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Mammachimica
Con la consulenza e la collaborazione
di Fabrizio Zago
Titolo: Mamma Chimica
Autore: Sara Alberghini
Collaboratore ed esperto: Fabrizio Zago
Disegni: Gianni Ruggeri
Editing: Gabriella Canova
Impaginazione: Armando Tondo
Con la partecipazione straordinaria di Emiliano
e Claudia
INDICE
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Premessa
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La gustosissima pizza, con la sua bella pasta
lievitata da farcire con fantasia, non potrebbe esi-
stere senza la reazione chimica che consente di
produrre anidride carbonica (CO2) e di gonfiarla
a dovere. Per non parlare dei dolci: la pasticceria
è chimica applicata, assolutamente.
Ma anche l’imbrunimento e il gusto tipico della
torta in forno, della cipolla nel soffritto o di una
buona bistecca è dovuto a una ben precisa rea-
zione chimica, quella di Maillard per l’esattezza,
che avviene tra zuccheri ed aminoacidi, con pro-
duzione di gustose molecole aromatiche.
Provate a guardare tutti gli oggetti che ci sono
in una stanza della vostra casa o quelli che in-
dossate. Se sparisse la chimica la maggior parte
delle cose non esisterebbe proprio e rimarreste
letteralmente in mutande... sempre che non sia-
no in microfibra pure quelle, eh!
Certo, posso avere tutti gli abiti in fibre natu-
rali, i mobili in legno massello, ecc. Ma qualche
strumento con parti in plastica qualcuno li avrà
pure creati, qualcuno li avrà trasportati con ca-
mion a benzina, o magari li avete ordinati tramite
il tablet o telefono (di solito in plastica, vero?).
E forse avrete sulla scrivania, in pregiata noce
italiana s’intende, una penna, un evidenziatore o
una gomma per cancellare, che è però completa-
mente sintetica!
Non dimentichiamoci che è stato assegnato a
un italiano, Giulio Natta, il Nobel per la chimi-
ca, nel 1963, proprio per aver messo a punto dei
catalizzatori per creare il polipropilene, una pla-
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stica che ritroviamo in moltissimi oggetti di uso
comune e conosciuta anche con il nome commer-
ciale di Moplen.
Insomma, non maltrattatemi la chimica!
E non appellatevi al “TUTTO NATURALE”, che
tra l’altro potrebbe farmi venire il raffreddore da
fieno! Naturale non significa innocuo e sintetico
(cioè prodotto in un laboratorio chimico) non si-
gnifica dannoso.
Dipende.
Il botulino, la cicuta, l’arsenico, l’amianto e il
petrolio sono naturali, eppure chi vorrebbe venir-
ci a contatto?
I farmaci (molecole chimiche create ad hoc dopo
lunghe ricerche), i dispositivi medici usa e getta, i
tensioattivi (sempre più biodegradabili per lavare
e lavarci), i pannelli solari, ecc. ecc., sono il frutto
della sintesi chimica e molte volte possono con-
tribuire a rendere molto più sostenibile la nostra
- invadente - vita sulla terra.
Se esistono anche molecole sintetiche nocive e
pericolose, è per colpa nostra... non certo della
chimica.
Sono molto contenta e soddisfatta di aver stu-
diato Chimica all’università. Fin da piccola sono
sempre stata affascinata dal “perché” succedeva
una determinata cosa.
Perché la torta di mamma cresceva nel forno?
Perché se mi sporcavo i piedi di catrame, al mare,
si sarebbero puliti con un po’ d’olio di oliva? Per-
ché era meglio non cuocere o conservare la pas-
sata di pomodoro nelle pentole di alluminio? E
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altre mille stupidaggini di cui volevo sapere il
motivo “vero” e con cui rompevo i miei genitori...
mica c’era internet!
Al liceo ero molto combattuta sulla facoltà da
scegliere. Certamente doveva essere scientifica e
non letteraria, su questo non avevo dubbi. Tra
l’altro, la professoressa di italiano, mi metteva
sempre e solo il voto 7, a tutti i compiti in classe.
Non facevo nessun errore di grammatica o di sin-
tassi, non andavo mai fuori tema, ma semplice-
mente a lei non piaceva come scrivevo... Quindi il
suo voto era assolutamente soggettivo.
Bene, certamente avrei studiato solo qualcosa
di “oggettivo”. Il basso voto doveva dipendere da
un mio errore, effettivo e univoco. Non certo per-
ché non ero simpatica al prof, cavolo!
Alla fine ho scelto Chimica, anche grazie ai con-
sigli del mio allenatore di nuoto dell’epoca, un
professore di chimica delle superiori.
E l’ho adorata dal primo laboratorio, quello di
Chimica Qualitativa, con tutti i suoi colori e odo-
ri caratteristici. In laboratorio tutto deve essere
pulito e in ordine, altrimenti, oltre a non ottenere
ciò che si vuole, si potrebbero correre pure rischi
seri. Non era certo un problema per me, ordinata
e precisina di natura...
Conservo ancora una provetta super sigillata di
un complesso di cobalto. È costituito da due stra-
tificazioni colorate, rosa e azzurro, bellissime. Se
agitate si mescolano facilmente ma poi si separa-
no, sempre. Non è un trucco, è chimica!
Però, il merito di approfondire e di comprende-
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re meglio le sostanze che solitamente utilizzavo a
casa per pulire o lavarmi, va tutto a Emiliano, il
mio primo figlio. Solo con lui ho cominciato a leg-
gere criticamente gli ingredienti dei detergenti o
delle creme. Avrei spalmato quelle cose su di lui?
Gliele avrei fatte respirare? Che impatto avrebbe-
ro avuto sull’ambiente in cui avrebbe vissuto?
La responsabilità era troppo grande e non po-
tevo nascondermi dietro quei nomi complicati,
io avevo gli strumenti per comprenderli... ma mi
serviva una guida affidabile.
Ed è così che ho scoperto Fabrizio Zago e il suo
preziosissimo forum BioDizionario. Fabrizio è un
chimico industriale, l’ideatore del Biodizionario e
un’autorità nel campo della cosmesi e detergenza
ecobio, nonché consulente per Ecolabel.
Sono anni che studio il suo forum, pieno di con-
sigli e dritte, che ovviamente si basano solo sulla
chimica e dati scientifici, certi e inconfutabili. Da
più di un decennio, costantemente, gratuitamen-
te, con infinita pazienza (che non so proprio dove
riesca a trovare) risolve mille problemi di pulizia
della casa, di bucato o ci rende più consapevoli
nel cercare la crema o il bagnoschiuma perfetto!
Fabrizio non è solo competente e disponibile,
ma anche molto simpatico, davvero una bella
persona. Ho avuto il piacere di conoscerlo perso-
nalmente l’estate del 2014, perché ha accettato
il mio invito a partecipare a EcoFuturo, il festival
delle ecotecnologie e autocostruzione, promosso
da Jacopo Fo. Ed ora è qui con me in questo li-
briccino, che soddisfazione!
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Allora, accantoniamo i pregiudizi e cerchiamo di
conoscerla questa bellissima chimica.
Solo le basi, eh! Giusto per risolverci o migliora-
re qualche piccolo problema quotidiano. Vedrete
come la conoscenza e la consapevolezza vi per-
metterà di scegliere, di scartare, di non essere
abbindolati dalla pubblicità o dalle bufale che gi-
rano spesso sul web.
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La parola al “sostenologo“
Fabrizio Zago
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Sarà mai possibile avere prodotti di questo tipo? Io
credo assolutamente di sì! E per dirlo guardo anche alla
mia storia personale durante la quale ho visto che par-
tendo praticamente da solo - adesso ci sono decine di
aziende, posti di lavoro che si occupano di salute del
pianeta - 15 anni fa mi sono messo a creare e pubblica-
re il Biodizionario.
Buon risultato quindi? Sì, ottimo ma attenzione che
assieme ai puri di cuore sono nati anche tantissimi “Eco-
furbi”, persone, società e fabbricanti che fino al giorno
prima inquinavano alla grande e poi, improvvisamente,
si sono redenti proponendosi come i salvatori della pa-
tria e presentando detergenti super verdi. Ma ci credete
voi? Io no, e infatti le formule sono verdi solo nel nome
ma non nella sostanza e di questo mi rammarico molto
perché trovo che non ci sia nulla di peggio che prendere
in giro le persone di buona fede.
A fianco degli ecofurbi (e biofurbi) ci sono poi coloro
che hanno avuto la folgorazione divina e che propon-
gono sistemi di lavaggio assurdi.
Ecco alcune pratiche che fanno sorridere (se non ci
fosse da piangere).
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dell’acido citrico. Inoltre, l’acido acetico è molto corro-
sivo per i metalli, anche per l’inox e quindi lo può intac-
care liberando vari metalli tra cui il nichel a cui moltissi-
me persone sono sensibili.
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quando leggo che “io aggiungo sempre due cucchiai di
bicarbonato perché il detersivo lava meglio” trovo che
si tratti di una informazione scorretta. Non si capisce
perché il bicarbonato dovrebbe dare questo risultato
inaspettato.
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ma queste qui invece lavano benissimo” peccato che
ciclicamente la scena si ripeta. Morale, non è il caso di
buttare i propri soldi dalla finestra.
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capire se il tensioattivo che usiamo è a chilometro zero
o viene dall’altra parte del mondo (solo perché costa
meno ma così facendo distruggiamo l’ecosistema dei
paesi dell’Estremo Oriente). Vogliamo calcolare quan-
to ci costa di più quella bellissima bottiglia di plastica
rispetto a una che magari usa materiale plastico ricicla-
to.
E vogliamo anche sapere, se permettete, quanto acci-
denti lava questo detersivo?
Spazi di riflessione come questo sono la base per non
farci prendere in giro da nessuno, per capire che non si
deve fare un mutuo per comperare un detersivo, per-
ché altrimenti ci arrabbiamo.
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CAPITOLO UNO
Biodegradabilità
e impatto ambientale
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namenti. Per i cosmetici invece, a cui corrisponde
comunque un bel regolamentone (il Regolamento
CE,1223/2009), la parte sulla classificazione ri-
spetto alla tossicità verso gli organismi acquatici
attualmente non c’è proprio.
Infatti, considerare soltanto la biodegradabilità
di una sostanza non è sufficiente per definire la
sua pericolosità ambientale. Occorre conoscere
anche la sua tossicità per gli organismi acquatici,
(perché è lì che gira gira arriverà). Solo in questo
modo avremo il quadro completo e corretto del
suo impatto ambientale.
In realtà, non è sempre vero che se una moleco-
la è molto biodegradabile questo corrisponde au-
tomaticamente a un minor impatto ambientale,
ossia danneggia meno l’ambiente. Per esempio, ci
sono tensioattivi (la base lavante di tutti i deter-
genti) che sono molto tossici ma anche molto bio-
degradabili. Ma può avvenire anche il contrario,
cioè poco biodegradabili ma anche poco tossici
per gli organismi acquatici.
E allora come si fa?
Bisogna basarsi su calcoli e formule scientifi-
che.
Innanzitutto, per stabilire la biodegradabilità
di una sostanza vengono effettuati dei test. Non
sono metodi statistici o strumentali, ma si basano
sull’azione di batteri che si mangiano la sostan-
za. Quindi sarebbe molto più appropriato parlare
di “tendenza” di biodegradabilità.
I test ufficiali, secondo le linee guida OCSE (Or-
ganizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo
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Economico) definiscono le varie classi di Bio-
degradabilità, indicandole con delle lettere. Per
esempio, per quella Aerobica (cioè in presenza di
ossigeno) sono: R = Rapidamente biodegradabi-
le, I = Intrinsecamente biodegradabile, P = Persi-
stente (cioè la sostanza non ha superato il test di
biodegradabilità intrinseca), O = La sostanza non
è stato testata per biodegradabilità aerobica, NA
= Non applicabile.
Già da questa prima distinzione, si nota che i
termini completamente, 100% o totalmente biode-
gradabile non compaiono mai in questa tabella,
proprio perché non c’è alcun metodo che dia un
tale risultato.
Forse si potrebbe sostenere questa definizione
se ci si riferisse a una sostanza biodegradabile
sia in comparto aerobiotico che anaerobiotico,
ma dovrebbe essere chiaramente espresso. Quin-
di, ha un senso dire “con ingredienti rapidamente
o velocemente biodegradabili”, ma di certo scrive-
re in etichetta “100% biodegradabile” non è pro-
prio corretto e mi puzza sempre un po’ di eco-
furbizia.
E verso gli organismi acquatici? Come si com-
porta una certa sostanza?
Per saperlo esiste una DID list, cioè il Deter-
gents Ingredients Database, dove sono indicati
tutti i valori di tossicità acuta, cronica e di degra-
dazione di ogni singolo ingrediente. Con questi
valori potremo calcolare il CDV, cioè il volume di
diluizione critica (vabbè, la formula ve la rispar-
mio...).
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In pratica, posso conoscere la quantità di acqua
necessaria a diluire una determinata sostanza e
a “neutralizzarla” affinché non ci sia nessun pro-
blema, né di natura acuta né cronica, per gli or-
ganismi acquatici.
Ed è così che si scopre che usare l’innocuo ace-
to per le pulizie domestiche, tanto consigliato sul
web, è molto più inquinante che usare l’acido ci-
trico.
Lo so, lo so. A casa avete solo aceto bio e certi-
ficato. Ma quello è ovviamente ottimo per condir-
ci l’insalata! Però, se vogliamo affrontare le pu-
lizie in modo veramente ecologico è importante
sapere che l’acido acetico, costituente principale
dell’aceto, è 53 volte più impattante sull’ambien-
te rispetto all’acido citrico. E questo è stato calco-
lato scientificamente.
Questa storia dell’aceto “inquinante”, è uno
dei primi post che mi capitò di leggere sul forum
di Fabrizio Zago, proprio perché nella stragran-
de maggioranza dei consigli ecologici di pulizia,
l’aceto compare sempre. Quindi, questa posizio-
ne così fuori dal coro e l’analisi scientifica dell’im-
patto ambientale dell’aceto, mi interessò subito.
Pensate davvero che all’inizio mi sarei fidata di
Fabrizio così, senza indugio? Figuriamoci!
Io dovevo fare il calcolo, personalmente. Ho cer-
cato la DiD list, applicato la formula ed ecco qui:
1666,6 litri di acqua per neutralizzare l’acido ace-
tico e solo 31,25 l per il citrico, 53 volte in meno.
Perfetto, qui siamo precisini, dunque... Fabrizio
forever!
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Infine, oltre alla biodegradabilità e alla tossici-
tà verso gli organismi acquatici, c’è un ulteriore
metodo oggettivo di valutazione e quantificazione
dell’impatto ambientale di un prodotto, di un’at-
tività o di un processo. È l’LCA (Life Cycle As-
sessement) ovvero l’analisi dell’intero ciclo di vita
dell’oggetto (dalla culla alla tomba). LCA consen-
te di determinare in modo scientifico quanto tale
oggetto sia realmente sostenibile o green, tenen-
do conto dell’energia consumata per crearlo, delle
sostanze immesse nell’ambiente, la CO2 prodotta,
gli scarti di lavorazione, il consumo di acqua, i
pesticidi usati, ecc.
Vi è mai capitato di vedere i detersivi alla spina?
Ottima idea il detersivo sfuso: meno imballaggi,
meno energia per il confezionamento, ecc. Se poi
hanno anche una composizione chimica eviron-
mentally friendly siamo a cavallo! Ricordiamo che
questa operazione garantisce un risparmio effet-
tivo di plastica e di trasporto, solo se riutilizziamo
lo stesso flacone per almeno 5-6 volte, altrimen-
ti il calcolo LCA porterà a un bilancio energetico
sfavorevole.
Insomma, l’approccio scientifico al problema di
sostenibilità ambientale può portare a risultati
anche inaspettati...
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Intervista a un atomo
di carbonio
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Ci ritrovavamo, anche a distanza di moltissimo tempo,
con altri atomi di carbonio ed era una festa.
- Siccome adesso lei mi sembra un po’ abbacchiato,
cosa è successo per farla diventare di così cattivo umore?
