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BOLOGNA I709.

UN FOSCO CASO DI INFAN-


TICIDIO COME CROCEVIA DI UN ACCESO
A

DIBATTITO IN CUI PRINCIPI TEOLOGICI,


MORALI E SCIENTIFICI SI SCONTRANO IN-
TORNO ALL'ESSENZA DELLA VITA E ALLA NA-
TURA DELL'ANIMA.

che cosa è possibile conoscere di chi resta ai margini della societa


o vi si affaccia solo per il tempo brevissimo di una nascita subi-
to seguita dalla morte? ~esta domanda antica è qui riproposta
alla luce della storia di una donna, processata per infanticidio, e
di suo figlio. La ricerca ha condotto in direzioni diversissime: ac-
canto a esigue tracce anagrafiche e processuali è stato necessario
esplorare il vasto territorio occupato dall'infanticidio come pec-
cato e come delitto, come pratica diffusa nella societa cristiana e
come ossessiva proiezione mentale contro l'umanita «altra» di ebrei
e streghe. Accanto alla lunga disciplina per convogliare la ripro-
duzione umana nel matrimonio è emerso il peso di una intera
tradizione teologica e medica nell'esplorare le forme della tra-
smissione della vita nel contesto di una religione dominata da un
Dio diventato uomo in un corpo di donna. Fissare l'attimo ini-
ziale della vita fu il problema su cui si vennero progressivamen-
te concentrando conoscenza scientifica e dottrine religiose. La vi-
cenda di Lucia rimanda a quelle di moltissime donne dell'epoca
sua, il suo caso si situa nel quadro delle concezioni dell'identità
umana e dei rituali elaborati per fissare i confini tra i vivi e i mor-
ti. La sorte sua e quella di suo figlio appaiono cosi inestricabil-
mente legate al modo in cui quella cultura risolse un problema
antico e ricorrente nella storia delle nostre civiltà: se esista e in
che cosa consista la speciale natura dell'essere umano.

ADRIANO PROSPERI e docente di Storia dell'eta della Riforma e della


Controriforma alla Scuola Normale Superiore di Pisa.

ISBN 88-06-16754-5

€ 24,00 9
14 La storia

ghie nelle dita delle mani e piedi». I chirurghi potevano afferma-


re che «la detta creatura» non solo «era un parto perfetto di nove
mesi», ma anche che era nata viva e che era stata uccisa subito do-
po la nascita: questo era provato dalla contrazione delle membra
e dalle ferite e dal sangue, che la relazione minuziosamente de-
scrisse24• A questo punto il lavoro dell' auditore del Torrone era
giunto al termine. Il r6 gennaio si riuni la congregazione crimina-
le, di cui facevano parte - accanto all'auditore, il romano Marco
All'tonio Venturini - il cardinallegato e il vicelegato. La causa fu
esaminata e fu rimessa all' auditore del Tribunale del Torrone a cui
spettava emettere la sentenza.

La storia di Lucia narrata dalle carte del tribunale è tutta qui.


Molte le domande che si affollano nelleggerla. Finora abbiamo
semplicemente scorso le carte del processo seguendo il lavoro del
notaio del Torrone, leggendo deposizioni, dichiarazioni, confes-
sioni da lui ascoltate e verbalizzate. La realtà che quelle carte han-
no fatto rinascere sotto i nostri occhi è stata fissata per sempre in
un punto del tempo ed è vera di quella verità che appartiene alla
realtà del passato: immutabile perché niente potrà renderla diver-
sa da quel che è stata, soggetta però a mutamento nella conoscen-
za che siamo capaci di averne. Niente fermerà quella mano che ha
impugnato il coltello la mattina del 5 dicembre del 1709 e niente
potrà cambiare la sorte di Lucia che i giudici si preparavano a de-
cidere. Ma un documento trascurato potrebbe svelarci qualcuna
delle tante cose che non sappiamo o cambiare l'interpretazione di
quelle che abbiamo letto. Noi abbiamo davanti parole fissate sul-
le carte del processo. Attraverso quelle carte entriamo in contat-
to con fatti, opinioni, ambienti: li ricostruiamo dentro di noi fino
a farcene un'idea, come se invece delle parole avessimo davanti
persone. Attraverso le parole, persone morte, da secoli si muovo-
no, parlano e agiscono come se fossero vive. E inevitabile che co-
si sembri. Ma è giusto ricordare che cosi non è.
Su di un punto non ci sono dubbi: vorremmo capire meglio se
le cose andarono veramente come le carte raccontano e perché an-
darono in quel modo. Molti dettagli sono poco chiari o decisa-
mente incomprensibili. Perché Caterina, la madre, fu cosi dura
con la figlia da trattarla - proprio lei, la madre - col nome di «fur-
fante»? Nemmeno il giudice usò mai un termine tanto aggressivo
e ostile. E poi ci sono tutte quelle figure che si muovono intorno
a questa storia: un prete, padre inconsapevole ed evanescente, del-

