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PREPARAZIONE ESTRATTIVA

INTRODUZIONE SU ATTREZZATURE DI LABORATORIO E OPERAZIONI


DI BASE

NORME DI SICUREZZA NEL LABORATORIO DIDATTICO:

- Indossare gli occhiali di sicurezza in modo da cautelarsi anche dagli errori degli altri operatori
presenti in laboratorio. Le lenti a contatto possono essere pericolose perché possono reagire con diversi
fumi prodotti nel corso degli esperimenti.

- Indossare sempre un camice (antiacido) e usare calzature chiuse.

- Evitare il contatto dei reagenti con la pelle. In caso di contatto lavare abbondantemente la parte
esposta con acqua. Se necessario, usare gli appositi guanti di protezione (nel caso di problemi
dermatologici conviene usare guanti di cotone a diretto contatto con la pelle e, su questi, guanti in
lattice o vinile usa e getta).

- Evitare assolutamente di mangiare, bere o fumare.

- Effettuare sotto cappa aspirante, e con il vetro frontale il più possibile chiuso, tutte le operazioni che
richiedono l'uso di acidi concentrati e solventi organici, o che implicano lo sviluppo di fumi nocivi.

- Avvisare immediatamente il personale responsabile del laboratorio nel caso si verifichi un incidente.

- Versare gli acidi nell’acqua e non viceversa.

- Evitare assolutamente ogni tipo di scherzo.

La corretta esecuzione di un’operazione analitica richiede: Massimo ordine e la più pignola


pulizia del banco su cui si opera e delle attrezzature utilizzate; Adeguata conoscenza delle
tecniche, dei metodi e delle procedure di analisi, delle proprietà delle sostanze chimiche e dei
materiali di uso più comune.

ATTREZZATURE DI LABORATORIO

BILANCIA → strumento di laboratorio per la misura delle masse. Le sue caratteristiche principali:
Portata: quantità massima misurabile;
Sensibilità: quantità minima misurabile;
Ripetibilità: grado di concordanza tra i risultati di successive misurazioni dello stesso oggetto nelle
stesse condizioni.

Le bilance si suddividono in bilance analitiche e bilance tecniche. Le analitiche coprono un intervallo


di peso più piccolo rispetto a quelle tecniche.
Bilance analitiche → le più usate sono:
- MACROBILANCIA: è il tipo più comune: ha un carico max fino a 200 g con lettura a ±0,1 mg;
- BILANCA-SEMIMICROANALITICA: ha una capacità massima che va da 10 a 30 g ed una
precisione di ±0,01 mg;
- BILANCIA-MICROANALITICA: carico max fino a 20 g con lettura a ±0,001 mg (1μg);
- BILANCIA-ULTRAMICROANALITICA: carico max da 1 a 3 g e una precisione di ±0,1 μg.

Bilancia tecnica → per molte operazioni di laboratorio è necessario pesare oggetti e materiali assai pià
pesanti del limite di peso superiore di una macrobilancia analitica, o piccole quantità di sostanza per cui
non sono richiesti limiti di sensibilità. Questo tipo di pesata viene spesso indicata come pesata
grossolana.

Un’ampia varietà di bilance elettroniche è disponibile a tale scopo con caratteristiche quali ad esempio:
Portata max 350 g → Lettura fino a 0,01 g;
Portata max 3500 g → Lettura fino a 0,1 g;
Portata max 6 kg → Lettura fino a 0,1 g.

MANUTENZIONE E USO DELLE BILANCE ANALITICHE:


E’ necessario porre attenzione alle modalità di pesata:
- Non superare mai il massimo carico dichiarato;
- Mantenere pulita la bilancia. Rimuovere con un pennello, la povere dal piatto e dal compartimento
del piatto;
- Non porre direttamente sul piatto nessun reagente o oggetto che possa danneggiarlo;
- I reagenti devono essere pesati in contenitori adatti, come piccoli beker, pesafiltri, crogiuoli o vetri
da orologio;
- I liquidi e solidi volatili o igroscopici vanno pesati in recipienti ermeticamente chiusi, come pesafiltri
tappati;
- I reagenti devono essere aggiunti al contenitore fuori dalla bilancia. Buona norma pesare il
recipiente vuoto su una bilancia analitica, trasferirlo su una bilancia meno precisa e aggiungere
approssimativamente la quantità di reattivo desiderata; riportare poi il contenitore sulla bilancia
analitica, ripesarlo e ottenere così il peso esatto della sostanza;
- una volta terminata la pesata non deve rimanere niente sul piatto. Se accidentalmente qualche
sostanza è stata versata sul piatto o sul fondo del compartimento, deve essere subito rimossa;
- deve essere evitata l’esposizione della bilancia in ambienti con atmosfera contenente sostanze
corrosive.

ERRORI NELLA PESATA:


- è buona norma non toccare mai con le mani un contenitore da pesare:
- prima della pesata il campione deve essere portato a temperatura ambiente per evitare errori dovuti
alle correnti d’aria di convenzione;
- I portelli di vetro della bilancia devono rimanere chiusi durante la lettura a protezione dalle
oscillazioni causate dalle correnti d’aria;
- I campioni igroscopici devono essere pesati in un recipiente chiuso dopo essiccamento in stufa e
successivo raffreddamento.
VETRERIA → Si distingue una vetreria concepita per contenere un dato volume (tc = to contain;
come beker, beute, matracci tarati) da quella destinata a erogare volumi misurati (td = to deliver;
come cilindri (misura approssimata), pipette tarate, micropipette, burette).
NB → il cilindro non è un recipiente di misura, ma misura approsimativamente.

La MISURA PRECISA DEL VOLUME → è importante per molti metodi di analisi quanto la misura
precisa della massa. L’unità di misura del volume è il litro. Il millilitro (mL) è 1/1000 L e viene usato
quando il litro è un’unità di misura sconvenientemente grande.

APPARECCHIATURE PER LA MISURA DEL VOLUME


L’attrezzatura volumetrica è marchiata dal fabbricante per indicare:
- Il modo di calibrazione (TD o TC) → TD sta per “to deliver” erogare; TC sta per “to contain”
contenere. TD > precisione di TC
- La temperatura alla quale si riferisce esattamente la calibrazione che, secondo convenzioni
internazionali, viene effettuata a 20°C.

Una misura affidabile del volume viene eseguita con: la buretta (TD); la pipetta (TD); il matraccio
(TC).

I matracci tarati vengono usati per PREPARARE SOLUZIONI A CONCENTRAZIONE NOTA e per
la diluizione di campioni. Sono vetri a forma di pera provvisti sul collo lungo e stretto di una tacca
che indica dove deve arrivare il volume di riempimento. Vengono fabbricati con capacità che vanno da
5 mL a 5L e vengono di norma calibrati “per contenere” (TC).
Il matraccio tarato reca inciso sul vetro un unico segno di riferimento (tacca) per poter misurare un
determinato volume di liquido. La superficie superiore di un liquido costretto in un tubo sottile mostra
una marcata curvatura o menisco. E’ pratica comune usare il fondo del menisco come punto di
riferimento.

Le pipette consentono il trasferimento di volumi esattamente noti da un recipiente all’altro.


La pipetta volumetrica o di trasferimento: libera un solo volume, fisso, compreso tra 0.5-200 mL.
Le pipette graduate o da misura: sono calibrate in unità di misura opportune per consentire il
trasferimento di un certo volume fino ad una capacità max che varia 0,1 a 25 mL. Il liquido viene
aspirato all’interno della pipetta attraverso l’applicazione di un leggero vuoto.
Le propipette il liquido viene aspirato all’interno della pipetta attraverso l’applicazione di un leggero
vuoto, non si dovrebbe mai usare la bocca per aspirare per il rischio di ingerire il liquido che si sta
pipettando (palla di Peleo = pompetta tre valvole).

Le pipette e le burette sono progettate e calibrate normalmente PER DISPENSARE VOLUMI BEN
PRECISI.La pipetta Pasteur non serve per fare misure precise, ma solo per trasferire.I matracci sono
calibrati sulla base del contenere. La precisione ottenibile con una buretta è maggiore di quella
raggiungibile con una pipetta.

La buretta (TD) è un tubo di vetro calibrato di diametro interno uniforme, con GRADUAZIONI CHE
PERMETTONO di misurare il volume di liquido erogato leggendone il livello prima e dopo la
fuoriuscita dalla buretta.Sono munite di rubinetto e di beccuccio con foro di efflusso calibrato. Il
maschio del rubinetto è di vetro o teflon. Nel primo caso si lubrifica con un velo di grasso al silicone.
La buretta è uno strumento di laboratorio usato per l’erogazione della soluzione di titolante; costituito
da tubo di vetro graduato munito di valvola di vetro o teflon. Capacità variabile da 1 a 50 mL.

La superficie superiore di un liquido costretto in un tubo sottile mostra una marcata curvatura o
menisco. Per facilitare la lettura del volume di liquido si consiglia di portare l’occhio allo stesso livello
del menisco concavo PER EVITARE ERRORI DI PARALLASSE. E’ pratica comune USARE IL
FONDO DEL MENISCO come punto di riferimento nella calibrazione e nell’uso delle attrezzature
volumetriche. Nella mia misurazione il fondo del menisco deve coincidere con la tacca sul matraccio.
Fare attenzione al punto di osservazione! Evitare errore di parallasse!

Il parallasse è un fenomeno che fa sì che il volume appaia MINORE DEL SUO VALORE REALE se
il menisco viene VISTO DALL’ALTO, e MAGGIORE se il menisco viene VISTO DAL BASSO.
Il parallasse è l’apparente spostamento del livello di un liquido che si ha quando un osservatore cambia
posizione. Si verifica quando un oggetto viene VISTO DA UNA POSIZIONE CHE NON E’ AD
ANGOLO RETTO rispetto all’oggetto.

La burette di tipo SHELLBACH nella parte posteriore è inserita una striscia blu che in corrispondenza
del menisco appare rotta in 2 punti. Per misurare correttamente devo individuare il punto in cui la riga è
spaccata in due e le due punte coincidono. Per soluzioni non stabili alla luce, es. AgNO 3, si usano
burette di vetro scuro.

CORRETTO USO DELLA BURETTA:


- per ridurre la probabilità di contaminazioni è necessario avvinare o condizionare la buretta
(sciacquarla con una o due piccole aliquote della soluzione che deve essere erogata) prima di riempirla
definitivamente con la soluzione.
- accertarsi che il beccuccio sia perfettamente riempito; in presenza di bolle d’aria potrebbe
verificarsi che il volume inizialmente occupato dalla bolla si riempia nel corso della titolazione
producendo un notevole errore in eccesso nel rilevamento del volume erogato.

ISTRUZIONI PER L’USO DELLA BURETTA:


1) Pulizia ed avvinamento
2) Riempimento oltre la tacca dello zero (imbutino)
3) Uso della buretta → stringere/allargare il rubinetto per regolare la velocità di erogazione del liquido
4) Eliminazione evenutale bolla d’aria → fare attenzione all’eventuale presenza di bolle nel
beccuccio: ilvolume erogato ptrebbe non corrispondere a quello letto!
5) Azzeramento
6) Titolazione (con lettura del volume equivalente)

La titolazione deve essere eseguita da un unico operatore: regola il rubinetto ed agita la beuta.
Il titolante va erogato goccia a goccia! Soprattutto in vicinanza del punto equivalente è importante
avere un corretto controllo della velocità di erogazione, che deve essere rallentata per evitare di passare
oltre. Lavare periodicamente le pareti interne della beuta, usando la spruzzetta, per portare in soluzione
eventuali gocce schizzate via.Far scendere con la spruzzetta eventuali gocce restate aderenti al puntale
oppure, meglio, inclinare leggermente la beuta e toccare con la punta della buretta l’interno della beuta
stessa.
DOPO L’USO LA BURETTA DEVE ESSERE SCIACQUATA E RIEMPITA CON ACQUA
DISTILLATA E LASCIATA SUL SOSTEGNO VUOTA CON LA PUNTA VERSO L’ALTO
La titolazione va eseguita almeno due volte facendo la media dei volumi equivalenti se tra questi c’è
una differenza di max 0,1-0,2 mL!!

Come preparare una soluzione titolo noto con una sostanza che non è uno standard primario
Determinazione del titolo esatto da sostanza madre:
• Pesare una quantità esatta di sostanza madre (standard primario) in modo da consumare non più di 22
ml di soluzione da titolare
• Trasferire la sostanza in beuta da 250ml con un imbuto asciutto
• Lavare accuratamente l’imbuto e raccogliere le acque di lavaggio in beuta
• Sciogliere la sostanza madre e diluire fino a 50 – 100 ml
• Avvinare la buretta con tre porzioni da 5ml di soluzione da titolare
• Riempire e azzerare la buretta
• Aggiungere nella beuta 2-3 gocce di indicatore
• Titolare
• Entro 30” dal viraggio leggere il volume di soluzione usato
• Annotare tale volume vicino al valore di sostanza madre pesata
• Ripetere la procedura, dal punto 1, per almeno tre volte
• Il titolo della soluzione è il risultato della media

STANDARDIZZAZIONE DI NaOH
1 - avvinare una buretta da 25 mL pulita con circa 5-10 mL di NaOH da standardizzare, riempirla e
azzerarla (attenzione alle bolle nel beccuccio);
2 - aggiungere due gocce di fenolftaleina alla soluzione di ftalato (la soluzione ora è incolore) e titolare
con l‘NaOH sotto agitazione (lavare periodicamente le pareti della beuta, usando la spruzzetta, per
portare in soluzione eventuali goccioline di reattivo schizzate di esse) fino a che il colore della
soluzione vira al rosa ciclamino;
3 - per una più sicura identificazione del colore dell'indicatore durante la titolazione, appoggiare la
beuta su di un foglio di carta da filtro; eventualmente riempire due beacker da 50 mL con due soluzioni
di fenolftaleina in forma acida (20 mL di acqua deionizzata + 2 gocce di fenolftaleina) e basica (20 mL
di acqua deionizzata + qualche goccia di NaOH 0,1M 2 gocce di fenolftaleina) in modo che durante la
titolazione sia possibile confrontare il colore della soluzione in esame con quello delle due soluzioni di
riferimento;
4 - leggere il volume al punto di arresto a due cifre decimali (VHCl, mL); 5. ripetere la titolazione per
almeno tre volte;

La reazione di titolazione è la seguente: HC8H4O4- + OH- → C8H4O42- + H2O


Rapporto di combinazione 1:1
e quindi la normalità M dell’idrossido di sodio è data dalla relazione:
Pftalato
MNaOH =
PMftalato · VNaOH

n°moliftalato = n°moliNaOH

Pftalato = MNaOH· VnaOH → MNaOH = n°molNaOH/VNaOH → n°molftalato/VnaOH


PMftalato
Portare a volume → es. in un matraccio tarato aggiungere liquido fino a che il fondo del menisco non
coincida con la tacca sul matraccio.
Avvinamento → per eliminare eventuali residui o liquidi all’interno della buretta.
Fase di riempimento → riempio la buretta di liquido anche fino sopra lo zero e poi azzero (il fondo del
menisco deve coincidere con la tacca dello zero sulla buretta). Verifico la presenza di bolle d’aria e, se
presenti, apro il rubinetto e le tolgo. Rabbocco la buretta e azzero nuovamente.

INTRODUZIONE
L’analisi degli alimenti richiede, generalmente, uno stadio preliminare che consiste nel portare il
campione nella forma più opportuna ai fini della determinazione dei suoi componeneti (analiti).
L’insieme di procedure richieste per avere l’analita mo gli analiti di interesse in forma determinabile
viene definito: PRETRATTAMENTO.
A seconda della natura chimica dell’alimento:
- organica o inorganica
- acida, basica o neutra
- solubile in solvente acquoso o in solventi organici
- della tecnica di analisi utilizzata.
Dovrà essere selezionato il “metodo più opportuno” allo scopo di separare I componenti da
determinare. La varietà delle matrici (alimenti) fa sì che sia difficile enunciare regole valide per ogni
tipo di alimento.

TECNICHE SEPARATIVE → PRINCIPI GENERALI → servono a separare il componente/i che


voglio esaminare dalla matrice.

• DISTILLAZIONE FRAZIONATA
• CRISTALLIZZAZIONE
• FILTRAZIONE
• CENTRIFUGAZIONE
• ESTRAZIONE CON SOLVENTE, ECC…

ESTRAZIONE → ESTRARRE = “ASPORTARE MECCANICAMENTE O CON SOLVENTI UNO O


PIU’ ELEMENTI DA UN MISCUGLIO”
Si definisce estrazione una tecnica di separazione che sfrutta la differente capacità dei soluti di
distribuirsi tra due fasi immiscibili tra di loro.

LIQUIDI IMMISCIBILI SOLV.


ORGANICO – SOLV. ACQUOSO Estrazione con
solventi
LIQUIDO E SOLIDO
FASI IMMISCIBILI

GAS E SOLIDO
SEPARAZIONE CHIMICA BASATA SULL’ ESTRAZIONE → tecnica spesso utilizzata nella
preparazione di un campione per:
• RIMUOVERE (sostanze interferenti)
• TRASFERIRE (gli analiti in solventi alternativi; spesso la tecnica ci richiede l’utilizzo di un solvente
rispetto a un altro)
• AUMENTARE (la concentrazione di un analita prima dell’analisi)

ESTRAZIONE CON SOLVENTE

Si tratta di una tecnica di pretrattamento molto comune, utilizzata in tutti i casi in cui non è necessaria o
è anzi controindicata la solubilizzazione totale del campione. Permette di portare in soluzione
selettivamente gli analiti di interesse, lasciando la matrice quasi intatta.

Estrazione Liquido-Liquido: la separazione si attua per distribuzione dei componenti della miscela
fra due fasil iquide immiscibili.
Estrazione Solido-Liquido: isolamento da una miscela solida dei composti più solubili per trattamento
unico o ripetuto con opportuno solvente.
ESTRAZIONE SOLIDO-LIQUIDO

L'estrazione solido-liquido, detta anche lisciviazione, è l'operazione mediante la quale un soluto


disperso in una matrice solida viene estratto mediante un opportuno solvente liquido.
L’estrazione con acqua delle ceneri di vegetali per ottenere una soluzione alcalina, la liscivia, è un’
operazione nota fin dall' antichità. La liscivia era utilizzata per lavare I panni.
Il trattamento di un solido con un liquido, al fine di estrarne un componente solubile, ha sempre trovato
una varietà di applicazioni spesso chiamate con termini diversi, oltre a lisciviazione, come
percolazione, lavaggio, digestione, infusione, ecc.
L’estrazione solido-liquido è in pratica l'unica tecnica per separare un soluto in miscela intima in una
matrice solida.

Estrazione Solido-Liquido: isolamento da una miscela solida dei composti più solubili per trattamento
unico o ripetuto con opportuno solvente.

Esempi di estrazione solido-liquido: preparazione di un infuso/tè, preparazione di una spremuta.

METODI DI ESTRAZIONE solido-liquido:


Nella scelta delle tecniche più opportune, delle condizioni di esercizio, dei solventi, risulta di
fondamentale importanza la conoscenza delle proprietà chimiche delle classi di costituenti e il
comportamento in presenza di diversi sistemi solventi.

Possiamo scegliere tra:


- Spremitura (fase da estrarre è solida, ma fresca)
- Macerazione (DIGESTIONE, DECOZIONE, INFUSIONE)
- Percolazione semplice
- Distillazione in corrente di vapore
- Apparecchio di Soxhlet
- Fluidi supercritici
- Estrazione con ultrasuoni e/o microonde
- Naviglio Estrattore
COME SI EFFETTUA LA SCELTA?
ESTRAZIONE DI PRINCIPI ATTIVI DA:
- DROGA FRESCA : SPREMITURA
- DROGA ESSICCATA: ESTRAZIONE

La spremitura si effettua quando si ha la droga fresca ad es. estrazione di olio dalle olive (di solito
per ottenere l’olio extravergine di oliva si utilizza la spremitura a freddo che è vantaggiosa poichè
l’eventuale cambiamento termico può provocare variazioni nei componenti dell’oliva e quindi
compromettere la qualità dell’olio).

SPREMITURA → La spremitura è la tecnica estrattiva più antica adottata dagli uomini primitivi che
hanno abitato il nostro pianeta, ed attualmente usata da popolazioni che vivono ancora in uno stato
tribale, le quali hanno intuito che dai vegetali era possibile estrarre sostanze importanti per la loro
sopravvivenza; colori, profumi, veleni e perfino sostanze con spiccate proprietà curative.
La tecnica è semplice in quanto consiste in una separazione meccanica solido–liquido basata sull’
applicazione di pressioni, generalmente elevate, mediante apparecchi che nel tempo sono diventati più
sofisticati come grosse pietre, o pestello e mortaio, molazze, presse, torchio ecc. sulla massa del
materiale vegetale.
Lo schiacciamento produce la fuoriuscita di tutto l’umore contenuto nel vegetale, che viene però
contaminato da una serie di composti indesiderati. Raramente il prodotto risultante da tale processo
viene impiegato tal quale, nella maggior parte dei casi bisogna ricorrere a sofisticati processi di
separazione per arrivare ad isolare I composti desiderati. Per tale motivo, pur essendo una tecnica
molto antica le sue applicazioni più importanti sono in numero molto limitato. La spremitura trova il
suo maggiore impiego nell’industria alimentare, in particolare nell’estrazione: di succhi freschi (ricchi
in vitamine), oli essenziali (da bucce di agrumi) e oli vegetali da semi e frutti oleaginosi. Il vantaggio
della spremitura è quello di non utilizzare alcun gradiente termico, cosa che potrebbe indurre, ad
esempio, la perossidazione degli oli estratti.