- Beh, è successo che noi carboni “tradizionali” ab-
biamo cominciato ad incontrare altri carboni che alla
domanda “da dove venite?” ci rispondevano “da sotto
terra, dal petrolio!” e aumentavano continuamente,
oggi sono la maggioranza. Lo strato di CO2 è aumentato
molto causando un effetto (serra) di riscaldamento del
Pianeta. Ma sembra che a voi umani questo non inte-
ressi molto, certo, ne parlate molto ma non fate nulla
per sistemare le cose.
- E cosa dovremmo fare, scusi?
- Potreste usare sostanze di origine vegetale invece
che dal petrolio, anche per fabbricare i tensioattivi, le
sostanze che servono per la vostra igiene personale o
per lavare i panni, ad esempio, così lo strato di CO2 non
aumenterebbe inutilmente.
- È vero che si cominciano a vedere bagnoschiuma e
creme a base di oli vegetali da fonti rinnovabili. Ma con
i flaconi, come la mettiamo con i flaconi? Quelli sono di
plastica, quindi da petrolio!
- Si aggiorni umano! Adesso voi, pur non amando mol-
to il vostro pianeta qualche cosa di buono lo state fa-
cendo. Li ho visti io dei bellissimo flaconi ottenuti da
fonti vegetali.
- Insomma, caro Carbonio, qualcosa possiamo fare?
- Sì! caro umano, lo potete fare, basta che cominciate
a scegliere con la testa.
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di un fantastico libro di Primo Levi “Il Sistema Periodi-
co” solo che Levi era molto più bravo di me, quindi mi
scuso con lui e con voi.
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CAPITOLO DUE
Detersivi ecologici e non...
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Infatti, molte certificazioni si preoccupano so-
prattutto della provenienza delle materie prime,
alcune garantiscono che le sostanze impiegate
siano solo di derivazione biologica, ma danno
meno peso all’impatto che poi avranno sull’am-
biente dopo il loro utilizzo.
Altre certificazioni invece, utilizzano anche mo-
lecole di sintesi e di derivazione petrolifera, però
si pongono il problema di tutto ciò che succederà,
dal flacone all’ambiente e hanno stringenti test di
efficacia (Ecolabel appunto).
Si vogliono stabilire una serie di criteri che ten-
gano conto GLOBALMENTE del prodotto, non
solo dell’origine o del destino. In pratica, si po-
tranno applicare 10 parametri caratterizzanti il
prodotto, con una scala di valori precisa (giudizi):
impatto sugli organismi acquatici, performan-
ce di lavaggio, produzione di rifiuti, consumo di
energia da fonti rinnovabili o meno, materie pri-
me a km zero, costo del trasporto, ecc.
Il produttore attento e sensibile alle tematiche
ambientali, che volesse ottenere questa certifi-
cazione, avrà uno strumento per calcolare se la
composizione chimica del suo prodotto e il flacone
sono in linea con l’obiettivo ecologico. Se lo sarà,
potrà valorizzare la caratteristica del suo deter-
gente, anche in previsione del tipo di clientela che
vuole raggiungere. Per esempio: potrà avere 10 in
biologicità (tutto vegetale) e 6 in performance, op-
pure 6 in ecocompatibilità (perché usa sostanze
non tutte verdi) ma 9 in efficacia.
Sull’etichetta compariranno obbligatoriamente
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quattro argomenti, gli altri sei sul sito internet,
perché spesso non c’è proprio lo spazio neces-
sario sul flacone. Tutto questo darà una pano-
ramica completa del prodotto, affinché ci sia la
massima trasparenza possibile.
Ma non solo, si dovrà fare attenzione anche al
lavoro delle persone, avrà infatti una carta etica
e, per esempio, la differenza tra il più alto e più
basso stipendio dei dipendenti dell’azienda non
dovrà essere maggiore di x volte.
Certamente anche i costi dei prodotti potranno
essere diversi, a seconda dei parametri enfatiz-
zati. Chi vorrà formulare un prodotto con tutti
10 probabilmente poi lo dovrà far pagare molto,
ma magari si avvicineranno ai prodotti certificati
anche quei produttori che stanno iniziando il loro
percorso verso una detergenza più pulita e po-
tranno avere tutti 6 ma prezzi ragionevoli.
Ovviamente, poi starà a noi scegliere, ma alme-
no avremo una buona base di partenza, chiara e
calcolata scientificamente!
Comunque, a parte tutte queste belle propo-
ste in commercio, vi assicuro che si possono an-
che “autoprodurre” buoni detersivi, utilizzando
sostanze facilmente reperibili, poco impattanti
nell’ambiente, non pericolose per le persone e dai
costi contenuti.
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In pratica possiamo applicare la chimica alle
pulizie quotidiane e ottenere davvero belle sod-
disfazioni!
Però, preparare un detersivo fai da te efficace
non significa farlo con quello-che-capita-sotto-ma-
no-in-cucina. Nel web, in tv, sui giornali, girano
un sacco di ricette che purtroppo molto spesso
non funzionano. E ci credo!
Frequentemente leggo di “intrugli” che non han-
no proprio alcun senso chimico o, nella migliore
delle ipotesi, si neutralizzano a vicenda. A volte
possono anche fare qualche danno ai tessuti o
alle lavatrici!
Questo è proprio un peccato, perché allontana-
no dall’eco-bio, che viene così considerato non
all’altezza del prodotto tradizionale o già pronto.
E io (pazza) ho pure scritto a qualche sito inter-
net o programma televisivo, per informarli delle
balle che stavano diffondendo...
È evidente che se non si utilizzano gli ingredien-
ti chimicamente adatti e necessari, non potranno
mai funzionare questi detersivi.
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vole”, ovvero comprendere il “perché” (chimica-
mente) si usa un ben preciso ingrediente e quindi
perché alla fine il detersivo sarà efficace.
Conoscendo gli ingredienti è possibile autopro-
durre un ottimo detersivo, specifico per ogni esi-
genza e poterne eliminare molti altri, puntando
sull’ecocompatibilità, la semplicità e il risparmio
anche di bei soldini.
Non ci credete?
Avete fatto caso a quanti prodotti diversi ci sono
in un negozio, per le pulizie domestiche? Una
marea! Ma in realtà è sempre la solita zuppa...
cioè, per sgrassare ci vuole una cosa, per togliere
il calcare un’altra, per igienizzare un’altra anco-
ra. Tutto il resto è profumo, colore, impacchetta-
mento, ecc. insomma: marketing.
Sotto il lavello e vicino la lavatrice basterebbero
pochi flaconi e pure uguali...
In pratica i detersivi autarchici sono la “copia
depurata” di quelli tradizionali, cioè senza i ri-
empitivi, gli sbiancanti ottici, i profumi, ecc. cioè
senza tutto quello che “non serve”.
Alcune delle sostanze sono infatti spesso inutili,
inquinanti e comunque non molto salutari!
Per avere il bucato che esce dalla lavatrice con
un persistente “profumo di montagna al tramonto
mentre cantano gli uccellini vicino alle viole”, qual-
che bella molecolona assolutamente sintetica e
non biodegradabile ce la dovranno pur mettere!
Ma poi ce la ritroviamo a vagonate nei fiumi, che
nuota tranquilla e per anni.
Oppure che dire degli sbiancanti ottici? Va bene
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che anche l’occhio vuole la sua parte, ma qui si
esagera! Nel senso che per avere “il bianco più
bianco che mai” si utilizzano sostanze non bio-
degradabili e potenzialmente allergizzanti. Que-
ste si appiccicano fortemente ai tessuti e sono un
vero e proprio “trucco”, cioè danno l’apparenza
del bianco ma è solo un “illusione ottica”: la luce
che colpisce queste molecole, viene riemessa di
colore azzurro, che copre magari il vero giallo o
grigio del bucato. Ora, pagare di più un detersi-
vo, per avere il super bianco e poi venire a sapere
che, non solo è inquinante, ma è pure finto, a me
farebbe rodere parecchio...
Però la casa e i panni dobbiamo lavarli!
E nemmeno voglio fare allarmismo, come ho già
scritto, la produzione di detersivi è ben regola-
mentata.
Personalmente, l’esigenza di autoprodurmi i de-
tersivi è nata non solo per cercare di essere meno
impattante sull’ambiente, ma anche perché co-
minciavo a non sopportare proprio più gli odori
di quelli commerciali. E poi, sotto sotto, anche
per una rivalsa personale: ho fatto 30 esami di
chimica all’università, possibile che non riesco
ad applicare ‘sta marea di conoscenza? Non lavo-
rando più in un laboratorio, mi dovrò pur sfogare
a casa!
30
delle sperimentazioni e delle idee di molte perso-
ne geniali, che le hanno volute condividere e dif-
fondere, perché credono che se inquiniamo meno
ci guadagneremo tutti.
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Detersivi e Cosmetici
Chi inquina di più?
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Ovviamente occorre stare attenti perché gli “eco fur-
bi” sono sempre lì in agguato a proporci marchi e mar-
chietti verdissimi ma che di verde hanno poco o nulla.
Gli eco furbi imperversano perché, come abbiamo
detto, questo è un mercato che “tira”.
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consumatori. Anche per Nordic Swan valgono gli stes-
si principi di Ecolabel e cioè minimo impatto e grande
efficienza di lavaggio. L’unico dato negativo è che nel
nostro Paese, ai nostri giorni, non si trovano ma sembra
che fra poco ne vedremo anche nelle nostre scaffalatu-
re. Quindi è bene sapere di cosa si tratta.
Nel mondo, ancora più evoluto, dei detersivi “biologi-
ci” devo dire, con soddisfazione, che l’Italia è all’avan-
guardia. La certificazione Eco-Biologica di ICEA (Istituto
di Certificazione Etica e Ambientale) è l’unica in Europa
a rifarsi ai principi di efficacia e quindi, anche ICEA as-
segna il Marchio solamente a chi supera positivamente
i test di performance. Il livello di questa certificazione
è così elevato che gli altri paesi europei ed anche da
oltreoceano, sono interessati a questo criterio che ci
chiedono, gentilmente, di copiarlo...
Tra parecchie brutte notizie almeno queste sono posi-
tive: in Italia affrontiamo bene il tema della salvaguardia
dell’ambiente, abbiamo a disposizione prodotti efficaci
e rispettosi dell’ambiente. L’ambiente, una parola magi-
ca da cui dovremo ricominciare.
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CAPITOLO TRE
Gli ingredienti
L’Acido Citrico
Tra tutti è il mio preferito: l’acido citrico, una
polvere inodore, solubilissima in acqua, estrema-
mente versatile e soprattutto non pericolosa. Ol-
tre ad essere naturalmente presente negli agru-
mi, è un additivo alimentare, normalmente indi-
cato come E330, usato come correttore di acidità.
Infatti, si trova nelle passate di pomodoro o nei
succhi di frutta, anche quelli con certificazione
bio.
In casa l’acido citrico può sostituire egregiamen-
te molti prodotti tradizionali, che spesso conten-
gono sostanze inquinanti per l’ambiente e anche
un po’ pericolose per gli esseri umani.
È un ottimo ed efficace scioglicalcare, brillan-
tante, ammorbidente e balsamo per capelli.
Come si usa?
Semplicissimo! Basta aggiungere la polvere
all’acqua e otterrete una soluzione acida che to-
glierà il calcare dal lavandino, brocche e pentole,
senza lasciare residui o saporacci. Con l’ulterio-
re enorme vantaggio che se il bimbo ci mette le
mani sopra (non so voi, ma io ce li ho sempre tra
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i piedi), non succederà nulla, è come se toccasse
succo di limone concentrato.
Una volta spruzzato sull’oggetto o superficie da
decalcificare, lasciate agire per pochi monuti, mi
raccomando. Non si può avere tutto! L’acido ci-
trico è naturale, ecologico e commestibile, un po’
di pazienza ce la vogliamo mettere? Ovviamente
poi risciacquate il tutto, come con un qualsiasi
scioglicalcare.
Perché funziona? Perché il carbonato di calcio
(CaCO3), il calcare appunto, si scioglie con le so-
stanze acide, quindi occhio al marmo o alle pietre
naturali, costituite anche loro da CaCO3, perché
le rovinerebbe (esattamente come tutti gli altri
scioglicalcare commerciali).
Quanto dobbiamo farla concentrata questa so-
luzione di acido citrico?
Dipende dalla durezza dell’acqua che esce dal
nostro rubinetto. Se è dura, cioè molto calcarea,
potrebbe essere necessario fare una soluzione al
20%. Cioè 200g di acido citrico in 800g di acqua,
per avere un totale di 1 litro=1 kg di soluzione.
In caso di acque più dolci si potrà scendere al 15
o al 10%. Non ci sarà bisogno di conservanti, ci
penserà l’acidità caratteristica a preservare la so-
luzione dal proliferarsi della carica batterica per
parecchio tempo. Dategli sempre un’occhiatina
però, monitorate se cambia di colore o puzza.
Se per fare la soluzione di acido citrico usere-
te acqua demineralizzata, quella per il ferro da
stiro per intenderci, oppure l’acqua del deumi-
dificatore, quindi un’acqua dolce (con un basso
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contenuto di sali disciolti), il vostro scioglicalcare
funzionerà un pochino meglio.
Questa soluzione acida che avete preparato
sarà anche un ottimo brillantante da mettere nel-
la lavastoviglie. Il brillantante non è un detergen-
te, non serve al lavaggio, ma è un additivo. Ha
lo scopo di rendere più brillanti le stoviglie, che
altrimenti rimarrebbero un po’ opache durante
l’asciugatura. Per assolvere a questa funzione
puramente estetica, ha lo svantaggio di resistere
al risciacquo e rimanere attaccato agli oggetti. Ad
ogni pasto quindi, ne verrà ingerita una piccola
quantità insieme al cibo. Per non correre rischi si
potrebbe tranquillamente evitarne del tutto l’uso
oppure sostituirlo con la soluzione “commestibi-
le” di acido citrico. Basta riempire la vaschetta
del brillantante con tale soluzione e girare la ma-
nopolina del dosaggio al massimo. Giusto per la
cronaca: l’utilizzo del brillantante non è obbliga-
torio come ci vorrebbero far credere la pubblicità
e i produttori di lavastoviglie. L’azione anticalcare
non viene effettuata da lui ma dall’addolcitore, in-
serito in tutte le lavastoviglie e che necessita pe-
riodicamente del reintegro del sale. Questo sì che
è obbligatorio! Soprattutto se si abita in zone con
acque dure, cioè molto calcaree. In pratica, un
filtro a scambio ionico riduce la durezza dell’ac-
qua e favorisce così il lavaggio delle stoviglie. Con
il passaggio dell’acqua, le resine del filtro diver-
ranno piene zeppe di calcio e di magnesio, gli
ioni responsabili della durezza dell’acqua. Ecco
perché sarà necessario utilizzare il sale (cloruro
37
di sodio), e ottenere lo scambio ionico tra calcio/
magnesio e sodio, rigenerando così l’addolcitore.
Ma non pensate che sia finita qui. A casa ho
una tanica di soluzione di acido citrico!
Ci credo, mi serve anche come ammorbidente,
per non utilizzare quelli tradizionali.
38
quo, lascerà oltre al profumo, anche queste altre
molecole sugli indumenti. Ed ecco perché uso il
citrico!
In realtà, l’acido citrico non ammorbidisce le
fibre dei tessuti, ma svolge egregiamente l’altra
funzione, certamente più importante dell’ammor-
bidente e dovuta alla sua acidità. Ovvero neutra-
lizza l’alcalinità del bucato dovuta al detersivo.
Considerate che il detersivo in polvere lascia i
panni a un pH alcalino, non proprio il massi-
mo per la nostra pelle che è invece circa pH 5,5.
Quindi, l’aggiunta di acido citrico abbassa il pH,
avvicinandolo così a quello della pelle. *
39
Nella solita vaschetta dell’ammorbidente, nien-
te di più semplice.
Un’altra funzione da non sottovalutare di que-
sta pratica ecologica, è che “allunga la vita” della
lavatrice stessa, grazie alla funzione anticalcare
dell’acido citrico, evitando così l’accumulo di in-
crostazioni sulla serpentina.
