FACOLTÀ DI INGEGNERIA
IMPIANTI TERMOTECNICI
VOLUME TERZO
UNIVERSITÀ DI CATANIA
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL. 3° 1
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cancellati i riferimenti all’Autore sopra indicati. Non sono consentiti usi commerciali di alcun genere
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IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 1
1 Questo Capitolo è quasi del tutto ripreso dal corso di Fisica Tecnica ed è qui riportato per comodità degli Allievi.
Si sono integrati i paragrafi progettuali anche alla luce di quanto emerso sin qui dai capitoli precedenti. Anche le
conoscenza di Meccanica dei Fluidi possono risultare utili all’Allievo specialmente per gli aspetti matematici che in questa
sede sono necessariamente ridotti.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 2
dw
F =µ S [1]
dy
Il coefficiente µ è una proprietà del fluido e prende il nome di viscosità dinamica. Le sue unità di
misura sono [Ns/m²] o anche [Pa.s]. Osservando la distribuzione della velocità si può anche dire che
ogni strato del fluido agisce n modo da rallentare lo strato più veloce che lo sovrasta e da velocizzare
lo strato più lento sottostante. La relazione di Newton può anche scriversi in una forma opportuna:
F
τ = = µ ⋅ grad ( w )
[2]
S
e quindi lo sforzo tangenziale τ che ogni strato esercita è funzione del gradiente trasversale di
velocità e quindi è tanto maggiore quanto maggiore è la variazione di velocità imposta.
dw
y
F=µ S
Piano mobile dy
Distribuzione di velocità
w Forza da applicare
x
Piano Fisso
icie
ntifr
de
ste
Pa )
tico
p las
po ia n
i
co r ton
ia ni ( ew
t on n
τo on new Flu
idi
n
idi
Flu
dw/dy
Figura 2: Diagramma sforzo – scorrimento per i fluidi
In Figura 2 si ha l’andamento tipico di alcune varietà di fluidi reali. Il fluido newtoniano è
rappresentato da una retta con inclinazione costante.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 3
Gli altri fluidi hanno µ variabile con dw/dy = grad(w) e possono essere di diverso tipo (corpi
plastici, tipici delle acque nere). Si hanno anche fluidi con uno sforzo iniziale τ0 residuo, come avviene,
ad esempio per alcuni fluidi usati nell’industria o anche per le paste dentifrice per le quali occorre uno
sforzo iniziale prima che avvenga il moto.
Lo studio dei fluidi non newtoniani, invero assai complesso, esula dal presente corso. Gli allievi
possono trovare notizie utili nei testi di reologia. Viene spesso utilizzata un’altra grandezza
fluidodinamica importante detta viscosità cinematica (o anche diffusività meccanica) definita dal rapporto:
µ
ν= [3]
ρ
Le unità di misura di ν sono quelle di una velocità aereolare [m²/s]. Per l’acqua (fluido di lavoro
fra i più importanti nell’impiantistica, specialmente negli impianti di riscaldamento e di
condizionamento) si ha la seguente tabella di riferimento:
Temperatura (°C) Viscosità cinematica Viscosità cinematica Massa volumica (kg/m³)
(m²/s) (cSt)
0 1.79⋅10-6 1.79 999.8
5 1.52⋅10-6 1.52 999.7
10 1.31⋅10-6 1.31 999.6
15 1.14⋅10-6 1.14 999.4
20 1.01⋅10-6 1.01 998.2
30 0.80⋅10-6 0.806 995.4
40 0.65⋅10-6 0.65 992.0
50 0.56⋅10-6 0.56 987.7
60 0.48⋅10-6 0.48 983.0
70 0.42⋅10-6 0.42 977.2
80 0.37⋅10-6 0.37 972.0
90 0.33⋅10-6 0.33 964.6
100 0.30⋅10-6 0.30 958.0
Tabella 1: Valori termofisici per l’acqua
1.2 REGIMI DI MOTO
Il moto dei fluidi può avvenire in due regimi fondamentali2 detti:
⋅ Laminare: quando gli strati di fluido si muovono gli uni parallelamente agli altri. Il moto è
ordinato e non si hanno oscillazioni interne. Se iniettassimo getti di inchiostro colorato a varie
altezza questi scorrerebbero parallelamente senza mescolamenti.
⋅ Turbolento: quando le particelle di fluido sono dotate di moto casuale e pertanto si ha
mescolamento fra gli strati di fluido. I getti di inchiostro a varie altezze si mescolerebbero
rapidamente fra loro per la vorticosità del moto. Il moto turbolento è quindi un moto disordinato.
2 Questo è vero per fluidi monofase mentre per i fluidi bifase o multifase in genere si hanno molteplici regimi di
moto (a nebbia, a tappi, anulare, …). Si tralascia questa trattazione considerata la finalità del presente corso.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 4
Vi è anche un terzo regime di moto, detto di transizione e che corrisponde ad un regime non
definito che porta il fluido a passare, in modo alternato, dal regime laminare a quello turbolento e
viceversa.
Questo regime è fortemente dissipativo ed è opportuno evitarlo nelle applicazioni
impiantistiche. Un modo per caratterizzare il regime di moto è di verificare il Numero di Reynolds.
Questo, infatti, è definito, come più volte detto anche nei capitoli precedenti, dal rapporto:
ρ wd ρ w2 Forze di inerzia
Re = = ∩
µ µ
w Forze vis cos e
d
Pertanto se il Numero di Reynolds è elevato (rispetto ad un valore limite caratteristico del tipo
di moto, come si vedrà fra poco) allora prevalgono le forze di inerzia (proporzionali a ρw²) ed il moto
è turbolento. Se, invece, Re è piccolo (sempre rispetto al valore limite) allora prevalgono le forze
viscose (proporzionali al µw/d per la [1]) e il moto è laminare. Vedremo fra poco i valori limiti di
riferimento per i regimi di moto.
1.2.1 STRATI LIMITI DINAMICI
Il moto dei fluidi a contatto con le pareti generano un fenomeno molto interessante detto strato
limite dinamico. Se si osserva la seguente Figura 3 si ha alla sinistra una corrente di fluido indisturbata
con distribuzione costante della velocità.
Non appena il fluido tocca la parete fissa i primi strati molecolari del fluido aderiscono ad essa
fermandosi.
C o rr e n t e f lu id a in d is t r u b a t a
W w w w
o
en t
b ol
tur
it e
li m
a to
S tr
Z o n a d i e ffe tto
re d e ll a p a r e t e
it e l a m i n a
S t ra t o li m
P A R E T E F IS S A S u b s t r a to l a m i n a r e
x
δ = 4.92 [4]
Re
Il valore limite caratteristico per il passaggio dal regime laminare a quello turbolento è Re=5 .105,
pertanto per valori inferiori ad esso si ha il regime laminare mentre per valori superiori si ha il regime
turbolento. Un fenomeno analogo si ha nel moto all’interno dei condotti. In questo caso il moto è
confinato superiormente dalle pareti del condotto e quindi lo spessore δ non può crescere
indefinitamente perché si ha il congiungimento sull’asse degli strati limiti generati da pareti opposte.
In Figura 4 si ha una presentazione schematica del fenomeno. Come si vede a partire da un
certo punto lo strato limite dinamico raggiunge l’asse del condotto. A partire da questo punto il
profilo di velocità si stabilizza. In figura sono anche rappresentate le zone laminari e quelle turbolente.
La lunghezza di imbocco può essere stimata pari a 70 diametri. Per condotti inferiori o comparabili con
questa lunghezza (tubi corti) si hanno notevoli perdite per attrito (vedi §1.4.1) e quindi è opportuno
evitarli. Il regime di moto è laminare, nei condotti circolari o ad essi assimilabili, per Re<2300.
Z o n a la m in a r e Z o n a t u r b o le n t a
w w w
L u n g h e z z a d i im b o c c o
3 In questa breve introduzione si tralasciano le equazioni costitutive di Navier Stokes alle quali si rimanda per uno
Pertanto la metalpia4 o entalpia totale nella sezione di uscita 2 è pari alla somma della metalpia nella
sezione di ingresso 1 più la somma algebrica (riferita alla convenzione dei segni per la Termodinamica)
della quantità di calore e di lavoro scambiati per kg di fluido fra le due sezioni. Ciò, evidentemente,
esprime in parole diverse il Primo Principio della Termodinamica o di Conservazione dell’energia.
Qualora si desideri riferire la [5] ad una portata mɺ si ha, per estensione diretta:
w22 − w12
mɺ + g ( z2 − z1 ) + h2 − h1 = mɺ (q − l ) = Qɺ − Lɺ [7]
2
ove è:
⋅ ɺ = Qɺ
mq il flusso termico totale scambiato, [W];
⋅ ɺ = Lɺ
ml il lavoro totale effettuato, positivo se fatto dal fluido, [W].
L’equazione [7] è ancora il Primo Principio scritto in forma globale (regime stazionario).
1.3.2 EQUAZIONE DI BERNOULLI PER I SISTEMI APERTI STAZIONARI
L’equazione dell’energia [7] si può scrivere in una nuova forma che utilizza solamente termini
meccanici e detta equazione di Bernoulli.
Infatti se si ricorda che vale l’equazione:
2
q = ∆h − ∫ vdp [8]
1
2 1
da cui: [9]
w −w
2 2
+ g ( z2 − z1 ) + ∫ vdp + l = 0
2
2 1
2 1
Il lavoro l può ancora essere espresso, per comodità di calcolo, come somma del lavoro motore e
del lavoro resistente:
l = lm + lr [10]
e pertanto si ha:
w22 − w12
+ g ( z2 − z1 ) + ∫ vdp + lm + lr = 0
2
[11]
2 1
In questa equazione il lavoro motore è quello effettuato nel tratti 1-2 del condotto considerato
ed analogamente lr è il lavoro resistivo (sempre presente) nello stesso tratto di condotto.
Per fluidi incompressibili (quali l’acqua o anche gli aeriformi a velocità piccole rispetto alla
celerità del suono5 e in gran parte delle applicazioni si è certamente in queste condizioni) la precedente
relazione si può scrivere in forma più diretta, risolvendo l’integrale che dipende dalla trasformazione
che qui si suppone a v = costante:
w2
4 Si definisce metalpia, o anche entalpia totale, la somma dei termini energetici h + + gz . Nel caso di condotto
2
isolato che non scambia lavoro e calore essa rimane costante.
5 Si dimostra (vedi Fluidi comprimibili) che la celerità del suono è data dalla relazione c= FH ∂p ∂ρIK = kRT
s
per i gas a comportamento ideale. Se un gas si muove a velocità elevate (>0.1c) gli effetti della variazione di pressione
comportano anche sensibili effetti nella variazione della densità ρ (o del volume specifico v) che non possono essere
trascurati. La Gasdinamica si occupa di questo tipo di fluidi detti compressibili e che trovano grande riscontro in Aeronautica ed
Astronautica.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 7
w22 − w12
+ g ( z2 − z1 ) + v( p2 − p1 ) + lm + lr = 0 [12]
2
L’equazione [12] diviene:
w22 w12
p2 v2 + + gz2 = p1v1 + + gz1 − lm − lr [13]
2 2
w2
In Idraulica si definisce piezometrica la somma pv + + gz ; quest’ultima, sempre a condotto
2
isolato, si mantiene invariata passando dalla sezione 1 alla sezione 2 per un fluido ideale (resistenze
interne nulle) mentre per un fluido reale viene diminuita del lavoro complessivamente svolto nel tratto
di condotto.
L’applicazione delle precedenti equazioni [12] e [13] richiede che ci si riferisca ad un tubo di flusso
di sezione molto piccola in modo che si possa parlare, senza commettere errore, di un’unica velocità,
un unico volume specifico, di una sola quota e proprietà termofisiche costanti nella sezione di
condotto considerata.
Se, invece, la sezione del condotto è molto grande allora le variazioni dei parametri sono
significative ed occorre riscrivere le precedenti equazioni in forma differenziale e poi integrate
all’intera sezione. In forma differenziale si ha, per l’equazione dell’energia:
wdw + gdz + dh = dq − dl [14]
e ancora:
wdw + gdz + vdp + dlm + dlr = 0 [15]
Si vuole qui osservare che le due equazioni [14] e [15] sono solo apparentemente diverse: in
realtà esse esprimono sempre il principio di Conservazione dell’energia già citato.
Nell’equazione dell’energia [14] si hanno forme energetiche anche termiche mentre
nell’equazione di Bernoulli [15] si hanno solo forme energetiche meccaniche. Ma l’equazione [8] lega
le due forme di energia e pertanto solo apparentemente nella [9] si hanno termini meccanici poiché nel
lavoro è anche presente il calore scambiato (anche per attrito visto che lr degrada in calore e si
trasforma internamente al fluido in energia interna). In alcuni casi può essere utile vedere l’equazione di
Bernoulli [12] in modo diverso per esaltarne alcune caratteristiche fisiche. Ad esempio se dividiamo
per l’accelerazione di gravità g tutti i termini dell’equazione [11] si ottiene:
w22 − w12 2 v l l
+ ( z2 − z1 ) + ∫ dp + m + r = 0 [16]
2g 1 g g g
Si osservi che ogni termine della [16] espresso nel S.I. è omogeneo a ad un’altezza e quindi si
esprime in metri . Si tenga ancora presente che nella [16] si ha:
v 1 1
= = [17]
g ρg γ
ove γ è il peso specifico del fluido (N/m³).
Per la loro caratteristica unità di misura la precedente equazione è detta equazione delle altezze e i
singoli termini sono detti:
⋅ z2-z1 altezza geometrica;
w22 − w12
⋅ altezza dinamica;
2g
2 v
⋅ ∫1 g dp altezza di pressione
lr
⋅ = ∆zr altezza di perdita di carico per attrito.
g
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 8
Qualche volta è anche comodo scrivere l’equazione di Bernoulli [12] in termini di pressione:
w2 w2
p2 + ρ 2 + g ρ z2 = p1 + ρ 1 + g ρ z1 − ρ lm − ρ lr [18]
2 2
In questo caso ogni termine della [18] è omogeneo ad una pressione e quindi si esprime in
termini di Pascal ([Pa]=[N/m²]). Dalla [18] si può ancora ricavare un’interessante espressione molto
utile nelle applicazioni future:
w12 − w22
p2 − p1 = ρ + g ρ ( z1 − z2 ) − ∆pm − ∆pr [19]
2
Quindi la differenza di pressione (primo membro) è dovuta alla somma di tre effetti: la caduta
cinetica più la caduta gravimetrica più la caduta per lavoro (motore e resistivo).
Data l’arbitrarietà nello scegliere le sezioni 1 e 2 si può fare in modo che il lavoro motore non
sia presente nel bilancio [18] e pertanto possiamo scrivere che la caduta di pressione in un tratto di
condotto è data dalla relazione:
w2 − w12
p1 − p2 = ρ 2 + g ρ ( z2 − z1 ) + ∆pr [20]
2
1.4 LE PERDITE DI PRESSIONE PER ATTRITO
Le perdite per attrito sono dovute essenzialmente a due cause: le perdite per attrito distribuito
(dovute all’interazione fra fluido e pareti) e perdite per attrito concentrato (dovute a bruschi cambiamenti di
direzione o per la presenza di ostruzioni lungo tratti molto piccoli di condotto).
1.4.1 PERDITE PER ATTRITO DISTRIBUITO
Per calcolare ∆pr per attrito distribuito occorre utilizzare la relazione di Weissbach -Darcy:
l w2
∆pa = ξ ρ [21]
d 2
ove ξ è detto fattore di attrito distribuito. La [21] ci dice che le perdite distribuite sono direttamente
proporzionali alla lunghezza del condotto e all’energia cinetica per unità di volume e sono
inversamente proporzionali al diametro del condotto. Il fattore di attrito è funzione dai seguenti
parametri:
ξ = ξ ( ρ , w, d , µ , e ) [22]
ove:
⋅ ρ è la densità del fluido, [kg/m³];
⋅ w è la velocità del fluido, [m/s];
⋅ d è il diametro del condotto, [m];
⋅ µ è la viscosità dinamica del fluido, [kg.s/m²];
⋅ e è la scabrezza assoluta, [m].
La scabrezza assoluta è l’altezza delle singole asperità superficiali presenti nel condotto.
Esse sono sempre presenti, qualunque sia il grado di finitura superficiale del condotto; in alcuni
casi, tubi per impiantistica in genere, si hanno valori assoluti molto piccoli tanto da far ritenere questi
condotti come lisci, cioè privi di asperità. E’ comunque una semplificazione di calcolo.
Applicando il Teorema di Buckingam6 alla [22], assumendo come unità fondamentali [M,L,T] e
ipotizzando una funzione monomia7 del tipo:
6 L’analisi adimensionale qui presentata è una semplificazione della trattazione generale tramite le equazioni di
Navier Stokes già vista nel corso di Trasmissione del Calore. Quanto qui presentato vuole essere un rapido richiamo ed una
presentazione di un nuovo punto di vista semplificato.
7 Si ricordi che la dipendenza di tipo monomiale non è necessaria ma viene qui ipotizzata per semplificare la
trattazione.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 9
ξ = C ⋅ ρ a wb d c µ f e g [23]
con le dimensioni:
[ρ]=[ML-3]
[w]=[LT-1];
[d]=[L];
[e]=[L]
[µ]=[ML-1T-1]
[ξ]=[1]
si perviene alla seguente equazione di omogeneità dimensionale
[1] = C ML−3 LT −1 [ L ] ML−1T −1 [ L]
a b c f g
[24]
ξ =C [25]
µ d
I gruppi dimensionali sono, quindi:
ρ wd wd
Re = = Numero di Reynolds;
µ ν
e
ε= scabrezza relativa.
d
Possiamo scrivere la [25] nella forma:
ξ = C ⋅ Re m ⋅ ε n [26]
Una relazione che rispetta il legame funzionale della [26] è la relazione esplicita di Haaland:
1 ε 1.11 6.9
= −1.8log + [27]
ξ 3.7 d Re
Per tubi lisci si può utilizzare la relazione di Weissbach:
ξ = 0.184 ⋅ Re −0.2 [28]
valida per 2 ⋅104 < Re < 3 ⋅105 . Un’altra relazione valida per tubi lisci è quella di Blasius8:
ξ = 0.316 Re −0.25 [29]
64
ξ= [30]
Re
e pertanto il fattore d’attrito non dipende dalla scabrezza relativa ε. Nella zona relativa al regime
turbolento (Re>2900) è ben visibile la dipendenza, oltre da Re, da ε. Tuttavia osservando le curve al
variare di ε si può notare che ξ non varia più con Re a partire da una certa ascissa per ogni valore della
scabrezza relativa. In effetti una curva trasversale ben indicata nella Figura 5 individua due zone: nella
prima (a sinistra) ξ varia sia con Re che con ε mentre nella seconda (a destra, detta anche regione di
turbolenza completa) ξ varia solo con ε. Dalla [21] si può ancora ricavare il lavoro perduto per attrito
distribuito dato da:
l w2
lrd = ξ [31]
d 2
le cui unità sono [J/kg] essendo sempre omogeneo ad un lavoro specifico.
Ai fini delle applicazioni impiantistiche si fa spesso l’ipotesi che i tubi in ferro mannesmann, i
tubi zincati o in rame siano lisci e che pertanto valgano le relazioni ridotte di Weissbach [28] e di Blasius
[29] sopra descritte per il calcolo del fattore di attrito in regime turbolento. Per gli altri casi si
utilizzano le relazioni più complete e complesse quali la [27] di Colebrook:
1 2.51 ε
= −2 Log + [32]
ξ Re ξ 3.71d
Questa relazione è data in forma implicita (cioè ξ è funzione di sé stessa) e richiede una risoluzione
numerica iterativa, contrariamente a quella di Haaland che è esplicita ma che fornisce un errore
inferiore al 3% (accettabilissimo nelle applicazioni pratiche). La relazione di Colebrook può essere utilizzata
anche per tubi lisci (ε=0) per regimi turbolenti con Re oltre 105÷106 (relazioni di Weissbach e Blasius). In
questo caso la relazione, ancora implicita, diviene (Prandtl – Von Karmann – Nikuradze):
1 2.51
= −2 Log [33]
ξ Re ξ
Nella zona di regime di transizione (cioè fra 2300 < Re < 2900) si applica ancora la relazione
implicita di Colebrook:
1 2.51 ε
= −2 Log +
ξ Re ξ 3.71d
Qualora il regime di moto sia turbolento, detto anche regime idraulico sviluppato, cioè quando risulta:
200
Re > ξ
ε
d
allora si può porre:
1 ε
= −2 Log [34]
ξ 3.71d
e pertanto il fattore di attrito dipende solo dalla scabrezza relativa ε e non da Re.
1.4.2 PERDITE PER ATTRITO CONCENTRATO
Le perdite per attrito concentrato (dette anche perdite localizzate) sono espresse dalla relazione di
Darcy per il lavoro resistivo:
w2
lrc = c [35]
2
e per le perdite di pressione:
w2
∆pc = c ρ [36]
2
Il fattore c è detto di Darcy e varia in funzione del tipo di perdita localizzata esaminata. Spesso si
utilizza un modo diverso per esprimere lc o ∆pc ricorrendo al concetto di lunghezza equivalente. Si
suppone, infatti, di avere un tratto di condotto lungo l’ in modo da avere perdite distribuite pari alla
perdita localizzata che si desidera eguagliare, cioè si pone:
l ' w2 w2
ξ =c
d 2 2
dalla quale deriva:
d
l'=c [37]
ξ
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 12
e quindi la lunghezza equivalente è funzione del fattore di Darcy, del diametro del condotto e del
fattore di attrito. Nei manuali si hanno tabelle o nomogrammi che consentono di avere sia il fattore di
Darcy che la lunghezza equivalente. Nella Figura 6 si hanno alcune perdite per il fitting (raccorderia) per
le tubazioni utilizzate negli impianti idro-termo-sanitari.
Nella Figura 7 si hanno i fattori di perdita per alcuni tipi di valvolame utilizzato nello stesso tipo
di Impianti Termotecnici. Nella Figura 11 si hanno i fattori di Darcy e le lunghezze equivalenti per alcuni
componenti di Impianti Termotecnici. Nelle seguenti tabelle si hanno i valori più ricorrenti per
l’impiantistica di riscaldamento e condizionamento.
DIRAMAZIONI
Lungo il tronco che si dirama a T 1.5
Idem ma con angolo a 90° 0.75
Lungo il tronco che confluisce a T 1.0
Idem ma con angolo a 90° 0.5
Lungo i due tronchi con una doppia diramazione a T 3.0
Idem ma con curve di raccordo 2.0
Lungo i due tronchi con una doppia confluenza a T 3.0
Idem ma con curve di raccordo 2.0
Lungo la linea principale che non cambia sezione 0.0
Lungo la linea principale che cambia sezione 0.5
VARIAZIONI DI DIAMETRO
Restringimento brusco 0.5
Restringimento raccordato (valore medio) 0.35
Allargamento brusco 1.0
Allargamento raccordato (valore medio) 0.75
COMPONENTI
Radiatore 3.0
Caldaia 3.0
Piastra 4.5
Tabella 3: Valori sperimentali del fattore di Darcy per alcune perdite localizzate
RACCORDERIA E VALVOLAME D D D
8÷16 mm 18÷28 mm > 28 mm
Gomito a 90° 2.0 1.5 1.0
Curva a 90° normale 1.5 1.0 0.5
Curva a 90 ° larga 1.0 0.5 0.3
Doppio gomito a 180 ° 3.0 2.0 1.5
Curva a 180° normale 2.0 1.5 1.0
Saracinesca a passaggio pieno 0.2 0.2 0.1
Saracinesca a passaggio ridotto 1.2 1.0 0.8
Valvola inclinata a Y 4.5 4.0 3.5
Valvola a sfera a passaggio pieno 0.2 0.2 0.1
Valvola sfera a passaggio ridotto 1.5 1.0 0.8
Valvola a d angolo 4.0 4.0 3.0
Valvola di ritegno a Clapet 3.0 2.0 1.0
Valvola a farfalla 3.0 2.0 1.5
Valvola a tre vie 10.0 10.0 8.0
Valvola a quattro vie 6.0 6.0 4.0
Tabella 4: Valori del fattore di Darcy per la raccorderia e Valvolame
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 13
Si osservi come tali fattori dipendono anche dal diametro della tubazioni in cui tale resistenze concentrate
sono inserite. Di questo fatto si dovrà tener conto allorquando parleremo dei criteri per il
dimensionamento delle reti idriche per l’impiantistica. Analoghe tabelle si hanno per il moto dell’aria
nei canali di distribuzione.
Nella Figura 12 si hanno le perdite localizzate per una curva di un canale d’aria a sezione
rettangolare. Analogamente nella Figura 13 si hanno le perdite localizzate per una curva in canali a
sezione circolare. Nella Figura 14 e nella Figura 15 si hanno i fattori di perdita localizzata per varie
tipologie (curve, raccordi, separazioni, unioni, ….) per canali d’aria.
Si osservi come in alcuni casi si ha solamente i fattore di Darcy e in altri la sola lunghezza
equivalente (magari espressa in numero di diametri o di altra grandezza geometrica caratteristica del
canale) o in altri ancora entrambi i parametri.
1.4.3 TEOREMA DI BORDA – CARNOT
Fra le perdite concentrate rivestono particolare importanza le perdite di imbocco nel condotto e di
sbocco dal condotto. Si dimostra per allargamenti o restringimenti bruschi (teorema di Borda – Carnot) la
perdita di pressione vale:
( w2 − w1 )
2
∆p = ρ [38]
2
e quindi la perdita è data dalla variazione cinetica corrispondente alla variazione di sezione
considerata. Se il fluido è fermo in un recipiente allora w1 =0 e quindi risulta:
w2
∆pimbocco = ρ [39]
2
Analogamente se il fluido sbocca in un grande recipiente nel quale la velocità finale è nulla.
1.4.4 DIAMETRO EQUIVALENTE AI FINI DELLA PORTATA
Le relazioni finora riportate utilizzano il diametro del condotto quale elemento geometrico di
riferimento. Spesso, però, occorre utilizzare sezioni aventi geometria diversa e/o più complessa di
quella circolare. Ad esempio sono molto utilizzate le sezioni rettangolari per i canali d’aria o si
possono configurare geometrie più complesse negli scambiatori di calore (ad esempio a sezione
esagonale per meglio riempire una sezione di passaggio). Ci chiediamo allora se è possibile definire
una grandezza di riferimento per qualsivoglia geometria in modo da potere continuare ad utilizzare le
relazioni precedenti senza dover ricorrere a nuove riscritture e parzializzazioni. In effetti se ricordiamo
l’equazione di continuità (o di Leonardo) a regime stazionario per fluidi non compressibili:
mɺ = ρ ⋅ w ⋅ S [40]
possiamo dire che una equivalenza fra geometrie si ha sulla base del valore dell’area della
superficie della sezione di passaggio S. Per la sezione circolare (supposta tutta bagnata dal fluido di
passaggio) è possibile scrivere:
πd P
S= d= d [41]
4 4
dalla quale si può ricavare:
4⋅S
d= [42]
P
La [42] consente, allora, di esprimere il diametro equivalente di una qualsivoglia sezione nella forma:
4 ⋅ Sezione _ Passaggio
d equivalente = [43]
Contorno _ Bagnato
E’ bene che l’Allievo ricordi questa definizione e si abitui ad usarla nel modo indicato. Facciamo
qualche esempio. Se utilizziamo una sezione rettangolare di dimensioni a e b tutta bagnata dal fluido
allora il diametro equivalente è dato dalla relazione:
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 14
4 ⋅ ( a ⋅ b) (a ⋅ b)
de = =2 [44]
2 ⋅(a + b) (a + b)
Se l’altezza a è piccola rispetto a b allora la [44] diviene:
de = 2
(a ⋅ b) ≅ 2 ⋅ a [45]
(a + b)
Pertanto il diametro equivalente è dato dalla somma delle due lati di dimensioni minori e le
perdite di pressione, per la [45], sono tanto maggiori quanto minore è l’altezza a. Segue da quanto
detto che utilizzare i canali a sezione rettangolare9 non è sempre del tutto equivalente rispetto all’uso dei
canali circolari.
1.4.5 DIAMETRO EQUIVALENTE AI FINI DELLA PERDITA DI PRESSIONE
Un concetto diverso si ha quando ci pone il problema di determinare il diametro equivalente non
più solamente a pari portata di fluido bensì anche a pari perdita di pressione. Lo sviluppo analitico è più
complesso di quanto visto nel paragrafo precedente. Con riferimento alle geometrie circolari e
rettangolari si perviene alla seguente relazione analitica:
(a ⋅b)
0.625
d '
= 1.3 [46]
(a + b)
e 0.250
con dimensioni tute espresse, come si è soliti fare nelle applicazioni impiantistiche, in mm. Si fa
osservare che, a parità di portata e di perdita di pressione, anche in conseguenza della [21], la velocità
nel canale rettangolare è inferiore rispetto a quella che avrebbe nel canale a sezione circolare e quindi
la sezione del canale rettangolare equivalente deve essere maggiore di quella del canale circolare. Nei
manuali specializzati è possibile avere la [46] anche sotto forma tabellare, come riportato nella Tabella
9 e nella Figura 33.
1.5 DIMENSIONAMENTO DELLE RETI DI CONDOTTI
Quanto sin qui esaminato consente di affrontare il problema di progettare le reti di condotti. E’
questo un problema importante sia per l’impiantistica termotecnica (riscaldamento e
condizionamento) che per quella idrica (sia per acqua fredda che calda di consumo) e antincendio.
Progettare una rete vuol dire, sostanzialmente, determinare i diametri dei condotti che la
compongono visto che le loro lunghezze sono, quasi sempre, un problema geometrico imposto dalla
configurazione di impianto. Il problema presenta aspetti diversi a seconda che si abbiano circuiti aperti
o circuiti chiusi.
1.5.1 COLLEGAMENTO IN SERIE DEI CONDOTTI
Si ha un collegamento in serie quando la portata di fluido che attraversa i condotti è sempre la
stessa, come indicato in Figura 16.
Ciascuno dei condotti ha suoi parametri: diametro, velocità e fattori di attrito (distribuito e
localizzato). Se indichiamo con lt1 ed lt2 le lunghezze totali somma di quelle reali (responsabili delle
perdite per attrito distribuito) e quelle equivalenti di tutte le resistenze localizzate presenti in ciascun
condotto, allora possiamo applicare la [31] e scrivere10:
9 I canali circolari sono quelli che hanno perdite di pressione minore, a parità di portata, rispetto a qualsivoglia
altra geometria. Purtroppo non è agevole sistema questi canali all’interno delle abitazioni poiché si verrebbe ad abbassare
notevolmente l’altezza utile dei vani ove questi canali passano. Si utilizzano, quindi, le sezioni rettangolari che presentano il
grosso vantaggio di potere fissare liberamente l’altezza e quindi di ridurre l’inconveniente sopra indicato. Ad esempio una
sezione rettangolare di 300x1200 mm equivale ad una sezione circolare di 480 mm: si vede bene come l’abbassamento di
un eventuale controsoffitto ponga minori problemi con il canale rettangolare che non con quello circolare.
10 Si ricordi che l=∆p.v e pertanto risulta ∆p=l.ρ.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 15
lt1 w12 lt 2 w2
2
Figura 15: perdite localizzate per variazione di sezione dei canali d’aria
d 1 , w 1 , ξ 1 d 2 , w 2 , ξ 2
l1 l2
12 Si vedrà in seguito cosa si intende per bilanciamento di una rete. Adesso basti sapere che è un’operazione
complessa con la quale si cerca di equilibrare le portate nei vari rami di un circuito.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 25
Come si può osservare, al variare della portata volumetrica e della differenza di pressione
generata si hanno famiglie, indicate con numeri, di curve in gradi di soddisfare le varie esigenze di
impianto.
All’interno di ogni zona numerata si hanno più curve caratteristiche del tipo indicate in Figura
23 al variare del numero di giri: questi vengono variati mediante un reostato elettrico con tre o quattro
posizioni (numeri di giri) possibili.
In Figura 25 si hanno le curve caratteristiche reali dei circolatori di Figura 18 sia installati
singolarmente che in parallelo.
l1,d1,w1, ξ1
A B
l2,d2,w12 ξ2
Figura 18: Esempio di circolatori per acqua fredda e/o calda in versione singola o gemellata
1.6.2 LE SOFFIANTI
Per muovere i fluidi aeriformi si utilizzano le soffianti (dette anche ventilatori). Esse sono macchine
dotate di palette in grado di imprimere all’aria (o al gas in generale) che l’attraversa energia cinetica
sufficiente a vincere le perdite di pressione della rete (o canalizzazione) seguente. In conseguenza
dell’incremento della velocità si ha un incremento della pressione dinamica ( ρ w 2 ) che si aggiunge alla
2
pressione statica prodotta. La somma della pressione statica e della pressione dinamica è detta pressione
totale della soffiante. Le curve caratteristiche di queste macchine sono del tipo indicato in Figura 26.
Vi sono due tipologie di soffianti: a pale in avanti e a pale indietro.
Esse si diversificano per la pressione totale che riescono a creare sul fluido. Le soffianti a pale in
avanti sono utilizzate quando si richiedono elevate prevalenze. In Figura 27 si ha una fotografia di un
ventilatore reale inserito all’interno di un contenitore insonorizzato per ridurre la rumorosità trasmessa
nei canali d’aria che da esso si dipartono.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 28
Figura 26: Curve caratteristiche di una soffiante del tipo a pale in avanti
Ventilatori assiali
Questi ventilatori hanno pale a passo variabile e vengono impiegati negli impianti con portate
d’aria molto elevate con pressioni statiche fini a 2000 Pa. Presentano un buon rendimento ed una
buona capacità di adattamento ai carichi grazie all’orientabilità delle pale.
Per contro la loro curva caratteristica presenta una pendenza notevole. La loro convenienza si
ha nei modelli che consentono la variazione del passo con giranti in moto. Hanno un costo elevato e
pertanto non sono convenienti per unità di trattamento aria di tipo standard.
Il problema risolutivo si ha nella [12] poiché le perdite di pressione per attrito, ∆pa, dipendono
esse stesse dal diametro del condotto e quindi non essendo esplicitabili direttamente rappresentano
esse stesse un’altra incognita del problema o quanto meno si ha un’equazione implicita che richiede
più iterazioni di calcolo.
Per facilitare il calcolo si suole scrivere la [12] in una forma più comoda per gli sviluppi futuri.
Infatti si ha:
∆p w2 w2
ψ= =ξ ρ=H [58]
l 2d d
ove ψ è detta perdita specifica di pressione ([Pa/m] nel SI e [mm.ca/m] nel ST). Per la [40] si ha anche:
∆p w2 mɺ 2 mɺ 2
ψ= =ξ ρ = ξk 5 = N 5 [59]
l 2d d d
ed N indica un fattore ingloba i valori costanti della [59]. Se si prendono i logaritmi di ambo i
membri della [59] e della [58] si hanno le equazioni:
logψ = 2 log w − log d + log H
[60]
logψ = 2 log mɺ − 5log d + log N
Queste due relazioni risultano comode per costruire un abaco del tipo riportato in Figura 35.
Di questi abachi se ne hanno diversi a seconda del tipo di tubazioni o di fluido considerato.
In Figura 36 si hanno le perdite specifiche di pressione per aria in canali circolari. In ciascuno di
questi abachi si hanno portate, perdite specifiche ψ, velocità e diametri dei condotti.
Fissati due qualunque di questi parametri si possono determinare gli altri due.
Il problema del dimensionamento del circuito aperto si risolve se, scelta la velocità massima e
imposta la caduta di pressione per perdite distribuite13, si trova, nota la lunghezza geometrica reale l
del ramo, la perdita specifica ψ = ∆pd/l.
Dall’abaco corrispondente al caso in esame si determina il diametro (commerciale o equivalente)
corrispondente.
Poiché quasi mai il punto di selezione nell’abaco corrisponde ad un diametro commerciale allora
occorre scegliere o il diametro inferiore o quello superiore.
Nel primo caso si avranno velocità e perdite specifiche maggiori di quella inizialmente imposta e
nel secondo caso si ha l’opposto.
Fissato il diametro commerciale desiderato si può adesso calcolare la caduta di pressione per le
resistenze concentrate e verificare che sia:
∆p = ∆pd + ∆pc [61]
Qualora questa condizione non sia rispettata occorre ripetere il calcolo con nuovi valori di
tentativo per ∆pc fino a quando la [61] è verificata.
Spesso i circuiti aperti collegano ambienti a quote diverse, come riportato in Figura 37, allora si
può riportare in diagramma (vedi grafico in basso di Figura 37) in funzione della portata sia la caduta
di pressione (espressa in metri come nell’equazione [16]) che la variazione di quota.
Poiché le perdite di pressione sono proporzionali (vedi [21]) al quadrato della portata ne segue
che tale curva è una parabola che parte dalla quota gravimetrica z0 iniziale (vedi ancora Figura 37).
13 Poiché sussiste il problema implicito delle perdite localizzate funzioni del diametro, si può in una prima fase
assegnare un’aliquota della caduta di pressione alle perdite distribuite che sappiamo dipendono dalla lunghezza reale del
circuito. Ad esempio si può, inizialmente, assegnare il 40% della ∆p alle sole perdite distribuite e quindi la ψ diviene
immediatamente nota.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 35
Figura 33: Abaco per la selezione dei diametri equivalenti dei canali rettangolari
H
2
P
1
14 Negli impianti termici per il riscaldamento per l’edilizia si hanno tre distinte fasi da realizzare: generare il calore
necessario a riscaldare gli ambienti, trasportarlo in modo che ogni ambiente abbia la quantità necessaria e infine cederlo
agli ambienti. Ogni fase, apparentemente distinta dalle altre, condiziona il corretto funzionamento degli impianti. E’
perfettamente inutile generare più calore se non si è in grado di trasportarlo agli ambienti perché la rete di distribuzione è
sottodimensionata. Così pure è inutile trasportare più energia di quanto i terminali (ad esempio i radiatori) non riescono a
cedere agli ambienti. Nei circuiti idrici questi problemi non si hanno perché le reti di distribuzione debbono solamente
trasportare quanto necessario per i fabbisogni nei singoli ambienti.
15 L’Allievo tenga presente che nella figura mancano molti componenti circuitali che per semplicità non sono stati
Q1 Q3
B D R3
R1
Circuito 1 Circuito 2
E Q4
C Q2 R4
R2 G
F
C 1 2
H
P
Figura 41: Rete di distribuzione
La pompa di circolazione, P, è unica e pertanto la differenza di pressione che essa può
generare è unica. Ne deriva che entrambi i circuiti debbono avere la stessa caduta di pressione, cioè il
fluido partendo dalla bocca premente, 1, e ritornando nella bocca aspirante, 2, deve subire sempre la
stessa caduta di pressione. I percorsi qui possibili sono ben quattro:
⋅ Circuito 1: 1-A-B-R1-F-H-2- P
⋅ Circuito 1: 1-A-C-R2-F-H-2- P
⋅ Circuito 2: 1-A-D-R3-G-H-2- P
⋅ Circuito 2: 1-A-E-R4-G-H-2- P
A differenza di quanto avviene perle reti idriche nelle quali la portata è imposta dai fabbisogni
richiesti nei punti di utenza, le reti tecnologiche debbono trasportare energia mediante il fluido di
lavoro. Se, seguendo l’esempio di una rete per riscaldamento domestico di Figura 41, si utilizza acqua
calda, allora l’energia che essa trasporta è data dalla relazione:
Q = c p mɺ ∆T [63]
ove vale il solito simbolismo e con ∆T si indica la differenza di temperatura del fluido fra la
mandata e il ritorno. La [63] ci dice che se vogliamo fornire ad ogni radiatore la potenza richiesta (Q1,
Q2,Q3,Q4) occorre che la portata d’acqua, per determinato ∆T che qui supponiamo costante16 per
semplicità, sia quello che l’applicazione della [63] comporta.
Si deve, in definitiva, fornire a ciascun radiatore la portata necessaria:
Q
mɺ = [64]
c p ∆T
RAMO PORTATA
1-A m’’1+m’’2+m’’3+m’’4
A-D m’’3+m’’4
D-R3 m’’3
R3-G m’’3
G-H m’’3+m’’4
H-2 m’’1+m’’2+m’’3+m’’4
2-P m’’1+m’’2+m’’3+m’’4
D-E m’’4
E-R4 m’’4
R4-G m’’4
A-B m’’1+m’’2
B-R1 m’’1
R1-F m’’1
F-H m’’1+m’’2
B-C m’’2
C-R2 m’’2
R2-F m’’2
Tabella 10: Calcolo delle portate nei singoli rami
Adesso il problema del progetto della rete è quello di determinare i diametri dei singoli condotti
in modo che si abbiano le portate desiderate nei singoli rami. Si hanno due criteri principali che
possono essere adottati e che qui brevemente si illustrano.
Metodo del ramo Principale
Il criterio qui seguito per il dimensionamento della rete è noto come metodo del ramo
principale e consiste nel ritenere ogni circuito indipendente dagli altri, salvo le congruenze di portate e
pressioni, e di calcolare i circuiti partendo da quello più sfavorito. Il circuito più sfavorito è di solito
quello di maggiore sviluppo in lunghezza ma questa regola non è sempre verificata poiché si possono
avere circuiti di minore lunghezza ma con resistenze localizzate di maggior peso. Più correttamente si
può dire che il circuito più sfavorito è quello che ha la maggiore lunghezza equivalente.
Sfortunatamente la lunghezza equivalente non è calcolabile a priori poiché non sono noti i
diametri dei condotti e quindi il criterio guida per la scelta rimane quello della maggiore lunghezza
geometrica, salvo poi a verificare l’ipotesi fatta calcolando le lunghezze equivalenti. Il circuito più
sfavorito viene dimensionato con uno dei criteri che si illustreranno nel prosieguo (a velocità costante o
a perdita specifica di pressione costante). Dopo il dimensionamento di questo circuito molti rami
della rete sono già dimensionati e sono note le pressioni in corrispondenza dei nodi comuni al circuito
più sfavorito e pertanto si possono dimensionare gli altri circuiti (in genere la parte restante dei rami
non comuni dei vari circuiti) con gli stessi criteri di progettazione.
