza, al di sopra della dispersione della mia individualità».4
Ora, nella coscienza si avverte l’esigenza di un ordine interno coagulante ogni atto
attorno, appunto, all’asse vocazionale.
3.2. Lo sbocco del fare. Tutta la vita dell’uomo diventa unitaria perché ispirata
e stimolata da questo obiettivo onnicomprensivo, che è vera motiv-azione o motus ad
actionem totalizzante. Ogni vocazione è una chiamata da parte di uno che ha
l’autorità o l’autorevolezza di inviarla. Vocazione è funzionale alla missione. La
missione, prima ancora che questo o quel compito da svolgere, è presenza dell’uomo
al proprio presente storico. E qui riaffiora la centralità della dimensione della storicità,
intesa come struttura della coscienza dell’uomo atta ad elaborare progetti, a partire
dall’esperienza della memoria, nel presente carico di coscienza dell’impegno.
Vocazione è, dunque, chiamata ad un coinvolgimento di esistenza, rivolta ad una
persona e da essa percepita. Tale coinvolgimento è una sorta di prolungamento della
sua incarnazionalità. La storia è come il prosieguo dell’uomo, considerato in quanto
reticolato di rapporti. Come lo spirito non sussiste se non in quanto spirito incarnato,
così lo spirito incarnato non esiste di fatto che in quanto immagliato nel suo tessuto
naturale che è la storia.
È questo è lo sfondo teoretico della descrizione etica mounieriana, che arriva a
parlare della persona umana come «présence» e «engagement». Poiché, però, questa
presenza di coinvolgimento si trova davanti situazioni di ambiguità, allora diventa
affrontement.5 Che è dire di no, in termini di concretezza, all’intollerabile disumano.
È, questa, la premessa all’impegno, che è la discesa in campo per mettere in conto la
4Ivi, p. 71.
5ID., L’affrontamento cristiano, Ecumenica, Bari 1984.
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donazione della propria vita al di là di ogni astrazione spiritualistica. 6 L’engagement è
dunque l’investimento delle ricchezze di tipo reattivo dell’affrontement in funzione
della progettualità. Insieme, costituiscono la presenza dell’uomo, considerato tra la
dimensione interiore della storicità e la costruzione impegnata della storia.
Il fare dell’uomo in quanto tale è l’espressione del suo essere come spirito
incarnato. Le due forme sono l’otium come il fare contemplativo, il negotium come
fare operativo.
Abbiamo già accennato alla contemplazione, parlando della scalarità del terzo
grado del fare come theoría o contemplazione. Si diceva, anche se in misura minima o
nel modo implicito, che essa è radice del senso del fare (poiéin) come lavorare, e del
fare come lavorarsi (práttein). La contemplazione non è un lusso riservato a particolari
soggetti. È, invece, una dimensione dell’essere-uomo. E pertanto, è esigenza di spazio
per la sua realizzazione. La sua atrofia a cui tende l’uomo contemporaneo, che si
stordisce nell’effimero, induce una lenta insensibilità all’aspetto contemplativo della
vita. Tuttavia, ciò non significa negazione della costituzione antropologica. Del resto,
anche il più deconcentrato in questa esperienza non può sfuggire, almeno per un
istante, di tanto in tanto, al fascino di un panorama o di un volto. E che cos’è questa
esperienza, se non un frammento di esercizio della contemplazione e,
conseguentemente, il segno della struttura estatico-estetica dell’uomo? La
contemplazione è atteggiamento di attenzione, di concentrazione, di partecipazione e
di assimilazione da parte di un soggetto rispetto ad un termine di conoscenza di tipo
a-teoretico. Essa, infatti, non va collocata sul piano razionale, ma su quello della
conoscenza esperienziale d’amore. Non si tratta di una conoscenza di ragione, ma
piuttosto di intuito. È visione e riposo nell’oggetto. Ed è altresì carica di stupore.7
Esso, è la reazione del soggetto contemplante all’armonia fascinosa del terminus
ad quem della contemplazione. E si realizza davanti all’«attrazione che il perfetto
esercita sull’imperfetto, alla quale diamo nome amore».8 La contemplazione non è
una forma di conoscenza indistinta.