Ma vi potrà anche capitare di trovarvi senza bal-
samo per capelli, proprio quando eravate sicuri
di averne uno di scorta, magari nascosto nello
stipetto del bagno. Niente paura! Ritirate fuori
la vostra tanichetta di soluzione di acido citrico,
prelevatene circa 30 ml e diluiteli in un litro di
acqua. La utilizzerete dopo lo shampoo, all’ulti-
mo risciacquo della chioma e voilà: capelli lisci e
morbidi. Incredibile, eppure è sempre chimica...
l’acidità del citrico “chiude” le scaglie del capello
districandolo e rendendolo liscio.
So a quello che state pensando adesso: “Ma io
uso l’aceto per fare tutto questo, mica inquina?
Lo mangio anche!”
È vero, entrambi sono acidi quindi, chimicamen-
te, anche con l’aceto si possono ottenere questi
risultati, perché appunto contiene acido acetico.
Però, ve l’ho detto, qui siamo precisini.
L’acido acetico risulta, dagli studi biodegradabi-
lità 53 volte più impattante sull’ambiente rispetto
all’acido citrico, a parità di concentrazione. Non
solo, l’aceto solitamente è venduto dentro botti-
glie di vetro, che con il loro peso hanno una bel-
la influenza sul trasporto e relativo riciclaggio.
Inoltre, nell’aceto è contenuto solo il 6% di aci-
40
do acetico, quindi, per ottenere gli stessi risultati
di efficacia della mia soluzione di acido citrico al
20%, dovrei usare molto più materia prima, più
aceto e di conseguenza, maggiore smaltimento di
bottiglie, maggior inquinamento...
Ok, non vi interessa l’approccio ambientale?
Beh, sappiate anche che i test ufficiali di corro-
sione, per stabilire la qualità o meno di un accia-
io, prevedono l’utilizzo di acido acetico.
Pertanto l’aceto è molto più aggressivo verso le
superfici metalliche del citrico, usandolo come
ammorbidente rischiamo di consumarla proprio
la lavatrice! E ancora: l’aceto potrebbe portare in
soluzione il nikel presente nell’acciaio del lavello
e poi non lamentiamoci delle irritazioni o delle
dermatiti!
Infine, l’aceto puzza... non c’è verso, è meglio
lasciarlo all’insalata.
Non vi resta che procurarvi il citrico, è assoluta-
mente indispensabile!
Lo potete trovare nei negozi che vendono pro-
dotti bio, nei consorzi agrari, nelle enoteche e on-
line, a prezzi molto abbordabili. Magari evitate le
farmacie, dove costa di più.
Un’ultima curiosità: originariamente l’acido ci-
trico si ricavava dal succo di limone, attraverso un
complesso processo chimico. Attualmente è tutto
di origine biotecnologica, cioè prodotto da micro-
organismi OGM di Aspergillus Niger. In pratica
questi batteri sono stati modificati geneticamente
per produrre più acido citrico rispetto a prima.
Ora, non fatevi spaventare dalla sigla OGM.
41
A prescindere da come la pensiate in merito alle
colture OGM e non, in questo caso quello che ot-
terremo è un prodotto “semplice” che comunque
non ha DNA, quindi lui non sarà OGM.
La biotecnologia batterica è il futuro e ci con-
sentirà di ottenere molecole interessantissime.
Già lo sta facendo, non solo con l’acido citrico,
ma anche con la produzione di insulina per i dia-
betici o l’acido jaluronico, tanto prezioso nelle
creme antiage. D’altronde non possiamo fermare
il progresso... ma certamente sempre procedendo
con attenzione, rigore ed evidenza scientifica!
42
fero. Ovvero, il corpo lipofilo (affine ai lipidi) è co-
stituito da molecole che si inseriscono e si legano
nello sporco grasso. Viceversa, la testa (idrofila,
cioè affine all’acqua) viene trascinata dall’acqua
del lavaggio e porta via anche lo sporco che si
era attaccato al resto del fiammifero. Ecco perché
l’unto dei piatti o grasso dei capelli sparisce.
Ovviamente di tensioattivi ce ne sono di tanti
tipi o famiglie, diversi non solo per quanto riguar-
da la loro composizione chimica, ma anche per la
loro delicatezza sulla pelle, efficacia sulle superfi-
ci e per la loro biodegradabilità. Le famiglie sono
quattro: anionici, cationici, non ionici o anfote-
ri. Tra queste non ce n’è una migliore o peggiore
dell’altra, sono i singoli componenti della stessa
famiglia che possono essere buoni o cattivi.
Es. fanno parte dei non-ionici l’alchilpoligluco-
side (molto buono, con basso impatto ambientale
e ottima biodegradabilità) ma anche il nonilfenolo
(che è pessimo e fortunatamente dovrebbe essere
totalmente sparito dal mercato).
L’alchilpoliglucoside è considerato un tensioat-
tivo “naturale”, però non si deve intendere che
esiste in natura, nessun tensioattivo lo è. Tutti
sono di sintesi, cioè hanno subito degli interventi
in impianti chimici. Ma, se la parte lipofila e quel-
la idrofila sono derivate da vegetali, allora posso-
no essere considerati tensioattivi di origine natu-
rale, e sono riconoscibili perché vengono indicati
nella lista degli ingredienti (Inci) con un numero
pari, per esempio C12 o C14.
43
Mentre, quelli derivati dal petrolio hanno un
numero dispari, per esempio C11 o C13.
Chiaramente saranno utilizzati tensioattivi di-
versi a seconda del prodotto.
In un detergente intimo troveremo quelli più de-
licati, mentre nel detersivo per i piatti quelli più
strong, ed è per questo motivo che lui diventerà la
base per un buon detersivo autarchico per lava-
trice! Non solo, se dovete lavare dei capi in lana o
i delicati e non avete il detersivo specifico, potete
sempre usare un po’ di detersivo piatti. Infatti, i
tensioattivi anionici presenti in questo detergen-
te, imbibiscono relativamente poco la lana. Di
conseguenza, penetrando molto meno nelle fibre,
evitano il suo infeltrimento. Potreste ottenere lo
stesso risultato anche con lo shampoo per capelli.
Attenzione, però, anche il sapone tipo marsiglia
è un tensiattivo anionico, ma emulsionerebbe
troppo i grassi presenti naturalmente nella lana
e la sua elevata alcalinità la infeltrirebbe!
Il Carbonato di Sodio
Tranquilli, niente di complicato. Il carbonato di
sodio (Na2CO3) è semplicemente il nome chimico
della Soda Solvay, che si trova in tutti i super-
mercati e costa pochi euro al kg. Ma è molto utile
nell’autoproduzione dei detersivi.
A cosa serve? Se per esempio volete uno sgras-
satore super efficace, non puzzolente, ecologico
ed economico, basta mischiare acqua, solvay e
detersivo piatti, vi assicuro che nessun fornello
unto e bisunto resisterà!
44
La magia la fa la soda solvay che chimicamen-
te è una base (l’opposto dell’acido citrico per in-
tenderci). Grazie a questa sua caratteristica, è in
grado di aumentare l’alcalinità della soluzione in
cui viene sciolta (tecnicamente aumenta il suo
pH) e questo contribuisce a disgregare i grassi e
aiutare il lavoro del tensioattivo. In pratica, ve-
nendo a contatto con l’olio della padella, inizia
una “parziale saponificazione” del grasso, cioè la
sua trasformazione in sapone.
Ora, non pensate di autoprodurvi il sapone con
la solvay, eh?
Per saponificare veramente ci vuole una base
molto più forte, l’Idrossido di Sodio (NaOH), me-
glio conosciuta come soda caustica. Per maneg-
giare l’NaOH ci vuole molta attenzione e comun-
que, per un banale sgrassatore non è certamente
necessaria. La solvay basta e avanza!
Assieme al detersivo piatti, il carbonato di sodio
è uno degli ingredienti dei detersivi lavatrice in
polvere e lavastoviglie. Ma mi raccomando, non la
confondete con il Bicarbonato di Sodio!
Il Bicarbonato di Sodio
Anche lui è famosissimo e si compra in tutti i
super, ma non è la stessa cosa della solvay.
La sua formula chimica è NaHCO3 e in chimica
anche solo un atomo in più o in meno può dare
grandi differenze! Il bicarbonato è un additivo ali-
mentare, l’E500, utilizzato come antiacido dello
stomaco, per preparare lieviti “chimici” e l’acqua
che beviamo lo contiene.
45
Ma, non so per quale oscuro motivo, è anche
spesso consigliato a sproposito, attribuendogli
proprietà che chimicamente non ha. Molti rimedi
fasulli sono scritti nelle confezioni di bicarbonato
dagli stessi produttori...
Tanto per sfatare qualche mito, vi informo che
purtroppo il bicarbonato non sgrassa. Come dice-
vo, per sgrassare ci vogliono i tensioattivi e sicu-
ramente un ambiente alcalino li potenzierà. Ma
l’alcalinità del bicarbonato è molto blanda, per-
ché lui è una base deboluccia, perciò in questo
caso non servirà a molto.
Inoltre, ahimé, il bicarbonato non elimina il cal-
care. È una notizia che gira in continuazione e
proprio non la capirò mai. Anche questo ormai lo
avete imparato: il calcare viene sciolto in ambien-
te acido (con acido citrico per esempio) mentre
il bicarbonato è una base debole! E infatti serve
proprio per neutralizzare l’acidità dello stomaco.
Quindi, anche in questa situazione, non serve
a nulla.
Non solo, nonostante le bufale che circolano sul
web, vi assicuro che il bicarbonato non ha nessu-
na capacità ammorbidente. Vi ricordate? Gli am-
morbidenti commerciali contengono delle sostan-
ze “antistatiche”, che riducono cioè le cariche
elettrostatiche tra le fibre e conferiscono piacevo-
lezza al tatto, l’effetto “cosmetico”. L’altra funzio-
ne molto più importante è dovuta invece all’acidi-
tà dell’ammorbidente, che neutralizza l’alcalinità
del bucato dovuta al detersivo e lo rende più affi-
ne alla nostra pelle.
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Il bicarbonato però non contiene queste sostan-
ze antistatiche ed è (per l’ennesima volta) una
base debole, quindi a voi le conclusioni...
E per finire, Il bicarbonato non igienizza, né il
bucato in lavatrice, né qualsiasi altra superficie
(se continuerete a leggere scoprirete una bellissi-
ma ed ecologica molecola che è invece in grado di
farlo perfettamente).
Insomma, ho solo da parlar male di questo po-
vero bicarbonato? Ma no! È una molecola utilis-
sima, se usata nel modo giusto!
Il bicarbonato di sodio è un perfetto, facile,
ecologico e economicissimo deodorante. Questo
nessuna pubblicità ve lo dirà mai... perché costa
troppo poco! Molto meno di due euro al kg.
La sua efficacia è dovuta a un motivo semplice
e scientifico. La puzza del sudore è causata dal-
le molecole organiche maleodoranti che, pur non
essendo contenute direttamente nel sudore, pos-
sono essere prodotte in seguito al metabolismo
dei batteri che vivono naturalmente sulla nostra
pelle. Il bicarbonato è un sale che se sciolto in
acqua (o nel sudore) darà una soluzione debol-
mente alcalina, pochissimo superiore al valore di
neutralità (il famoso pH 7).
L’azione batteriostatica e quindi da deodorante
non è dovuta alla sua estrema acidità o alcalinità
ma semplicemente alla sua SALINITA’. In pratica
è come mettere le ascelle in salamoia! Il notissi-
mo e semplicissimo metodo di conservazione.
In effetti, l’efficacia di un deodorante è assolu-
tamente soggettiva, ma questo dovete provarlo,
47
anche perché non costa proprio nulla, in tutti i
sensi!
Come si usa? La cosa più semplice è applicar-
lo puro, direttamente sull’ascella… lavata, eh! E
magari ancora un po’ umidiccia, cosi la polvere si
attaccherà meglio. Potrebbe esservi utile allo sco-
po un piumino della cipria o una spugnetta.
Ma qualcuno si trova meglio a usarlo nella ver-
sione liquida, creando una soluzione satura. Si
aggiunge cioè bicarbonato all’acqua fino a che
non si scioglie più e rimane sul fondo. Si può poi
travasare in uno spruzzino di deodorante liquido
esaurito e il super deodorante è pronto.
Altra versione molto in voga è quella “cremino”,
con infinite varianti. La più semplice è aggiunge-
re al bicarbonato l’amido di mais (la maizena), in
parti uguali, e il burro di karitè sciolto a bagno-
maria con un goccino di olio di mandorle dolci.
Sicuramente qualcuno di voi già sta pensando
a un altro deodorante efficace, ecologico e pure
naturale: l’allume di rocca (o allume di potassio).
Naturale ed eco lo è senz’altro, è una pietra!
Ma sicuramente fisiologico non tanto...
Questo oggetto funziona allo stesso modo dei
deodoranti commerciali e super pubblicizzati, che
non ti fanno puzzare per più di 48 ore, in ogni oc-
casione stressante della vita (e che lasciano aloni
difficilissimi da togliere da camicie e magliette).
Sono i famosi “anti-traspiranti”, che già dal nome
mi mettono un po’ di ansia...
In pratica questi deodoranti, esattamente come
l’allume di rocca, contengono alluminio, che ha
48
delle capacità astringenti, esercita cioè un’inte-
razione con i muscoli involontari dei canalicoli
sudoripari, chiudendoli e impedendo al sudore
di uscire naturalmente. Ci credo che non sudo e
non puzzo!
Ma tutto mi rimane dentro al corpo... inquie-
tante non credete? Forse sarebbe meglio lasciare
l’allume di rocca e la sua funzione vasocostrittri-
ce esclusivamente per le ferite da rasatura...
Cos’altro posso farci con il bicarbonato? Il ci-
trato di sodio, indispensabile nei detersivi fai da
te, soprattutto in caso di acqua calcarea.
Questo sale sarà il nostro ecologico “seque-
strante” o addolcitore, cioè permetterà di ridurre
la durezza dell’acqua, sottraendo gli ioni di calcio
e magnesio.
In questo modo il tensioattivo lavorerà meglio,
ne potrò utilizzare di meno e non si formeranno
depositi insolubili sui tessuti, (i responsabili del
colore grigiastro).
Per preparare il citrato di sodio basta sciogliere
l’acido citrico in acqua e aggiungere bicarbonato,
piano pianino, fino a che la soluzione non “frig-
gerà” più. Infatti, la reazione tra l’acido e la base
debole provocherà la formazione di anidride car-
bonica gassosa (CO2), responsabile della vigoro-
sa effervescenza. Quindi nulla di pericoloso, ma
se versate il bicarbonato velocemente e tutto in-
sieme rischiate di far straripare la soluzione dal
contenitore!
Quando non si formerà più nemmeno una bolli-
cina, significa che il bicarbonato ha neutralizzato
49
tutto il citrico e il vostro bel citrato sarà pronto.
Badate bene che in questo caso non potrete so-
stituire l’acido citrico con l’aceto. Lo sviluppo di
CO2 lo avrete lo stesso, ma il sale che otterrete
sarà l’acetato di sodio che però non sequestra un
tubo e perciò non vi servirà a niente.
Il Perossido di Idrogeno
Che paroloni! E che sarà mai?
Tranquilli, è il nome chimico dell’acqua ossige-
nata (H2O2), quella che spesso abbiamo in casa
come disinfettante per le ferite.
Volevate qualcosa che igienizza e sbianca come
nelle migliori pubblicità dei detersivi?
Eccola qua.
Questa è proprio una bella molecolina, non ri-
uscirete a trovare qualcosa di più ecologico ed
efficace.
L’acqua ossigenata, infatti, dopo il suo utiliz-
zo, ha il grande vantaggio di non lasciare alcuna
traccia della sua presenza, perché si decompone
totalmente in acqua e ossigeno.
Non è fantastico?