Criterio a velocità costante
In questo caso si fissa la velocità massima che si desidera avere in ogni ramo, così come indicato
nel §1.7, e allora si può utilizzare l’abaco delle perdite specifiche di Figura 35: la portata è nota e
pertanto imponendo la velocità si determina il punto interno all’abaco cui corrisponde un diametro
(non è detto che sia quello commerciale!) e la perdita specifica di pressione corrispondente.
In Figura 42 si ha un esempio di applicazione del metodo esposto: si può osservare come,
scegliendo un diametro commerciale minore di quello teorico si ha una perdita specifica maggiore e
viceversa con la scelta del diametro commerciale maggiore.
Anche la velocità nel condotto varia con la scelta del diametro commerciale in modo concorde
alla perdita specifica. Di solito è opportuno scegliere i diametri maggiori per i tratti di circuito che
portano maggiori portate (ad esempio nei rami 1A, A-D, G-H, H-2) mentre è conveniente scegliere i
diametri minori nei rami terminali (compatibilmente con le esigenze di rumorosità ambientale).
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 42
Ripetendo lo stesso procedimento per tutti i rami dei due circuiti si ottiene una nuova tabella
contenente i diametri selezionati, le velocità e le perdite specifiche effettive. Adesso è possibile
valutare le perdite localizzate di ciascun ramo (curve, gomiti, derivazioni, valvole, radiatori, caldaie,
…..) secondo quanto indicato nella Figura 11. Alla fine siamo in grado di conoscere le perdite totali
(distribuite più localizzate) di ciascun ramo:
(
∆pramo = ψ L + ∑ ramo ∆pdistr . = ψ L + ∑ i del ramo l 'i ) [65]
Sommando le perdite totali di ogni ramo di ciascun percorso dei due circuiti si ottengono le
perdite di pressione calcolate secondo lo schema seguente:
⋅ Circuito 1: 1-A-B-R1-F-H-2- P: ∆p1 = ∑ circuito −1− percorso −1 ∆pti
⋅ Circuito 1: 1-A-C-R2-F-H-2- P ∆p2 = ∑ circuito −1− percorso − 2 ∆pti
⋅ Circuito 2: 1-A-D-R3-G-H-2- P ∆p3 = ∑ circuito − 2− percorso −1 ∆pti
⋅ Circuito 2: 1-A-E-R4-G-H-2- P ∆p4 = ∑ circuito − 2 − percorso − 2 ∆pti
Ben difficilmente si ottengono ∆p eguali (come richiesto dall’unicità della pompa).
Di solito i circuiti più corti hanno perdite distribuite minori per la [65] e quindi (assumendo che
ogni ramo terminale serva un radiatore e quindi il numero e tipologie d resistenze localizzate sia
sostanzialmente equivalente) le perdite di pressione totali dei percorsi più brevi sono inevitabilmente
minori di quelle relative ai circuiti di maggior lunghezza.
Il risultato di questa incongruenza è facilmente prevedibile: si tratta, come si può osservare nella
Figura 41, di circuiti in parallelo ai capi della pompa (che è quella che crea la differenza di pressione
positiva) e quindi se ∆p è unica il circuito che offre minore resistenza totale avrà una portata maggiore
degli altri circuiti (in generale si hanno più circuiti) secondo quanto visto nel §1.5.2.
Di conseguenza la distribuzione delle portate non è più quella di progetto indicata nella Tabella
10 ma una nuova (e soprattutto diversa) che comporta uno squilibro nel funzionamento dei radiatori
(per quanto detto in precedenza).
Nasce quindi la necessità di equilibrare la rete di distribuzione cioè di fare in modo che le
cadute totali di pressione in tutti i percorsi dei vari circuiti siano eguali e pari a quelle di progetto. Per
fare ciò si utilizzano opportune valvole dette di taratura che provocano perdite di pressione localizzate
note in funzione di una ghiera tarata (vedi §1.16).
Pertanto è bene inserire (anche in fase di progetto) questo tipo di valvole nei vari rami dei circuiti in
modo da potere poi effettuare correttamente l’equilibratura della rete.
Si badi bene che non è necessario misurare le portate per effettuare l’equilibratura della rete.
Se si fa in modo che negli ambienti si abbia la temperatura desiderata (di progetto) allora vuol dire
che i radiatori stanno fornendo il calore necessario per soddisfare il carico termico e quindi, poiché
deve essere Q = mc ɺ p ∆t , che la portata di acqua calda ricevuta è quella giusta. Dall’abaco
corrispondente al caso in esame si determina il diametro (commerciale o equivalente) corrispondente.
Poiché quasi mai il punto di selezione nell’abaco corrisponde ad un diametro commerciale allora
occorre scegliere o il diametro inferiore o quello superiore.
Nel primo caso si avranno velocità e perdite specifiche maggiori di quella inizialmente imposta e
nel secondo caso si ha l’opposto.
Fissato il diametro commerciale desiderato si può adesso calcolare la caduta di pressione per le
resistenze concentrate e verificare che sia:
∆p = ∆pd + ∆pc [66]
In genere è meglio scegliere prima il circolatore e poi fare in modo che la rete sia soddisfatta dal
∆p generato, come vedremo con il metodo a perdita specifica costante.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 43
Figura 42: Esempio d’uso dell’abaco delle perdite specifiche con velocità costante imposta
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 44
Figura 43: Esempio d’uso dell’abaco con il metodo della perdita specifica costante
Metodo a perdita specifica di pressione costante
Questo metodo è certamente più equilibrato del precedente anche se leggermente più laborioso.
Se scegliamo prima il circolatore, in base all’esperienza di progettazione e alla tipologia di
impianto, allora si deve ottenere l’eguaglianza:
∆p = ∆pd + ∆pc [67]
In questa equazione non è possibile conoscere le perdite concentrate ∆pc perché esse
dipendono dal diametro delle tubazioni (vedi §1.4.2) mentre le perdite distribuite, ∆pd, possono essere
calcolate mediante la relazione:
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 45
Rami Circuito
∆pd = ∑
i =1
ψ i Li [68]
Si osserva immediatamente che, se conoscessimo a priori ∆pd potremmo scrivere, per ogni
circuito:
∆pd
ψ media = Rami Circuito [69]
∑ Li i =1
17Si ricordi che noto il ∆p della pompa e fissata la percentuale presunta per le perdite distribuite, ad esempio il
40%, si determina univocamente ∆pd disponibile.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 46
Figura 48: Esempio di distribuzione dell’acqua calda con collettore complanare in un appartamento
Figura 53: Vista assonometrica del piping per una centrale termica
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 51
Figura 54: Vista assonometrica di una centrale termica con piping interno
1.11 COMPONENTI DI UNA RETE DI DISTRIBUZIONE AD ACQUA
La realizzazione di una rete di distribuzione ad acqua è ben diversa dalla progettazione teorica,
come descritto nei precedenti paragrafi. Quando si costruisce una rete di distribuzione tecnologica
occorre fare i conti con effetti particolari dovuti al bilanciamento non perfetto, all’accoppiamento fra
circuiti, alla regolazione della rete (spesso molto vasta e complessa con migliaia di rami).
Per ottenere gli effetti teorici desiderati (cioè che ad ogni terminale arrivi la portata teorica di
acqua calda o fredda alla temperatura desiderata) occorre inserire alcuni componenti fondamentali e
assolutamente necessari che verranno descritti nei prossimi paragrafi.
Si tratta di componenti di reti (fitting) di tipo commerciale per la cui presentazione si è
ampiamente e volutamente fatto ricorso a dati tecnici reperibili nei manuali tecnici pubblicati dai vari
Costruttori e ai quali si rimanda per altri approfondimenti.
1.11.1 COLPI DI ARIETE NELLE RETI DI DISTRIBUZIONE
Sono colpi forti e in rapida successione che si generano nelle condotte chiuse quando il fluido è
frenato o accelerato in tempi molto brevi: ad esempio quando si chiude rapidamente un rubinetto, oppure
quando si avvia o si arresta una pompa. Sono colpi provocati dall’energia, ceduta o sottratta al fluido,
quando si varia la sua velocità.
L’intensità dei colpi d’ariete idraulici dipende da fattori complessi da determinare e da collegare
fra loro. Tuttavia (considerando l’ordine delle grandezze in gioco) possiamo ritenere che la sovrappressione
massima indotta da un colpo d’ariete sia data da:
2vl
∆p =
g ∆t
ove si ha:
⋅ ∆P = sovrappressione del colpo d’ariete, (m c.a)
⋅ v = velocità dell’acqua, m/s
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 52
È una soluzione che prevede la messa in opera sui collettori di piccoli ammortizzatori a molla.
Con simile soluzione si sposta l’azione di smorzamento dei colpi d’ariete dalla sommità delle colonne
all’interno delle cassette di distribuzione.
Per evitare pencolamenti della valvola e rese inadeguate dei terminali, questi circuiti devono
poter funzionare a portata costante (quella di progetto). È però questa una prestazione che un
normale circuito di regolazione non può dare, perchè la sua valvola, agendo come uno spartitraffico
mobile, modifica continuamente i flussi del fluido e quindi le portate dei vari tratti di circuito.
Ad esempio (con riferimento allo schema della Figura 60) la portata nel circuito terminali sarà:
⋅ minima con valvola aperta: la pompa deve vincere le resistenze sia del circuito terminali, sia del
circuito caldaia;
⋅ massima con valvola chiusa: la pompa infatti deve praticamente vincere solo le resistenze del
circuito terminali;
⋅ intermedia con valvola modulante.
Pertanto tutti i terminali si trovano ad una pressione esterna praticamente identica.
Bilanciamento con valvole di taratura
Nel caso di bilanciamento con valvola di taratura questo si ottiene ponendo una valvola di
taratura sul by-pass di regolazione, regolandola in modo che essa contrasti il passaggio del fluido con
resistenze pari a quelle del circuito caldaia. Il circuito presenta così le stesse resistenze sia con valvola
aperta, che con valvola chiusa. Pertanto, sia con valvola aperta che con valvola chiusa, funziona a
portata costante. Si può ritenere che funzioni a portata costante anche con valvola modulante, pur
essendo questa deduzione un po’ arbitraria e non del tutto vera. Dal punto di vista pratico, il sistema
di bilanciamento con valvola di taratura presenta due inconvenienti:
⋅ 1. esige una corretta taratura della valvola (cosa non sempre agevole);
⋅ 2. può essere facilmente starato.
Possiamo quindi, in base ad una simile correlazione, assumere il ∆P come indice atto a valutare
l’interferenza fra i circuiti. Ed è questo un indice di grande utilità pratica, perchè ci consente di
valutare (numericamente e in modo molto semplice) l’intensità di un fenomeno altrimenti molto
difficile e complesso da rappresentare quantitativamente.
Non è possibile stabilire con precisione valori al di sotto dei quali si può ritenere accettabile il
∆P: cioè valori, al di sotto dei quali l’interferenza fra i circuiti non causa evidenti irregolarità di
funzionamento. Tali valori dipendono infatti da troppe variabili, e sono legati anche al tipo di pompe
utilizzate. Si possono tuttavia ritenere generalmente accettabili ∆P inferiori a 0,4÷0,5 m c.a.
Valori più elevati (e non è raro trovare centrali con ∆P di 1,5÷2,0 m c.a.) possono invece
provocare gravi inconvenienti. Gli inconvenienti di maggior rilievo possono essere così riassunti:
Pompe che non riescono a dare la portata richiesta
È una grave disfunzione che succede soprattutto negli impianti in cui ci sono sia pompe grandi,
sia pompe piccole. In questi impianti, infatti, spesso le pompe piccole non riescono a “farcela” perchè
(come visto in precedenza) devono spendere troppe energie per vincere l’azione contraria delle pompe
più grandi. Ce la possono fare solo se viene disattivata una o più pompe degli altri circuiti, cioè solo se
diminuisce il ∆P contrario indotto dalle altre pompe. Ma di certo questa non è una soluzione
generalmente perseguibile.
Pompe che si bruciano facilmente
È una disfunzione legata al fatto che le interferenze fra i circuiti possono portare le pompe a
lavorare fuori campo, vale a dire in condizioni che portano le pompe stesse a bruciarsi facilmente.
Radiatori caldi anche a pompa ferma
Come l’anomalia è dovuta alle correnti parassite inverse generate dalle pompe attive. Va
considerato che fenomeni simili possono succedere anche per circolazione naturale o per circolazione
nei by-pass con valvole di regolazione chiuse.
Quando è dovuta ad un elevato ∆P fra i collettori, questa anomalia presenta però caratteristiche
specifiche che la fanno riconoscere facilmente: i radiatori hanno superfici calde in modo irregolare e i
loro attacchi di ritorno sono più caldi di quelli di mandata: logica conseguenza del fatto che i radiatori
sono riscaldati con correnti di senso inverso a quello previsto.
Altre anomalie
Accanto alle anomalie segnalate, ce ne sono altre, magari meno visibili, ma non per questo meno
importanti. Anomalie che possiamo riassumere con una semplice constatazione: ben difficilmente gli
impianti tradizionali con elevato ∆P tra i collettori (cosa che succede quasi sempre negli impianti
medio-grandi) possono lavorare nelle condizioni di progetto previste: cioè nelle condizioni ottimali.
Uso del separatore idraulico per azzerare le interferenze fra i circuiti
Per giustificare la fondatezza di questa tesi, possiamo considerare l’impianto sotto riportato e
dimostrare che il suo ∆P fra i collettori è praticamente sempre uguale a zero.
In vero si tratta di una dimostrazione abbastanza facile. Infatti, come visto in precedenza, a
pompe attive il ∆P fra i collettori è uguale alla pressione che le pompe devono spendere per far
passare il fluido dal collettore di ritorno a quello di andata: pressione che, nel caso in esame, è
praticamente nulla perchè il fluido, per passare da un collettore all’altro, deve vincere solo le resistenze
del separatore, vale a dire resistenze sostanzialmente nulle, dato che il separatore altro non è che un
largo by-pass fra i collettori.
Dunque, con questa specie di uovo di Colombo, si può evitare, in modo molto semplice, il
nascere di qualsiasi interferenza fra i circuiti e pertanto si possono evitare tutti i problemi connessi.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 61
Figura 71: Esempio di piping di una centrale termica con un moderno CAD termotecnico
Figura 72: Esempio di dettagli costruttivi per il piping di centrale con un moderno CAD
G = KA∆p 0.5
F = ∆p A0
F = Ks X
ove si ha il seguente simbolismo:
⋅ G portata del fluido;
⋅ K coefficiente di equilibrio;
⋅ A Sezione di passaggio del fluido;
⋅ F Forza;
⋅ ∆p Pressione differenziale;
⋅ A0 Superficie della testa del pistone;
⋅ Ks Costante caratteristica della molla;
⋅ X spostamento del pistone.
Elaborando opportunamente le relazioni precedenti si arriva a definire la geometria che deve
avere la sezione di passaggio del fluido affinché la portata rimanga costante al variare della pressione
differenziale., come si può osservare in Figura 73. A seconda della portata nominale e del campo di
pressione differenziale di lavoro, cambiano le forme e le dimensioni delle sezioni di passaggio. Queste
sono legate naturalmente alle dimensioni di ingombro complessive del regolatore stesso. Per questo
motivo i regolatori Autoflow vengono costruiti con forme e grandezze differenti. Il funzionamento
del dispositivo Autoflow può essere meglio compreso facendo riferimento alla curva ∆p-G e ad uno
schema di base che evidenzino l'andamento delle grandezze in gioco. Si hanno tre casi possibili.
Flusso sotto il campo di lavoro
In questo caso il pistone di regolazione resta in equilibrio senza comprimere la molla e offre al
fluido la massima sezione libera di passaggio. In pratica il pistone agisce come un regolatore fisso
e,quindi,la portata che attraversa l'Autoflow dipende solo dalla pressione differenziale.
Figura 79: Bilanciamento con autoflow in impianti con valvole a tre vie
Figura 80: Regolazione con autoflow delle batterie con valvole a tre vie
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 67
Inoltre, nel caso di valvole a tre vie modulanti, esso mantiene costante la portata complessiva
anche nelle posizioni intermedie dell’otturatore della valvola.
I dispositivi Autoflow vanno installati sulla tubazione di ritorno del circuito. Gli Autoflow
consentono di mantenere costanti le portate dei circuiti di distribuzione sia a valvole aperte, sia a
valvole chiuse.
Inoltre, nel caso di valvole a tre vie modulanti, esso mantiene costante la portata complessiva
anche nelle posizioni intermedie dell’otturatore della valvola.
Figura 81: Regolazione con valvole a due vie e pompa a velocità variabile
I disconnettori possono essere con o senza prese di pressione. Quelli con prese di pressione
consentono di verificare il funzionamento o meno delle valvole di ritegno e del meccanismo di
scarico.
1.11.6 VALVOLE DI RITEGNO
Sono valvole che servono a consentire il passaggio del fluido in un solo senso. Possono essere
così classificate:
⋅ Valvole a battente o a clapet,
⋅ Valvole a disco o a tappo,
⋅ Valvole a sfera,
⋅ Valvole a fuso.
Le loro caratteristiche principali sono descritte nei manuali tecnici dei vari Costruttori.
Valvole a clapet
Sono caratterizzate dall’avere un otturatore a battente (o a clapet) incernierato al corpo valvola.
Il flusso normale mantiene aperto il battente, mentre il suo peso e il contro-flusso lo mandano
in chiusura. Sono utilizzate dove si richiedono basse perdite di carico.
Le normali valvole a battente provocano vibrazioni e farfallamenti nei regimi idraulici variabili.
In tali regimi è bene installare valvole speciali con battente equilibrato a contrappeso.
Nota: La messa in opera di queste valvole deve essere fatta in modo che l’otturatore resti chiuso
in assenza di flusso.
Le applicazioni di questo circuito (specie nel tipo a sviluppo lineare) sono limitate soprattutto
dai suoi costi relativamente elevati. In molti casi, il bilanciamento delle derivazioni di rete può essere
ottenuto più convenientemente con valvole di taratura o con limitatori di portata.
La funzione di una rete di canali è di convogliare l’aria dalla centrale di trattamento ai vari locali
da condizionare. Per assolvere questa funzione nel migliore dei modi, la rete di distribuzione deve
essere progettata avendo presente diversi fattori, quali: lo spazio a disposizione, le perdite di carico, la
velocità dell’aria, il livello di rumorosità, le rientrate e le dispersioni di calore, le fughe per la non
perfetta tenuta.
Per i canali di mandata e di ripresa, lo spazio disponibile per la loro sistemazione e l’aspetto
estetico determinano, molto spesso, il progetto ed impongono, a volte, un tipo di impianto.
Negli alberghi e negli uffici, con una disponibilità di spazio limitata, l’impiego di terminali ad
induzione con canali d’aria circolari ad alta velocità può risultare spesso, a parte ogni altra
considerazione, la soluzione migliore.
Nei grandi magazzini o nei grossi centri commerciali già esistenti, l’impianto può richiedere dei
canali in vista appesi al soffitto. In questo caso sono particolarmente consigliati dei canali a sezione
rettangolare costante che assumono l’aspetto di travi.
Per ottenere questo risultato, i canali dovranno essere esternamente lisci e ridotti al massimo i
cambiamenti di sezione.
Negli impianti industriali, l’ingombro e l’aspetto estetico dei canali assumono un’importanza
secondaria. Anche per questi impianti, comunque, spesso il canale a forma rettangolare rappresenta la
soluzione migliore e più economica.
Le canalizzazioni, possono essere dimensionati, analogamente a quanto visto per le reti ad
acqua, con i metodi a velocità costante , perdita specifica di pressione costante e con un nuovo
metodo, valido solo per i canali d’aria, detto a recupero di pressione (vedi nel prosieguo).
In questo caso, però, occorre tenere conto che la distribuzione dell’aria trova i terminali alla
stessa pressione, quella ambientale.
Metodo a velocità costante per i canali d’aria
Nel primo caso si procede sostanzialmente come già indicato per le tubazione dell’acqua. La
portata da immettere in ogni ambiente tramite i terminali (bocchette di mandata o diffusori) è
calcolata in proporzione al carico termico dell’ambiente rispetto a quello totale.
Q
mɺ i = mɺ 0 i [70]
Q0
con Qi carico totale dell’ambiente i.esimo, Q0 carico totale dell’edificio, mɺ 0 portata massica totale
dell’edificio dell’aria, mɺ i portata massica dell’aria nell’ambiente i.esimo.
Note le portate nei tronchi terminali18 si calcolano le portate nei tronchi principali. Si impone la
velocità in ogni tronco avendo cura di scegliere il valore più opportuno contemperando le esigenze di
economicità della rete con quelle dell’efficienza e della silenziosità. I valori consigliati, per edifici civili,
sono i seguenti:
Velocità minima (m/s) Velocità massima (m/s)
Tronchi principali 4 8
Tronchi secondari e terminali 2 4
Tronco in partenza dalla soffiante 4 16
Tabella 12: Valori consigliati delle velocità dell’aria nei canali
Utilizzando l’abaco di Figura 36 per l’aria si determina, note le coppie ( mɺ i , wi) il diametro
equivalente, Deq, e la perdita specifica di pressione ψi di ogni ramo.
Noto il diametro equivalente si determinano le dimensioni a e b della sezione rettangolare
equivalente (a parità delle perdite di pressione) mediante la relazione:
( a ⋅ b)
0,625
ove una delle dimensioni deve essere fissata a priori. Di solito si impone l’altezza a del canale
per motivi di ingombro (controsoffitto) e quindi la precedente relazione consente di calcolare b. I Valori
usuali delle dimensioni dei canali variano a modulo di 50 mm. Pertanto determinata la sezione
rettangolare finale occorre ricalcolare il Deq mediante la [71] e poi, tramite l’abaco per l’aria, riottenere i
valori finali della velocità e della perdita specifica di pressione.
Fatti i calcoli per ogni circuito occorre poi calcolare le effettive pressioni a monte delle
bocchette di mandata ed inserire delle serrande di regolazione in modo che ogni bocchetta (o
anemostato) abbia la differenza di pressione necessaria per il lancio e la velocità di uscita desiderati. La
soffiante dovrà fornire, per la portata totale, un ∆p capace di far fronte alle perdite nei canali di
distribuzione e nelle apparecchiature interne alla centrale di trattamento aria.
Queste cadute di pressione (per le batterie calde e/o fredde, per l’umidificatore, il separatore di
gocce, filtri, …) sono fornite dai costruttori delle stesso apparecchiature e sono riportate in abachi
specialistici nei manuali tecnici.
La variazione delle pressioni statiche può allora compensare la diminuzione delle pressioni
dinamiche. Il recupero di pressione statica vale allora:
w − w2
2 2
∆precuperata = ρ 1
2
Nella pratica non tutta la variazione di pressione statica viene recuperata anche per effetto delle
perdite di pressione nella variazione di sezione (Borda Carnot) e della variazione di direzione dei filetti
fluidi. E’ uso comune assumere che solo il 75% della pressione venga recuperata.
Il metodo detto a recupero di pressione si applica solo ai canali per l’aria negli impianti di
climatizzazione.
In corrispondenza degli allargamenti bruschi il recupero di pressione statica è determinato,
come si è detto, dal rallentamento del fluido a valle, tuttavia in corrispondenza di diramazioni dei
canali (ove si ha una variazione della portata che si distribuisce fra i rami) si può fare in modo di avere
un recupero di pressione statica anche se a valle della diramazione si ha un restringimento della
sezione.
La velocità dell’aria nel canale viene ridotta in corrispondenza ad ogni diramazione (dove si ha
una variazione di portata di massa o volumetrica) in modo che la caduta di pressione nel tratto
susseguente alla diramazione sia bilanciata dalla conversione di pressione dinamica in pressione statica.
I rami a valle del primo (di solito quello susseguente alla soffiante) sono dimensionati, quindi,
facendo recuperare pressione statica (che diminuisce con le perdite di pressione) mediante la
conversione di pressione dinamica consente alla variazione della sezione del canale a valle.
In questo modo la pressione statica dei canali rimane costante e la rete è bilanciata. Si supponga
di avere una semplice rete di canali come illustrato in Figura 107.
Pertanto dal punto di intersezione si determinano la velocità a valle, w2, e la variazione della
pressione statica che dovrà bilanciare le perdite totali del ramo. Il primo tratto (L1) viene dimensionato
con uno dei due precedenti criteri (ad esempio a w = costante, cioè alla velocità imposta dal
ventilatore).
Il tratto a valle (L2) si dimensiona in modo che la sua velocità, w2, produca una variazione di
pressione dinamica recuperata per il 75% (ipotesi di partenza) e data dalla relazione:
w2 − w22
∆pdinamica = 0.75 1 ρ [72]
2
con velocità w espresse in [m/s].
Deve essere verificata l’eguaglianza:
w2 − w22
0.75 1 ρ = ( L + Leq )ψ ( w2 , Q )
2
con Q portata volumetrica dell’aria a valle della diramazione e ψ(w2,Q) funzione perdita di
pressione distribuita.
La metodologia di calcolo CARRIER (che qui non si dimostra) prevede il calcolo del parametro:
L
j = 0.61 [73]
Q
ove Q indica la portata volumetrica (m³/h) del tratto a valle ( Q = mɺ ( ρ ) ⋅ 3600 ). Noto il
parametri j si utilizza l’abaco della Figura 107 nel quale sono noti: la velocità del tratto a monte, w1
(m/s) e il parametro j. Assumendo l’ipotesi data dalla [72] sul recupero della pressione si può
utilizzare anche un metodo iterativo che può facilmente essere implementato su computer o su CAD
matematici19.
p
statica
p
dinamica
p
to ta le
1
p 2
d ina m ica
p
sta tica
Q2
Precupero = ⋅100 [76]
w1 − w2reale
2 2
ρ
2
20 Questa equazione è stata derivata da interpolazioni dell’abaco Carrier sul metodo a recupero di pressione.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 86
Figura 106: Abaco per il calcolo del recupero della pressione statica
Esempio di calcolo di progettazione a recupero di pressione
In Figura 107 si ha una rete di distribuzione d’aria per un impianto di condizionamento.
Applicando il criterio a recupero di pressione e a perdita specifica costante si hanno le seguenti
tabelle comparative.
Dati di rete Calcolo a ψ costante (ψ=2 Pa/m) Calcolo a recupero di pressione statica
Tratto Q w S=Q/3600/w w S=Q/3600/w
3 2
m /h (m/s) (m ) (m/s) (m2)
0-1 5500 10 0.15 10.0 0.15
1-2 5000 9 0.15 9.0 0.15
2-3 3000 8 0.10 6.6 .12
3-4 1000 6 0.04 4.1 0.07
Tabella 14: Esempio di calcolo di una rete di canali
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 87
3m 10m 7m 15m
5500 mc/h
5000 mc/h 1000 mc/h
10 m/s
Per i sistemi di distribuzione dell’aria ad alta velocità valgono le regole generali viste fino ad ora;
in più, occorre tener conto di alcune importanti considerazioni:
⋅ Il livello sonoro dell’impianto deve essere accuratamente controllato. Qualora i terminali non
siano muniti di dispositivi afonici, è necessario installare a valle degli eventuali dispositivi di
miscelazione dell’aria canali rivestiti all’interno di materiale fonoassorbente.
⋅ Negli impianti ad alta velocità si ricorre frequentemente all’uso di canali a sezione circolare
(realizzati mediante nastro metallico avvolto a spirale) per la facilità di assicurarne la tenuta e per
la loro rigidità.
⋅ Devono impiegarsi curve e raccordi a bassa perdita di carico, per evitare cadute di pressione
eccessive ed eventuale rumorosità.
⋅ Le modalità di dimensionamento e di costruzione dei canali ad alta velocità sono oggetto di
manuali specializzati, che il progettista dovrà tenere opportunamente presenti.
1.12.3 ISOLAMENTO DEI CANALI D’ARIA
Le rientrate e le dispersioni di calore attraverso i canali di mandata e di ripresa possono risultare
rilevanti. Queste si verificano non solo quando i canali attraversano ambienti non condizionati (estate)
o non riscaldati (inverno), ma anche nei tratti molto lunghi installati in ambienti climatizzati.
Il trasferimento di calore avviene in estate dall’ambiente esterno all’aria che circola nel canale ed
in inverno in senso inverso. Per semplicità faremo riferimento al funzionamento estivo, ma con ovvia
estensione a quello invernale.
Nel calcolo del bilancio termico estivo, occorre tener conto delle rientrate di calore che si
verificano nel tratto di canale che attraversa un locale non condizionato.
Esse comportano una maggiore potenza frigorifera dell’impianto e, molto spesso, richiedono
una maggiore quantità di aria da inviare all’ambiente.
Frequentemente, oltre al maggior quantitativo, viene richiesta una temperatura più bassa dell’aria
di mandata.
Per ridurre le rientrate di calore, a volte può essere necessario modificare l’iniziale ripartizione
del quantitativo d’aria ai terminali. Inoltre, si è verificato che:
⋅ 1. le rientrate di calore maggiori si verificano nei canali che presentano il coefficiente di forma
più alto;
⋅ 2. canali con piccole portate, a bassa velocità, presentano le più elevate rientrate di calore;
⋅ 3. l’isolamento del canale riduce le rientrate: ad esempio, un rivestimento isolante con
coefficiente di trasmissione k = 0.7, ridurrà del 90% circa le rientrate di calore.
Se ne deduce facilmente che progettare i canali con il più basso coefficiente di forma e con una
velocità relativamente elevata serve a diminuire le rientrate di calore, così come si rivela molto utile
l’utilizzo di un isolante.
Con particolare cura si deve ovviamente evitare il fenomeno della condensazione sulla superficie
fredda dei canali, che si verifica quando la loro temperatura superficiale scende sotto la temperatura di
rugiada dell’aria dell’ambiente considerato: a questo punto si vede come un opportuno isolamento
delle condotte sia praticamente indispensabile.
La coibentazione delle condotte si realizza generalmente con feltri di fibra di vetro dello
spessore di 30 mm, avvolti all’esterno e finiti superficialmente con un foglio di plastica o di alluminio.
Non sono più accettabili gli isolamenti interni alle condotte, realizzati con fibre di vetro e film di
protezione, perché, nell’ipotesi di sfaldamento della protezione, le fibre vengono messe in circolo
nell’ambiente.
1.13 USO DI PROGRAMMI DI CALCOLO
Oggi non è difficile utilizzare programmi di calcolo che facilitano il progetto delle reti di
distribuzione secondo uno dei due metodi di calcolo anzidetti. Si possono anche utilizzare semplici
fogli elettronici nei quali si impostano le fasi di calcolo prima descritte.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 89
ovvero:
mɺ 1.75
ψ = 14.68ν 0.25 ρ (mm c.a. / m) [78]
d 4.75
con d in (mm), ν in (m2/s), ρ in (kg/m3) e portata in (kg/s) per il S.I. e (litri/ora) nel S.T.
Si ricordi che per l’acqua sia ρ che ν variano con la temperatura. Ad esempio si hanno:
Temperatura (°C) Viscosità cinematica ν (m2/s) Densità ρ (kg/m3)
10 1.30 10-6 999.6
80 0.39 10-6 971.1
Tabella 16: Parametri termofisici per l’acqua
Relazione di Hazen Williams
Per calcolare la perdita di pressione specifica si può usare la relazione di Hazen Williams
seguente:
6.05 mɺ 1.85 109
ψ=
C 1.85 d 4.87
Con:
⋅ mɺ portata del fluido, [l/m];
⋅ ψ Perdita specifica di pressione, [mm.ca/m];
⋅ d diametro della tubazione, [mm];
⋅ C costante funzione del tipo di tubazione:
⋅ C=100 tubi in ghisa
⋅ C=120 tubi in acciaio
⋅ C=140 tubi in rame
⋅ C=150 tubi in plastica.
Dalla stessa relazione, nota ψ, si può calcolare il diametro della tubazione con la relazione:
0.205
6.05 mɺ 1.85 109
d =
C ψ
1.85
Queste due relazioni possono essere utilizzate in sostituzione delle precedenti.
Verifiche di funzionalità
Quanto sopra esposto si riferisce al puro calcolo delle reti di distribuzioni dell’acqua calda e/o
fredda. Nulla si è detto circa la verifica di funzionalità dell’impianto di distribuzione.
Il calcolo della portata di fluido è effettuata con la relazione
Q
mɺ =
c p ∆T
In queste condizioni la potenza ceduto dal corpo scaldante è quella nominale (vedi Tabella 17).
Nel caso in cui si abbia un ∆T fra corpo scaldante ed ambiente diversa da 50 °C (valore nominale) allora
occorre apportare la correzione seguente:
n
50
QNom = QEff
∆Treale
per calcolare l’effettiva potenza ceduta dal corpo scaldante. Così, ad esempio, se si alimenta un
radiatore a 70 °C e la temperatura di ritorno è 60 °C risulta la ∆Tmedia= 65 °C e quindi la ∆TCS-amb=
65-20 = 45 °C. In base al dati, ad esempio, della Tabella 19, si avrebbe per il TEMA 2-558 (prima riga)
n= 1.288 ed una variazione di potenza ceduta pari a:
1.288
QNom 50
= = 1.145
QEff 45
⋅ Vale il principio di conservazione della massa in corrispondenza dei nodi e pertanto la somma delle
portate entranti deve eguagliare le portate uscenti. Ogni equazione scritta per nodi diversi
consente di calcolare una portata incognita fra quelle indicate in bilancio. Per n nodi si hanno n
equazioni di bilancio indipendenti che consentono di risolvere n incognite:
u i
∑ mɺ j =∑ mɺ j
j =1 j =1
[81]
⋅ ove con u si è indicata l’uscita e con i l’ingresso. Per la rete di Figura 112 si possono scrivere, per
i tre nodi che la compongono, le seguenti equazioni di bilancio:
mɺ 12 + mɺ 13 = mɺ 1
mɺ 2 + mɺ 23 = mɺ 12
mɺ 3 + mɺ 13 = mɺ 23
e quindi si possono calcolare tre portate incognite delle sei indicate.
⋅ La pressione è univocamente determinata qualunque sia il percorso seguito per arrivare ad un nodo.
Per ogni tratto a portata uniforme si può scrivere l’equazione di Bernoulli e pertanto per
l’esempio di Figura 112 si hanno le equazioni:
w22 − w12
Tratto 1 − 2 0 = v ( p2 − p1 ) + g ( z2 − z1 ) + + R12
2
w2 − w12
Tratto 1 − 3 0 = v ( p3 − p1 ) + g ( z3 − z1 ) + 3 + R13
2
w2 − w32
Tratto 3 − 2 0 = v ( p2 − p3 ) + g ( z2 − z3 ) + 2 + R23
2
ove con Rij si indica la generica resistenza al moto totale (concentrata più distribuita) del tratto i-j.
⋅ Le resistenze al moto possono essere vinte fornendo una adeguata potenza meccanica tramite
pompe di circolazione e/o ventilatori per le quali vale l’equazione:
1 w2 − w12
−l = v ( p2 − p1 ) + 2
η 2
⋅ ove η è il rendimento idraulico (cioè per v uniforme) tra 1 e 2 con il quale si tiene conto delle
resistenze R12 nella macchina. Si determina il valore della potenza di pompaggio tramite la
relazione
P = mɺ ( −l )
⋅ note che siano la portata totale mɺ e le pressioni di aspirazione pi=p1 e di mandata pu=p2. Ciò
richiede di conoscere la distribuzione delle pressioni nella rete. In genere si ritiene che la
pressione sia nota a priori almeno in un punto.
Il calcolo delle reti si effettua utilizzando le proprietà anzidette tenendo conto che, di solito, in
fase di progetto si conoscono le portate presso gli utilizzatori e si debbono determinare i diametri dei
condotti mentre in fase di verifica si conoscono i diametri e si verificano che le portate agli
utilizzatori siano quelle desiderate.
In genere le grandezze sopra indicate sono insufficienti a risolvere il problema per cui occorre
tenere conto anche delle pressioni e della potenza della macchina operatrice (pompa o ventilatore).
Occorre inoltre fare delle ipotesi per calcolare le perdite di pressione Rji e in particolare occorre
ipotizzare la densità del fluido per potere calcolare i fattori di attrito e di Darcy.
Questi problemi sono stati ampiamente discussi nei vari metodi progetto illustrati nei paragrafi
precedenti.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 97
m2
m23
m12
1
m13 3 m3
m1
∆p1 n1
2
= [83]
∆p2 n2 2
3
Pa1 n1
= [84]
Pa 2 n23
v2 − v2
2 2
V V V2
∆p ≈ ρ u i ≈ ρ ≈ ρ 2 = ρ 4
2 S d d
pertanto per due ventilatori, 1 e 2, si ha:
2 4
∆p2 p2 V2 d1
= [86]
∆p1 p1 V1 d 2
La potenza assorbita dal ventilatore vale:
W = ∆p ⋅ V
allora per due ventilatori, 1 e 2, si ha:
3 4
W2 ∆p2 V2 V2 d1
= ⋅ = [87]
W1 ∆p1 V1 V1 d 2
Le precedenti relazioni consentono di calcolare i parametri di funzionamento di un ventilatore
note le condizioni operative di un secondo ventilatore equivalente.
1.15.4 SISTEMI A PORTATA D’ARIA VARIABILE (VAV)
Negli ultimi anni si sono imposti impianti di climatizzazione che si adattano alle variazioni del
carico ambiente mediante una variazione della portata d’aria inviata. Questi sistemi presentano un
minor consumo di energia rispetto agli impianti tradizionali anche se hanno alcuni inconvenienti che li
rendono non sempre utilizzabili, soprattutto in presenza di forti affollamenti o con grandi carichi
latenti.
Si osserva, infatti, che la portata effettiva durante la maggior parte dell’anno varia fra il 60% e
l’80% di quella massima e quindi i sistemi VAV consentono di ottenere risparmi significativi di
energia. I sistemi a portata d’aria variabile (VAV) fanno variare la portata immessa dai diffusori22 nei
singoli ambienti e pertanto questa azione si riflette sulla portata totale.
A seconda del tipo di ventilatore utilizzato si ha una corrispondente variazione di pressione (più
o meno rilevante) nella rete di distribuzione a monte dei diffusori.
Se si fa variare la portata dell’aria dal punto V1 al punto V2 (vedi Figura 121) il punto di
funzionamento del ventilatore si sposta dal punto A al punto B lungo la curva caratteristica
corrispondente alla velocità di rotazione n1. Quindi il punto di lavoro si trova nel punto di intersezione
di una nuova caratteristica del sistema corrispondente alla portata V2 con la curva caratteristica del
ventilatore n1, supponendo che non ci siano state variazioni della velocità di rotazione del ventilatore.
Si genera un eccesso di pressione statica, causato dalle diminuzioni delle perdite di carico del
sistema in seguito alla riduzione della portata d’aria, dato da:
∆psDA = ps 2 − ps 3
che dovrà essere assorbito, in genere, attraverso i diffusori. Ciò provoca due serie di
inconvenienti:
⋅ si generano problemi acustici nella diffusione;
⋅ si hanno sprechi energetici dovuti allo strozzamento.
Serranda di strozzamento sul premente
Per evitare questi inconvenienti si utilizzano serrande con strozzamento sul premente che ha lo
scopo di far variare la curva caratteristica del sistema creando perdite di carico supplementari.
L’eccesso di pressione statica anzidetto viene assorbito attraverso serrande all’uscita del
ventilatore: il punto di regolazione D viene determinato per una pressione statica superiore a quella
corrispondente alla pressione teorica del punto C.
22 Si tratta di particolari diffusori che consentono variazioni ampie di portata senza apprezzabili perdite di
funzionalità (lancio, ∆p, distribuzione,….)
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 105
Con questo margine di sicurezza si ha la certezza che la pressione a monte di tutti i diffusori, in
qualsiasi condizione di esercizio, sarà uguale (o superiore) al valore nominale.
Dp
Numero di giri
Potenza assorbita
Punto B Punto A
Curva caratteristica
Figura 121: Curve caratteristiche del ventilatore a pale in avanti e della rete
La riduzione della portata attraverso l’aumento delle perdite di carico del sistema porta
all’aumento della potenza assorbita dal ventilatore e ciò limita il risparmio energetico che deriverebbe
dal metodo VAV, indipendentemente dal fatto che la serranda di strozzamento sia montata sul
diffusore o sull’uscita del ventilatore.
Il metodo della serranda di strozzamento è indicato solo per ventilatori a pale in avanti ed è
assolutamente escluso per i ventilatori assiali. Le serrande di strozzamento sono montate sull’uscita del
ventilatore, verticalmente rispetto all’albero del ventilatore in modo da evitare il fenomeno della
stratificazione dell’aria. Il sistema della serranda di regolazione sul premente presenta un vantaggio
sostanziale nel fatto che è a basso costo.
Alette direttrici di prerotazione
Come metodo di regolazione dei sistemi VAV si può pensare di far variare la curva caratteristica
del ventilatore mediante alette direttrici montate sulla virola a monte del ventilatore. In questo modo si
modifica l’angolo di incidenza dell’aria sulla pala, spostando la curva caratteristica del ventilatore come
indicato in Figura 122.
I punti di intersezione della curva caratteristica del sistema con le nuove curve caratteristiche del
ventilatore, B e C, determinano i nuovi punti di funzionamento B’ e C’.
E’ opportuno determinare la curva di regolazione con un margine di sicurezza di circa 200 Pa
(punti B’’ e C’’): questo criterio è sempre valido con qualunque metodo di regolazione si desideri
effettuare.
La regolazione della portata d’aria immessa mediante la modifica della curva caratteristica del
ventilatore comporta la diminuzione della potenza specifica assorbita dal ventilatore proprio nella
fascia di funzionamento più interessante per un impianto a portata d’aria variabile.