24 Processo Cremonini, cc. 33'-35r.


Dagli atti del processo 15

le vicine, tanti esperti che attraversano la scena per ispezionare


corpi e rilasciare pareri. La macchina della giustizia avvolge tutto
e di tutto risponde. Ma questa giustizia tanto precisa ed efficien-
te è insieme vicina e lontanissima dal nostro presente; bisogna cer-
care di capire meglio il sistema mentale che la regolava.
Tuttavia queste sono domande che girano intorno al problema
principale: la storia che i documenti raccontano è tale da sfidare
la nostra sicurezza e tranquillità di esseri umani. L'atto della ma-
dre che !lccide il figlio rende sconvolgente e minacciosa questa vi-
cenda. E accaduto, può ancora accadere, di fatto continua ad ac-
cadere: e ogni volta che accade 1'atto rinnova reazioni profonde
perché incrina il senso della continuità della vita, colpisce alla ra-
dice la speranza come proiezione della specie nel futuro. Come al-
tre tragiche realtà che fanno parte della storia delle società uma-
ne possiamo - per il passato - relegarle nel rumore di fondo della
storia e affidarle nel presente ad altre forme di conoscenza: la cri-
minologia, la psicologia sociale, la sociologia. Ma la distinzione tra
passato e presente è difficile da segnare: sarebbe come studiare la
cresta instabile dell'onda ignorando che quelle gocce vengono dal
mare e al mare ritornano. Possiamo chiederci come e perché le co-
se sono andate cosi quella volta. Sarà come vuotare il mare con un
cucchiaio. E forse reagiranno con un po' di fastidio tutti coloro
che concepiscono la storia come una forma di conoscenza abba-
stanza antica e sicura di sé da poter ignorare domande elementari
come questa. Tuttavia bisogna pur chiedersi che cosa significhi
studiare la storia: non in generale ma questa storia. Si tratta in pri-
mo luogo di capire che cosa è realmente avvenuto. Ciò significa,
intanto, che non possiamo fermarci alla narrazione del contenuto
puro e semplice del fascicolo giudiziario. Quel fascicolo è nato per
rispondere ad un altro genere di domande: documentare la cor-
rettezza della procedura in base alle norme allora vigenti in un luo-
go determinato e per precise categorie sociali, calare un atto nel
disegno predisposto dalle leggi, misurarlo e punirlo. Qui non è la
tipologia del reato che interessa ma la storia di quel che ha fatto,
pensato e provato quella persona in quel momento della sua vita.
La distanza temporale rende l'avvenimento irremissibile: rende
vano il tentare di toccarlo e di cambiarlo, cosi come gli antichi im-
maginavano vano il desiderio di abbracciare le ombre dell' Ade.
Questo non toglie che desideriamo ugualmente abbracciare le om-
bre: e comprendere è l'equivalente di quell'abbraccio. Il tentati-
vo di comprendere è all' origine della storiografia come forma di
conoscenza. Come sappiamo, le risposte che si dànno concreta-
mente alla domanda sono sempre parziali, segnate da limitati suc-

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