ESERCITAZIONE 1

- Ricerca dell’acido ascorbico in una serie di succhi di frutta


- Determinazione (semiquantitativa) per ossidazione con iodio dell’acido ascorbico presente in
una serie di succhi di frutta freschi o industriali (solo semiquantitativamente perché nei frutti
possono essere presenti in quantità non trascurabili anche altre molecole che reagiscono con I 2, in
particolare nel pompelmo licopeni e bergamottina).
- Scopo della determinazione è quello di renderci conto:
- Del contenuto molto diverso di Vitamina C di una serie di frutti
- Del contenuto di Vitamina C in una spremuta fresca rispetto a quello di un succo commerciale al
100% dello stesso frutto
- Della diminuzione di Vitamina C per ossidazione nel tempo
- Della diminuzione di Vitamina C per ossidazione per riscaldamento

La Vitamina C corrisponde all’acido L-ascorbico (tal quale o come sale, L-ascorbato):


(5R)-[(1S)-1,2-diidrossietil]-3,4-diidrossifuran-2(5H)-one
ascorbato di potassio
acido L-ascorbico

La vitamina C è largamente diffusa negli alimenti di origine vegetale; particolarmente ricchi sono gli
agrumi, I kiwi, I peperoni, i pomodori e gli ortaggi a foglia verde.
E’anche presente nella carne di animali che sintetizzano la propria vitamina C.
Gli alimenti che vengono conservati per lungo tempo prima di essere consumati, subiscono però
ingenti perdite vitaminiche. Anche trattamenti che comportano lavaggi con grandi quantità di
acqua e successiva cottura possono portare a notevoli perdite (sino a raggiungere in alcuni casi il
75%). Sbollentando e congelando gli alimenti le perdite si riducono notevolmente; I surgelati
contengono spesso più vitamina C della verdura o frutta fresca conservata in frigorifero per alcuni
giorni.
La vitamina C è la vitamina che si degrada più facilmente, essendo sensibile al calore e all’ossigeno
dell’aria nonché idrosolubile, tanto che la misura della sua concentrazione viene spesso utilizzata
come indicatore di qualità del processo di lavorazione.

- e- - e-
1 – acido L-ascorbico
2 – acido semideidroascorbico
3 – acido deidroascorbico

L’acido L-ascorbico tende ad ossidarsi: ad esempio in presenza di ossigeno l'acido ascorbico tende
ad ossidarsi ed a formare acido deidroascorbico (metalli eventualmente presenti catalizzano la
reazione).

Esso è quindi un buon riducente (e quindi antiossidante).

Per esempio, può reagire con i pericolosi radicali liberi bloccandone le reazioni a catena:
RO•− + ascorbato → ROH + (radicale) semideidroascorbato•
(Infatti il radicale semideidroascorbato è relativamente inattivo e non causa danno cellulare)

La spiccata azione antiossidante della vitamina C e la sua capacità di mantenere stabili le vitamine
A, E, l'acido folico e la tiamina, viene utilizzata dalle industrie che la usano come additivo nei cibi
(tal quale o sotto forma di sale sodico, potassico e calcico; nel caso di grassi si utilizzano i suoi esteri
liposolubilicon acidi grassi a lunga catena (ascorbil palmitato o stearato).

Additivi alimentari a base di acido ascorbico:


- E300 acido ascorbico (approvato come additivo alimentare in EU, USA, Australia e Nuova Zelanda)
- E301 sodio ascorbato (approvato come additivo alimentare in EU, USA, Australia e Nuova Zelanda)
- E302 calcio ascorbato (approvato come additivo alimentare in EU, USA, Australia e Nuova Zelanda)
- E303 potassio ascorbato (approvato in Australia e Nuova Zelanda)
- E304 esteri di acidi grassi dell’acido ascorbico (ascorbilpalmitato e ascorbilstearato)
L’80% dell’acido ascorbico di sintesi viene prodotto in Cina.

Nei succhi di frutta l’acido ascorbico:


• ripristina I valori nutrizionali persi durante la lavorazione
• migliora la “palatabilità”
• impedisce l’imbrunimento nei frutti che lo subiscono dopo il taglio (mela,
banana, pesca, pera, che sono frutti senza o con poca vitamina C, mentre non
lo subiscono gli agrumi e tutti I frutti ricchi di vitamina C).
Infatti riduce i chinoni prodotti dall’ossidazione dei fenoli prevenendone la
polimerizzazione a melanine scure (pigmenti scuri) e nel contempo:
• chela eventuali metalli che fungerebbero da catalizzatori del processo;
• elimina l’ossigeno presente riducendolo;
• abbassa il pH rispetto al range ottimale (6-7) per il processo enzimatico.

RICERCA DELL’ACIDO ASCORBICO “VITAMINA C “ NEGLI AGRUMI METODO


QUALITATIVO (verifico se è presente o meno la vitamina C)

La ricerca della vitamina C con il metodo qualitativo consiste nel rilevare la presenza o meno di
vitamina C in un campione attraverso una variazione di colore.
Materiale:
• salda d’ amido (soluzione di amido di riso bollita);
• soluzione di I2 in KI diluita: qualche goccia
• provette;
• Qualche goccia di succo di frutta confezionato;
• Qualche goccia di succo di limone;
• Qualche goccia di succo di arancia;
• Qualche goccia di succo di kiwi.

Procedura:
1. Versare in ogni provetta 5 ml di soluzione di salda d’amido;
2. Aggiungere qualche goccia della soluzione di I2 in KI1;

CHE COSA ACCADE?


Una soluzione di salda d’amido è sensibile alla presenza di iodio libero. In
soluzione acquosa e in presenza di iodio molecolare (I 2) e dello ione ioduro
(I−) si ha la formazione dello ione triioduro (I3−) : I2 + I− → I3−
Si ritiene che tale ione venga adsorbito dalla frazione di amilosio presente
nella salda d'amido, venendo incluso nella struttura ad elica con la
formazione di un complesso di colore blu-violaceo. I meccanismi chimici
per cui avviene l'adsorbimento, tuttavia, non sono ancora del tutto chiari.

3. Aggiungere in ogni provetta, tralasciandone una per il confronto, un po’ del liquido in esame
(esempio: succo di limone, arancia, kiwi,succo confezionato).

RISULTATI
Quando alla soluzione di amido e soluzione di iodio si aggiunge un campione contenente acido
ascorbico (vitamina C) la soluzione vira da blu/violetto a incolore/biancastro.
La soluzione ritorna incolore perchè lo I 2 reagisce con l’acido ascorbico in una reazione di
ossidoriduzione: l’acido ascorbico si ossida ad acido deidroascorbico; mentre I2 si riduce a I- e
scompare la colorazione blu-violacea.

In questo caso si procede alla determinazione quantitativa (quanta vitamina C è presente nel mio succo/
spremuta,ecc).

(NB → Lo iodio molecolare non è solubile in acqua se non in piccolissime quantità, ma lo si può
complessare come ione negativo per mezzo dello ioduro. In soluzione acquosa e in presenza di iodio
molecolare (I2) e dello ione ioduro (I−) si ha la formazione dello ione triioduro (I 3−) secondo la
reazione:I2 + I− → I3−. Questa reazione non è però stechiometrica per questione di stabilità dei
complessi quindi è necessario lavorare con forte eccesso di ioduro per ottenere una corretta
dissoluzione).
DETERMINAZIONE QUANTITATIVA ACIDO ASCORBICO “VITAMINA C “ NEGLI
AGRUMI

Obiettivo della esercitazione è la determinazione quantitativa dell’acido ascorbico attraverso una


titolazione ossido-riduttiva in quanto l’acido ascorbico è facilmente ossidabile. Come agente ossidante
verrà utilizzato lo iodio. L’equazione chimica che descrive questa reazione è la seguente:

C6H8O6 + I2 ⟷ C6H6O6 + 2H+ + 2I-

La fine della titolazione viene evidenziata aggiungendo,come indicatore, alla soluzione da titolare una
soluzione di salda d’amido, sensibile alla presenza di iodio libero. Quando tutto l’acido ascorbico è
stato ossidato dallo I2 in soluzione acquosa, la presenza di iodio molecolare (I 2) in eccesso in presenza
di ioduro (I−), porta alla formazione dello ione triioduro (I 3−) che viene adsorbito dalla frazione di
amilosio presente nella salda d'amido con la formazione di un complesso di colore blu-violaceo.
Al punto di equivalenza abbiamo la completa ossidazione dell’acido ascorbico.

Materiale:
• salda d’amido (amido sciolto in acqua e bollito per qualche minuto);
• Soluzione diluita di I2 in KI (nel nostro caso circa 0.01 N)
• Soluzione a concentrazione nota (0,5 mg/ml) di acido ascorbico in acqua
• H2SO4 2N
• Succhi di frutta vari: arancio, limone, kiwi ecc., filtrati con filtro di carta.

Preparazione dei campioni:


1. Soluzione a concentrazione nota di acido ascorbico: prelevare 10 ml di soluzione (5mg) e trasferirli
in una beuta, acidificare con alcune gocce di H2SO4 ed aggiungere acqua distillata fino a circa 100 ml ;
2. Prelevare da 5 – 10 ml di campione e trasferire in una beuta diversa, aggiungere acqua distillata fino
a 100 mL e acidificare con alcune gocce di H2SO4 2N
3. Aggiungere 3 mL di sospensione di amido ad ogni campione ed agitare.

TITOLAZIONE
1. Riempire la buretta con la soluzione di iodio;
2. Iniziare la titolazione facendo cadere una goccia per volta fino a quando la soluzione nella beuta non
cambia colore per formazione di un complesso di colore blu-violaceo che deve permanere almeno 20
secondi.
Quanto più acido ascorbico è presente nel campione, tanto più iodio serve aggiungere per ottenere il
viraggio.

ESPRESSIONE RISULTATI
È possibile impostare una proporzione per calcolare la quantità di acido ascorbico presente in ogni
campione partendo dal dato della soluzione standard di acido ascorbico: A : B = C : X con:
• A = mL di iodio utilizzati per la titolazione soluzione standard di acido ascorbico in acqua;
• B = mg di acido ascorbico prelevati dalla soluzione standard (nel nostro caso 5 mg);
• C = mL di iodio necessari per far virare ogni soluzione di campione di succo in acqua;
• X = mg di acido ascorbico contenuti nel volume di ogni campione.
Da cui:
X = (BXC)
A

Per il calcolo dei mg in 100 ml di succo dovrò impostare il seguente calcolo:

X : ml prelevati = Y : 100

Y mg acido ascorbico in 100 ml= (X × 100)


ml prelevati

(NB → la salda d’amido è l’indicatore specifico dell’iodio; lo iodio titola l’acido ascorbico, al p.to di
equivalenza (n iodio = n ac ascorbico) si presenta un colore blu-violaceo).

L’ESTRAZIONE SOLIDO-LIQUIDO: come si effettua la scelta dei metodi di estrazione dei principi
attivi?
Se in partenza ho la droga fresca effettuo la SPREMITURA, se invece in partenza ho la droga essicata
utilizzo le altre tecniche di estrazione.
ESTRAZIONE SOLIDO-LIQUIDO: DROGA ESSICATA

L’estrazione solido–liquido è un procedimento attraverso il quale è possibile separare i costituenti


desiderati da matrici solide di tipo alimentare, vegetale o animale, mediante l’utilizzo di opportuni
solventi.

OPERAZIONI PRELIMINARI → preparazione della matrice estrattiva: una rottura o una modifica
fisica delle membrane cellulari attraverso l’impiego di mezzi meccanici (per esempio pestellando),
trattamenti chimici e, laddove le sostanze da estrarre non siano termolabili, trattamenti termici.

La preparazione della matrice estrattiva è un processo comune a tutte le tecniche di estrazione.

PROCESSO DI ESTRAZIONE → un processo di estrazione si compone di due fasi principali:

1 - fase di estrazione

2 - fase di purificazione dell’estratto

FASE DI ESTRAZIONE
Modello fenomenologico dell’estrazione solido-liquido → quando un solvente viene aggiunto ad un
solido che contiene un soluto avvengono in sequenza questi fenomeni:

1 - Diffusione del solvente dalla massa della soluzione alla superficie del solido attraverso lo strato
limite (fase imbibente);
2 - Il solvente penetra nel solido bagnandolo e riempiendo tutte le microporosità in esso contenute e
finendo per costituire al suo interno una fase imbibente continua;

3 - Il soluto disperso nel solido si scioglie nel solvente creando così, all'interno del solido una soluzione
relativamente concentrata in soluto; all’interno del solido abbiamo un solvente più ricco di soluto;

4 - La differenza di concentrazione del soluto, che è all'interno del solido, e quella diluita, che è
all'esterno, genera una diffusione del soluto verso l'esterno (osmosi); il soluto da una zona a
concentrazione maggiore si trasferisce a una zona a concentrazione minore (il solvente arricchito del
soluto si trasferisce al di fuori del solido per osmosi);

5 - Diffusione del soluto attraverso lo strato limite nella massa della soluzione
La diffusione si arresta quando la concentrazione del soluto è la stessa nella soluzione che imbibisce il
solido e in quella che bagna esternamente il solido. Dopo aver raggiunto tale condizione di equilibrio
(che in teoria richiede un tempo infinito, ma in pratica tempi finiti e ragionevoli) si procede alla
separazione meccanica della soluzione dai solidi inerti.
Questa operazione può essere fatta con una semplice operazione di sgrondatura o per filtrazione
o centrifugazione o spremitura.
Se, in questa fase, fosse possibile separare tutta la soluzione dai solidi inerti, tutto il soluto risulterebbe
estratto e l'operazione sarebbe così conclusa con una resa di estrazione del 100% Invece, per quanto sia
efficace la separazione, ci sarà sempre una certa quantità di soluzione che rimane nel solidi (soluzione
imbibente) e dunque la resa di estrazione (quantità di soluto estratto rispetto alla quantità di soluto
presente inizialmente nei solidi) sarà inferiore al 100%. Si può intervenire allora con una seconda
operazione consistente nell'aggiungere al solido imbibito una nuova quantità di solvente. Questa nuova
aggiunta riproduce una nuova situazione di gradiente fra la soluzione più concentrata all'interno dei
solidi e la soluzione più diluita all'esterno. Inizia allora una nuova fase di diffusione fino a che la
concentrazione di soluto all'interno e all'esterno dei solidi è uguale. Ripetendo l'operazione di
separazione meccanica un'ulteriore frazione di soluto viene estratta e il solido risulta imbibito di una
soluzione più diluita della precedente.

Questa sequenza di “aggiunte di solvente-diffusione-separazione” può essere ripetuta finchè si


considera soddisfacente la resa di estrazione e tollerabile la quantità di soluto che rimane nella
soluzione imbibente dei solidi.

I fenomeni diffusivi rivestono particolare importanza nell’estrazione. La velocità di diffusione è


regolata dalla legge di Fick:

v = D · A · Δc/l
Dove:
v = velocità di diffusione delle molecole di soluto fra due punti della soluzione;
A = area della superficie attraverso la quale avviene la diffusione; l’area superficiale deve essere
grande per aumentare la velocità di diffusione;
Δc = differenza di concentrazione fra i due punti;
l = distanza fra i due punti;
D = coefficiente di diffusività che dipende dal sistema solvente–soluto e dalla temperatura.
Rapporto Δc/l rappresenta il gradiente di concentrazione.
PARAMETRI CHE INFLUENZANO L’ESTRAZIONE:
La quantità di soluto estratto dipende da molti fattori chimico/fisici:
- concentrazione del soluto nel solido;
- tipo di solvente;
- quantità di solvente;
- temperatura e pressione;
- dimensioni delle particelle del solido (superficie di contatto);
- numero di stadi di estrazione;
- tempo di contatto solido/solvente e agitazione.

L’estrazione è favorita dalla temperatura, dalla pressione, dall’agitazione, dalla natura del solvente e
dalle dimensioni piccole delle particelle di solido.

DIMENSIONI DELLEPARTICELLE → Al diminuire delle dimensioni aumenta l'area interfacciale e si


accorciano i percorsi diffusivi all'interno dei pori. Per quanto possibile si riducono le dimensioni del
solido in modo non uniforme. Così i vegetali si tagliano in fettucce, i semi in scaglie, ecc.
Dimensioni delle particelle piccole, aumentano le difficoltà della separazione solido-liquido, specie se
la differenza di densità è piccola.

TEMPERATURA → Aumentando la temperatura, aumenta il coefficiente di diffusione dato che


diminuisce la viscosità. Aumenta abitualmente anche la solubilità delle sostanze da estrarre.

PRESSIONE → Ha soprattutto influenza nell'estrazione con solventi gas-solido. Variando la pressione


si riesce a modulare la solubilità del soluto, rendendone così agevole il suo recupero.

AGITAZIONE → Un agitazione della soluzione aumenta la turbolenza, fa diminuire lo spessore dello


strato limite, mantiene più uniforme la concentrazione nella massa della soluzione e migliora lo
sfruttamento dell'area interfacciale prevenendo la sedimentazione del solido.

SOLVENTE: : I CRITERI DI SCELTA SONO MOLTEPLICI

Selettività. E’ la misura di quanto il soluto di interesse di sciolga preferibilmente nell’estratto rispetto


agli altri componenti, come eventuali altri soluti o il dilente stesso. Il simile scioglie il simile.
Capacità del solvente. Indica la massima concentrazione che il soluto può raggiungere in quel
solvente. Maggiore è la capacità, minore è la quantità di solvente richiesta.
Tossicità, pericolosità e impatto ambientale. L’uso di materiali pericolosi richiede il ricorso ad
accorgimenti e apparecchiature particolari per ridurre il rischio entro limiti accettabili e le emissioni
entro i limiti di legge. L’uso di sostanze tossiche e ad elevato impatto ambientale fa perciò lievitare sia i
costi dell'investimento sia i costi d'esercizio. La pericolosità è soprattutto da mettere in relazione con la
più o meno facile infiammabilità che può richiedere per la costruzione degli impianti delle
caratteristiche particolari alquanto costose.Sono anche da valutare le possibili tecniche di smaltimento
dei reflui e la biodegradabilità.
Tensione di vapore. Poiché l'estrazione richiede la susseguente separazione dell'estratto in soluto e
solvente, l'efficacia e il costo di questa separazione può dipendere dalla tensione di vapore del solvente
in relazione al metodo scelto.
Stabilità termica. E’ in relazione alla necessità di operazioni a caldo per separare l'estratto. La stabilità
termica influenza il consumo del solvente e la formazione di sottoprodotti, che debbono a loro volta
essere separati e che possono presentare tossicità e impatto ambientale superiori a quelli del solvente.
Anche l'inerzia chimica è un fattore da considerare, in quanto influisce sulla scelta dei materiali di
costruzione delle apparecchiature.
Viscosità. E’ bene che sia la più bassa possibile per favorire il trasporto di massa tra le due fasi.
Costo. E’ importante soprattutto in relazione al consumo di solvente.

Generalmente i criteri di scelta sono basati sul criterio generale che simile scioglie simile. Così gli oli
vegetali, costituiti da trigliceridi degli acidi grassi, vengono abitualmente estratti con esano, mentre se
si vogliono estrarre acidi grassi si ricorre, a solventi più polari.

Tempo. All'aumentare del tempo di contatto aumenta la quantità di soluto estratto. Tempi di contatto
brevi porta ad estratti più diluiti.

CLASSI DI COMPOSTI DI MAGGIOR INTERESSE ESTRATTIVO IN CAMPO ALIMENTARE

ALCALOIDI: composti ciclici aromatici azotati, eterogenei per struttura chimica con attività
farmacologica. L’atomo di azoto conferisce a questi composti una particolare basicità. I sali degli
alcaloidi sono solubili in acqua mentre le basi sono solubili nei solventi organici per cui vengono
estratti in ambiente basico con solventi organici (etere, cloroformio, acetato di etile). Molecole
alcaloidee sono la caffeina (presente nel caffè, cacao, cola), la capsaicina presente nel peperoncino, la
teina nel tè;

caffeina/teina capsaicina

FLAVONOIDI: polifenoli C6 – C3 – C6, presentano due anelli benzenici legati da tre atomi di C. Sono
dei derivati del flavone a struttura C6–C3–C6. Le classi di interesse estrattivo sono i flavanoli, con
colori che vanno dal giallo all’arancione e le antocianidine con colori dal rosso all’ azzurro. In natura si
possono trovare anche sotto forma di glucosidi e molti di essi vengono usati come coloranti naturali e
sono dotati di proprietà antiossidanti. I flavonoidi glicosidici sono solubili in acqua, miscele
idroalcoliche ed insolubili in solventi organici; gli agliconi sono insolubili in acqua ma solubili in etere.
I flavonoidi sono presenti nell’albedo degli agrumi, nella paprica; gli antociani sono presenti nel vino
rosso, nella frutta, le clorofille sono presenti nella verdura, nel carciofo ecc;

apigenina la ritroviamo
nel sedano e prezzemolo
ZUCCHERI: I carboidrati, esosi e pentosi, hanno una diversa solubilità in acqua in dipendenza del
grado di polimerizzazione. Nelle forme semplici come mono–di– trisaccaridi sono solubili in acqua
mentre, sotto forma più complessa di polisaccaridi, sono poco solubili, formando gelatine. Di interesse
alimentare sono gl iamidi, maltodestrine, agar, gomme, alginati e pectine.

OLI: classe di composti, per lo più mono–di–triglicerididi con acidi grassi di tipo saturo e insaturo.
Sono composti liposolubili e vengono estratti con solventi apolari. L’estrazione comporta anche la
separazione di cere, essendo tali sostanze liposolubili. Oltre all’estrazione da semi e frutti oleaginosi, i
lipidi possono essere estratti anche da matrici di origine animale. Possono essere estratti dai frutti
oleaginosi come le olive oppure dai semi attraverso solventi organici.

TERPENI: Sono composti polimerici ottenuti per condensazione di unità isopenteniliche fra cui il più
importante è l’isoprene. Sono classificati in mono, sesqui e tetraterpeni (carotenoidi). Oltre al valore
noto dei carotenoidi, i monoterpeni sono particolarmente importanti perché sono altamente volatili e
aromatici e sono alla base dei costituenti degli oli essenziali nelle spezie. Possono essere formati da
monomeri idrocarburici come limonene e pinene, alcoli come geraniolo e mentolo, aldeidi come
citronellale, chetoni come canfora e mentone, eteri (eucaliptolo), fenoli (timolo).

citronellale (aldeide)

geraniolo (alcol) timolo (fenolo)

GLICOSIDI: categoria complessa di composti formati da una parte zuccherina (glicone) e una parte
non zuccherina (aglicone). La parte agliconica può essere uno steroide, antrachinone, tiocomposto,
saponina, alcol o fenolo, mentre la parte gliconica sono maggiormente pentosi e esosi a diversa
polimerizzazione. Gli agliconi vengono estratti per infusione dopo una macerazione con fermentazione
che libera l’aglicone dalla parte zuccherina. Un tipico estratto essiccato è la vanillina ottenuta dalla
vaniglia e le crocine dallo zafferano.