Questo metodo è utilizzato soprattutto con ventilatori a pale rovesce e in ogni caso in cui si
hanno curve caratteristiche con notevoli pendenze.
Questo metodo di regolazione della portate in funzione dei fabbisogni offre il vantaggio di un
costo d’investimento relativamente contenuto pur con un buon rendimento nell’intero campo di
funzionamento del ventilatore.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 106
Dp
B
C A''
ps1
B'' A'
ps2
Curva del punto di regolazione C'' B'
ps3
p1 C'
p2
p3
Curva caratteristica della rete
V3 V2 V1 V
10 0
S e rra nd a d is tr o z z a m e n to
Potenza assorbita
50
%
50 P o rta ta A ria 10 0
Figura 123: Potenza assorbita dal ventilatore con i vari metodi di regolazione
Variazione della velocità di rotazione del ventilatore
Anche questo metodo tende a far variare la curva caratteristica del ventilatore facendo variare la
velocità di rotazione del motore (vedi Figura 124). Il punto A-C di funzionamento del ventilatore si
trova sul punto d’intersezione della curva caratteristica della rete con la curva caratteristica del
ventilatore corrispondente alla velocità di rotazione scelta.
La variazione della velocità di rotazione si ottiene sia mediante un motore a velocità variabile
oppure con un motore a velocità costante ma con un sistema di trasmissione a rapporto variabile
(trasmissione idraulica).
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 107
Dp
Curve caratteristiche del ventilatore
n1
n2
ps1
n3
ps2
ps3
Curva del punto di
regolazione
p1
p2
p3
Curva caratteristica della rete
V
V3 V2 V1
Dp
Ps1
P1 Curva del punto A
Ps2 di regolazione
P2 B
PS3
Ps4 C
P4
D
Curva Caratteristica della rete
V
V4 V3 V2 V1
Figura 125: Variazione del punto di lavoro con ventilatore a passo variabile
1.16 BILANCIAMENTO DELLE PORTATE
Metodo delle portate nominali
Quando si bilancia una rete di distribuzione variando le portate occorre variare la prevalenza
23
applicata mediante la relazione:
0.525
∆p
mɺ 1 = mɺ 1 [88]
∆p
ove si ha:
⋅ mɺ 1 portata di bilanciamento (nuovo valore da assegnare), (kg/s) o (L/h);
⋅ mɺ portata del circuito da bilanciare, (kg/s) o (L/h);
⋅ ∆p1 nuova prevalenza, (Pa) o (mm c.a)
⋅ ∆p prevalenza del circuito da bilanciare, (Pa) o (mm c.a)
La [88] si basa sull’ipotesi che le perdite di carico totali risultano dipendenti dalla portata di
fluido con potenza di valore 1.9. Questa relazione vale abbastanza bene per tubazioni (in acciaio o in
rame) per acqua. Il rapporto fra le portate:
mɺ
k= 1 [89]
mɺ
determina anche la variazione da applicare, per ogni derivazione o corpo scaldante della rete di
distribuzione, dopo il bilanciamento.
23 Con questo termine si indica anche la ∆p creata dalla pompa. Nel S.T. si suole indicarla in (mm. c.a) mentre nel
Figura 133: Esempio di rete a ritorno diretto con equilibratura dei circuiti
In Figura 134 si ha un esempio di calcolo delle cadute di pressione per i vari circuiti della rete di
distribuzione di acqua da un refrigeratori a 6 fan coil: si può osservare come il circuito relativo al fan
coil più lontano abbia una caduta di pressione di 20 lPa mentre quello più vicino ha una caduta di 10
kPa. Pertanto una rete a ritorno inverso può spesso essere squilibrata.
Figura 134: Cadute di pressione nei vari circuiti della rete a ritorno diretto
Nella stessa Figura 134 si ha l’indicazione di una valvola di taratura che deve provocare una
caduta di pressione pari alla differenza fra la caduta massima e quella del circuito in elaborazione.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 114
Inserimento di una valvola a tre vie miscelatrice con portata costante sul carico
L’inserimento di una valvola a tre vie miscelatrice può fornire una portata variabile sul carico
qualora la si monti come indicato in Figura 137. In questo caso la pompa è montata a valle della
valvola miscelatrice, nel ramo contenente il carico. In questo modo anche la pompa è attraversata da
una portata costante.
Figura 137: Circuito con valvola di regolazione a tre vie miscelatrice con portata costante sul carico
1.18 IMPIANTI A PORTATA VARIABILE CON REFRIGERATORI D’ACQUA
Gli impianti a portata variabile hanno il grande pregio di ridurre sensibilmente le spese di
pompaggio, specialmente in circuiti di grandi dimensioni nei quali le potenze in gioco non sono
trascurabili. In genere ancora oggi si tende a mantenere costante la portata nei refrigeratori d’acqua
facendo variare la portata nei circuiti secondari (che vedono i carichi). Una tale situazione è data in
Figura 138 ove si può osservare come i refrigeratori abbiano ciascuno la propria pompa di alimento
che assicura una portata costante e pari al valore nominale di ciascun refrigeratore. Il circuito
secondario, regolato con valvole a due o a tre vie, risulta a portata variabile.
Questa circostante è del tutto compatibile con il funzionamento del circuito primario
contenente i refrigeratori poiché i due circuiti sono disaccoppiati mediante l’inserimento di un bypass
a monte delle pompe del circuito secondario.
Il bypass deve evitare il mescolamento fra l’acqua fredda del primario e quella più calda del
secondario. Pertanto occorre inserire un dispositivo che impedisca l’inversione di flusso rispetto a
quello indicato in figura.
Si osservi che il ∆T dell’acqua del circuito secondario deve essere quello di progetto in modo
che i refrigeratori funzionino correttamente con la portata nominale. Per raggiungere questo scopo
occorre inserire opportuni sistemi di bilanciamento (e quindi di regolazione) dei terminali del
secondario. Qualora questa condizione non venisse rispettata si avrebbe una temperatura di ritorno
dell’acqua del secondario inferiore a quella di progetto con conseguenze anche gravi sul corretto
funzionamento dell’impianto.
In Figura 139 si ha un esempio di circuito secondario disaccoppiato dal primario mediante un
bypass, come detto in precedenza, ma con gruppo di pompaggio comune.
Figura 139: Portata variabile nel circuito secondario con disaccoppiamento e pompe comuni
Le pompe operano a portata costante e il circuito secondario opera a portata variabile con
terminali regolati con valvole a due vie. Il dimensionamento del circuito secondario è effettuato per la
massima portata contemporanea.
Questo schema fa lavorare i refrigeratori in condizioni nominali e questi possono essere
parzializzato in parallelo. La portata di acqua rimane costante attraverso ogni evaporatore per qualsiasi
condizione di carico.
La valvola a due vie nel ramo di bypass consente di rilevare la caduta di pressione conseguente
alla variazione di portata nel secondario e quindi è possibile attivare e/o spegnere uno o più
refrigeratori.
In Figura 140 si ha l’esempio di una riduzione del 33% di portata nel secondario e conseguente
spegnimento di un refrigeratore d’acqua in modo che gli altri due lavorino a potenza nominale.
Una variante con circuito secondario a portata variabile disaccoppiato ma con pompe
diversificate è rappresentato in Figura 141. I refrigeratori operano a portata costante e parzializzato in
parallelo. La portata del circuito primario deve essere sempre superiore a quella del secondario.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 117
Figura 140: Portata variabile nel secondario con disaccoppiamento e pompe comuni: esempio di regolazione
Figura 141: Portata variabile nel secondario con disaccoppiamento e pompe diversificate
Quando necessario (raramente negli impianti con rete secondaria estesa data la massa di acqua
nei circuiti) il serbatoio inerziale deve essere miscelato e possibilmente inserito nel circuito primario,
sul ritorno comune dei refrigeratori, vedi Figura 142.
In tal modo svolge infatti anche la funzione di attenuare la velocità di variazione della
temperatura dell’acqua refrigerata in ingresso ai refrigeratori in funzione, quando si inserisce o
disinserisce una macchina.
Occorre evitare di posizionare il serbatoio di accumulo sulla mandata, come indicato in Figura
143, poiché in questo modo l’inevitabile miscelamento dell’acqua nel serbatoio fa perdere il controllo
della temperatura dell’acqua di mandata ai carichi, senza produrre alcun beneficio.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 118
Figura 143: Inserimento errato di un serbatoio di accumulo sulla mandata dei refrigeratori
Il serbatoio di accumulo può essere disposto anche correttamente nel ramo di bypass, come
indicato in Figura 144 anche se risulta più razionale lo schema di Figura 142.
Alcuni produttori accettano una variazione della portata nominale dei refrigeratori in modo da
consentire la portata variabile anche nel circuito primario.
Tuttavia occorre sempre inserire opportuni controlli dei flussi per evitare la ghiacciatura degli
evaporatori.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 119
G, T, h
Te
dL
T2 − Te L
ln =−
T1 − T0 Gc p RT
Passando dai logaritmi ai numeri si ha:
L
RT = [92]
T −T
Gc p ln 1 e
T2 − Te
Per tubazione fredda si ha Te> T1 e quindi:
L
TF = Te − (Te − T0 ) e
Gc p RT
[93]
e ancora:
L
RT = [94]
T −T
Gc p ln e 1
Te − T2
Nota la portata e le caratteristiche geometriche e termiche di un condotto, si calcola la caduta di
temperatura, ovvero, imposta la temperatura finale si calcola la resistenza termica necessaria.
Fluidi che cambiano di fase
In questo caso possiamo scrivere il seguente bilancio:
T −T
dQ = 1 e dL = −Gdh [95]
RT
Integrando si ottiene:
T1 − Te
h2 = h1 − L [96]
GRT
T1 − Te L
RT = [97]
T2 − Te G
Nel caso di tubazione fredda, te > T1, le precedenti equazioni divengono:
T −T
h2 = h1 + e 1 L [98]
GRT
Te − T1 L
RT = [99]
Te − T2 G
Perché si abbia cambiamento di fase occorre che non sia superata la lunghezza massima:
GRT r
Lmax = [100]
∆T
con r calore latente di vaporizzazione o di condensazione. Al di là di questa lunghezza il fluido si
comporta come nel caso precedente e le relazioni divengono esponenziali.
Il fenomeno dello Stillicidio
Se il fluido trasportato è a bassa temperatura allora si può avere una temperatura superficiale del
condotto inferiore a quella di rugiada nelle condizioni dell’aria esterna per cui sulla superficie laterale
esterna del condotto si forma un velo di condensa che provoca alterazioni del mantello di isolamento
e dei materiali vari al di sotto. E’ quindi opportuno fare in modo che questo fenomeno non si
verifichi. Con riferimento alla Figura 146 sia TF la temperatura esterna del condotto, ne segue che si
libera una quantità di condensa:
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 122
∆x = xA − xF [101]
La temperatura limite (o di rugiada) è TP e quindi la temperatura superficiale del condotto non
deve essere inferiore a questo valore.
Con riferimento alla Figura 147 si può scrivere che il calore uscente per unità di lunghezza del
condotto è pari al flusso convettivo esterno e cioè:
TP − TF T −T
Q= = A P [102]
1 1 re 1 rI 1
+ ln + ln
2π hi ri 2π λm ri 2π λ I re 2π he rI
Da questa relazione si trae:
1
TA − TP 2π he rI R
= = Te [103]
TF − TF 1 1 r 1 r RTi
+ ln e + ln I
2π hi ri 2π λm ri 2π λI re
La precedente relazione esprime la proporzionalità inversa fra i salti termici parziali e le
corrispondenti resistenze termiche.
h
h ϕ
A A
A
TA
TP
TF
xF
xA
x
Ta
ri
Tf
re
hi
rs
he
y= x ln[x]
y=costa nte
1/e
1 x* x
-1/e
= [112]
Di5 8ξ ϕ G 2
La resistenza termica RT vale:
1 1 r 1 r 1 1 D
RT = + ln e + ln I + ≅ ln I [113]
2π hi ri 2π λm ri 2π λI re 2π he re 2π λI De
e pertanto si ha:
D
ln I = KDi5 [114]
De
dove si è posto:
λI (Tc − Te ) ρ v2π 2
K=
4ϕ λG 3
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 125
T
lim
0 L
L
8 ξ ϕ G 3 k 5ϕ RT − Gc pv RT 8ϕξ ϕ G 3 k 5ϕ RT
T = T0 − Te − e + T + [122]
ρ v2π 2 De5 ρ v2π 2 De5
e
dalla quale, noto il diametro De si ricava DI..
Nota la resistenza termica RT, imponendo che per L =Lf sia T =Ts (temperatura di saturazione)
si ottiene
L
8 ξ ϕ G 3 k 5ϕ RT 8 ξ ϕ G 3 k 5ϕ RT − RT Gc pv
T0 = Te + + T − T − e [123]
ρ v2π 2 De5 ρ v2π 2 De5
s e
Se T0 < Ts allora le dissipazioni fluidodinamiche risultano maggiori del flusso scambiato
attraverso le pareti e pertanto il fluido dovrà essere immesso nella sezione di ingresso in condizioni
umide e non surriscaldate. L’equazione di bilancio risulta:
8 ξ ϕ G 3 k 5ϕ T −T
Gdh = dL − c e dL [124]
ρ v π De
2 2 5
RT
Da questa deriva l’equazione a variabili separabili:
dh 8 ξ ϕ G 3 k 5ϕ Tc − Te
= − [125]
dL ρ v2π 2 De5 GRT
Ne segue che l’integrale è:
8ξ ϕ G 3 k 5ϕ Tc − Te
hF − h0 = − LF [126]
ρ v π De
2 2 5
GRT
Se imponiamo che per L =LF sia l’entalpia finale hF pari a quella del vapore saturo secco si può
ricavare il titolo di vapore in ingresso dalla relazione:
8ξ ϕ G 3 k 5ϕ Tc − Te
h0 = hF − − LF [127]
vρ π
2 2 5
D e GR T
Quanto sopra detto completa i casi possibili per fluidi in prossimità delle condizioni di
saturazione.
2.2 ISOLAMENTO DELLE TUBAZIONI AI SENSI DELLA L. 10/91
La L. 10/91 e il DPR 412/93 impongono che le tubazioni siano isolate anche al fine di
massimizzare il rendimento di distribuzione ηd definito dalla relazione:
Qhr
ηd =
Qhr + Qdnr
con:
⋅ Qhr è l’energia termica richiesta per il riscaldamento della zona, fornita in parte dal corpo
scaldante (Qrad) ed in parte dalle tubazioni correnti all’interno dell’involucro riscaldato (Qdr è il
calore disperso recuperato);
⋅ Qdnr è l’energia termica dispersa dalla rete di distribuzione corrente all’esterno dell’involucro
riscaldato e quindi non recuperata.
Il calcolo dettagliato del calore Qdnr disperso dalla rete di distribuzione e non recuperato va
effettuato secondo la norma UNI 10347, che fornisce le metodologie di calcolo per le diverse
situazioni di seguito illustrate. L’energia scambiata da un fluido che scorre all’interno di una tubazione
con l’ambiente che la circonda si determina, in generale, con la seguente formula:
π D1 L
Qd = ⋅ ∆θ fa ⋅ t p
R
dove:
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 128
Tabella 20: Valori dell’esponente n per il calcolo della potenza erogata dai terminali
La differenza di temperatura ∆θfa fra fluido e ambiente dipende dalla quantità di corpi scaldanti
installata (a sua volta funzione della temperatura di progetto) e dal tipo di conduzione e si calcola nel seguente
modo:
1
Φ n
∆θ fa = m ∆θ n
Φn
dove:
⋅ Φm è la potenza media erogata dai terminali di emissione nel periodo considerato, in W,
determinata come segue:
Q
Φ m = hr
tp
dove:
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 129
24 Nei reattori ad acqua bollente si ha una circolazione di acqua con piccole percentuali di vapore in equilibrio
termico. Questo fluido assolve sia alle funzioni di refrigerazione che di moderazione neutronica.
25 Le centrali eliotermiche di potenza utilizzano sia miscele acqua-vapore (centrali tipo Francia) che di metalli
liquidi (Sodio fuso o leghe NaK o similari). Anche i collettori a vetro usano una miscela bifasica costituita da freon liquido
e aeriforme.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 131
Si osservi che qualora ci riferisce alla velocità media del fluido nella sezione di passaggio del
condotto occorre tenere conto, nelle precedenti relazioni, di un fattore pari a 1.2 per moto turbolento
e 1.8 per moto laminare, cioè occorre scrivere α w al posto della sola velocità. A questa equazione si
associa l’equazione dell’energia per sistemi aperti stazionari:
w2
q + l = ∆1− 2 + gz + h
2
ove si è indicato con:
⋅ h l’entalpia del fluido, J/kg;
⋅ q il calore fornito all’unità di massa di fluido, J/kg;
⋅ l=lm+lr il lavoro totale fornito all’unità di massa di fluido, J/kg.
Data l’arbitrarietà nella scelta delle sezioni di integrazione si fa in modo da non avere, all’interno
del condotto in esame, alcun organo motore e pertanto possiamo annullare il lavoro motore presente
nelle precedenti equazioni. Integrando l’equazione di Bernoulli generalizzata fra due sezioni 1 e 2 prive
di organi motori si ottiene la seguente espressione:
mɺ 2 2 dz mɺ 2 1 2
p1 − p2 = 2 ( v2 − v1 ) + ∫ + 2 ∫ ξ vdl B)
S
1 v
2
S d 1
Slip Gravimetriche Attrito
Questa equazione dice chiaramente che la differenza di pressione fra la sezione iniziale e finale
nel condotto esaminato è somma dei tre termini a secondo membro che esprimono, nell’ordine:
⋅ le perdite di pressione per effetto della variazione di energia cinetica (perdite di slip);
⋅ per perdite per alleggerimento termico dovute all’azione della gravità;
⋅ le perdite di attrito totali dovute alla viscosità del fluido.
Nel caso di moto bifase le perdite di slip debbono tenere conto anche delle diverse velocità delle
due fasi e quindi dell’attrito virtuale che si viene a determinare nel moto relativo (scorrimento o slip)
della fase più veloce rispetto a quella più lenta. Questo termine presenta notevoli difficoltà di calcolo
anche in considerazione del tipo di moto che si instaura nel condotto. Le perdite gravimetriche sono
certamente le più semplici da valutare, come si vedrà nel prosieguo. Le perdite di attrito sono
nuovamente complesse da determinare proprio per l’eterogeneità del fluido bifase e del tipo di moto
nel condotto.
3.1 TIPI DI MOTO BIFASE
Per condotti verticali si è avuto modo di esaminare i regimi di flusso che si instaurano durante
l’ebollizione dinamica in un tubo bollitore, come illustrato dalla Figura 150. I regimi possono essere:
⋅ Moto a bolle: il vapore si muove sotto forma di bolle sparse in una matrice di liquido;
⋅ Moto a tappi: il vapore è presente in quantità elevate e tali da creare, per coalescenza fra bolle
vicine, dei veri e propri tappi interni al condotto;
⋅ Moto anulare: il liquido si muove in aderenza alle pareti e il vapore nel cuore interno della
sezione del condotto;
⋅ Moto a nebbia: il liquido è quasi del tutto evaporato ed occupa tutto il volume disponibile
mentre il liquido, in quantità residuali, si muove sotto forma di minute goccioline sparse nella
matrice di vapore.
Ciascuna di queste tipologie di flusso richiede un tipo di analisi particolare per la necessità, come
sopra accennato, di dovere integrare le equazioni di Navier Stokes e dell’energia in zone di spazio
spesso determinate casualmente e quindi senza alcuna possibilità pratica di previsione analitica.
Del resto anche l’istaurarsi del regime di moto non è facile da prevedere anche se esistono
alcune mappe sperimentali che delimitano, certamente non in modo preciso, i campi di esistenza dei
vari regimi di flusso.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 132
M O T O A N E B B IA
M OTO AN ULARE
M OTO A TAPPI
M O T O A BO LLE
C O N V E Z IO N E M O N O F A S E
L IQ U ID O
M O T O A B O LLE
M OTO A T APPI
M O T O A N U LA R E
M O T O S T R A T IF IC A T O
S 2S d
ove con l’apice (i) si intende il generico tratto del condotto. In pratica partendo dal primo tratto,
nel quale è nota la pressione p1(1) , si determina la pressione di uscita p2(1) che è poi la pressione di
ingresso del secondo tratto, cioè si ha p1(2) = p2(1) e così via per gli altri tronchi fino ad arrivare alla p2
d’uscita dell’ultimo tronco che coincide con la pressione finale all’uscita del condotto.
In definitiva la somma delle equazioni parziali dei singoli tratti porta all’equazione totale:
mɺ 2 2 mɺ 2 1 2
p1 − p2 = 2 ∑ ( v2(i ) − v1(i ) ) + 2 ∑ ξ (i ) vm(i )l (i )
S 1 2S d 1
Il coefficiente di attrito ξ può essere calcolato con la classica relazione di Weissbach valida per
tubi lisci:
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 134
x=0.184 Re-0.2
per cui per ogni singolo tratto si può scrivere l’equazione di bilancio26:
mɺ d µ (i ) (i ) (i )
1.8 −1.2 0.2
mɺ 2 (i ) (i )
p1 − p2 = 2 ( v2 − v1 ) + 0.184
(i ) (i )
vm l
S S 2
Per calcolare il volume specifico medio, vm, occorre conoscere come varia il titolo in funzione
della lunghezza e della pressione parziale del tratto considerato. L’equazione dell’energia per il singolo
tratto (sempre supposto orizzontale) diviene:
w2
qe(i ) = ∆ (i ) h +
2
L’entalpia della miscela bifase in una generica sezione (i) è dato da:
h = hl + xr
ove r è il calore latente di vaporizzazione alla pressione parziale nel tratto. Fra le sezioni 1 e 2
di ciascun tratto si ha:
∆1,2 = ∆hl + r2 x2 − r1 x1
ove r2 ed r1 sono i calori latenti di vaporizzazione alle pressioni p2 e p1 ed è:
∆hl = hl2 − hl1
la variazione delle entalpie specifiche del liquido alle pressioni suddette. Combinando le
precedenti equazioni si ha, per la velocità media, l’espressione:
mɺ mɺ
w = v = vl + x ( vv − vl )
S S
Pertanto si ha:
( ) ( mɺ S )
0.2 −0.2
ξ = 0.184 Re −0.2 = 0.184 d µ .
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 135
con b perimetro del condotto. nota x2(1) si ricava v2(1) dalla relazione:
v2(1) = vl(1)
2
+ x2(1) ( vv(1)2 − vl(1)
2
)
e quindi:
v1(1) + v2(1)
vm(1) =
2
Si calcola poi:
µ1(1) + µ 2(1)
µ m(1) =
2
Ora si ricava il valore della pressione di uscita p2(1) che di solito differisce da quella inizialmente
stimata. Se la differenza è minore dell’errore massimo tollerabile allora si procede con il tratto
successivo reiterando le operazioni appena descritte.
Nel caso di differenza maggiore dell’errore ammissibile allora si assume la p2(1) appena calcolata
e si riparte per una nuova iterazione fino a quando la differenza fra il valore di calcolo attuale e quello
del ciclo precedente è minore dell’errore ammissibile.
La caduta di pressione totale è quindi data da:
i= N
∆p1,2 = ∑ ( p1(i ) − p2(i ) )
i =1
Vediamo adesso una semplice metodologia per effettuare questo calcolo. Si supponga di avere
un flusso termico uniforme lungo la lunghezza del condotto e che il salto di pressione sia piccolo27.
Allora si può scrivere:
dqe = rdx
ovvero:
qb
dqe = dz = rdx
mɺ
con z lunghezza del condotto a partire dall’ingresso, b il perimetro e q il flusso termico specifico
(J/m²). Questa relazione ci dice che la variazione del titolo è proporzionale alla lunghezza progressiva,
per cui, supponendo che sia x1=0, si ha:
27 Il salto di pressione ∆p è pari alla caduta di pressione totale e pertanto questo deve essere comunque limitato
x2
v = vl + x ( vv − vl ) = vl + ( z − z1 )( vv − vl )
l
Sostituendo nell’espressione di ∆pgrav si ha (per i=z2 – z1) :
2 dz z2 − z1 v + x2 ( vv − vl )
∆pgrav. = ∫ = ln v
1 v x2 ( vv − vl ) vl
Questa perdita va sommata alle perdite per slip e per attrito.
3.2.3 METODO DI MARTINELLI E NELSON
Negli anni ‘settanta, data la complessità analitica del problema, si effettuarono numerose
esperienze per determinare le cadute di pressione in miscele bifasiche di acqua ed aria.
Inizialmente Lochkart e Martinelli definirono un moltiplicatore, Xtt, definito come radice quadrata
del rapporto fra la caduta di pressione nella fase liquida e la caduta di pressione nella fase aeriforme ed
è dato a sua volta dalla relazione:
0.5 0.1
∆pl 1 − x ρ v µ l
0.9
X tt = =
∆pv x ρl µ v
con x titolo del vapore e con il solito significato per gli altri simboli. In Figura 152 si ha
l’andamento delle curve sperimentali che forniscono il moltiplicatore di Martinelli, Xtt, al variare della
pressione e del titolo della miscela.
Si osservi, però, che il titolo della miscela non è costante lungo il condotto per cui sarebbe
necessario conoscere la legge di variazione di x e procedere a successive integrazioni.
Successivamente sono state elaborate altre curve sperimentali alla base del metodo di calcolo
semiempirico detto di Martinelli e Nelson.
Se si suppone, almeno inizialmente, che il titolo vari linearmente fra ingresso e uscita (con x=0
in ingresso del condotto) e che vi sia somministrazione uniforme di calore allora Martinelli e Nelson
definiscono il rapporto:
∆p
M = 2 Fa
∆p1Fla
ove si ha il seguente simbolismo:
⋅ ∆p2Fa caduta di pressione per attrito per moto bifase, Pa;
⋅ ∆p1Fla caduta di pressione per attrito per portata totale pensata di solo liquido, Pa.
In definitiva M (sempre >1) è il rapporto fra le cadute di pressione per attrito nelle reali
condizioni di moto bifase rispetto a quelle che si avrebbero, sempre per attrito, se la portata totale
fosse di solo liquido.
Queste ultime sono calcolabili facilmente con i metodi della Fluidodinamica monofase visti nei
precedenti capitoli e pertanto se si conosce M di possono calcolare le perdite di attrito bifase mediante
la relazione:
∆p2 Fa = M ∆p1Fla
Martinelli e Nelson hanno determinato l’andamento sperimentale di M partendo dalle curve di
Lochkart – Martinelli, come rappresentato nell’abaco di Figura 153.
L’abaco fornisce M al variare della pressione nel condotto per assegnato titolo, x2, in uscita.
Si osservi come sia sempre M>1 (quindi le perdite bifase sono sempre maggiori di quelle
monofase) e come le curve tendano a congiungersi per la pressione critica dell’acqua (222 bar) laddove
non si ha più alcuna differenza fra la fase liquida e il vapore.
Se il titolo in ingresso è x1,≠0 allora si può procedere in questo modo, vedi Figura 154:
⋅ si calcola la M1 corrispondente alla caduta di pressione fittizia di un condotto avente titolo in
ingresso nullo e in uscita pari ad x1;
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 137
Xtt
1000
1 bar
500
7 bat
100
50 35 bar
70 bar
10
5
210 bar
1 x
0.1 0.2 0.4 0.6 0.8 1.0
1000
100%
Tot
olo
80 usci
ta
60
100
20
10
10
0
1
1 10 100 p
Bar
M1 M2
x=0 x=x1
R1 R2 x=x2
L1 L2
1 100%
80%
6 0%
40%
0,1
20%
10%
0,01
1%
0,001
1 10 100 p
Bar
28 Il CISE (Centro Italiano Studi Elettricità) si è occupato di impianti nucleari proponendo, negli anni sessanta, un
tipo di reattore prova elementi combustibili denominato CIRENE (CIse REattore Nebbia) caratterizzato dal moto a nebbia
all’interno dei canali di refrigerazione.
29 L’invecchiamento del condotto porta al deposito di materiali (incrostazioni) e all’incremento delle asperità
interne.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 140
Thom estende il suo metodo semiempirico anche al caso in cui non ci sia somministrazione di
calore: in questo caso restano le formulazioni precedenti ma il termine di attrito va calcolato
utilizzando l’abaco di Figura 159 anziché quello di Figura 156.
Gli altri coefficienti restano invariati.
Per condizioni di ingresso diverse dal titolo nullo, come illustrato in Figura 154, si procede allo
stesso modo già visto per Martinelli e Nelson utilizzando un condotto fittizio tale che per esso il titolo
vari da x=0 ad x=x1.
Osservazioni sul metodo di Thom
Rispetto al metodo di Martinelli e Nelson questo metodo presenta errori minimi rispetto ai dati
sperimentali.
E’ approssimato in eccesso quando le portate specifiche sono inferiori a 230 g/(cm².s).
Il metodo è approssimato in difetto per portate specifiche elevate, cioè > 230 g/(cm².s).
Il metodo di Martinelli e Nelson presenta sempre valori stimati in eccesso rispetto ai dati
sperimentali e l’errore si riduce allorquando il titolo di uscita si avvicina al 100%.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 141
100
70
100
50
70
20
30
10
7 10
5
5
2
1
p
1
R 60
50 100
30
20
20
10
7
10
5
4
2
2
1
0,7
1
0,5
0,2
p
0,1
10 50 100 200 bar
20 150
1
ζ
1
0,7
0,5 10
0,2 20
50
0,1
100
p
0,05
10
30 50 100 bar 200
M
100 Senza Flusso Termico
100 70
70
50
50
33
20
10
10 5
7
3
5
2
2 1
p
1
Figura 159: Abaco di Thom per M per condotto senza flusso termico
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 143
500
200
100 100
50
10
1-α
1
0,00001 0,0001 0,001 0,01 0,1
che, in coordinate (p, mɺ 2 ), vedi Figura 161 ove in ascisse si ha mɺ 2 , è una retta passante per
l’origine e coefficiente angolare K1.(retta OR).
Un diagramma più preciso potrebbe essere tracciato per punti calcolando le perdite di pressione
effettive. La retta OR rappresenta le condizioni di funzionamento fino alla portata mɺ B in cui inizia
l’ebollizione sottoraffreddata (vedi capitolo dell’Ebollizione). Al di sotto di questa portata si hanno
perdite di pressione crescenti (si ricordi che le perdite bifase sono sempre maggiori di quelle monofasi)
al diminuire della portata di massa anche perché, a pari flusso termico, cresce il titolo di vapore
presente. Allo sbocco abbiamo:
Qe
≈ rx2
mɺ
ove x2 è il titolo finale della miscela. Si ha, quindi, la curva BH di Figura 161 che si raccorda con
continuità con la OR in quanto l’ebollizione non si presenta contemporaneamente e nella stessa forma
in tutte le sezioni del condotto.
In corrispondenza ad un titolo x=025÷0,30 (a seconda dei casi), punto V della figura, si ha il
massimo della caduta di pressione p1v − p2 = ∆pv . Se la portata decresce ulteriormente allora p1
diminuisce fino al punto S (dove si ha x=1) dove si ha la scomparsa del liquido allo sbocco.Una
ulteriore diminuzione della portata comporta il surriscaldamento del vapore (si è quindi in regime
nuovamente monofase ma di vapore e non più di liquido) con andamento lineare con una nuova K2.
In realtà giunti nel punto Z si ha la bruciatura (burn out) del tubo bollitore. Si osservi che ci si può
spingere fino al punto Z solo se il flusso termico specifico (cioè per unità di superficie) è basso. Con i
valori correnti dei flussi termici si ha la bruciatura molto prima di arrivare ad S, più precisamente per x
= 0.7÷0.8. Se il flusso termico è particolarmente elevato si può avere la bruciatura del tubo bollitore
già durante l’ebollizione sottoraffreddata.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 145
p
p Vapore surriscaldato Liquido + Vapore Liquido
p1H'
1B
p R''
1K
p V H
1V
S K'
D''
m
p
2 0 m m m
B M R
Supponiamo di avere la pressione iniziale p1=pR , come indicato in Figura 161, ed introduciamo
all’ingresso del condotto una resistenza localizzata (ad esempio un ugello) tale che si abbia una caduta
di pressione data da:
r w2 mɺ 2 v
∆pr = = r 2 = r ' mɺ 2
v 2 2S
con r’ funzione della resistenza adottata. In figura si ha la rappresentazione della caduta di
pressione con la retta p1RD formante con la p1RR (orizzontale) un angolo α tale che sia tag(α)=r’.
Il significato fisico di queste rette appare evidente se si considera che per ogni valore della
portata di massa mɺ si hanno segmenti intercetti fra esse che rappresentano le cadute di pressione ∆pr
nella resistenza localizzata.
I punti M ed N rappresentano punti di funzionamento in presenza dell’ugello quando
all’imbocco è applicata una pressione p=1R, così come i punti R, R’ rappresentano punti possibili di
funzionamento in assenza dell’ugello. In corrispondenza dei predetti punti, infatti, la somma della
caduta di pressione nell’ugello ∆pr e nel tubo bollitore eguaglia la caduta di pressione totale p1R –p2.
I punti come R ed M sono punti di funzionamento stabile: infatti se per ragioni accidentali la
portata aumenta o diminuisce si ha, rispettivamente, un difetto o un eccesso di pressione motrice che
tende a ripristinare le condizioni primitive.
Non si può dire lo stesso di R’ ed N’: infatti un aumento accidentale di portata provoca un salto
repentino in R o in M (rispettivamente) mentre una diminuzione di portata tende ad esaltarsi portando
il condotto alla bruciatura.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 146
Se si sceglie come pressione di imbocco p1K si può ottenere il funzionamento nel punto R con
l’introduzione di una resistenza tale che sia:
p −p
r ' = tagα ' = 1K 2 1R
ɺ
m
Per questo valore tracciamo la retta p1KR tale che sia:
R R" p −p
tagα ' = 2 = r ' = 1K 2 1R
mɺ R ɺ
m
Questa retta incontra la curva delle pressioni, oltre che in R, anche in K e K’. Di questi punti
solo R e K sono relativi ad un funzionamento stabile mentre K’ è instabile e si salta in R o in K.
Quindi con la scelta della pressione p1R per la pressione di imbocco una eventuale instabilità si ferma
in K e pertanto, se la bruciatura avviene oltre questo punto, si può evitare il danno al tubo bollitore.
Quando il funzionamento nel punto R è ottenuto con la pressione p1R si è garantiti contro
eventuali bruciature per ostruzioni accidentali aventi:
RD '
r'≤ 2
mɺ R
mentre con la pressione p1K questo valore diviene più elevato, fino a:
R"D"
r'=
mɺ R2
La pressione p1K presenta anche il vantaggio che, in caso di ostruzioni che portino il
funzionamento nella curva VS, si ha ancora un funzionamento stabile e la bruciatura può essere
evitata con maggiore facilità se si dispone di un apparecchio di allarme acustico. La scelta della
pressione p’1H sulla tangente da R al punto H, oltre a migliorare le condizioni di sicurezza
precedentemente citati (con riferimento alle ostruzioni accidentali) permette un ritorno automatico
delle condizioni dell’arco ZSH al punto R. Questo non è possibile con pressioni minore di p1V; infatti
dalla Figura 161 si osserva che se:p1 < p1V per il ritorno dell’arco SV ed R non basta regolare la
resistenza di imbocco ma occorre ridurre anche la potenza termica fornita in modo da avere una
diminuzione di p1max (in corrispondenza di V). La scelta di una pressione di imbocco più elevata di p1B
consente il funzionamento in tutte le condizioni mediante l’introduzione di resistenza variabili
(saracinesche di regolazione); si possono, infatti, intersecare con la retta di carico tutti i punti della
curva del tubo bollitore ed avere un funzionamento stabile. In definitiva, la scelta della pressione a
monte di un tubo bollitore va fatta oculatamente in base al grado di sicurezza che si desidera ottenere.
Il raggiungimento di condizioni di optimum comporta la necessità di scegliere pressioni
piuttosto elevate, introducendo all’ingresso del condotto resistenze concentrate (ugelli, saracinesche,
…). Queste resistenze proteggono il tubo bollitore (che di solito funziona in parallelo ad altri tubi)
dato che variazioni accidentali della portata nominale hanno minore peso. L’introduzione di ugelli allo
sbocco (anziché all’imbocco) esercita una protezione, nel senso che fa crescere la pressione a monte.
In questo caso l’ebollizione inizia a temperature più elevate e quindi per portate minori. Tuttavia, se
l’ebollizione inizia allora le condizioni risultano aggravate. L’ugello posto all’imbocco è sempre
attraversato da solo liquido mentre se è posto allo sbocco è attraversato da una miscela di liquido e
vapore e quindi producendo una resistenza maggiore. La portata, per conseguenza, diminuisce
rapidamente e la bruciatura del condotto viene facilitata.
3.3.3 TUBO BOLLITORE VERTICALE
Lo studio dei tubi bollitori verticali è più complesso di quello prima mostrato di tubi orizzontali.
Per questi condotti si possono avere due casi:
⋅ Moto del fluido dal basso verso l’alto: in questo caso si hanno condizioni di stabilità maggiori
rispetto ai tubi orizzontali;
⋅ Moto del fluido dall’alto verso il basso: le condizioni di sicurezza diminuiscono rispetto al caso
di condotto orizzontale.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 147
ove hl2 è l’entalpia del fluido in ebollizione alla pressione p e qe il flusso specifico (J/kg) da fornire
al fluido. Noto il flusso totale esterno Qe e la portata totale di massa si calcola:
Q
qel ,2 = e
mɺ
Si può anche scrivere, per la portata totale e il flusso termico totale, la relazione globale di
bilancio:
Qe
mɺ i =
hl2 − hl1
e deve aversi:
Qe
hl2 + r2 − hl1 =
mɺ f
30 Si ricordi che le cadute di pressione sono sempre mantenute basse per evitare grandi potenze di pompaggio per
Ponendo x1=0 e trascurando il contributo dei termini meccanici (cinetico e gravimetrico) si può
scrivere:
qe1,2 ≈ r2 x2
ovvero anche:
Qe
≈ r2 x2
mɺ
Da questa relazione si calcola il titolo in uscita x2 al variare di mɺ . Noto x2 si calcola la caduta
totale di pressione:
mɺ 2 Lζ
∆p1,2 = ∆p2 Fa + ∆pslip + ∆pgrav = M ∆p1,21 Fla + R 2 vl2 +
S vl2
In questa equazione occorre osservare che, per condotti a sezione costante, la variazione di
volume specifico è di solito piccola e quindi le variazioni di velocità sono parimenti piccole e pertanto
il termine cinetico apporta contributi trascurabili.
Nel termine gravimetrici il peso specifico γ varia con la temperatura secondo la legge:
γ = γ 1 1 + β ( t − t1 )
31 E’ ovvio che lo stesso discorso vale per l’applicazione del metodo di Martinelli e Nelson ove, però, le perdite
L mɺ 2 z −z Q
p1 − p2 + γ 1 ( z1 − z2 ) = ξ − γ 1β 2 1 e
d 2ρ S 2
2 cmɺ
ove si è tenuto conto che è Qe = c mɺ ( t2 − t1 ) .
L’ultimo termine (negativo) rappresenta l’alleggerimento termico (thermal buoyancy) della colonna
di fluido dovuto al riscaldamento subito ed è quello che determina il movimento del fluido nei casi di
circolazione naturale32.
La precedente equazione può essere così schematizzata:
B
p1 − p2 mɺ − Z = Amɺ 1.8 − (movimento verso l'alto)
mɺ
B
p1 − p2 mɺ − Z = Amɺ 1.8 + (movimento verso il basso)
mɺ
ove A e B sono costanti di raggruppamento positive. Gli indici 1 e 2 si riferiscono sempre
all’imbocco e allo sbocco, qualunque sia l’orientamento del condotto.
Si è anche supposto, secondo la relazione di Weissbach per tubi lisci, che sia ξ = Kmɺ −0.2 ed
inoltre si è supposto K / ρ indipendente dalla portata e pari al suo valore medio fra le due sezioni
considerate.
In Figura 162 si ha la rappresentazione grafica della caduta totale di pressione sia per moto
verso l’alto che per moto verso il basso. In essa sono riportati anche gli andamenti dei singoli termini,
B
, Amɺ 1.8 , Z per i due casi, secondo le precedenti equazioni.
mɺ
Nella figura la portata mɺ è posta in relazione con ∆p – Z per il moto verso l’alto e con ∆p + Z
per il moto verso il basso. Le curve in neretto rappresentano le combinazioni dei termini, come dianzi
specificato. Al crescere della potenza ceduta al fluido la curva complessiva si sposta verso destra,
allontanandosi da quella segnata.
Si osservi che le due curve (moto verso l’alto e moto verso il basso) si raccordano, per
continuità, nel modo segnato a tratto punteggiato in figura.
B
Quando la potenza cresce il termine Amɺ 1.8 varia poco mentre cambia molto essendo B ∩
mɺ
Qe.
Le curve reali si arrestano in corrispondenza dei punti X nei quali ha inizio l’ebollizione.
A pieno carico, cioè per il massimo valore di Qe, l’ebollizione inizia, come si intuisce,a valori più
alti della portata essendo l’aumento di temperatura dato (per quanto detto in precedenza) dalla
relazione:
Q
t2 − t1 = e
c mɺ
Pertanto quando ci si trova nelle condizioni di fluido lavorante in caldaia o in un reattore
nucleare a potenza ridotta occorre fare in modo che il salto di temperatura dello stesso fluido sia il più
possibile costante e pari al valore di regime precedente. Ciò si ottiene riducendo la portata mɺ in modo
proporzionale al calore Qe.
Riducendo la portata mɺ ci si porta in corrispondenza del punto M o del punto N (a seconda del
verso del fluido) di Figura 162.
