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Mielofibrosi primaria.

Progressi nella diagnosi e terapia

 http://www.ematologia-pavia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=111&Itemid=83

Dott. Elisa Rumi, Dott. Chiara Elena, Prof. Mario Lazzarino, Prof. Mario Cazzola. Clinica Ematologica
Istituto Scientifico Policlinico San Matteo – Università di Pavia

Definizione

La mielofibrosi primaria (PMF) è una neoplasia mieloproliferativa conseguente alla proliferazione clonale
della cellula staminale emopoietica con incremento prevalente della serie mieloide e megacariocitaria.
Nella fase conclamata della malattia tale proliferazione si associa a fibrosi midollare reattiva e ad
emopoiesi extramidollare.

La mielofibrosi può insorgere come disturbo primitivo del midollo (Mielofibrosi primaria) o
rappresentare l’evoluzione di una Policitemia Vera o di una Trombocitemia essenziale (Mielofibrosi
post-policitemia e Mielofibrosi post-trombocitemia).

La fibrosi midollare non è sinonimo di mielofibrosi primaria in quanto esistono altre patologie che
possono accompagnarsi ad un aumento della fibrosi midollare, quali alcune neoplasie emopoietiche, le
metastasi di tumori solidi, le malattie autoimmuni, l’iperparatirodismo, il deficit di vitamina D,
l’ipertensione polmonare, il trattamento con fattori di crescita (es. analoghi della trombopoietina), alcune
infezioni (es. AIDS, leishmaniosi). In tali situazioni si parla di “fibrosi midollare” e non di “mielofibrosi”.

Epidemiologia

L'incidenza è di 0.25-1.5 casi per 100.000 abitanti all'anno. La malattia si presenta prevalentemente
nella sesta decade di vita con uguale frequenza nei due sessi. Sono tuttavia riportati in letteratura
numerosi casi ad insorgenza giovanile.

Patogenesi

Basi molecolari

La mielofibrosi è caratterizzata da una proliferazione della linea megacariocitaria e granulocitaria, con


fibrosi midollare reattiva ed emopoiesi extramidollare.

Sebbene non sia nota la mutazione genetica iniziale capace di scatenare la proliferazione clonale e quindi
l’insorgenza della malattia, il 50-60% dei pazienti presenta la mutazione JAK2 V617F del gene Janus
kinase 2. Tale mutazione è stata scoperta nel 2005 dall’Ematologia sperimentale dell’Università di
Basilea in collaborazione con l’Ematologia di Pavia. La proteina JAK2 è coinvolta nel meccanismo di
trasduzione del segnale dal recettore di membrana (ad esempio il recettore dell’eritropoietina o della
trombopoietina) al nucleo. La mutazione JAK2 (V617F) coinvolge il dominio autoinibitorio della proteina
JAK2 e quindi determina un aumento dell’attività di JAK2 con conseguente eccessiva trasduzione del
segnale e mieloproliferazione.

Nei pazienti affetti da mielofibrosi privi della mutazione JAK2 (V617F) si è cercato di individuare
eventuali altre mutazioni. Ciò ha portato ad identificare nel 5-10% dei pazienti con mielofibrosi
mutazioni del gene MPL che codifica per il recettore della trombopoietina.

Le mutazioni di JAK2 e MPL non sono specifiche della mielofibrosi, non sono mutualmente esclusive e
probabilmente rappresentano eventi secondari ad un evento mutazionale non ancora identificato.

La mieloproliferazione clonale della mielofibrosi si accompagna ad uno stato infiammatorio


responsabile della fibrosi midollare reattiva.
Clonalità

Circa un terzo dei pazienti con mielofibrosi primaria presenta alterazioni cromosomiche, e le anomalie
riscontrate più frequentemente sono delezioni delle braccia lunghe del cr. 20, delezioni delle braccia
lunghe del cr. 13, trisomie dei cr. 8 e 9 e le anomalie del cromosoma 1. Oltre a costituire un marcatore
di clonalità, le anomalie del cariotipo rivestono un ruolo importante nella prognosi della malattia, come è
stato recentemente confermato da numerosi studi clinici in tale ambito, in base ai quali il cariotipo viene
classificato come “favorevole” o “sfavorevole” ed associato ad una diversa evolutività della malattia.