Vanillina-β-D-glucopiranoside (glucovanillina), glicoside


utilizzato come aromatizzante. Il glicone è rappresentato
dal glucosio, mentre l'aglicone deriva dalla vanillina.
Notare il caratteristico legame O-glicosidico sul carbonio
1 dello zucchero.
metodi di estrazione:

MACERAZIONE
Un’altra tecnica di separazione semplice ed economica è rappresentata dalla macerazione, che si
realizza in contenitori di acciaio che possono avere sia piccole che grandi capacità (1.000–10.000 litri)
o altro materiale inerte sia verso la matrice solida che il solvente estraente ad una T non superiore ai
30°C.
Il solido da estrarre (polvere essiccata e secca) viene introdotto nel contenitore e completamente
ricoperto dal solvente (generalmente alcool), al fine di ottenere l’estrazione più completa possibile. Il
processo di estrazione è in genere abbastanza lungo, la fase solida viene sottoposta numerose volte a
macerazione con solvente nuovo fino ad esaurimento e richiede dei giorni o anche delle settimane per
giungere a completezza. Al termine della estrazione il liquido viene filtrato. Viene impiegata per
principi attivi volatili o per estrazione selettiva di principi attivi solubili in alcool.
Maggior limite: Impossibilità ad estrarre con acqua, in quanto la maggior parte delle sostanze
vegetali va incontro a putrefazione più rapidamente rispetto al processo estrattivo.

E’ un processo estrattivo molto utilizzato nell’industira alimentare → in questo metodo di estrazione si


pone a contatto il solido macinato con un solvente, solitamente alcool.
La macerazione è una fase della vinificazione che consiste nel tenere la vinaccia a contatto con il mosto
nella fase di fermentazione, in modo da favorire l'estrazione delle sostanze coloranti contenute nella
buccia dell'uva; essa viene effettuata soprattutto per la realizzazione di vini rossi da varietà di uve a
bacca rossa. (vinaccia → buccia + vinaccioli)

INFUSIONE
Rappresentabile come una macerazione che avviene in tempi brevissimi. La fase solida viene immersa
in un contenitore opportuno di acqua bollente lasciando il tutto a contatto per un tempo di 10-15 minuti.
In questo caso l’estrazione risulta sicuramente più veloce ma diventa più rapido anche il fenomeno
degradativo a carico delle sostanze termicamente labili. Es. preparazione del tè o camomilla

DECOZIONE
La fase solida viene immersa in un contenitore opportuno d’acqua fredda e viene portata ad ebollizione
per un tempo variabile fino a 30 minuti o più. Il liquido viene filtrato e ad esso viene aggiunto il liquido
della matrice estratta impregnata disolvente. Tale tecnica è dunque riservata a materiali compatti che
hanno principi attivi termoresistenti, per la cui estrazione si richiede l’intervento del calore.

Infusione e decozione sono delle varianti della tecnica di macerazione.

DIGESTIONE
La fase solida in contatto con il solvente è riscaldata ad una temperatura di 35-60°C. Viene usata
quando è permesso un calore moderato allo scopo di aumentare il potere estrattivo del solvente.
PERCOLAZIONE
Il solvente viene fatto passare in continuo attraverso uno strato uniforme di fase solida,
preventivamente umettata o macerata. Tempo di esercizio 24-48 h in apparecchi detti percolatori. Es.:
preparazione del caffè espresso.

ESTRAZIONE SOLIDO-LIQUIDO IN SOXHLET


Il Soxhlet è utilizzato solitamente per l’estrazione di analiti organici in campioni
solidi.
Il Soxhlet è riportato come metodo ufficiale di estrazione per numerosi metodi
analitici in cui è prevista una iniziale preparazione dell’estratto di un campione
solido. Mediante estrazione con Soxhlet si puó utilizzare qualunque solvente
volatile.
Applicazioni: estrazione di microinquinanti organici e grassi da matrici
solide.

Il solvente è riscaldato nella caldaia in basso ed il vapore puro sale attraverso il


tubo di bypass, unico percorso possibile, e raggiunge la parte superiore del
contenitore di Soxhlet, che è chiuso in basso. Il vapore continua a salire fino a
che non viene a contatto del condensatore, allora il liquido gocciola giù nel
ditale (sostituibile) che contiene il materiale dal quale desideriamo estrarre le
sostanze. Questo ditale è poroso, in modo che trattiene non solo il prodotto
solido, come semi o bacche, ma agisce anche da filtro evitando che il materiale
blocchi il tubo del sifone. Quando il livello del liquido nel contenitore di Soxhlet
raggiunge lo stesso livello della parte superiore del sifone, il liquido contenente I
residui dissolti è travasato nuovamente dentro la caldaia. La sequenza di eventi
(evaporazione, condensazione, estrazione e sifonamento) può essere ripetuta
numerose volte fino a quando tutta la sostanza solubile è stata estratta e
concentrata nel pallone.

Alla fine dell’estrazione i componenti vengono recuperati facendo evaporare il solvente.

Il Soxhlet è un sistema di estrazione chiuso, nel quale il solvente non viene disperso nell’ambiente
e la sequenza di eventi si ripete di continuo.

La temperatura di riscaldamento che permette l’evaporazione del solvente è minore della temperatura
di evaporazione del soluto; il solvente gassoso quindi passa prima pulito attraverso il solido e poi, dopo
esser stato ricondensato, il solvente gocciola nel ditale per procedere con l’estrazione solido-liquido.

Limiti del metodo Soxhlet:


1 – Impiego di quantità considerevoli di solvente;
2 – diluizione degli analiti;
3 – estrazione poco selettiva.
Gli analiti devono essere stabili alle temperature di estrazione/distillazione. Generalmente si verificano
perdite di analiti con volatilità simile o maggiore di quella del solvente.

Fino a poco tempo fa, il metodo Soxhlet era considerato il metodo di estrazione per eccellenza, grazie
al quale erano possibili estrazioni esaustive, e ci sono ancora molti che prediligono questa tecnica.
Tuttavia recenti lavori di molti ricercatori hanno dimostrato che spesso non è così e che la tendenza
attuale è rivolta allo studio di metodi alternativi che possano dare risultati paragonabili o migliori al
metodo Soxhlet.

Il metodo Soxhlet è vantaggioso perchè prevede un sistema chiuso e quindi I vapori di solvente non
vengono dispersi; inoltre utilizziamo sempre lo stesso solvente iniziale anche se in quantità
considerevoli.

Solitamente alla fase di estrazione segue la fase di separazione, ma nel caso del Soxhlet la seconda fase
non è necessaria perchè il solido è posto in un filtro poroso che fa sì che il solido non si disperda nel
liquido estraente.
Negli altri casi si usa la→ FILTRAZIONE

(il ROTAVAPOR è uno strumento che permette di recuperare il solvente usato per l’estrazione)

SEPARAZIONE DELLA SOLUZIONE DAI SOLIDI: filtrazione


La filtrazione è una tecnica utilizzata per separare le particelle solide sospese in un liquido. Esistono
due tipi principali di filtrazione usate in laboratorio:
- filtrazione per gravità
- filtrazione a pressione ridotta
La filtrazione per gravità è il metodo di scelta quando non interessa isolare il residuo solido, ma
piuttosto il filtrato (ossia la fase liquida che non viene trattenuta dal filtro).
Si preferisce ricorrere alla filtrazione a pressione ridotta (sotto vuoto) , specie se si è interessati a un
recupero quantitativo (ossia completo) del residuo solido.
Normalmente quando si sceglie di filtrare per gravità si utilizzano filtri di cellulosa.

I diversi tipi di carta da filtro si distinguono principalmente per le dimensioni dei pori, che influiscono
sulla capacità del filtro di trattenere particelle di piccolo diametro. La velocità di filtrazione è
proporzionale alle dimensioni dei pori.

I filtri si distinguono anche per le dimensioni. Esistono filtri in fogli, che possono essere sagomati della
dimensione desiderata, o in dischi di diverso diametro. Si sceglierà il diametro del filtro in base alla
quantità di residuo da filtrare e alle dimensioni dell'imbuto a cui dovrà essere adattato. Le immagini
sulla sinistra illustrano come preparare un semplice filtro conico a partire da un disco di carta da filtro,
quelle a destra la preparazione di un filtro a pieghe, che consente un'efficienza di filtrazione
decisamente superiore poiché aumenta la superficie filtrante.
Filtrazione a pressione ridotta

Nella filtrazione a pressione ridotta si fa il vuoto nel recipiente di raccolta, in modo da creare un
gradiente pressorio ai due lati del filtro, in modo tale che la pressione atmosferica esterna, superiore
alla pressione all'interno della beuta da vuoto, spinga il miscuglio eterogeneo attraverso il filtro,
aumentando notevolmente la velocità di filtrazione.
Come sorgente di vuoto si utilizzerà una pompa da vuoto, che può essere una pompa elettrica
(tipicamente una pompa a membrana) o una pompa ad acqua.

disco di carta da filtro

imbuto Büchner

beuta caudata
collegata alla pompa
da vuoto

SEPARAZIONE DELLA SOLUZIONE DAI SOLIDI: CENTRIFUGAZIONE


Le provette usate per la centrifugazione sono di forma conica (o rastremata), mentre le provette
cilindriche sono provette da saggio. E’ importante che il carico del rotore sia bilanciato.

La pipetta Pasteur va impugnata con tutta la mano e la tettarella va stretta tra pollice e indice.

ESTRAZIONE CON FLUIDI SUPERCRITICI


L’estrazione con fluidi supercritici è una tecnologia estrattiva solido – liquido recente e molto
complessa. La tecnica si basa sulla possibilità di poter utilizzare come solvente estrattivo un fluido (in
genere l’anidride carbonica) con proprietà intermedie tra quelle dei gas e dei liquidi. I fluidi supercritici
(SCF) stanno soppiantando i comuni solventi organici in molte applicazioni industriali, soprattutto
a causa delle sempre più pressanti regolamentazioni a carattere ambientalistico riguardanti idrocarburi e
le emissioni dannose per lo strato di ozono. I processi che si basano sulla estrazione con fluidi
supercritici (SFE) hanno permesso di eliminare solventi pericolosi quali esano e cloruro di metilene.
Attualmente l’anidride carbonica in fase supercritica viene impiegata per diversi processi industriali
come la decaffeinizzazione del caffè, la rimozione della nicotina dal tabacco, l’estrazione di oli da
semi, estrazione da alimenti e da prodotti farmaceutici, estratti aromatici dalle infiorescenze e
colesterolo e grassi dalle uova.

Decaffeinizzazione del caffè → la caffeina solitamente viene tolta dal caffè attraverso l’estrazione
solido-liquido con solventi organici, ma possiamo farlo anche con I fluidi supercritici.
COS’E’ UN FLUIDO SUPERCRITICO?

Il diagramma di stato del biossido di carbonio, visualizza le varie fasi (solido, liquido, vapore) in
funzione della pressione e della temperatura. Alla temperatura di 37,7 °C e pressione di 68 atm
corrisponde il punto critico del biossido di carbonio, in cui non c’è distinzione fra fase vapore e fase
liquida. Aumentando la temperatura a pressione costante (68 atm), o anche, aumentando la pressione a
temperatura costante (37,7 °C) si individuano due semirette, rispettivamente parallele all’asse delle
temperature ed a quello delle pressioni, che definiscono la zona in cui si ha lo stato supercritico.
All’interno di questo stato, le possibili combinazioni di pressione e temperatura variano il potere
solvente del biossido di carbonio.

DIAGRAMMA DI FASE PER CO2

Al punto triplo (caratterizzato da valori di pressione e di temperatura ben precisi) coesistono tutti e tre
gli stati: solido, liquido e gassoso. Al punto critico (caratterizzato da valori di pressione e di
temperatura ben precisi) non c’è distinzione tra fase vapore e fase liquida; le due semirette (una
parallela all’asse delle temperature e l’altra parallela all’asse delle pressioni) individuano una zona per
cui la CO2 si comporta come fluido supercritico. Tutte le possibili combinazioni di pressione e
temperatura all’interno di questa zona descritta dalle due semirette variano il potere solvente della CO 2.
Un fluido supercritico ha proprietà intermedie tra lo stato gassoso e quello liquido.

I fluidi supercritici hanno densità, viscosità ed altre proprietà che sono intermedie tra quelle della
sostanza allo stato gassoso e allo stato liquido. In particolare il fluido supercritico ha proprietà solventi
simili a quelle di un liquido e proprietà di trasporto comuni ai gas che ne facilita la penetrazione nel
campione.
Le loro elevate densità è correlata alla notevole capacità di solvatare molecole grandi e non volatili. Per
esempio il biossido di carbonio supercritico scioglie facilmente n–alcani che contengono da 5 a più di
30 atomi di carbonio; vari idrocarburi policiclici aromatici costituiti da molti anelli condensati, ecc….
P = 68 atm
T = 37,7 °C

La velocità di estrazione e di separazione delle fasi con SCF sono significativamente maggiori rispetto
a quelle che si hanno con i comuni processi di estrazione.
VANTAGGI DELL’UTILIZZO DI CO2 COME FLUIDO SUPERCRITICO

 poco costosa e si ottiene facilmente;


 possiede coefficienti di diffusione più alti e viscosità più basse rispetto al solvente liquido;
 ha una forte permeabilità, dunque il tempo di estrazione può essere notevolmente più breve di quello
richiesto dall’estrazione con il comune solvente;
 inodore, non è tossica, non brucia, non esplode e non danneggia lo strato di ozono; la temperatura di
lavoro è vicina alla temperatura ambiente (31,1 °C), particolarmente adatta a materiale sensibile al
calore, che verrebbe decomposto dal trattamento termico;
il recupero è semplice e conveniente e può essere riciclata senza alcun trattamento;
riunisce l’estrazione e la rimozione in una tecnica unica, abbreviando notevolmente i tempi di
lavorazione in modo semplice e conveniente;
possiede un potere solvente variabile, dipendente dalle condizioni operative (pressione e
temperatura) prescelte.
La limitazione di questa tecnica consiste in una minor capacità solubilizzante per i composti
solubili in acqua.
 Questa strumentazione non può essere ancora utilizzata da qualunque operatore.

CICLO PER IL RECUPERO DELL’ANIDRIDE CARBONICA


I prodotti uscenti dall’estrattore sono inviati a un separatore dove vengono sottoposti a
depressurizzazione. L’abbassamento della pressione determina la transizione della CO 2 supercritica alla
fase gassosa, separandosi così dall’estratto che viene abbattuto in fase liquida o solida in un separatore
e convogliato all’esterno, dove verrà poi recuperato. La CO2 invece passa ad una unità refrigerante
dove viene condensata e purificata e rimessa in circolo o recuperata in serbatoi.

ESTRAZIONE CON SOLVENTE ACCOMPAGNATA A MICROONDE (Microwave assisted


extraction – MAE)
L’estrazione assistita con microonde, o microwave-assisted extraction (MAE), è una tecnica di
estrazione rapida ed efficiente basata sull’impiego di microonde per riscaldare la miscela
campione/solvente allo scopo di facilitare e velocizzare l’estrazione dell’analita. A differenza delle fonti
di calore tradizionali, che agiscono su una superficie, dalla quale il calore si diffonde verso gli strati
interni del corpo per conduzione e convezione, una fonte di calore a microonde agisce sull’intero
volume (se il mezzo è omogeneo) o su centri riscaldanti localizzati, costituiti dalle molecole polari
presenti nel prodotto. Pertanto,mentre con il riscaldamento convenzionale è richiesto un certo tempo
per riscaldare il recipiente prima che il calore venga trasferito alla soluzione, le microonde riscaldano
direttamente la soluzione e il gradiente di temperatura viene mantenuto al minimo.

L’estrazione con microonde è stata introdotta solo recentemente. I primi esempi di applicazione in
questo sistema appaiono nel 1986, con alcuni ricercatori americani che utilizzavano un forno a
microonde casalingo per aumentare l’efficacia di estrazione di sostanze organiche da matrici solide
quali suoli, sedimenti e alimenti.
Da allora si sono susseguite numerose pubblicazioni relative all’impiego delle microonde per
l’estrazione di contaminanti da matrici ambientali e di sostanze attive, ingredienti e nutrienti da
vegetali e piante medicinali; seppure in misura minore, la tecnica ha trovato applicazione anche per
l’analisi di campioni biologici (siero, tessuti, capelli) e alimenti (estrazione di grasso, contaminanti
organici, metalli, componenti bioattivi e nutrienti).
Diversi studi comparativi hanno dimostrato le ottime prestazioni, in termini di recupero e precisione,
ottenibili con la MAE rispetto ad altre tecniche di estrazione tradizionali (per esempio estrazione con
Soxhlet) e la sua superiorità in termini di riduzione del consumo di solventi e tempi di estrazione.

ESTRAZIONE ACCELERATA CON SOLVENTE ASE® (Accelerated Solvent Extraction)


Un approccio innovativo, proposto per l’estrazione di una vasta classe di composti da matrici difficili è
l’estrazione accelerata con solvente (ASE). La ASE utilizza molto meno solvente rispetto al metodo
Soxhlet o l’estrazione con ultrasuoni e consegue una notevole riduzione dei tempi anche rispetto al
forno a microonde. ASE si basa sull’estrazione degli analiti dalle matrici solide ad alta temperatura
sotto pressione: ciò accelera il desorbimento degli analiti dal campione e la loro solubilizzazione nel
solvente. L’aumento della temperatura, infatti, accelera la cinetica di estrazione, mentre l’alta pressione
mantiene il solvente allo stato liquido sotto il punto d’ebollizione, consentendo in tal modo estrazioni
rapide e sicure. La riduzione delle quantità di solvente e dei tempi di estrazione è ottenuta mettendo a
contatto il solvente con il campione entro una cella di acciaio mantenuta sotto pressione e ad alta
temperatura. E’ stata applicato ai prodotti naturali, per l’estrazione dei grassi dagli alimenti, alle
formulazioni farmaceutiche, alle micotossine nei grani, ai pesticidi negli alimenti zootecnici ecc.

ESTRAZIONE SOLIDO-LIQUIDO: NAVIGLIO ESTRATTORE


Le tecniche estrattive solido-liquido attualmente in uso presso le industrie alimentari sono
essenzialmente di tre tipologie differenti: la macerazione, la percolazione e l’estrazione con fluidi in
fase supercritica.
Ognuna di queste tecniche presenta sia dei vantaggi che degli svantaggi.
Tecnica estrattiva Principio chimico fisici Vantaggi Svantaggi
Macerazione Il processo estrattivo avviene per Semplicità, economicità, non Il processo di estrazione
i fenomeni della diffusione e richiede apparecchiature richiede dei giorni o
dell’osmosi, che sono fortemente complesse e personale settimane per andare a
dipendenti dalla temperatura. specializzato completezza.
Nonostante ciò la
matrice solida non
risulta completamente
estratta.

Percolazione Si basa anch’essa sul fenomeno Il processo può essere Non si raggiungono
della diffusione dell’osmosi, ma applicato su tonnellate di rese estrattive elevate
si differenzia dalla macerazione materiale, non richiede anche se il processo è
in quanto avviene in maniera personale addestrato impiegato
dinamica. industrialmente in
quanto si riducono i
tempi di estrazione.
Estrazione con fluidi Il processo estrattivo avviene Al termine del processo L’estrazione con CO2 è
supercritici mettendo sottopressione in un estrattivo la CO2 viene portata complessa e costosa,
sistema chiuso l’anidride a temperatura e a pressione richiede del personale
carbonica che ad una certa coppia ambiente, di conseguenza addestrato per il suo
di valori di pressione e di gassificata, lasciando le funzionamento.
temperatura assume lo stato di sostanze estratte dalla matrice
fluido supercritico. Il tale stato la solida. Di conseguenza la
CO2 assume caratteristice tecnica non utilizza un
chimicofisiche simili all’n-esano solvente vero e proprio.

PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO DEL NAVIGLIO ESTRATTORE → La generazione, con un


opportuno solvente, di un gradiente di pressione negativo tra l'esterno e l'interno di una matrice solida
contenente del materiale estraibile, seguita da un repentino ripristino delle condizioni di equilibrio
iniziali, induce l'estrazione forzata dei composti non chimicamente legati alla struttura principale di cui
è costituito il solido.
Il sistema base dell’apparecchio è costituito da due camere di estrazione (due cilindri muniti di
pistone mobile) sul fondo delle quali sono posti due setti porosi che lasciano passare il liquido e le
sostanze in esso disciolte, mentre bloccano le particelle grossolane di materiale solido.
Le due camere di estrazione sono messe in comunicazione tramite un condotto su cui viene inserita una
elettrovalvola che resta chiusa per tutto il tempo dell’estrazione ed è utilizzata solo per la raccolta del
solvente. Il materiale solido da estrarre è posto nelle camere di estrazione che in seguito vengono
riempite completamente con il solvente estraente (organico o inorganico o loro miscele) con un
rapporto fra residuo secco della pianta e solvente di 1/5 (R.E. 1:5 o R.E. 1/5, ovvero 4 litri di solvente
per ogni chilo di pianta). Il riempimento della camera di estrazione con la matrice solida ed il solvente
avviene a pressione atmosferica e l’indicatore di pressione indica il valore zero (Fig.2).

Fig. 2. Caricamento delle camere estrattive con


matrice solida (cerchi verdi) e solvente
estraente (colore blu).

Il sistema, dopo il riempimento, viene chiuso e messo sotto pressione dall’azione meccanica di due
pistoni spinti ad aria compressa. La pressione esercitata dai pistoni viene trasferita al liquido (Fig. 3)
poiché le due camere di estrazione sono collegate tramite un condotto.

Fig. 3. Chiusura del sistema ed inizio della


compressione del solvente (le figure geometriche
variamente colorate rappresentano I principi attivi).
Quando viene raggiunto il valore massimo di
pressione impostato (dalle 6 alle 8 atm), il sistema
resta fermo per un tempo necessario a stabilire un
equilibrio pressorio tra l’interno e l’esterno della
matrice solida: questa situazione è identificata come
la“fase di statica” (Fig.4).

Fig 4. Massima compressione del sistema e inizio


della fase di statica.
Trascorso questo periodo i pistoni vengono rapidamente rimossi dall’equilibrio statico per la fuoriuscita
rapida dell’aria dal sistema, generando un abbassamento immediato della pressione all’interno della
camera di estrazione e dando luogo alla “fase di dinamica” (Fig. 5) in cui si realizza il principio
estrattivo (Principio di Naviglio). Le sostanze estraibili vengono trasferite nel solvente per un
effetto di “risucchio” dovuto al gradiente di pressione negativo venuto a crearsi tra l’interno e
l’esterno della matrice solida.

Fig 5. Fine della fase di statica ed inizio della fase di


dinamica (decompressione del solvente).