32 La circolazione naturale non è quasi mai utilizzata direttamente per il moto dei fluidi negli impianti ma
rappresenta sempre un elemento di sicurezza da considerare quando viene meno la potenza motrice della pompa. Se il
fluido può ancora circolare esso può trasportare calore e quindi mantenere la temperatura del canale sotto controllo. In un
impianto nucleare o in un reattore chimico o in un generatore di vapore l’arresto del fluido all’interno dei canali può
portare facilmente a scoppi estremamente pericolosi e distruttivi.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 150
33 Negli impianti nucleari, ad esempio, il moto verso il basso consente di contenere nella zona inferiore
la portata totale mɺ è inferiore a quella desiderata si modificano alcuni parametri di progetto e si ripete
il calcolo fino al raggiungimento delle condizioni finali volute. Si osservi che è sempre necessario
verificare, oltre alle condizioni di moto, anche quelle di congruenza relative alla trasmissione del calore
e cioè che la superficie totale dei condotti sia tale da assicurare lo smaltimento del calore Qe e cioè:
Qe = ∑ i =1→ N K i Si ∆ti
34 In alcune zone degli impianti nucleari, ad esempio negli schermi radioattivi, si preferisce avere moto verso l’alto
a bassa velocità e con piccole cadute di pressione. Si osservi che le condizioni di circolazione naturale sono sempre da
prendere in considerazione per le condizioni di emergenza. Una fermata delle pompe di circolazione, infatti, non può e
non deve comportare il blocco del fluido all’interno dei tubi bollitori perché ciò produrrebbe certamente un incidente: il
calore fornito non sarebbe più trasportato via e quindi si hanno scoppi o altri disastri. E’ quanto avvenuto, ad esempio, nel
reattore di Chernobil dove la fermata (forse volontaria) delle pompe di circolazione ha portato alla stagnazione del fluido
refrigerante con conseguente surriscaldamento del nocciolo del reattore nucleare che è fuso.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 152
Figura 163: Abaco per il dimensionamento delle reti di distribuzione dell’aria compressa
La velocità dell’aria viene mantenuta fra 10 ÷20 m/s per evitare che gocce di condensa siano
trasportate e che si verifichino sensibili colpi d’ariete.
La perdite di pressione (effetto di laminazione fluidodinamico) comportano un raffreddamento
dell’aria con possibile formazione di condensa dell’umidità dell’aria.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 153
Pertanto le linee sono poste in leggera pendenza (1÷3 %) e nelle sezioni a quota minima si
inseriscono opportuni scaricatori di condensa. Sempre per evitare il trascinamento di gocce di
condensa alle utenze, le prese dell’aria compressa sono effettuate nella parte superiore del collettore
principale e munite, nella parte terminale, ancora di scarichi della condensa. Il progetto della rete può
seguire quanto detto per le altre reti di distribuzione. L’abaco che lega le perdite di pressione, i
diametri e le portate è riportato in Figura 163 con un esempio d’uso.
Scaricatori di condensa
Questi elementi hanno grande importanza per evitare grossi problemi alle utenze.
Essi debbono anche essere opportunamente equilibrati in pressione mediante tubi di
collegamento fra monte e valle, vedi Figura 164.
La scelta degli scaricatori di condensa viene effettuata in base alla portata di condensa che si
prevede nella rete, secondo i modelli forniti dalle case costruttrici.
Separatori di liquido
Lungo la rete si è già detto che si pongono gli scaricatori di condensa che hanno una sacca si
raccolta in grado di eliminare l’acqua che viene convogliata scorrendo sul fondo delle tubazioni ma
non possono fare nulla per intercettare l’acqua che scorre in sospensione, senza avere aderito alle
pareti interne delle tubazioni.
Per questo motivo si usano i separatori di liquido, installati a mente delle diramazioni principali,
vedi Figura 166.
Il funzionamento si basa sulla separazione meccanica per urto delle particelle contro un setto
poroso opportunamente collocato e dimensionato, nonché su un effetto di decantazione per il
rallentamento al flusso dovuto all’aumento della sezione, vedi Figura 167.
Il separatore di liquido deve poi essere munito di scaricatore di condensa del tipo compatibile
con la pressione di esercizio e con la quantità di condensa prevista.
6. LA COGENERAZIONE
Le ripetute crisi energetiche degli anni ‘settanta hanno svegliato l’interesse verso la cogenerazione
cioè la produzione combinata di energia meccanica o elettrica e di energia termica. I settori di interesse
sono numerosi e variano dai trasporti, al riscaldamento ambientale, alla termovalorizzazione dei rifiuti
solidi urbani e in genere a tutti gli usi civili ed industriali dell’energia.
L’uso combinato di sistemi integrati per la produzione contemporanea di energia elettrica e
termica partendo dalla stessa fonte primaria consente non solo di avere rendimenti complessivi elevati
ma anche di ridurre il consumo di combustibili di tipo tradizionali e quindi anche di ridurre le
emissioni di CO2 nell’atmosfera. Quest’ultimo effetto è quanto mai importante anche alla luce delle
determinazioni della Conferenza Internazionale di Kyoto (1992) per la riduzione dell’effetto serra.
La condizione probabilmente più importante ed impegnativa degli impianti cogenerativi è la
simultaneità della richiesta energetica elettrica e termica che porta ad avere una utilizzazione degli
impianti quasi costante ed ai massimi livelli. Per questo motivo la cogenerazione ha avuto interessanti
sviluppi nel settore industriale, dove i carichi sono quasi sempre a regime costante, mentre ha stentato
a farsi strada nel settore civile caratterizzati da una variabilità notevoli dei carichi sia termici che
elettrici.
Si pensi alla variabilità stagionali dei carichi: in inverno sono elevati quelli termici per il
riscaldamento mentre in estate sono elevati quelli elettrici per il condizionamento (compressori
alimentati elettricamente).
L’uso di un frigorifero ad assorbimento potrebbe convertire l’utenza elettrica estiva in una
termica e quindi consentire il recupero dell’energia termica prodotta dal cogeneratore ma esistono
alcune difficoltà generate dalla non equivalenza dei carichi.
Fra le applicazioni civili, inoltre, spiccano quelle di grandi complessi (centri commerciali,
ospedali, grandi alberghi, strutture aeroportuali, ….) caratterizzati da una utenza di base costante,
soddisfatta dagli impianti di cogenerazione, e da una parte variabile soddisfatta mediante
apparecchiature ausiliari o importando energia dalle reti esterne.
Ai fini del calcolo dei rendimenti occorrerebbe fare riferimento all’exergia anziché all’energia a
meno di non introdurre macchinose espressioni, spesso prive di significato fisico, per meglio definire i
vari contesti operativi degli impianti di cogenerazione. A questo scopo è utile richiamare i concetti
fondamentali dal corso di Termodinamica Applicata svolto in Fisica Tecnica.
6.1 STORIA DELLA COGENERAZIONE
Il termine cogeneration fu usato per la prima volta dal Presidente Carter nel suo messaggio
sull’energia del 1977 ed è un modo moderno di rappresentare concetti antichi. Gia nel 1930 la centrale
elettrica di Langerbrugge (Belgio) forniva anche vapore alla vicina fabbrica di carta. Interno agli anno
’50 si ebbe un nuovo impulso negli USA dove circa il 15% dei fabbisogni energetici dell’industria
venivano garantiti da impianti cogenerativi, pur con notevoli difficoltà dovute al bassissimo prezzo del
petrolio in quegli anni e fino all’inizio degli anni ’70. Fu proprio la crisi petrolifera del 1973 che portò
Carter ha promulgare una legge per la privatizzazione della produzione e distribuzione dell’energia
elettrica in regime di puro mercato. Ciò è stato sufficiente per avere uno sviluppo di impianti
cogenerativi che utilizzano meglio le fonti primarie e quindi garantiscono un uso più razionale
dell’energia prodotta.
L’Italia si è sempre contraddistinta in negativo nel recepire le novità e per oltre due decenni ha
mantenuto intatto il regime di monopolio dell’ENEL, anzi ha complicato le cose introducendo un
assurdo e antieconomico sovrapprezzo termico dettato solamente da esigenze di difesa dello stesso del
regime di monopolio. Questo balzello (non so come si possa definire altrimenti!) ha praticamente
bloccato lo sviluppo delle energie alternative ed è servito a mantenere ben saldo il potere dell’ENEL.
Proprio negli anni ‘settanta nasceva il TOTEM® della Fiat che si è visto chiudere il possibile
mercato a favore del monopolio energetico ENEL.
Finalmente nel 1991 con la L. 9/91 e L. 10/91 si cominciano a recepire gli aspetti innovativi
della cogenerazione favorendo lo sviluppo dell’autoproduzione dell’energia elettrica mediante
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 162
l’applicazione della nota determinazione del Comitato Interministeriale Prezzi n. 6 (detta CIP-6) che
consentiva ai privati di vendere all’ENEL l’energia elettrica autoprodotta in eccesso rispetto ai propri
fabbisogni.
Ci sono voluti più di venti anni per capire ciò che il resto del mondo aveva capito ed attuato due
decenni prima. E ancora non siamo al meglio: solo di recente (Decreto Bersani) si parla di ridurre il
monopolio ENEL con la possibilità di produzione e distribuzione dell’energia elettrica aperta ai
privati.
C’è molto rumore sui nuovi soggetti industriali ma ancora si è fatto poco, ad eccezione di un
numero limitato di aziende municipalizzate di grandi città che hanno sviluppato in proprio il settore
energetico (vedansi gli esempi di Milano, Brescia, Ferrara, Roma,..).
Va detto che in questi ultimi anni l’Italia ha un deficit produttivo di energia elettrica dell’ordine
del 20% e che l’autoproduzione dei privati ha contribuito per ben il 12% dell’energia prodotta,
riducendo fortemente il deficit. Forse è stata questa la sorpresa maggiore delle nuove leggi.
Ma quando c’è un monopolista che vuole difendere i propri interessi c’è poco da fare: l’ENEL
ha sempre contrastato l’applicazione del CIP-6 riguardante la cessione in rete dell’eccesso di energia
autoprodotta per una asserita (e in parte condivisibile) difficoltà di gestione e programmazione dei
flussi di energia prodotta e nel febbraio 1997 ha abrogato (l’ENEL è ancora lo stesso Stato!) questa
possibilità consentendo il solo vettoriamento. Per fortuna c’è l’Europa!
Infatti le norme sulla libera concorrenza hanno di fatto scardinato il potere dei monopoli (che
Italia ancora resistono abbarbicati dietro leggi e leggine che ne stanno prolungando ancora la vita con
mille scuse non certo degne di uno stato moderno che vuole sentirsi protagonista europeo) e pertanto
l’ENEL deve rinunciare alla sua (comoda!) posizione di monopolista e cedere parte delle proprie
centrali termoelettriche riservandosi (giusto perché siamo in libero mercato?) il 50% della produzione
e il monopolio del vettoriamento: la rete di distribuzione resta sempre dell’ENEL con buona pace
dell’Europa. SIC!
Ad ogni buon conto il 50% passerà ai privati che potranno innescare quel benefico regime di
concorrenza che solo una elevata efficienza industriale potrà garantire.
E’ certo, comunque, che sia le nuove centrali che il revamping35 delle vecchie esistenti dovranno
utilizzare cicli combinati e cogenerativi per sfruttare al massimo ogni Joule ottenibile dal combustibile
che, ogni giorno di più, diviene caro e prezioso.
6.2 EXERGIA
Il rendimento di una macchina motrice è dato dal rapporto:
L
η = netto (128)
Q fornito
Il lavoro massimo ottenuto dal calore Q1 è dato, secondo Carnot, dall’espressione:
T
Lmax = Q1 1 − 2 (129)
T1
Quest’espressione definisce anche il livello termico di riferimento T2 solitamente coincidente
con l’ambiente esterno. Gli anglosassoni, sempre piuttosto fioriti nelle loro definizioni, chiamano
l’ambiente esterno con il termine dead state (stato morto) per meglio testimoniare il fatto che,
approssimandosi la temperatura di utilizzo dell’energia termica alla temperatura dell’ambiente il lavoro
ottenibile tende a zero. La (129) definisce anche un valore termico della quantità di calore Q1 dato dal
fattore di Carnot:
T
1− 2 (130)
T1
qualora si assume T2 come temperatura di riferimento.
Si ricorda ancora che la degradazione dell’energia verso livelli inferiori (ad esempio mediante
uno scambiatore di calore) porta ad una perdita inevitabile di lavoro dato da:
1 1
∆L = T2 − = T2 ∆Stotale (131)
T
3 1T
Una produzione di entropia è sempre correlata ad una perdita di lavoro utile. Si ricorda ancora che il
secondo principio della Termodinamica può essere scritto nella forma di Clausius:
δQ
dS = + dSirreversibile (132)
T
la quale esprime il concetto di produzione di entropia per irreversibilità. Questa produzione è sempre
presente nelle trasformazioni reali e pertanto essa è anche associata ad una perdita di exergia propria di
queste trasformazioni. In genere, nota la produzione di entropia si ha:
∆L = T0 ∆S (133)
con T0 temperatura dell’ambiente (dead state), considerato come serbatoio finale di tutte le
trasformazioni reali.
Come conseguenza di quanto sopra accennato possiamo dire che il primo principio della
Termodinamica esprime la conservazione dell’energia e quindi anche di quella termica.
Il secondo principio ci dice che, a pari energia, parte dell’exergia viene perduta nelle trasformazioni
(reali) per divenire energia perduta o anergia. Vale, quindi, il seguente bilancio:
∆E = ∆X + ∆A (134)
ove si sono indicati:
⋅ ∆E variazione di energia;
⋅ ∆X variazione di exergia
⋅ ∆A variazioni di anergia.
Esiste, quindi, una notevole differenza fra l’energia e la sua disponibilità (availability) ad essere
utilizzata e in particolare ad essere trasformata in lavoro.
Definiamo, pertanto, come energia disponibile di un sistema rispetto ad un altro, definito come
serbatoio, la massima quantità di energia che può essere trasformata in lavoro quando il sistema è portato in equilibrio
con il serbatoio. Avendo detto che il serbatoio finale delle trasformazioni reali è l’ambiente esterno allora
definiamo exergia l’energia disponibile di un sistema rispetto all’ambiente, considerato come serbatoio
ideale. Si definisce exergia di sistema per un sistema chiuso la differenza:
Ex = (U − T0 S ) − (U 0 − T0 S0 ) (135)
avendo usato il pedice 0 per l’ambiente.
Possiamo dare ancora una nuova definizione del secondo principio della Termodinamica:
l’exergia si conserva solo per i sistemi reversibili mentre si degrada nei sistemi irreversibili.
6.3 EFFICIENZA DELL’USO DELL’ENERGIA
Si è soliti utilizzare, per abitudine ormai plurisecolare, una definizione di rendimento basato
sull’energia (detto anche rendimento di primo principio) e quindi assumendo che l’energia totale del
sistema si conserva (1° Principio). Ne segue che, nelle applicazioni pratiche, l’ottimizzazione
energetica si risolva in una riduzione al minimo delle perdite di energia dal sistema (ad esempio
attraverso i fumi nel camino o attraverso i disperdimenti dalle pareti o mediante la riduzione degli
attriti, …).
In pratica il rendimento energetico viene definito dal rapporto:
E
ηen = utile (136)
Etotale
avendo anche definito:
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 164
Il rendimento exergetico complessivo diviene pari all’8% circa contro qualche percento
ottenibile con l’uso diretto del metano in caldaia per produrre acqua a 80 °C.
Una seconda ipotesi potrebbe essere quella di bruciare metano in un motore a combustione
interna, ad esempio un motore di automobile opportunamente convertito per questo utilizzo, con
rendimento exergetico del 35% circa e che azioni una pompa di calore. Questa potrebbe preriscaldare
l’acqua che alimenta i radiatori fino a 50 °C utilizzando parte dell’energia del liquido di raffreddamento
del motore e dei gas di scarico del motore per raggiungere temperature fino a 80 °C. Il COP della
pompa di calore salirebbe fino a 3,5 ed il rendimento exergetico complessivo salirebbe fino all’11%.
La cogenerazione e la trigenerazione36 rispondono bene alle necessità di economia dell’exergia
migliorando la qualità dei processi di trasformazione dell’energia. Queste nuove tecniche applicano il
concetto dell’energy cascading e quindi consentono alle singole utenze di attingere ad una sorgente il cui
livello exergetico è il più consono per gli usi finali preposti. Ciò consente di riversare nell’ambiente un
cascame termico quasi del tutto esausto, cioè con un minor grado di irreversibilità e quindi con minore
impatto ambientale.
6.4 IL FATTORE DI QUALITÀ, FQ
Per caratterizzare una fonte di energia si utilizza il fattore di qualità, FQ, che misura la parte di
exergia contenuta nella quantità totale di energia.
Per l’energia elettrica e meccanica FQ=1 mentre per l’energia termica vale il fattore di Carnot
(130) che esprime il grado di conversione ideale di una sorgente di calore in lavoro utile (cioè la sua
exergia).
In Figura 175 si ha l’andamento del Fattore di Carnot in funzione della temperatura della sorgente
calda rispetto ad un ambiente a 300 K.
1
0.85
0.8
0.6
FQ ( T )
0.4
0.2
0 0
0 500 1000 1500 2000
300 T 3
2 ×10
Figura 175: Andamento del Fattore di Carnot
Si comprende bene, dall’osservazione di questa figura, come FQ tenda a zero quando ci si
avvicina all’ambiente (dead state) mentre cresce molto quanto più alta è la temperatura della sorgente.
Noto il fattore di qualità FQ si può calcolare l’exergia ottenibile dalla semplice relazione:
e = FQ ⋅ h (142)
36 Con Trigenerazione si intende la produzione simultanea di energia elettrica, di calore e di freddo. Si vedrà in
E+Q
ηSC = (147)
C ( E ) + C (Q)
ove C(E) e C(Q) sono, rispettivamente, le energie primarie necessarie per fornire l’energia
elettrica E e quella termica Q. Naturalmente la produzione separata si suppone effettuata con le
migliori tecnologie reperibili sul mercato.
La cogenerazione è priva di interesse quando ha rendimento minore di quello del sistema di
confronto, cioè con produzione separata.
6.6 RISPARMIO ENERGETICO NEL RISCALDAMENTO DEGLI EDIFICI
La più volte citata L10/91 sul contenimento dei consumi energetici per il riscaldamento
ambientale obbliga al ricorso a fonti rinnovabili o assimilate37 nel caso di edifici pubblici.
Si tratta, quindi, di una norma che tende a favorire il risparmio energetico nelle forme oggi
possibili e sostanzialmente in modo attivo (cioè mediante l’uso di impianti attivi,ad esempio solari) o
passivo (cioè intervenendo sugli involucri degli edifici).
Il risparmio dell’energia nella climatizzazione degli edifici può essere ottenuto in numerosi modi,
spesso sinergici. In primo luogo si può (e si deve!) intervenire nel sistema costruttivo mediante l’uso di
coibenti termici in tipologia e spessori adeguati.
A questo riguardo alcune amministrazione (ad esempio le province autonome di Trento e
Bolzano e qualche altra amministrazione del Nord Ovest) incentivano l’utilizzo dei coibenti termici
anche al di là delle prescrizioni indicate dalla L. 10/91 (già viste in precedenza) premiando il maggior
investimento con una riduzione degli oneri di urbanizzazione o del sistema di tassazione locale.
Un secondo metodo di pari efficacia è quello di ottimizzare l’interazione edificio-impianto
mediante scelte ottimali dei generatori (ad alto rendimento energetico) e con l’adozione di adeguati
piani di manutenzione. Infine la sostituzione delle normali finestre a singolo vetro con analoghe a
doppio vetro o con vetro-camera può contribuire in modo significativo alla riduzione dei consumi
energetici, unitamente al controllo delle infiltrazioni esterne.
L’eliminazione del riscaldamento unifamiliare a favore del riscaldamento centralizzato di
condominio o, meglio, di quartiere può contribuire ancora alla riduzione dei consumi energetici con il
raggiungimento di rendimenti energetici dei generatori certamente superiori a quelli dei piccoli
generatori singoli unifamiliari. In quest’ultima ipotesi si avrebbero benefici notevoli anche sulla
riduzione dell’inquinamento atmosferico per effetto di un miglior controllo della combustione.
Dal punto di vista della riduzione dei consumi, l’applicazione dei concetti di cogenerazione può
fornire contributi certamente significativi. Si consideri, infatti, che l’utilizzo dell’energia termica per il
riscaldamento ambientale è fatto a temperatura sostanzialmente bassa (70 °C in media nei radiatori e
35 °C nei pannelli radianti) e quindi il rendimento exergetico risulta molto basso se si tiene conto che la
combustione in caldaia del gasolio o del gas porta ad avere temperature dell’ordine dei 1000 °C e
quindi con un degrado exergetico molto grande.
Ad esempio, con un utilizzo a temperatura di 330 K rispetto ad una temperatura di fiamma di
1573 K si ha un rendimento exergetico di circa il 4%.
Se consideriamo che ai fini del riscaldamento ambientale solo una frazione (anche se
maggioritaria) dell’energia prodotta in caldaia arriva agli ambienti (si ricordi il rendimento globale
definito con la L. 10/91 come prodotto dei rendimenti del generatore, di distribuzione, di emissione e
di regolazione) allora, detta Qa l’energia effettivamente utilizzata si ha il rendimento exergetico, riferito
all’exergia Ec fornita alla caldaia mediante il combustibile, si ha:;
T
Qa 1 − e
Tai T
ηex = = ηen 1 − ae (148)
mE
ɺ c Tai
37 Si intendono per fonti assimilabili le fonti energetiche derivanti dalla cogenerazione, il calore recuperato da
avendo indicato con Tae la temperatura dell’aria esterna di alimentazione della caldaia e Tai quella
dell’aria interna. Assumendo Tae = 0 °C e Tai = 20 °C ed un rendimento energetico di caldaia ηen=90%
si ottiene un rendimento exergetico pari a ηex=6%.
Quanto appena calcolato, confrontato con il rendimento energetico dei generatori di calore
normalmente utilizzato nell’impiantistica termotecnica, ci dice che l’utilizzo dell’energia termica da
combustione per il riscaldamento ambientale è, da un punto di vista termodinamico di seconda legge,
scarsamente efficiente.
Se invece di utilizzare l’energia termica direttamente nell’impianto di riscaldamento la
utilizziamo per produrre energia elettrica (ciclo Hirn) ed alimentiamo in contropressione la turbina in
modo da avere anche un utilizzo termico allora il fattore di utilizzazione energetico diviene:
Energia _ Elettrica + Energia _ Termica
fu = (149)
Entalpia _ combustibile
Si osservi che la precedente relazione non definisce un rendimento termodinamico poiché rapporta
energie non omogenee (cioè di diversa qualità exergetica).
Un uso dei combustibili come prima indicato porta ad avere riduzioni significative del 20÷30%
rispetto alla produzione separata di energia elettrica e termica.
Anche l’uso delle pompe di calore risulta exergeticamente più conveniente. Ad esempio, con
riferimento ad un ciclo di Carnot inverso, una potenza meccanica W fornisce una potenza termica:
T1
W (150)
T1 − T2
C O M B U S T IB IL E U TEN ZE
MOTORE PRIM O
E L E T T R IC H E
C O M B U S T IB IL E
U T E N Z E T E R M IC H E
CALDAIA
mentre definiamo aperto un SET che interagisce anche con le grandi reti di distribuzione dell’energia
elettrica e del calore, vedi Figura 178.
E N E R G IA E LE T T R IC A
SET UTENZA
E N E R G IA T E R M IC A
R E T E E L E T T R IC A IT A L IA N A
E N E R G IA E L E T T R IC A
SET UTENZA
E N E R G IA T E R M IC A
RETE DI CALORE
38 La delibera del Comitato Interministeriale dei Prezzi relativa alla tariffa speciale di acquisto dell’energia elettrica
prodotta da terze parti è nota come CIP6 del 1992. Attualmente il prezzo dell’energia è di circa 290 L/kWh (prezzo
politico di incentivazione) ed ha una validità contrattuale di 8 anni. Il CIP6 è attualmente sospeso in attesa di una nuova
delibera CIP che fissi modalità di cessione dell’energia elettrica confacente alle nuove esigenze di produzione e
distribuzione dell’energia.
39 Questo decreto impone ai nuovi gestori della distribuzione dell’energia elettrica di acquistare e distribuire
almeno il 2% di energia indicata col termine verde e cioè prodotta da fonti alternative (fra cui anche i RSU). Questa
percentuale dovrà salire negli anni futuri fino oltre il 6%. L’energia verde viene ceduta mediante certificati di credito che
attualmente valgono circa 200 Lire per kWh.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 172
comporta il ricorso a competenze tecniche specialistiche che aggravano i costi di primo impianto e di
gestione. In campo civile questo problema può essere rilevante mentre in campo industriale si può
pensare che le suddette competenze siano più facilmente reperibili all’interno delle stesse industrie. In
ogni caso un progetto SET basa la sua motivazione d’essere sulla maggiore convenienza rispetto agli
impianti tradizionali.
Questa convenienza deve essere dimostrata con una analisi economica dettagliata (studio di
fattibilità tecnico-economica e business plan) che parta dall’esame dei carichi elettrici e termici e tenga conto
delle condizioni al contorno (distributori esterni di elettricità e di calore).
Quanto appena detto comporta la necessità di descrivere con maggior dettaglio l’approccio
metodologico all’analisi progettuale dei SET.
7.2 METODI DI ANALISI PROGETTUALI PER UN SET
La scelta e la composizione di un sistema energetico totale può essere molto complessa sia per
la molteplicità di soluzioni tecniche possibile che per grande variabilità delle esigenze dell’utenza.
E’ necessario, pertanto, una attenta analisi economica ed energetica sulla base dei diversi parametri di
riferimento possibili e disponibili.
Occorre sapere il tipo di combustibile utilizzato (gasolio, metano, oli pesanti,….) e di fluido
termovettore (ad esempio acqua calda,..).
I consumi termici possono essere caratterizzati da indici di prima approssimazione (quale, ad
esempio, il consumo specifico per unità di volume) o di seconda approssimazione, più precisi,
derivanti da calcoli specifici in relazione alla tipologia edilizia e alla climatologia del sito.
E’ possibile anche usare codici di calcolo per avere indicazioni più affidabili in funzione dei
parametri edilizi e climatologici del sito. I dati relativi al fabbisogno possono essere globali (riferiti
all’anno), mensili, giornalieri o anche orari.
CO M BU STIBILE UT ENZE
MOTORE PRIMO
E LE TTR ICHE
ENERGIA POMPA DI
TERMICA CALORE
Figura 180: Inserimento di una pompa di calore per incrementare il carico elettrico
⋅ La macchina ad assorbimento permette di trasformare un fabbisogno di tipo elettrico
(compressore frigorifero tradizionale) in uno di tipo termico (cioè si ha il caso duale del
precedente).
⋅ Un sistema di accumulo di energia termica permette di ridurre le punte di potenza nel
diagramma di carico orario dell’Utenza.
Le tre possibilità concorrono ad avvicinare CMP al CU minimizzando il ricorso (interscambio)
all’integrazione mediante reti esterne (ENEL o di servizi calore).
7.4 ANALISI ENERGETICA ED ECONOMICA DI UN SET
Per stabilire la convenienza di un SET occorre effettuare una analisi energetica ed una
economica secondo le linee delineate nel prosieguo.
7.5 ANALISI ENERGETICA DI UN SET
Per effettuare l’analisi energetica di un SET occorre seguire una metodologia di analisi che sia in
grado di quantificare le prestazioni del SET, permetta di operare un confronto con la situazione
preesistente o in ogni caso con un sistema convenzionale. Inoltre occorre pervenire alla definizione
dei dati necessari per la valutazione della convenienza economica. Abbiamo fin ad ora caratterizzato il
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 175
motore primo mediante il rapporto CMP (rapporto termico/elettrico fornito). E’ ora opportuno definire
nuovi parametri caratteristici e in particolare:
Rendimento Elettrico (o Termodinamico) NE
E’ dato dal rapporto:
EE
NE = (152)
F
ove EE è l’energia elettrica prodotta ed F è l’energia primaria del combustibile necessaria per
produrre EE.
Rendimento Termico NT
E’ dato dal rapporto:
ET
NT = (153)
F
con ET energia termica utile prodotta ed F energia del combustibile per produrre ET.
Rendimento Globale NTot
E’ dato dalla somma:
NTot = N E + NT (154)
Si ricordi che questa somma non è omogenea in quanto si sommano grandezze aventi qualità
termodinamica diversa.
Rendimento Exergetico EEx
Dato dalla relazione:
T
EEx = N E + NT 1 − 0 (155)
T1
ove T0 è la temperatura di riferimento, in K, T1 è la temperatura di utilizzo del calore, in K.
Il rendimento exergetico pesa in modo corretto i contributi elettrici e quelli termici (mediante il
Fattore di Carnot) e quindi valuta correttamente i benefici di un sistema SET basato sulla
cogenerazione. Come è facile dedurre dalla (155), il rendimento exergetico è tanto maggiore quanto
più elevata è la temperatura di utilizzo termico T1.
Quanto sopra indicato vale per un SET nel quale siano individuati univocamente i morsetti
elettrici (uscita elettrica) e la flangia di uscita del calore. Possono esserci casi più complessi nei quali, ad
esempio, gli utilizzi termici avvengono a temperature diverse e quindi si dovranno calcolare
separatamente i singoli contributi termici.
Rendimenti di distribuzione
Per tenere conto della distribuzione dell’energia si definiscono i seguenti rendimenti:
⋅ Rendimento di distribuzione elettrica NDE;
⋅ Rendimento di distribuzione termica NDT.
Come già detto, per valutare i benefici indotti dal SET occorre effettuare un confronto con la
soluzione preesistente o convenzionale. Ciò si ottiene introducendo il concetto di Sistema
Convenzionale di Riferimento (SC) definito come quel sistema che produce in modo disgiunto la
stessa quantità di energia elettrica e termica ottenuta, questa volta in modo congiunto, dal SET.
Risparmio di Energia Primaria, R
E’ il risparmio di energia primaria di un SET che abbia rendimenti elettrico NE e termico NT è
definito, a pari quantità di energia elettrica e termica prodotta, dalla relazione:
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 176
1
R= (156)
N E NT
+
N E NT
ove i parametri sopra segnati sono riferiti al Sistema Convenzionale (SC).
Costo Marginale del Calore, CMT
Il Costo Marginale del Calore è l’energia primaria che occorre fornire in più ad un SET che
produce solo energia elettrica per produrre una unità di energia termica e la stessa energia elettrica
prodotta dal SC. Esso è definito, quindi, dal rapporto:
N
1− E
NE
CMT = (157)
NT
Costo Marginale dell’Energia Elettrica, CME
Il Costo Marginale dell’Energia Elettrica è l’energia primaria che occorre fornire in più ad un SET
che produce solo energia termica per produrre una unità di energia elettrica e la stessa energia termica
prodotta dal SC. Esso è definito, quindi, dal rapporto:
N
1− T
NT
CME = (158)
NE
Entrambi i due parametri di costo marginale possono anche tenere conto dei rendimenti di
distribuzione dell’energia elettrica e termica.
Modalità di Confronto fra SET ed SC
Per confrontare il Sistema Convenzionale (SC) ed il Sistema ad Energia Totale (SET) in una data
applicazione si possono utilizzare i rendimenti exergetici.
Sulla base dei parametri definiti nel paragrafo precedente è possibile confrontare i flussi di
energia in entrata e in uscita sia per il SC che per il SET, la quantità di energia utile prodotte dal SC e
dal SET, il consumo di combustibile, i rendimenti ed il risparmio di energia primaria.
7.6 ANALISI ECONOMICA DI UN SET
I benefici termofisici (riduzione dei consumi, riduzione di energia primaria) di un sistema SET
possono essere calcolati mediante le definizioni del paragrafo precedente. Il confronto e la
convenienza di un SET è però determinata anche da parametri economici e pertanto è fondamentale
predisporre un’analisi economica approfondita.
Da un punto di vista termodinamico sarebbe meglio definire un’analisi exergonomica, cioè
un’analisi economica basata sui rendimenti exergetici anziché solamente energetici. In definitiva
un’analisi basata sul secondo principio della Termodinamica è oggi (da non più di due decenni) più
indicata di una semplice analisi di primo principio.
In genere un sistema termofisico (cioè un impianto di cogenerazione nel caso in esame) con i
valori di rendimenti più elevati è anche il sistema economicamente più costoso sia in termini di primo
investimento che di gestione.
Occorre pertanto verificare sempre la convenienza economica di una scelta progettuale (SET)
e in particolare, tenuto conto dell’obiettivo di un SET di ridurre i consumi energetici rispetto ai sistemi
convenzionali, occorre dimostrare che le spese di investimento richieste per il SET (certamente
maggiori rispetto a quelle corrispondenti di un Sistema Convenzionale che utilizza tecnologie note e
più comuni) siano giustificate da un minor costo di gestione.
E’ proprio quest’ultimo aspetto che riveste una importanza economica fondamentale: in genere
la fattibilità tecnico economica tende a dimostrare che il risparmio di gestione (cioè di energia
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 177
primaria e manutenzione degli impianti SET) nell’arco di vita (programmata) dell’impianto compensa
il maggior costo di investimento.
E in genere c’è anche un utile aggiuntivo40 che giustifica l’investimento!
E’ bene sottolineare che non sempre la convenienza energetica porta (o giustifica) una
convenienza economica per cui è bene condurre le analisi energetica ed economica con molta
attenzione utilizzando dati certi e verificati. Spesso il margine di profitto di questi investimenti è basso
o addirittura nullo e l’investimento si giustifica anche per altri benefici indotti quali il minor
inquinamento, posti di lavoro aggiuntivi, rinnovo degli impianti, riduzione delle tasse41 ,….
L’analisi economica segue le regole finanziarie tipiche dell’analisi Costi Benefici e/o del Bussiness
Planning che in questa sede non si approfondiscono perché appaiono fuori tema. Se ne forniscono
brevemente i principi basilari e si rimanda ai testi specializzati di economia per una trattazione
approfondita.
Scopi dell’analisi economica
Fra gli scopi principali occorre:
⋅ Valutare gli effetti economici della scelta e quindi della costruzione di un sistema ad energia
totale, SET, in funzione dei fattori di progetto quali, i dati di produzione e consumi di energia
termica ed elettrica, configurazione dell’impianto e criteri di gestione;
⋅ Valutare i dati economici relativi all’investimento e alla gestione dell’impianto anche in relazione
al costo di mercato dei vari componenti, del costo dell’energia e dei servizi esterni;
⋅ Valutare i dati economici dell’Utenza, quali il personale, il sito, le strutture ausiliarie, le spese
assicurative, …;
⋅ Prevedere lo scenario evolutivo della disponibilità e del costo dell’energia. Si tratta di una
operazione complessa e fortemente aleatoria in quanto legata a variabili non governabili
localmente ma dipendenti, a scala mondiale, da situazioni geo-politiche, da interessi economici e
speculativi di difficile previsione.
In genere i costi vengono suddivisi in:
⋅ Fissi: sono i costi relativi all’investimento per l’acquisto dei componenti, per la realizzazione
delle opere civili, per gli impianti ausiliari, per le spese di montaggio e collaudo dell’opera;
⋅ Variabili: sono i costi relativi ai combustibili, ai lubrificanti e in genere ai materiali di consumo
legati al funzionamento del SET. Sono qui comprese le spese di manutenzione e, per i sistemi
aperti, i costi dei flussi di energia elettrica e termica dalle reti esterne.
Metodo del Cash Flow Attualizzato
Un metodo molto spesso utilizzato e particolarmente efficace per la valutazione economica è
denominato Cash Flow Attualizzato e rappresenta il bilancio, in genere si base annuale, dei flussi di cassa
del denaro attualizzati che interessano una data attività e quindi anche per l’analisi economica di un SET.
In Figura 181 si ha lo schema a blocchi di un cash flow per un sistema ad energia totale, SET e
vale il seguente simbolismo:
⋅ AS incasso annuale totale proveniente dalla globalità delle vendite dei prodotti e/o servizi;
⋅ ATE spese totali annuali necessarie per vendere e produrre il prodotto e/o servizi (ad
esclusione degli ammortamenti);
⋅ ACI Entrata di cassa annuale;
⋅ AIT Tassa annuale sulle entrate;
40 La L. 10/91 si basa su questo concetto di ritorno dell’investimento aggiuntivo favorendo l’aggiornamento degli
impianti da parte di Terzi Dante Causa (cioè i Gestori) senza richiedere alcun costo agli Enti Proprietari. In definitiva i
Gestori possono aggiornare gli impianti e in particolare possono sostituire le caldaie con altre di alto rendimento (più
moderne ed efficienti) pagando le spese con il minor costo di gestione (energia e manutenzione) conseguente.
41 Si pensi alla Carbon Tax che oggi in sede europea si vuole applicare a tutte le attività produttive che generano
⋅ ATC spese annuali di capitale di investimenti che non sono necessariamente nulli dopo che
l’impianto è stato costruito (ad esempio, per ampliamenti, modifiche, sostituzioni, ….);
⋅ ACF Flusso di cassa annuale al netto delle tasse.
As ACI ACF
42Ad esempio la tariffazione agevolata CIP6 scade dopo 8 anni e quindi la vendita di energia elettrica a tariffa di
mercato (notevolmente inferiore a quella CIP6) comporta una riduzione di flusso cassa, come indicato in Figura 182.
Analogamente si possono avere cessazioni di benefici fiscali per la mano d’opera: in Sicilia si ha la fiscalizzazioni di parte
degli oneri sociali per i primi 5 anni di attività. Oppure ci possono essere dipendenti assunti con la cosiddetta Legge
Giovanile con oneri fiscali ridotti e che dopo due anni di servizio ritornano alla piena fiscalità.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 179
Si utilizzano, pertanto, opportuni indicatori economici che sintetizzano la variabilità nel tempo di
ACF in espressioni di facile e comodo uso.
Cash Flow (icluding taxes)
60.000
40.000
20.000
0
0 2 4 6 8 10 12 14 16
CF
-20.000
-40.000
-60.000
-80.000
Anni
∑ nA CFn
NPV = 1
(163)
(1 + i )
n
dove si ha il simbolismo:
⋅ i tasso di attualizzazione44;
⋅ n anno di vita considerato dell’iniziativa;
⋅ N tempo di vita dell’impianto o dell’iniziativa. Questo tempo è dettato, spesso, da
considerazioni finanziarie quali, ad esempio, tempo di estinzione del mutuo bancario avuto per
l’investimento o la durata di una concessione pubblica o contrattuale di una iniziativa.
Normalmente varia fra 15 e 20 anni anche se si possono considerare tempi più lunghi.
L’indice IIR (Indice di Redditività Interno) si ha quando è NPV=0. Questo indice è considerato fra i
più importanti per la valutazione economica perché sintetizza numerosi aspetti economici che il Tempo
43
In Figura 182 il tempo di pay-back è dato dall’ascissa di intersezione della curva cumulativa con l’asse dei tempi.
44
L’attualizzazione tiene conto della svalutazione del denaro per effetto degli interessi (tasso di sconto) da pagare
al finanziatore per avere disponibile la somma S al momento iniziale dell’investimento. Il valore di S fra n anni con interessi
V = S (1 + i ) e V è detto valore attuale della somma S al tasso di sconti i dopo n anni.
n
iè
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 180
di Ritorno45 o il Valore Attuale da soli non consentono di vedere. Questi ultimi due parametri sono,
però, accessori all’IIR e comunque richiesti per la valutazione economica.
Viene indicato con Valore Attuale Netto di un investimento I nel periodo N e valore attuale NPV
la differenza:
VAN = NPV – I (164)
Si definisce Indice di Profitto, IP, il rapporto tra la somma dei flussi di cassa lordi attualizzati ed il
valore degli investimenti. Nel caso in cui l’intero investimento sia riferibile al momento iniziale allo si
ha:
VAN + I NPV
IP = = (165)
I I
Si definisce inoltre Redditività dell’Investimento, RI, il rapporto:
VAN
RI = (166)
I
Sono oggi molto usati alcuni indici di derivazione anglosassone e in particolare il Tasso di
Redditività, ROI (Return of Investment), definito dal rapporto fra l’utile medio annuale e l’investimento
iniziale. L’utile medio annuale è definito come differenza tra il risparmio annuale medio R e la quota di
ammortamento della spesa iniziale Sa, pertanto si ha:
R − Sa
TR = ROI = (167)
I
Osservazione sul metodo del Net Cash Flow
Il metodo del flusso di cassa netto consente di determinare una innumerevole quantità di indici
(più o meno richiesti dalle banche in sede di certificazione del bussiness plan) ma occorre fare molta
attenzione al valore reale che il metodo può avere. Esso, infatti, si basa sulla presunzione di prevedere gli
andamenti a lungo termine dei vari parametri finanziari oltre che dei costi e dei ricavi.
Non è assolutamente facile arrivare a tanta sicurezza specialmente se le previsioni si estendono
oltre i cinque anni. Un esempio può chiarire quanto appena enunciato. Se si vuole esaminare la
convenienza economica di un SET nell’arco di venti anni si deve inevitabilmente assumere un costo
dell’energia primaria (gasolio, gas metano, …) che è certamente noto al momento della stesura dello
studio ma che è del tutto imprevedibile nel corso dei successivi venti anni.
Si suole ipotizzare uno scenario di sviluppo dei costi che è più o meno cabalistico poiché nessun
operatore economico può prevedere l’evoluzione geopolitica delle regioni fornitrici di materie prime
per l’energia (paesi arabi, Russia, Regioni africane, ..).
Basta un piccolo conflitto regionale o una ipotesi di conflittualità in una regione della terra per
innescare una spirale non controllabile di innalzamento dei prezzi. In questi mesi stiamo vivendo una
situazione che esemplifica molto bene quanto appena detto: il costo del barile di grezzo è passato nei
giro di sei mesi da 14 a 34 $/barile.