Forme familiari

La Clinica Ematologica di Pavia conduce da tempo studi biologici e clinici per la definizione delle forme
familiari di Policitemia vera, Trombocitemia essenziale e Mielofibrosi primaria. Tali studi hanno permesso
di definire che la prevalenza delle forme familiari (in cui più membri di uno stesso nucleo familiare sono
affetti da una malattia mieloproliferativa cronica Philadelphia-negativa) è circa del 7%. La trasmissione è
di tipo autosomico dominante a penetranza ridotta. Non vi è evidenza che vi sia una trasmissione diretta
delle mutazioni dei geni JAK2 o MPL tra le diverse generazioni, ma piuttosto che venga ereditata una
predispozione a sviluppare la malattia mieloproliferativa cronica e che le suddette mutazioni oggi note
costituiscano un evento secondario. L’andamento clinico delle forme familiari è simile a quello delle
forme sporadiche. Da alcuni anni sono in corso studi di collaborazione tra l’Ematologia di Pavia ed il
Center of Molecular Medicine (CeMM) dell’Università di Vienna, per definire le modalità di trasmissione
genetica di queste malattie e per identificare precocemente i soggetti con tali forme familiari.

Quadro clinico

All'esordio della malattia circa il 30% dei pazienti è asintomatico e la malattia viene scoperta per il
riscontro occasionale di splenomegalia all'esame obiettivo o di anemia, leucocitosi e/o piastrinosi
all'esame emocromocitometrico. Più raramente la diagnosi viene posta in seguito al riscontro di screzio
leuco-eritroblastico allo striscio di sangue periferico o di valori elevati di lattico deidrogenasi (LDH)
sierica. Nella fase prefibrotica iniziale l'unico dato clinico può essere rappresentato dalla piastrinosi, con
problemi di diagnosi differenziale rispetto alla trombocitemia essenziale.

Nel 70% dei casi i pazienti presentano sintomi sistemici quali sudorazioni notturne, perdita di peso
(calo superiore al 10% del peso corporeo in 6 mesi), febbre. La splenomegalia è presente alla diagnosi
nel 90% dei pazienti e l'epatomegalia in circa il 50% dei pazienti.

I pazienti con mielofibrosi presentano spesso un incremento nel numero dei progenitori circolanti
CD34-positivi. Il CD34 è un antigene di superficie presente nell’1% delle cellule midollari e nello 0,1%
delle cellule nucleate circolanti e rappresenta un marcatore di immaturità dei progenitori emopoietici
mieloidi. I pazienti con mielofibrosi hanno valori di cellule CD34+ circolanti nel sangue periferico
superiori rispetto alla popolazione sana e rispetto a pazienti affetti da altre neoplasie mieloproliferative
Philadelphia-negative. In base al range di normalità in uso presso il nostro laboratorio si considerano
elevati valori di cellule CD34-positive superiori a 12/µl.

Le principali complicazioni delle fasi più avanzate della malattia sono l’evoluzione in leucemia acuta, le
infezioni, le emorragie, l’ipertensione portale e l’insufficienza epatica secondarie a trombosi splancnica o
a metaplasia mieloide, i fenomeni trombotici.

Dal punto di vista morfologico, l’esame microscopico di uno striscio di sangue periferico evidenzia la
presenza di screzio leuco-eritroblastico e di dacriociti (eritrociti a forma di lacrima). La biopsia
osteomidollare (esame essenziale per la diagnosi di questa patologia) evidenzia una proliferazione di
megacariociti atipici, frequentemente disposti in aggregati (“clusters”) densi con fibrosi reticolinica di
grado variabile. Nella mielofibrosi in fase prefibrotica (“early myelofibrosis”), la fibrosi è assente ma la
diagnosi di malattia è suggerita dalla presenza di un midollo ipercellulare con un aumentato numero di
megacariociti atipici associato ad iperplasia granulocitaria ed ipoplasia eritroide.
L'emopoiesi extramidollare interessa prevalentemente la milza e il fegato, con conseguenti
splenomegalia e epatomegalia, ma può anche coinvolgere sedi insolite quali il polmone, la pleura, il
pericardio, la regione paravertebrale ecc. causando sintomi particolari a seconda dell’organo coinvolto.