Tale meccanismo è ben rappresentato nelle Fig. 6 e 7 dove si evidenziano rispettivamente il


raggiungimento dell’equilibrio di pressione (la matrice solida è completamente permeata dal liquido
estraente) e la fuoriuscita delle sostanze estraibili dalla matrice solida. La fase dinamica ha inoltre la
funzione di rimescolare il liquido, evitando la formazione di gradienti di concentrazione nelle
immediate vicinanze della superficie esposta al solido. L’alternarsi di una fase di statica con una di
dinamica costituisce un ciclo estrattivo. Reiterando più cicli estrattivi si giunge al completo
esaurimento della matrice solida.

Fig. 6. Equilibrio di pressione tra il solvente esterno e quello


contenuto all’interno della matrice.

Fig. 7. Effetto di “risucchio” generato dal gradiente di


pressione (Principio di Naviglio).
Reiterando più cicli estrattivi si giunge al completo esaurimento della matrice solida. Alla fine
dell’estrazione il solvente è espulso attraverso una elettrovalvola e raccolto in un apposito contenitore
(Fig.8).

Fig.8. Fine dell’estrazione ed inizio fase di scarico.

PRINCIPALI VANTAGGI NELL’UTILIZZO DELL’ESTRATTORE SOLIDO-LIQUIDO


DINAMICO
1 - Rende innanzitutto l’estrazione indipendente dall’affinità che i principi attivi della pianta hanno nei
confronti del solvente (estrazione quasi totale dei principi attivi della pianta), in quanto estratti per una
differenza di pressione tra il liquido all’interno della pianta ed il liquido all’esterno della stessa, effetto
di risucchio, ottenendo così estratti di altissima qualità.
2 - Si ha la possibilità di eseguire estrazioni a temperature molto basse (ambiente o sub-ambiente) in
quanto non vi è più il principio diffusivo che crea una degradazione dei principi termolabili;
3 – L’estrazione passa da un processo passivo, nel quale bisogna attendere che l’osmosi e la diffusione
spingano le sostanze estraibili verso l’esterno della pianta, ad uno attivo e controllabile, riuscendo così
ad estrarre la quasi totalità delle sostanze attive estraibili.
4 - Si ha la possibilità di utilizzare come liquido estraente l’acqua, grazie ai ridotti tempi d’estrazione,
mentre con una macerazione tradizionale sarebbe impensabile.

CONFRONTO TRA LE TECNICHE ESTRATTIVE SOLIDO–LIQUIDO ATTUALMENTE


ESISTENTI, IN RELAZIONE AL TEMPO, ALLA QUALITÀ E ALLA STABILITÀ
DELL’ESTRATTO
CONFRONTO TRA LE TECNICHE ESTRATTIVE SOLIDO–LIQUIDO ATTUALMENTE
ESISTENTI, IN RELAZIONE ALLA GRANULOMETRIA, AL TIPO DI SOLVENTE E AL
RENDIMENTO

APPLICAZIONI DEL NAVIGLIO ESTRATTORE

Estrazione del licopene dalle bucce di pomodoro provenienti da lavorazioni industriali Le bucce
di pomodoro vengono trattate in acqua mediante il Naviglio estrattore ® e la componente organica
recuperata, in cui si trova anche il licopene, viene separata su SPE (Solid Phase Extraction) ed eluita
con una quantità minima di solvente. Le bucce risultanti dal processo vengono essiccate fino alla
perdita totale dell’acqua in esse contenuta; il materiale secco viene triturato ed impiegato come
mangime per animali.

Recupero degli oli essenziali dagli sfridi delle bucce di arancia provenienti dalla produzione
dicanditi Gli sfridi di bucce di arancia vengono estratti con acqua mediante il Naviglio estrattore; la
componente di olio essenziale viene recuperata per centrifugazione. Le bucce di arancia sono fatte
essiccare fino alla perdita completa dell’acqua; il materiale secco viene triturato finemente e la polvere
ottenuta è impiegata come mangime per gli animali.

ESERCITAZIONE 2

MISURA DEI POLIFENOLI TOTALI SALVIA OFFICINALIS


Nella salvia officinalis sono presenti numerosi principi attivi e benefici come i polifenoli ed I
flavonoidi. Come è noto, i polifenoli sono antiossidanti naturali presenti nelle piante officinali e
possono risultare pertanto utili nella prevenzione della ossidazione delle lipoproteine e nella riduzione
dei radicali liberi.
I principali fenoli presenti nella salvia officinalis sono:
• acidi fenolici (acido caffeico, rosmarinico, acido clorogenico ed acido ferulico)
• flavonoidi (luteolina, salvigenina, genkvwanina, cirsimarritina ed ispidulina)
CAMPIONI
Foglie di salvia: Fresca, liofilizzata, essiccata.

Preparazione dei campioni.


Salvia fresca: utilizzata a foglie sminuzzate
Salvia liofilizzata: utilizzata a foglie intere e in foglie sminuzzate
Salvia essiccata : utilizzata tal quale.

Preparazione infuso.
5 grammi di campione (fresco, liofilizzato ed essiccato) vengono posti in un becker da 250 ml ed
addizionati di 200 ml di acqua bollente. Si lascia in infuso per 15 minuti. Si filtra con colino e/o con
filtro di carta, in un pallone tarato da 200ml.

Misura dei polifenoli totali:


0,5 -1 ml di estratto vengono posti in un pallone da 50 ml ed addizionati di: 5 ml di reattivo di Folin,
4 ml soluzione 10% Na2COb ed acqua fino a volume.
Si effettua la misura di assorbanza a 750 nm. Il valore di assorbanza viene confrontato con una curva
di taratura ottenuta dalla misura in assorbanza di soluzioni a concentrazione nota di acido gallico.

MISURA DEI POLIFENOLI TOTALI FOGLIE DI OLIVO


Nelle foglie di olivo sono presenti numero di polifenoli. Tra i più importanti composti fenolici si
ricorda la oleuropeina, dalla spiccata nota amara. I suoi prodotti di degradazione sono l’acido elenolico
e l’idrossitirosolo. Le proprietà farmacologiche principali della oleoeuropeina sono l’azione coronaro-
dilatatrice, quella ipoglicemica e quella anticolesterolemica.

CAMPIONI
Foglie di olivo: Fresche, essiccate.

Preparazione dei campioni.


Foglie fresche: utilizzate a foglie intere
Foglie essiccate : utilizzate tal quali

Preparazione infuso da foglie essiccate:


5 grammi di campione di foglie essiccate vengono poste in un becher da 250 ml ed addizionati di
200 ml di acqua bollente. Si lascia in infuso per 15 minuti. Si filtra con colino e/o con filtro di carta,
in un pallone tarato da 200 ml.
Preparazione decotto da foglie fresche:
50-80 foglie di ulivo per 500 ml di acqua. Mettere le foglie in acqua e portare ad ebollizione. Dopo l’
ebollizione abbassare la fiamma e far sobbollire per 15 minuti. raffreddare, filtrare e portare a
volume in un pallone tarato.

Misura dei polifenoli totali:


1 ml di estratto (da foglie secche) e 5 ml (da foglie fresche) vengono posti in un pallone da 50 ml ed
addizionati di: 5 ml di reattivo di Folin, 4 ml soluzione 10% Na2CO3 ed acqua fino a volume.
Si effettua la misura di assorbanza a 750 nm. Il valore di assorbanza viene confrontato con una curva
di taratura ottenuta dalla misura in assorbanza di soluzioni a concentrazione nota di acido gallico.
CURVA DI TARATURA

Reagenti:
- Acqua distillata
- Na2CO3 (20%)
- reattivo di Folin-Ciocalteau (2N)
- acido gallico soluzione madre da 1 mg / ml.

• Dalla soluzione madre si prelevano 2,5 ml e si portano a volume con acqua in un matraccio da 50 ml,
ottenendo così una soluzione da 0,05 mg/ml. Da questo matraccio si prelevano 0,5-1-1,5-2-4-5 ml che
vengono introdotti in 6 matracci o cilindri da 50 ml e si procede come segue:
• Aggiungere acqua (fino a circa la metà del palloncino) + 5 ml del reattivo di Folin (soluzione diluita
1:10), agitare e lasciare a riposo per 3 minuti;
• Aggiungere 4 ml di Na2CO3 20%, portare a volume, agitare e lasciare a riposo 1 ora, al buio e a
temperatura ambiente
• Leggere l’assorbanza a 750 nm con uno spettrofotometro.

Bianco: Si procede all’aggiunta di tutti i reattivi, in un pallone da 50 ml, ad esclusione dell’acido


gallico.

PREPARAZIONE DEL CAMPIONE PER LA LETTURA


- Prendo 10 ml di estratto e li pongo in un matraccio (X mg polifenoli)
- Aggiungere 25 ml di acqua + 5 ml reattivo Folin. Agitare e riposare per tre minuti
- Aggiungere 4 ml di una soluzione di Na 2CO3 al 20% , portare a volume con acqua distillata e riporre
al buio per 60 minuti.
- Effettuare la lettura allo spettrofotometro a 750 nm
ESEMPI DI ESTRAZIONE SOLIDO-LIQUIDO DI PRODOTTI ALIMENTARI

La spremitura è il metodo utilizzato per ottenere l’olio di oliva


dalle drupe.
L’olio di oliva deve essere ottenuto dalle olive esclusivamente
mediante sistemi meccanici.
Il prodotto ottenuto viene definito “vergine”.
Può essere utilizzato per l’alimentazione senza raffinazione.

L’olio si ottiene dalla spremitura della drupa. Sulla buccia sono presenti varie sostanze e una
microflora responsabile delle reazioni biochimiche col materiale della polpa nel caso di lacerazioni o
urti, che portano alla formazione di prodotti di decomposizione.

Epicarpo (Buccia): costituisce l’1,5-3,5% della drupa, di colore prima verde, poi con l’evolvere della
maturazione, assume colorazione verde paglierino, bruno rossastra e, infine, nella maggior parte delle
varietà, tende al viola intenso, quasi al nero. L’epicarpo è ricoperto da una sostanza protettiva cerosa.
Mesocarpo (polpa): costituisce l’75-85% della drupa, contiene acqua e olio. La maggior parte
dell’olio, si trova nei vacuoli delle cellule.
Endocarpo (nocciolo): costituisce il 13-24% della drupa. Ha una struttura diversa a seconda del tipo di
cultivar. E’ costituito da un guscio legnoso che racchiude il seme (mandorla).
Seme (mandorla): costituisce il 2-4% della drupa. E’ costituito da un involucro esterno detto
episperma e da uno interno detto endosperma, il quale racchiude l’embrione, che contiene una piccola
percentuale di olio, ma è difficilmente estraibile.

L'oliva matura, quindi pronta alla spremitura per la produzione dell'olio, possiede una composizione
chimica così sintetizzabile:
• Acqua 45-55%: è la componente più presente nel frutto
• Lipidi 13-28%: porzione utile alla composizione dell'olio
• Sostanze azotate 1,5-2%:
• Composti non azotati 18-24%
• Fibra grezza 5-8%
• Ceneri 1-2%
sistemi meccanici di estrazione:

Sistema classico
La pasta è preparata mediante l’uso di molazze a due o tre macelli mentre l’estrazione dell’olio avviene
a mezzo di presse idrauliche. La fase liquida ottenuta, detta “olio mosto”, è inviata ad una centrifuga
per la separazione dell’olio dalle acque di vegetazione. L’olio che si ottiene, se conforme a quanto
previsto dalla normativa, può essere avviato direttamente al consumo.

Sistema moderno per centrifugazione


Nel sistema moderno la pasta di olive è preparata mediante l’uso frangitori e, dopo fluidificazione,
l’estrazione dell’olio avviene a mezzo di una centrifuga continua ad asse orizzontale. L’olio viene poi
inviato ad una comune centrifuga per completare l’eliminazione della fase acquosa. Anche quest’olio,
se conforme a quanto previsto dalla normativa, può essere avviato direttamente al consumo.

Il 3-6% di olio si ritrova nel sottoprodotto di estrazione che è la sansa dal quale viene estratto con un
sistema chimico.
Rettifica → processo che distrugge una buona parte delle sostanze naturalmente presenti nell’olio

ESTRAZIONE DI OLIO DALLA SANSA : ESTRAZIONE SOLIDO - LIQUIDO


Il solvente piu’ usato per l’estrazione è l’Esano che risulta particolarmente selettivo nei confronti
dell’olio mentre è inerte nei confronti degli altri componenti delle sanse. “ La sansa viene mescolata al
solvente e sottoposta a successivi lavaggi, intervallati da filtrazioni; la miscela olio-esano passa in un
distillatore, si allontana il solvente, l’olio residuo deve essere rettificato. Il solvente condensato viene
rimesso in circolo”

ESTRAZIONE CON SOLVENTI DELL’OLIO DA SEMI E FRUTTI OLEOSI


I metodi fisici di estrazione del grasso da matrici vegetali (frutti e semi oleosi) prevedono il ricorso a
sistemi meccanici e/o di solventi. L’impiego di solventi prevede sempre la rettifica prima della
immissione del prodotto in commercio.

Estrazione Meccanica → I semi oleaginosi, vengono dapprima sbriciolati o laminati, quindi sottoposti
a pressatura meccanica per estrarne gli olii.

Estrazione Chimica : solventi → Questa tecnica consente il prelievo quasi totale dell'olio presente nel
materiale lavorato (residuo circa 3/4 %), può essere assoluta nella sua applicazione oppureriservata
come trattamento successivo al materiale risultante dalla pressatura meccanica. I semi oleaginosi,
sbriciolati finemente, vengono messi in un bagno di sostanze chimiche che hanno la caratteristica di
sciogliere unicamente gli oli. Successivamente il composto olio-solvente viene distillato, rimuovendo
così per evaporazione la sostanza chimica estrattiva. L'olio così ottenuto e definito "grezzo" dovrà però
ancora essere raffinato tale da renderlo inidoneo alla vendita.

ESTRAZIONE CON SOXHELET DI UN OLIO DA UN PRODOTTO ALIMENTARE


Per eseguire l’estrazione si pestano finemente in unmortaio i semi oleosi (o altro materiale da
analizzare) e sene pesa esattamente una quantità tale da riempire per ¾ la “cartuccia” del Soxhlet.
Quindi si monta l’apparecchio e si lascia estrarre per 4-5 volte con etere di petrolio o altro solvente. Si
raffredda e si recupera tutto l’estratto (olio + solvente).
Eliminazione del solvente → L’estratto viene posto in un pallone asciutto e pesato, quindi si procede
al recupero del solvente attraverso una distillazione semplice. Si riscalda lentamente fino
all’eliminazione completa del solvente.

DETERMINAZIONE DELLA SOSTANZA GRASSA DI UNA CARNE


Il metodo si basa appunto sull’estrazione del grasso dal campione secco. Si estrae con etere di petrolio
per 10 ore; alla fine, dopo aver allontanato il solvente per evaporazione, si pesa il residuo costituito da
grassi direttamente nel pallone di raccolta precedentemente tarato. Con opportune strumentazioni, la
procedura è automatizzabile ed eseguibile su più campioni contemporaneamente.

ESTRAZIONE DELLA CAFFEINA DALLE FOGLIE DI TE’


La metodica prevede un’estrazione dalle foglie di Tè della caffeina, un’estrazione con solvente
immiscibile della caffeina dalla fase acquosa, eventualmente una ricristallizzazione della caffeina. I
prerequisiti consistono principalmente nella conoscenza di: reazioni acido base, concetto di solubilità,
di emulsione, punto di fusione, tecniche di cristallizzazione, estrazione con solvente, eventualmente
sublimazione. La caffeina è un alcaloide xantinico. Ha un’azione stimolante sul sistema nervoso
centrale ed è principalmente contenuta nel caffè, nel Tè e nella Cola, in misura minore nel cacao.
A temperatura ambiente si presenta come un solido bianco inodore. É un composto stupefacente.
Chimicamente è una xantina (1,3,7-trimetilxantina) e come tale svolge azione stimolante del sistema
nervoso centrale (elimina la sonnolenza e attiva il senso di attenzione) intervenendo sulle sinapsi; di
lieve azione diuretica e di modesto effetto vasodilatatore, ha un effetto irritante per la mucosa dello
stomaco. Per la sua azione stimolante è usata come antidoto dei farmaci ipnotici. Effetti negativi da
sovradosaggio sono eccitazione, insonnia, tremori, nausea, vomito, aumento della diuresi, tachicardia,
extrasistole. La grande popolarità delle bevande contenenti caffeina (caffè e tè anzitutto) rende questa
la sostanza psicoattiva più diffusa nel mondo. La caffeina è uno stimolante del sistema nervoso centrale
e viene utilizzata in ambito medico e ricreazionale in caso di sonnolenza. È da notare che la caffeina va
utilizzata solo occasionalmente e non può essere usata per rimpiazzare il sonno. L'utilizzo prolungato di
caffeina porta a tolleranza.
La caffeina o teina è un alcaloide che si presenta come un solido bianco cristallino, è presente nei
chicchi di caffè (1,5-2%) e nelle foglie di tè (4-5%). La caffeina ha un’azione stimolante ed eccitante
sul sistema nervoso, il suo contenuto in una tazzina di caffè è di circa 0,05 g., è presente in alcune
bibite gasate. Un abuso di caffè può provocare uno stato di intossicazione, i cui sintomi più comuni
sono mal di testa e tachicardia; per dosi superiori a 10 g. la caffeina è letale. Per ovviare a questi
inconveniente sono state messe a punto tecniche per estrarre la caffeina dal caffè ed ottenere un
prodotto decaffeinato, ma con soddisfacenti proprietà organolettiche.

La solubilità della caffeina:


Solubilità in acqua: 2,2 mg/ml ( 25 °C ), 180 mg/ml ( 80 °C ), 670 mg/ml ( 100 °C)
Solubilità in acetato di etile: 20 mg/ml ( 20 °C )
Solubilità in cloruro di metilene: 80 mg/ml ( 20 °C ) , 140 mg / mL (25°C)
Solubilità in etanolo: 15 mg/ml ( 20 °C )

Nelle foglie di te o nel caffè si trovano anche i tannini, molecole del tipo rappresentato di fianco, che in
presenza di Sali di piombo, (acetato di piombo) forma dei complessi insolubili in acqua.
Alternativamente si possono deprotonare in ambiente basico gli ossidrili fenolici e quindi rendere i
tannini insolubili in ambiente organico. Quest’ultima procedura però rischia di provocare la
formazione di surfattanti anionici e quindi di portare alla formazione di emulsioni nella successiva
fase di estrazione.

Procedimento: in una beuta da 250ml si introducono 5 g di foglie di tè e 125 ml di acqua. Portare


all'ebollizione su piastra elettrica e far bollire per 15 minuti. Lasciare raffreddare. Aggiungere
successivamente, lentamente, 20 ml di una soluzione acquosa di acetato di piombo al 10% ed agitare
accuratamente la miscela risultante con una bacchetta di vetro.
(Oppure si pesano 15 g. di caffè in polvere e 15 g. di carbonato di calcio. Si mette il tutto in una beuta
da 250 ml. Si aggiungono 150 ml. di acqua e si scalda ad ebollizione; si lascia bollire dolcemente per
circa 15-20 minuti, agitando di tanto in tanto la soluzione)
Terminato il riscaldamento, si lascia raffreddare la sospensione e si lascia riposare il tutto in modo da
consentire la sedimentazione del solido sul fondo della beuta. Si procede alla filtrazione su carta e si
lava sia la beuta che il filtrato con alcuni ml di acqua fredda.

Il liquido filtrato viene estratto con un imbuto separatore da 500 ml: si versa il filtrato nell’imbuto, si
aggiungono 50 ml di diclorometano (si nota che i due liquidi sono immiscibili e che il solvente
organico forma lo strato inferiore) e, dopo aver tappato l’imbuto, si agita energicamente per qualche
secondo, quindi si aspetta che le due fasi si separino di nuovo. Se l’imbuto separatore viene agitato
troppo violentemente si forma una brutta emulsione; per evitarla, si mescola cautamente il contenuto
agitando per 5 min. con movimento rotatorio. Terminata l’estrazione si raccoglie lo strato inferiore
(soluzione in diclorometano) in una beuta, e si riestrae lo strato acquoso con altri 50 ml di CH 2Cl2. Lo
strato inferiore viene riunito con il primo estratto; gli estratti riuniti si versano in un pallone e vi si
aggiunge il solfato di sodio (Na2SO4, sale disidratante) per allontanare l’acqua eventualmente presente.
Si allontana Na2SO4 per filtrazione su ovatta o filtro a pieghe , mentre il CH 2Cl2 viene eliminato
mediante distillazione sotto vuoto.

DISTILLAZIONE → La distillazione comporta l'evaporazione del materiale (di solito liquido)


mediante riscaldamento e la successiva ricondensazione del vapore a liquido, che si chiama distillato e
viene raccolto in un pallone.
Il residuo rimasto nel pallone, debolmente bruno, contiene la caffeina e impurezze, viene purificato per
sublimazione o cristallizzazione. In forma pura la caffeina si presenta in forma di cristalli bianchi.

ESERCITAZIONE 3

ESTRAZIONE LIQUIDO-LIQUIDO

a. Estrazione dell’olio di oliva con miscela metanolo acqua (3:2)


b. Determinazione spettrofotometrica dei polifenoli totali

Scopo della esercitazione è quello di applicare la estrazione liquido-liquido all’olio di oliva per la
estrazione dei polifenoli totali e loro successiva determinazione spettrofotometrica dopo reazione con
reattivo di Folin-Ciocalteau.

POLIFENOLI
- I polifenoli sono sostanze antiossidanti e, se presenti in elevata concentrazione, costituiscono un
pregio per l’olio. Non sono previsti indici limiti di legge, ma il loro valore dà indicazioni sulla
qualità del prodotto. L’olio extra vergine di oliva è l’unico grasso vegetale che contiene quantità
apprezzabili di sostanze fenoliche oscillanti mediamente tra 60 e 400 mg/kg.
Maggiore è il contenuto di polifenoli nell’olio, migliore è la qualità dell’olio stesso. I polifenoli
servono a preservare olio dall’irrancidimento. I polifenoli sono metaboliti secondari dalle piante che
permettono a queste di difendersi dagli attacchi dei parassiti. Una pianta che cresce in condizioni
climatiche estreme produce un numero maggiore di polifenoli (per difendersi dai raggi uv, dalle
condizioni climatiche avverse e dai parassiti).
- Chimicamente sono composti con uno o più gruppi ossidrilici o fenolici, in grado di reagire con
ossigeno libero e con radicali liberi in modo da ridurne la capacità ossidante, che danneggerebbe, cioè
invecchierebbe, cellule e tessuti.
- I polifenoli sono soggetti a degradazione durante la conservazione sopratutto in presenza di luce,
ma la loro concentrazione assoluta dipende, non solo dal tempo di conservazione, ma soprattutto dalla
cultivar e dal periodo di raccolta, essi infatti si trovano in concentrazione maggiore nelle olive verdi,
ed il loro tenore cala con la maturazione.
- Nell'olio essi svolgono oltre al già citato ruolo di tutela dall'ossidazione, anche un importante ruolo
edonistico. Essi infatti influiscono sul gusto, contribuendo alla nota amara e piccante degli oli freschi.
La loro degradazione porta a consistenti cambiamenti nel gusto, che nel tempo perde le caratteristiche
di fruttato ed amaro per evidenziare la nota di dolce (per la diminuzione del numero di polifenoli).