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5.1. Semplicità. La contemplazione è uno sguardo di sintesi, d’intensità profonda.
È il raccogliere in un solo colpo tutto l’essere che è davanti e, in esso, contemplare
l’immensità dell’essere. È la reductio ad unum, proprio perché è andare al cuore del
reale, visto in comunione con il suo fondamento e con tutto l’essere.
Il terminus ad quem della contemplazione è colto nella globalità e nella
simultaneità della visione, a partire dal suo centro radiale, così come appare al
soggetto contemplante. E c’è in questa operazione gratuita, una tensione alla durata.
Non è un’operazione che può riuscire nella frettolosità o prescindere dall’avvertire il
bisogno della sosta. Tale sosta non è mai staticità e immobilismo, bensì stabilità e
dinamismo. Lo spirito che contempla è sommamente dinamico nell’azione ovvero
teso alla penetrazione, quanto più possibile profonda, della realtà che ha davanti, per
poter raggiungere il centro intimo della sua esperienza.
5.4. Instancabilità. Viene escluso qui il rischio della noia e della stanchezza. La
noia esistenziale si presenta come sazietà, che è una sorta di pienezza di essere al
negativo. Dà sensazione di pesantezza. Consiste nel sentirsi riempito di zavorra. E
appunto quando questa sazietà tocca traguardi soffocanti, si ha l’esperienza della
noia.11
Qui, invece, è dirigersi e far centro proprio sul centro dell’essere collegato al
Fondamento dell’essere. In ogni esperienza di contemplazione c’è un virtuale
dispiegamento su tutti gli indefiniti esseri e sull’infinito Essere che li fonda, per cui la
novità è assicurata costantemente durante l’esperienza. E la novità è il segreto
dell’instancabilità.
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d’ essere. E l’essere-altro si disvela non a chi ha l’atteggiamento dominativo, ma
attentivo.
Questo incentrarsi nel termine contemplato ha un certo grado di recettività. Va
tuttavia esclusa la sua identificazione con la passività. La recettività è la libertà
accogliente, che si consegna gratuitamente. Ora, la decisione di ricevere l’altro in sé è
quanto di più attivo si possa immaginare: tutto l’essere è coinvolto nella decisione di
farsi grembo nell’esperienza contemplativa. Notiamo, poi, che la gratuità è il
disinteresse pratico derivante dalla decisione di farsi assimilare dall’amato contempla-
to. E assimilare non significa farsi annullare, ma decidere di essere simile (ad-similarsi).
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Il soggetto contemplante viene, per dir così, rapito dal termine della
contemplazione, se questi si presenta con una particolare forma di armonia, se la
bellezza lo caratterizza. E la bellezza è il fulgore dell’essere. Ogni essere molteplice
mostra una convergenza della pluralità verso l’unità.
Ora, ciò che è bello si ama.14 L’amore, come abbiamo detto, ha come suoi
caratteri costitutivi l’esteticità e l’estaticità.15 Qui aggiungiamo lo specifico nei termini,
cioè, del rapporto di stimolo e risultato. La contemplazione è, dunque, l’espressione
dell’essere in dinamismo verso la bellezza dell’essere contemplato.
6. CONTEMPLAZIONE E TRASCENDENZA
14 «Noi non posiamo amare nient’altro che ciò che è bello» (AGOSTINO, Confessioni, 4,13,20; PL
32,701).
15Cf. S. PALUMBIERI, Amo, dunque sono, Op. cit., pp. 129-133.
16Cf. P. PRINI, L’ambiguità dell’essere. Op. cit.
17E. MOUNIER, Il personalismo, Op. cit., pp. 41-42.
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7. VITA PRATICA E VITA CONTEMPLATIVA