Decorso della malattia

I pazienti affetti da mielofibrosi presentano un rischio trombotico più elevato rispetto a quello della
popolazione generale, con un’incidenza pari a 2 eventi per 100 pazienti/anno. Tali eventi riguardano più
frequentemente i pazienti di età superiore ai 60 anni ed i portatori della mutazione V617F di JAK2.

L’evoluzione leucemica è un evento infrequente nel corso della mielofibrosi, riportata nel 5-30% dei casi.
Deve essere sospettata quando si assiste ad un sensibile aumento o riduzione dei globuli bianchi o ad
una riduzione di piastrine ed emoglobina con febbre o manifestazioni emorragiche. Queste leucemie sono
caratterizzate nella maggior parte dei casi da tipiche alterazioni del cariotipo, quali delezioni parziali o
totali dei cromosomi 5 e/o 7 e 17.

Diagnosi e diagnosi differenziale

I criteri per la diagnosi di mielofibrosi primaria sono definiti in accordo alla classificazione WHO 2008 e
comprendono valutazioni cliniche, morfologiche, genetiche e molecolari. Per la diagnosi è necessaria la
presenza di tre criteri maggiori e di almeno due criteri minori.

Criteri maggiori:

1. Proliferazione megacariocitaria con atipie, cluster densi e fibrosi reticolinica; in assenza di fibrosi
(mielofibrosi prefibrotica) le anomalie megacariocitarie devono essere accompagnate da aumento della
cellularità midollare, proliferazione granulocitaria e riduzione dell’eritropoiesi
2. Esclusione di leucemia mieloide cronica, policitemia vera, sindromi mielodisplastiche ed altre
neoplasie mieloidi
3. Presenza della mutazione JAK2 (V617F) o altro marcatore clonale; se assenti esclusione delle
forme di fibrosi midollare reattiva

Criteri minori:

1. Screzio leucoeritroblastico
2. Aumento della latticodeidrogenasi sierica (LDH)
3. Anemia
4. Splenomegalia palpabile

La classificazione WHO del 2001 identificava una fase precoce di mielofibrosi primaria, detta
mielofibrosi in fase prefibrotica caratterizzata a livello midollare dalla presenza di una cellularità
aumentata e dall’assenza di fibrosi. Da un punto di vista clinico, il paziente in fase prefibrotica presenta
in genere modesta leuco-piastrinosi, anemia di grado lieve, non è splenomegalico, ha valori normali o
solo lievemente aumentati di LDH, può avere un valore di progenitori CD34 positivi circolanti inferiore a
12/µl. Tale condizione clinica è ancora riconosciuta dalla classificazione WHO 2008 purchè il paziente
presenti dal punto di vista clinico almeno due dei quattro criteri minori.

La Mielofibrosi si può sviluppare tardivamente nel corso della policitemia vera o della trombocitemia
essenziale: Mielofibrosi post-policitemia, Mielofibrosi post-trombocitemia. L'intervallo tra le due
malattie supera in genere i 10 e 15 anni rispettivamente. Si manifesta con la comparsa di una
sintomatologia sistemica e con una progressiva citopenia trilineare (riduzione di leucociti, emoglobina e
piastrine) associata ad un aumento della splenomegalia. I criteri per porre diagnosi di Mielofibrosi post-
Policitemia vera sono stati recentemente definiti da un gruppo internazionale (International Working
Group on Myelofibrosis Research and Treatment, IWG-MRT). Per la diagnosi sono necessari i due Criteri
principali e almeno due dei Criteri addizionali sotto riportati.
Secondo uno studio recentemente pubblicato dall’Ematologia di Pavia sono da ritenere fattori
prognosticamente negativi alla diagnosi un valore di emoglobina inferiore a 10 g/dL, oppure, durante il
follow-up, la comparsa di uno dei seguenti parametri: emoglobina inferiore a 10 g/dL, piastrine inferiori
a 100.000/µl o leucociti superiori a 30.000/µl.