Polifenoli propri ed esclusivi dell’extravergine di oliva


Tra i più importanti composti fenolici si ricorda l'oleuropeina, dalla spiccata nota amara; i suoi prodotti
di degradazione, quali l'idrossitirosolo, non possiedono sapore amaro, ciò spiega il cambiamento di
sapore nel tempo. Il prodotto di degradazione, l’idrossitirosolo, non ha sapore amaro e quindi
contribuisce a far cambiare il sapore dell’olio nel tempo.

idrossitirosolo
oleuropeina
I polifenoli reagiscono con I radicali liberi riducendoli e convertendosi a loro volta in radicali
perossidici. Questi però vengono bloccati dall’ortodifenolo, che si trasforma in una specie chinonica
inattiva.

ANALISI DEI POLIFENOLI


L'analisi è eseguita mediante la spettrofotometria UV-visibile. Si utilizza il reattivo di Folin-Ciocalteau
(miscela di acido fosfotungstico, H3PW12O40, e acido fosfomolibdico, H3PMo12O40) che in presenza di
composti fenolici si riduce a miscela di ossidi di tungsteno e molibdeno (W 8O23 e Mo8O23); la
colorazione blu sviluppata ha un massimo di assorbimento a 750 nm. Convenzionalmente il risultato
della misura spettrofotometrica si esprime in mg di acido gallico per litro di olio.

Acido gallico

L’acido gallico viene preso come esempio rappresentativo perchè stabile e reperibile in commercio a
basso costo; esso viene utilizzato per eseguire la misura spettrofotometrica e costruire la curva di
taratura.
L’estrazione dei polifenoli dall’olio di oliva viene eseguita attraverso una miscela di metanolo-acqua; I
polifenoli presentano gruppi -OH e quindi si trasferiscono in fase acquosa perchè hanno maggiore
affinità per quest’ultima.

Le estrazioni di olio vengono ripetute con piccoli volumi di soluzione estraente (nel nostro caso 3 volte
con 15 ml di miscela metanolo-acqua)

L’olio è meno denso, quindi si stratifica sopra mentre la soluzione acquosa si stratifica sotto.

Sgoccioliamo la fase acquosa in un imbuto che contiene un filtro: usiamo il filtro perchè delle
goccioline di olio saranno sicuramente presenti nella fase acquosa e per evitare che vengano trasferite
nel matraccio poniamo un imbuto e un filtro (in questo caso usiamo un filtro in fibra di vetro che
permette una filtrazione molto veloce).
ESTRAZIONE LIQUIDO-LIQUIDO

Estrazione Liquido-Liquido (ripartizione in solventi): la separazione si attua per distribuzione dei


componenti della miscela fra due fasi liquide immiscibili.
Nell’ ESTRAZIONE LIQUIDO-LIQUIDO i vari componenti di una miscela si distribuiscono fra due
fasi liquide non miscibili, delle quali normalmente una è l’acqua e l’altra un solvente immiscibile con
l’acqua (denominate fase acquosa e fase organica).
Le sostanze si ripartiscono fra i due solventi immiscibili in funzione delle loro affinità per ciascun
solvente.

Per esempio: immaginiamo di avere una miscela di zucchero in olio vegetale e di voler separare l’olio
dallo zucchero. Le particelle di zucchero non possono essere filtrate perché troppo sottili e perché lo
zucchero è parzialmente solubile in olio.

Se aggiungiamo dell’acqua, riusciremo a separare lo zucchero dall’olio?


Lo zucchero è molto più solubile in acqua che nell’olio e come sappiamo
l’acqua è immiscibile con l’olio.

RISULTATO: si formano due fasi, una acquosa sul fondo della beuta e
quella oleosa sopra perché l’acqua è più densa dell’olio.
Però, se non agitiamo la miscela, lo zucchero è ancora nella fase oleosa.

Agitando bene, aumentiamo il contatto tra le due fasi. Lo zucchero


si trasferisce nella fase in cui è più solubile e cioè quella acquosa.
RISULTATO → Abbiamo estratto lo zucchero da un olio vegetale
con acqua.
In questo esempio :
- l’acqua è il solvente di estrazione.
- la miscela olio-zucchero era la soluzione che doveva essere
estratta.
- lo zucchero è il composto che doveva essere trasferito da una
fase all’altra.

Separando le due fasi abbiamo completato la separazione


di zucchero da un olio vegetale

Estrazione di un soluto
organico con due solventi
tra loro immiscibili
ESTRAZIONE
LIQUIDO-LIQUIDO Estrazione di un soluto
inorganico in campion
acquosi con solvente
organico

L’estrazione di un soluto S da una fase acquosa viene effettuata mettendo a stretto contatto la fase
acquosa con una seconda fase organica immiscibile con la fase acquosa. In queste condizioni si avrà
una distribuzione del soluto S tra le due fasi che, ad una definita temperatura, raggiungerà, in tempi più
o meno rapidi, un equilibrio.

Il soluto inizialmente presente nella fase acquosa, dopo l'estrazione è presente in entrambe le fasi.
L'efficienza di estrazione, cioè la percentuale di soluto che si muove da una fase all'altra, è
determinata da:
 COSTANTE DI EQUILIBRIO DI RIPARTIZIONE del soluto tra le fasi
 DA REAZIONI CHE COINVOLGONO IL SOLUTO:
IL SOLUTO E’ COINVOLTO IN REAZIONI SECONDARIE ES: EQUILIBRI ACIDO-BASE

Costante di equilibrio di ripartizione → La distribuzione del soluto S tra le due fasi ad una definita
temperatura, raggiungerà, in tempi più o meno rapidi, un equilibrio.

L’equilibrio di distribuzione del soluto tra le due fasi è descritto


dal COEFFICIENTE DI RIPARTIZIONE O DISTRIBUZIONE
KD, nota come equazione di ripartizione di Nernst.
[Sorg]
KD =
[Saq]
Sorg = concentrazione del soluto nel solvente organico
Saq = concentrazione del soluto nel solvente acquoso

Un grande valore KD indica che il soluto ha grande affinità per la fase organica.

Maggiore è il valore della Kd, maggiore sarà il trasferimento del soluto dalla fase acquosa alla fase
organico.
Kd si usa quando il soluto si trova nella stessa forma in fase acquosa e in fase organica.
Se Kd =1 significa che ho lo stesso numero di particelle di soluto nel solvente acquoso e nel solvente
organico (stessa concentrazione in entrambe le fasi).

( PRINCIPIO DI RIPARTIZIONE di NERNST → se due liquidi non miscibili A e B vengono posti


ambedue a contatto con una specie S, solubile nella stessa forma molecolare sia in A che in B, la specie
S si ripartisce fra I due liquidi in modo tale che, a temperatura costanye e all’equilibrio, il rapporto
delle concentrazioni di S nei due liquidi abbia un valore costante. Tale valore prende il nome di
coefficiente di ripartizione della specie S fra A e B, calcolabile con la formula:

[SA] / [SB] = KD in cui: [SA] è la concentrazione di S disciolto nel solvente A;


[SB] è la concentrazione di S disciolto nel solvente B. )

QUANDO SI USA IL KD ? QUANDO IL SOLUTO NON E’COINVOLTO IN REAZIONI


SECONDARIE.

Schema di equilibrio di una semplice estrazione


liquido-liquido in cui IL SOLUTO NON è
COINVOLTO in reazioni secondarie.
La ripartizione del soluto dipende solo dalla KD.

KD - LEGGE DI RIPARTIZIONE DI NERNST → E’ una legge limite, valida per soluzioni ideali e
quindi: coppie di solventi perfettamente immiscibili, soluzioni diluite e soluti non dissociati.
Il valore di KD è caratteristico per ciascun sistema. E’ legato alla solubilità del soluto nella coppia di
solventi usati ed è influenzato da:
➢ Temperatura
➢ Equilibri di dissociazione di acidi o basi deboli (influenza notevole del pH)
➢ Forza ionica (presenza di elettroliti: salting-out effect)

Il valore del KD è indipendente dalla quantità totale del soluto.

Se la KD>1 la sostanza è
maggiormente presente nel solvente
estraente.

Anche se aumenta la quantità di soluto


la KD deve rimanere costante.

Coefficiente di ripartizione apparente o RAPPORTO DI DISTRIBUZIONE → Definiamo


rapporto di distribuzione, D, il rapporto della concentrazione totale del soluto in ogni fase.

Il coefficiente di ripartizione apparente si usa se il soluto si trova in forme differenti nel solvente
organico e/o nel solvente acuqoso e tiene conto di tutte le forme in cui si trova il soluto.
Se il soluto non subiscono reazioni secondarie, esso è presente nella stessa forma in entrambe le fasi, il
coefficiente di ripartizione apparente e quello di ripartizione sono uguali.
In un estrazione liquido-liquido senza reazioni secondarie il soluto è presente in un’ unica forma in ogni
fase e il valore del mio coefficiente di ripartizione apparente è uguale al valore del coefficiente di
ripartizione o di distribuzione.
ESTRAZIONE SINGOLA O ESTRAZIONI MULTIPLE?

Bilancio di massa

Moli di soluto Moli di soluto Moli di soluto


presenti in fase presenti in fase presenti in fase
acquosa iniziale acquosa dopo 1 organica dopo 1
estrazione estrazione

Concentrazione di soluto in Volume di


fase acquosa fase acquosa

DOPO UNA SINGOLA ESTRAZIONE

Concentrazione di soluto in
fase organica
Volume di
fase organica

DAL BILANCIO DI MASSA RICAVO LE MOLI IN FASE ORGANICA E SOSTITUISCO IN:


E VADO A SOSTIRUIRE DI NUOVO IN D = KD:

FRAZIONE DI SOLUTO CHE RIMANE IN FASE ACQUOSA:

FRAZIONE DI SOLUTO CHE RIMANE IN FASE ORGANICA:

org

aq

Dimostrazione del calcolo di della frazione (qaq)1 su quaderno.

CON UNA DOPPIA ESTRAZIONE:

L'espressione della frazione di soluto che rimane in fase acquosa è la stessa ottenuta dopo la prima
estrazione.
Si ricava facilmente che dopo n estrazioni la quantità di soluto che rimane in fase acquosa è (Qaq)n.

example: A solute has a KD between water and chloroform of 5.00. Suppose we extract a 50.00-mL
sample of a 0.050 M aqueous solution of the solute with 15.00 mL of chloroform. (a) What is the
separation’s extraction efficiency?
SOLUTO COINVOLTO IN REAZIONI SECONDARIE: EQUILIBRIO ACIDO-BASE

Gli acidi e le basi deboli sottoposti a ripartizione tra due solventi non miscibili partecipano a due
equilibri simultanei :
1) quello di ripartizione della specie neutra tra la fase acquosa e la fase organica
2) quello acido-base che ha luogo esclusivamente nella fase acquosa.
Il primo equilibrio dipende dal coefficiente di ripartizione (KD) del soluto. Il secondo equilibrio dipende
dal pKa del soluto e dal pH della fase acquosa che influenza l'efficienza di estrazione, perché controlla
l'abbondanza relativa di HA in soluzione

A B

SCHEMA DI ESTRAZIONE LIQUIDO-LIQUIDO DELL'ACIDO DEBOLE HA:

A B

L’acido debole in soluzione può subire associazione o dissociazione.

HAaq + H20 → H3O+ + A-

Variando la [H3O+] (quindi il pH) modifichiamo concentrazione di HA o A-. Se abbassiamo il valore di


pH (aumentiamo concentrazione di H3O + ) avrò equilibrio che si sposta verso HA.
Sebbene l'acido debole HA sia solubile in entrambe le fasi, la sua base debole coniugata, A- è solubile
solo nella fase acquosa. In questo caso il rapporto di distribuzione ed il coefficiente di ripartizione non
sono uguali:

INFLUENZA DEL pH SULLA ESTRAZIONE DI ACIDI E BASI → La maggior parte dei soluti di
interesse è costituita da acidi o basi deboli, che in fase acquosa possono essere ionizzati a seconda del
pH del mezzo. Se un soluto ha proprietà acide oppure basiche, a seconda del pH della soluzione
acquosa esso potrà trovarsi in forma deprotonata, neutra o protonata. Normalmente, la presenza di una
carica positiva oppure negativa su una sostanza organica ne aumenta l'idrofilia (affinità per la fase
acquosa), facilitandone la solvatazione in acqua e riducendo al contempo il coefficiente di ripartizione
tra fase organica e fase acquosa. Al contrario, le sostanze neutre rispetto a quelle cariche hanno una
maggiore lipofilia, ossia una maggiore affinità per la fase organica.

SOSTANZE A CARATTERE BASICO

Le sostanze basiche più comuni in chimica organica sono le ammine. Volendo estrarre con acqua le
sostanze a carattere basico come le ammine da un solvente organico come l’etere etilico, si acidifica
l’acqua con acido cloridrico. L’ammina, appena passata nella soluzione acquosa forma il cloridrato
sottraendosi all’equilibrio di ripartizione secondo lo schema:

R-NH2 + H3O+ ⇌ R-NH3+ + H2O

che è spostata molto a destra. R-NH3+ è una forma diversa rispetto a R-NH2 cosicché l’estrazione
procede finché in pratica non esiste più ammina nella soluzione eterea.

SOSTANZE A CARATTERE ACIDO

Un procedimento analogo si usa per le sostanze acide se l’acqua viene alcalinizzata.


In questo caso la reazione è:

R-COOH + OH– ⇌ R-COO– + H2O

Lo ione R-COO– è una forma diversa da R-COOH che quindi viene estratto in maniera completa dalla
soluzione eterea. Il procedimento inverso si usa qualora si voglia portare in soluzione organica
un acido o una base sciolti in soluzione acquosa.

INFLUENZA DEL pH SULLA ESTRAZIONE DI ACIDI E BASI

Sfruttando opportunamente le proprietà acido-base delle sostanza è possibile effettuare separazioni


analitiche di miscele di sostanze ripartendole differenzialmente tra fase organica e fasi acquose a
diverso pH.
Sostanze a carattere acido
Sostanze a carattere basico
possono essere rese solubili
possono essere rese solubili
ina cqua salificandole con
in acqua salificandole con
una base opportuna
un acido opportuno

A QUALE pH EFFETTUARE LA ESTRAZIONE?


Ho due approcci possibili:
- DIAGRAMMA DI DISTRIBUZIONE
- EQUAZIONE DI HENDERSON-HASSELBALCH

DIAGRAMMA DI DISTRIBUZIONE

Un approccio per comprendere l'equilibrio acido-base è la preparazione di un diagramma di


distribuzione. In questi diagrammi si riporta la frazione di dissociazione alfa delle varie specie in
funzione del pH.

FRAZIONE DI DISSOCIAZIONE α → La frazione di dissociazione è data dal rapporto della forma


considerata (acido o base coniugata) rispetto alla concentrazione totale della specie presente (acido +
base coniugata).

CHA = [HA] + [A-] → bilancio di massa


[H3O+] Ka
αHA = αA- =
[H3O+] + Ka [H3O+] + Ka

In queste espressioni le frazioni di dissociazione sono funzione solo della concentrazione di ioni [H 3O+]
e della costante di equilibrio.

La frazione α, della quantità totale di una particolare specie viene plottata sull'asse y rispetto alla
variabile principale, pH, sull'asse x :

pH = pKa
Il punto di incrocio cade a 0.5 per entrambe le frazioni e coincide con il pKa dell’acido (Ka = ~10-5)
Quando abbiamo un acido monoprotico in soluzione acquosa, questo si può presentare in due forme
HA (forma associata) e A- (forma dissociata). Avrò quindi due valori di α: αHA e αA- .
αHA e αA- possono essere determinate anche conoscendo Ka e H3O+
Le curve presenti nel diagramma di distribuzione rappresentano la variazione di αHA e αA- al variare del
pH e ci permettono quindi di determinare la frazione di acido presente in soluzione acquosa sottoforma
di HA o sottoforma di A- in funzione del pH.

I diagrammi di distribuzione permettono di visualizzare la composizione di una soluzione contenente


un acido monoprotico o poliprotico in funzione del pH.
Si può notare che per l’acido monoprotico CH3COOH:
quando pH < pKa-2 domina la specie HA
quando pH > pKa+2 domina la specie A–
Il passaggio da una specie all’altra avviene in un ristretto intervallo di valori attorno a pKa

In che modo stabiliamo il pH a cui l’acido si trova tutto in forma HA o A- ? Facciamo riferimento alla
costante di dissociazione acida Ka.

La costante di dissociazione acida rappresentata dal simbolo Ka, è un valore che misura, a una data
temperatura, il grado di dissociazione di un acido in soluzione. Maggiore è il valore della costante,
maggiore è la tendenza dell'acido a dissociarsi, maggiore è la sua "forza".

[H3O+] [HA]
Da cui: =
Ka [A-]
E di conseguenza: quando [H3O+] = Ka allora anche [HA] = [A-]
E pH = pKa

α è la frazione di acido presente in soluzione acquosa è può assumere valori da 0 a 1. α HA e αA- variano
al variare del pH.

La frazione di acido presente in forma associata (HA) è massima a pH acidi e diminuisce quando il pH
tende a basicità.

La frazione di acido in forma dissociata (A-) è bassa a pH acidi e aumenta fino a diventare massima a
pH basici.

Come associare o dissociare un acido debole?


Se voglio che l’acido rimanga in soluzione acquosa devo aumentare la concentrazione di A- (l’acido
dissociato è polare e si lega all’acqua) quindi devo aumentare il valore di pH e renderlo basico.
Se voglio aumentare la percentuale di acido presente nel solvente organico andrò ad abbassare il pH
portandolo a valori più acidi, aumentando così la concentrazione di HA.
EQUAZIONE DI HENDERSON-HASSELBALCH

Utilizzando l’equazione di Henderson-Hasselbalch possiamo ricavare la percentuale delle specie


ionizzate e non ionizzate a seconda del pH dell’ambiente acquoso.
Con l’equazione ricaviamo la percentuale di acido presente in soluzione acquosa in forma di associata
e dissociata a seconda del pH dell’ambiente acquoso.

Ai valori di pH corrispondenti a pH = pKA ± 2 si ottiene il 99 % di una specie ionizzata o non


ionizzata.

SCHEMA DI ESTRAZIONE LIQUIDO-LIQUIDO DELL'ACIDO DEBOLE HA:

A B

IN QUESTO CASO IL COEFFICIENTE DI RIPARTIZIONE E IL RAPPORTO DI DISTRIBUZIONE


SONO:

[HA]org
KD =
[HA]aq
Poiché la posizione di un equilibrio acido-base dipende dal pH, il rapporto di distribuzione è
dipendente dal pH. Per derivare un'equazione per D che mostra questa dipendenza, cominciamo con la
costante di dissociazione acido per HA.

Risolvere l'equazione per la concentrazione di A-

E sostituendo in D:

Raccogliendo [HAaq] al denominatore, sostituendo [HAorg] con KD * [HAaq] e semplificando si


ottiene la RELAZIONE TRA IL RAPPORTO DI DISTRIBUZIONE D ED IL pH di una soluzione
acquosa.

Quindi D = KD * αHA
La forma associata passa nel solvente organico; quella dissociata in soluzione acquosa.
La la costante di equilibrio e il pH giocano un ruolo fondamentale nel far prevalere una forma rispetto a
un’altra. Quando un acido non è tutto nella forma associata dobbiamo fare uso del D per descrivere la
distribuzione dell’acido in fase acquosa o in fase organica.
La Kd ha un unico valora che ritroviamo tabulato, mentre i valori di D sono diversi in funzione del pH
della soluzione.
Conoscendo il valore numerico di Kd e αHA possiamo consocere il valore di D a qualsiasi valore di pH.

SCELTA DEL SOLVENTE

La scelta del solvente di estrazione per la separazione e la preconcentrazione di un analita dalla


matrice, è dettata da alcune considerazioni:

- Il valore di K deve essere il più alto possibile;


- Il solvente deve estrarre selettivamente la sostanza da desiderare;
- Il solvente deve essere facilmente separato dalla sostanza purificata;
- Il solvente deve essere immiscibile con l’altro solvente in cui la sostanza voluta è disciolta;
- I due solventi devono avere densità diversa perche si abbia una rapida separazione tra le fasi.
solventi immsicibli ma non totoalemtne insolubili uno nell’altro
- importante anche la capacità del solvente → indica la massima concentrazione che il soluto può
raggiungere in quel solvente. Maggiore è la capacità, minore è la quantità di solvente richiesta.

MISCIBILITÀ’ SOLVENTI : Due solventi sono considerati miscibili se i due componenti possono
essere mescolati insieme in tutte le proporzioni senza formare due fasi separate.

DIAGRAMMA DI MISCIBILITÀ DEL SOLVENTE → COSTITUISCE UN AIUTO UTILE PER


DETERMINARE QUALI COPPIE DI SOLVENTI SONO IMMISCIBILI E QUINDI POTREBBERO
ESSERE POTENZIALI PER L'USO NELLA ESTRAZIONE LIQ-LIQ.
DENSITÀ’ → SCELTA DI UN SOLVENTE DI ESTRAZIONE IN BASE ALLA SUA DENSITA’
Solventi che sono più densi dell'acqua formano lo strato inferiore della coppia quando si mescolano,
mentre i solventi meno densi dell'acqua formano lo strato superiore o '' galleggiano '' sull'acqua. Ad
esempio, l'etere etilico ha una densità di 0,7133 g/ml a 20 ° C e costituirebbe la fase superiore quando
combinata con acqua, che ha una densità di 0,9982 g/ml a quella temperatura. La densità del
cloroformio è 1.4892 g/ml a 20 ° C. pertanto, l'acqua formerebbe lo strato superiore in una coppia di
solventi acqua-cloroformio.