Grazie a questo potere “ossidante”, cioè di for-
mare ossigeno, l’acqua ossigenata ha proprietà
sbiancanti e igienizzanti, che la rendono un su-
per rimedio per pre-trattare le macchie ossidabili
(per es. di erba o di caffé), eliminare l’odore di
sudore dalle magliette, pulire i muri dalla muffa,
togliere la puzza di pesce e uova dalle stoviglie e
molto altro ancora!
Di cosa credete che sia fatta la famosa candeg-
50
gina gentile? Non è altro che perossido di idro-
geno alla concentrazione del 7% (o a 26 volumi),
con l’aggiunta però di profumo, tensioattivi e al-
tre cose, più o meno inquinanti o inutili. Tanto
vale prepararsela da sé.
E come si fa? Dunque, l’acqua ossigenata che
mettete sulle sbucciature del pupo non va bene,
se ci fate caso sul flacone è scritto che è perossi-
do di idrogeno al 3% (10 volumi). Troppo diluita
per i nostri scopi. Perciò vi tocca andare dal fer-
ramenta e comprare un bel flaconcino di acqua
ossigenata a 130 volumi (36% di ossigeno attivo)
e poi effettuare delle diluizioni. Non vi venga in
mente di comprarla in farmacia, oltre a guardarvi
storto ve la faranno pagare come oro zecchino!
Di solito l’ossigenata così concentrata è usata
per sverniciare il legno, perciò dal ferramenta vi
guarderanno storto ugualmente, ma almeno la
pagherete attorno ai 4 euro al litro!
51
Considerate che spesso la pericolosità è una
questione di abitudine e di percezione del rischio.
In tutti i supermercati si può comprare il fla-
cone rosso del famoso disgorgante liquido. Se ci
fate attenzione, sull’etichetta ci sono una marea
di avvertenze, tra cui la sigla R35, una frase di
rischio che significa: provoca gravi ustioni. Ci
credo, dentro c’è acido solforico! Però, siccome si
trova in bella mostra tra gli scaffali, molti non si
preoccupano minimamente di schiaffarlo nel car-
rello assieme al pane, biscotti e bambino!
52
Questo significa che si sta decomponendo e di
conseguenza producendo ossigeno.
Per farla penetrare meglio nelle fibre, basta ag-
giungerci un cucchiaio di detersivo piatti e ora è
davvero pronta, proprio come la candeggina deli-
cata commerciale.
Potete aggiungerla alla lavatrice, per igienizza-
re il bucato anche a freddo e consumare meno
energia elettrica. Oppure metterla in un vecchio
spruzzino e usarla come pre-trattante delle mac-
chie o per sanificare sanitari e superfici. A questa
concentrazione non scolorisce i colorati, ma non
lasciatela tutta la notte sulla patacca, perché al-
lora sì che potrebbe sbiancare bene anche il tes-
suto!
53
ta, potrete anche dire addio alla candeggina tra-
dizionale, quella a base di Ipoclorito di Sodio, con
il suo odore caratteristico e che a molti rassicura,
perché sinonimo di pulito.
54
Per fare del bene a voi e al pianeta, la cosa mi-
gliore sarebbe sostituire l’ipoclorito con l’acqua
ossigenata. A concentrazioni attorno al 7% conti-
nuerete ad avere una buona garanzia di igiene.
A dire il vero esistono dei ceppi batterici (i cocchi
in particolare) che contengono nella loro mem-
brana una perossidasi e quindi verrebbero nu-
triti dall’ossigenata invece che essere uccisi! Ma
questo avviene a concentrazioni molto basse di
acqua ossigenata, con le percentuali della can-
deggina gentile si può stare tranquilli.
Il Percarbonato di Sodio
Se invece di convincervi a procurarvi l’acqua os-
sigenata, vi ho spaventati... mi dispiace!
Ma potreste sempre optare su questo ingredien-
te per sbiancare o igienizzare.
55
Il percarbonato di sodio è sempre una sostanza
ossidante e con basso impatto ambientale. Ha le
stesse proprietà dell’acqua ossigenata ma, essen-
do in polvere, richiede temperature più elevate
per decomporsi. In pratica è il carbonato di sodio
(la soda solvay) su cui viene fatta cristallizzare
una molecola di acqua ossigenata.
Quando il percarbonato si scioglie in acqua libere-
rà appunto acqua ossigenata e carbonato di sodio.
Però, per liberare l’ossigeno che igienizza bisogna
superare i 40°C. Se all’interno della polvere non
c’è l’attivatore di percarbonato, il TAED (Tetra
Acetyl Ethylene Diamine) ci vorranno addirittura
temperature più alte (oltre i 50°C). Quindi, non
ha senso usarlo a basse temperature, perché non
si attiverà, non si decomporrà e finirà per essere
sprecato, inquinando inutilmente.
Come l’acqua ossigenata è comunque un ottimo
rimedio come pre-trattante delle macchie ossida-
bili, ma non possiamo farci uno spruzzino liquido
pronto all’uso. È invece possibile fare una pappet-
ta di percarbonato sciolto in poca acqua, si sfrega
sulla macchia e subito in lavatrice, se si secca
non funziona più. Occhio che sbianca molto e po-
trebbe decolorare i delicati, ma che suppongo non
laverete ad alte temperature. Non fateci miscugli
strani e, a differenza dell’acqua ossigenata, non
aggiungeteci l’acido citrico, lo distruggerebbe in
pochi secondi.
Il percarbonato si può acquistare on line, nei
negozi di prodotti bio e anche nei discount. La
qualità non è sempre la stessa, bisogna leggere
56
gli ingredienti. Spesso viene chiamato “sbiancan-
te a base di ossigeno”. Fate anche attenzione a
non confonderlo con il perborato. I derivati del
boro sono stati ampiamente studiati. La loro pe-
ricolosità e l’elevato impatto ambientale dovrebbe
aver fatto completamente sparire dal mercato il
famoso “perborato di sodio”, ma nel dubbio...
Il percarbonato di sodio, assieme al detersivo
piatti, la soda solvay e il citrato di sodio, è un al-
tro prezioso ingrediente per confezionarvi il vostro
detersivo lavatrice homemade. Cosa vi manca?
Ma certo, un anti-schiuma!
57
otterremo un sapone liquido, non più un panetto,
ma caratterizzato dallo stesso pH alcalino, intor-
no a 8-10.
Il loro nome nella lista degli ingredienti si rico-
nosce dalla parola sodium o potassium e dalla de-
sinenza “ate” che segue il nome del grasso o olio
da cui proviene. Per esempio: sodium tallowate,
indica che il grasso è animale (suino o bovino);
sodium cocoate, da olio di cocco; sodium olivate,
da olio di oliva, ecc.
Siccome nel nostro detersivo fai da te per bu-
cato, la fonte di tensioattivo lavante è il detersivo
per i piatti, rischiamo di creare davvero troppa
schiuma nella lavatrice, con il rischio di romper-
la. La schiuma infatti, per formarsi, sottrae una
grande quantità d’acqua e la resistenza, nel vano
tentativo di scaldare l’acqua che non c’è, si ful-
mina. Inoltre, un eccesso di schiuma attutireb-
be l’urto dei panni nel cestello, togliendo parte
dell’azione meccanica alla lavatrice stessa e il bu-
cato sarà meno pulito. Insomma, non va affatto
bene questa situazione. Un ottimo ed economico
antischiuma sarà il nostro sapone di marsiglia:
si grattugia per benino o lo si fa a scaglie e si
aggiunge agli altri ingredienti. Sciogliendosi in
acqua, formerà dei sali di calcio, che si compor-
teranno come degli “spilloni” che romperanno le
bolle di schiuma.
Le Ricette
Benissimo! Ora avete tutte le conoscenze per ri-
sparmiare, inquinare meno e divertirvi con il fai
da te!
E dunque, come fareste il detersivo per un bu-
58
cato resistente, che ha bisogno di una bella lava-
ta e igienizzata ad alte temperature?
Potreste usare due cucchiai di sapone di marsi-
glia grattugiato, due cucchiai di detersivo piatti,
uno di soda solvay, uno di percarbonato e 50ml
di citrato di sodio.
Date una pretrattratina alle macchie più resi-
stenti, aggiungete l’acido citrico nella vaschetta
dell’ammorbidente e azionate la lavatrice.
Il bucato è particolarmente giallo? Allora forse
dovreste mettere più percarbonato.
È particolarmente sporco o macchiato? Un po’
più di solvay può aiutarvi.
Avete acqua molto dura? Magari è necessario
più citrato.
Date un’occhiata al cestello, c’è troppa schiu-
ma? Forse c’è bisogno di più marsiglia o meno
detersivo piatti (ci sono certi ecolabel super con-
centrati dove un cucchiaio è più che sufficiente).
Vi state chiedendo perché non sono un po’ più
precisa? Mi dispiace, non potrei esserlo...
Fare un detergente è semplice, ma bisogna an-
che avere pazienza e sperimentare.
Una ricetta potrebbe non essere adatta alle vo-
stre pretese di lavaggio, al grado di sporco del vo-
stro bucato, alle diverse materie prime che usere-
te o alla durezza dell’acqua della vostra città.
Quindi saranno necessarie piccole modifiche,
che dovrete trovare da soli e creare la vostra ricetta.
Ecco il significato di “essere consapevoli”: se
avete capito il perché si usa una o l’altra sostanza
ci riuscirete senz’altro.
59
Potete trovare moltissime ricette, per tutti gli
scopi sul forum di Fabrizio, BioDizionario o su
Mammachimica.it, dove ho raccolto quelle che
uso solitamente.
Non è per cattiveria che non ne scriverò altre qui!
A parte che sarebbe una noia infinita, ma so-
prattutto vi perdereste i tantissimi commenti e
le esperienze di molti utenti, che invece troverete
nei due siti che vi ho indicato e che potrebbero
aiutarvi a risolvere molti dubbi.
Ma, per farmi perdonare, vi svelerò i mille rime-
di “scientifici” ed ecologici per fare al meglio le vo-
stre pulizie quotidiane, ovviamente sperimentati!
60
CAPITOLO QUATTRO
Consigli ECO-LOGICI
per fare pulizie da manuale!
61
contare che la maggior parte di esso finirà dritto
dritto nello scarico.
Il detersivo liquido, proprio per sua natura, è
utilizzabile anche a freddo, sotto i 40°C, per il bu-
cato con sporco leggero e per i colorati. Tanto le
macchie vanno per forza pre-trattate...
2) Che rogna pre-trattare!
Concordo, rompe tantissimo anche a me. Ma
non penserete che un detersivo, anche il più fa-
moso in commercio, possa mirare precisamen-
te alle macchie, tra tutti i panni e l’acqua della
lavatrice, vero? La pubblicità ci martella conti-
nuamente con i pre-tattanti. Ma ormai voi sape-
te come comportarvi. Potete aggredire le macchie
di grasso e unto con qualche goccia di detersivo
piatti oppure con lo sgrassatore o con il sapone
di marsiglia; se sono ossidabili allora opterete per
l’acqua ossigenata o il percarbonato. Certamente
sarebbe meglio agire quando sono patacche an-
cora fresche. Ma se proprio non vogliono andare
via, avete un ultimo asso nella manica: il sole.
3) Stendere al sole
Il sole, grazie alle sue radiazioni ultraviolette,
igienizza e sbianca in modo economico e naturale.
Le macchie di pomodoro sul bavaglino del pupo,
che sono rimaste lì, noncuranti del lavaggio, spa-
riscono al sole. Idem le macchie di pupù, per
esempio sui pannolini lavabili.
Il motivo è che le sostanze responsabili del colo-
re (es. la bilirubina che colora di marrone le feci
o i flavonoidi presenti nei pigmenti rossi del po-
modoro) sono fotolabili, vengono cioè decomposte
62
con la luce solare e si attenuano notevolmente,
fino a sparire.
4) Potrò ridurre la dose?
Ma certo! Il formulatore di detergenti, quando
deve decidere la quantità di prodotto da versare
in lavatrice, farà dei test di lavaggio e poi appli-
cherà una media. Come potrebbe conoscere con
certezza lo sporco di ognuno di noi? Impossibile.
Quindi la dose consigliata potrebbe essere supe-
riore a quella che realmente necessita il nostro
bucato. Vi consiglio di fare delle prove riducendo
la dose del detersivo e vedere che succede, se il
calzino e la maglietta non puzzano forse siete già
al giusto dosaggio!
5) Meglio la pallina o metto tutto nella vaschetta
della lavatrice?
Pallina, pallina! Mettere il detersivo nella palli-
na dosatrice (o anche nei tappi dei flaconi esauri-
ti) e infilarla direttamente nel cestello, può farne
ridurre la dose del 10-15%.
Non solo, se aggiungerete anche altre 2 palli-
ne da tennis al bucato, questo verrà sicuramente
lavato meglio. Le palline infatti, sbattendo, apri-
ranno e sposteranno di più gli indumenti, così il
detersivo agirà meglio. Ma mi raccomando, usate
palline bianche! Non quelle gialle fluorescenti. C’è
il rischio che stingano o lascino pelucchi lumino-
si sui vostri capi scuri.
6) Aiutiamo gli enzimi
Scegliere un detersivo contenente ENZIMI è cer-
tamente un’ottima idea, perché migliorano il la-
vaggio a basse temperature e permettono anche
63
di usare meno prodotto di quanto indicato. In-
fatti, anche in basse quantità, gli enzimi hanno
un’attività pulente enorme e, una volta arrivati
nell’ambiente, si degradano velocemente.
Per riconoscerli tra gli ingredienti del detersi-
vo, ecco i loro nomi: protease (l’enzima che aiu-
ta a sciogliere le macchie proteiche, tipo sangue,
uovo), amilase (per macchie a base di amido), cel-
lulase, lipase, ecc.
A 30°C gli enzimi funzionano molto bene, ma
si disattivano oltre i 40°C e non funzionano più.
L’ideale quindi, per farli lavorare al meglio, sa-
rebbe impostare la lavatrice a 30°C, fino a quan-
do ha caricato tutta l’acqua e spegnerla per una
ventina di minuti, lasciando in ammollo. In que-
sto modo gli enzimi hanno tutto il tempo di fare
il loro lavoro. Poi si cambierà la temperatura di
lavaggio secondo le proprie esigenze e il tipo di
detersivo usato (polvere o liquido).
7) Doppio risciacquo del bucato
Lo so, sembra uno spreco di acqua, ma pur-
troppo è necessario sempre più spesso. Le nuove
lavatrici, per conquistare la classe A+++ e ancora
+, utilizzano il minimo indispensabile di acqua,
molto meno delle “vecchie”. E così, indossando
quegli abiti, rischiate di fare la schiuma se piove
e non avete l’ombrello...
8) Guanti sì o guanti no?
Si, assolutamente. Quando usate un detergen-
te, sia tradizionale sia ecologico, è certamente
sempre meglio indossarli. Se deve sgrassare per
benino la padella, per quale oscuro motivo non
64
dovrebbe togliere anche i grassi delle nostre ma-
nine? È impossibile! Ormai di guanti ce ne sono
di tantissimi tipi, con o senza felpatura inter-
na, insomma, uno comodo riuscirete a trovarlo
senz’altro.
9) Oli essenziali
Mi scrivono spesso: “Cara Mammachimica, il
tuo detersivo lavatrice è una bomba, ma non pro-
fuma, posso aggiungerci qualche goccia del mio
o.e. preferito?”.
No. Se sono o.e. puri e non dispersi in una fase
alcolica, non si scioglieranno in acqua, perché
appunto sono oli, ma galleggeranno sulla superfi-
cie. Quindi non ha senso aggiungerli al detersivo
per la lavatrice (che è in fase acquosa) sperando
che profumino il bucato.
Anzi, in questo modo sprecherete l’olio essen-
ziale per due motivi: al primo prelievo di detersi-
vo verserete tutte le gocce insieme; inoltre, que-
ste gocce non si attaccheranno ai tessuti, perché
non hanno i fissativi del profumo, come avviene
nel detersivo commerciale.
Un buon suggerimento per profumare la bian-
cheria con gli o.e. è di metterne qualche goccia
su di un pezzettino di carta, da lasciare poi nei
cassetti.