Criteri IWG-MRT per la diagnosi di Mielofibrosi post-policitemia vera

Criteri principali

♦ Precedente diagnosi di Policitemia vera (secondo i criteri WHO)


♦ Fibrosi midollare di grado II-III (secondo i criteri europei EUMNET, European Myelofibrosis Network)

Criteri addizionali

♦ Anemia; oppure non necessità di salasso o chemioterapia


♦ Screzio leuco-eritroblastico allo striscio di sangue periferico
♦ Splenomegalia (alla visita incremento della milza di 5 cm dall’arcata costale; oppure comparsa di
splenomegalia)
♦ Comparsa di almeno 1 sintomo sistemico (calo ponderale, sudorazioni notturne, febbre)

Criteri IWG-MRT per la diagnosi di Mielofibrosi post-trombocitemia essenziale

Criteri principali

♦ Precedente diagnosi di Trombocitemia Essenziale (secondo i criteri WHO)


♦ Fibrosi midollare di grado II-III (secondo i criteri europei EUMNET, European Myelofibrosis Network)

Criteri addizionali

♦ Anemia; oppure riduzione dell’emoglobina di almeno 2 g/dL rispetto al valore riscontrato alla diagnosi
di trombocitemia essenziale
♦ Screzio leuco-eritroblastico sullo striscio di sangue periferico
♦ Splenomegalia (alla visita incremento della milza di 5 cm dall’arcata costale; oppure comparsa di
splenomegalia)
♦ Incremento della latticodeidrogenasi serica (LDH)
♦ Comparsa di almeno 1 sintomo sistemico (calo ponderale, sudorazioni notturne, febbre)

Prognosi

L’International Prognostic Scoring System

Lo score prognostico attualmente in uso è l’International Prognostic Scoring System (IPSS), elaborato
nel 2008 da un gruppo di studio internazionale. Permette di stimare la sopravvivenza dal momento della
diagnosi di malattia e si basa su cinque diversi parametri di rischio: età alla diagnosi superiore a 65
anni, emoglobina inferiore a 10 g/dl, leucociti superiori a 25.000/µl, presenza di sintomi
sistemici, e percentuale di blasti nel sangue periferico pari o superiore all’1%.

Ad ogni fattore è attribuito un punto e così, a seconda del numero di fattori presenti, è possibile
suddividere i pazienti in quattro diversi gruppi di rischio: basso rischio (0 fattori prognostici negativi)
con sopravvivenza mediana di 135 mesi, rischio intermedio-1 (1 fattore) con sopravvivenza mediana
di 95 mesi, rischio intermedio-2 (2 fattori) con sopravvivenza mediana di 48 mesi, alto rischio
(almeno 3 fattori) con sopravvivenza mediana di 27 mesi.

International Prognostic Scoring System:

Fattori prognostici sfavorevoli


♦ Età > 65 anni
♦ Hb < 10 g/dl
♦ WBC > 25.000/µl
♦ Sintomi costituzionali (febbre, sudorazioni notturne, calo ponderale)
♦ Blasti nel sangue periferico pari o superiori a 1%

N° di Gruppo di
fattori rischio
0 Basso
1 Intermedio-1
2 Intermedio-2
≥3 Alto

Dynamic International Prognostic Scoring System

Gli stessi parametri di prognosi utilizzati dall’IPSS sono stati successivamente integrati in uno score
prognostico tempo-dipendente, applicabile in ogni momento della storia naturale della malattia,
chiamato DIPSS (Dynamic International Prognostic Scoring System). Ad ogni parametro viene
assegnato un solo punto, ad eccezione dell’anemia, che incide di più sulla prognosi (2 punti). Questo
score permette di identificare i pazienti che presentano un decorso della malattia più aggressivo , così da
poter orientare correttamente le scelte terapeutiche.
N° di Gruppo di
fattori rischio
0 Basso
1-2 Intermedio-1
3-4 Intermedio-2
5-6 Alto

Dynamic International Prognostic Scoring System- plus

Ancora più recentemente il DIPSS è stato modificato con l’aggiunta di tre ulteriori fattori di rischio
indipendenti, che comprendono lo stato di trasfusione-dipendenza, la piastrinopenia (PLT < 100.000/µl)
e un cariotipo sfavorevole. Sulla base del numero di fattori presenti, è possibile suddividere i pazienti in
quattro gruppi di rischio: basso rischio (nessun fattore di rischio) con sopravvivenza mediana di 15.4
anni, rischio intermedio-1 (1 fattore) con sopravvivenza mediana 6.5 anni, rischio intermedio-2 (2-3
fattori) con sopravvivenza mediana 2.9 anni, ed alto rischio (almeno 4 fattori) con sopravvivenza
mediana 1.3 anni.

