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LA STUPIDITÁ HA FATTO PROGRESSI

MARCELLO VENEZIANI SU “LA VERITÁ” – 29 NOV 2020 ( SITO )

Peggio della stupiditá c’é solo la stupiditá che si presume intelligente. La semplice stupiditá o la
stupiditá dei semplici alla fine la sopporti, puó fare in certi casi tenerezza e perfino simpatia. Ma
la stupiditá complessa o la stupiditá dei presuntuosi, che ritengono di rappresentare lo Spirito del
Mondo, il Senso Corretto della Storia, é insopportabile. Parafrasando Ortega y Gasset, lo stupido,
sentendosi nello spirito del tempo, proclama il diritto alla stupiditá e la impone dappertutto.

Citavo non a caso Ortega perché lui si chiedeva come mai nessun filosofo ha dedicato uno studio,
un saggio alla stupiditá. Lo ha fatto un letterato come Robert Musil, lo ha fatto piú di recente un
economista brillante, come Carlo M. Cipolla, ma non c’é una teoria filosofica della stupiditá. Alla
stupiditá ha invece voluto dedicare un doppio philoshow, cioé uno spettacolo pop filosofico, la
rassegna Biumor di Popsophia a Tolentino, a cura di Lucrezia Ercoli, in questo fine settimana, con
molti ospiti (come me “da remoto”).

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Il paradosso é che la filosofia e la stupiditá hanno la stessa matrice: lo stupore. Platone e Aristotele
ci dicono infatti che la filosofia sorge dalla meraviglia, lo stupore di essere al mondo e di conoscere.
Ma anche la radice di stupido proviene da stupore, lo stupido é, come il filosofo, uno che si
stupisce. La differenza é che nel filosofo lo stupore origina la conoscenza, mentre nello stupido la
conoscenza origina lo stupore. Il filosofo passa dallo stupore alla riflessione, lo stupido resta
imbambolato nello stupore… Nel filosofo la conoscenza é un processo, nello stupido é un
contatto. Il punto d’unione tra il filosofo e lo stupido é il bambino in erba che é in ambedue.

Dicevamo prima la “stupiditá intelligente”. Ne scrivevano due pensatori tradizionalisti come Fritif
Schuon e Julius Evola e un cattolico come Georges Bernanos se la prendeva con gli “imbecilli
intellettuali”. Si riferivano a quella “chiusura della mente”, per dirla con Allan Bloom, che colpisce
proprio coloro che presumono di detenere il monopolio del sapere, gli intellettuali saccenti e
supponenti; o gli esperti che sanno tutto della loro materia specialistica ma nulla della realtá e dei
complessi intrecci; é “la barbarie dello specialismo” (ancora Ortega) senza visione del mondo.

Bisogna aggiornare l’antropologia quando si parla di stupiditá. Lo stupido era tradizionalmente


l’ingenuo, lo sciocco, che ride facilmente (risus abundat in ore stultorum, ma il riso abbonda anche
sulla bocca degli dei). Oppure lo scemo di guerra, che aveva perso il senno in guerra. Si definiva
anche cretino, che é un francesismo di origine provenzale e si riferiva al povero cristiano, devoto
e ignorante. Ma per Sant’Anselmo lo sciocco, ovvero l’insipiens, era l’ateo nella sua disputa con
Gaunilone. Il cristiano puro é invece l’Idiota per Dostoevskij.

Stupido era considerato lo sprovveduto che veniva dalla campagna in cittá o dalla provincia nel
grande centro, chi scendeva dai monti o dalle valli, e giá il suo dialetto, il suo modo di vestire, il
suo sguardo, denotavano la sua “ingenuitá”. Dividendo gli italiani tra furbi e fessi, Prezzolini era
indulgente coi fessi, raggirati e oppressi dai furbi. Il racconto nazionale nella commedia all’italiana
é tutto giocato sulla doppia corda della furbofessaggine.

Gli stupidi sono considerati la maggioranza, e cent’anni fa Albert Einstein ironizzava sugli stupidi
considerando da un verso il loro numero infinito, dall’altro la loro illimitata scemenza. Ma
l’istruzione di massa, il progresso scientifico e tecnologico, la democrazia non hanno cancellato,
o ridotto, la stupiditá; l’hanno solo modificata geneticamente e l’hanno attrezzata di
strumentazioni piú sofisticate. É passato un secolo e la stupiditá ha fatto progressi. Cent’anni di
scemitudine, parafrasando Marquez… La stupiditá da passiva si é fatta attiva, e dunque produce
piú danni. Si é fatta tecnologica, hi tech, stupiditá ad alta definizione. É andata al potere, ha
inventato un suo canone e un suo lessico, il politically correct, che é frutto dell’incrocio tra
ideologia e stupiditá, tra intolleranza e imbecillitá.

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Dal vecchio prototipo dello stupido – il paesano, il campagnolo, chiuso nel suo piccolo mondo –
al nuovo prototipo, “l’idiota globale” che viaggia, conosce le lingue, magari é nativo digitale,
naviga nel web; ma pensa da idiota, etimologicamente, cioé chiuso nel recinto ristretto del suo
privato, del suo presente e della sua dimestichezza coi mezzi tecnici. Sa mettersi in contatto in
tempo reale col mondo, ma non ha nulla da comunicare. Pura stupiditá. Imbecille é colui che ha
bisogno del baculum, del bastone, per reggersi. Il bastone dell’idiota globale é il suo smartphone
o il suo tablet, senza del quale si sente perduto.

Abbiamo girato intorno alla stupiditá ma senza definirla. Trattandosi di una carenza proviamo a
definirla a rovescio, partendo dal suo contrario. Se l’intelligenza é la capacitá di leggere dentro le
cose (intus legere), di collegarle e trascenderle, é l’eccedenza del possibile sul reale, la stupiditá é
l’incapacitá di leggere dentro le cose, di collegarle e di trascenderle, é la prevalenza dello
stereotipo rigido sulla realtá e sulle possibilitá. La pazzia, al contrario, é la prevalenza
dell’impossibile sul reale, stabilendo nessi che non corrispondono alla realtá.

E tuttavia una cosa va alla fine ammessa: gli stupidi non sono una razza, un’etnia a sé stante. L’ala
della stupiditá colpisce a volte anche le menti piú acute, notava Baudelaire; a volte il genio é un
imbecille discontinuo, eccelle in un campo o nell’intuizione ma é stupido nel resto delle cose, di
solito quelle pratiche. Stupidi siamo un po’ tutti, seppure in gradi diversi. Chi di passaggio, chi in
prevalenza, chi in permanenza. Si tratta di stabilire la modica quantitá e la brevitá della sosta.

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