Solvente Densità (g/ml)


Etere di petrolio 0.63-0.65
Ligroina 0.67-0.69
Esano 0.69 strato superiore

Etere etilico 0.71


Toluene 0.87
Etile acetato 0.902
Acqua 1.00
Diclorometano 1.34 strato inferiore
Cloroformio 1.50

SOLUBILITÀ’ → Anche se i solventi possono formare due fasi visibilmente distinte quando si
mescolano insieme, essi sono spesso un po' solubili l'uno nell'altro e diventeranno, infatti, saturi
reciprocamente quando si mescolano tra loro. Dovrebbero essere consultati dati sulla solubilità di vari
solventi in acqua (Tabella 2.2) e sulla solubilità dell'acqua in altri solventi (Tabella 2.3) quando si
seleziona una coppia di solventi di estrazione

FATTORE DI SEPARABILITÀ’
• In una situazione ideale, due sostanze si ripartiscono tra le due fasi liquide l’una indipendentemente
dall’altra.
• Nel caso si vogliano separare due sostanze a carattere neutro contenute in una fase acquosa tramite un
processo di estrazione, è necessario che i valori dei coefficienti di ripartizione (K1, K2) siano molto
diversi tra loro. Ad esempio un soluto deve avere afffinità molto grande per il solvente organico, mentre
l’altro deve averla bassa per poterli separare.

β = K1/ K2

Più sono diverse le due K migliore sarà la separazione


• β > 100 separazione soddisfacente (105 SEPARAZIONE COMPLETA)
• β < 100 separazione insoddisfacente
• Se β =1 non è possibile separare le due sostanze tramite una estrazione liquido-liquido.
AGENTI ESSICANTI → Sebbene uno dei criteri nella scelta del solvente è che esso debba essere
immiscibile in acqua, alcuni solventi sono seppur debolmente solubili.
È’ pertanto necessario allontanare impurezze d’acqua dall’estratto al termine del processo, aggiungendo
una sostanza essiccante come ad esempio Na2SO4 o MgSO4
Sebbene uno dei criteri nella scelta del solvente è che esso debba essere
immiscibile in acqua, alcuni solventi sono seppur debolmente solubili.
È pertanto necessario allontanare impurezze d’acqua dall’estratto al termine del processo, aggiungendo
una sostanza essiccante come ad esempio Na2SO4 o MgSO4

TECNICHE DI SEPARAZIONE

A seconda del valore del coefficiente di ripartizione l’estrazione avviene in modo diverso:
- Se K È ELEVATO, l'estrazione si effettua con un procedimento discontinuo che consiste nel trattare la
soluzione o la sospensione da estrarre, due o tre volte, con piccole porzioni di solvente estraente
- Se K È BASSO, si ricorre di solito a processi continui che consentono di evitare I'uso di grandi
quantità di solvente. Se K è basso il soluto ha una scarsa affinità con il solvente estraente e se
utilizzassi l’imbuto sepratore dovrei fare tante estrazioni che mi causerebbero un consumo esagerato di
solvente → quindi utilizzo l’estrazione liquido-liquido in continuo.

KD elevato → PROCESSO DISCONTINUO : Per queste procedure si utilizza un IMBUTO


SEPARATORE

Dopo aver dibattuto in un imbuto separatore una fase acquosa e una fase
organica immiscibile, si attende che le fasi si separino nuovamente.
A seconda della densità del solvente organico rispetto all’acqua, la fase
organica potrà trovarsi nello strato superiore (densità minore dell’acqua,
es. etere etilico, etile acetato) oppure nello strato inferiore (densità
superiore all’acqua, es. dicloro metano, cloroformio).
La forma conica dell’imbuto separatore consente di visualizzare
facilmentel’interfaccia tra le fasi, anche quando le fasi non sono colorate.

Esecuzione pratica dell’estrazione liquido-liquido


- Si caricano all’interno dell’imbuto la fase da estrarre e la fase estraente.
- Si tappa l’imbuto e lo si impugna cercando di tenere fisso tappo e rubinetto.
- Si agita con cautela così che i due liquidi immiscibili si disperdano l’uno nell’altro in piccole gocce
(equilibrio di ripartizione raggiunto più velocemente).
- Sfiatare aprendo il rubinetto l’eventuale sovrapressione ed agitare ancora.
- Riporre l’imbuto in posizione verticale, togliere il tappo, aspettare che le due fasi si dividano e
procedere con la loro separazione.

POSSIBILI INCONVENIENTI:
- Difficoltà nell’identificare con esattezza l’interfaccia fra le due fasi (miscela troppo scura oppure
troppo chiara).
- Non si ottengono le due fasi aspettate.
- Formazione di emulsioni → l’emulsione è la sospensione colloidale di un liquido in un altro, sotto
forma di minutissime goccioline, cosicchè non è possibile separarli.
Come si elimina una emulsione?
1) Non agitare troppo violentemente (previene l’instaurarsi di un’emulsione)
2) Lasciare riposare a lungo (lento e poco efficace)
3) Aggiungere elettroliti (sali) alla fase acquosa
4) Aggiunta di alcoli (pochi mL) alla fase acquosa

K basso → Estrattori liquido-liquido in continuo

In questo tipo di estrazione, si adopera un apparecchio di vetro che fa in modo che la soluzione venga
ripetutamente a contatto con porzioni fresche di solvente (sistema chiuso come il soxhlet).
Considerando il caso in cui le sostanze da estrarre sono contenute in acqua. Si possono verificare due
casi:
1- Estrazione liquido/liquido in continuo con un solvente più denso dell’acqua
2- Estrazione liquido/liquido in continuo con un solvente meno denso dell’acqua

IL SOLVENTE IMPIEGATO PER ETRARRE IN CONTINUO E’ PIU’ DENSO DELL’ ACQUA

Si scalda il solvente estraente attraverso una piastra


riscaldante. I vapori salgono verso l’alto e, una volta
condensati nel refrigerante, ricadono per gravità
attraversando sottoforma di goccioline la fase
acquosa, estraendo le sostanze in essa contenute.
Il solvente estraente si raccoglie nel cilindro fino a
quando, raggiunto un opportuno volume, trabocca
attraverso un tubicino laterale nel pallone di raccolta,
dove ricomincia il ciclo.
IL SOLVENTE IMPIEGATO PER ETRARRE IN CONTINUO E’ MENO DENSO DELL’
ACQUA

Si scalda il solvente estraente e i vapori, una volta


condensati nel refrigerante, ricadono per gravità
attraversando un tubicino di vetro, nel fondo del
cilindro che contiene la soluzione da estrarre.
Quindi, ridotti in minutissime goccioline tramite un
disco di vetro spugnoso, risalgono in superficie
estraendo le sostanze dalla fase acquosa. Raggiunto
un opportuno volume, il solvente estraente trabocca
nel pallone di raccolta, dove ricomincia il ciclo.

Sia all’interno del Soxhlet che in questi estrattori liquido-liquido in continuo avvengono due processi→
estrazione liquido-liquido e distillazione.

SVANTAGGI dell’estrazione Liq-Liq


- Uso di solventi tossici, in particolare solventi clorurati e benzene.
- Problemi legati tanto all’esposizione degli operatori, quanto allo smaltimento
- Tempi d’analisi piuttosto lunghi
- Solventi a volte incompatibili con gli strumenti necessari alla quantificazione dell’analita.

APPLICAZIONE DELLA ESTRAZIONE LIQUIDO-LIQUIDO IN CAMPO ALIMENTARE


Anche nell'industria alimentare si hanno notevoli applicazioni: molto comune è la estrazione con
solvente di oli e grassi. Spesso, anche in questo settore industriale, si ricorre all'estrazione per la
possibilità di operare a bassa temperatura avendo a che fare con soluti termolabili.
ESTRAZIONE LIQUIDO -LIQUIDO NELLA ANALISI DELL’OLIO DI OLIVA → SEPARAZIONE
DELLA FRAZIONE SAPONIFICABILE DALLA INSAPONIFICABILE
Dall’olio per trattamento a caldo con una base forte concentrata (NaOH o KOH), seguito da una
estrazione con etere, si ottengono due frazioni: frazione eterea (INSAPONIFICABILE) e frazione
acquosa (SAPONIFICABILE).
Con il trattamento a caldo liberiamo gli acidi grassi che vengono salificati da KOH o NaOH e li
ritroviamo quindi in fase acquosa poichè sono solubili in essa, mentre la frazione insaponificabile si
trasferisce nell’etere etilico.

DETERMINAZIONE DEI POLIFENOLI TOTALI NELL’OLIO DI OLIVA → I polifenoli sono


composti della chimica aromatica con terminali ossidrilici, simili agli alcoli più semplici, in grado di
attrarre atomi di ossigeno e fare con essi una reazione di ossido-riduzione, in modo da ridurre la
capacità ossidante di questo ossigeno libero, o potenzialmente libero, che danneggerebbe, cioè
invecchierebbe, cellule e tessuti.
L'analisi è eseguita con lo spettrofotometro UV previa estrazione dall’olio con una miscela metanolo
acqua (3:2).

ESERCITAZIONE N. 4

DETERMINAZIONE ACIDITA’ LIBERA DELL’ OLIO DI OLIVA

Determinazione dell’acidità libera di un olio di oliva per titolazione con soluzione standard di KOH.
Lo scopo della esercitazione è quello della determinazione della acidità libera di un olio di oliva
ottenuto per spremitura che ne permetta la classificazione merceologica.
I trigliceridi vanno a costituire la frazione saponificabile dell’olio. I trigliceridi sono esteri del
glicerolo con acidi carbossilici a lunga catena sia saturi che insaturi.
Gli esteri si ottengono per reazione fra un acido carbossilico e alcol ad alta temperatura.
ACIDI GRASSI NELL’OLIO DI OLIVA → GLI ACIDI GRASSI SONO CLASSIFICATI IN BASE
ALLA STRUTTURA DELLA CATENA IDROCARBURICA in:
SATURI - senza doppi legami catena satura in H, completamente ridotta
MONOINSATURI - un doppio legame
POLINSATURI - almeno due doppi legami

Acidi grassi saturi


acido laurico : CH3 – (CH2)10 - COOH,
acido palmitico : CH3 – (CH2)14 – COOH
acido stearico : CH3 – (CH2)16 – COOH

Acidi grassi mono e polinsaturi


acido oleico : CH3 – (CH2)7 – CH = CH – (CH2)7 – COOH
acido linoleico : CH3 – (CH2)4 – CH = CH – CH2 - CH = CH – (CH2)7 - COOH
acido linolenico : CH3 – CH2 – CH = CH – CH2 – CH = CH – CH2 – CH = CH - (CH2)7 - COOH

L’ acido grasso viene identificato da due numeri che indicano il numero di atomi di carbonio ed il
numero dei doppi legami, separati dal simbolo : .
La posizione doppio legame viene indicata con il simbolo Δ (delta maiuscolo) seguito dai numeri
soprascritti. Per esempio l’acido oleico è indicato con C18:1cΔ9

- c corrisponde a cis; t corrisponde a trans

CARATTERISTICHE DEGLI ACIDI GRASSI NATURALI →


A = numero pari di atomi di carbonio (C14, C16, C18… ). Derivano tutti dall’acido acetico (C2) quindi
un numero dispari di atomi di carbonio è indice di sofisticazione;
B = doppi legami non coniugati nei polinsaturi; es: R-CH=CH-CH 2-CH=CH-R'; la presenza di legami
coniugati è indice di processo di rettifica (deacidificazione, decolorazione, deodorazione...).
C = isomeria CIS e non TRANS al doppio legame; in particolare, la presenza nell’olio di oliva
dell’acido elaidinico (isomero geometrico dell’acido oleico) è indice di trattamenti con solventi.
L’acido oleico è il più abbondante acido
grasso presente sia nei grassi animali
che vegetali.
ISOMERIA CIS → Il legame cis, a
differenza del legame trans, genera un
angolo rigido nella catena idrocarburica.

D = gli acidi grassi insaturi occupano di preferenza la posizione 2 della molecola di glicerolo. La
presenza di saturi in posizione 2 è indice di taglio con prodotti sintetici.

In particolare, la posizione degli acidi grassi nel glicerolo rispettano le seguenti regole:
-Palmitico e stearico normalmente in posizione 1,3;
-Gli acidi da C 20 in su si trovano esclusivamente in 1,3;
-Oleico e linoleico prevalentemente in 2;
-Linolenico variabile;
-Negli oli sintetici la distribuzione è casuale.

Gli acidi grassi si trovano soprattutto nella forma di trigliceridi; tra i trigliceridi le molecole: OOO,
POO, OLO, LOO; PLO; SOO; POP rappresentano circa il 90% del totale. Fra i gliceridi parziali i
1,2-digliceridi sono circa il 2-3% e I monogliceridi circa 0.1-0.2 %.
OOO = glicerolo esterificato con tre molecole di acido oleico.
POO = glicerolo esterificato con due molecole di acido oleico in posizione 2 e 3 e una di acido
palmitico in posizione 1.
OLO = glicerolo esterificato con due molecole di acido oleico in posizione 1 e 3 e una di acido
linoleico in posizione 2.
LOO = glicerolo esterificato con due molecole di acido oleico in posizione 2 e 3 e una di acido
linoleico in posizione 1.
PLO = glicerolo esterificato con una molecola di acido oleico in posizione 3, una di acido linoleico in
posizione 2 e una di acido palmitico in posizione 1.
SOO = glicerolo esterificato con due molecole di acido oleico in posizione 2 e 3 e una di acido stearico
in posizione 1.
POP = glicerolo esterificato con una molecola di acido oleico in posizione 2 e due di acido palmitico in
posizione 1 e 3.

Schema delle diverse forme che possono assumere gli acidi grassi
ACIDI GRASSI LIBERI → L'olio dal momento della fuoriuscita dal vacuolo della cellula oleifera va
incontro a fenomeni di lipolisi sia di tipo enzimatico che chimico. Questa alterazione porta come
conseguenza l'aumento della acidità libera, parametro fondamentale su cui si basa la classificazione
dell'olio nelle diverse categorie.

Acidità libera → Gli acidi liberi si riscontrano soltanto dopo l'estrazione dell'olio dal frutto, poiché
all'interno del frutto sono neutri. Essi derivano come prodotto di alcune reazioni innescate da enzimi
lipolitici, durante la maturazione del frutto o a causa di una cattiva conservazione del frutto. Proprio per
questo motivo l'analisi dell'acidità viene considerata come parametro per stabilire la qualità di un olio
di oliva. Dal punto di vista analitico si tratta di una titolazione acido-base effettuata in soluzione
organica con idrossido di potassio come titolante e fenolftaleina come indicatore. Convenzionalmente,
l’acidità è espressa come percentuale di acido oleico anche se è dovuta a numerosi composti.
La reazione di neutralizzazione che avviene, riferita all'acido oleico può essere così schematizzata:

CH3 –(CH2)7 -CH=CH–(CH2)7-COOH + KOH → CH3–(CH2)7 -CH=CH-(CH2)7-COOK + H2O .

Valori massimi di acidità (% di acido oleico) consentiti per le diverse classi di olio

CLASSIFICAZIONE DEGLI OLI (reg CE 1513/2001)

Oli d’oliva vergini: ottenuti dal frutto dell'olivo soltanto mediante processi meccanici o altri processi
fisici, in condizioni che non causano alterazioni dell'olio, e che non hanno subito alcun trattamento
diverso dal lavaggio, dalla decantazione, dalla centrifugazione e dalla filtrazione, esclusi gli oli
ottenuti mediante solvente o con coadiuvanti ad azione chimica o biochimica o con processi di
riesterificazione e qualsiasi miscela con oli di altra natura.
Essi sono soggetto della classificazione e delle denominazioni seguenti:
- Olio extra vergine di oliva, con acidità libera massima 0.8 %
- Olio di oliva vergine, con acidità libera massima 2.0 %
- Olio di oliva lampante, con acidità libera superiore al 2.0 % → Non può essere utilizzato per il
consumo diretto, ma deve essere avviato ad un processo di rettifica che ne corregga l'acidità ed il gusto.

Non sono oli di oliva vergini gli oli derivanti dall’olio vergine lampante:
- olio di oliva raffinato (olio di oliva ottenuto per raffinazione dell’olio di oliva vergine, la cui acidità
libera, espressa in acido oleico non supera gli 0,3 g per 100 g di olio).
- olio di oliva (olio di oliva ottenuto dal taglio dell’olio di oliva raffinato con olio di oliva vergine
diverso dal lampante, la cui acidità libera, espressa in acido oleico non supera gli 1,0 g per 100 g di
olio).

Non sono oli di oliva vergini gli oli di sansa:


- olio di sansa di oliva greggio (olio ottenuto dalla sansa di oliva mediante trattamento con solvente).
- olio di sansa di oliva raffinato (olio ottenuto dalla raffinazione dell’olio di sansa greggio la cui acidità
libera, espressa in acido oleico non supera gli 0,3 g per 100 g di olio).
- olio di sansa di oliva (olio ottenuto dal taglio di olio di sansa di oliva con olio di oliva vergine diverso
dal lampante, la cui acidità libera, espressa in acido oleico non supera gli 1,0 g per 100 g di olio).

(Sansa → sottoprodotto del processo di estrazione dell’olio di oliva composto dalle buccette, dai
residui della polpa e dai frammenti di nocciolino)

Gli oli estratti con solvente dalle sanse presentano modificazioni indotte da più fattori: fermentazioni di
natura enzimatica a carico della sansa umida durante lo stoccaggio, processi ossidativi in fase di
essiccazione delle sanse, modificazioni indotte dal solvente impiegato per l’estrazione.

Oli di oliva Olio extravergine di oliva Direttamente commestibile


vergini, estratti
con mezzi Olio di oliva vergine Direttamente commestibile
meccanici
Olio di oliva vergine corrente Olio di oliva commestibile non
commercializzabile al dettaglio

Olio di oliva lampante Destinato alla raffinazione


Oli raffinati, Olio di oliva raffinato Non commercializzabile al dettaglio
ottenuti da oli
vergini lampanti Olio di oliva Miscela di olio raffinato e olio vergine o
extravergine
Oli estratti con Olio di sansa di oliva grezzo Olio estratto con solvente, tal quale non
solventi dalle direttamente commestibile
sanse di oliva
Olio di sansa di oliva raffinato Olio derivante dal sansa grezzo, sottoposto a
raffinazione. Non commercializzabile al dettaglio

Olio di sansa di oliva Miscela di olio di sansa raffinato e di olio vergine


Acidi grassi SATURI E INSATURI negli OLI DI SEMI → Come tutti i grassi, gli oli vegetali sono
esteri di glicerina (glicerolo) con una diversa miscela di acidi grassi, non sono idrosolubili ma sono
solubili in solventi organici.
Le differenze tra i vari tipi di oli vegetali (ricavati soprattutto dai semi e quindi chiamati anche oli di
semi) riguarda principalmente la composizione in acidi grassi.
La maggior parte degli oli vegetali contengono in prevalenza grassi monoinsaturi (un solo doppio
legame nella catena di atomi di carbonio) e polinsaturi (più doppi legami), e pochi grassi saturi; fanno
eccezione gli “oli tropicali” che invece contengono una grossa percentuale di grassi saturi.

Tipo di olio % ac. grassi % ac. oleico % ac. linoleico % ac. linolenico
saturi
Olio di arachide 15 55-73 25-30 0.2
Olio di girasole 7.5 34 55-60 0.5
Olio di mais 31.3 20.7 47.2 0.0
Olio di vinaccioli 10 18 70 0.5

Applicazione delle titolazioni acido base:Titolazione di acido debole -base forte.

Standardizzazione di una soluzione di una base forte: NaOH o KOH

Nell’alcalimetria si determina mediante una soluzione basica a titolo noto, l’acidità contenuta nel
campione incognito.
La base comunemente impiegata è una base forte (NaOHo KOH ) e, dato che non possiede i requisiti di
sostanza madre, si prepara in concentrazione approssimata che viene poi standardizzata con ftalato
acido di potassio (indicatore fenolftaleina).
- Ftalato acido di potassio (KHC8H4O4): esiste in commercio con purezza al 99.97% e può essere
ulteriormente purificato per cristallizzazione in acqua (i cristalli si seccano in stufa a 120°C).

Reazione: HC8H4O4- + OH- → C8H4O42-+ H2O

KHC8H4O4 (PM = PE 204,22)


Come preparare una soluzione titolo noto con una sostanza che non è uno standard primario in
pratica:
1- Prelevare una quantità di sostanza vicina a quella teorica (con bilancia tecnica o cilindro)
2- Sciogliere il soluto e portare a volume (non è necessario che il volume sia esatto)
3- Accertarsi che la soluzione sia omogenea
5- Titolare con la soluzione preparata lo standard primario esattamente pesato (standardizzazione).

La soluzione ottenuta è una Soluzione standard secondaria.

Procedimento standardizzazione di KOH (NaOH):


1. Pesare alla bilancia analitica lo standard primario (ftalato acido di potassio), in un range compreso
fra 350 e 430 mg (la massa deve essere nota alla quarta cifra decimale).
2. avvinare una buretta da 25 mL, pulita , con circa 5-10 mL di KOH da standardizzare, riempirla e
azzerarla (attenzione alle bolle nel beccuccio);
3. aggiungere due gocce di fenolftaleina alla soluzione di ftalato (la soluzione è incolore) e titolare con
la KOH sotto agitazione (lavare periodicamente le pareti della beuta, usando la spruzzetta, per portare
in soluzione eventuali goccioline di reattivo schizzate di esse) fino a che il colore della soluzione vira al
rosa ciclamino;
4. per una più sicura identificazione del colore dell'indicatore durante la titolazione, appoggiare la beuta
su di un foglio di carta da filtro;
5. leggere il volume al punto di arresto a due cifre decimali (VNaOH, mL);
6. ripetere la titolazione per almeno tre volte;

Per il controllo del titolo è necessario usare una quantità di reattivo (sostanza madre o soluzione a
concentrazione nota) tale da reagire con un volume di soluzione da titolare inferiore al contenuto di una
buretta. D'altra parte questo volume non deve essere troppo piccolo (ad es. inferiore a 10 ml) altrimenti
è più sensibile l'errore relativo alla lettura della buretta.