Terapia

L’atteggiamento terapeutico è diverso a seconda del quadro clinico del paziente.

Nel paziente asintomatico senza voluminosa splenomegalia è possibile adottare un approccio di sola
osservazione e controllo senza terapia (watch and wait)

Nel paziente sintomatico che presenta un quadro clinico caratterizzato da citopenie periferiche o, al
contrario, da marcata mieloproliferazione (splenomegalia, leucocitosi, piastrinosi) è invece indicato un
trattamento.

Anemia
I farmaci utilizzabili per il trattamento delle citopenie periferiche sono i corticosteroidi, gli androgeni
anabolizzanti, l’eritropoietina ed i farmaci immunomodulatori.

La terapia corticosteroidea (per esempio prednisone 0.5-1 mg/kg al giorno) risulta efficace nel 30% dei
pazienti circa. L’ipertensione arteriosa, il diabete mellito e l’obesità costituiscono una controindicazione
all’ assunzione di corticosteroidi.

Tra gli androgeni anabolizzanti il più utilizzato è il Danazolo. Alla dose di 600 mg/die consente di
ottenere una risposta nel 30-40% dei pazienti con mioìelofibrosi con un tempo mediano alla risposta di 5
mesi. E’ però gravato da tossicità, prevalentemente epatica, ed è sconsigliato in pazienti con patologia
prostatica.

L’eritropoietina consente di ottenere una risposta sull’anemia in una percentuale di pazienti variabile dal
16 al 60% a seconda degli studi. La probabilità di ottenere un miglioramento dell’emoglobina è maggiore
se il livello basale di eritropoietina è inferiore a 125 mU/ml e se non vi è ancora fabbisogno trasfusionale.

I farmaci immunomodulatori agiscono grazie alla loro attività anti-angiogenetica, anti-infiammatoria,


anti-proliferativa, immunoregolatoria e pro-eritropoietica. La Talidomide a basse dosi (50 mg/die) in
associazione al prednisone consente un controllo dell’anemia nel 62% dei casi, della piastrinopenia nel
75% dei casi e della splenomegalia nel 19% dei casi. Risultati meno soddisfacenti con la Talidomide a
basse dosi in monoterapia, con risposte del 22% per l’anemia e la piastrinopenia e del 19% per la
splenomegalia. Il maggior effetto collaterale legato al suo utilizzo è costituito dall’insorgenza di una
neuropatia periferica.

La Lenalidomide, derivato della Talidomide, alla dose di 10 mg/die, per 3-4 mesi, in associazione o meno
alla terapia corticosteroidea, consente un buon controllo dell’anemia (22% dei casi) e della
piastrinopenia (50% dei casi).

La Pomalidomide è stata recentemente utilizzata in uno studio randomizzato in doppio cieco


(Pomalidomide 0,5 o 2 mg/die con o senza steroide) ed è risultata efficace per controllare l’anemia nel
23-40% dei casi a seconda del braccio di trattamento, con scarsa tossicità ematologia e senza
complicanze neurologiche.

Splenomegalia, leucocitosi e piastrinosi

Nei pazienti con spiccata mieloproliferazione (splenomegalia, leucocitosi, piastrinosi) la terapia di prima
linea è rappresentata dall’Idrossiurea (dose iniziale: 500 mg due volte al giorno). Altri farmaci utilizzabili
sono gli alchilanti (Busulfano, Melphalan) e la Cladribina, gravati però da un maggior rischio di
mielosoppressione.

Splenectomia

La splenectomia è indicata solo in caso di splenomegalia massiva sintomatica refrattaria alla terapia
citoriduttiva, con anemia trasfusione-dipendente, piastrinopenia severa o ipertensione portale
sintomatica. Tale procedura è gravata da un rischio di mortalità perioperatoria del 5-10% e da una
morbidità (costituita per lo più da trombosi venose addominali ed infezioni) pari al 25% circa. La
radioterapia a basse dosi trova spazio nel trattamento delle sedi di ematopoiesi extramidollare non
epatosplenica e nei casi di splenomegalia refrattaria alle terapie standard, con un beneficio transitorio di
circa 3-6 mesi.