All’inizio degli anni settanta, con la prima grande crisi petrolifera innescata dai conflitti arabo –
israeliani, il costo del petrolio sembrava aumentare del 15% all’anno e certo una tendenza del genere
avrebbe innescato eventi catastrofici sulle economie degli stati importatori di petrolio.
Dopo circa un paio d’anni il costo del barile scese dai circa 40 $ ai 12 $ annullando tutte le
previsioni possibili, da quelle ottimistiche a quelle pessimistiche. Allo stesso modo è difficile prevedere
il costo del denaro per lunghi periodi a causa della contingenza economica ormai su scala mondiale.
La sostanziale insicurezza delle previsioni di cassa rende il metodo del cash Flow sostanzialmente
approssimato e quindi poco affidabile. Per questo motivo, ad esempio, le banche richiedono molti
indici economici poiché ognuno di essi presenta suscettibilità di errore differenziati.
45 Si può avere un tempo di ritorno breve ma poi un cash flow minore per effetto della variabilità dei parametri,
come già osservato. Così pure, il valore attuale può essere piccolo ma essere alla fine del tempo di vita dell’impianto e
quindi poco importante per l’iniziativa.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 181
Inoltre la prevedibile imprecisione dei flussi di cassa porta a richiedere indici non solo elevati, e
quindi sinonimi di convenienza economica dell’iniziativa esaminata, ma le banche si mettono al riparo
da sorprese possibili richiedendo valori più elevati del necessario in modo da essere sicure che l’iniziativa
possa recuperare liquidità anche in situazioni contingenti molto sfavorevole. Così, ad esempio, non
basta che, detratte le tasse, una iniziativa renda il 20% (valore già elevato!) ma si chiede che la
redditività netta sia superiore al 30÷35% (enorme!).
Si può intuire quale sia la ratio di una simile richiesta: una redditività molto alta garantisce un
ritorno degli investimenti in un numero limitato (2÷4) di anni e quindi le possibilità di rischio si
riducono fortemente quanto minore è il tempo di pay back.
In genere gli indici economici di breve periodo forniscono più sicurezza alle banche rispetto ad
altri di lungo periodo.
In genere si calcola l’IIR in funzione di ciascuno di questi parametri, a parità di altre assunzioni,
per cui è possibile individuare il valore limite del parametro nell’ambito della convenienza
dell’impianto (o dell’iniziativa) che corrisponde ad un dato IIR così calcolato pari al tasso di sconto i.
Fra i parametri che interessano gli impianti SET sono da considerare il costo dell’energia
primaria, il fatturato, la spesa di investimento (specialmente se il periodo di costruzione dell’impianto
non è breve). L’analisi di sensitività può essere oggi condotta con strumenti di calcolo sofisticati e
computerizzati. In ogni caso è sempre bene ricorrere ad uno specialista finanziario per evitare di
incorrere in errori grossolani.
50%
RENDIMENTO TERMICO
45%
MEDIO ANNUALE
40%
35%
30%
25%
20%
25% 26% 27% 28% 29% 30% 31% 32% 33% 34% 35% 36% 37% 38% 39% 40%
Figura 183: Andamento di IEN in funzione dei rapporti di trasformazione elettrica e termica
Si deduce che i due rendimenti limiti per l’assimilabilità sono 0.51 per l’elettrico e 0.9 per il
termico. Ora mentre è agevole, con le attuali tecnologie, arrivare a 0.9 per un generatore elettrico non
è altrettanto facile raggiungere il valore 0.51 per il rendimento elettrico, specialmente per gli impianti
cogenerativi.
Ne deriva che per compensare il minor rendimento elettrico si debbono avere forti rendimenti
termici e quindi risultano favoriti gli impianti con una forte utilizzazione termica a scapito degli impianti con
forte utilizzazione elettrica.
I cicli misti gas-vapore sono nettamente svantaggiati rispetto ai motori a combustione interna e
alle turbine a gas con forte post combustione47 (vedi nel prossimo capitolo le caratteristiche dei motori
primi). Naturalmente tutto ciò è vero se si ha una piena utilizzazione dell’energia termica prodotta.
Quest’ultima osservazione incentiva, specialmente negli usi civili, l’uso del calore in esubero per
la produzione del freddo nel periodo estivo.
7.7 I MOTORI PRIMI DEL SET
Il componente fondamentale di un Sistema ad Energia Totale, SET, è il motore primo cioè il
componente che fornisce energia termica ed elettrica in modo cogenerativo. Quelli maggiormente
utilizzati sono:
⋅ Il motore alternativo;
⋅ La turbina a vapore;
⋅ La turbina a gas.
E’ importante inquadrare il funzionamento del motore primo in un ciclo termodinamico nel
quale si evincano i livelli di utilizzo delle frazioni energetiche interessate.
Vediamo ora brevemente (si rimanda ai Corsi di Macchine per maggiori approfondimenti) i
punti principali da ricordare per la scelta del motore primo di un impianto di cogenerazione.
47 La post combustione non incrementa il rendimento elettrico poiché agendo sui soli gas di scarico non porta
C
C A L O R E F O R N IT O
P E R C O M B U S T IO N E A
P R E S S IO N E
CO STAN TE
B LAVORO NEI
C IL IN D R I
LAV O RO
COMPRESSORE D
A C A L O R E D I S C A R IC O A
VOLUM E COSTANTE
E n tro p ia
vC
rc = (172)
vB
con i simboli di Figura 184. I rendimenti di questo ciclo sono elevati, rispetto ai cicli Otto,
poiché si può comprimere solo aria nella fase AB evitando i fenomeni di autodetonazione delle
benzine.
I motori diesel richiedono poca manutenzione e sono caratterizzati da un numero di giri al
minuto inferiore rispetto a quello dei cicli a benzina. Oggi si hanno i cicli misti, cicli Sabathè,
caratteristici dei diesel veloci. Si raggiungono circa 6000 g/m ed alti rendimenti.
C
C A LO R E F O R N ITO
P E R C O M B U S TIO N E A
V O LU M E C O S TA N T E
B LA V O R O N E I
C ILIN D R I
LA V O R O
COM PRESSORE D
A C A LO R E D I S C A R IC O
E ntrop ia
⋅ Comportamento della miscela di gas diverso dall’aria standard e quindi con calori specifici
variabili alle varie pressioni e temperature;
⋅ I prodotti di combustione presentano fenomeni di dissociazione ad elevate temperature;
⋅ I fenomeni di accensione e combustione avvengono in intervalli di tempo non trascurabili e
quindi non istantanei;
⋅ I cicli sono aperti e quindi con scambi di massa con l’esterno.
le frazioni pesanti possono essere usate solo nei diesel lenti con opportune scelte di materiali (testate
in ghisa).
Si ricordi che le frequenze naturali dell’edificio debbono essere lontane da quelle indotte dalle
vibrazioni dei motori per evitare pericolose risonanze.
Per un corretto studio del blocco delle fondazioni occorre conoscere i modi di vibrazione del
blocco motore-fondazioni, l’impedenza meccanica del terreno e i modi di oscillazione dell’edificio.
Come criterio guida per la progettazione della fondazione occorre che la sollecitazione unitaria
sul terreno non deve superare 1/3 ÷ ¼ della sollecitazione statica ammissibile, il baricentro dei carichi
deve essere sulla verticale al centro dell’area di base della fondazione, l’ampiezza delle vibrazioni deve
essere contenuta entro valori limiti imposti dalle norme e il peso della fondazione (cioè del solo blocco
di calcestruzzo di base) deve essere grande (3÷20 volte maggiore) rispetto a quello del motore, anche
in funzione della velocità di rotazione di quest’ultimo.
Gs di scarico a 400 °C
Acqua Motore a 80 °C
Aria sovralimentazione
a 150 °C
Olio Raffreddamento
Irraggiamento Acqua
polverizzatori
Lavoro Utile
ALL-UTENZA
SEPARATORE DI VAPORE
SCAMBIATORE GAS DI
SCARICO
POMPE
``
`
MOTORE
`
ALL-UTENZA
SCAMBIATORE OLIO
SCAMBIATORE ACQUA POMPE
ACQUA DI ALIMENTO
ALLA UTENZA
E C O N O M IZ Z A T O R E
A L C A M IN O
S C A M B IA T O R E G A S D I
S C A R IC O
S C A M B IA T O R E
ALLA UT ENZA
`
MOTORE
`
S C A M B IA T O R E OSLCIO
A M B IA T O R E A C Q U A POM PE A C Q U A D I A L IM E N T O
Figura 189: Schema di un impianto di recupero del calore di un motore diesel con economizzatore
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 191
ALLA UTENZA
ACQUA DI ALIMENTO
SEPARATORE DI VAPORE
VALVOLA
SCAMBIATORE GAS DI
DI BY POASS
SCARICO
MOTORE
POMPA
Figura 190: Schema di impianto con motore Diesel e recupero di calore con produzione di vapore
Temperatura
C
C A LO R E F O R N ITO Q 1
B LA V O R O
TU R B IN A
LA V O R O
COMPRESSORE D
A C A LO R E C E D U TO Q 2
En tro pia
k
k −1
T
rpmax = C (180)
TA
L −L + r − k
RL = +
= 1− p (181)
L rpmax
Il Rapporto dei lavori è massimo per rp=0 mentre vale 0 quando rp = rp.max come indicato in
Figura 194. In essa si può anche osservare come il lavoro utile abbia un andamento parabolico con un
valore massimo corrispondente interno al rapporto delle pressioni.
Il Rapporto dei lavori è quindi massimo in corrispondenza ad un valore ottimale del rapporto delle
pressioni che vale:
k
2( k −1)
T
rpottimale = rpmax = C (182)
TA
I cicli Joule – Bryton sono caratterizzati da uno sviluppo di grandi potenze con piccoli volumi di
impianto. Ciò è dovuto al fatto che, diversamente dai motori a scoppio (sia a benzina che diesel) essi
producono potenza in continuità.
I rendimenti vanno dal 25% al 35% a seconda del rapporto delle pressioni utilizzato e del
rapporto fra la temperatura massima e la minima del ciclo.
Si tratta di valori lontano dai rendimenti dei cicli a vapore (circa 40% e oltre nei moderni
impianti) e pertanto la produzione di grandi potenze elettriche è oggi sempre più delle centrali a
vapore (sia tradizionali che nucleari) mentre i cicli a gas sono considerati complementari ai cicli a
vapore.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 194
Figura 194: Andamento del rendimento del ciclo Joule – Bryton e del Rapporto dei lavori
Per combustibili aventi caratteristiche diverse da quelle sopra indicate occorre prevedere
turbine opportunamente modificate. Nel caso di combustibili gassosi non devono essere presenti fasi
liquide.
I combustibili pesanti possono richiedere un preriscaldamento per rendere possibile sia la
nebulizzazione che il pompaggio.
I metalli vanno separati mediante trattamento di separazione elettrostatica, lavaggio e
centrifugazione (per il sodio) e l’aggiunta di additivi neutralizzanti (per il vanadio).
Nel caso di funzionamento con olio pesante occorre prevedere una fermata ogni 400÷1000 ore
per l’eliminazione delle ceneri ed il lavaggio con acqua calda.
Gs di scarico
Olio Raffreddamento
Lavoro Utile
Figura 198: Impianto cogenerativo con turbina a gas : 120 kWe e 146 MWe
7.7.15 LE MICROTURBINE
Le microturbine sono dei piccolo generatori elettrici che bruciano combustibile gassoso o
liquido per generare un’elevata velocità di rotazione che mette in moto un alternatore. Oggi la
tecnologia della microturbina è il risultato di un lavoro di sviluppo nelle piccole turbine a gas degli
autoveicoli, apparecchiature ausiliari di potenza, che furono sviluppate dall’industria automobilistica
dal 1950. I test sulle microturbine iniziano attorno al 1997 e diventano commerciali nel 2000. Le
potenze di targa delle microturbine commercializzate vanno dai 30 ai 350 kW, mentre le turbine a gas
convenzionali presentano un range di potenze che vanno dai 500 kW ai 250 MW.
Le microturbine come le maggior parte delle turbine a gas, possono essere usate per la
generazione di sola potenza elettrica oppure per la produzione combinata di calore ed elettricità (CHP
= Combined Heat Power). Esse sono capaci di funzionare con una varietà di combustibili, includendo
il gas naturale, gas acidi, e combustibili liquidi come benzina, cherosene, e diesel.
Le microturbine sono adatte per le applicazioni di “generazione diffusa” dovuto alla loro
flessibilità nei metodi di connessione, infatti possono essere collegati in parallelo per servire un grande
carico, inoltre provvedono ad una stabile e attendibile potenza con basse emissioni. Le applicazioni
tipiche sono:
• livellamento dei picchi e generazione di una potenza base ( grid parallel).
• Produzione combinata di calore ed elettricità.
• Stand-alone power.
• ecc,…
I campi di applicazione includono le telecomunicazioni, i ristoranti, gli alloggi, gli ospedali, gli
uffici ed altri settori commerciali. Le microturbine sono attualmente utilizzate nelle applicazioni di
recupero di risorse nelle sorgenti di produzione di olio e gas, nelle miniere di carbone, ecc. Il loro uso
è importante poiché la maggior parte di questi luoghi non sono serviti da corrente elettrica, e spesso
quando sono serviti dalla rete, il servizio è molto costoso.
Nelle applicazioni combinate, il calore di scarico della microturbina è usato per produrre acqua
calda sanitaria, per riscaldare gli edifici, per far funzionare una macchina frigorifera ad assorbimento o
a fornire energia
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 199
p
B
T C
p
A
E
D
B
A
s
CALORE DI RIGENERAZIONE
Il recuperatore a sua volta presenta quattro connessioni, per cui diventa una sfida per il
produttore di microturbine fare delle connessioni in modo tale da ridurre le perdite di pressione,
mantenere i costi di produzione bassi ed avere allo stesso tempo un’elevata affidabilità.
Il recuperatore ha due parametri che ne misurano le prestazioni, l’efficienza e la caduta di
pressione, che vengono selezionate facendo un’analisi dei costi e delle vendite. Un’elevata efficienza
richiede un recuperatore con grande superficie di scambio termico, la quale genera un incremento del
costo e un’ulteriore caduta di pressione.
Quest’ultima riduce la potenza netta prodotta e di conseguenza aumenta il costo delle
microturbine per ogni kW.
Efficienza elettrica
La Figura 201 mostra l’efficienza elettrica di una microturbina con recuperatore in funzione del
rapporto di compressione, per un intervallo di temperature di fiamma comprese tra i 850 ed i 950°C
alle quali corrisponde un’ottima conservazione della vita dei materiali della turbina.
L’efficienza riportata è quella lorda infatti non vengono considerate le perdite di conversione
dall’alta alla bassa frequenza. La stessa figura 4.4.1.1 mostra una elevata prestazione per un rapporto
delle pressioni compreso tra 3 e 4.
La Figura 202 mostra l’andamento della potenza specifica per lo stesso intervallo di temperature
di fiamma e del rapporto delle pressioni. Più elevato è il rapporto di compressione e più alta è la
potenza specifica.
Comunque, i limiti pratici del raggiungere certe velocità di punta da parte dei componenti del
compressore e della turbina dovuto alla forza centrifuga, fa si che si utilizzano rapporti delle pressioni
tra 3,5 e 5.
Figura 201: Efficienza della microturbina in funzione del rapporto di compressione e della temperatura di
fiamma.
In questa figura è mostrato anche il valore del potere calorifero superiore (HHV), il quale
include il calore di condensazione del vapore acqueo nei prodotti della combustione.
Nella letteratura scientifica è spesso usato il potere calorifero inferiore (LHV), il quale non
include il calore di condensazione del vapore acqueo.
Il potere calorifero superiore è più grande di quello inferiore e nel caso di gas naturale la
differenza è del 10%.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 203
Figura 202: Potenza specifica delle microturbine in funzione del rapporto di compressione e temperatura di
fiamma.
Prestazioni a carico parziale
Quando siamo a carico parziale si richiede una minor potenza di uscita dalla microturbina. La
riduzione di potenza può avvenire riducendo la portata massica (ottenuta riducendo la velocità del
compressore) e la temperatura di ingresso alla turbina.
I tempi necessari ad una microturbina per andare dalla condizione di assenza di carico a quella a
pieno carico sono dell’ordine dei 15 secondi. Una rapida eliminazione del carico causerà quindi un
accumulo di energia nella microturbina con un aumento della velocità di rotazione che danneggerà la
stessa.
Insieme ad una riduzione della potenza, questi cambiamenti delle condizioni operative riducono
anche l’efficienza (Figura 203).
Figura 204: Effetto della temperatura ambiente sulle prestazioni di una microturbina.
Un altro fattore che condiziona le prestazioni delle microturbine è l’altitudine in quanto la
densità decresce all’aumentare dell’altitudine rispetto al livello del mare e di conseguenza diminuisce la
potenza (Figura 205).
efficienze e di calore netto utilizzabile. Queste variazioni sono dovuti al modello e al costo di
realizzazione del recuperatore.
Emissioni
Le microturbine presentano delle emissioni particolarmente basse. Tutte la microturbina si
basano sulla tecnologia di bruciare combustibili gassosi che hanno la caratteristica di essere
premiscelati e magri. In questo caso si riducono gli NOx.. I principali inquinanti che fuoriescono dalle
microturbine sono gli NOx (ossidi di azoto), CO (monossido di carbonio) e idrocarburi incombusti.
Esse producono anche delle piccole quantità di SO2 (diossido di zolfo). Le microturbine sono
realizzate per ridurre le emissioni quando siamo a pieno carico; spesso esse sono molto più elevate
quando si opera a carico parziale. L’inquinante NOx è una miscela di NO e NO2. Gli NOx si formano
da tre meccanismi quello predominante è quello termico. L’ossigeno e l’azoto presenti nell’aria non
reagiscono tra loro a temperatura ambiente ma possono reagire ad alta temperatura dando luogo
all’ossido di azoto:
O2 + N 2 ⇒ 2 NO
Il livello di NOx prodotti dall’effetto termico dipende dalla temperatura di fiamma e del tempo
di residenza. Una elevata temperatura di fiamma incrementa di molto la produzione di NOx.
Una combustioni incompleta ci dà CO ed idrocarburi incombusti. Le emissioni di CO sono
dovuti ad un insufficiente tempo di residenza ad elevata temperatura. Le emissioni di CO dipendono
pesantemente anche dalle condizioni di carico. Infatti un’unità che lavora a bassi carichi tenderà ad
avere una combustione incompleta che incrementerà la formazione di CO. I valori di CO devono
essere sotto i 50 ppm. Anche se non è considerato come un inquinante nel vero senso della parola, le
emissioni di CO2 sono alquanto pericolose per il contributo al riscaldamento della Terra. Il
riscaldamento atmosferico è dovuto al fatto che la radiazione solari penetra sulla superficie della Terra
ma la radiazione infrarossa emessa dalla stessa superficie viene assorbita dalla CO2 presente
nell’atmosfera incrementando quindi la temperatura del globo terrestre. La quantità di CO2 emessa è
funzione del carbonio contenuto nel combustibile e dall’efficienza del sistema
La turbina a contropressione scarica parte del vapore ad una pressione stabilita per usi esterni
(di processo o termici) mentre parte (o anche niente per la contropressione totale) prosegue fino a
condensazione).
La turbina a vapore consente di utilizzare combustibili diversi ed avere anche caldaie a recupero
per varie applicazioni. Ha una elevata affidabilità, facilità di conduzione e manutenzione e bassi
consumi specifici per la produzione di elettricità.
In genere la turbina a vapore consente poca elasticità nel carico e quindi si ha una elevata rigidità
di impianto. Le turbine a prelievo regolato presentano una maggiore flessibilità in funzione della
variazione del carico.
Temperatura
C
x=0.6
x= 0
.2
x=1
x=0.4
x= 0
a
x= 0
bar
.8
iso
A X
B
T e p costanti
Curv
a de
o
secc
l vap
ore s
turo
o sa
aturo
quid
secc
del li
o
a
curv
sl sx sv Entropia Specifica
L’area tratteggiata indica la perdita ideale51 rispetto al ciclo di Carnot a pari temperature estreme.
La stessa figura spiega anche perché è importante utilizzare i vapori saturi per le macchine termiche.
Temperatura
B C
A''
A' D
A
Entropia
51 Si ricordi che le trasformazioni reali sono sempre irreversibili e che le aree nel piano di Gibbs non sono pari ai
lavori reali poiché sono incluse anche le perdite per irreversibilità che il diagramma entropico non visualizza.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 211
La Caldaia
Le caldaie di potenza sono mastodontiche installazioni, vedi Figura 215, nelle quali si trasferisce
la massima quantità di energia termica dalla fiamma, in basso nella sezione conica, all’acqua e al vapore
che fluiscono lungo le pareti e nella zona laterale protetta, rispettivamente.
La zona laterale è utilizzata per il surriscaldamento del vapore: essa riceve calore solo per
convezione poiché l’irraggiamento termico della fiamma viene mascherato dalla struttura e in questo
modo può limitare la temperatura massima del vapore.
Si ricordi, infatti, che il calore specifico del vapore è minore di quello dell’acqua e pertanto se si
mantenesse lo stesso flusso termico di fiamma si avrebbe il rischio di bruciatura dei tubi.
Queste caldaie sono assai ingombranti e pongono seri problemi anche dal punto di vista delle
installazioni. Esse richiedono, infatti, strutture portanti di grandi dimensioni, solitamente in acciaio, e
capaci di sopportare azioni deflagranti e sismiche.
TURBINA
LAVORO UTILE
CONDENSATORE
CALDAIA
POMPA
Temperatura
B C
D
E
Entropia
B C
D
E
Entropia
La Turbina a vapore
L’organo che produce potenza attiva è la turbina a vapore il cui schema costruttivo è dato in
Figura 216 nella quale sono visibili gli organi di distribuzione del vapore e gli anelli del rotore di
diametro crescente verso l’uscita52. Nella Figura 217 si può osservare una turbina a vapore di potenza
aperta in stabilimento. Sono ben visibili gli anelli di palette e la sezione crescente verso il collettore di
uscita (coclea esterna). Le dimensioni delle turbine a vapore sono crescenti man mano che la pressione
di esercizio si abbassa rispetto a quella atmosferica. Pertanto le turbine ad alta pressione (oltre 50 bar)
sono molto più piccole di quelle a bassa pressione (una decina di bar). Le turbine ad alta pressione
sono spesso del tipo contrapposto, vedi Figura 218, per ridurre lo sforzo sui cuscinetti di supporto. In
questo caso la distribuzione del vapore è centrale e il flusso viene poi suddiviso verso i due lati in
modo da bilanciare la spinta laterale sui banchi di supporto. I parametri che caratterizzano una turbina
a vapore sono i seguenti:
⋅ condizioni del vapore all’ammissione e allo scarico;
⋅ portata massica del vapore;
⋅ rendimento adiabatico;
⋅ potenza fornita.
Il rendimento adiabatico ηa dipende dal tipo di turbina e in particolare dalla taglia secondo la
seguente tabella:
⋅ per potenze sopra i 150 MW si ha ηa= 0.82÷0.83
⋅ per potenze tra 5 e 50 MW si ha ηa= 0.76÷0.82
⋅ per potenze fra 1 e 5 MW si ha ηa= 0.70÷0.76
⋅ per potenze < 1 MW si ha ηa< 0.72
Quando la turbina a vapore è accoppiata ad un alternatore occorre tenere conto, ai fini del
calcolo della potenza elettrica prodotta, del rendimento di quest’ultimo variabile, secondo la taglia,
nell’intervallo 0.96÷0.99.
52 Si ricordi che il vapore espandendosi aumenta considerevolmente il suo volume specifico e pertanto la turbina
deve consentire questo incremento volumetrico mediante l’incremento della sezione di passaggio del vapore.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 215
Condensatore
Il condensatore è l’organo di maggiori dimensioni di tutto l’impianto.
Esso è costituito da grandi banchi di tubi di rame nei quali si fa passare acqua fredda all’interno
e vapore in uscita dalla turbina all’esterno.
La condensazione avviene ad una temperatura di 32-40 °C e ad una pressione di 0,035-0,045
bar.
Si utilizza, di norma l’acqua di mare o l’acqua di fiumi di grandi portate (ad esempio il Po) per
evitare l’inquinamento termico cioè l’innalzamento sensibile della temperatura dell’acqua e ciò per evitare
conseguenze biologiche nella flora e nella fauna marina.
Pompe di alimentazione in caldaia
L’acqua uscente dal condensatore a bassa pressione (circa 0,04 bar) viene poi portata alla
pressione di alimentazione in caldaia (circa 70 bar) mediante opportune pompe di alimentazione le cui
dimensioni sono piccole rispetto a quelle degli altri organi sopra descritti.
La potenza assorbita dalle pompe di alimentazione è di 1-÷2 % di quella prodotta dalle turbine.
Rispetto al ciclo Rankine il surriscaldamento del vapore da C a D porta ad avere rendimenti più
elevati anche se le perdite per irreversibilità rispetto al ciclo di Carnot corrispondente sono ancora
maggiori.
La temperatura massima oggi raggiungibile in D è di circa 570 °C per le centrali ENEL e di 760
°C per le centrali tedesche. Il motivo di questa diversità è da ricercare nel tipo di acciaio utilizzato per
le costruzioni impiantistiche.
In Italia si usano acciai meno pregiati ma più economici mentre in Germania si utilizzano acciai
austenitici più costosi ma che consentono di lavorare a temperature più elevate con conseguente
maggior rendimento rispetto alle centrali italiane. Oggi con il combustibile ad alto costo è preferibile
avere rendimenti più elevati che costi iniziali di installazione più ridotti. Per aumentare ulteriormente il
rendimento del ciclo Hirn si può anche avere più di un surriscaldamento, come riportato in Figura
220.
In genere si limitano a due o tre i surriscaldamenti per problemi in caldaia.
Temperatura
C
B
F E
Entropia
G
D
C
B
E
F H
Entropia
I cicli a spillamento risultano vantaggiosi anche perché producono una sensibile riduzione delle
dimensioni delle turbine e del condensatore. In questi organi, infatti, viene a fluire una portata
inferiore rispetto al caso di ciclo senza spillamento.
Per il calcolo del rendimento occorre prima determinare le frazioni di vapore spillate e poi
determinare l’energia utile prodotta dalla quantità residua di vapore che si espande fra i vari tratti del
segmento DE. Per la determinazione delle frazioni spillate si ricorre ad equazioni di equilibrio termico
nei singoli recuperatori di calore (in numero pari agli spillamenti).
Tale applicazione viene qui tralasciata per semplicità. Si osservi ancora che vi sono vari criteri
per individuare i punti ottimali di spillamento.
Un criterio semplice, ma in buon accordo con la pratica, è quello di suddividere il salto termico
DE in parti eguali al numero di spillamenti desiderati (come indicato nella Figura 221).
Temperatura
Calore di preriscaldamento C
B
B'
re
alo
di c
Spillamenti
ero
cu p
Re
A
F E
Entropia
⋅ carbone povero
⋅ combustibile da rifiuti (CDR)
⋅ legna
I combustibili gassosi non richiedono, in generale, alcun trattamento ed i bruciatori sono più
semplici che in altri casi. I combustibili liquidi comportano una fase di filtraggio e riscaldamento al
fine di raggiungere i valori necessari di pressione e viscosità (40÷60 bar e η< 5 °E) per la successiva
operazione di polverizzazione al bruciatore.
I combustibili solidi (carbone, scarti di lavorazione, RSU, …) possono subire trattamenti
preliminari per raggiungere i valori di granulometria e contenuto d’acqua imposti dal tipo di bruciatore
adottato o del tipo di forno (ad esempio a letto fluido).
TURBINA
CONDENSATORE
CALDAIA
Inoltre il corpo a bassa pressione non è dimensionato per ricevere tutta la portata di vapore e
pertanto i due casi limiti sono solo teorici. Per questa tipologia di impianto occorre considerare i
seguenti parametri:
⋅ rendimento totale, N
⋅ rendimento elettrico, NE
⋅ consumo specifico di vapore per la produzione elettrica, qp
⋅ rapporto energia termica su energia elettrica, C.
Tutti questi parametri variano al variare del carico elettrico e della potenza termica estratta. In
un gruppo a derivazione e condensazione si può variare il carico elettrico, entro certi limiti, senza
pesare sul carico termico e, viceversa, è possibile variare il carico termico senza disturbare il carico
elettrico. La regolazione, infatti, agisce sia sulle valvole di ammissione alla turbina che su quelle a valle
del prelievo.
CALDAIA
ALLA UTENZA
TURBINA GENERATORE
TURBINA
G
AP BP
CALDAIA
Figura 224: Schema di un impianto a contropressione con due turbine e due livelli di scarico vapore
UTENZA
Figura 225: Schema di un SET con turbina a vapore a contropressione per reti di teleriscaldamento
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 222
7.8.2 IL TELERISCALDAMENTO
Il teleriscaldamento è una distribuzione di energia termica distribuita sul territorio anche a
notevole distanza e per applicazioni anche differenziate. In Italia si sono avute applicazioni di
teleriscaldamento per iniziativa di Aziende Municipalizzate per il riscaldamento urbano (vedansi gli
esempi di Brescia, Ferrara, …).
Purtroppo questa tecnologia è da considerare ancora agli inizi e limitata a superfici limitate
(qualche quartiere). L’energia termica viene prodotta in una centrale appositamente attrezzata (forni
policombustibile) e distribuita mediante reti, magliate e/o ramificate, di tubi di acqua calda a pressione
posta sotto terra. Le centrali cogenerative consentono di produrre sia energia termica che elettrica,
entrambe distribuite in rete dalle stesse aziende municipalizzate. Il calore viene utilizzato sia per
riscaldamento ambientale che per usi sanitari e/o ospedaliero.
Il dimensionamento dell’impianto viene effettuato utilizzando i codici di calcolo per la
previsione dei carichi termici al variare delle condizioni esterne. E’ cos’ possibile conoscere per una
53Si citano, per la loro grande diffusione e riconosciuta validità, i codici TRNSYS, DOE, BLAST. L’ASHRAE
ha proposto il metodo TEDT/TA nel 1967 e CLTD/CLF nel 1977: entrambi questi metodi sono implementati in
programmi commerciali. Anche i codici BIOCLI e DPM predisposti dal Gruppo di Fisica Tecnica della Facoltà di
Ingegneria di Catania si inquadrano in queste tipologie di strumenti di previsione. Questi, fra l’altro, sono stati validati
sperimentalmente presso le test facilty europee della Conphoebus di Catania.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 223
taglia di motore primo l’energia termica che può essere prodotta per soddisfare l’utenza (carico termico
imposto) e la conseguente energia elettrica disponibile.
La convenienza economica e finanziaria di questi impianti porta a preferire taglie dimensionate
per i carichi comuni più frequenti e quindi lontani dai carichi di picco: in genere l’80% dell’energia
richiesta è circa il 40% inferiore al carico di picco.
Per soddisfare le punte massime di carico si usano generatori ausiliari (più economici) che
entrano in funzione nel momento richiesto dall’utenza.
7.8.4 IL TERZIARIO
L’attuale tendenza alla concentrazione di attività commerciali in grossi centri ha creato un nuovo
mercato per la cogenerazione. La mole delle strutture e l’esigenza di climatizzazione sia invernale che
estiva, oltre alle altre esigenze impiantistiche interne (catena del freddo, banconi frigoriferi,…)
presentano ottime possibilità per la cogenerazione.
I criteri progettuali sono del tutto simili a quelli indicati per gli ospedali. Occorre quindi
esaminare correttamente i carichi termici ed elettrici (eventualmente prevedendoli mediante codici di
calcolo opportuni).
Occorre tenere presente che la variabilità climatica incide moltissimo sull’andamento dei carichi
sia termici che elettrici.
Un sistema sufficientemente semplice di cogenerazione è quello di recuperare il calore dei
condensatori di raffreddamento dei gruppi frigoriferi.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 224
La variabilità delle tipologie edilizie e delle tipologie di carico non consentono, a priori, di
indicare il miglior sistema cogenerativo. Spesso considerazioni economiche (maggior investimento
iniziale) e di gestione limitano l’adozione di sistemi cogenerativi a soluzioni ibride di recupero degli
scarti energetici (ad esempio nei condensatori dei gruppi frigoriferi) o di riduzione degli sprechi.
Si tenga presente che per effetto del sistema di tariffazione ENEL non risulta spesso
conveniente autoprodurre energia elettrica nel periodo estivo (tariffa F4 per ore vuote in agosto)
perché più costosa di quella venduta dall’ENEL.
Ciò limita notevolmente la possibilità di ipotizzare sistemi total energy complessi a favore dei
sistemi cogenerativi ridotti dianzi esposti.
7.8.5 LA MICROGENERAZIONE
Per applicazioni al di sotto dei 100 kW elettrici (carico elettrico imposto) si hanno
microcogenerazioni che possono risultare convenienti quando si ha una frazione di energia termica
richiesta che si mantiene costante durante l’anno.
Ciò si ottiene, ad esempio, quando si ha un elevato consumo di acqua sanitaria e quindi questa
microcogenerazione si applica a servizi sportivi, camping, alberghi, …., e cioè la dove i servizi sono
non trascurabili rispetto al riscaldamento ambientale.
L’impianto di cogenerazione viene dimensionato sulla base del carico termico costante da
alimentare con motori endotermici a carico elettrico costante.
Sono stati immessi sul mercato da una decina d’anni sistemi total energy che utilizzano motori
automobilistici per produrre circa 40 kW elettrici e circa 100 kW termici.
Uno di questi sistemi è il TOTEM® originariamente predisposto dalla FIAT con un motore
endotermico derivato da quello della 127. Combinando più unità si possono ottenere potenze
elettriche e termiche anche considerevoli per applicazioni civili condominiali.
Oggi si trovano sul mercato pompe di calore endotermiche alimentate da motori a combustioni
interna di derivazione automobilistica. Il compressore funziona con R22 o similare. Le taglie di
potenza termica totale (di ciclo inverso e di recupero termico) sono variabili da 150 a 400 kW con
gradini di 50 kW (vedasi il già citato TOTEM®). E’ possibile avere potenze maggiori mediante
parallelo di più moduli termici.
Il motore endotermico può essere alimentato anche con gas metano di rete e la regolazione del
numero di giri avviene mediante regolazione sulla valvola a farfalla. In questo modo si mantengono
1000÷1500 gpm con un rendimento, quasi costante, di circa il 31%. Combinando la variazione del
numero di giri con la parzializzazione dei cilindri del compressore (già vista nel capitolo sulle centrali
frigorifere) si possono avere variazioni di potenza fra il 15% ed il 100% della potenzialità nominale.
INNESTO A
FRIZIONE
G
GENERATORE MOTORE PRIMO
COMPRESSORE
portare ad una convenienza maggiore installando un normale sistema cogenerativo che alimenta
elettricamente una pompa di calore elettrica reversibile.
Per taglie grandi (oltre 500 kW) si possono raggiungere economie del 15÷15% nel combustibile
e questo non per un fatto termodinamico ma solo per una sperequazione legislativa. SIC! L’uso
combinato delle pompe di calore endotermiche con accoppiamento al generatore elettrico richiede
un’analisi complessa che dipende fortemente dalla taglia, dall’andamento dei carichi (elettrici e termici)
e dal tipo di tariffazione elettrica utilizzata. I risparmi energetici e gestionali appaiono maggiormente
rilevanti, per grandi impianti, per sistemi cogenerativi mentre la redditività è maggiore per i sistemi a
pompa di calore endotermica alimentate a gas, malgrado la non favorevole agevolazione fiscale. Per i
sistemi alimentati elettricamente i sistemi cogenerativi, pur fornendo risparmi energetici maggiori,
pongono problemi di utilizzo della notevole quantità di energia termica recuperata.
7.9 LA TRIGENERAZIONE
Si indica con Trigenerazione la produzione combinata di elettricità, calore e freddo applicando i
criteri dell’energy cascading ai gas di scarico di un’unità motrice rotativa o alternativa. Per la
climatizzazione ambientale si utilizza una macchina ad assorbimento che fornisce caldo in inverno e
freddo in estate.
Per la parte termica si ha, in genere, anche richiesta di vapore e pertanto il sistema trigenerativo
utilizza un generatore di vapore a recupero alimentato con i gas di scarico di un motore primo del tipo
turbina a gas.
Lo schema impiantistico è dato in Figura 227. Il calore sensibile dei gas di scarico è recuperato
attraverso una caldaia a recupero (HRSG) per la produzione di vapore destinato alla copertura dei
fabbisogni termici, invernali ed estivi, questi ultimi attraverso un gruppo ad assorbimento.
La turbina è collegata tramite albero ad un alternatore per la produzione dell’energia elettrica. In
aggiunta si ha un circuito di emergenza, vedi Figura 229, verso cui scaricare il flusso di vapore
prodotto per smaltire il calore in caso di overhating oppure di overcooling dell’immobile.
Vapore alle utenze
Condensato dall'utenza
Gas caldi
Questi tempi si dimezzano con avviamenti a caldo e sono bassissimi rispetto a quelli ottenuti
con turbine a vapore. Di soliti è presente un camino di by-pass dei gas di scarico e del post bruciatore
per rendere la turbina più flessibile e adatta alle applicazioni del terziario.
PINCH POINT
Nel caso la post combustione non sia sufficiente a far fronte alla variazione dei carichi allora si
possono utilizzare generatori tradizionali in parallelo ovvero importare energia dalle reti (sistemi
aperti).
Scelta della modalità della regolazione
La scelta delle opzioni di regolazione scaturisce da un compromesso tecnico-economico dovuto
alla grande mole di parametri da tenere in conto quali, ad esempio, il costo di investimento, il
diagramma del carico termico, il costo di vendita dell’energia elettrica (L/kWh), il costo del
combustibile. Se la turbina a gas è dimensionata, com’è solito farsi, per il carico medio allora sono
possibili entrambi i criteri di regolazione sopra indicati. Va però tenuto presente che attualmente,
malgrado il risvegliarsi dell’interesse per la cogenerazione mediante turbine a gas, si hanno ancora
pochi modelli disponibili sul mercato e pertanto la scelta del motore primo è spesso dettata anche da
un compromesso o da una scelta obbligata.
Macchine ad assorbimento
Nel caso della trigenerazione termica si utilizzano, dal lato termico, le macchine ad assorbimento
che garantiscono sia la produzione di acqua calda per riscaldamento che l’acqua fredda per il
condizionamento estivo. Le macchine ad assorbimento costituiscono una valida scelta impiantistica
anche in considerazione delle incertezze in materia di inquinamento e di costo dell’energia ed inoltre
trasformano un carico solitamente elettrico, quale quello frigorifero, in carico termico e quindi
migliorando il rapporto ET/EE.
Queste macchine richiedono solo una minima quantità di energia elettrica (per gli organi
ausiliari) e pertanto presentano una maggiore compatibilità ambientale rispetto ai compressori
frigoriferi alimentati elettricamente. Il loro costo iniziale di investimento è più elevato rispetto ai
frigoriferi tradizionali ma hanno, per contro, un minore costo di gestione e di manutenzione. Inoltre
non danno luogo a vibrazioni per assenza di parti in movimento e pongono pochi problemi di
installazione nei siti dove sono richieste. Le tipologie oggi maggiormente utilizzate sono:
⋅ Acqua ed ammoniaca;
⋅ Acqua e bromuro di litio.
Il funzionamento di queste macchine è semplice (vedi corso di Fisica Tecnica). In Figura 230 é
schematizzato lo schema impiantistico per una macchina del tipo acqua-ammoniaca.
La miscela acqua-ammoniaca si compone di acqua che fa da solvente e di ammoniaca che fa da
soluto (e quindi più volatile).
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 230
Componenti Normali
H2O+NH3 - Assorbitore : ove l'NH3 pura si
130 °C ricombina, cedendo il calore Q4,
Laminazione
Laminazione
con la miscela impoverita prove-
niente dal Generatore.
Pompa
corrosivo per cui si aggiunge lo 0,4% di nitrato di litio (LiNO3) per disinibirne l’aggressività in assenza
di aria. Le macchine a doppio effetto dispongono di due generatori e di due scambiatori di calore per
la soluzione. I generatori sono detti ad alta pressione (comunque inferiore a quella atmosferica con
uno scambiatore ad alta temperatura) e a bassa pressione (con uno scambiatore a bassa temperatura).
Il fluido frigorigeno è l’acqua che segue il ciclo canonico (condensazione, laminazione,
evaporazione) per poi essere assorbita nuovamente nel LiBr contenuto nell’assorbitore. Mediante una
pompa di circolazione si riporta la miscela nel generatore di alta pressione dove si ha una prima
separazione del vapore acqueo. Da questo generatore si passa in quello a bassa pressione e
temperatura ove si ha una ulteriore fase di separazione del vapore acqueo che prosegue il ciclo
frigorifero. La separazione dei due generatori (ad alta e bassa temperatura) consente di ottimizzare i
consumi di energia in base ai livelli termici richiesti.
Le macchine ad assorbimento hanno la grande capacità di adattarsi facilmente alle fluttuazioni di
carico e quindi presentano una buona flessibilità impiantistica potendo variare la loro potenzialità
teoricamente nell’intervallo 0÷100% con minime variazioni del COP.
La regolazione della capacità frigorifera si ottiene variando la concentrazione della soluzione
nell’assorbitore in due modi, spesso anche in combinazione fra loro:
⋅ variando la quantità di vapore o la portata d’acqua surriscaldata che attraversa il generatore (e
quindi regolando l’energia termica fornita alla macchina);
⋅ inviando nell’assorbitore una soluzione più diluita del generatore.
Al diminuire del carico termico anche la temperatura dell’acqua fredda in uscita tende a crescere
per cui una sonda di temperatura comanda l’inizio della chiusura della valvola modulante sul vapore di
alimentazione o della valvola a tre vie dell’acqua surriscaldata. In questo modo si rallenta il ripristino
della soluzione concentrata nel generatore e pertanto la quantità di refrigerante (acqua) che torna
all’evaporatore diminuisce e quindi scende anche il livello di acqua in esso presente.