Determinazione Acidità dell’olio di oliva

Scopo
La determinazione dell’acidità nell’olio di oliva evidenzia lo stato di conservazione dell’olio.
Campioni di sostanze a disposizione
Oli di oliva diversi
Reattivi:
Soluzione di KOH o NaOH 1/10 N
Solvente: miscela di alcool a 95° ed etere (1-3 V/V)
Indicatore fenolftaleina sol. etanolica 1%.
Procedura:
- SOTTO CAPPA Preparare 100 ml di soluzione alcool- etere (1:3) in un cilindro da 100 ml e versarli
in una beuta da 250 ml. Neutralizzare con una soluzione di KOH 0.1 M in presenza di fenolftaleina.
- Disciogliere 10 grammi di olio in 80 ml di una miscela di etanolo:etere etilico neutralizzata in
precedenza. Quando l’olio è tutto sciolto, titolare con idrossido di potassio 0,1 M fino a che il colore
rosa persiste per almeno 15 secondi.
Elaborazione dati
Calcolare l’acidità, come % di acido oleico libero (MM 282), utilizzando la seguente formula:
% acido oleico = V * N * 282 *100/ grammi pesati* 1000 = V * N * 28,2/grammi pesati
MM acido oleico = 282 g/mol
V= volume in ml di KOH
N= normalità di KOH

ESERCITAZIONE N.5

ANALISI UV OLIO DI OLIVA

L’ acidità libera dell’olio di oliva dipende dalla presenza di acidi grassi liberi che si liberano in seguito
alla lipolisi da parte degli enzimi lipolitici presenti sulla buccia della drupa; questi enzimi vanno a
scindere i legami estere dei trigliceridi.

Determinazione della assorbività molare specifica dell’olio di oliva alle lunghezze d’onda 232 nm e
270 nm
Scopo della esercitazione è quello di mettere in evidenza la presenza di oli rettificati.

Legge di Lambert-Beer → A = εbC


A = Assorbanza = Log (Io /I)
I = Intensità di emissione di una sorgente
ε = assorbività molare o coefficiente di estinzione molare, l’assorbanza di una soluzione 1 M
b = cammino ottico
C = concentrazione della sostanza che assorbe la luce

Spettrofotometro UV-visibile Uno strumento che effettua analisi con tecniche spettroscopiche si
chiama genericamente spettrofotometro ed è composto dalle seguenti parti:
Sorgente di emissione → Comparto del campione → Monocromatore → Rivelatore al PC
Il monocromatore è un sistema che permette di selezionare o filtrare le λ che arrivano dopo il campione

Spettro di assorbimento Il campione è irraggiato con un intervallo più o meno ampio di λ; le λ


assorbite, aventi energia sufficiente a promuovere transizioni elettroniche, corrispondono ai gruppi
funzionali delle molecole. La risposta è visibile sotto forma di spettro di assorbimento.

L'esame UV viene condotto sull'olio disciolto in opportuno solvente nell'intervallo compreso tra 220 e
280 nm. Le lunghezze d'onda più significative sono 232, 262, 268 e 274 nm.

Il metodo ufficiale dei Regolamenti della CEE prevede la


1. determinazione dell'estinzione specifica K alle lunghezze d'onda di 232 e 270 nm :

K λ = A λ / (c x b)

Dove:
A rappresenta l’assorbanza alla lunghezza d’onda λ ,
C è la concentrazione della soluzione (gr/100 ml di solvente)
b è la lunghezza del cammino ottico (1 cm).

2. determinazione del paramentro ∆K inteso come: ∆ K = K268 - [(K262 + K274) / 2]


∆ K → Il ∆K si ottiene sottraendo all’assorbanza a 268 nm la semi assorbanza delle assorbanze a 262 e
274 nm. Come si vede dalla figura a destra, il ∆K rappresenta l’altezza del picco a 268 nm. Se il ∆K è
inferiore a 0,01, ossia il picco a 268 è nullo o irrilevante (curva C della figura a sinistra) si può
affermare che l’olio esaminato è un olio vergine di oliva.
L’analisi UV può fornire indicazioni sullo stato di conservazione degli oli e sulla eventuale
presenza di oli raffinati.

Negli oli di oliva vergini ed in buon stato di conservazione, sono presenti soltanto doppi legami isolati,
e sistemi di due o tre doppi legami non coniugati, relativi agli acidi oleico (un doppio legame in
posizione 9), linoleico (2 doppi legami in posizione 9, 12) e linolenico (3 doppi legami in posizione
9,12,15). In genere, i doppi legami degli acidi insaturi presenti nelle sostanze grasse di origine naturale
manifestano un generico assorbimento intorno a 210 nm fino a 300 nm dovuta alle transizioni π → π *
dei cromofori etilenici isolati ed alle transizioni n → π * dei cromofori carbonilici.

EFFETTI DELLA RETTIFICA E DELL’OSSIDAZIONE


RETTIFICA → Durante i processi industriali di rettificazione di oli lampanti e di sansa si formano
doppi e tripli legami coniugati che manifestano assorbimento caratteristico: intorno a 230 nm i sistemi
dienici (-C=C-C=C-) e intorno a 270 I sistemi trienici (-C=C-C=C-C=C-). Ad esempio la soda
impiegata per deacidificare l'olio agisce sulla struttura dell'acido grasso, provocando lo slittamento dei
doppi legami.
Nella decolorazione su terre attive si ha la formazione di trieni coniugati .Ne consegue che i rettificati
presentano valori di assorbimento nell'UV, particolarmente nella zona intorno ai 270 nm, notevolmente
superiori a quelli dei vergini.
OSSIDAZIONE → Durante l'ossidazione di un olio vergine la formazione di idroperossidi in
acidi grassi polinsaturi provoca uno slittamento del doppio legame con formazione di un sistema
dienico coniugato che assorbe a 232 nm. Inoltre, durante la rettifica degli oli lampanti perossidati, il
passaggio su terre attive provoca la formazione di trieni coniugati (aventi una banda di assorbimento,
con tre massimi, intorno ai 270 nm) verosimilmente per decomposizione di un idroperossido linoleico.
per ossidazione ancora più spinta, anche la formazione di composti chetonici, provoca un maggiore
assorbimento che si manifesta attorno ai 270 nm.

Ne consegue che gli oli rettificati presentano valori di assorbimento nell'UV differenti dai valori tipici
di assorbimento dell’olio vergine:

Massimi di assorbimento 175-210 nm tipico dei doppi legami isolati → OLIO NON MANIPOLATO

Massimo assorbimento a 232 nm tipico di due doppi legami coniugati e di prodotti di ossidazione
secondaria → OLIO RETTIFICATO O OSSIDATO

Massimo assorbimento a 270 nm tipico di tre doppi legami coniugati e di prodotti di ossidazione →
OLIO RETTIFICATO O OSSIDATO

La presenza di prodotti di ossidazione può simulare un processo di rettifica: se la misura viene


eseguita su oli notevolmente ossidati, si può addirittura giungere a giudicare “raffinato” un olio
vergine.
La sovrapposizione dei due aspetti rende necessario, nei casi di non conformità (un olio di oliva che
presenta un numero dì perossidi maggiore di 20 o un valore di K270 maggiore di 0,25), la ripetizione
della misura sul campione purificato dalla componente glicerica ossidata.
Se si vuole eliminare, prima di eseguire lo spettro, questi composti, si può effettuare un passaggio su
allumina. Il processo è praticamente una cromatografia preparativa su colonna, dove si utilizza come
fase fissa l’allumina e come fase mobile il n-esano. E’ importante notare che il seguente trattamento
non altera la configurazione dei doppi legami.
Procedura
L 'olio da esaminare deve essere perfettamente limpido; in caso contrario si filtra su carta. In un
palloncino tarato da 25 ml si pesano esattamente 0,25 g circa di olio.
Si aggiunge isoottano spettrofotometricamente puro e si porta a volume, agitando per omogeneizzare la
soluzione con la quale si riempie una vaschetta prismatica in quarzo per spettrofotometria UV dello
spessore di 1 cm. Si dispone la vaschetta nell'apposito alloggiamento dello spettrofotometro e si ricava
lo spettro, rispetto al solvente puro con il quale è stata riempita una vaschetta che funziona da bianco,
nell'intervallo compreso tra i 220 e i 280 nm. Si prende nota dei valori di assorbanza.

L'esame spettrofotometrico dell'olio di oliva secondo il metodo ufficiale dei Regolamentidella CEE
prevede anche la determinazione delta ∆K inteso come:
∆K= Km – (Km-4 + Km+4)/2
Km= l'estinzione specifica alla lunghezza d'onda m, lunghezza d'onda di massimo assorbimento intorno
a 270nm.
I parametri di K e ∆K sono parametri significativi, utili alla classificazione merceologica degli oli di oliva

IRRANCIDIMENTO OSSIDATIVO → La irrancidimento ossidativo porta alla formazione di


perossidi, dipende da una serie di fattori e può avvenire in due momenti diversi:
- in fase di raccolta, stoccaggio e lavorazione delle olive (olio fresco)
- nel corso della conservazione dell’olio (olio conservato)
L' irrancidimento ossidativo o autossidazione è un’alterazione di tipo ossidativo, sinonimo di
degradazione ed invecchiamento.

PEROSSIDI NELL’OLIO FRESCO → I perossidi, nell’olio fresco si formano ad opera di alcuni


enzimi specifici presenti nel frutto, le lipossidasi, che vanno a ossidare gli acidi grassi, in tutte quelle
situazioni in cui lesioni cellulari permettono il contatto tra l’enzima e l’olio.
La lipossidasi è in grado di legare chimicamente l’ossigeno dell’aria agli acidi grassi insaturi dei
trigliceridi. Tale reazione prende il nome di OSSIDAZIONE ENZIMATICA.

PEROSSIDI NELL’OLIO CONSERVATO → Anche durante la conservazione dell’olio, la semplice


presenza dell’ossigeno può attivare l’ossidazione chimica (che non necessita dell’azione di enzimi) a
carico degli acidi grassi, con conseguente formazione di idroperossidi, secondo un meccanismo che
prevede la formazione di radicali liberi. La reazione, una volta avviata, procede a catena ed è
irreversibile.

Diversi sono i fattori che favoriscono la serie di reazioni che caratterizzano l‘autossidazione:
- presenza di ossigeno
- presenza di metalli che agiscono da catalizzatori (principalmente rame e ferro)
- luce solare (radiazioni ultraviolette)
- calore
- numerosi doppi legami nella catena degli acidi grassi
- presenza di radicali liberi

In presenza di luce la clorofilla ha effetto dannoso sugli acidi grassi, poiché portano l’ossigeno allo
stato di massima reattività, pronto a scatenare fenomeni ossidativi. In assenza di luce tale azione è
inibita e i pigmenti suddetti lavorano in sinergia con le sostanze polifenoliche al fine di bloccare i
fenomeni ossidativi.

L’ irrancidimento ossidativo è un processo radicalico (che coinvolge cioè molecole che contengono
elettroni spaiati) che avviene in tre fasi:

1) Iniziazione o introduzione
2) Propagazione
3) Terminazione

1) Iniziazione o introduzione
Durante la fase di introduzione da un acido grasso insaturo si forma un radicale per estrazione di un
atomo di idrogeno legato ad un atomo di carbonio adiacente a quelli impegnati nel doppio legame:

2) Propagazione
Durante la fase di propagazione il radicale libero addiziona ossigeno formando un radicale perossidico.
Questo radicale può reagire con un altra molecola di acido grasso insaturo formando un idroperossido,
ma generando contemporaneamente un altro radicale libero che può reagire con ossigeno, innescando
una reazione radicalica a catena.

3) Terminazione
La reazione a catena ha termine quando si incontrano due radicali. Nel caso di acidi grassi polinsaturi,
l‘autossidazione avverrà con più facilità perché più numerosi sono i Carboni in posizion allilica. Per
esempio nel caso dell‘acido linoleico I siti reattivi sono 4.

Formazione di chetoni → I perossidi sono inodori e insapori, per cui non percepibili a livello
organolettico ma, essendo molto instabili, si decompongono facilmente dando luogo alla formazione di
aldeidi e chetoni, responsabili del difetto di rancido (prodotti dell’ossidazione secondaria). Quindi è
necessario accompagnare l’analisi dei perossidi con l’esame spettrofotometrico e con il saggio
organolettico.

AZIONE DEGLI ANTIOSSIDANTI → Gli antiossidanti (AnOH) inibiscono l‘ossidazione reagendo


con i radicali liberi (funzionando come trappole per radicali). Antiossidanti naturali sono i tocoferoli e i
polifenoli (come oleuropeina e idrossitirosolo). I tocoferoli agiscono a livello dei radicali liberi nella
fase di propagazione dell‘autossidazione primaria, bloccando la produzione a catena di ulteriori
radicali.

ESTRAZIONE IN FASE SOLIDA (SPE - Solid Phase Extraction)

Per la maggior parte, le sostanze tossiche o potenzialmente pericolose presenti nell’ambiente o negli
alimenti sono state studiate ed analizzate, per cercare di caratterizzarne il comportamento e/o ridurne la
concentrazione a livello ambientale.
È da tener presente che, in una determinazione quantitativa, il problema di queste sostanze è la loro
bassissima concentrazione, infatti si parla molto spesso di ppm, ppb o addirittura ppt: concentrazioni
molto piccole anche per strumenti attuali molto costosi. Nasce, quindi, l’esigenza di preconcentrare
queste sostanze in modo da renderle determinabili anche con strumenti poco costosi o presenti nella
maggior parte dei laboratori.

La estrazione in fase solida è una tecnica disponibile, molto popolare, per la preparazione del
campione.
SPE può fornire campioni, in soluzione, liberi da componenti interferenti della matrice e concentrati
sufficientemente per il rilevamento.
Il principio di SPE è simile a quella di estrazione liquido-liquido (LLE), che coinvolge una ripartizione
dei soluti tra due fasi. Invece di due fasi liquide immiscibili, come in LLE, SPE comporta
partizionamento tra un liquido (matrice del campione o del solvente con analiti) e una fase solida
(assorbente).
Le procedure di ricerca di nuovi tipi di materiali assorbenti , dalla fine degli anni 1960 fino agli inizi
degli anni 1980 hanno permesso lo sviluppo della metodologia SPE , che si identifica nella tecnica di
separazione più ampiamente usata, che ha segnato una svolta nei metodi di preconcentrazione e
arricchimento.

L’estrazione in fase solida è vantaggiosa perchè ci permette di preparare il campione prima di


analizzarlo, quando abbiamo l’esigenza di preconcentrare. Questo talvolta è necessario perchè alcune
sostanze (come ad es. I pesticidi negli alimenti) sono presenti in bassissime concentrazioni e gli
strumenti da laboratorio spesso presentano limiti di rivelabilità.

La SPE è una TECNICA DI ESTRAZIONE DI ANALITI DA MATRICI COMPLESSE che


PERMETTE:
• ESTRAZIONE
• PURIFICAZIONE
• CONCENTRAZIONE
PRIMA DELLA LORO QUANTIFICAZIONE

La estrazione in fase solida è ottenuta attraverso l'interazione di tre


componenti: l'adsorbente, l'analita e il solvente.

La tradizionale SPE utilizza colonnine o cartucce in polipropilene delle dimensioni


circa di una siringa da 5 ml, contenenti un materiale adsorbente (fase solida).

La fase solida viene in contatto diretto con la fase liquida e con i soluti in essa
contenuti, in modo che i diversi composti in esso presenti possano interagire con la
superficie adsorbente ed essere trattenuti o meno a seconda della loro capacità di
stabilire interazioni.

Una tipica estrazione in fase solida può essere suddivisa in quattro passaggi:

Passaggio del
Attivazione del Lavaggio per Desorbimento
campione contenente
materiale eliminare le specie (eluizione) degli
gli analiti di interesse
assorbente (la indesiderate analiti trattenuti
sulla colonnina con
fase solida viene con un solvente
trattenimento
bagnata con un opportuno
selettivo degli analiti
opportuna fase
e di eventuali
liquida)
interferenti
Se si desidera eliminare gli interferenti, anzichè trattenere gli analiti, è sufficiente usare una fase solida
con affinità per i composti che si vuole eliminare dal campione.

L’estrazione per adsorbimento è un processo fisico tra una fase solida e una fase liquida in cui la fase
solida ha una affinità maggiore per il composto da isolare rispetto al solvente in cui lo stesso
composto è sciolto.
Quando il campione passa attraverso la fase solida gli analiti di interesse vengono concentrati sulla
superficie del materiale adsorbente mentre gli altri composti presenti nel campione eluiscono senza
interagire. Il risultato è la purificazione e la concentrazione delle sostanze isolate dal materiale
adsorbente. Ciò può essere ottenuto grazie ad interazioni specifiche tra i gruppi funzionali dei composti
e il substrato della fase solida. Si ha ritenzione quando la fase solida riesce ad immobilizzare alcuni dei
composti presenti nel campione; la ritenzione cambia in funzione del tipo di adsorbente o del solvente
utilizzato.

Affinché si verifichi la separazione dell’analita dalla fase liquida, occorre che l’analita si leghi alla fase
solida, o meglio al sito attivo della fase solida, occorre quindi che la forza di legame fra analita (A) e
sito dell’adsorbente (F) sia più elevato di quello esistente fra analita (A) e fase liquida (S).
Legame sito attivo-analita > Legame fase liquida-analita.

MECCANISMO DEL PROCESSO DI ESTRAZIONE IN FASE SOLIDA

La scelta di un appropriato assorbente di estrazione in SPE dipende dalla comprensione del


meccanismo (i) di interazione tra il sorbente e l’ analita di interesse.
Questa comprensione a sua volta dipende dalla conoscenza delle proprietà: idrofoba, polare e ionica sia
del soluto che dell'assorbente.
Le forze che si possono instaurare sono legami ionici, legami idrogeno, interazione dipolo-dipolo,
interazione dipolo-dipolo indotto (o forze di Van Der Waals) e forze di dipolo-dipolo istantaneo
( o di dispersione di London).
Ogni assorbente offre un mix unico di queste proprietà che può essere applicato ad una grande varietà
di problemi di estrazione.
Legame ionico
Alcuni atomi raggiungono l'ottetto stabile acquistando o cedendo degli elettroni. In questo modo
l'atomo acquista una carica elettrica positiva o negativa, a seconda che ceda o acquisti un elettrone. Un
atomo che cede uno o più elettroni verrà ad avere un numero di protoni maggiore di quello degli
elettroni; non risulterà quindi neutro ma elettricamente positivo. Si dice che è diventato uno ione
positivo. Un atomo che acquista uno o più elettroni verrà ad avere un numero di elettroni maggiore
di quello dei protoni; non è più neutro, ma elettricamente negativo. Si dice che è diventato uno ione
negativo. Il legame che si stabilisce tra due atomi di questo tipo si dice legame ionico ed è dato dalle
forze elettriche opposte che si attraggono. Il legame ionico consiste proprio nell'attrazione elettrostatica
tra ioni di segno opposti. Il legame ionico è un legame chimico di natura elettrostatica che si forma
quando gli atomi posseggono un’elevata differenza di elettronegatività e consiste nell’attrazione
elettrostatica tra le cariche elettriche di un catione e di un anione che instaurano questo tipo di legame.

Legame idrogeno
E’ un tipo di interazione che si instaura quando un atomo di idrogeno è legato chimicamente ad un
atomo molto elettronegativo. In queste condizioni, si sviluppa una frazione di carica positiva
sull'idrogeno che si polarizza (δ+ ) ed una frazione negativa sull'altro atomo (δ- ). Inoltre è necessario
che sul secondo atomo sia presente almeno una coppia di elettroni di non legame. Quando una seconda
molecola si avvicina, il lone pair si orienta in modo da esporre la propria coppia di elettroni liberi verso
l'idrogeno ed in questo modo si genera una grande forza di attrazione elettrostatica. Tipici atomi molto
elettronegativi sono Ossigeno, Azoto, Fluoro, ecc. Il legame idrogeno è la più forte delle interazioni tra
molecole in termini di energia. L 'intensità della forza di legame dipende dall'atomo legato all'idrogeno
e dalla coppia di elettroni libera. Il legame idrogeno può risultare una forza di legame importante e
discriminante rispetto ad altre forze di legame che si verificano sulle superfici dei solidi adsorbenti.

Interazione dipolo-dipolo
Quando due atomi generici differenti (X,Y) sono legati chimicamente, a causa della loro differente
capacità di attrarre gli elettroni, si instaura tra loro una differenza di posizione tra il baricentro delle
cariche positive (+) e negative (-) generando un dipolo elettrico e la molecola si dice polare. Due dipoli
elettrici vicini tendono ad orientarsi in modo che il baricentro del primo dipolo (+) sia vicino a quello
(-) del secondo dipolo e ad attrarsi elettrostaticamente. L'effetto è simile al precedente, difatti il legame
idrogeno non è che un tipo particolare di interazione dipolo-dipolo, ma in questo caso l'attrazione non è
potenziata dalla presenza di elettroni liberi. Dopo il legame idrogeno, le interazioni dipolo sono le forze
di attrazione intermolecolare maggiori. La loro intensità dipende dall'intensità del dipolo elettrico.

Interazione dipolo-dipolo indotto o forze di Van Der Waals


Quando una molecola polare si avvicina ad una non polare induce in quest'ultima un dipolo elettrico di
minore intensità che perdura fintanto che le due molecole restano vicine. Si genera così attrazione come
per il dipolo-dipolo. L'intensità è proporzionale al dipolo che induce polarizzazione e dalla
polarizzabilità della seconda molecola, grandezza che a sua volta cresce con la superficie della
molecola.

Interazione dipolo istantaneo-dipolo indotto o forze di dispersione di London


Gli elettroni che si muovono continuamente attorno ad un nucleo creano piccolissimi dipoli istantanei,
che inducono a loro volta dipoli istantanei su molecole vicine. Queste forze sono debolissime, ma la
loro somma genera una risultante che tiene assieme molecole non polari. Sono proporzionali alla
superficie delle molecole interagenti.

FASI SOLIDE: CARATTERISTICHE E SCELTA DELL’ADSORBENTE

1. FASI SOLIDE NON MODIFICATE


Sostanza solida, senza modifiche di sorta, in grado di interagire con le molecole di soluto presenti in
soluzione, che viene a contatto con la fase solida stessa. Fasi solide non modificate più utilizzate sono
silice (SiO2)x, allumina (Al2O3), magnesio silicato (MgSiO3 or Florisil). Particolarmente adatte a
separare composti polari (aldeidi, alcoli, alogenuri organici) da solventi non polari.
La silice è un polimero amorfo di silicio e ossigeno, con una superficie che termina nei gruppi di
silanoli molto polari (Si-OH). Quando la silice viene trattata con H 2O (idratata) tra gli -OH della
superficie attiva della silice e l’H2O si instaurano legami idrogeno.
Particelle di silice usate in SPE sono irregolari ed hanno diametri compresi tra 40 e 60 µm.
La silice utilizzata in HPLC è costituita da particelle sferiche di diametro compreso tra 3 a 5 µm (la
pressione deve essere molto alta per permettere il flusso della fase mobile).
HPLC serve per separare I componenti di una miscela, raccoglierli e identificarli, mentre SPE è una
tecnica preparativa.