Trapianto allogenico di cellule staminali

L’unica terapia potenzialmente in grado di guarire la mielofibrosi è il trapianto allogenico di cellule


staminali emopoietiche; tale procedura è tuttavia gravata da un elevato rischio di complicanze e di
mortalità peritrapiantologica (18-40%, a seconda dei regimi di condizionamento utilizzati) e pertanto
viene riservata esclusivamente ai pazienti con malattia aggressiva e rapidamente progressiva (rischio
intermedio-2 o alto secondo gli score prognostici in uso).

Terapie sperimentali

Attualmente sono in fase di studio diversi farmaci a bersaglio molecolare, appartenenti alla categoria dei
farmaci JAK2-inibitori. Alcuni di questi studi hanno superato la fase preclinica e sono in corso
sperimentazioni cliniche su pazienti con mielofibrosi in fase avanzata. Tali farmaci interferiscono in
maniera più o meno selettiva con l’attività della proteina JAK2. S sono dimostrati efficaci, in particolar
modo nel controllo della splenomegalia e nella riduzione dei sintomi sistemici, indipendentemente dalla
presenza della mutazione V617F.

Protocolli di studio

Presso la Clinica Ematologica di Pavia sono attualmente in corso i seguenti studi clinici rivolti ai pazienti
affetti da mielofibrosi primaria oppure secondaria a policitemia vera o trombocitemia essenziale:

Protocollo COMFORT II INCB 18424-352: Studio randomizzato di confronto tra l’ inibitore JAK
INC424 compresse e la migliore terapia disponibile in soggetti con mielofibrosi primaria, mielofibrosi
post-policitemia vera e mielofibrosi post-trombocitemia essenziale.

Tale studio clinico internazionale multicentrico si avvale dell’utilizzo di un farmaco appartenente alla
categoria dei JAK2-inibitori per il trattamento della mielofibrosi in fase avanzata di malattia (score
prognostici di rischio intermedio-2 o alto). L’arruolamento dei pazienti è stato completato ed è in corso il
follow-up dei pazienti.

Protocollo POMALIDOMIDE CC-4047-MF-001 : Studio di fase II a gruppi paralleli, con controllo


attivo, in doppio cieco, multicentrico, randomizzato e prospettico, per determinare la sicurezza e
selezionare un regime di trattamento per CC-4047, assunto sia in monoterapia, sia in combinazione con
prednisone, in soggetti affetti da mielofibrosi con metaplasia mieloide.

L’obiettivo di tale studio è valutare l’efficacia e stabilire la miglior posologia per il trattamento con
pomalidomide nei pazienti affetti da mielofibrosi con anemia di grado moderato-severo. L’arruolamento
dei pazienti è completato ed è in corso il follow-up dei pazienti.

Protocollo RESUME CC-4047-MF-002: Studio randomizzato di confronto tra l’ inibitore JAK INC424
compresse e la migliore terapia disponibile in soggetti con mielofibrosi primaria, mielofibrosi post-
policitemia vera e mielofibrosi post-trombocitemia essenziale.

Tale studio clinico internazionale multicentrico randomizzato di fase III è volto a valutare l’efficacia e la
sicurezza del farmaco pomalidomide in pazienti affetti da mielofibrosi con associata trasfusione-
dipendenza. L’arruolamento dei pazienti è attualmente in corso.
Le più comuni domande dei pazienti affetti da mielofibrosi

Che tipo di malattia è la mielofibrosi primaria?


♦ è una malattia mieloproliferativa cronica
♦ è caratterizzata da anemia e splenomegalia
♦ comporta un aumentato rischio di evoluzione in leucemia

Quali sono le cause della mielofibrosi primaria?


♦ un danno genetico acquisito della cellula staminale emopoietica
♦ uno stimolo proliferativo sui precursori midollari che si traduce inizialmente in una produzione
eccessiva di piastrine e globuli bianchi, ♦ uno stimolo proliferativo secondario sui fibroblasti che si
traduce in un aumento della fibrosi midollare
La mielofibrosi primaria ha un rischio di trasmissione genetica?
♦ esistono casi familiari

Come si può sospettare la mielofibrosi primaria?