Quando il carico scende a circa il 50% della capacità di progetto si può anche ridurre la portata
di soluzione di LiBr al generatore e ciò fa diminuire anche il consumo di energia poiché viene richiesta
una minore quantità di vapore al generatore.
Un problema a cui può andare incontro una macchina ad assorbimento è la cristallizzazione del
LiBr nel generatore. Questo fenomeno è irreversibile e non produce danni meccanici alla macchina
ma solo una riduzione della capacità frigorifera. La cristallizzazione avviene per diversi motivi fra i
quali:
⋅ perdita di vuoto;
⋅ temperatura dell’acqua di condensazione troppo bassa;
⋅ arresto improvviso e prolungato della macchina per mancanza di corrente;
⋅ infiltrazioni di incondensabili nel circuito in quantità superiore alla capacità di spurgo;
⋅ arresto della macchina senza che venga continuato il processo di diluizione della soluzione di
LiBr nell’assorbitore;
⋅ cariche errate di refrigerante (acqua) e della soluzione nel circuito della macchina.
Nelle moderne macchine ad assorbimento sono inseriti numerosi accorgimenti atti a ridurre o
ad eliminare il pericolo della cristallizzazione anzidetta. In ogni caso è sempre bene avere personale
tecnico opportunamente addestrato alla gestione di questi impianti.
54 Si ricordi che la post combustione agisce a valle della turbina e quindi non produce effetti sulla produzione di
energia elettrica ottenuta dal generatore elettrico comandato dall’albero motore della turbina.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 233
ancora da valutare se la scelta di un grosso gruppo turbogas, e quindi di grande produzione di energia
elettrica, sia conveniente alla luce degli andamenti di mercato dell’energia elettrica in eccesso.
Si verifica, infatti, che quanto più il punto di funzionamento nominale della turbina è prossimo
alla domanda di calore richiesta dall’utenza tanto più elevata è la produzione nominale di potenza
elettrica. Il costo del motore primo (turbina a gas) rappresenta all’incirca il 40% del costo totale
dell’investimento e pertanto esagerare nella taglia potrebbe comportare il rischio di investimento non
economico. Inoltre la variabilità di regime di funzionamento della turbina comporta anche una perdita
di rendimento che riduce ulteriormente la convenienza economica dell’investimento.
A priori non è possibile dare una regola fissa per la scelta del motore primo ma è l’analisi
economica (cash flow) nel periodo di vita previsto dell’impianto che deve indicare, in base alla
variazione dei carichi termici ed elettrici reali dell’utenza, quale è la migliore scelta impiantistica.
In Figura 232 si ha la schematizzazione di quanto detto: al variare della potenza nominale della
turbina varia il cash flow attualizzato (NTP, Net Present Value) di una determinata applicazione e
pertanto il valore massimo di NTP si determina per un valore della potenza ottimale intermedio fra la
potenza minima e la massima ammissibile.
Q
C A R IC O C O N P O S T C O M B U S T IO N E
C A R IC O D I B A S E
O re
NTP
NTPmax
Figura 232: Andamento del Cash Flow attualizzato al variare della potenza della turbina
Fra le voci da considerare nell’analisi economica vi è il costo fisso di impianto dovuto alla turbina a
gas. Il costo di mercato di questo motore primo varia molto in funzione del tipo di turbina e della
potenza nominale.
In Figura 233 si ha una curva che indica il costo medio specifico per turbine commerciali con
potenze nominali variabile da 1 MWe a 60 MWe. Questa curva è stata ricavata mediando i listini
commerciali (anno 1999) dei fornitori di turbine a gas di varia potenzialità.
Questi costi sono suscettibili di variazione sia per contingenze economiche sia per innovazione
tecnologica possibile in caso di domanda crescente.
Il costo del combustibile è una delle variabili più imprevedibile di tutta l’analisi economica
poiché questo elemento varia quasi giornalmente, come gli avvenimenti degli ultimi sei mesi ci hanno
mostrato, in funzione di contingenze anche politiche, dell’andamento dei cambi e dell’umore dei
fornitori.
Si pensi, ad esempio, che all’inizio del 1999 il gasolio costava 1200 L/Litro circa mentre oggi
costa circa €/L 0.92 (1800 L/Litro). E fra un anno? Potrà costare 2,00 €/Litro o anche più: chi può
prevedere un andamento certo di questo parametro?
1 .10
6
5
9.578×10
9 .10
5
8 .10
5
y ( x)
7 .10
5
6 .10
5
5
5.077×10 5 .105
1 .10 2 .10 3 .10 4 .10 5 .10 6 .10
4 4 4 4 4 4
0
3 x 4
1×10 6×10
Figura 233: Costo medio specifico, y, di una turbina a gas in funzione della potenza nominale (x in kWe)
Anche il costo di acquisto e di vendita dell’energia elettrica variano in modo non del tutto
indipendenti dal costo del combustibile per via del famigerato sovrapprezzo termico che lega la tariffa
elettrica al costo del petrolio. I costi di acquisto variano da 250 a 320 L/kWh.
Simulazione dell’Impianto
Per valutare le prestazioni di questo impianto si utilizzano codici di calcolo del tipo GATE55
CYCLE la cui rappresentazione è data in Figura 234.
Il programma consente di simulare impianti esistenti o in fase di progettazione in modo
descrittivo, combinando una interfaccia grafica con modelli di analisi termodinamica dettagliati di tutti
i processi descritti (turbina, scambiatori di calore, pompe,…).
Il codice GATE CYCLE è stato predisposto per simulare impianti contenenti turbine a gas di
costruttori diversi56 e quindi svincolando i progettisti dalla necessità di utilizzare i codici proprietari dei
costruttori che valgono, come si intuisce, solo per i modelli da loro forniti. Nel 1988 il codice ha
integrato i cicli a vapore e da questo deriva il nome GATE CYCLE.
Nel 1993 è stata aggiunta anche la possibilità di usare caldaie tradizionali e quindi si ha oggi uno
strumento valido per simulare qualunque tipo di impianto di produzione di potenza. Possono essere
studiate diverse tipologie di impianto, dai più semplici basati su cicli a gas a quelli più complessi basati
su cicli combinati a livelli multipli di pressione. E’, inoltre, possibile affrontare problemi di repowering e
di cogenerazione. L’uso interattivo del codice, mediante icone rappresentative di componenti di
impianto, è facilitato anche da un controllo delle connessioni effettuato dallo stesso programma in
base alle caratteristiche dei componenti selezionati.
Mediante alcune macro si possono poi simulare condizioni di funzionamento particolari. Le macro
stabiliscono un legame tra le variabili presenti nel modello simulato e, ad esempio, si possono scrivere
macro che combinano certe variabili con funzioni definite dall’operatore. Una macro può calcolare il
consumo aggiuntivo di combustibile nel post bruciatore in funzione delle portate di acqua calda agli
scambiatori della caldaia a recupero.
Con questo codice si possono simulare i rendimenti, le quantità di energia termica ed elettrica
prodotta ed effettuare confronti fra le prestazioni in varie configurazioni nel periodo di vita ipotizzato
e per gli andamenti temporali dei carichi disponibili o ipotizzati (anche in questo caso mediante codici
di simulazione del tipo già citato).
Torre evaporativa
S27 CT1
S26
S28
S25
HX3
PUMP3 S29
V1
S9
Vapore risc. a 10 bar e 180 C
S17 S18
S24
HX2
Ritorno del vapore da risc. a 165 C S11
SP1
S8
Vapore out verso il generatore: 170 C, 8bar
S20 S21
S5
S7
S6 S22
S1 S16
Fumi al camino
S12
S13
S2 S3 S4
GT1
Caldaia a recupero
diverse turbine a gas ha fornito i risultati riportati in Figura 235. In particolare per una potenza di 2.7
MW si hanno i risultati indicati in Figura 236 al variare del costo dell’energia.
A conclusione di questo capitolo si vuole rimarcare la complessità del problema della
progettazione di un impianto di trigenerazione e, in generale, di cogenerazione. Occorre evitare
sempre di sovradimensionare gli impianti perché questo riduce o annulla addirittura la loro
convenienza economica vanificando l’investimento. Spesso più che di un errore progettuale di calcolo
si tratta di un errore basato sull’ignoranza o sul timore di sottodimensionare gli impianti. Comunque
una scelta sbagliata della taglia si rivela un errore grave perché irreversibile e quindi irrecuperabile per
l’impianto.
Di certo la progettazione in oggetto non è basata su regole certe ma si tratta di una
progettazione complessa che richiede la sintesi di più algoritmi risolutivi e di più competenze
(tecniche, economiche, chimico-fisiche, …).
30
25
20
15
VAN [G£]
10
5
0
-5 120 150 170 200
-10
[£ / kWh]
-15
-20
2,4 MW 3,3 MW
4,5 MW 2,7 MW
25,000 5,000
20,000 4,000
VAN [G£]
15,000 3,000
anni
10,000 2,000
5,000 1,000
- -
120 150 170 200
[£/kWh]
VAN TPB
Figura 236: Andamento del VAN e TPB al variare del costo energetico
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 237
8. COGENERAZIONE NELL’INDUSTRIA
8.1 RIFERIMENTI NORMATIVI
77/714/CEE: “Raccomandazione del Consiglio, del 25 ottobre 1977, concernente
l’istituzione negli Stati membri di organi o comitati consultivi per promuovere la produzione
combinata di calore e di energia nonché la valorizzazione del calore residuo”
Il Consiglio delle Comunità Europee ritiene che si può utilizzare più razionalmente l’energia
ricorrendo maggiormente alla produzione combinata di calore ed energia e valorizzando il calore
residuo nei settori dell’industria, della produzione di elettricità e dell’erogazione di calore a distanza.
Invita inoltre gli Stati membri ad individuare e rimuovere gli ostacoli legislativi, amministrativi o
tariffari che si oppongono allo sviluppo della produzione combinata di calore e di energia destinati ad
essere erogati all’industria.
Legge 9 gennaio 1991, n. 9 "Norme per l'attuazione del nuovo Piano energetico
nazionale: aspetti istituzionali, centrali idroelettriche ed elettrodotti, idrocarburi e geotermia,
autoproduzione e disposizioni fiscali" (S.O. alla G.U. n. 13 del 16 gennaio 1991 – Serie
Generale)
L'art. 22 stabilisce che la produzione di energia elettrica a mezzo di impianti combinati di
energia e calore non è soggetta alle autorizzazioni previste dalle normative di settore ma è sufficiente
una semplice comunicazione al Ministero dell'Industria e all'UTF competente per territorio.
L'eccedenza di produzione può essere ceduta all'ENEL o alle imprese produttrici e distributrici.
Risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea del 18 dicembre 1997 concernente una
strategia comunitaria per promuovere la produzione combinata di calore ed elettricità (GUCE
8 gennaio 1998, pag. C 4/01)
Si afferma che “la produzione combinata calore/energia elettrica costituisce un impiego
efficiente delle risorse energetiche e può pertanto contribuire in modo sostanziale alla riduzione delle
emissioni di CO2”.
Si indica anche agli Stati membri che l’obiettivo da raggiungere “è l’elaborazione di una
strategia per assicurare il raddoppio della quota globale della cogenerazione nella Comunità entro il
2010”.
D.Lgs. 23 maggio 2000, n. 164 (decreto Letta) “Attuazione della direttiva 98/30/CE
recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell’articolo 41 della
legge 17 maggio 1999, n. 144” (G.U. n. 142, 20 giugno 2000)
Art. 22, comma 1, lett. b: Le imprese che acquistano gas per la cogenerazione sono considerate
“cliente idoneo”, indipendentemente dal livello di consumo annuale e limitatamente alla quota di gas
destinata a tale utilizzo.
Decreto del Ministero dell'ambiente 31 luglio 2003 "Modifiche al decreto 4 giugno 2001,
n. 467, relativo all'individuazione dei programmi nazionali, previsti ex art. 3 del decreto n. 337
del 2000" (G.U. n. 260 dell'8 novembre 2003)
Vengono definiti nuovi programmi nazionali di ricerca per la riduzione delle emissioni ai fini del
raggiungimento degli obiettivi del protocollo di Kyoto. Tra gli altri viene approvato il sottoprogramma
3/i "Diffusione dei sistemi ad alta efficienza di microcogenerazione diffusa di energia elettrica e
calore" (Accordo programmatico con Confindustria), art. 2, comma 1.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 239
Direttiva 2002/91/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2003 sul
rendimento energetico nell'edilizia
Tra le altre disposizioni, questa Direttiva richiede agli Stati membri di provvedere affinchè, per
gli edifici nuovi la cui metratura utile totale superi i 10.000 m2, sia valutata la fattibilità tecnica,
ambientale ed economica dell'installazione di sistemi alternativi quali la cogenerazione prima dell'inizio
dei lavori di costruzione. (art. 5).
Gli Stati membri dovranno adeguarsi entro il 4 gennaio 2006.
D. Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 "Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla
promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato
interno dell'elettricità" (s.o. G.U. n. 25 del 31 gennaio 2004))
L'art. 5, comma 1 prevede la nomina di una commissione di esperti che, entro un anno
dall'insediamento, predisponga una relazione nella quale siano indicate, tra l'altro, le condizioni per la
promozione prioritaria degli impianti cogenerativi di potenza elettrica inferiore a 5 MW (lettera g).
L'art. 5 tratta la valorizzazione energetica delle biomasse, dei gas residuati dai processi di depurazione
e del biogas quindi è ragionevole pensare che gli impianti cogenerativi di cui si parla alla lettera g)
siano quelli alimentati da tali fonti.
Autorità per l’energia Elettrica e il Gas: Delibera 30 dicembre 2003, n. 168 “Condizioni
per l’erogazione del pubblico servizio di dispacciamento dell’energia elettrica sul territorio
nazionale e per l’approvvigionamento delle relative risorse su base di merito economico, ai sensi
degli articoli 3 e 5 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79” (GU – Supplemento ordinario
n. 16 del 30.1.04), poi integrata dalla successiva Delibera AEEG n. 71/2004
La Delibera stabilisce le condizioni per la priorità di dispacciamento delle unità di
cogenerazione, nel primo periodo di esercizio delle stesse, in maniera da partecipare al sistema delle
offerte avviato con la Borsa elettrica.
Direttiva 2004/8/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell'11 febbraio 2004 sulla
promozione della cogenerazione basata su una domanda di calore utile nel mercato interno
dell'energia e che modifica la direttiva 92/42/CE (GUCE L 52 del 21.2.2004, pag. 50)
La Direttiva si propone di creare un quadro utile alla promozione della cogenerazione al fine di
accrescere l'efficienza energetica e migliorare la sicurezza degli approvvigionamenti nel settore
energetico.
La cogenerazione è definita come "la generazione simultanea in un unico processo di energia
termica ed elettrica e/o di energia meccanica" (art. 3, lettera a). Al di sotto di 50 kWe si parla di
microcogenerazione, tra 50 kWe e 1 MWe si parla di piccola cogenerazione.
Viene anche definita la cogenerazione ad alto rendimento che si ha quando l'impianto fornisce
un risparmio di energia primaria pari almeno al 10% rispetto ai valori di riferimento per la produzione
separata di elettricità e calore. Gli Stati membri dovranno adeguarsi entro il 21 febbraio 2006.
Legge 23 agosto 2004, n. 240 "Riordino del settore energetico, nonché delega al
Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia" (G.U. n. 215 del
13.09.2004)
All'art. 1, comma 85 vengono definiti gli impianti di microgenerazione come "impianto per
la produzione di energia elettrica, anche in assetto cogenerativo, con capacità di generazione non
superiore a 1 MW".
Al successivo comma 86 viene stabilito che gli impianti di microgenerazione sono soggetti a
norme autorizzative semplificate.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 240
⋅ - le osservazioni e le proposte inviate dai soggetti interessati all’Autorità in seguito alla diffusione
di due soprarichiamati documenti per la consultazione;
Considerato che:
⋅ - l’Autorità intende definire le condizioni tecniche che devono essere soddisfatte dagli impianti
per la produzione combinata di energia elettrica e calore affinché tali impianti possano avvalersi
dei benefici e dei diritti descritti in premessa come previsti dai decreti legislativi n. 79/99 e n.
164/00;
⋅ - il risparmio di energia conseguibile mediante la produzione combinata di energia elettrica e di
calore deve essere valutato con riferimento a soluzioni tecnologiche caratterizzate da specifiche
taglie di impianto e tipi di combustile utilizzati;
⋅ - l’evoluzione tecnologica dei componenti termici ed elettromeccanici utilizzati nella
realizzazione degli impianti con produzione combinata di energia elettrica e calore richiede che
vengano periodicamente aggiornati i parametri che individuano le sopra richiamate condizioni
tecniche;
Ritenuto che:
⋅ - gli impianti di cogenerazione contribuiscano alla promozione della concorrenza nell’attività di
generazione elettrica, assicurando un significativo risparmio di energia primaria rispetto alle
produzioni separate delle stesse quantità di energia elettrica e termica e riducendo le
conseguenze ambientali negative, a parità di altre condizioni;
⋅ - le norme per la produzione combinata di energia elettrica e di calore debbano favorire
soluzioni tecnologiche che comportano un significativo risparmio di energia rispetto alle
produzioni separate, escludendo soluzioni orientate alla produzione di sola energia elettrica o di
sola energia termica per una quota significativa dell’anno solare;
⋅ - sia opportuno fare riferimento agli anni solari nel riconoscimento della produzione combinata
di energia elettrica e di calore, come previsto dall’articolo 3, comma 1, del decreto 11 novembre
1999;
⋅ - sia opportuno fare riferimento alle sezioni degli impianti di produzione combinata di energia
elettrica e calore con potenza nominale non inferiore a 10 MVA, in coerenza con la “Disciplina
del mercato elettrico” predisposta dalla società Gestore del mercato elettrico Spa e approvata
con decreto del Ministro delle attività produttive del 9 maggio 2001;
⋅
DELIBERA
Articolo 1
Definizioni
1.1 Ai fini del presente provvedimento, si applicano le definizioni di cui all'articolo 2 del decreto
legislativo 16 marzo 1999, n. 79, e all'articolo 2, lettera g), del decreto legislativo 23 maggio 2000, n.
164, nonché le seguenti:
⋅ a) Autorità è l'Autorità per l'energia elettrica e il gas, istituita con legge 14 novembre 1995, n.
481;
⋅ b) decreto legislativo n. 79/99 è il decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79;
⋅ c) decreto legislativo n. 164/00 è il decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164;
⋅ d) impianto di produzione combinata di energia elettrica e calore è un sistema integrato che converte
l’energia primaria di una qualsivoglia fonte di energia nella produzione congiunta di energia
elettrica e di energia termica (calore), entrambe considerate effetti utili, conseguendo, in
generale, un risparmio di energia primaria ed un beneficio ambientale rispetto alla produzione
separata delle stesse quantità di energia elettrica e termica. In luogo della produzione di energia
elettrica in forma congiunta alla produzione di energia termica, è ammessa anche la produzione
di energia meccanica. La produzione di energia meccanica o elettrica e di calore deve avvenire in
modo sostanzialmente interconnesso, implicando un legame tecnico e di mutua dipendenza tra
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 242
produzione elettrica e utilizzo in forma utile del calore, anche attraverso sistemi di accumulo. Il
calore generato viene trasferito all'utilizzazione, in forme diverse, tra cui vapore, acqua calda,
aria calda, e può essere destinata a usi civili di riscaldamento, raffrescamento o raffreddamento o
a usi industriali in diversi processi produttivi. Nel caso di utilizzo di gas di sintesi, il sistema di
gassificazione è parte integrante dell’impianto di produzione combinata di energia elettrica e
calore. Nel caso di impianto a ciclo combinato con postcombustione, il post-combustore è parte
integrante dell’impianto di produzione combinata di energia elettrica e calore. Le eventuali
caldaie di integrazione dedicate esclusivamente alla produzione di energia termica non rientrano
nella definizione di impianto di produzione combinata di energia elettrica e calore;
⋅ e) sezione di impianto di produzione combinata di energia elettrica e calore è ogni modulo in cui può essere
scomposto l’impianto di produzione combinata di energia elettrica e calore in grado di operare
anche indipendentemente dalle altre sezioni e composto da un insieme di componenti principali
interconnessi tra loro in grado di produrre in modo sostanzialmente autosufficiente energia
elettrica e calore. Una sezione può avere in comune con altre sezioni alcuni servizi ausiliari o
generali. Nel caso di utilizzo di gas di sintesi, il sistema di gassificazione è parte integrante della
sezione di produzione combinata di energia elettrica e calore. Nel caso di sezione a ciclo
combinato con post-combustione, il postcombustore è parte integrante della sezione di
produzione combinata di energia elettrica e calore;
⋅ f) cogenerazione, agli effetti dei benefici previsti dagli articoli 3, comma 3, 4, comma 2, e 11,
commi 2 e 4, del decreto legislativo n. 79/99 e dell’articolo 22, comma 1, lettera b), del decreto
legislativo n. 164/00, è la produzione combinata di energia elettrica e calore che, ai sensi di
quanto previsto dall'articolo 2, comma 8, del decreto legislativo n. 79/99 e dell’articolo 2, lettera
g), del decreto legislativo n. 164/00, garantisce un significativo risparmio di energia rispetto alle
produzioni separate, secondo i criteri e le modalità stabiliti nei successivi punti del presente
provvedimento;
⋅ g) potenza nominale di un generatore elettrico è la massima potenza ottenibile in regime continuo,
come fissata nella fase di collaudo preliminare all'entrata in esercizio o, in assenza di collaudo,
come certificata dal costruttore o dal fornitore dell’impianto;
⋅ h) potenza nominale di una sezione di impianto di produzione combinata di energia elettrica e calore è la
somma aritmetica delle potenze nominali dei generatori elettrici della sezione destinati alla
produzione di energia elettrica;
⋅ i) potenza nominale di un impianto di produzione combinata di energia elettrica e calore è la somma
aritmetica delle potenze nominali dei generatori elettrici dell'impianto destinati alla produzione
di energia elettrica;
⋅ j) taglia di riferimento ai fini della determinazione del parametro hes di cui all’articolo 2, comma
2.2, del presente provvedimento è:
i) la potenza nominale del generatore elettrico di ciascuna delle turbine a gas nel caso di
sezioni a recupero con più turbine a gas operanti in ciclo semplice o di ciascuno dei motori
a combustione interna che alimentano un unico sistema a recupero di calore;
ii) ii) la potenza nominale del generatore elettrico di ciascuna delle turbine a gas sommata ad
una parte della potenza nominale del generatore elettrico della turbina a vapore della
sezione proporzionale al rapporto tra la potenza nominale di ciascuna delle turbine a gas e
la somma delle potenze nominali di tutte le turbine a gas nel caso di sezioni a ciclo
combinato costituite da più turbine a gas che alimentano un ciclo termico a recupero di
calore dotato di turbina a vapore;
iii) iii) la potenza nominale della sezione, come definita alla precedente lettera h), negli altri
casi;
⋅ k) potere calorifico inferiore di un combustibile, a pressione costante, è la quantità di calore che si libera
nella combustione completa dell'unità di peso o di volume del combustibile, con l’acqua
contenuta nei fumi allo stato di vapore, ovvero con il calore latente del vapor d'acqua contenuto
nei fumi della combustione non utilizzato a fini energetici;
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 243
⋅ l) energia primaria dei combustibili utilizzati da una sezione di produzione combinata di energia elettrica e calore
Ec è il contenuto energetico dei combustibili utilizzati, pari al prodotto del peso o del volume di
ciascun tipo di combustibile utilizzato nel corso dell'anno solare per il rispettivo potere
calorifico inferiore, come definito alla precedente lettera k). Nel caso di sezioni a ciclo
combinato con post-combustione, l’energia primaria del combustibile utilizzato comprende
anche il contenuto energetico del combustibile che alimenta il post-combustore. Nel caso di
sezioni alimentate da gas di sintesi, l’energia primaria del combustibile utilizzato comprende il
contenuto energetico di tutti i combustibili utilizzati, inclusi quelli che alimentano un eventuale
sistema di gassificazione;
⋅ m) produzione di energia elettrica lorda di una sezione di produzione combinata di energia elettrica e calore è la
quantità di energia elettrica prodotta nell’anno solare, misurata dai contatori sigillati dall’UTF
situati ai morsetti di uscita dei generatori elettrici;
⋅ n) produzione di energia elettrica netta di una sezione di produzione combinata di energia elettrica e calore Ee è
la quantità di energia elettrica lorda prodotta dalla sezione nell'anno solare, diminuita dell'energia
elettrica destinata ai servizi ausiliari della sezione e delle perdite nei trasformatori principali. I
servizi ausiliari includono i servizi posti sui circuiti che presiedono alla produzione di energia
elettrica e di calore, inclusi quelli di un eventuale sistema di gassificazione, ed escludono i servizi
ausiliari relativi alla rete di trasporto e distribuzione del calore, come le pompe di circolazione
dell'acqua calda. Nel caso in cui i servizi ausiliari siano in comune tra più sezioni, i loro consumi
sono da attribuire ad ogni sezione in misura proporzionale alla rispettiva quota parte di
produzione di energia elettrica lorda. Nel caso di produzione combinata di energia meccanica e
calore, l’energia meccanica viene moltiplicata per un fattore pari a 1,05 per convertirla in una
quantità equivalente di energia elettrica netta;
⋅ o) produzione di energia termica utile di una sezione di produzione combinata di energia elettrica e calore Et è la
quantità di energia termica utile prodotta dalla sezione nell'anno solare effettivamente ed
utilmente utilizzata a scopi civili o industriali, pari alla differenza tra il contenuto entalpico del
fluido vettore in uscita ed in ingresso misurato alla sezione di separazione tra la sezione di
produzione e la rete di distribuzione del calore, al netto dell’energia termica eventualmente
dissipata in situazioni transitorie o di emergenza (scarichi di calore). Qualora non esista
fisicamente una rete di utilizzazione del calore, la produzione di energia termica utile può essere
calcolata con metodi indiretti. I consumi specifici di calore utile risultanti dalle utilizzazioni a
scopo civile o industriale devono risultare confrontabili a quelli utilizzati in campo nazionale per
analoghe applicazioni con produzione separata di calore. La produzione di energia termica di
eventuali caldaie di integrazione dedicate esclusivamente alla produzione di energia termica non
rientra nella determinazione della produzione di energia termica utile Et. L’eventuale utilizzo di
vapore per iniezione nelle turbine a gas non è energia termica utile. Et è somma delle due
componenti Etciv e Etind definite come:
⋅ energia termica utile per usi civili Etciv è la parte di produzione di energia termica utile di una
sezione di produzione combinata di energia elettrica e calore destinata alle utilizzazioni
di tipo civile a fini di climatizzazione, riscaldamento, raffrescamento, raffreddamento,
condizionamento di ambienti residenziali, commerciali e industriali e per uso igienico-
sanitario, con esclusione delle utilizzazioni in processi industriali;
⋅ energia termica utile per usi industriali Etind è la parte di produzione di energia termica utile di
una sezione di produzione combinata di energia elettrica e calore destinata ad
utilizzazioni diverse da quelle previste per Etciv ;
⋅ p) rendimento elettrico netto medio annuo hes di un impianto destinato alla sola produzione di energia
elettrica è il rapporto tra la produzione annua netta di energia elettrica e l'energia primaria del
combustibile immessa annualmente nell'impianto, entrambe riferite all’anno solare;
⋅ q) rendimento termico netto medio annuo hts di un impianto destinato alla sola produzione di energia
termica è il rapporto tra la produzione annua netta di energia termica e l'energia primaria del
combustibile immessa annualmente nell'impianto, entrambe riferite all’anno solare;
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 244
⋅ r) energia elettrica autoconsumata Eeautocons è la parte di energia elettrica prodotta, definita alla
precedente lettera n), che non viene immessa nella rete di trasmissione o di distribuzione
dell’energia elettrica in quanto direttamente utilizzata e autoconsumata nel luogo di produzione;
⋅ s) energia elettrica immessa in rete Eeimmessa è la parte di energia elettrica netta prodotta che non rientra
nella definizione di cui alla precedente lettera r);
⋅ t) indice di risparmio di energia IRE è il rapporto tra il risparmio di energia primaria conseguito dalla
sezione di cogenerazione rispetto alla produzione separata delle stesse quantità di energia
elettrica e termica e l’energia primaria richiesta dalla produzione separata definito dalla formula:
Ec
IRE = 1 −
Ee Et Et
+ cv + ind
ηes p ηts ,civ ηts ,ind
dove:
⋅ - Ec, Ee, Etciv e Etind sono definite, rispettivamente, alle precedenti lettere l), n) e o), espresse in
MWh ed arrotondate con criterio commerciale alla terza cifra decimale;
⋅ - ηes è il rendimento elettrico medio netto, come definito alla precedente lettera p), della
modalità di riferimento per la produzione di sola energia elettrica;
⋅ - ηts,civ è il rendimento termico netto medio annuo, come definito alla precedente lettera q), della
modalità di riferimento per la produzione di sola energia termica per usi civili Etciv;
⋅ - ηts,ind è il rendimento termico netto medio annuo, come definito alla precedente lettera q), della
modalità di riferimento per la produzione di sola energia termica per usi industriali Etind ;
⋅ - p è un coefficiente che rappresenta le minori perdite di trasporto e di trasformazione
dell’energia elettrica che gli impianti cogenerativi comportano quando autoconsumano l’energia
elettrica autoprodotta, evitando le perdite associate al trasporto di energia elettrica fino al livello
di tensione cui gli impianti stessi sono allacciati o quando immettono energia elettrica nelle reti
di bassa o media tensione, evitando le perdite sulle reti, rispettivamente, di media e alta tensione.
Il coefficiente p è calcolato come media ponderata dei due valori di perdite evitate pimmessa e
pautocons rispetto alle quantità di energia elettrica autoconsumata Eeautocons ed immessa in rete
⋅ Eeimmessa, come definite rispettivamente alle precedenti lettere r) e s), secondo la seguente
formula:
p ⋅ Eeimmessa + pautocons ⋅ Eeautocons
p = immessa
Eeimmessa + Eeautocons
I valori di pimmessa e pautocons dipendono dal livello di tensione cui è allacciata la sezione di
produzione combinata di energia elettrica e calore e sono riportati nella seguente tabella:
⋅ u) limite termico LT è il rapporto tra l’energia termica utile annualmente prodotta Et e l’effetto
utile complessivamente generato su base annua dalla sezione di produzione combinata di
energia elettrica e calore, pari alla somma dell’energia elettrica netta e dell’energia termica utile
prodotte (Ee + Et), riferiti all’anno solare, secondo la seguente formula:
Et
LT =
Ee + Et
con il significato dei simboli definito alla precedente lettera t);
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 245
⋅ v) data di entrata in esercizio di una sezione di produzione combinata di energia elettrica e calore è la data in
cui è stato effettuato il primo funzionamento in parallelo con il sistema elettrico nazionale della
sezione, come risulta dalla denuncia dell’UTF di attivazione di officina elettrica;
⋅ w) data di entrata in esercizio commerciale di una sezione di produzione combinata di energia elettrica e calore è
la data di entrata in esercizio commerciale della sezione fissata dal produttore, considerando
come periodo di collaudo e avviamento un periodo massimo di 12 (dodici) mesi consecutivi a
partire dalla data in cui è stato effettuato il primo funzionamento della sezione in parallelo con il
sistema elettrico nazionale, come risulta dalla denuncia dell’UTF di attivazione di officina
elettrica;
⋅ x) sezione esistente è la sezione di produzione combinata di energia elettrica e calore che, alla data
di entrata in vigore del presente provvedimento, era già entrata in esercizio o per la quale, alla
medesima data, erano state assunte obbligazioni contrattuali relativamente alla maggior parte, in
valore, dei costi di costruzione;
⋅ y) rifacimento di una sezione di produzione combinata di energia elettrica e calore è l’intervento su una
sezione dell’impianto che sia in esercizio, esistente da almeno venti (20) anni, finalizzato a
migliorare le prestazioni energetiche ed ambientali attraverso la sostituzione, il ripotenziamento
o la totale ricostruzione di componenti che nel loro insieme rappresentano la maggior parte dei
costi di investimento sostenuti per la realizzazione della sezione;
⋅ z) sezione di nuova realizzazione è la sezione di produzione combinata di energia elettrica e calore
con data di entrata in esercizio commerciale successiva alla data di entrata in vigore del presente
provvedimento.
Articolo 2
Definizione di cogenerazione ai sensi dell’articolo 2, comma 8, del decreto legislativo n. 79/99 e
dell'articolo 2, lettera g), del decreto legislativo n. 164/00
2.1 Si definisce cogenerazione, ai sensi dell’articolo 2, comma 8, del decreto legislativo n. 79/99
e dell'articolo 2, lettera g), del decreto legislativo n. 164/00 ed ai fini dei benefici di cui al precedente
articolo 1, lettera f), un sistema integrato di produzione combinata di energia elettrica o meccanica e di
energia termica, entrambe considerate energie utili, realizzato dalla sezione di un impianto per la
produzione combinata di energia elettrica e calore, come definita al precedente articolo 1, lettera e),
che, a partire da una qualsivoglia combinazione di fonti primarie di energia e con riferimento a ciascun
anno solare, soddisfi entrambe le condizioni concernenti il risparmio di energia primaria e il limite
termico di cui ai successivi commi 2.2 e 2.3.
2.2 Ai fini del riconoscimento della produzione combinata di energia elettrica e calore come
cogenerazione, di cui al precedente comma 2.1, l'indice di risparmio di energia IRE della sezione,
come definito al precedente articolo 1, lettera t), non deve essere inferiore al valore minimo IREmin
che, fino al 31 dicembre 2005, viene fissato pari a 0,050 (5,0%) per le sezioni esistenti, come definite al
precedente articolo 1, lettera x), pari a 0,080 (8,0%) per i rifacimenti di sezioni, come definiti al
precedente articolo 1, lettera y), e pari a 0,100 (10,0%) per le sezioni di nuova realizzazione, come
definite al precedente articolo 1, lettera z), assumendo:
⋅ a) per il parametro ηes il rendimento elettrico netto medio annuo delle modalità di riferimento
per la produzione separata di sola energia elettrica, differenziato per ciascuna fascia di taglia di
riferimento, come definita al precedente articolo 1, lettera j), e per ciascun tipo di combustibile
utilizzato, secondo i valori riportati nella seguente tabella:
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 246
Nel caso di utilizzo di combustibili solidi fossili di produzione nazionale in misura non inferiore
al 20% dell’energia primaria annualmente immessa nella sezione di produzione combinata di energia
elettrica e calore, i valori del parametro ηes riportati in tabella sono ridotti del 5%. A tale fine, non
rientrano tra i combustibili fossili di produzione nazionale il carbone di tipo coke, prodotto
in Italia a partire da carbone di importazione, e il petrocoke o coke di petrolio.
Nel caso di utilizzo di combustibili di processo e residui, biogas, gas naturale da giacimenti
minori isolati il parametro ηes è pari a 0,35 per tutte le taglie di riferimento.
Nel caso di sezioni di produzione combinata di energia elettrica e calore che utilizzino più
combustibili di diverso tipo C1, C2,…,Cn, il parametro ηes viene calcolato come media ponderata dei
parametri di cui alla precedente tabella rispetto all’energia primaria EcC1, EcC2, …,EcCn, dei
combustibili annualmente immessi nella sezione, secondo la seguente formula:
η ⋅ EcC1 + ηes ,C 2 ⋅ EcC 2 + ..... + ηes ,Cn ⋅ EcCn
ηes = es ,C1
EcC1 + EcC 2 + ..... + EcCn
Nel caso di utilizzo di combustibili diversi da quelli sopra richiamati, ai fini della determinazione
del parametro ηes si assume il gas naturale come combustibile di riferimento. I valori del parametro ηes
riportati nella tabella per i rifiuti solidi, organici e inorganici, e per le biomasse si applicano nei soli casi
di co-combustione, definita come la combustione contemporanea di combustibili da fonti rinnovabili,
come definite dall’articolo 2, comma 15, del decreto legislativo n. 79/99, e di combustibili da altre
fonti di energia. Ai fini dei benefici di cui al precedente articolo 1, lettera f), e in particolare di quelli
previsti dall’articolo 3, comma 3, del decreto legislativo n. 79/99, l’indice di risparmio di energia IRE
per gli impianti di produzione combinata di energia elettrica e calore con potenza nominale inferiore a
10 MVA è riferito all’intero impianto.
Nel caso di sezioni di impianto aventi n taglie di riferimento T1, T2,...,Tn, che individuano n
rendimenti elettrici di riferimento ηes,1, ηes,2, …, ηes,n, ed una potenza nominale della sezione pari a P,
il parametro ηes da utilizzare per il calcolo dell’indice IRE della sezione viene determinato con la
seguente formula:
n η ⋅T
ηes = ∑ es , j j
j =1 P
b) per il parametro ts,civ un valore pari a 0,8 e per il parametro ts,ind un valore pari a 0,9.
Nel caso di utilizzo di combustibili solidi fossili di produzione nazionale in misura non inferiore al
20% dell’energia primaria annualmente immessa nella sezione di produzione combinata di energia
elettrica e calore, i valori dei parametri ts,civ e ts,ind sono ridotti del 5%. A tale fine, non rientrano
tra i combustibili fossili di produzione nazionale il carbone di tipo coke, prodotto in Italia a partire da
carbone di importazione, e il petrocoke o coke di petrolio.
2.3 Il limite termico LT, come definito al precedente articolo 1, lettera u), per il processo di cui al
comma 2.1 non deve essere inferiore al valore minimo LTmin che, fino al 31 dicembre 2005, viene
fissato pari a 0,150 (15,0%). Nel caso di sezioni di nuova realizzazione che soddisfino la condizione di
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 247
IREmin di cui al comma 2.2, ma non soddisfano la condizione per il limite termico LT è ammessa, ai
soli fini dell’esenzione dall'obbligo previsto dall'articolo 11, comma 1, del decreto legislativo n. 79/99,
l’esenzione dal predetto obbligo per la quota di energia elettrica che soddisfa il limite termico di 0,150
(15,0%). Ai fini dei benefici di cui al precedente articolo 1, lettera f), e in particolare di quelli previsti
dall’articolo 3, comma 3, del decreto legislativo n. 79/99, si assume che nel calcolo del limite termico
LT per gli impianti di produzione combinata di energia elettrica e calore con potenza nominale
inferiore a 10 MVA la sezione coincide con l’impianto.
Articolo 3
Aggiornamento e periodo di validità dei parametri di riferimento
3.1 I valori di riferimento dei parametri ηes, ηts,civ, ηts,ind, LTmin e IREmin, come riportati al
precedente articolo 2, sono in vigore fino al 31 dicembre 2005 e vengono aggiornati dall’Autorità
con periodicità triennale.
3.2 Per ciascuna sezione esistente i valori di riferimento dei parametri ηes, , ηts,civ, ηts,ind, LTmin e
IREmin, di cui al precedente articolo 2, rimangono fissi, ai fini del riconoscimento della condizione
tecnica di cogenerazione, per un periodo di dieci (10) anni a partire dalla data di entrata in vigore del
presente provvedimento. A partire dall’anno solare successivo a quello in cui vengono completati i
dieci (10) anni di esercizio si applicano i valori di riferimento dei parametri aggiornati dall’Autorità su
base triennale, di cui al comma 3.1, in vigore per quel triennio.
3.3 Per ciascuna sezione di nuova realizzazione e per i rifacimenti i valori di riferimento dei
parametri ηes, ηts,civ, ηts,ind, LTmin e IREmin in vigore alla data di entrata in esercizio rimangono fissi, ai
fini del riconoscimento della condizione tecnica di cogenerazione, per un periodo di quindici (15)
anni. A partire dall’anno solare successivo a quello in cui vengono completati i quindici (15) anni di
esercizio si applicano i valori di riferimento dei parametri aggiornati dall’Autorità su base triennale, di
cui al comma 3.1, in vigore per quel triennio.
3.4 Nel caso di sezioni dotate di reti di teleriscaldamento per la distribuzione del calore utile
prodotto i periodi di cui ai commi 3.2 e 3.3 vengono estesi di 5 (cinque) anni.
3.5 Durante il periodo di collaudo e avviamento, e limitatamente al periodo massimo di 12
(dodici) mesi consecutivi di cui al precedente punto 1, lettera w), si applica per il parametro IREmin un
valore pari a 0,050 (5,0%) e per il parametro LTmin un valore pari a 0,100 (10,0%). Per l’anno solare in
cui termina il periodo di collaudo e avviamento, i valori dei parametri IREmin e LTmin sono calcolati
come media ponderata sui due periodi.
3.6 Agli impianti di nuova realizzazione per i quali, alla fine di un triennio di vigenza dei valori di
riferimento dei parametri ηes, , ηts,civ, ηts,ind, LTmin e IREmin di cui al precedente articolo 2, sono state
assunte obbligazioni contrattuali in valore relativamente alla maggior parte dei costi di costruzione, si
applicano i valori di riferimento previsti per il triennio precedente .
Articolo 4
Attestazione delle condizioni per il riconoscimento della produzione combinata di energia
elettrica e calore come cogenerazione
4.1 I soggetti produttori con sezioni di produzione combinata di energia elettrica e calore che
intendono avvalersi dei benefici di cui al precedente articolo 1, lettera f), comunicano, separatamente
per ciascuna sezione, mediante dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà firmata dal legale
rappresentante ai sensi degli articoli 21, 38 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28
dicembre 2000, n. 445, il valore dell'indice di risparmio di energia IRE e del limite termico LT,
calcolati con riferimento ai valori dei parametri ηes, ηts,civ e ηts,ind fissati nel precedente articolo 2,
relativi all’anno solare precedente.