PARTICELLE PIU’ GRANDI PERMETTTONO


FLUSSI MAGGIORI A PRESSIONI INFERIORI

ESEMPIO DI ASSORBIMENTO
I gruppi silanolici possono dar luogo a legami idrogeno con molecole opportune come, ad esempio, la
benzilammina:
La benzilammina è solubilizzata in una miscela binaria esano/dietiletere (3:1) → Interazione
benzilammina-gel di silice è più forte dell’interazione solvente-gel di silice → Quindi la benzilammina
si trattiene sulla fase stazionaria ed il solvente fluisce attraverso il gel di silice.

L’eluizione dei soluti trattenuti (in questo caso benzilammina) è effettuata con solventi che hanno la
capacità di instaurare interazioni più forti con la fase fissa rispetto ai soluti stessi:

Nel caso dell’esempio riportato, l’eluizione del soluto sarà effettuata con metanolo poiché esso formerà
legami idrogeno più forti con il gruppo silanolico rispetto a quelli stabiliti dagli stessi con la
benzilammina.

La silice porosa è usata direttamente come sorbente stesso e per la preparazione di un'importante
FAMIGLIA DI ADSORBENTI NOTA COME SILICE LEGATA o modificata.

2. FASE SOLIDA DI SILICE MODIFICATA con gruppi polari (FASE NORMALE)

I gruppi di silanoli (Si-OH ) presenti in superficie forniscono un punto di attacco per la fase legata che
si ottiene: derivatizzando i gruppi silanolici con un reagente silanico X-Si(CH3)2-R, dove X è un
gruppo cloro o etossi reattivo e R è un gruppo polare. Il GRUPPO R è il responsabile
dell’adsorbimento ed è solitamente meno polare del gruppo -OH. Non tutti i gruppi -OH vengono
sostituiti.

Il gruppo R è costituito da un gruppo ciano (-CN), da un gruppo ammino (-NH2) o da un gruppo diolo
(-OH -OH).
La fase solida di silice offre una diversa forza di ritenzione nei confronti degli analiti e consente una
maggiore duttilità. I carboidrati, ad esempio, si legano troppo fortemente alla silice tal quale e perciò
non ne sarebbe possibile la successiva eluizione.

3. FASE SOLIDA DI SILICE MODIFICATA con gruppi apolari (FASE INVERSA)


Adsorbenti costituiti da silice modificata con gruppi R1 (radicali alchilici), che risultano meno polari
del solvente in cui sono solubilizzati gli analiti.
Il soluto con parte meno polare, solubilizzato in un solvente polare, si lega ad un gruppo R1 non polare,
sulla fase solida. Le interazioni fra gruppi non polari sono le interazioni di Van Der Waals.
Gruppi R1 non polari legati alla silice possono essere: l’ottadecile (C18), l’ottile, (C8), il cicloesile, il
fenile, il butile ed altri.
4. FASE SOLIDA DI SILICE MODIFICATA con gruppi IMPIEGATI NELLA
CROMATOGRAFIA IONICA
Fasi di silice modificata, hanno un radicale R2 costituito da un gruppo funzionale carico, i più utilizzati
sono il gruppo –SO3- ed il gruppo -N+(CH3)3
Fasi fisse impiegate per l’estrazione di acidi e basi da soluzioni acquose:

gruppo –SO3- → forte scambiatore cationico gruppo -N+(CH3)3 → forte scambiatore anionico
altri assorbenti:
ADSORBENTI POLIMERICI → La estrazione in fase solida viene eseguita utilizzando sia sorbenti a
base di silice che a base di resine organiche. Le resine organiche sono composti polimerici porosi,
generalmente copolimeri di stirene e divinylbenzene. I polimeri porosi hanno superfici moderate (< 600
m2 / g) o altamente reticolati con superfici di 700 -1200 m 2 / g. Le superfici maggiori dei polimeri
altamente reticolati producono una ritenzione superiore. Gli adsorbenti polimerici più usati sono i
copolimeri stirene-divinilbenzene (DVB-PS).
CARBONE ATTIVO → Le impurezze sono adsorbite sul carbone, precedentemente attivato. La natura
porosa di questo materiale è, in gran parte, la causa delle sue caratteristiche adsorbenti. (E’ utilizzato
per la decolorazione del vino).

SCELTA DELLA FASE SORBENTE


La selezione dell’ assorbente dipende dalle caratteristiche degli analiti, dalla matrice del campione e
dal metodo analitico utilizzato per la quantificazione.
A seconda del tipo di composto che si vuole trattenere (non polare, polare o ionico) si possono scegliere
le seguenti fasi:

Non polari Polari A scambio ionico


Silice-C18 Si-CN SCX, a scambio cationico con gruppi SO3 -
Silice-C8 Silice A scambio cationico con gruppi chelanti
Silice-fenile Allumina SAX, a scambio anionico con gruppi ammonio

COMPATIBILITÀ CON LA TECNICA ANALITICA


Un parametro importante per scegliere il sistema SPE e in particolare la fase eluente consiste nella
compatibilità con la tecnica analitica. In particolare, se successivamente al pretrattamento si impiega
una tecnica cromatografica possono esserci dei vincoli:
• tolleranza del sistema cromatografico a solventi organici
• tolleranza a valori di pH estremi (eluente molto acido o molto basico)
• tolleranza a contenuto salino elevato
Ad esempio, se è prevista la separazione su una colonna C18, stabile fino a pH 7, non si potrà
evidentemente utilizzare un sistema SPE che preveda l’uso di un eluente basico.

Applicazioni della SPE: Preconcentrazione


• Un impiego importante della SPE consiste nel preconcentrare gli analiti di interesse preliminarmente
all’analisi, cioè nell’incrementare la concentrazione degli analiti nel campione se questa è troppo bassa
per poter essere misurata con gli strumenti a disposizione.
• La preconcentrazione si ottiene facendo fluire volumi elevati di campione sulle colonnine; se l’analita
o gli analiti sono completamente trattenuti dalla fase estraente, è possibile ottenerne il rilascio
utilizzando un piccolo volume di eluente. Se il volume di eluente è inferiore al volume di campione
caricato e se il trattenimento e il rilascio degli analiti sono quantitativi, si avrà un incremento della
concentrazione degli analiti che può essere quantificato in ragione del rapporto Vc/Ve in cui:
Vc = volume di campione caricato sulla fase estraente,
Ve = volume di eluente.
• Naturalmente l’eluente dovrà essere scelto in modo che sia sufficientemente forte da desorbire tutto
l’analita trattenuto in un piccolo volume
• Il sistema fase solida estraente/eluente può essere scelto in modo da ottenere contemporaneamente la
preconcentrazione degli analiti e la rimozione delle sostanze interferenti.

APPLICAZIONI DELLA SPE IN CAMPO ANALITICO


Le applicazioni della tecnica SPE in campo analitico sono numerosissime. Naturalmente i campioni
liquidi sono quelli più idonei al trattamento con SPE preliminare all’analisi vera e propria; nell’analisi
di campioni solidi è necessario uno stadio di solubilizzazione o di estrazione con solvente. Alcuni
esempi di applicazioni sono i seguenti:
- Estrazione di composti volatili, acidi grassi ed esteri dal vino: si ottiene con una fase estraente a fase
inversa del tipo Si-C18 o Si-C8.
- Estrazione di antocianine e polifenoli dal vino: si ottiene con una fase estraente polimerica a base di
polivinilpirrolidone (PVP).

RISPETTO ALL’ESTRAZIONE CON SOLVENTE:


VANTAGGI: - migliori fattori di preconcentrazione
- minore nocività dei reagenti (sia per l’operatore che per lo smaltimento)
- possibilità di rigenerazione e quindi di riutilizzo della fase solida
- possibilità di automazione
- minore possibilità di contaminazione
SVANTAGGIO: - necessità di un passaggio in più: eluizione del soluto dalla fase solida.

ESTRAZIONE IN SPE DEL VINO


Nell’estrazione in fase solida (SPE) il campione di vino è fatto fluire attraverso una colonna contenente
materiale sorbente, in grado di trattenere selettivamente alcune classi di sostanze, le quali sono poi
desorbite con un opportuno solvente. Il solvente può essere iniettato in colonna con maggiore facilità in
quanto avrà un contenuto di sostanze disciolte nettamente inferiore rispetto al campione originario.

DETERMINAZIONE DEL RESVERATROLO → (polifenolo con elevatissime proprietà antiossidanti


usato negli integratori e nella cosmesi)
La determinazione quantitativa del resveratrolo nelle sue
varie forme (isomeri liberi e glicosilati) si effettua mediante
separazione cromatografica con la tecnica HPLC,
utilizzando una fase fissa Si-C18 e una fase mobile
costituita da un gradiente binario acqua/acetonitrile.
L’analisi non si effettua sul campione di vino tal quale, ma
su un estratto ottenuto con SPE, facendo passare il
campione su una fase adsorbente ed eluendo i composti
trattenuti con tetraidrofurano.
Utilizzando il convenzionale rivelatore UV-visibile a
305 nm si ottiene il cromatogramma (a), mentre
con l’impiego del rivelatore a spettrometria di massa (b)
si ha un notevole incremento della sensibilità.
Gli analiti separati sono:
1. trans-resveratrolo glicoside
2. cis-resveratrolo glicoside
3. trans-resveratrolo
4. cis-resveratrolo
I.S. standard interno (acido 3,4,5-trimetossicinnamico)

COMPOSTI AROMATICI → La qualità di un vino, spesso descrivibile in termini organolettici


soggettivi, è riconducibile all’effetto che hanno sui nostri organi alcuni composti che influenzano in
particolare l’odorato e il gusto: i composti aromatici. Prima di capire quali sono questi composti,
chiariamo alcuni termini:
Si parla di aroma in riferimento al profumo che deriva dall’uva, e che può variare da vitigno a vitigno
Si parla di bouquet in riferimento al profumo che deriva dalla vinificazione, comprendendo le
condizioni di fermentazione, i vari processi di cantina e l’invecchiamento. Il bouquet cambia
costantemente man mano che un vino giovane diventa invecchiato (a differenza dell’aroma).

La determinazione delle sostanze volatili si effettua ovviamente per gascromatografia, impiegando


preferenzialmente la versione accoppiata con la spettrometria di massa (GC-MS) che permette di
identificare strutturalmente le numerosissime e spesso assai complesse sostanze volatili presenti nel
vino Per effettuare l’analisi delle componenti volatili, è bene effettuare un pretrattamento per isolare
soltanto la frazione che li contiene ed evitare di mandare in colonna sostanze non volatili come i
composti fenolici o le sostanze inorganiche. Per questo motivo si è soliti estrarre la frazione volatile
con un’estrazione liquidoliquido o con metodi SPE.

I composti volatili presenti nel vino sono responsabili del suo profumo. Essi hanno tendenza ad
evaporare e chimicamente appartengono, tra le altre, alle famiglie dei terpeni, alcoli, aldeidi, chetoni,
acidi ed esteri. Sono stati identificati circa 500 composti diversi che influenzano il profumo del vino; di
questi, soltanto un centinaio è stato quantificato.
I composti volatili sono suddivisibili in tre classi, a seconda della loro origine:
- Composti primari, detti anche varietali perchè caratteristici da varietà a varietà di Vitis vinifera; tipici
composti varietali sono ad esempio i terpeni.
- Composti secondari, che si sprigionano durante i processi di vinificazione, in particolare al momento
della pigiatura (prefermentativi) e durante le fermentazioni (fermentativi).
- Composti terziari, che si generano durante la maturazione e l’invecchiamento, in relazione anche alle
condizioni di conservazione che possono essere ossidanti (a contatto con l’aria) o riducenti (in assenza
di aria).

COMPOSTI TERZIARI: DETERMINAZIONE DI ETIL- E VINILFENOLI


Essendo composti volatili, gli etil- e vinilfenoli si determinano per gascromatografia. L’analisi non è
effettuata sul vino tal quale, bensì su un estratto ottenuto per SPE, passando il campione su una
colonnina di polistirene-divinilbenzene ed eluendo i composti
polari trattenuti con diclorometano.

Nella figura è riportato il cromatogramma di un estratto di fenoli


volatili da un campione di vino Sherry varietà Fino, contaminato
da lieviti del genere Brettanomyces. I composti rivelati sono:
(1) 4-etilguaiacolo
(2) 4-etilfenolo
(3) 4-vinilguaiacolo
(4) 4-vinifenolo
MICROESTRAZIONE IN FASE SOLIDA – SPME

La Microestrazione in fase solida (SPME), sviluppata da Pawliszyn e collaboratori nel 1990, è una
nuova tecnica di preparazione del campione che utilizza una fibra in silice fusa rivestita esternamente
con una fase stazionaria appropriata.
L’ analita nel campione è direttamente estratto e concentrato dal rivestimento della fibra. Il metodo
consente di risparmiare costi di tempo di preparazione, acquisto solvente e di smaltimento, e in grado di
migliorare I limiti di rilevabilità. E 'stato utilizzato di routine in combinazione con GC e GC-MS, e
applicato con successo ad un'ampia varietà di composti, in particolare per l'estrazione di composti
organici volatili e semi-volatili da campioni ambientali, biologici e alimentari.

Vf = volume of fibre coating;


Kfs = fibre/sample distribution coefficient;
Vs = volume of sample;
C0 = initial concentration of analyte in the sample

La tecnica più diffusa di campionamento con microestrazione in fase solida consiste nell‘immergere
una fibra con una piccola quantità di fase estraente nel campione per un periodo di tempo
predeterminato.
Tipicamente, il processo microestrazione viene considerata completo quando la concentrazione
dell‘analita ha raggiunto l'equilibrio di distribuzione tra la matrice del campione e il rivestimento della
fibra.

ASPETTI GENERALI DELLA TECNICA SPME

- Dispositivo per microestrazione in fase solida


Il dispositivo in fibra SPME consiste in un supporto (sembra una siringa modificata) che serve per
l’inserimento di una fibra all'interno dell'ago. Il supporto è costituito da un pistone a molla, un barilotto
di acciaio inossidabile e un indicatore di profondità regolabile con ago, ed è progettato per essere
utilizzato con gruppi di fibre riutilizzabili e sostituibili.
La fibra in silice fusa è rivestita con una pellicola relativamente sottile di diverse fasi
stazionarie polimeriche. Questo film si comporta come una 'spugna', concentrando gli
analiti organici sulla sua superficie durante l'assorbimento o adsorbimento dalla matrice
del campione.

Modalità di estrazione in SPME


Esistono tre modalità fondamentali per effettuare un’estrazione SPME.
Il principio su cui si basa la tecnica SPME è l’estrazione dell’ analita d’interesse dalla matrice
mediante un materiale per il quale l’ analita abbia un’affinità, tipicamente depositato su una fibra
(fiber SPME) o all’interno di un capillare (in-tube SPME) in silice fusa:

PROCEDURA DI ESTRAZIONE CON DISPOSITIVO SPME


La procedura di estrazione prevede due fasi: l’estrazione vera e propria e il desorbimento successivo
dell’analita dal materiale estraente.

Estrazione: la fibra va inserita all’interno di un recipiente chiuso.


A tal fine l’ago destinato a forare il setto (septum piercing needle)
viene infilato attraverso il setto, successivamente la fibra viene fatta
passare attraverso la cavità dell’ago fino ad essere immersa nella
soluzione. Al termine della fase di estrazione la fibra e l’ago vengono
estratti.

Desorbimento: la procedura di desorbimento dipende dalla tecnica


scelta per l’analisi. Nel caso della GC l’ago viene direttamente
introdotto nell’iniettore e la fibra viene successivamente esposta
all’elevata temperatura dell’iniettore, che favorirà il desorbimento
dell’analita. Terminata la fase di desorbimento la fibra e l’ago vengono
estratti dal setto dell’iniettore.

A cosa serve l’ago? Serve a preservare la fibra di silice fusa ricoperta di fase stazionaria dal contatto
con l’esterno. Nel momento in cui l’ago perfora il contenitore del campione, la fibra viene esposta e
viene a contatto con il campione.
Nel caso dell’HPLC la fibra viene esposta alla fase mobile cromatografica per un certo tempo,
necessario alla ridissoluzione dell’analita estratto in precedenza

APPLICAZIONI IN ANALISI DEGLI ALIMENTI → I metodi SPME applicati alle analisi dei vari
componenti e contaminanti in diversi campioni alimentari.
I metodi HS-SPME in combinazione con GC o GC-MS sono ampiamente utilizzati per l'analisi di vari
alimenti.
I metodi SPME accoppiato con HPLC o LC-MS sono utilizzate per l'analisi di composti meno volatili o
termicamente labili.
Dal 1992, sono state sviluppate una serie di metodi SPME per estrarre i sapori, off-sapori, pesticidi e
altri contaminanti da vari campioni alimentari come verdura, frutta, bevande, prodotti lattiero-caseari e
carne.

AROMI E SAPORI : ORIGINE DELL’ AROMA NEGLI ALIMENTI → I componenti principali degli
alimenti (proteine, amminoacidi, carboidrati, lipidi e acidi grassi) subiscono processi degradativi in
seguito a processi di conservazione (ad es. stagionatura) o a causa di trattamenti tecnologici (ad es.
cottura), dando così origine ad un’ampia gamma di composti quali idrocarburi, esteri, aldeidi, chetoni,
alcoli, composti azotati e solforati, che impartiscono l’aroma caratteristico all’alimento. Aroma e
sapore sono uno dei criteri di qualità più importanti di alimenti freschi e trasformati, e sono necessarie
informazioni sia qualitative che quantitative per la caratterizzazione di composti aromatici che li
producono. I composti che generano aroma e sapore di solito sono presenti a concentrazioni
estremamente basse in matrici alimentari complesse.
- COMPOSTI VOLATILI IN FRUTTA E VERDURA: Questo metodo può essere utilizzato per la
frutta di caratterizzazione e analisi dei cambiamenti di composti aromatici principali durante la
lavorazione o la conservazione di frutti diversi.
I metodi SPME combinati con rilevazione GC-ionizzazione di fiamma (FID) e GC-MS sono riportate
per l'analisi di vari composti volatili in frutta e verdura. Questo metodo può essere utilizzato per la
frutta per la caratterizzazione e l’analisi dei cambiamenti di composti aromatici principali durante la
lavorazione o la conservazione di frutti diversi.
- SAPORI E COMPOSTI VOLATILI AROMATICI NELLE BEVANDE ANALCOLICHE: per
l'analisi di altri sapori di frutta e composti volatili aromatici nelle bevande analcoliche.
- MONITORAGGIO USO DI INGREDIENTI DI SAPORE : Es. Mentolo, il componente principale di
olio essenziale di menta piperita, viene utilizzato in pasticceria, profumi, sigarette, inalatori nasali.
- COSTITUENTI DELLA BIRRA: comprendono > 800 composti e molti di loro contribuiscono al suo
caratteristico sapore, come amarezza, la dolcezza, l'acidità, il carattere hop, carbonatazione, sapore
alcolico e fruttato.
- LATTICINI oltre 200 composti sono presenti nel formaggio come il risultato di reazioni enzimatiche
e chimiche che portano alla formazione di peptidi, amminoacidi e composti volatili attraverso percorsi
diversi.
- MONITORAGGIO SOSTANZE CHE IMPARTISCONO UN ODORE SGRADEVOLE : La
determinazione delle sostanze volatili negli alimenti riveste un ruolo di notevole importanza: tali
sostanze sono infatti responsabili dell’odore del prodotto, che può rientrare nei canoni di normalità ed
accettabilità ed essere addirittura una caratteristica peculiare del prodotto o presentare anomalie dovute
alla presenza di sostanze che impartiscono un odore sgradevole, i cosiddetti “off-flavours”. Risulta
importante individuare i composti responsabili di alterazioni organolettiche e determinarne il
contenuto, in modo da poterne ipotizzare l’origine e rimuovere le cause che ne hanno determinato la
presenza.
OLIO VEGETALE: Gli oli polinsaturi sono suscettibili di autossidazione nel tempo per formare
idroperossidi. L'aumento dei livelli di questi prodotti volatili ossidati sono indicatori di irrancidimento
in campioni di olio.

- COMPOSTI INDESIDERATI nel vino → Nel vino sono a volte presenti sostanze che si formano in
condizioni particolari e che danno al vino note organolettiche negative. Alcuni esempi di composti
indesiderati sono i seguenti:
• 2,4,6-tricloroanisolo (TCA): è il composto responsabile del famoso gusto di tappo, avente una soglia
olfattiva di ~ 5 ng/l; si forma nei tappi di sughero a seguito del trattamento di sbiancamento con
ipoclorito, come il suo analogo 2,3,4,6tetraclorofenolo
• etilfenoli (4-etilfenolo e 4-etilguaiacolo) e vinilfenoli (4-vinifenolo e 4-vinilguaiacolo) si originano
dagli acidi cinnamici trans-ferulico e trans-p-cumarico, con il contributo di lieviti del genere
Brettanomyces; questi composti sono responsabili delle note fenoliche e medicinali dei vini deteriorati.

DETERMINAZIONE DI 2,4,6-TCA
La determinazione del 2,4,6-tricloroanisolo nel vino si può effettuare per GC, impiegando la tecnica
SPME o altre tecniche di estrazione. Nella figura, l’analisi è effettuata per GC-MS dopo trattamento
SPME con una fibra di polidimetilsilossano, un materiale sorbente avente affinità per i composti
organici volatili. Nel cromatogramma A è riportata l’analisi di un campione di vino addizionato con 40
ng/l di TCA (picco 1) e 50 ng/l di triclorotoluene (picco 2, standard interno); il TCA non sembra
presente nel campione tal quale (cromatogramma B).

- MONITORAGGIO di PESTICIDI E ALTRI PRODOTTI AGROCHIMICI: I residui di queste


sostanze chimiche in campioni agricoli e agroindustriali devono essere controllati per accertare che
siano entro i limiti specificati.
APPUNTI ANALISI UV DELL’OLIO DI OLIVA

- Se facciamo passare tutte le lunghezze d’onda che vanno da 200 a 400 nm attraverso la cuvetta,
otteniamo lo spettro di assorbimento dell’olio.

- Gli elettroni in pi greco dei cromofori o dei gruppi carbonilici o anche I doppietti elettronici non
condivisi del gruppo carbonilico possono, in seguito ad assorbimento di energia, subire delle transizioni
e occupare l’orbitale pi greco*.

- La coniugazione porta ad un assorbimento a lunghezze d’onda ben precise; gli elettroni richiedono
meno energia per passare allo stato eccitato e transitare nel orbitale antilegame → meno energia e
quindi la lunghezza d’onda aumenta.

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