10) E aiutiamo anche la lavatrice e la lavastoviglie
Volete avere questi due instancabili elettrodo-
mestici sempre al top? Bene, fate una manuten-
zione periodica con l’acido citrico per combattere
l’odioso calcare. Renderete più efficiente le mac-
china, migliorando la capacità lavante e riducen-
65
do il consumo energetico. Basta aggiungere un
paio di cucchiai di acido citrico nella vaschetta
del detersivo e fare un lavaggio, a vuoto e a 40°C
(una mezz’oretta è più che sufficiente).
Se nella lavastoviglie metterete le pentole inox,
ringiovaniranno!
La periodicità con cui fare tale manutenzione
dipende ovviamente dalla durezza dell’acqua,
dalle temperature di lavaggio e dall’abitudine o
meno di usare acido citrico come ammorbidente
o brillantante. Se invece sentite puzze strane, po-
trete dare una bella igienizzatina con un lavaggio
a 60°C a vuoto, e con un paio di bicchieri di can-
deggina delicata o 100 g di percarbonato.
11) Attenti all’alcool!
Va bene avere vetri super lindi, ma quando usa-
te gli spruzzini specifici fatelo sempre a finestre
aperte. Non solo eviterete di ubriacarvi, ma anche
di avere problemi più seri. Ci sono molti studi in
merito ai danni provocati dall’alcool, sia nell’uso
domestico che in quello professionale, come li-
quorifici, cantine, ecc.
E tutti i detergenti per vetri o specchi, per essere
efficaci e non lasciare aloni, sono sempre a base
di alcool etilico (etanolo). Però l’alcool, come tutti
i solventi, è neurotossico per inalazione (dannoso
cioè per le cellule del sistema nervoso).
Quindi, per non trovarvi in una specie di came-
ra a gas, aprite bene le finestre!
66
CAPITOLO CINQUE
I cosmetici
67
volte lunghissima, spesso piena di nomi impro-
nunciabili. Perfetto, quello è l’INCI.
INCI significa /International Nomenclature of
Cosmetic/Ingredients/ ed è la lista di tutti gli in-
gredienti contenuti nel prodotto, scritti in ordine
di quantità decrescente, fino alla concentrazione
dell’1%. Dopo tale percentuale non è più obbliga-
torio indicarli in ordine ma possono essere scritti
in ordine sparso.
I nomi delle sostanze sono in latino, es. i nomi
botanici delle piante, oppure in inglese, se le mo-
lecole hanno subito processi chimici o sono state
prodotte in laboratorio.
Per i cosmetici, la presenza dell’INCI comple-
to sul flacone è obbligatoria, secondo la Diretti-
va CEE 76/768. (Non è invece obbligatoria sui
contenitori di detersivi per la casa, dove però il
Regolamento Europeo sui detergenti, impone al
fabbricante di avere un sito web, indicato in eti-
chetta, dove si devono trovare tutti gli ingredien-
ti, sempre in ordine decrescente).
A scanso di qualsiasi equivoco, voglio subito
precisare che tutti i prodotti cosmetici presenti
sul mercato NON sono tossici o pericolosi.
Le sostanze che contengono devono essere in
percentuali tali da rispettare i limiti definiti per
legge e che sono ovviamente indicati nel suddet-
to regolamento. Però, nella stessa tipologia in-
gredienti (idratanti, conservanti, emollienti, ecc.)
possono esserci sostanze più “problematiche” di
altre, sotto tanti punti di vista: dermatologico,
ambientale, etico, ecc.
68
Una sostanza “discutibile” posso trovarla nel
sapone per le mani ma anche nel bagnoschiuma,
nel dentifricio, nella crema viso, crema corpo, e
così, durante la giornata, potrei superare di gran
lunga la dose consentita per legge e ritenuta non
dannosa per l’uomo.
In pratica potrei accumulare quantità rilevanti
di una certa molecola senza rendermene conto.
E allora, come facciamo a sapere se stiamo ac-
quistando un cosmetico, certamente legale, ma
un’emerita schifezza?
Niente paura, per questo solo un uomo compe-
tente e generoso può aiutarci! È Fabrizio Zago,
con il suo Biodizionario.
Il Biodizionario è uno strumento utilissimo per
valutare l’INCI, frutto di un lavoro enorme, di-
sponibile gratuitamente sul web, unico in Italia,
a cui si rifanno moltissime aziende serie sensibili
all’eco-bio e alla dermocompatibilità.
State tranquilli, Fabrizio non vuole vendere nul-
la e soprattutto non vuole pilotare nessuno sulla
scelta di un prodotto piuttosto che un altro.
Il Biodizionario è nato con lo scopo di aiutarci a
essere consapevoli delle nostre scelte.
È solo un elenco pressoché infinito di sostanze,
valutate in base alle loro caratteristiche chimi-
che, se sono sintetiche o naturali, se di derivazio-
ne petrolifera, vegetale o animale; la loro biode-
gradabilità; l’impatto sull’ambiente, sull’uomo e
sugli organismi acquatici e anche il destino delle
materie prime utilizzate.
La classificazione delle sostanze segue i colori
69
del semaforo: verde è ok, giallo indica attenzione
e rosso... meglio lasciar perdere.
Un ingrediente potrebbe non arrecare alcun
danno alla nostra pelle, ma non possiamo non
considerare il suo potere inquinante, perché co-
munque noi viviamo sul pianeta Terra. Non dob-
biamo fidarci delle sostanze “solo” dannose per
l’ambiente: ambiente e uomo sono strettamente
collegati, se una cosa fa male all’ambiente, prima
o poi ci si ritorcerà contro!
È il caso dell’EDTA, un sequestrante molto uti-
lizzato nei bagnoschiuma, per consentire ai ten-
sioattivi di fare bene il loro lavoro anche in pre-
senza di acque dure. Non è particolarmente pro-
blematico per la pelle ma è un chelante, cioè si
lega ai metalli e li porta in soluzione.
Quando viene risciacquato e introdotto nell’am-
biente, se è in eccesso (cioè se diventa un inqui-
nante) rimuoverà i metalli pesanti dai fondali ma-
rini, li porterà nelle acque rendendoli disponibili
per i pesci, che poi potremo ritrovare nel nostro
piatto, con un contenuto di mercurio, piombo,
ecc. elevatissimo! Quindi si merita il doppio bol-
lino rosso, perché in commercio esistono seque-
stranti migliori di lui.
Anche gli estratti totalmente vegetali sono con-
siderati “rossi”, perché potrebbero scatenare al-
lergie e dermatiti in alcuni soggetti.
Altro esempio: la lanolina, un emolliente mol-
to usato nel trattamento dei capezzoli del seno
durante l’allattamento, per evitare o alleviare i
dolori delle ragadi. Si ricava dalla lana della pe-
70
cora. Purtroppo però, facendo le analisi chimiche
di questa ottima e funzionale sostanza, è emerso
che la maggior parte delle lanoline in commercio
è piena zeppa di pesticidi e antiparassitari, che
le povere pecorelle assorbono brucando in campi
inquinati. Non pensate si meriti il bollino rosso
pure lei?
Molte molecole sono valutate negativamente
anche perché poco sostenibili, ovvero necessita-
no di molta energia per la loro creazione, sono
inquinanti e potrebbero essere facilmente sosti-
tuite dal formulatore con sostanze migliori.
Viceversa, potrebbero avere il pallino verde al-
cune sostanze che sono totalmente sintetiche,
ma magari molto biodegradabili o molto utili e
attualmente di difficile sostituzione.
Insomma, bisogna considerare tanti aspetti per
valutare una molecola e in effetti non sempre il
giudizio può essere netto.
Ecco perché la valutazione e i pallini del Bio-
dizionario subiscono cambiamenti nel tempo, di
pari passo con la ricerca, le novità del mercato
e le pubblicazioni scientifiche relative all’uso di
alcune sostanze. Leggendo l’INCI saremo infor-
mati su cosa ci spalmeremo addosso, se questa
sostanza potrà essere problematica per noi e/o
per l’ambiente, e regolarci di conseguenza.
Poi ognuno di noi farà la sua personalissima
scelta di accettare uno, zero, o 20 pallini rossi,
ma consapevole di questo!
Tra le migliaia di sostanze, ce ne sono alcune
che ritengo proprio brutterelle e, se le trovo in eti-
71
chetta, propendo per non acquistare il prodotto.
È una lista personale! Sono le prime che mi sal-
tano all’occhio, ma non è certo una lista esausti-
va o vincolante per nessuno!
72
zione del petrolio, molto usate come emollienti
perché non irrancidiscono (quindi non puzzano),
non danno allergie, sono molto stabili e soprat-
tutto costano poco.
Per carità, il petrolio è tutto naturale... però
queste sostanze sono occlusive, bloccano la tra-
spirazione cutanea, non lasciano respirare la pel-
le come se fossimo avvolti da una busta di plasti-
ca. Quindi, la dermo-compatibilità va certamente
a farsi friggere! Inoltre sono anche inquinanti, e
che il petrolio lo sia lo sanno pure i bambini!
Come se non bastasse, il petrolatum (la comune
vaselina) è riconosciuta dalla Direttiva delle So-
stanze Pericolose (67/548/CEE) come sostanza
cancerogena di seconda classe. Ovvero, non ha
una diretta causalità nella formazione del can-
cro, come può essere ad esempio la formaldeide o
l’amianto, ma è fortemente sospettata.
Viene però ammessa in prodotti cosmetici “Se il
fornitore garantirà di essere a conoscenza dell’in-
tero processo di raffinazione delle materie prime
utilizzate nella produzione della vaselina, che
escluda eventuali impurezze cancerogene”.
Io rimango perplessa: esistono validissimi oli
e grassi vegetali, altrettanto emollienti e in più,
biodegradabili, per sostituire i petrolati.
Mi rendo conto che in campo medico e farma-
ceutico ci sono esigenze e necessità diverse. Un
farmaco di solito si assume per un periodo limi-
tato di tempo e forse, in quel caso, i petrolati sono
la sola alternativa valida. Ma utilizzarli ancora in
campo puramente cosmetico mi sembra assurdo.
73
Quello che comunque mi irrita di più è che i pe-
trolati si trovano in grande quantità, cioè ai primi
posti dell’INCI, nei cosmetici per bambini e neo-
nati, anche nei prodotti venduti solo in farmacia
e dai costi molto più elevati. Si ritrovano nelle
creme idratanti, lenitive, nelle paste all’ossido di
zinco per il cambio pannolino e addirittura “spal-
mati” nei pannolini stessi. Non ci credete? Legge-
te l’INCI dei più famosi pannolini in commercio.
Se volete approfondire ulteriormente, c’è una
vasta documentazione scientifica sulle dermati-
ti da petrolatum, tra cui uno studio che definirei
inquietante, che riguarda proprio l’uso dell’un-
guento al petrolatum. È di Conner, JM, Soll RF,
Edwards WH. Topical ointment for preventing in-
fection in preterm infants (Cochrane Review). Ri-
guarda l’applicazione di unguento sui bimbi nati
prematuri, che sviluppano spesso infezioni bat-
teriche durante la permanenza in ospedale. La
loro pelle non è completamente formata e quindi
potrebbe non essere una barriera del tutto effica-
ce contro i batteri. L’uso dell’unguento può pro-
teggere la pelle e prevenire il passaggio di germi
al sangue con conseguenti infezioni.
In realtà dallo studio è emerso che applicando
di routine l’unguento, anche sui quei bambini
in cui non c’era un evidente lesione sulla pelle,
le infezioni batteriche aumentavano! Le ragioni
non sono chiare, ma la conclusione è che tale un-
guento aumenta i rischi di infezione e che quindi
non deve essere applicato in modo routinario….
Insomma, è molto frequente scoprire che i pro-
74
dotti cosmetici famosi, super pubblicizzati o ac-
quistabili solo in farmacia, dai prezzi più elevati,
sono tutti a base di petrolati. Ma, sapendo che la
paraffina, oltre ad essere sospetta, costa anche
poco, mi sento un po’ presa per i fondelli a pagare
di più una cosa che non è assolutamente diversa
da quella anonima, senza marca! Anzi, proprio
spulciando nei discount ho notato formulazioni
molto buone e green. Può, infatti, capitare che
alcune piccole aziende italiane, sensibili all’eco-
bio, producano per terzi, oppure si trovano pro-
dotti stranieri meglio formulati.
75
ne” di pelle liscia e piacevole al tatto. Però è solo
una sensazione, non è la pelle che è morbida, è il
silicone che ha creato un film su di essa! Insom-
ma, ci fanno “fessi e contenti”!
Ma non mi infastidiscono solo per questo. Oltre
a “ingannare esteticamente” il consumatore e la
sua pelle potrebbero anche essere nocivi per l’in-
tero organismo. Purtroppo le analisi del sangue
di ammalati di sensibilità chimica multipla, ne
rivelano la presenza. Se in natura non esistono,
non sarà che derivano dalle creme che si sono
spalmati addosso?
Il silicone si trova anche in molti prodotti per
capelli e, udite udite, probabilmente è il respon-
sabile delle doppie punte. Il motivo è che avvolge
il fusto del capello come una guaina. Poi, usando
il phon, il capello si dilata per effetto del calore,
ma trovandosi completamente avvolto dalla pelli-
cola del silicone, ad un certo punto “scoppia” e si
divide, creando la doppia punta.
Un disastro questi siliconi!
Comunque, come i petrolati, possono essere fa-
cilmente sostituiti da sostanze vegetali, per es. il
Caprylic/Capric triglyceride, che rendono la cre-
ma morbida, vellutata e spalmabile esattamente
come il silicone sintetico ma sono dermocompa-
tibili, biodegradabili e a bassa tossicità per gli or-
ganismi acquatici.
76
assieme grassi e acqua nel cosmetico). La cosa
problematica di queste sostanze è che in alcune
condizioni, in fase di produzione, si potrebbero
formare nitrosoammine, delle molecole cancero-
gene (e una volta formate rimangono nel cosme-
tico). Le condizioni incriminate sono: alte tempe-
rature, pH acidi, presenza di nitrosanti come il
2 bromo-2-nitro1.3propandiolo, alpha metil inone,
nitrito. E vi assicuro che non è difficile trovare
queste condizioni.
77
PARABENI (esteri para-idrossibenzoici): è una
famiglia di conservanti ancora sotto studio, ma
fortemente sospettati di essere disturbatori endo-
crini. Quasi certamente propyl e buthylparaben
sono perturbatori endocrini e anche peggio.
Alcuni cosmetici utilizzano come conservante
l’estratto di Lonicera japonica (caprifoglio giappo-
nese) che infatti contiene parabeni, naturali cer-
tamente, ma sempre parabeni sono!
78
schiuma o lo shampoo come detersivo per lana
e capi delicati (magari non in lavatrice che fa un
sacco di schiuma), il balsamo come ammorbiden-
te, la crema come lucido da scarpe, ecc.
Oltre agli ingredienti problematici, c’è un’altra
questione spinosa relativa ai cosmetici: per esse-
re davvero sicuri e innocui, come saranno testati?
Siamo invasi da etichette con l’immagine di un
coniglietto, con associata la scritta cruelty free
oppure la dicitura “prodotto non testato su ani-
mali”. Aiuto! Cosa vorrà significare? Che i cosme-
tici su cui non c’è questo marchio, hanno invece
causato la sofferenza di animaletti indifesi?
Assolutamente no!
L’articolo n°18, relativo alla sperimentazione
animale, del già citato Regolamento Europeo Co-
smetici n. 1223/2009 è molto chiaro in proposito:
“È vietato sperimentare i prodotti cosmetici finiti
e gli ingredienti cosmetici sugli animali (divieto di
sperimentazione) e immettere sul mercato comuni-
tario prodotti cosmetici finiti e ingredienti, presenti
nei prodotti cosmetici, che sono stati sperimentati
su animali (divieto di commercializzazione)”.
Quindi nessuno all’interno della Comunità Eu-
ropea può testare il suo cosmetico su cavie per-
ché sarebbe fuori legge, oltre che assolutamente
inutile e dispendioso.