4.2 La dichiarazione di cui al comma 4.1 deve essere inviata alla società Gestore della rete di
trasmissione nazionale Spa entro il 31 marzo di ogni anno. La società Gestore della rete di
trasmissione nazionale Spa, entro il 30 giugno di ogni anno, trasmette all’Autorità un prospetto
riepilogativo delle dichiarazioni pervenute ed un piano annuale di verifiche sulle sezioni ai sensi
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 248
Articolo 5
Verifiche sulla sezione
5.1 Le verifiche sulla sezione atte a controllare il rispetto delle condizioni per il riconoscimento
della produzione combinata di energia elettrica e calore come cogenerazione ai fini dei benefici di cui
al precedente articolo 1, lettera f), sono effettuate dalla società Gestore della rete di trasmissione
nazionale Spa e svolte, ove necessario, attraverso sopralluoghi al fine di accertare la veridicità delle
informazioni e dei dati trasmessi, avvalendosi eventualmente anche della collaborazione di altri
enti o istituti di certificazione.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 249
Articolo 6
Disposizioni finali
6.1 La presente deliberazione viene pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana
e nel sito internet dell’Autorità ed entra in vigore il giorno successivo alla data della sua pubblicazione.
9. IMPIANTI ANTINCENDIO
Il rischio di incendio è oggi rilevante anche a causa dell’uso sempre crescente di materiali
altamente infiammabili (ad esempio materiale plastico, carta, legno, ….) presenti nei locali di lavoro o di
abitazione.
L’Italia è una delle nazioni più all’avanguardia nel campo della prevenzione degli incendi con
una serie di norme tecniche che coprono tutti i settori civili e industriali.
Si tralascia in questa sede, a causa del tempo limitato, il problema dei grandi rischi di tipo
industriale regolamentati dal D.Lgs 334/99 (detto anche Seveso 2) per soffermarci solamente ai classici
impianti antincendio per impianti civili ed industriali normali.
Una delle norme più importanti è data dal D.Lgs 149/96: Approvazione della regola tecnica di
prevenzione e incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio dei locali di intrattenimento e pubblico spettacolo”. Di
essa si riportano alcuni fra gli articoli più importanti57. Si vedranno anche altre norme e/o decreti
riguardanti l’argomento qui trattato.
Prima di procedere all’esame delle leggi e norme vigenti si vuole qui presentare la problematica
che gli impianti antincendio debbono affrontare.
9.1 FINALITÀ DEGLI IMPIANTI ANTINCENDIO
Gli impianti antincendio hanno come finalità la riduzione dei danni conseguenti al verificarsi di
un incendio, agendo quindi sulla Magnitudo dell’evento incendio.
Gli interventi si suddividono in misure di protezione attiva o passiva in relazione alla necessità
o meno dell’intervento di un operatore o dell’azionamento di un impianto.
⋅ Protezione PASSIVA - non c'è il bisogno di un intervento
⋅ Protezione ATTIVA - c'è il bisogno di un intervento
9.2 LA PROTEZIONE PASSIVA
Gli impianti antincendio hanno come finalità la riduzione dei danni conseguenti al verificarsi di
un incendio, agendo quindi sulla Magnitudo dell’evento incendio.
Gli interventi si suddividono in misure di protezione attiva o passiva in relazione alla necessità
o meno dell’intervento di un operatore o dell’azionamento di un impianto.
⋅ Protezione PASSIVA - non c'è il bisogno di un intervento
⋅ Protezione ATTIVA - c'è il bisogno di un intervento
9.3 LA PROTEZIONE ATTIVA
L’insieme delle misure di protezione che richiedono l’azione di un uomo o l’azionamento di un
impianto sono quelle finalizzate alla precoce rilevazione dell’incendio, alla segnalazione e all’azione di
spegnimento dello stesso.:
⋅ estintori
⋅ rete idrica antincendi
⋅ impianti di rivelazione automatica d’incendio
⋅ impianti di spegnimento automatici
⋅ dispositivi di segnalazione e d’allarme
⋅ evacuatori di fumo e calore
9.4 MISURE DI PROTEZIONE PASSIVA
Si tratta, come sopra specificato, di misure insite nell’edificio e che non richiedono interventi
esterni. Vediamole in dettaglio.
57 La Norma Tecnica è tutta parimenti importante ma in questa sede si vuole porre maggiormente l’attenzione sugli
aspetti progettuali della norma stessa. Si rimanda l’Allievo ad una lettura di tutto il testo per un maggiore
approfondimento.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 251
E tenuta
⋅ attitudine di un elemento da costruzione a non lasciar passare ne produrre se sottoposto
all’azione del fuoco su un lato fiamme, vapori o gas caldi sul lato non esposto al fuoco;
I isolamento termico
⋅ attitudine di un elemento da costruzione a ridurre, entro un dato limite, la trasmissione del
calore
Pertanto:
⋅ con il simbolo REI si identifica un elemento costruttivo che deve conservare, per un
determinato tempo, la stabilità, la tenuta e l’isolamento termico;
⋅ con il simbolo RE si identifica un elemento costruttivo che deve conservare, per un
determinato tempo, la stabilità e la tenuta;
⋅ con il simbolo R si identifica un elemento costruttivo che deve conservare, per un determinato
tempo, la stabilità;
Quindi in relazione ai requisiti degli elementi strutturali in termini di materiali da costruzione
utilizzati e spessori realizzati, essi vengono classificati da un numero che esprime i minuti primi per i
quali conservano le caratteristiche suindicate in funzione delle lettere R, E o I, come di seguito
indicato per alcuni casi:
⋅ R 45 R 60 R 120
⋅ RE 45 RE 60 RE 120
⋅ REI 45 REI 60 REI 120
Le barriere antincendio realizzate mediante interposizione di elementi strutturali hanno invece la
funzione di impedire la propagazione degli incendi sia lineare (barriere locali) che tridimensionale
(barriere totali) nell’interno di un edificio, nonché, in alcuni casi, quella di consentire la riduzione delle
distanze di sicurezza.
Per una completa ed efficace compartimentazione i muri tagliafuoco non dovrebbero avere
aperture, ma è ovvio che in un ambiente di lavoro è necessario assicurare un’agevole comunicazione
tra tutti gli ambienti destinati, anche se a diversa destinazione d’uso.
Pertanto è inevitabile realizzare le comunicazioni e dotarle di elementi di chiusura aventi le
stesse caratteristiche di resistenza al fuoco del muro su cui sono applicati. Tali elementi di chiusura si
possono distinguere in:
Porte incernierate
⋅ porte munite di sistemi di chiusura automatica quali fusibili, cavetti e contrappesi o sistemi
idraulici o a molla, che in caso d’incendio fanno chiudere il serramento;
⋅ porte scorrevoli: porte sospese ad una guida inclinata di pochi gradi rispetto al piano orizzontale
mediante ruote fissate al pannello. Normalmente stanno in posizione aperta trattenute da un
contrappeso e da un cavo in cui è inserito un fusibile che in caso d’incendio si fonde liberando
il contrappeso e permettendo alla porta di chiudersi;
⋅ porte a ghigliottina: porte installate secondo un principio analogo a quello adottato per le porte
scorrevoli, ma con la differenza che in questo caso il pannello viene mantenuto sospeso sopra
l’apertura e le guide sono verticali.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 253
Caratteristiche idrauliche pressione-portata (50 % degli idranti UNI 45 in fase di erogazione con
portata di 120 lt/min e pressione residua di 2 bar al bocchello). Idranti (a muro, a colonna, sottosuolo o
naspi, vedi Figura 238 e Figura 239) collegati con tubazioni flessibili a lance erogatrici che consentono,
per numero ed ubicazione, la copertura protettiva dell’intera attività.
Un breve cenno va dedicato alla rete antincendi costituita da naspi che rappresenta, per la
possibilità di impiego anche da parte di personale non addestrato, una valida alternativa agli idranti
soprattutto per le attività a rischio lieve.
58 Cioè in modo elettricamente autonomo e quindi direttamente da un gruppo elettrogeno esterno alla rete
normale.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 260
⋅ Gli impianti a schiuma sono concettualmente simili a quelli ad umido e differiscono per la
presenza di un serbatoio di schiumogeno e di idonei sistemi di produzione e scarico della schiuma
(versatori).
⋅ Impianti di anidride carbonica, ad halon, a polvere: hanno portata limitata dalla capacità
geometrica della riserva (batteria di bombole, serbatoi). Gli impianti a polvere, non essendo
l’estinguente un fluido, non sono in genere costituiti da condotte, ma da teste singole
autoalimentate da un serbatoio incorporato di modeste capacità. La pressurizzazione è sempre
ottenuta mediante un gas inerte (azoto, anidride carbonica).
Erogatori
Alla base del funzionamento degli impianti automatici di spegnimento vi sono gli erogatori
(sprinkler) che sono costituiti da elementi termosensibili che, raggiunta una temperatura limite,
rilasciano automaticamente un getto d’acqua in modalità predefinite (dalla forma e posizione
dell’ugello, vedi Figura 241).
⋅ Al di sotto degli erogatori deve esserci sempre una distanza dal muro o pavimento non inferiore
a 50 cm;
⋅ La distanza fra due erogatori non sarà mai inferiore a 2 m;
⋅ La distanza dalle estremità di ciascuna diramazione sarà eguale alla metà della distanza fra i
singoli erogatori;
⋅ La distanza dal soffitto dovrà essere compresa fra 75 e 150 cm e in ogni caso ad una distanza
mai superiore ai 450 cm.
In Figura 242 si ha un esempio di installazione di sprinkler per un capannone industriale e in
Figura 243 si ha una vista assonometrica dell’installazione in un locale chiuso.
Elementi termosensibili
Gli elementi termosensibili sono costituiti da bulbi di vetro con all’interno un liquido
opportunamente scelto. Il colore del liquido caratterizza la temperatura nominale di taratura e quindi
di apertura dell’ugello. Si utilizzano liquidi e colori corrispondenti alla seguente Tabella 29. La
selezione del tipo di liquido deve essere fatta in modo che la temperatura nominale sia almeno 30 °C
superiore a quella dell’ambiente.
Temperatura Nominale di Taratura (°C) Colore del liquido
57 Arancione
68 Rosso
79 Giallo
93 Verde
141 Blu
182 Lilla
227 Nero
260 Nero
343 Nero
Tabella 29: Codice dei colori per gli sprinkler
Alimentazione
L’alimentazione dell’impianto sprinkler entra in funzione automaticamente quando una o più
testine entrano in funzione. Essa deve garantire una pressione adeguata anche quando l’impianto non
è in fase operativa.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 263
E’ opportuno alimentare gli impianti sprinkler con utenze preferenziali59 ed è opportuno avere
anche un attacco UNI-70 esterno (opportunamente segnalato) per consentire, in caso di necessità,
l’alimentazione esterna dalle autobotti del VV.F.
Valvole ed apparecchiature ausiliarie
A valle dell’alimentazione e a monte del resto dell’impianto occorre installare le seguenti
apparecchiature di controllo:
⋅ Valvola principale di intercettazione;
⋅ Valvola di comando allarme;
⋅ Campana idraulica di allarme;
⋅ Valvola principale di scarico;
⋅ Apparecchiature di prova;
⋅ Due manometri.
In Figura 244 si ha un esempio di gruppo di controllo di un impianto sprinkler.
Tubazioni
Le tubazioni avranno in ogni caso un diametro non inferiore a DN 32 e di tipo in acciaio PN
10. Esse debbono essere ancorate alle strutture del fabbricato mediante opportuni sostegni che
garantiscano la stabilità dell’impianto in ogni condizione. I sostegni debbono assorbire gli sforzi assiali
e trasversali in fase di scarica e dovranno essere incombustibili.
I tubi debbono essere trattenuti mediante collari di sostegno che li inviluppano per intero e non
si possono utilizzare graffe elastiche o sostegni di tipo aperto.
59 Le utenze preferenziali sono quelle che debbono comunque essere alimentate dalla rete elettrica o da quella
idrica per garantire le massime condizioni di sicurezza. Ad esempio solo utenze idriche presenziali gli impianti ad idranti,
quelli sprinkler, le reti UNI-70 esterne. Le pompe di alimentazione o le autoclavi, se presenti, debbono essere alimentate in
modo preferenziale elettricamente.
60 Gli impianti sprinkler a secco sono impiegati a protezione delle aree dove non vi è riscaldamento, di
conseguenza pericolo di formazione di ghiaccio nei mesi invernali all’interno delle tubazioni dell’impianto sprinkler.
Quest’ultime, alle quali sono collegati gli erogatori, sono caricate ed alimentate con aria compressa in qualità di agente di
pressurizzazione. Il calore sviluppato dall’incendio provoca l’apertura di uno o più erogatori sprinkler, causando la
fuoriuscita dell’aria e la relativa caduta di pressione. Di conseguenza l’acqua riempie l’intera rete di tubazioni e verrà
erogata solo dagli sprinkler aperti in quel momento, ponendo sotto controllo l’incendio dell’area interessata e attivando il
sistema di allarme generale dell’impianto.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 264
Tabella 31: Dati generali di calcolo per l’impianto sprinkler della biblioteca
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 267
Per il calcolo del coefficiente di riduzione, i singoli fattori di influenza vengono valutati
mediante indici numerici che possono essere negativi o positivi, in quanto si intendono riferiti alle
condizioni di un caso reale medio di incendio.
Gli indici di valutazione degli edifici nel loro complesso, e dei singoli piani e locali sono indicati
nella Tabella 33.
Il valore della somma algebrica degli indici di valutazione, riportato in ascisse nel diagramma di
Figura 255, fornisce direttamente il coefficiente di riduzione, per cui va moltiplicato il carico di
incendio per la determinazione della classe del piano e del locale nell'ambito dell' edificio considerato.
Qualora il numero indicativo della classe risultante dal carico fosse diverso dal numero distintivo
delle classi previste dalle presenti Norme, si assegnerà l'edificio o la parte di esso considerata alla classe
immediatamente superiore.
Nel caso in cui i numeri indicativi di classe risultassero dal calcolo superiori alla classe 180,
l'edificio o la parte di esso considerata saranno assegnati alla classe 180.
⋅ 4. Per le attività di cui al comma 1 dell’Art. 1 di nuova istituzione o per gli ampliamenti da
realizzare negli edifici sottoposti nella loro globalità a tutela ai sensi della legge n. 1089/1939, il
carico di incendio relativo agli arredi e al materiale depositato, con esclusione delle strutture e
degli infissi combustibili esistenti, non dovrà superare i 50 kg/m2 in ogni singolo ambiente.
⋅ 5. Gli elementi di arredo combustibili introdotti negli ambienti successivamente alla data di
entrata in vigore della presente norma, con esclusione del materiale esposto, debbono risultare
omologati nelle seguenti classi di reazione al fuoco: i materiali di rivestimento dei pavimenti
debbono essere di classe non superiore a 2; gli altri materiali di rivestimenti e i materiali
suscettibili di prendere fuoco su ambo le facce debbono essere di classe 1; i mobili imbottiti
devono essere di classe 1 IM.
Art. 5 Depositi
⋅ 1. Nei depositi il materiale ivi conservato deve essere posizionato all’interno del locale in scaffali
e/o contenitori metallici consentendo passaggi liberi non inferiori a 0,90 m tra i materiali ivi
depositati.
⋅ 2. Le comunicazioni tra questi locali ed il resto dell’edificio debbono avvenire tramite porte REI
120 munite di congegno di autochiusura.
⋅ 3. Nei depositi il cui carico di incendio è superiore a 50 kg/m2 debbono essere installati impianti
di spegnimento automatico collegati ad impianti di allarme.
⋅ 4. Nei locali dovrà essere assicurata la ventilazione naturale pari a 1/30 della superficie in pianta
o n. 2 ricambi ambiente/ora con mezzi meccanici.
Art. 8 Mezzi antincendio
3. Devono essere installati impianti fissi di rivelazione automatica di incendio. Questi debbono
essere collegati mediante apposita centrale a dispositivi di allarme ottici e/o acustici percepibili in
locali presidiati.
Capo III prescrizioni per la gestione
⋅ 1.2. Nei locali dove si depositano o si impiegano sostanze che possono dar luogo a miscele
infiammabili o esplosive deve essere assicurata una superficie di aerazione naturale, realizzata
eventualmente anche a mezzo di aperture munite di infissi, non inferiore ad 1/30 della loro
superficie in pianta per ambienti sino a 400 m3 e di 1/50 per la superficie eccedente i 400 m3. Per
i locali ove sono presenti gas con densità relativa maggiore di 0,8 tale superficie deve essere
equamente distribuita in basso ed in alto. Ove non sia possibile raggiungere per l’aerazione
naturale il rapporto di superfici prescritto è ammesso il ricorso all’aerazione meccanica con
portata di almeno 2 ricambi orari semprechè sia assicurata una superficie di aerazione naturale
pari ad almeno il 25% di quella prescritta. Quando poi l’aerazione naturale dovesse risultare
incompatibile con la tecnologia di particolari processi produttivi possono consentirsi soluzioni
alternative che facciano conseguire condizioni di sicurezza equivalente. Se all’atto della
presentazione dell’istanza del nulla osta provvisorio siano in corso i lavori per il conseguimento
delle superfici prescritte o il relativo iter procedurale, e tale circostanza risulti da
documentazione allegata all’istanza stessa, può farsi ugualmente luogo al rilascio del nulla osta
provvisorio a condizione che nella suddetta documentazione sia precisata la data di ultimazione
dei lavori che deve essere contenuta entro il termine di tre mesi dalla data di rilascio del nulla
osta.
...omissis...
⋅ L’ispettore regionale, sentito il comitato tecnico regionale di prevenzione incendi, di cui
all’articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica 29 luglio 1982, n. 577, si pronuncia
entro sessanta giorni dalla ricezione, dandone contestuale comunicazione al comando ed al
richiedente. L’ispettore regionale dei vigili del fuoco trasmette ai competenti organi tecnici
centrali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco i dati inerenti alle deroghe esaminate per la
costituzione di una banca dati, da utilizzare per garantire i necessari indirizzi e l’uniformità
applicativa nei procedimenti di deroga.
⋅ 3. limitazione del carico d’incendio
⋅ 3.1. Per le attività di cui ai punti 85 e 86 del D. M. 16 febbraio 1982 (G. U. n. 98 del 9 aprile
1982), il carico d’incendio non può superare i seguenti valori:
⋅ 30 kg/m2 per locali ai piani fuori terra;
⋅ 20 kg/m2 per locali al 1o e 2° piano interrato;
⋅ 15 kg/m2 per locali oltre il 2° piano interrato.
⋅ I valori suddetti del carico d’incendio possono essere raddoppiati quando sono installati
impianti di estinzione ad attivazione automatica. Per i locali ai piani fuori terra i valori del carico
d’incendio possono essere raddoppiati anche in presenza d’impianti di rivelazione automatica
d’incendio.
⋅ Negli atri, nei corridoi di disimpegno, nelle scale, nelle rampe e nei passaggi in genere, il carico
d’incendio non può superare i 10 kg/m2.
⋅ 3.2. Per le attività di cui ai punti 82 e 89 del D. M. 16 febbraio 1982 (G. U. n. 98 del 9 aprile
1982), sprovviste di servizio di vigilanza aziendale durante le ore di attività o di sistema di
estinzione automatica o di rivelazione d’incendio, il carico di incendio non può superare 50
kg/m2.
⋅ Nelle scale e nelle rampe il carico d’incendio non può superare i 10 kg/m2.
⋅ 3.3. Per gli edifici di cui al punto 94 del D. M. 16 febbraio 1982 (G. U. n. 98 del 9 aprile 1982), il
carico d’incendio non può superare i seguenti valori:
⋅ 20 kg/m2 per locali al 1o e 2° piano interrato;
⋅ 15 kg/m2 per locali oltre il 2° piano interrato é consentita la comunicazione dei piani interrati
con i vani scala e/o ascensori, ove non sia possibile documentare tali valori per il carico
d’incendio, purché vengano interposte porte a chiusura automatica aventi resistenza al fuoco
non inferiore a 30’.
... omissis...
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 282
L’aerazione naturale deve essere non inferiore ad 1/30 della superficie in pianta del locale. Ove
non sia possibile raggiungere per l’aerazione naturale il rapporto di superfici prescritto, è ammesso il
ricorso all’aerazione meccanica con portata di almeno 3 ricambi orari semprechè sia assicurata una
superficie di aerazione naturale pari ad almeno il 50% di quella prescritta. E’ vietato:
⋅ usare fiamme libere;
⋅ depositare sostanze infiammabili;
⋅ parcheggiare automezzi funzionanti a g.p.l.;
⋅ eseguire riparazioni a caldo e prove motori;
⋅ fumare.
Le autorimesse devono essere separate da altri ambienti a diversa utilizzazione con strutture di
resistenza al fuoco non inferiore a REI 30. Per le autorimesse pubbliche non è consentita la
comunicazione con vani scala ed ascensori che non siano ad esclusivo uso delle stesse; per le
autorimesse ad uso privato ivi comprese quelle a servizio di uffici, è consentita la comunicazione con
vani scale ed ascensori mediante porte metalliche piene con autochiusura. La capacità di parcamento
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 283
deve essere dichiarata dal titolare dell’attività sotto la propria responsabilità secondo le indicazioni
contenute nella circolare del Ministero dell’interno n. 2 del 16 gennaio 1982.
La superficie massima di ogni compartimento deve essere conforme alla tabella 2.30 del D. M.
20 novembre 1981 (G. U. n. 333 del 3 dicembre 1981) con tolleranza del 15%. Deve essere installato
n. 1 idrante per capacità di parcamento superiore a 50 autoveicoli e n. 1 estintore di tipo approvato
con capacità estinguente non inferiore a 21A, 89B ogni 20 autoveicoli.
Le uscite di sicurezza per le persone verso spazi a cielo libero o grigliato devono essere
facilmente accessibili, apribili dall’interno, di larghezza non inferiore a 0,60 m e raggiungibili con
percorsi non superiori a 40 m o 50 m se i locali sono dotati di impianto di spegnimento automatico.
12. Attività di cui al punto 95 del d. m. 16 febbraio 1982 (g. u. n. 98 del 9 aprile 1982)
Il vano ascensore non può comunicare direttamente con autorimesse pubbliche, impianti di
produzione di calore (con esclusione di cucine e lavaggio stoviglie) e deve essere, da tale attività,
separato con elementi costruttivi di resistenza al fuoco non inferiore a REI 30.
I vani montacarichi non possono comunicare direttamente con i locali depositi ad eccezione
degli impianti a servizio di attività industriali e commerciali.
L’aerazione naturale dall’esterno, per il vano corsa, se di tipo chiuso, e per il locale macchine
deve essere non inferiore a 0,05 m3.
Ove non sia possibile raggiungere per l’aerazione naturale il rapporto di superfici prescritto, è
ammesso il ricorso all’aerazione meccanica con portata di almeno 3 ricambi orari semprechè sia
assicurata una superficie di aerazione naturale pari ad almeno il 50% di quella prescritta.
Le porte di accesso al locale macchine devono essere di materiale non combustibile.
13. Depositi di sostanze infiammabili a servizio delle attività di cui ai punti 85,86,89 del
DM. 16 febbraio 1982 (GU. n. 98 del 9 aprile 1982).
La presente direttiva si applica ai depositi costituiti da contenitori di capacità geometrica unitaria
superiore a litri 2 di infiammabili liquidi, gassosi liquefatti o disciolti.
I locali destinati a tali depositi devono avere una aerazione naturale non inferiore ad 1/30 della
loro superficie in pianta.
La separazione con altri ambienti deve avvenire con strutture di resistenza al fuoco non
inferiore a REI 30 senza comunicazioni.
Gli accessi devono avvenire unicamente da spazi a cielo libero o tramite filtro a prova di fumo.
Le attrezzature mobili di estinzione devono essere costituite da n. 1 estintore di tipo approvato
con capacità estinguente non inferiore a 21A, 89B per ogni locale.
E’ consentito tenere in deposito ai piani fuori terra e non oltre il 2° piano interrato i seguenti
quantitativi massimi di sostanze infiammabili: liquidi litri 300, gas compressi m3 0,25, gas disciolti
liquefatti kg 25.
Per i depositi ubicati ai piani interrati deve essere installato un impianto di rivelazione di fughe
di gas. E’ vietato depositare insieme nello stesso locale liquidi infiammabili, gas compressi, gas disciolti
o liquefatti, materiali combustibili, gas comburenti.
14. Spazi adibiti a depositi di materiali solidi combustibili, archivi, biblioteche a
servizio delle attività di cui ai punti 85, 86, 89 del DM. 16 febbraio 1982 (g. u. n. 98 del 9 aprile 1982)
con carico d’incendio superiore a quanto previsto al punto 3 del presente allegato
I locali oggetto della presente direttiva devono avere una aerazione naturale, realizzata
eventualmente anche a mezzo di aperture munite di infissi, non inferiore ad 1/40 della loro superficie
in pianta per ambienti sino a 400 m3 e di 1/50 per la superficie eccedente i 400 m3.
Ove non sia possibile raggiungere per l’aerazione naturale il rapporto di superfici prescritte, è
ammesso il ricorso all’aerazione meccanica con portata di almeno 2 ricambi orari semprechè sia
assicurata una superficie di aerazione naturale pari ad almeno il 25% di quella prescritta.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 284
I locali possono essere ubicati ai piani fuori terra e non oltre il 2° piano interrato; è vietato il
deposito di sostanze infiammabili.
La separazione con altri ambienti ai piani interrati deve avvenire con strutture di resistenza al
fuoco non inferiore a REI 30 senza comunicazioni.
Nei piani interrati gli accessi possono avvenire dall’interno con vani provvisti di porte metalliche
piene con autochiusura.
Le attrezzature mobili di estinzione devono essere costituite da n. 1 estintore, di tipo approvato,
di capacità estinguente non inferiore a 13A, ogni 200 m3 di superficie.
10.4 D.M. 10/03/1998 – SICUREZZA INCENDIO NELLE ZONE DI EMERGENZA DEI
LUOGHI DI LAVORO
Arti. 1 Oggetto campo di applicazione
⋅ 1. Il presente decreto stabilisce, ...omissis..., i criteri per la valutazione dei rischi di incendio nei
luoghi di lavoro ed indica le misure di prevenzione e di protezione antincendio da adottare, al
fine di ridurre l’insorgenza di un incendio e di limitarne le conseguenze qualora esso si verifichi.
⋅ 2. Il presente decreto si applica alle attività che si svolgono nei luoghi di lavoro come definiti
dall’Art. ...omissis... di seguito denominato decreto legislativo n. 626/1994.
⋅ 3. Per le attività che si svolgono nei cantieri temporanei o mobili di cui al decreto legislativo 19
settembre 1996, n. 494, e per le attività industriali di cui all’Art. 1 del decreto del Presidente della
Repubblica 17 maggio 1988, n. 175, e successive modifiche, soggette all’obbligo della
dichiarazione ovvero della notifica, ai sensi degli articoli 4 e 6 del decreto stesso, le disposizioni
di cui al presente decreto si applicano limitatamente alle prescrizioni di cui agli articoli 6 e 7.
...omissis...
Art. 3 misure preventive, protettive e precauzionali di esercizio
...omissis...
⋅ c) realizzare le misure per una rapida segnalazione dell’incendio al fine di garantire l’attivazione
dei sistemi di allarme e delle procedure di intervento, in conformità ai criteri di cui all’allegato
IV;
...omissis...
Art. 4 controllo e manutenzione degli impianti e delle attrezzature antincendio
⋅ 1. Gli interventi di manutenzione ed i controlli sugli impianti e sulle attrezzature di protezione
antincendio sono effettuati nel rispetto delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti, delle
norme di buona tecnica emanate dagli organismi di normalizzazione nazionali ed europei o, in
assenza di dette norme di buona tecnica, delle istruzioni fornite dal fabbricante e/o
dall’installatore.
Art. 8 disposizioni transitorie e finali
...omissis...
⋅ 2. Sono fatti salvi i corsi di formazione degli addetti alla prevenzione incendi, lotta antincendio e
gestione delle emergenze, ultimati entro la data di entrata in vigore del presente decreto.
...omissis...
10.4.1 LINEE GUIDA PER LA VALUTAZIONE DEI RISCHI DI INCENDIO NEI LUOGHI DI
LAVORO
1.3.obiettivi della valutazione dei rischi di incendio
La valutazione dei rischi di incendio deve consentire al datore di lavoro di prendere i
provvedimenti che sono effettivamente necessari per salvaguardare la sicurezza dei lavoratori e delle
altre persone presenti nel luogo di lavoro. Questi provvedimenti comprendono:
⋅ la prevenzione dei rischi;
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 285
...omissis...
1.4.5. Adeguatezza delle misure di sicurezza
Nelle attività soggette al controllo obbligatorio da parte dei Comandi provinciali dei vigili del
fuoco, che hanno attuato le misure previste dalla vigente normativa, in particolare per quanto attiene il
comportamento al fuoco delle strutture e dei materiali, compartimentazioni, vie di esodo, mezzi di
spegnimento, sistemi di rivelazione ed allarme, impianti tecnologici, è da ritenere che le misure attuate
in conformità alle vigenti disposizioni siano adeguate.
Per le restanti attività, fermo restando l’obbligo di osservare le normative vigenti ad esse
applicabili, ciò potrà invece essere stabilito seguendo i criteri relativi alle misure di prevenzione e
protezione riportati nel presente allegato.
Qualora non sia possibile il pieno rispetto delle misure previste nel presente allegato, si dovrà
provvedere ad altre misure di sicurezza compensative. In generale l’adozione di una o più delle
seguenti misure possono essere considerate compensative:
...omissis...
C. Rivelazione ed allarme antincendio
⋅ installazione di un sistema di allarme più efficiente (p.e. sostituendo un allarme azionato
manualmente con uno di tipo automatico);
⋅ riduzione della distanza tra i dispositivi di segnalazione manuale di incendio;
⋅ installazione di impianto automatico di rivelazione incendio;
⋅ miglioramento del tipo di allertamento in caso di incendio (p.e. con segnali ottici in aggiunta a
quelli sonori, con sistemi di diffusione messaggi tramite altoparlante, ecc.;
...omissis...
10.4.3 MISURE INTESE A RIDURRE LA PROBABILITÀ DI INSORGENZA DEGLI INCENDI
Generalità
All’esito della valutazione dei rischi devono essere adottate una o più tra le seguenti misure
intese a ridurre la probabilità di insorgenza degli incendi.
A) Misure di tipo tecnico:
⋅ ...omissis...
⋅ ventilazione degli ambienti in presenza di vapori, gas o polveri infiammabili;
⋅ adozione di dispositivi di sicurezza.
⋅ ...omissis...
3.8. Misure per limitare la propagazione dell’incendio
⋅ A) Accorgimenti per la presenza di aperture su pareti e/o solai Le aperture o il passaggio di
condotte o tubazioni, su solai, pareti e soffitti, possono contribuire in maniera significativa alla
rapida propagazione di fumo, fiamme e calore e possono impedire il sicuro utilizzo delle vie di
uscita.
Misure per limitare le conseguenze di cui sopra includono:
⋅ provvedimenti finalizzati a contenere fiamme e fumo;
⋅ installazione di serrande tagliafuoco sui condotti.
Tali provvedimenti sono particolarmente importanti quando le tubazioni attraversano muri o
solai resistenti al fuoco.
Allegato II
4.1. Obiettivo
L’obiettivo delle misure per la rivelazione degli incendi e l’allarme è di assicurare che le persone
presenti nel luogo di lavoro siano avvisate di un principio di incendio prima che esso minacci la loro
incolumità. L’allarme deve dare avvio alla procedura per l’evacuazione del luogo di lavoro nonché
l’attivazione delle procedure d’intervento.
....omissis....
4.3. Misure per i luoghi di lavoro di grandi dimensioni o complessi
Nei luoghi di lavoro di grandi dimensioni o complessi, il sistema di allarme deve essere di tipo
elettrico. Il segnale di allarme deve essere udibile chiaramente in tutto il luogo di lavoro o in quelle
parti dove l’allarme è necessario.
In quelle parti dove il livello di rumore può essere elevato, o in quelle situazioni dove il solo
allarme acustico non è sufficiente, devono essere installati in aggiunta agli allarmi acustici anche
segnalazioni ottiche. I segnali ottici non possono mai essere utilizzati come unico mezzo di allarme.
....omissis....
Incendi di classe C
L’intervento principale contro tali incendi è quello di bloccare il flusso di gas chiudendo la
valvola di intercettazione o otturando la falla. A tale proposito si richiama il fatto che esiste il rischio di
esplosione se un incendio di gas viene estinto prima di intercettare il flusso del gas.
Incendi di classe D
Nessuno degli estinguenti normalmente utilizzati per gli incendi di classe A e B è idoneo per
incendi di sostanze metalliche che bruciano (alluminio, magnesio, potassio, sodio). In tali incendi
occorre utilizzare delle polveri speciali od operare con personale particolarmente addestrato.
Incendi di impianti ed attrezzature elettriche sotto tensione
Gli estinguenti specifici per incendi di impianti elettrici sono costituiti da polveri dielettriche e
da anidride carbonica....omissis...
6.4. Attrezzature ed impianti di protezione antincendio
Il datore di lavoro è responsabile del mantenimento delle condizioni di efficienza delle
attrezzature ed impianti di protezione antincendio.
Il datore di lavoro deve attuare la sorveglianza, il controllo e la manutenzione delle attrezzature
ed impianti di protezione antincendio in conformità a quanto previsto dalle disposizioni legislative e
regolamentari vigenti.
Scopo dell’attività di sorveglianza, controllo e manutenzione è quello di rilevare e rimuovere
qualunque causa, deficienza, danno od impedimento che possa pregiudicare il corretto funzionamento
ed uso dei presidi antincendio.
L’attività di controllo periodica e la manutenzione deve essere eseguita da personale competente
e qualificato. ....
…..omissis...
9.2. Attività a rischio di incendio elevato
La classificazione di tali luoghi avviene secondo i criteri di cui all’allegato I al presente decreto.
A titolo esemplificativo e non esaustivo si riporta un elenco di attività da considerare ad elevato
rischio di incendio:
⋅ industrie e depositi di cui agli articoli 4 e 6 del DPR n. 175/1988, e successive modifiche ed
integrazioni;
⋅ fabbriche e depositi di esplosivi;
⋅ centrali termoelettriche;
⋅ aziende estrattive di oli minerali e gas combustibili;
⋅ impianti e laboratori nucleari;
⋅ depositi al chiuso di materiali combustibili aventi superficie superiore a 20.000 m2;
⋅ attività commerciali ed espositive con superficie aperta al pubblico superiore a 10.000 m2;
⋅ scali aeroportuali, infrastrutture ferroviarie e metropolitane;
⋅ alberghi con oltre 200 posti letto;
⋅ ospedali, case di cura e case di ricovero per anziani;
⋅ scuole di ogni ordine e grado con oltre 1000 persone presenti;
⋅ uffici con oltre 1000 dipendenti;
⋅ cantieri temporanei o mobili in sotterraneo per la costruzione, manutenzione e riparazione di
gallerie, caverne, pozzi ed opere simili di lunghezza superiore a 50 m;
⋅ cantieri temporanei o mobili ove si impiegano esplosivi.
I corsi di formazione per gli addetti nelle sovrariportate attività devono essere basati sui
contenuti e durate riportate nel corso C.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 290
secondo la curva unificata di temperatura e le modalità delle prove in forno (1), perde la sua capacità
portante.
La durata di resistenza al fuoco effettiva di un locale o di una struttura, sottoposti ad incendio
reale, é in relazione diretta con la quantità di materiale combustibile presente, espressa dal “carico di
incendio” ed é in ogni caso maggiore della durata di resistenza determinata eseguendo una prova in
forno con curva unificata di temperatura e con lo stesso carico di incendio.
Il carico di incendio é espresso dalla quantità equivalente di legno per m², che si ottiene
dividendo per 4.400 (potere calorifico superiore del legno) il numero di calorie per unità di superficie
orizzontale del locale, o del piano considerato, che al massimo si possono sviluppare per effetto della
combustione di tutti i materiali combustibili presenti:
q = Σgi Hi/ (A• 4400)
dove:
⋅ q é il carico di incendio (in kg legna / m²)
⋅ gi il peso (in kg) del generico fra gli n combustibili che si prevedono presenti nel locale o
nel piano nelle condizioni più gravose di carico di incendio
⋅ Hi é il potere calorifico (in kcal/kg) del generico fra gli n combustibili di peso gi ;
⋅ A é la superficie orizzontale (in m²) del locale o del piano del fabbricato considerato
⋅ 4.400 é il potere calorifico del legno (in kcal/kg).
Le condizioni più gravose del carico di incendio di un certo locale o piano sono quelle per le
quali la sommatoria gi • Hi è massima e vanno determinate esaminando le previste utilizzazioni dei
locali e dei piani come dichiarato dal progettista e dal proprietario del fabbricato stesso.
Gli elementi che determinano la durata di resistenza al fuoco durante le prove in forno sono
riportati in Appendice (omissis).
Poichè la durata di resistenza al fuoco viene determinata in base ai risultati della prova di
incendio unificata eseguita in forno le presenti Norme forniscono gli elementi necessari per stabilire la
relazione che esiste far l’incendio reale e l’incendio di prova in forno. Il procedimento di
determinazione di questi elementi si basa sulla valutazione statistica dei vari fattori che influiscono
sulla durata di resistenza al fuoco effettiva in casi normali di incendio.
...omissis...
Art. 3. classi di edifici
Per i fabbricati civili con struttura di acciaio vengono distinte le seguenti classi:
⋅ Classe 15
⋅ Classe 30
⋅ Classe 45
⋅ Classe 60
⋅ Classe 90
⋅ Classe 120
⋅ Classe 180
Il numero indicativo di ogni classe esprime il carico di incendio virtuale in kg/m2 di legna
standard. Detto numero indicativo esprime anche in minuti primi la durata minima di resistenza al
fuoco da richiedere alla struttura o all’elemento costruttivo in esame.
Art. 4. determinazione delle classi
La classe del piano o del locale considerato si determina pertanto in base alla formula:
C=k•q
in cui:
⋅ C è il numero indicativo della classe
⋅ q è il carico di incendio dichiarato (in kg legna/m2)
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 292
⋅ k è un coefficiente di riduzione che tiene conto delle condizioni reali di incendio del
locale o del piano nel complesso dell’edificio.
Art. 5. calcolo del coefficiente di riduzione del carico di incendio
Il valore del coefficiente k, compreso tra 0,2 e 1,0, viene determinato secondo le modalità che
seguono, in base alle caratteristiche dell’edificio, alla natura del materiale combustibile presente, alla
destinazione, alla distanza da altri edifici ed alle esistenti misure di segnalazione e prevenzione degli
incendi. Per il calcolo del coefficiente di riduzione, i singoli fattori di influenza vengono valutati
mediante indici numerici che possono essere negativi o positivi, in quanto si intendono riferiti alle
condizioni di un caso reale medio di incendio.
Gli indici di valutazione degli edifici nel loro complesso e dei singoli piani e locali sono indicati
nella Tabella 33. Il valore della somma algebrica degli indici di valutazione, riportato in ascisse nel
diagramma di fig. 1 a pag. seguente (omissis), fornisce direttamente il coefficiente di riduzione, per cui
va moltiplicato il carico di incendio per la determinazione della classe del piano e del locale nell’ambito
dell’edificio considerato.
Art. 1 poteri calorifici superiori di alcuni combustibili
A scopo indicativo, ai fini del calcolo dei carichi di incendio nei singoli piani e locali di un
edificio, si riportano nella presente Tabella 34 i calori specifici superiori delle sostanze combustibili più
comunemente presenti negli edifici civili.
2.1 Materiale
Il componente (o i componenti variamente associati) che può (o possono) partecipare alla
combustione in dipendenza della propria natura chimica e delle effettive condizioni di messa in opera
per l’utilizzazione.
2.2 Reazione al fuoco
Gradi di partecipazione di un materiale combustibile al fuoco al quale è sottoposto. In relazione
a ciò i materiali sono assegnati alle classi 0, 1, 2, 3, 4, 5 con l’aumentare della loro partecipazione alla
combustione; quelli di classe 0 sono non combustibili.
11.2 D.M. 30/11/1983
1.3. Carico d’incendio
Potenziale termico della totalità dei materiali combustibili contenuti in uno spazio, ivi compresi i
rivestimenti dei muri, delle pareti provvisorie, dei pavimenti e dei soffitti.
Convenzionalmente è espresso in chilogrammi di legno equivalente (potere calorifico inferiore
4.400 Kcal/Kg.)
1.11. Resistenza al fuoco
Attitudine di un elemento da costruzione (componente o struttura) a conservare, secondo un
programma termico prestabilito e per un tempo determinato in tutto o in parte: la stabilità “R”, la
tenuta “E”, l’isolamento termico “I”, così definiti:
⋅ R stabilità: attitudine di un elemento da costruzione a conservare la resistenza meccanica sotto
l’azione del fuoco;
⋅ E tenuta : attitudine di un elemento da costruzione a non lasciar passare ne produrre, se
sottoposto all’azione del fuoco su un lato, fiamme, vapori o gas caldi sul lato non esposto;
⋅ I isolamento termico: attitudine di un elemento da costruzione a ridurre, entro un dato limite,
la trasmissione del calore.
Gli intervalli di tempo stabiliti sono: 15, 30, 45, 60, 90 120 e 180 minuti primi. Pertanto:
⋅ con il simbolo “REI 90” si identifica un elemento costruttivo che deve conservare, per 90
minuti, la stabilità, la tenuta e l’isolamento termico.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 294
⋅ con il simbolo “RE” si identifica un elemento costruttivo che deve conservare, per un tempo
determinato, la stabilità e la tenuta.
⋅ con il simbolo “R 120” si identifica un elemento costruttivo che deve rimanere, per 120 minuti,
indenne all’esposizione dell’incendio, ma non garantisce dalla possibilità del passaggio di fumi e
calore attraverso di essa.
Per la classificazione degli elementi non portanti il criterio “R” è automaticamente soddisfatto
qualora siano soddisfatti i criteri “E” ed “I”.