♦ da un alterazione dell'emocromo
♦ dal riscontro di epato-splenomegalia all'esame obiettivo o all'ecografia
♦ dalla presenza di sintomi sistemici (astenia, febbre, sudorazioni notturne, dolori articolari, calo di peso)
♦ dall’aumento dell’enzima sierico LDH

Quali sono gli accertamenti da eseguire per valutare meglio questa malattia?
♦ biopsia osteomidollare
♦ esame del midollo con analisi cromosomica
♦ studio della mutazione V617F del gene JAK2
♦ conta delle cellule CD34-positive circolanti
♦ nelle femmine, studio della clonalità

Quando controllare la milza con l’ecografia?


♦ l’ecografia consente una accurata valutazione delle dimensioni della milza. Nei controlli di routine, per
la valutazione di milza e fegato è sufficiente la visita ematologica
♦ l’ecocolordoppler portale consente di valutare una eventuale ipertensione portale o una trombosi del
circolo splancnico

Tutti i pazienti con mielofibrosi idiopatica devono ricevere un trattamento?


♦ no

Quando è indicato l'impiego della terapia citoriduttiva?


♦ nei pazienti con leucocitosi e/o piastrinosi e/o sintomi sistemici e/o splenomegalia progressiva

Come si esegue la terapia citoriduttiva con Idrossiurea?


♦ lo scopo della chemioterapia citoriduttiva con Idrossiurea è controllare la piastrinosi e l’incremento del
globuli bianchi e ridurre o controllare la splenomegalia
♦ è indicato controllare l’emocromo ogni mese per valutare il valore di piastrine (Plt), emoglobina (Hb,
Hgb), ematocrito (Hct) e leucociti (WBC, GB)
♦ se si riducono troppo emoglobina, leucociti o piastrine è indicato ridurre il dosaggio dei farmaci

Quando iniziare la terapia trasfusionale?


♦ quando l’emoglobina scende al di sotto di 8 o 9 g/dL, o in caso di sanguinamento

Quando è indicato l'impiego della terapia antiaggregante?


♦ in caso di precedenti problemi vascolari

Quando è controindicato l'impiego della terapia antiaggregante?

♦ in caso di precedenti problemi emorragici, o per valori estremamente alti di piastrine

Il trapianto di midollo osseo è da considerare un opzione terapeutica?


♦ si, in casi selezionati

Cosa offre l'Ematologia di Pavia al paziente con mielofibrosi?

Dal punto di vista clinico, l'Ematologia del Policlinico San Matteo, Università di Pavia, offre:

♦ uno staff medico esperto nella valutazione iniziale e al follow-up dei pazienti con malattia
mieloproliferativa cronica (Dott. Elisa Rumi; Dott. Chiara Elena; Prof Mario Lazzarino; Prof. Mario
Cazzola)
♦ la scelta terapeutica più appropriata al singolo paziente sulla base delle caratteristiche biologiche e
molecolari della malattia.
♦ un programma personalizzato di follow-up clinico, biologico e molecolare.
♦ s tudio dell'albero genealogico per la diagnosi della mielofibrosi familiare con relativi programmi di
terapia e follow-up.
♦ discussione con il paziente delle possibili opzioni trapiantologiche e, qualora indicato, possibilità di
effettuare il trapianto di cellule staminali presso il Centro Trapianti di Midollo e Cellule Staminali della
stessa Clinica.
♦ terapie sperimentali per le fasi avanzate della malattia.

Presso gli ambulatori della Clinica Ematologica di Pavia è inoltre possibile eseguire tutte le indagini
necessarie alla diagnosi di mielofibrosi primaria e tutte le analisi complesse di tipo genetico che
consentono di definire le caratteristiche prognostiche cliniche e biologiche nel singolo paziente. In
particolare:

♦ studio quantitativo della mutazione V617F del gene JAK2 (estrazione del DNA genomico dai neutrofili, e
PCR quantitativa allele specifica)
♦ studio citogenetico
♦ analisi delle colture cellulari in vitro (CFU-E, CFU-GM)
♦ studio dei progenitori emopoietici circolanti CD34-positivi
♦ studio della biopsia osteomidollare
♦ studio della trombofilia congenita

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