E dunque, scrivere “cosmetico non testato su
animali” non è un valore aggiunto di quel partico-
lare prodotto o di una determinata azienda.
Sembra più una trovata del marketing, tipo
specchietto per allodole, che punta ad attirare il
79
consumatore sensibile e animalista e farlo cadere
in errore.
Scriverlo non è una bugia, ma è come voler spe-
cificare una cosa ovvia.
Allora potrebbero anche scrivere “cosmetico pre-
parato con acqua umida”, è assolutamente vero!
Ma l’acqua è sempre bagnata, non c’è bisogno di
evidenziarlo!
Ne consegue che tutti i produttori di cosmetici,
sia quelli sensibili all’eco-bio, che quelli che uti-
lizzano sostanze non dermocompatibili, petrolati
o siliconi, da questo punto di vista sono tutti sul-
lo stesso piano, con o senza coniglietti sull’eti-
chetta.
Secondo la Commissione Europea, l’indicazione
sulla confezione che il prodotto è stato sviluppato
senza fare ricorso alla sperimentazione animale è
consentita, ma si deve dimostrare che le materie
prime non siano state sottoposte a tali test dalla
ditta che le vende ma anche da tutte le altre ditte.
E questo dubito fortemente che qualcuno possa
scriverlo. Perché in realtà TUTTE le sostanze chi-
miche presenti sul mercato e utilizzate per crea-
re prodotti di vario genere (cosmetici, detersivi,
colle, vernici, ecc.) sono state testate almeno una
volta su animali.
Anche quelle più ecologiche e biodegradabili,
tranne i “derivati vegetali non sottoposti a tra-
sformazioni chimiche”. Certamente tali test non
sono fatti dalle aziende che producono i prodotti
che poi le conterranno e nemmeno dai loro forni-
tori.
80
Però qualcuno, almeno una volta, anche molti
anni fa, lo ha fatto, altrimenti non sarebbero ma-
terie prime commercializzabili, perché non sono
ritenute sicure.
Lo si può vedere dalla scheda di sicurezza che
una sostanza deve necessariamente possedere
per essere messa in vendita, in cui compaiono le
informazioni tossicologiche (es. c’è il test di tossi-
cità acuta, il DL50, che prevede la somministra-
zione della sostanza fino a quando muore “solo”
il 50% della popolazione animale).
La Direttiva CE del 2006 chiamata REACH
(Registration, Evaluation and Authorisation of
Chemicals) prevede che TUTTE le sostanze im-
messe sul mercato debbano essere testate con-
formemente a quanto stabilito dall’Unione Eu-
ropea, utilizzando tutti i test disponibili sia in
vitro sia su animali, qualora non vi siano altri
test validati per poterli sostituire. L’ECVAM (Eu-
ropean Centre for the Validation of Alternative
Methods) è l’ente preposto per convalidare me-
todi alternativi alla sperimentazione animale.
A questo punto molti di voi potranno pensare: se
uso solo prodotti di vecchia formulazione, non in-
crementerò la sofferenza animale.
Secondo me questo non è molto logico, perché
potrebbe accadere che quelle vecchie sostanze
usate siano altamente inquinanti. Se si hanno
a cuore gli animali, questo dovrebbe comprende
tutti gli animali, anche gli organismi acquatici e
noi umani, suppongo! Personalmente credo che
la ricerca di nuove molecole vada sempre soste-
81
nuta. Potrà creare sostanze maggiormente biode-
gradabili o dermocompatibili.
È grazie alla ricerca che adesso abbiamo nuo-
ve molecole di sintesi molto meno impattanti
sull’ambiente!
Ritengo che la normativa sui cosmetici sia molto
interessante, perché affronta il problema dei test
su animali ed è volta alla loro soppressione, quin-
di le lotte animaliste hanno dato qualche frutto!
Spero sia altrettanto chiaro che questo mio di-
scorso non vuole certo sminuire il grande lavo-
ro che fanno le grandi associazioni animaliste e
antivivisezioniste, ci mancherebbe! Sono assolu-
tamente a favore delle iniziative per eliminare le
sofferenze degli animali in tutti gli ambiti!
Però a me non piace essere presa in giro, e tan-
to meno, nascondermi dietro un coniglietto nella
scelta di un cosmetico.
Per concludere, visto questo panorama di pro-
blematiche, non sarebbe meglio farseli da sé que-
sti benedetti cosmetici?
Personalmente sarei molto tentata, ma autopro-
durre un cosmetico non è così semplice come fare
un detersivo per la lavatrice. Oltre a rispettare le
regole basi della chimica, per far stare in piedi la
formulazione, è fondamentale conoscere a fondo
le sostanze, la loro tossicità, la compatibilità re-
ciproca, il potere irritante, il giusto dosaggio, il
range di pH a cui possono essere utilizzate e che
ovviamente non diano reazioni avverse sulla no-
stra pellaccia!
Inoltre, è fondamentale operare in modo pulito,
82
igienizzando a dovere gli strumenti e i contenito-
ri che utilizzeremo per mescolare gli ingredienti
e per contenerlo. Ricordiamoci sempre che il co-
smetico ce lo metteremo addosso. Di conseguen-
za, è di fondamentale importanza anche la sua
conservazione.
Dato che nella maggior parte dei casi, l’ingre-
diente principale di un cosmetico è l’acqua, in
pochi giorni diventerebbe una perfetta coltu-
ra batterica. Quando un cosmetico “va a male”,
cambia colore, odore e consistenza. Ma prima di
accorgermene, potrei già essermelo spalmato più
volte sulla pelle, che, in presenza di piccole ferite
o abrasioni, potrebbe infettarsi. Quindi, un con-
servante specifico è assolutamente necessario,
anche nelle preparazioni fai-da te ed eco-bio.
Nel caso dei detergenti per la casa, tutto è più
semplice. Posso contrastare la contaminazione
batterica agendo o contando sul pH “estremo”,
molto basso o molto alto che ha un certo ingre-
diente, es. l’acidità dell’acido citrico o la basicità
della soda solvay. Ma con una crema o un bagno-
schiuma non posso certamente fare così, per ovvi
problemi di dermocompatibilità.
Insomma, non ci si può improvvisare formula-
tori di cosmetici senza un minimo di studio.
Anche perché sul web c’è di tutto e con la chi-
mica non si scherza.
Miscugli di sostanze che non si conoscono o non
dosate nelle quantità corrette potrebbero provo-
care guai molto seri.
Ma non voglio scoraggiarvi! Moltissime perso-
83
ne si cimentano con soddisfazione nel fai da te,
magari seguendo forum adatti, specializzati sullo
“spignatto” dei cosmetici.
Mi riferisco per esempio ai forum di Barbara Ri-
ghini http://forum.saicosatispalmi.org e L’ango-
lo di Lola http://lola.mondoweb.net.
Sono molto attendibili e scientifici, condotti da
persone competenti e che hanno anche l’enorme
pregio di voler condividere questa conoscenza. E
creano cose bellissime.
In particolare, nel forum di Lola, nella sezione
“Le basi dello spignatto”, troverete un utilissimo
post, relativo alla pericolosità delle sostanze che
si utilizzano. Oltre a mettervi in guardia sui peri-
coli che incorrereste per ignoranza, distrazione o
incoscienza, è anche molto divertente da leggere.
84
Il naturale è bene!
Tutto?
85
da fieno dimostra che alcuni vegetali possono scatena-
re delle allergie anche molto serie, il curaro e la cicuta
sono dei vegetali ma forse conviene evitare di avere
contatti con queste sostanze.
Penserete che nessuno usa curaro e cicuta per fare
delle creme o più in generale dei cosmetici. È vero! Ma
quante altre sostanze che sono, all’apparenza, buone
e naturalissime possono fare male? Molte, purtroppo
molte.
La nascente scienza della cosmesi naturale dovrebbe
investire il successo di cui gode nella ricerca delle giuste
quantità di sostanze naturali, quelle quantità che sono
benefiche e che superati quei livelli sono dannose.
86
malattia stessa e sollecitando il corpo umano a reagire.
Torniamo alle sostanze che possono dare dei proble-
mi. Servono alcuni esempi per essere chiari.
Chi potrebbe sospettare che il bergamotto (il suo olio
essenziale) faccia male? Eppure questo derivato natura-
le è fototossico e quindi se presente in una crema viso
e se questo stesso viso fosse sottoposto all’azione dei
raggi del sole, ecco che da un potenziale beneficio rica-
diamo in guaio serio.
Si può andare anche oltre considerando ad esempio
il retinolo (Vitamina A). Cosa c’è di meglio di una vita-
mina? Ebbene, il retinolo molto usato in cosmetica, si
è rivelato molto irritante e la sua assunzione per via
alimentare è addirittura deleteria. In gravidanza è for-
temente sconsigliata qualsiasi dieta ricca di Vitamina A
per i suoi temuti effetti teratogeni (malformazioni).
87
Dalla liquirizia si estrae il Glycyrrhetinic acid che è
un efficace anti infiammatorio. Così come i flavonoidi
dell’ippocastano (Aesculus hippocastanum L.)
L’ Helichrysum italicum possiede azione antimicrobica.
I derivati del mais (Zea mais) hanno proprietà idratanti
e quelli del frumento (Triticum vulgare) possiedono ca-
ratteristiche anti tossiche.
88
ni degne di nota come Ecocert, BDIH, Soil Association,
NaTrue e Cosmos. Chiunque trovi certificazioni diverse
da queste diffidi! In genere si tratta di fabbricanti che
usano un logo di fantasia o di una autocertificazione.
Spesso, spessissimo si tratta di uno specchietto per le
allodole che serve ad attirare i clienti ma che dietro non
ha nulla. Quindi attenzione per chi, come noi, è attirato
dai cosmetici naturali ed è dunque facile preda di fab-
bricanti senza scrupoli.
Un altro modo per evitare di farsi imbrogliare è legge-
re questo libro. Come potete vedere non abbiamo peli
sulla lingua e forniamo, nei limiti di questo strumento,
indicazioni per diventare consumatori informati e co-
scienti.
89
CAPITOLO sei
ll paese della cuccagna!
90
to ricca e commercianti da tutto il mondo venivano ad
acquistare questo meraviglioso colorante. Adesso oc-
corre sapere che le palle di Pastel venivano chiamate
“Cocagne” e i pellegrini che passavano nel sud della
Francia per recarsi a Santiago de Compostela riferivano
di essere passati nel “Paese della Cuccagna”, in una re-
gione cioè dove non mancava il cibo, le case erano belle
e tutti erano felici. E abbiamo scoperto un’altra origine
di un termine ancora oggi molto utilizzato: il paese della
cuccagna.
Per inciso vi vorrei far notare che nell’albero della cuc-
cagna che si vede ancora nelle fiere di paese, il bottino
è sempre costituito da cibo proprio per ricordare che il
bene primario è l’alimentazione.
Ritorniamo al colorante. I tintori dell’epoca dunque
immergevano i tessuti naturali in un bagno caldo in cui
veniva disciolta la cocagne. Durante il processo di tin-
tura venivano a galla delle pagliuzze di purissimo colore
blu. Il tintore raccoglieva questo colorante, fino a 300
milligrammi al giorno, e poi lo vendeva ai pittori. Quindi
le magnifiche volte blu delle nostre chiese, affreschi ec-
cetera che vediamo ancora oggi sono di blu pastel.
Giusto per la cronaca vi segnalo che la coltivazione del
Pastel ha subito un repentino tracollo a causa dell’im-
portazione di un altro nome noto e cioè l’Indaco, ovve-
ro il colorante che proviene dalle Indie. (La concorrenza
anche allora!).
C’è stato un certo ritorno della coltivazione nel 1830
a causa della difficoltà di importazione e poi basta.
Basta? No!
Un importante convegno del 1990, ha segnato l’inizio
di una nuova giovinezza del Pastel. Durante quei lavo-
ri Missoni, Naj Oleari, Nina Ricci e altri grandi stilisti
91
ci hanno fatto sapere che era loro intenzione produrre
capi tinti solamente con colori vegetali.
Fu così che andammo in cerca dei semi di Pastel, che
li abbiamo coltivati in diverse zone d’Europa, che abbia-
mo portato in laboratorio le piante per vedere quanto
colorante erano in grado di dare eccetera, insomma un
bel lavoro completo.
Ma siccome poi c’è il mercato: come la mettiamo col
mercato?
A questa domanda rispondo così: un chilogrammo
di colorante vegetale costa 100 mentre quello sinte-
tico costa 1, ed è quindi evidente che l’industria non
ha dubbi. Acquista quello sintetico. Ma questo lo dice
l’industria appunto. Vediamo adesso quello che mi ha
personalmente detto un tintore durante i lavori del
convegno: “Usando i coloranti blu sintetici avevo un
eczema che mi ricopriva mani e braccia fino ai gomiti,
da quando lavoro per Nina Ricci uso coloranti vegetali
e l’eczema è sparito”.
Consideriamo anche allora il punto di vista dell’Orga-
nizzazione Mondiale della Sanità: un chilo di colorante
sintetico ci costa 100 e quello vegetale costa 1. Perché
per fare quello vegetale non solo non ho più eczemi, ma
neppure medicine, giornate di lavoro perse. Al contrario
col sistema agricolo le campagne non si desertificano,
guadagno migliaia di giornate di lavoro, ho meno spese
sociali a causa della disoccupazione, eccetera.
In chiusura dunque rimane la semplice constatazione
che la realtà, la verità, non è sempre una sola o se pre-
ferite non è quella che l’industria, le multinazionali, la
pubblicità, ci fanno credere e forse c’è la possibilità di
ritrovare, riscoprire il paese della cuccagna.
92
CAPITOLO sette
La chimica per i piccoli
93
un vassoio, una tovaglia di plastica o un ripiano
che possa essere facilmente lavato, dato che ca-
drà del liquido.
Mi raccomando di spiegare sempre cosa è suc-
cesso. Vi assicuro che ai bimbi piace, si sentiran-
no importanti e anche un po’ magici.
Cominciamo!
1) Il Vulcano
Prendete una tazzina e metteteci un po’ di aceto
(un dito circa), poi versateci sopra, tutto insieme,
un cucchiaio di bicarbonato di sodio.
Si formerà molta schiuma che farà fuoriuscire
il tutto, come se fosse la lava del vulcano. Se ag-
giungete all’aceto un po’ di colorante alimentare
rosso, l’esperimento diventerà ancora più reali-
stico.
Cos’è successo? è avvenuta una reazione chimi-
ca!
L’aceto è una sostanza acida, mentre il bicar-
bonato di sodio è leggermente alcalino. Mischia-
ti insieme reagiscono e formano un gas chiamato
anidride carbonica, responsabile della vigorosa
effervescenza.
2) La Mongolfiera
Prendete una piccola bottiglietta (es. di succo di
frutta) e versateci il solito dito di aceto. Poi met-
tete un cucchiaio di bicarbonato in un palloncino
(magari aiutandovi con un imbuto).
Attaccate il palloncino alla bocca della bottigliet-
ta meglio che potete. Poi, tirandolo su, fate cade-
94
re tutto il contenuto all’interno della bottiglia. Il
palloncino si gonfierà “magicamente” da solo.
Cos’è successo? Anche in questo caso è avvenu-
ta la reazione chimica tra il bicarbonato e l’aceto,
con formazione di anidride carbonica gassosa, che
questa volta ha gonfiato il palloncino.
3) La Pozione Magica
Mettete acqua e un po’ di vino rosso in un bic-
chiere trasparente, poi aggiungete un cucchiaino
di bicarbonato. Voilà! Il vino è diventato blu!
Cos’è successo? Il vino è formato da tante so-
stanze. Alcune di queste, le antocianine, diventano
più scure se mischiate con una sostanza alcalina,
come per esempio il bicarbonato di sodio. Anche
qui è avvenuta una reazione chimica, che ha dato
origine a una sostanza diversa da quelle di par-
tenza e che si nota molto bene grazie al diverso
colore. Una cosa analoga avviene quando aggiun-
gete il limone al te e lui si “scolorisce”.
4) La Povere Magica
Mettete un po’ di bicarbonato in un piattino e
versate qualche goccia di vino rosso: il bianco bi-
carbonato non diventerà rosso, ma blu!
Cos’è successo? La stessa cosa di prima, la lie-
ve basicità del bicarbonato trasforma i componenti
colorati del vino da rossi a blu.
95
Considerando anche che le volte che un bimbo
di sei anni vuole ripetere il vulcano sono presso-
ché infinite...
Comunque, a parte gli scherzi, alcuni di questi
esperimenti li ho eseguiti anche in classe, in un
liceo e in molti si sono divertiti. La speranza era
di far rimanere più “impresso” agli studenti che in
una reazione chimica le sostanze si trasformano
in altre, nuove e diverse e che ci sono degli indizi
che ce lo fanno capire: la formazione di bollicine,
il cambiamento di colore, ma anche la variazione
di temperatura e la formazione o scomparsa di
un solido. Insomma, si fa di tutto per carpire la
loro attenzione!
Non resta che augurarvi: buone pozioni!
96
APPENDICE UNO
E se non bastasse…
I foglietti acchiappacolore
97
cationiche. Ma questo non significa che si sareb-
bero colorati anche gli altri capi e che lui li ha sal-
vati (non si sarebbero colorati comunque, anche
senza di lui!). E viceversa, se veramente ci fosse
qualcosa tra i panni che stinge alla grande, non
ci sarebbe foglietto che tenga...
Chi dice che questi foglietti li hanno salvati più
di una volta in realtà non può esserne sicuro,
perché non ha potuto fare la contro prova (con
stessi panni, stesso lavaggio, stesse condizioni).
Invece Fabrizio Zago, nel suo grande laboratorio
pieno di lavatrici, le prove le ha fatte, eccome!
Ha preparato due bucati identici, con gli stessi
tessuti e una pezza speciale che cede colore.
In una lavatrice ha messo il foglietto acchiap-
pacolore e nell’altra no. Risultato: tessuti colorati
nello stesso modo in entrambe le macchine, ahimè!
Insomma, l’unica soluzione economica ed ecolo-
gica per non far scolorire i capi è lavare a basse
temperature. Ovviamente se si separano i bianchi
dai colorati si evita anche di combinare qualche
guaio!
98
tetta da brevetto, ma chi li vende dice che sono
a base di microorganismi naturalmente presen-
ti nell’ambiente e nel nostro organismo. Ma al-
lora, se sono sempre presenti, dovremmo essere
sempre tutti puliti! D’altra parte, se invece c’è un
brevetto, questo mi fa pensare possa essere un
prodotto derivante da biotecnologia.
Nulla in contrario verso le biotecnologie, anzi,
ritengo siano un’ottima risorsa per l’umanità,
ma tutto deve essere sperimentato, per esempio
per studiare le possibili ripercussioni sull’am-
biente di un “nuovo” microrganismo lavante.
Inoltre mancava la cosa più ovvia per un detersi-
vo: il test di lavaggio, che provi scientificamente
la sua efficacia.
Una cosa che utilizzata non serve a nulla e non
funziona, anche se non è pericolosa, è comun-
que una risorsa sprecata e che inquina, e basta.
Ed è proprio questo che ha fatto la rivista Altro-
consumo: ha testato l’efficacia di lavaggio degli
eMC, seguendo le indicazioni di dosaggio del pro-
duttore, l’ha confrontata con quello effettuato con
un detersivo tradizionale.
Purtroppo il risultato non è stato buono: gli eMC
non mantengono le promesse. Lavare con mez-
za dose di detersivo e con l’aggiunta di micror-
ganismi significa semplicemente lavare con metà
dose di detersivo! Se il bucato era poco sporco e
comunque sarebbe bastata mezza dose di qual-
siasi detersivo o addirittura solo dell’acqua, non
si evidenziava molta differenza tra eMC e detersi-
vo normale.
Ma quando lo sporco aumenta e le macchie si
99
fanno importanti, non ci sono paragoni con le
performance del detersivo tradizionale. Quindi
il detergente a base di eMC non lava meglio di
un normale detersivo. Non solo, non si risparmia
nemmeno, perché lavare con eMC costa quasi il
doppio che con il detersivo migliore del test.
Insomma, gli eMC non funzionano: nessuna ef-
ficacia, nessun risparmio, nessun vantaggio per
il consumatore e nemmeno per l’ambiente (per-
ché magari poi è necessario anche un lavaggio
aggiuntivo!).
100
insaccati vari. Le verdure solo cotte e va pure
bene se è inverno. Però l’estate arriva…. Se ave-
te voglia di una bella insalatona, ecco come po-
tete fare per lavarla e mangiarla in sicurezza.
Sfatiamo il mito del bicarbonato: da solo sciolto
in acqua non vi igienizzerà la verdura, non ha le
proprietà chimiche per farlo.
Però può esserci utile se abbinato a un poten-
te igienizzante, che è l’acqua ossigenata! Vi copio
la “ricetta scientifica” per lavare la verdura del
chimico Fabrizio Zago, postata poco tempo fa sul
suo forum:
“Prendiamo come standard un lavello da 5 litri
d’acqua. Poi se è di meno o di più, si riparametra
il tutto.
In questi 5 litri si aggiunge un bicchiere di ac-
qua ossigenata a 12 volumi e due cucchiai di bi-
carbonato. La soluzione friggerà un pochino ma
non in modo pericoloso. Si lascia in ammollo
la verdura per almeno 30 minuti, si risciacqua
per bene, molto per bene, e abbiamo terminato.
I tempi di contatto sono importantissimi e più
lunghi sono meglio è. Se si potesse lasciare in
ammollo 1 ora invece che 30 minuti è meglio.”
L’acqua ossigenata a 12 volumi è quella per di-
sinfettare le ferite, si trova in tutti i supermercati,
non solo in farmacia.
101
La candeggina delicata è 26 volumi (non 12 v
della ricetta), quindi ne basta mezzo bicchiere in
5 litri di acqua. Il bicarbonato, leggermente alcali-
no, darà un ulteriore “spintarella” all’acqua ossi-
genata per far sviluppare l’ossigeno igienizzante.
Buone gravidanze a tutte!
102
APPENDICE DUE
Discussione sugli oli essenziali
103
Un puledro neonato viene messo in posizione vertica-
le e cerca il latte di sua madre nemmeno mezz’ora dopo
la nascita. Un gatto cercherà sempre di prendere un filo
di lana che gli facciamo danzare davanti agli occhi. L’uo-
mo potrà dire di andare a quel paese te e il tuo dannato
filo di lana. L’animale no, non può.
Deve rispondere al suo istinto.
Si può pensare che l’uomo, agli albori della sua esi-
stenza, possedesse alcune di queste facoltà che chia-
meremo “intuizioni”. Ma perse queste capacità a mano
a mano che le proprietà intellettuali si svilupparono as-
sieme alla sua intelligenza.
Credo che soprattutto la natura (processi microbici,
piante, animali) vivente abbia avuto la capacità di per-
cepire sia un senso semicosciente, meditativo, non solo
l’aspetto fisico di questi esseri viventi, ma anche la loro
qualità intrinseca, la specificità. Pertanto, si può imma-
ginare che potessero essere distinti che - riciclo il tuo
esempio - il curaro non è commestibile ed è anche mol-
to pericoloso, ma è altrettanto vero che col curaro si
può fare una medicina per alcuni disturbi.
Se ti ricordi di Ötzi, l’uomo preistorico del 3000 a.c.
trovato in un ghiacciaio, non lontano da Bolzano, nel
1991, ricorderai anche che aveva con sé diverse erbe
che corrispondevano ad altrettanti rimedi per le ma-
lattie di cui soffriva e che si sono potute riscontrare.
Aveva ovunque tatuaggi sul corpo, 61 in totale. La mag-
gior parte di questi tatuaggi si trovavano sui meridiani
o punti dell’agopuntura assolutamente corrispondenti
con quelle malattie di cui Ötzi soffriva (anche se l’ago-
puntura si sviluppò in Asia 2000 anni dopo Ötzi).
Tuttavia, immagino che non si possano sostenere
104
le stesse tesi per i minerali – l’amianto che tu citi, ad
esempio. Il mondo minerale (mettiamoci anche il fossi-
le, che non è minerale), è la “natura morta”: riuscire a di-
stinguere i benefici legati a quel mondo richiederebbe
di possedere tutte le capacità di percezione.
Probabilmente ci sono stati solo pochi uomini che pa-
droneggiano questa capacità - per esempio sciamani o
guaritori. In ogni caso, l’uomo nel corso della storia ha
usato principalmente sostanze classificate come natura
vivente. Il minerale ricopriva, nella vita quotidiana, un
ruolo secondario anche oltre il 1500.
Continuando col mio pensiero, devo sottolineare
come lo sviluppo del materialismo nel 19° secolo e la
sua negazione che c’è una realtà diversa dal mondo fi-
sico, abbia fatto perdere anche la capacità di compren-
dere alcuni fenomeni. In parallelo, la possibilità di ca-
pire certe pratiche storiche e le applicazioni si è persa
anch’essa. Ma dobbiamo riconoscere che abbiamo con-
quistato una capacità di acquisizione di facoltà intellet-
tuali che ci permettono di penetrare in profondità nel
lato fisico-strutturale del mondo e dell’esistenza.
Torno agli Oli Essenziali. Sono convinto che gli uomini
preistorici conoscessero abbastanza bene i rischi asso-
ciati agli OE e li usassero con cautela - quantum satis.
Loro non erano in condizioni di vita inquinata, isolati
dalla natura, o esposti a una miriade di molecole create
dagli esseri umani e sconosciute in questa natura, con
situazioni e prospettive di vita e di future condizioni di
oscurità. Non erano quindi in condizioni di scombinare
pesantemente il loro sistema immunitario.
Anche se la durata della vita era molto più breve che
adesso, sono stati costretti comunque a essere più o
105
meno in equilibrio. Essi soffrivano di malattie, significa-
tivamente diverse dalle nostre.
Probabilmente non si sarebbero potuti ingannare, per
quanto potevano ancora percepire l’essenza delle cose.
Prendiamo ad esempio la salvia.
Tra un olio essenziale di salvia e un olio (all’odo-
re di salvia) fabbricato dall’uomo, gli uomini pri-
mitivi non si sarebbero lasciati trarre in inganno.
Immagino che queste facoltà di percezione - oltre il no-
stro intelletto attuale - saranno riconquistati in futuro.
A quel punto chi afferma che “non c’è differenza” avrà
un dispiacere perché la differenza sarà, gradualmente,
visibile a tutti.
106
Per rendere le cose ancora più chiare: io non sono
affatto favorevole all’imposizione degli oli essenziali o
anche semplicemente per favorirli. Lo stesso vale per le
sostanze natural-identiche. Tu e io non lavoriamo, con i
nostri clienti, per questo scopo.
Tuttavia si devono mettere dei limiti tra ciò che è ac-
cettabile e ciò che non lo è. Per fissare dei limiti si de-
vono sviluppare delle norme e dei principi.
Questi devono necessariamente essere basati sul-
la salute umana da un lato e sull’ambiente dall’altro,
in tutti i modi guidati dal principio di precauzione.
Ho studiato la lista che mi hai inviato, ma non vedo al-
cuna differenza essenziale con altri che abbia già con-
siderato. Si potrebbe infatti fare una lista simile per le
molecole di sintesi; ed è prevedibile che molte di que-
ste molecole saranno allergizzanti.
Una cosa possiamo concludere da queste liste: alcune
resine o balsami ricchi in oli essenziali sono stati utiliz-
zati per secoli nella medicina popolare anche se appa-
rentemente piene di allergeni. Ciò è dovuto principal-
mente al fatto che abbiamo iniziato guardando queste
sostanze come aggiunte di singole molecole che sono
a rischio.
Hai mai visto, come la Lavanda officinale sintetizza il
suo OE con 51 diverse molecole? In realtà, questo OE si
forma durante la crescita e la fioritura nella pianta come
una sostanza unica e singolare; e si può effettivamente
estrarre queste 51 molecole per distillazione fraziona-
ta, ma non è la prova che la pianta abbia sintetizzato in
questo modo, cioè una alla volta, queste molecole.
Si deve considerare il fatto curioso che l’atropina sin-
tetica usata dagli oculisti può causare reazioni allergi-
107
che con alcune persone, mentre il succo della Belladon-
na (Medicina tradizionale) non ne ha mai date.
In questo senso, i Gargamella (quello dei Puffi, ndr) del-
la UE hanno cominciato a condannare gli OE, contro i
rischi connessi, basandosi sui loro singoli componenti.
Ricordiamo il dr. David dell’Istituto Pasteur di Parigi.
Questo luminare ha condotto ricerche che hanno por-
tato ai seguenti risultati:
1) Allergia (termine coniato nel 1905), che in origine
non è una malattia, ma uno stato di protezione immu-
nitaria (antibatterico, antiparassitario e da tempo noto
antitumorale). Recentemente, questa idea è stata con-
fermata nella rivista Nature (2012) e da un Congres-
so Allergologicum Collegium Internationale a Malta
(2006).
2) Un allergene non è altro che una banale proteina
che si comporta da antigene verso tutti gli individui.
Essa diventa un allergene in individui geneticamen-
te predisposti e reagisce in modo diverso da persona
a persona. Non ci sono allergeni in natura; è il corpo
umano che converte una molecola non tossica, innocua
per la maggioranza degli individui, in un allergene.
Ricordiamo anche il dottor Zuberbier, capo allergolo-
go dell’ospedale Charité di Berlino, che in una riunione
ha detto: “Ogni individuo può avere un’allergia a qual-
siasi sostanza su questo pianeta in qualsiasi momento
della sua vita, e perdere questa allergia in seguito”.
Sono un rompiscatole vero?
Detto questo, torno alla frase d’apertura: io non sono
favorevole a tutti i costi né agli Oli Essenziali né ai na-
tural identici.
Peter Malaise
108
CONCLUSIONI
109
Il problema è che vengono condivise senza pen-
sarci un attimo e senza riflettere. Così creano
una grandissima confusione di informazioni, si
ingigantiscono e si arricchiscono nel tempo di al-
tre balle e alla fine non si capisce più quale sia la
verità. Spesso compaiono anche su giornali con-
siderati seri.
Mi rendo conto che non tutti possono avere
le competenze scientifiche o tecniche per com-
prendere se una cosa ha una parvenza di verità
o meno. E comunque molti non hanno proprio
modo di leggere le pubblicazioni scientifiche.
Allora che si fa?
Innanzitutto non farsi prendere dal panico o
allarmarsi. Meglio essere un po’ critici e soprat-
tutto informarsi. Approfondire la questione cer-
cando di saperne di più, leggendo siti scientifici o
divulgativi presenti da anni sul web (magari poco
disturbati da banner o richieste pubblicitarie di
ogni tipo...). E che soprattutto affrontino il pro-
blema sotto vari punti di vista.
Come ho già scritto, il green e l’eco stanno di-
ventando sempre più presenti nel mercato, buo-
ni prodotti si trovano adesso anche nella grande
distribuzione. Nella scelta, la chimica può certa-
mente venirci in aiuto per valutare l’aspetto am-
bientale e salutare relativo alla composizione o
alla produzione del prodotto.
Però c’è anche un’altra importante cosa da con-
siderare: l’aspetto etico, che è strettamente colle-
gato. Se per produrre quel bene sono stati sfrutta-
te persone, distrutto e inquinato il loro territorio,
110
la reputazione della ditta andrà a farsi friggere!!!
Le aziende, che oltre a utilizzare fonti energeti-
che rinnovabili, sostanze chimiche a basso im-
patto ambientale, cura del territorio in cui opera-
no, hanno anche dei dipendenti soddisfatti credo
proprio siano da premiare con la nostra scelta!
Insomma, bisogna continuamente aggiornarsi!
Sì, ma dove? Come distinguo i siti sicuri? Il pro-
blema ritorna!
Lo so, è complicato ma non impossibile.
Il mio consiglio è questo: nel caso di cosmetici
o detergenti per la casa, leggere il forum di Fa-
brizio Zago è davvero indispensabile. Per tanti
motivi. Non solo vi accorgerete di quanti prodotti
e persone eco-furbe ci sono in giro (siti e blog se-
guitissimi che recensiscono o consigliano senza
nessuna preparazione e base scientifica) ma so-
prattutto potrete accedere a informazioni su so-
stanze chimiche problematiche molto prima che
vengano effettivamente limitate o proibite dagli
organi competenti.
Leggere l’etichetta dei prodotti è sempre impor-
tante, ma non si può fare una classifica dei buoni
o dei cattivi che valga per sempre: un cosmetico
con pessimo INCI potrebbe migliorare formula-
zione e, viceversa una linea che è sempre stata
ineccepibile dal punto di vista degli ingredienti,
potrebbe cambiarla (è successo un sacco di volte,
ahimè!).
Inoltre la ricerca scientifica continua (fortunata-
mente) e le cose possono cambiare: una sostanza
apparentemente innocua o nuova potrebbe rive-
111
larsi, dopo approfondimenti scientifici, non più
tale e a un chimico esperto del settore, che si oc-
cupa di analisi certificate ogni giorno e che colla-
bora con ricercatori e produttori in tutto il mon-
do, alcune avvisaglie arrivano decenni prima!
Inoltre, non tutti possono avere accesso alle
pubblicazioni scientifiche, e comunque biso-
gna saperle leggere e analizzare, se sono articoli
scientifici o paper rewiev. In questo forum, oltre
a Fabrizio Zago, ci sono altri esperti che possono
farlo per noi e gli utenti ne vengono informati,
tramite post che descrivono la questione in modo
semplice e comprensibile. E non si analizza solo
l’aspetto chimico ma anche quello etico.
Tre casi su molti come esempio: il Triclosan, i
silossani e gli interferenti endocrini.
Il Triclosan, un potente battericida, ha un costo
medio e il suo uso è previsto dalla legge entro cer-
ti limiti. Consente una disinfezione molto efficace
ed è quindi usato in tantissimi detergenti liquidi
e dentifrici. Negli USA l’FDA ha però recentemen-
te proibito la vendita dei detergenti per mani e
corpo contenenti questa molecola.
Innanzitutto lavarsi le mani con un normale sa-
pone basta e avanza per non ammalarsi!
112
fiche sulla responsabilità del triclosan nel causa-
re danni cellulari.
In Europa qualcosa si sta muovendo: il triclo-
san è stato escluso dai prodotti biocidi perché:
“Gli scenari considerati in sede di valutazione del
rischio ambientale hanno individuato rischi inac-
cettabili.”
Ebbene, i post di Zago, con cui ci informava che
l’abuso di questa sostanza poteva fare solo dan-
ni, risalgono al 2004! Già allora in uno studio del
governo svedese era stato ritrovato triclosan nel
latte materno...
Notizia invece degli ultimi mesi: il SCCS (Scien-
tific Committee on Consumer Safety), la massima
autorità europea per la salvaguardia della salute
dei consumatori, pubblica un lavoro sull’utilizzo
del Cyclopentasiloxane, un silicone “volatile” mol-
to usato in cosmetica. “Il Cyclopentasiloxane (D5)
è sicuro nei prodotti cosmetici alle concentrazioni
stabilite, eccetto che nei prodotti per lo styling dei
capelli (le lacche in particolare) e nei prodotti solari
in spray”. Il motivo della restrizione è che con gli
spray si può ottenere una concentrazione di D5
nell’aria superiore a quella ritenuta sicura. Inol-
tre, il cyclopentasiloxane può contenere tracce di
Cyclotetrasiloxane (D4), che è classificato nella
comunità europea come tossico per la riproduzio-
ne. Pertanto, deve essere controllato che la pre-
senza di tale impurità sia la più bassa possibile.
Ovviamente nel Biodizionario questa molecola
era già bollinata di doppio rosso da anni!
Ultimo esempio, l’apertura della discussione
113
sugli interferenti endocrini, con cui si evidenzia
nuovamente la necessità dell’aggiornarsi conti-
nuamente. Ci sono molti studi che denunciano
la pericolosità di alcune sostanze presenti nei
cosmetici, dovuta alla loro azione che simula o
interferisce con l’attività ormonale (come il sopra
descritto triclosan).
La Commissione Europea già nel 2007 si era
interessata al problema e aveva stilato una lista
di tali sostanze a seguito di un ampio studio a ri-
guardo. Ma non è intervenuta con leggi o direttive
per impedirne o limitarne l’utilizzo.
Attualmente anche tutti i parabeni (conservan-
ti di cui ho già scritto nel capitolo dei cosmetici)
sono considerati a bollino rosso, cioè da scartare
se possibile, proprio perché nella lista dei distur-
batori ormonali. Inizialmente, alcuni avevano il
bollino verde, altri giallo o rosso, perché il giudizio
si basa appunto sugli studi scientifici internazio-
nali disponibili. Nel 2011 nuovi lavori affermava-
no che non era possibile ancora un parere scien-
tifico sicuro, e per precauzione consigliavano ai
produttori di ridurre la percentuale usata (dallo
0,4% allo 0,19%). In Danimarca erano già vietati
il propilparabene e il butilparabene nei prodotti
cosmetici per i bambini sotto i tre anni.
Stessa problematica si ritrova nei prodotti so-
lari a base di filtri chimici, ritenuti pericolosi per
la fauna e flora marina (assieme ai parabeni). In-
fatti, a seguito di ricerche da parte dell’Università
di Ancona, è emerso che il meccanismo di azione
della morte dei coralli era un’azione estrogena.
114
Ecco perché gli studi continuano anche sui pos-
sibili simili effetti sull’uomo.
Quindi, anche se nei cosmetici continuano a
esserci tali ingredienti (perché entro i limiti del-
la legge vigente), il consumatore attento preferi-
sce orientarsi su altri conservanti o altri solari,
nell’attesa che gli organi competenti li levino del
tutto.
115
blicizzati, sono venduti in negozi dedicati o si tro-
vano solo spulciando nei discount. Come faccio
di solito.
È per questo che leggete Mammachimica, no?
Chissà, magari in futuro questi prodotti scono-
sciuti ai più prenderanno sempre più piede, di-
venteranno familiari e passeranno anche al va-
glio scrupoloso di Altroconsumo.
Sicuramente per quanto riguarda gli alimenti,
le bufale sono sempre in agguato, e spesso sono
correlate alle varie mode alimentari e diete del
momento, così oltre alla chimica entra in ballo la
medicina, un ambito molto pericoloso a parlar-
ne...
E allora, per sapere cosa veramente succede
quando cuciniamo e prepariamo un dolce o per
decifrare le etichette appiccicate ai prodotti ali-
mentari, un blog presente nella rivista digitale Le
Scienze può venirci in aiuto. È Scienza in cucina
di Dario Bressanini, docente di Chimica all’Uni-
versità di Como e appassionato di cucina. Du-
rante le sue lezioni si è accorto di come sia più
facile tenere alta l’attenzione degli studenti, se gli
esempi relativi al dato argomento chimico o fisico
sono tratti dalla vita quotidiana, come cucinare
un piatto appunto. Ma non pretende di dare ri-
cette, ci sono già migliaia di cuochi in rete, per
carità!
Bressanini analizza chimicamente gli ingredien-
ti degli alimenti e condivide i suoi esperimenti
scientifici culinari. Come ad esempio dando con-
sigli su come migliorare il gusto di un piatto, ba-
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sandosi sulle proprietà chimico-fisiche dei suoi
costituenti (proteine, lipidi e glucidi).
Nascono così le sue “ricette scientifiche”: la
carbonara, la granita algebrica, la besciamella,
l’estratto di vaniglia, il limoncello e tante altre.
In questo modo cerca anche di rimediare all’enor-
me disinformazione che regna attorno ad alcuni
alimenti o ingredienti: la paura per la parola “raf-
finato” per esempio, (che per un chimico non ha
valenza negativa, significa solo “puro”), oppure il
vero valore del pH degli alimenti (in gran voga ul-
timamente ma con grandissime inesattezze).
Smonta scientificamente i “miti culinari”, famo-
sissimi consigli della nonna che però non fun-
zionano o addirittura peggiorano la situazione: il
sale per montare gli albumi, il cucchiaino nella
bottiglia, le patate cotte e conservate che diventa-
no tossiche, ecc.
Trovo questo blog estremamente interessante,
rigoroso e anche divertente. Ai post segue sempre
la bibliografia scientifica. Vi farà vedere i cibi con
occhi diversi, quelli della chimica! Una scienza
esatta e quindi vi dirà la verità, anche se a volte è
molto distante da quello che vediamo o sentiamo
solitamente.
Altro sito che vi consiglio è il blog della SCI
(società chimica italiana). Cito parte di ciò che
scrivono nelle info di presentazione “Questo blog
è frutto del tentativo di alcuni soci della Società
Chimica Italiana di affrontare il problema di un
migliore contatto fra il mondo della Chimica e il
grande pubblico (...)”, compito estremamente ar-
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duo vista la grande diffidenza che c’è nei confron-
ti della chimica!
Proprio nella sezione Etica e Chimica, si cerca
di analizzare le radici dell’avversione. Il discorso
è complesso, della chimica si ricordano tutti per i
disastri ambientali, per il suo utilizzo nella guer-
ra o per gli incidenti sul lavoro. Solo dei rischi
chimici insomma e mai del progresso o del benes-
sere che ha portato.
In effetti è l’unica scienza che dà il nome a una
industria...
Il lavoro per sdoganare un po’ questa materia
è ancora lungo, temo. E poi ci si mettono pure i
giornalisti e i telefilm! Nella sezione denominata
“Perle!” sono raccolti gli errori relativi alla chimi-
ca e alla scienza in genere, che frequentemente
appaiono anche sulle grandi testate giornalisti-
che, un concentrato di disinformazione proprio
da chi invece dovrebbe informare! Assurdo. Per-
ché prima di scrivere il testo non chiamano un
chimico qualsiasi?
Se ne legge di ogni: dall’acido solforico gasso-
so (che invece è un liquido incolore oleoso), dalla
signora ustionata con l’acido, che il giornalista
indica poi come soda caustica (praticamente l’op-
posto, perché è una basa molto forte).
Oppure di chi nell’orto non vuole assolutamen-
te chimica, usa solo il solfato di rame, che non è
una molecola chimica, vero? Come l’acqua che
usa per innaffiare, del resto... Sicuramente non
sa nemmeno che questo fungicida si produce in-
dustrialmente...
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Anche i vari polizieschi italiani o stranieri con-
tribuiscono per benino alla disinformazione, eh!
Formule chimiche sparate a casaccio.
Magari qualcuno può pensare che non è poi
così grave, solo i chimici se ne accorgono. Ok,
ma sempre inesattezze macroscopiche sono, ac-
cidenti!
Nel blog troverete anche post scientifici e detta-
gliati su moltissimi argomenti: sullo stato dell’ar-
te di processi industriali, della depurazione ac-
que, sui progressi della medicina. Si analizzano
molecole famose in campo farmaceutico, la vita
e storia degli scienziati premi Nobel. C’è anche
una lista di libri che possono invogliare ad ap-
passionarsi alla chimica (non spaventatevi, sono
assolutamente comprensibili e leggibilissimi da
chiunque).
Gli articoli sono scritti da professori universitari
(tra cui anche il mio relatore della tesi ed ex pre-
sidente della SCI, Luigi Campanella) e da alcuni
soci della Società Chimica Italiana.
Insomma fateci una capatina! Come scrivono
nella loro home: “leggete e... reagite”.
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pseudo-medicine o pseudo-cure non solo ineffi-
caci, ma addirittura dannose per il paziente. Il
blog oltre a informare sulle pratiche mediche at-
tuali, si pone appunto l’obiettivo di smaschera-
te tutti gli pseudo-medici o i veri e propri ciar-
latani, che si arricchiscono alle spalle dei mala-
ti, che alla fine è la cosa più triste e fastidiosa.
Purtroppo, quando si sta davvero male è molto fa-
cile cadere in tranelli, si vorrebbe tentare di tutto
per guarire ovviamente! Ma a volte questo potreb-
be essere anche pericoloso oltre che costoso.
La medicina non è una scienza esatta, purtrop-
po o per fortuna.
Si basa su meccanismi chimici e fisici ben pre-
cisi e definiti. Però gli esseri umani non sono solo
reazioni chimiche prevedibili, sono anche emo-
zioni e inconscio, sono facilmente influenzabili,
reagiscono in modo diverso, nel bene e nel male.
Quindi la medicina deve certamente tenere con-
to di questo, ma mai allontanarsi dalla scienza e
dall’evidenza. È chiaro che un buon medico non
è solo quello che ti prescrive il farmaco e basta, è
anche quello che ti ascolta e stabilisce un rappor-
to empatico con te. Però senza mai scostarsi dalla
scienza e dall’evidenza della ricerca scientifica!
In effetti non so come il dott. Di Grazia trovi
la forza, il tempo e soprattutto mantenga sempre
calma, gentilezza e disponibilità nel divulgare e
rispondere ai commenti. Probabilmente perché è
un buon medico.
Concludendo, tutti i siti e le persone che ho cita-
to non pretendono di essere seguite o di indicare
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come mangiare, acquistare, lavarsi, curarsi, ecc.
Dai loro blog potrete anche raggiungerne altri al-
trettanto interessanti e rigorosi, indicati appunto
nei link come siti amici.
L’obiettivo è sempre quello: informare ed espor-
re i FATTI, così che ognuno abbia la possibilità di
riflettere su evidenze scientifiche e fare la propria
scelta. Si otterrà un duplice scopo: conoscere
come stanno realmente le cose e non farsi frega-
re. Lo fanno mettendoci letteralmente la faccia:
nome, cognome e contatti. Non si nascondono tra
i nick-name o gli alter ego dei social network.
Sono blog molto seguiti, e si tirano dietro tan-
tissime critiche! Tanti i commenti assurdi o ag-
gressivi nei loro confronti, scritti da chi non vuole
accettare proprio l’evidenza!
Ma d’altronde la scienza non è democratica...
non può basarsi su quello che sostiene anche un
gran numero di persone, senza prove certe, uni-
voche e oggettive.
Personalmente, quando mi accorgo che un cer-
to prodotto, sostanza o rimedio, a seguito di evi-
denze scientifiche, si rivela non più buono come
lo avevo sempre considerato, mi arrabbio moltis-
simo. Continuo a informarmi e se davvero è pro-
blematico o fasullo, di certo la prossima volta non
mi farò fregare!
Invece l’atteggiamento che noto più spesso è
che molte persone si arrabbiano con chi solleva il
problema e indica come stanno davvero le cose.
Loro, i familiari o l’amico di turno, hanno sem-
pre fatto così o comprato così, mica saranno tut-
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ti stupidi? Insomma, invece di cercare di andare
a fondo, si chiudono totalmente e non vogliono
sentire ragioni. Proprio il contrario dell’atteggia-
mento di uno scienziato o di un ricercatore: met-
tersi umilmente sempre in discussione e affidarsi
a rilevanze scientifiche.
Anche l’obiettivo di Mammachimica, nata nel
2012, è sempre stato questo: raccogliere, divul-
gare e condividere informazioni scientifiche e im-
parziali, dando gli strumenti per scegliere vera-
mente, con la propria testa (chimici e non) cose
quotidiane, come il detersivo o il bagnoschiuma.
Concedetemi la presunzione!
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RINGRAZIAMENTI
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Fabrizio Zago: “Io tengo solo a due cose: la prima è che
mi piace definirmi “sostenologo” e la seconda che sono
stato nominato “esperto tecnico” della UEAPME (Unione
Europea Artigiani, Piccole e medie Industrie) fin dal 2000
e questo per dire che le cose che dico magari non sono
solo delle “opinioni” ma che dietro c’è molto (spero)”
Chimico industriale, consulente Ecolabel, Obiettore di co-
scienza (quando si rischiava la galera). Ex insegnante con
scarse fortune poi orientato verso l'industria dei detergenti
e dei cosmetici sostenendo l'utilizzo di molecole naturali.
Consulente per molte catene di distribuzione e fabbricanti
sensibili all'ecologia.