11.3 CIRCOLARE N. 24 DEL 26/01/1993
Come è noto gli impianti di protezione attiva antincendi nel loro complesso costituiscono una
delle misure fondamentali per il conseguimento delle finalità della prevenzione incendi. In particolare
tali impianti sono annoverati fra gli accorgimenti intesi a ridurre le conseguenze dell’incendio a mezzo
della sua rivelazione precoce e della estinzione rapida nella fase del suo sviluppo.
In considerazione pertanto dell’importanza che tali impianti rivestono, si ritiene necessario
fornire le seguenti indicazioni affinché in sede di esame dei progetti e di rilascio dei certificati di
prevenzione incendi, venga particolarmente curato l’aspetto dell’impiantistica antincendio, anche in
correlazione con le disposizioni legislative concernenti la sicurezza degli impianti di cui alla legge 5
marzo 1990, n. 46 e DPR 6 dicembre 1991, n. 477. In tale ottica si ravvisa l’opportunità che i Comandi
Provinciali dei Vigili del Fuoco acquisiscano fra la documentazione allegata all’istanza di approvazione
preventiva dei progetti, per le attività soggette ai controlli di prevenzione incendi il progetto
particolareggiato degli impianti antincendio previsti dalle specifiche norme di sicurezza, ovvero
richiesti dai Comandi stessi in virtù dell’articolo 3 del DPR 29 luglio 1982, n. 577 per attività non
normate.
Gli impianti in argomento dovranno essere progettati nel rispetto delle specifiche norme di
sicurezza antincendi e secondo la regola d’arte. Nel richiamare che questo Ministero per attività
soggette a controllo ha gia provveduto ad emanare normative relative a tipi di impianto, a
caratteristiche generali e a prestazioni specifiche, si rende noto che sono in via di recepimento, con
decreti ministeriali, le norme tecniche UNI-VV.F., i cui estremi si riportano in allegato, e che nelle
more del recepimento stesso, definendo compiutamente caratteristiche e prestazioni di impianti e
componenti, rendono possibile considerare gli impianti realizzati secondo dette norme rispondenti alla
regola dell’arte.
Il progetto dovrà essere redatto allegando una serie di elaborati tecnici necessari per ottenere
una completa visione degli impianti antincendio che lo costituiscono quali:
⋅ schema a blocchi dell’impianto con rappresentazione delle parti principali;
⋅ disegni planimetrici, in scala opportuna, con la rappresentazione grafica degli impianti e del tipo
di installazione, con l’ubicazione delle attrezzature di protezione attiva e dei comandi
dell’impianto, con specifico riferimento ai singoli ambienti da proteggere;
⋅ relazione tecnico descrittiva sulla tipologia e consistenza degli impianti e relative indicazioni sul
calcolo analitico effettuato secondo le norme di riferimento.
Gli elaborati grafici e la relazione tecnica dovranno essere redatti facendo uso dei simboli grafici
e della terminologia contenuta nel DM 30 novembre 1983 e debitamente firmati da professionisti
regolarmente abilitati nell’ambito delle specifiche competenze.
Ai fini del rilascio del certificato di prevenzione incendi i Comandi Provinciali, anche per quanto
attiene gli impianti di protezione attiva antincendi ed i relativi componenti, oltre agli accertamenti ed
alle valutazioni direttamente eseguite, potranno richiedere certificazioni rilasciate da enti, laboratori o
professionisti autorizzati ed iscritti negli elenchi del Ministero dell’interno ai sensi dell’articolo I,
comma 2 della legge 7 dicembre 1984, n. 818; dovranno inoltre acquisire la dichiarazione di
conformità degli impianti realizzati nel rispetto delle specifiche norme di sicurezza antincendi e
secondo la regola d’arte. Tale dichiarazione dovrà essere rilasciata dalla ditta installatrice secondo il
modello al DM 20 febbraio 1992 (G.U. n. 49 del 28 febbraio 1992).
Fermo restando quanto innanzi detto, per gli impianti antincendi negli edifici di civile abitazione
con altezza in gronda superiore a 24 m, soggetti ai controlli di prevenzione incendi ai sensi del punto
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 295
94 del D.M. 16 febbraio 1982, si richiama l’attenzione sull’obbligatorietà del rispetto del disposto
normativo con le disposizioni di cui all’Art. 14 della legge 5 marzo 1990, n. 46.
11.4 ALLEGATO: NORME UNI-VV.F RELATIVE AI COMPONENTI DI IMPIANTO
⋅ UNI-VV.F. 9485 Apparecchiature per estinzione incendi Idranti a colonna soprasuolo in
ghisa.
⋅ UNI-VV.F. 9486 Apparecchiature per estinzione incendi Idranti sottosuolo in ghisa.
⋅ UNI-VV.F. 9487 Apparecchiature per estinzione incendi Tubazioni flessibili antincendio di
DN 45 e 70 per pressioni di esercizio fino a 1.2 MPa.
⋅ UNI-VV.F. 9488 Apparecchiature per estinzione incendi Tubazioni semirigide DN 20 e 25
per naspi antincendio.
⋅ UNI-VV.F. 9491 Apparecchiature per estinzione incendi, impianti fissi di estinzione
automatici a pioggia , erogatori (sprinkler).
⋅ UNI-VV.F. 9487 Apparecchiature per estinzione incendi Tubazioni flessibili antincendio di
DN 45 e 70 per pressioni di esercizio fino a 1.2 MPa.
11.5 NORME UNI-VV.F RELATIVE A IMPIANTI
⋅ UNI-VV.F. 9489 Apparecchiature per estinzione incendi, impianti fissi di estinzione
automatici a pioggia (sprinkler).
⋅ UNI-VV.F. 9490 Apparecchiature per estinzione incendi Alimentazioni idriche per impianti
automatici antincendio.
⋅ UNI-VV.F. 9494 Evacuatori di fumo e calore: caratteristiche, dimensionamento e prove.
⋅ UNI-VV.F. 9795 Sistemi fissi automatici di rivelazione e di segnalazione manuale d’incendio.
11.6 D.P.R. 29/07/1982 N. 577
Art. 1.5 compartimento antincendio
Parte di edificio61 delimitata da elementi costruttivi di resistenza al fuoco predeterminata e
organizzato per rispondere alle esigenze della prevenzione incendi.
Art. 3 principi di base e misure tecniche fondamentali
Per il conseguimento delle finalità perseguite dal presente decreto del Presidente della
Repubblica si provvede, oltre che mediante controlli, anche mediante norme tecniche che vengono
adottate dal Ministero dell’interno di concerto con le amministrazioni di volta in volta interessate.
Le predette norme, fondate su presupposti tecnico scientifici generali in relazione alle situazioni
di rischio tipiche da prevenire, dovranno specificare:
⋅ 1. misure, provvedimenti ed accorgimenti operativi intesi a ridurre la probabilità dell’insorgere
dell’incendio quali dispositivi, sistemi, impianti, procedure di svolgimento di determinate
operazioni atti ad influire sulle sorgenti d’ignizione, sul materiale combustibile e sull’agente
ossidante;
⋅ 2. misure, provvedimenti ed accorgimenti operativi atti a limitare le conseguenze dell’incendio
quali sistemi, dispositivi e caratteristiche costruttive, sistemi per le vie d’esodo d’emergenza,
dispositivi, impianti, distanziamenti, compartimentazioni e simili;
⋅ 3. apprestamenti e misure antincendi predisposti a cura di titolari di attività comportanti
notevoli livelli di rischio ai sensi di quanto fissato dall’Art. 2, comma c) della legge 13 maggio
1961, n. 469.
61 Le dimensioni dei comparti sono determinate di volta in volta in funzione della destinazione d’uso del locale
Tentativi di definizione del criterio probabilistico sono basati pertanto sui risultati di eventi
realmente accaduti e documentati da statistiche.
12.3 PROPAGAZIONE
La propagazione dell’incendio si manifesta con la propagazione della fiamma dal centro di
ignizione ad altri punti posti a differenti distanze nello spazio circostante e la diffusione estesa dei
prodotti della combustione.
In una certa area l’energia raggiante della fiamma ed il calore dei prodotti della combustione
producono altri centri di ignizione e l’aumento della temperatura dell’ambiente circostante e dei
materiali presenti; questo comporta l’incremento della velocità di combustione e l’estensione dei
contorni dell’incendio stesso ad aree o locali contigui senza soluzione di continuità.
In materia di prevenzione incendi, al fine di ridurre i danni prodotti dal suddetto fenomeno, è
stato introdotto il concetto di “compartimentazione” ovvero la realizzazione, all’interno di locali o
piani, di settori delimitati nel contorno (volumetricamente parlando) da elementi costruttivi atti ad
impedire, entro certi limiti, il propagarsi dell’incendio e dei suoi prodotti. Più precisamente nel D.M.
del 30 novembre 1983 (vedi cap. Norme e direttive tecniche) si definisce come “compartimento
antincendio” la «Parte di un edificio delimitata da elementi costruttivi di resistenza al fuoco
predeterminata e organizzata per rispondere alle esigenze di prevenzione incendi».
12.4 MATERIALI COMBUSTIBILI
In linea generale vengono chiamate combustibili le sostanze che non si incendiano molto
facilmente e danno luogo ad incendi con velocità di propagazione relativamente bassa, mentre
vengono chiamate infiammabili le sostanze più facilmente incendiabili che presentano una velocità di
propagazione elevata. I materiali combustibili possono essere suddivisi in funzione delle loro
caratteristiche di infiammabilità, del loro stato fisico, del loro modo di bruciare e del tipo di fuoco cui
possono dar luogo.
12.4.1 CLASSIFICAZIONE DEI COMBUSTIBILI IN BASE AL TIPO DI FUOCO
Tale sistema di classificazione raggruppa i materiali in base al tipo di fuoco cui possono dare
luogo; indicano gli estinguenti appropriati e quelli esclusi (vedi Tabella 35)
si è ritenuto molto importante, in caso di incendio, minimizzare gli effetti causati dai prodotti della
combustione sia per tutelare la sicurezza delle persone sia per preservare i beni dall’incendio.
Inoltre, in considerazione dell’importanza che gli impianti di protezione antincendio rivestono,
in sede Ministeriale si è ritenuto necessario fornire delle indicazioni specifiche affinché in sede di
esame dei progetti e di rilascio dei certificati di prevenzione incendi venga particolarmente curato
l’aspetto della impiantistica antincendio, anche in correlazione con le disposizioni di cui alla Legge
del 5 marzo 1990 in materia di sicurezza degli impianti.
In tale ottica si è ravvisata altresì l’opportunità che i Comandi Provinciali dei Vigili del Fuoco
acquisiscano, con le precisate modalità, il progetto particolareggiato degli impianti antincendio previsti
dalle specifiche norme di sicurezza, ovvero richiesti dai Comandi stessi in virtù dell’Art. 3 del DPR
del 29 luglio 1982 n. 577 per le attività non normate.
Per quanto sopra vedi DPR del 12 gennaio 1998 n. 37 «Regolamento recante disciplina dei
procedimenti relativi alla prevenzione incendi a norma dell’Art. 20, comma 8, della legge 15
marzo 1997 n. 59», e la precedente Circolare n. 24 MI. SA del 26 gennaio 1993 «Impianti di
protezione attiva antincendi».
Per la definizione delle caratteristiche tecniche e la progettazione dei sistemi di evacuazione di
fumo e di calore, a livello nazionale, si fa direttamente riferimento alle norme UNI attualmente in
vigore in materia specifica; in particolare alla norma UNI-VV.F. 9494, nella quale vengono stabiliti i
requisiti funzionali ed i criteri di dimensionamento degli “evacuatori di fumo e calore”.
13.4 EVACUATORI DI FUMO E CALORE (EFC)
Un aspetto importante nella lotta antincendio è che l’incendio difficilmente può essere soffocato
chiudendo tutte le aperture, al contrario esso trova sempre o quasi il modo per diffondersi
rapidamente grazie all’abbondanza di comburente (ossigeno) presente nell’aria e quindi in ogni
ambiente.
Scoppiato l’incendio all’interno di un edificio, la propagazione dei prodotti della combustione
(anidride carbonica, ceneri, etc.) avviene rapidamente ed in queste condizioni la visibilità diventa molto
bassa o addirittura nulla, creando un ambiente invivibile per le persone ed estremamente dannoso per
i beni in esso contenuti. Lo scopo dell’EFC è quello di limitare l’accumulo di fumo e di ridurre il
surriscaldamento all’interno di un edificio nel quale si sia sviluppato l’incendio.
Ciò consente di ottenere nella parte inferiore dei locali, come espresso nella norma UNI 9494,
una zona libera da fumo facilitando l’intervento dei mezzi di soccorso e la sopravvivenza delle persone
presenti. Inoltre, temperature più basse, permettono di preservare le strutture per un tempo maggiore
ritardando o evitando la fase di “flash-over” in cui vi é una accelerazione ed una generalizzazione
dell’evento.
La ventilazione, provocata da questo tipo di evacuatori, avviene naturalmente; infatti i prodotti
della combustione a causa della loro elevata temperatura tendono ad innalzarsi spontaneamente in
senso verticale creando una corrente ascensionale.
La presenza poi di aperture nella copertura e nella parte inferiore del locale interessato
dall’incendio, crea un fenomeno di “tiraggio” assimilando il locale ad un condotto percorso dai prodotti
della combustione.
Esistono altri sistemi di evacuazione poco utilizzati in Italia ma presenti nel resto del mondo
che, a titolo informativo, elenchiamo di seguito:
⋅ sistemi di aspirazione costituiti da ventilatori creati appositamente per le alte temperature;
⋅ sistemi di protezione degli ambienti per pressurizzazione;
⋅ sistemi composti che prevedono la pressurizzazione e l’evacuazione naturale.
13.5 CRITERI DI PROGETTAZIONE
Visti gli aspetti più generali in materia di incendi e prevenzione incendi, ed evidenziata
l’importanza dei sistemi di evacuazione fumi, si può passare al tema della progettazione di tali sistemi;
ossia alla individuazione ed analisi delle componenti che caratterizzano il sistema “attività struttura”
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 305
in esame, alla valutazione delle condizioni ottimali di installazione, al dimensionamento delle superfici
delle aperture di scarico, ai criteri di manutenzione.
La progettazione di un sistema di evacuazione fumi richiede uno studio mirato, che deve tenere
conto di numerose variabili, che possono intervenire anche in combinazione tra di loro, quali il rischio
ed il profilo dell’incendio, la tipologia della struttura che è sede del rischio, la configurazione e destinazione d’uso
della stessa, il tipo e quantità di sostanze combustibili presenti e le loro modalità di stoccaggio, il valore
presunto dell’altezza da terra libera dai “fumi” nell’area considerata e la presenza di cortine a tenuta di fumo.
Il dimensionamento della superficie di apertura di evacuazione risulta pertanto dipendente da
vari fattori e difficilmente determinabili, che sono legati specificatamente al “sistema combustione
fumi” della particolare attività in esame.
In campo nazionale è la norma UNI VV.F. 9494 che fornisce i criteri ed i metodi di calcolo per
determinare la superficie utile totale d’apertura (Sut) richiesta per ogni area “A” (compartimento),
considerata invasa del fumo, in relazione ai fattori di variabilità citati.
Secondo tale norma la superficie Sut viene dimensionata attraverso la formula:
Aα
Sut = s
100
⋅ dove As = area del compartimento a soffitto considerato;
α = coefficiente di dimensionamento da determinarsi secondo le procedure dettate negli articoli
6.3, 6.4 e 6.5 della norma stessa.
Dall’analisi di quanto esposto emerge che nella calcolazione della Sut è il coefficiente “α” a tenere
conto delle caratteristiche specifiche connesse con l’ambiente e l’attività esercitata, con la tipologia
della struttura ed il sistema di combustione, nonché con i sistemi di protezione previsti e con l’altezza
della zona libera da fumo.
Inoltre si evidenzia che dei vari fattori che concorrono a determinare tale coefficiente gli unici
che risultano variabili e gestibili dal progettista per correlare la Sut all’ “attività” in esame, sono
l’altezza della zona libera da fumo e la velocità di propagazione dell’incendio.
In merito all’altezza della zona libera da fumo, il cui valore risulta condizionato in maniera
significativa dalla presenza di cortine e tenuta di fumo e dell’entità della superficie del compartimento
in esame si osserva che la norma impone: «l’altezza della zona libera da fumo y deve
corrispondere almeno al valore di 0,5 h e non deve essere minore di 2 m».
Va precisato tuttavia che quanto richiesto dalla norma rappresenta la condizione minima che
deve essere comunque garantita; il progettista, su valutazioni fatte in funzione delle reali caratteristiche
dell’attività mirate a limitare il danno prodotto dal contatto dei fumi con strutture e beni, e a
migliorare le condizioni operative dei soccorritori, ha l’opportunità di assumere valori di altezza
superiori a quelli imposti dalla norma.
Per quanto riguarda la velocità di propagazione dell’incendio la norma fornisce tre parametri
(bassa normale alta) senza definire esplicitamente alcun parallelismo che permetta al progettista di
individuare la corrispondenza tra questi ed il tipo di attività in esame; ovvero la corrispondenza tra
questi parametri e l’elencazione delle attività soggette al controllo dei VV.F., o le funzioni/lavorazioni
aziendali, o la tipologia dei depositi/magazzini/natura delle merci in essi contenute.
In altri termini viene lasciato al progettista il compito di definire, anche se solo
parzialmente, l’incidenza del tipo di rischio in funzione dell’attività in esame.
Pertanto, in base a tali considerazioni, è emersa la necessità di introdurre il concetto della
classificazione delle attività e delle aree interessate (compartimenti) dell’installazione degli evacuatori,
in funzione del rischio di incendio.
Si rende quindi necessario individuare, per le attività ed aree suddette, differenti livelli di rischio,
in base al loro contenuto ed alla probabilità di sviluppo di un incendio; ad ogni livello di rischio
potranno essere poi associati i parametri relativi alla velocità di propagazione dell’incendio.
Come prima ipotesi si può parlare di correlazione tra pericolosità dell’incendio e la quantità di
calore sviluppata nel corso dell’incendio. Quest’ultima dipende essenzialmente dal potere calorifico
delle sostanze coinvolte e dalla loro quantità; ovvero dal carico di incendio.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 306
presentato dai vari materiali combustibili, di valutare, oltre ai carichi di incendio, anche la loro velocità
di combustione nello stato in cui si trovano; in altri termini di assumere come fattore rappresentativo
del pericolo dell’incendio la “potenza del fuoco”. A titolo indicativo riportiamo una tabella con alcune
caratteristiche tecniche di materiali combustibili.
Alla luce di ciò, può risultare utile mantenere, per l’uso specifico, i livelli di rischio individuati
dalla norma UNI 10779 “Impianti di estinzione incendi Reti di idranti”, in ordine alle aree da
proteggere. La suddetta norma, all’appendice B “Criteri di dimensionamento degli impianti”,
definisce per le aree da proteggere tre livelli di rischio identificandoli come “livelli di area”:
⋅ aree di livello 1: Aree nelle quali la quantità e/o la combustibilità dei materiali presenti sono
basse e che presentano comunque basso rischio di incendio in termini di probabilità d’innesco,
velocità di propagazione delle fiamme e possibilità di controllo dell’incendio da parte delle
squadre di emergenza. Le aree di livello 1 corrispondono in buona parte a quelle definite di
classe A dalla UNI 9489, cui si può fare riferimento per ulteriori indicazioni; rientrano pertanto
in tale classe tutte le attività di lavorazione di materiali prevalentemente incombustibili ed alcune
delle attività di tipo residenziale, di ufficio, ecc., a basso carico d’incendio.
⋅ aree di livello 2: Aree nelle quali c’è una presenza non trascurabile di materiali combustibili e
che presentano un moderato rischio di incendio come probabilità d’innesco, velocità di
propagazione di un incendio e possibilità di controllo dell’incendio stesso da parte delle squadre
di emergenza. Le aree di livello 2 corrispondono in buona parte a quelle definite di classe B dalla
UNI 9489, cui si può fare riferimento per ulteriori indicazioni; rientrano pertanto in tale classe
tutte le attività di lavorazione in genere che non presentano accumuli particolari di merci
combustibili e nelle quali sia trascurabile la presenza di sostanze infiammabili.
⋅ aree di livello 3: Sono le aree nelle quali c’è una notevole presenza di materiali combustibili e
che presentano un alto rischio di incendio in termini di probabilità d’innesco, velocità di
propagazione delle fiamme e possibilità di controllo dell’incendio da parte delle squadre di
emergenza. Le aree di livello 3 corrispondono in buona parte a quelle definite di classe C e D
dalla norma UNI 9489, cui si può fare riferimento per ulteriori indicazioni; rientrano pertanto in
questa categoria le aree adibite a magazzinaggio intensivo come definito dalla UNI 9489, le aree
dove sono presenti materie plastiche espanse, liquidi infiammabili, le aree dove si lavorano o
depositano merci ad alto rischio d’incendio quali cascami, prodotti vernicianti, prodotti
elastomerici, ecc.
Ai livelli così definiti possono essere associati, indicativamente, i seguenti valori di carico di
incendio:
⋅ carico di incendio limitato (basso): < 20 kg/m2 legna std
⋅ carico di incendio moderato: da 20 a 45 kg/m2 legna std
⋅ carico di incendio elevato: > 45 kg/m2 legna std
⋅ Infine si riportano alcune precisazioni in merito ai criteri di classificazione adottatati nella norma
UNI 9489 sopra citata:
⋅ le attività considerate sono distinte esclusivamente in “reparti” ed in “depositi”, intendendo per
“deposito” sia i locali interamente e permanentemente destinati a magazzini, sia le zone di quelli
adibiti a “reparto” nelle quali si ha sensibile accumulo, anche temporaneo, di merci e materiali;
⋅ per “reparto” si intende tutto quanto non definibile “deposito”;
⋅ l’attribuzione dell’area protetta o una certa attività ad una determinata classe è effettuata in base
alle caratteristiche di comportamento al fuoco del solo contenuto, prescindendo da quelle del
fabbricato;
⋅ nel caso di elevata combustibilità degli elementi costruttivi potrà essere necessario assumere per
quanto in esame una classificazione superiore alla normale;
⋅ le indicazioni fornite per la classificazione dei reparti fanno riferimento a reparti di pericolosità
corrispondente a quella mediamente riscontrata.
Nei paragrafi precedenti sono state fatte delle considerazioni ed ipotesi per associare il
parametro “velocità di sviluppo di incendio” al tipo di attività in esame; sulla scorta di tali ipotesi sono stati
individuati dei livelli di rischio di attività o aree di esse, ed una corrispondenza tra questi ed una data
classificazione di attività. A questo punto, facendo riferimento ai “livelli di rischio” individuati dalla
norma UNI 10779, alla “classificazione delle attività” determinate dalla norma UNI 9489 ed alla “velocità
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 310
di propagazione di incendio” definita dalla norma UNI 9494, si possono assumere, quale ipotesi finale di
lavoro, le rispondenze indicate nella Tabella 42.
⋅ compartimento a soffitto o al di sotto della copertura ( As): Area compresa tra due cortine a
tenuta di fumo o tra due elementi strutturali similari (per esempio travi) formanti la copertura.
⋅ cortine di contenimento del fumo: Separazioni verticali, pendenti dalla copertura fino ad una
certa altezza dal pavimento, atte ad evitare l'espandersi dei fumi e dei gas caldi in senso
orizzontale all'interno del locale, incombustibili ed aventi adeguata resistenza meccanica.
⋅ evacuatore di fumo e calore (EFC): Apparecchiatura destinata ad assicurare, in caso di
incendio ed a partire da un dato istante, l'evacuazione dei fumi e dei gas caldi con capacità
predeterminata e con funzionamento naturale. L'apparecchiatura è schematizzabile in:
⋅ basamento e suoi organi di fissaggio alla copertura;
⋅ elementi mobili di chiusura;
⋅ dispositivi di apertura.
⋅ incendio allo stato nascente: Stadio dell'incendio caratterizzato dalla temperatura minore di
300 °C del locale o all'interno dello strato di gas combusto.
⋅ incendio in sviluppo avanzato: Stadio dell'incendio caratterizzato dalla temperatura maggiore
di 300 °C, ma minore di quella di "flash-over".
⋅ incendio a pieno sviluppo: Stadio dell'incendio dopo la propagazione esplosiva del fuoco
(flash-over).
⋅ superficie geometrica d'apertura di un evacuatore di fumo e calore (SGA): Superficie
della sezione inferiore dell'evacuatore di fumo e calore.
⋅ superficie utile d'apertura di un evacuatore di fumo e calore (SUA): Superficie
aerodinamicamente efficace dell'evacuatore di fumo e calore ridotta rispetto alla superficie
geometrica d'apertura. Tale valore alla base del calcolo di dimensionamento è dato da:
Su = Sg • CVV
⋅ superficie utile totale d'apertura (sut) degli evacuatori di fumo e calore: Somma delle singole
superfici utili di apertura.
Sut = Σ Su
⋅ zona libera da fumo: Parte inferiore del locale di altezza y in cui, durante l'incendio, non si ha
presenza di fumo e gas di combustione (vedere fig. 1 della norma UNI 9494).
⋅ zona invasa da fumo: Parte superiore del locale in cui durante l'incendio si accumulano il fumo
ed i gas di combustione prima di essere evacuati all'esterno (vedere fig. 1 della norma UNI
9494).
⋅ altezza minima della zona libera da fumi y: L'altezza della zona libera da fumo y deve
corrispondere almeno al valore 0,5 h e non deve essere minore di 2 m. L'area del
compartimento As invaso da fumo non deve essere maggiore di 1.600 m². Il bordo inferiore
della cortina deve corrispondere a quello inferiore dello strato di fumo. Nel caso di cortine con
altezza minore dello strato di fumo e di compartimenti a soffitto con superficie maggiore di
1.600 m², il valore y viene corretto in:
∆h As − 1600
y0 = y +
2 1600
⋅ dove: yc è y corretto
⋅ AS è l'area del compartimento maggiore di 1.600 m²
⋅ ∆h = h (y + hc ) con hc altezza della cortina di contenimento fumo, in metri (vedere Norma
UNI 9494).
⋅ Il valore yc deve comunque essere > 0,5 h. Per superfici di compartimento A maggiori di 3.200
m², nell'equazione sopra riportata deve essere utilizzato A = 3.200 m². Se l'utilizzazione lo
richiede (per esempio oggetti facilmente danneggiabili dal fumo) per y possono essere utilizzati
valori più alti.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 312
dove:
⋅ A S = superficie del compartimento a soffitto privo di cortine, e coincidente con la superficie
totale del locale = 25 x 45 = 1.125 m2
⋅ α=1
pertanto:
1.125 ⋅1
Sut = = 11.25
100
⋅ 7. numero degli EFC da installare: Il numero degli evacuatori richiesti si ottiene dividendo la
superficie Sut sopra calcolata per la superficie utile di apertura (SUA) del modello di evacuatore
che si intende installare; è importante richiamare l’attenzione sulla definizione “superficie utile”
ampiamente descritta in precedenza. Sulla base del numero
S
N = ut
Su
⋅ si dovrà in seguito verificare che siano soddisfatte le condizioni, in numero e posizione poste
specificatamente dalla Norma. A titolo indicativo, in questo caso, si possono installare n. 8
evacuatori con superficie utile di apertura Su = 1,41 m² (oppure n. 10 con Su = 1,13 m²).
⋅ 8. Afflusso Di Aria Fresca: Per garantire l’efficacia aerodinamica al sistema occorre che nella
parte bassa dei locali ci siano aperture per l’immissione di aria aventi superficie non minore di
due volte la superficie geometrica di apertura della totalità degli EFC installati. Pertanto, nel caso
in cui fossero impiegati evacuatori con un coefficiente di flusso Cvv = 0,75, dovremmo garantire
aperture di afflusso aria per una superficie non minore di 30 m2.
Il secondo caso trattato ha come oggetto uno stabilimento industriale dove si costruiscono
macchine ed apparecchiature elettriche; la struttura esaminata è destinata in parte ai reparti produttivi
ed in parte a magazzini per materiali in ingresso e prodotti finiti.
Il fabbricato è costituito essenzialmente da un capannone monopiano, di tipo industriale, con
figura geometrica semplice nelle dimensioni in pianta di 60 m e 96 m, rispettivamente per la larghezza
e la lunghezza.
La copertura di tipo a minished non presenta cortine o elementi strutturali similari di altezza
significativa; l’altezza di riferimento h del locale risulta 6.5 m.
All’interno, mediante pareti tagliafuoco, sono stati creati due compartimenti delle dimensioni di
3.600 m2 e 2.160 m2; il primo è dedicato principalmente ai reparti produttivi e collaudi, il secondo ai
reparti di imballaggio spedizione e magazzini.
Dal punto di vista dell’incendio l’“attività” presenta livelli di rischio differenti a seconda delle
aree:
Reparti produttivi:
Livello 2 con moderata probabilità di innesco e moderati accumuli di materiali combustibili;
Magazzini e reparti di imballaggio:
livello 3 con elevata probabilità di innesco, elevato carico di incendio, accumuli di materiali
elettrici ed elettronici, presenza di materie plastiche varie ed anche di tipo espanso, presenza di olii e
liquidi infiammabili (in quantitativi limitati).
Inoltre ai fini della nostra trattazione si evidenzia:
⋅ la presenza di un idoneo impianto di rivelazione incendi con sistema di comunicazione diretto
ai VV.F;
⋅ la presenza di una squadra interna addestrata, ma limitatamente alle ore lavorative (circa 16 ore
giornaliere);
⋅ un tempo di intervento da parte di squadre esterne non superiore ai 15 min.;
⋅ l’assenza di impianti fissi di estinzione a pioggia (sprinkler).
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 315
⋅ per cui:
∆h 2160 − 1600
y0 = y + = 3.82 m
2 1600
⋅ che corrisponde ad un nuovo valore di altezza da impiegare nel prospetto III, come già citato
per i reparti, uguale a “0,59 h”. Tuttavia, volendo garantire un’altezza minima libera da fumo
non inferiore ai 4 m, per determinare il coefficiente α sarà assunto un valore pari a “0,62 h”.
⋅ 5. coefficiente di dimensionamento: Giunti a questa fase, in base ai gruppi di
dimensionamento Gd ed alle altezze della zona libera da fumo y e yc, vengono individuati
tramite il prospetto III della norma, i coefficienti di dimensionamento:
⋅ compartimento magazzini: Gd = 5 y = 0,63 h α = 1,68
⋅ compartimento reparti: Gd = 4 y = 0,75 h α = 2,1
⋅ 6. calcolo della superficie utile totale : La Sut è determinata attraverso la formula già nota
dove:
Asα
Sut =
100
⋅ A S = superficie del compartimento a soffitto, che corrisponde a 2.160 m2 per i magazzini e 3600
m2 per i reparti;
⋅ pertanto:
2160 − 1.68
⋅ per il compartimento magazzini Sut = = 36.29 m 2
100
3600 − 2.1
⋅ per il compartimento reparti Sut = = 76.5 m 2
100
Visti i risultati ottenuti può risultare interessante esaminare quale influenza possa avere nella
determinazione di α e conseguentemente della superficie totale Sut, fermi restando gli altri fattori, la
realizzazione di compartimenti a soffitto con superficie non maggiore di 1.600 m2 mediante l’impiego
di cortine a tenuta di fumo. Nel caso del compartimento reparti la realizzazione di cortine
comporterebbe le seguenti variazioni (vedi Tabella 45):
⋅ I materiali di rivestimento ed i materiali isolanti saranno posti in opera in aderenza agli elementi
costruttivi di Classe 0 escludendo spazi vuoti o intercapedini;
⋅ I tendaggi saranno di Classe non superiore ad 1 mentre i materassi ed i mobili saranno in Classe
1M;
⋅ Le pavimentazioni saranno di tipo resiliente in Classe 1;
⋅ I corridoi e gli altri locali ove sono posti canali, tubi o scarichi a soffitto saranno controsoffittati
con pannelli smontabili in gesso o fibra minerale.
14.4 COMPARTIMENTAZIONE
Una misura fondamentale per la riduzioni dei rischi di incendio è la compartimentazione
dell’edificio, cioè la delimitazione di parti di edificio detti “compartimenti antincendio” indispensabili per
isolare un incendio ed impedirne la propagazione in altre zone a rischio o con presenza di persone.
La Classe di un compartimento è data dalla resistenza al fuoco delle strutture che lo delimitano,
come indicato nelle tabelle che seguono.
La compartimentazione è stata effettuata cercando di coniugare le esigenze imposte dalle
Norme Tecniche con quelle di funzionalità del comparto in modo da limitare al minimo la fruibilità
degli ambienti e dei servizi ad essi associati.
Si è fatto riferimento all’ipotesi di Norma Tecnica di cui alla Circolare del Ministero dell’Interno
prot. 341/4122 sott. 46 All. 1 del 15/04/200262 in ottemperanza al decreto della Commissione
Europea previsto dalla direttiva 94/34/CE.
Le aree compartimentali sono così definite:
⋅ Aree di tipo A: aree o impianti a rischio specifico e classificate come attività soggette al
controllo dei V.V.F ai sensi del D.M. 16/02/1982 e del D.P.R. 689/59 (impianti di produzione
del calore , gruppi elettrogeni, autorimesse, ecc…);
⋅ Aree di tipo B: aree a rischio specifico accessibile al solo personale dipendente (Aule e
laboratori di ricerca, depositi, , etc..) ubicati nel volume degli edifici destinati, anche in parte, ad
aree di tipo C e D;
⋅ Aree di tipo C: aree destinate a studi dei docenti;
⋅ Aree di tipo D: aree destinate ad unità speciali (laboratori speciali, ….);
⋅ Aree di tipo E: aree destinate ad altri servizi (uffici, scuole e convitti professionali, spazi
per riunioni e convegni, mensa aziendale, spazi per visitatori inclusi bar e limitati spazi
commerciali, ecc…)
La compartimentazione sarà ottenuta utilizzando i seguenti sistemi costruttivi:
⋅ Solai intonacati per la compartimentazione orizzontali;
⋅ Infissi tagliafuoco per le aperture di comunicazione;
⋅ Serrande tagliafuoco ed altri accorgimenti (quali collari tagliafuoco, sigillanti tagliafuoco, ….) per
la compartimentazione in presenza di passaggi impiantistici.
Le comunicazioni con i percorsi di esodo (orizzontali e/o verticali) avvengono tramite filtri a
prova di fumo. I filtri hanno le seguenti caratteristiche:
⋅ Strutture di delimitazione con resistenza al fuoco al fuoco pari ad almeno REI 60 o REI 120
nel copro dell’edificio B di altezza superiore a 24 m;
⋅ Accessi dotati di porte con resistenza al fuoco almeno pari a REI 60 o 120 per l’edificio B
munite di congegno di chiusura automatica in caso di incendio;
⋅ Aerazione ottenuta mediante canna di ventilazione per l’evacuazione dei fumi di tipo Shunt
realizzata con pareti resistenti al fuoco REI 90, della sezione minima pari a 0.10 m².
Il passaggio fra un comparto e quello immediatamente a ridosso è protetto con l’inserimento di
una zona di filtro dotata di canna di ventilazione della sezione minima di 40 x 50 cm² per l’evacuazione
dei fumi.
62 Questa Regola Tecnica per gli ospedali è stata successivamente pubblicata come D.M. Interni nel settembre
2002.
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 323
63 Nelle tavole relative alla compartimentazione si sono utilizzati dei simboli per i componenti di impianto
Fattori I.V.
1.1 Altezza totale dell’edificio 4
1.2 Altezza dei piani di un edificio multipiano 2
2.1 Superficie interna delimitata da muri tagliafuoco, pareti esterne, antincendio... 4
3.1 Materiali presenti nell'edificio 5
3.2 Destinazione dei locali 10
3.3 Uscite di soccorso 0
4.1 Distanza dagli edifici circostanti 1
5.1 Squadra interna soccorso 25
5.2 Impianto Sprinkler 0
5.3 Avvisatore automatico in diretto collegamento con la caserma VV.F. 0
5.4 Guardiania permanente con telefono 0
5.5 Impianto interno di idranti senza guardiania 2
5.6 Impianto esterno di idranti in prossimità dell'edificio 1
5.7 Estintori senza guardiania 1
5.8 Tempo richiesto per l'arrivo dei vigili del fuoco 2
5.9 Difficoltà di accesso interno 0
Indice totale di valutazione 15
Tabella 54: Indici per zona B.
Fattori I.V.
1.1 Altezza totale dell’edificio 4
1.2 Altezza dei piani di un edificio multipiano 2
2.1 Superficie interna delimitata da muri tagliafuoco, pareti esterne, antincendio... 4
3.1 Materiali presenti nell'edificio 5
3.2 Destinazione dei locali 10
3.3 Uscite di soccorso 0
4.1 Distanza dagli edifici circostanti 1
5.1 Squadra interna soccorso 25
5.2 Impianto Sprinkler 0
5.3 Avvisatore automatico in diretto collegamento con la caserma VV.F. 0
5.4 Guardiania permanente con telefono 0
5.5 Impianto interno di idranti senza guardiania 2
5.6 Impianto esterno di idranti in prossimità dell'edificio 1
5.7 Estintori senza guardiania 1
5.8 Tempo richiesto per l'arrivo dei vigili del fuoco 2
5.9 Difficoltà di accesso interno 0
Indice totale di valutazione 15
Tabella 55: Indici per zona C.
Fattori I.V.
1.1 Altezza totale dell’edificio 4
1.2 Altezza dei piani di un edificio multipiano 2
2.1 Superficie interna delimitata da muri tagliafuoco, pareti esterne, antincendio... 4
3.1 Materiali presenti nell'edificio 5
3.2 Destinazione dei locali 10
3.3 Uscite di soccorso 0
4.1 Distanza dagli edifici circostanti 1
5.1 Squadra interna soccorso 25
5.2 Impianto Sprinkler 0
5.3 Avvisatore automatico in diretto collegamento con la caserma VV.F. 0
5.4 Guardiania permanente con telefono 0
5.5 Impianto interno di idranti senza guardiania 2
5.6 Impianto esterno di idranti in prossimità dell'edificio 1
5.7 Estintori senza guardiania 1
5.8 Tempo richiesto per l'arrivo dei vigili del fuoco 2
5.9 Difficoltà di accesso interno 0
Indice totale di valutazione 15
Tabella 56: Indici per zona D
La rete di distribuzione sarà in acciaio zincato e, ove possibile, correrà in controsoffitto nel
corridoio per scendere sotto traccia nelle pareti in corrispondenza delle utenze.
L’adduzione idrica nei singoli locali sarà effettuata mediante tubazioni in rame che si
dirameranno da collettori complanari del tipo Modul contenuti in cassette facilmente ispezionabili.
Ciascun ramo di alimentazione ad utenze idriche sarà munito di saracinesca di intercettazione
facilmente accessibile in cassetta. L’acqua calda sanitaria sarà prodotta mediante bollitori ad accumulo
dotati di scambiatori di calore. La temperatura di accumulo sarà di 60 °C mentre quella distribuita ai
piani avrà temperatura massima di 48 °C.
14.12.4 CABINA MT/BT E GRUPPO ELETTROGENO
Gli impianti elettrici saranno alimentati da una cabina elettrica di trasformazione che verrà
alimentata a sua volta dalla rete a MT dell’ENEL direttamente dall’esterno. Il locale di consegna
dell’ENEL sarà ubicato nella centrale elettrica, al livello più basso dell’edificio, accessibile
esternamente dal lato ENEL. Nella suddetta centrale elettrica (power center) troveranno posto anche:
⋅ Il locale di trasformazione MT/BT contenente le celle di media tensione e i trasformatori;
⋅ Il locale quadro generale di bassa tensione, del tipo Power Center;
⋅ Il locale contenente il gruppo elettrogeno di riserva.
Tutti i suddetti locali saranno accessibili dall’esterno, aerati e dotati di n. 2 estintori di cui 1 a
CO2 da 5 kg ed uno a polvere da 6 kg posto nel locale che ospiterà il gruppo elettrogeno mentre negli
altri locali vi saranno 2 estintori a CO2 da 5 kg.
14.12.5 SOTTOCENTRALE TERMICA
Dalla esistente Centrale Termica saranno derivate le tubazioni di acqua surriscaldata per gli
scambiatori di calore per il riscaldamento, l’alimentazione dei gruppi frigoriferi ad assorbimento e i
bollitori ad accumulo per l’acqua sanitaria. Completano la sottocentrale termica le pompe di
circolazione e gli organi di controllo.
14.12.6 CENTRALE FRIGORIFERA
I gruppi di refrigerazione, tre di cui uno di riserva, saranno alimentati con acqua surriscaldata,
del tipo bistadio, e saranno raffreddati con acqua e torri di raffreddamento.
In prossimità dei gruppi frigoriferi saranno posti due estintori a polvere da 6 kg ciascuno.
Gli idranti UNI 70 saranno posti esternamente all’edificio e collocati in modo il fronte
dell’edificio protetto da ciascun idrante non superi i 60 m.
Essi saranno posti ad una distanza di sicurezza non inferiore a 6 m dal fronte dell’edificio, al fine
di ridurre il rischio di inagibilità di incendio. Appositi cartelli segnalatori ne agevoleranno
l’individuazione a distanza. Saranno seguiti i seguenti criteri:
⋅ La rete degli idranti idrici sarà costituita da un anello collegato con montanti disposti nelle
gabbie scale o delle rampe oppure in posizione perimetrale;
⋅ Il collegamento ad ogni idrante UNI 45 avverrà con tubazione DN 40;
⋅ Il collegamento ad ogni naspo avverrà con tubazione DN 25;
⋅ Il collegamento ad ogni idrante UNI 70 avverrà con tubazione DN 65;
⋅ La custodia degli idranti sarà situata in un punto ben visibile e sarà munita di sportello in vetro
trasparente ed una profondità tale da consentire, a sportello chiuso, di mantenere collegate
manichetta e lancia;
⋅ La tubazione flessibile sarà costituita da un tratto di apposito tubo di lunghezza che consenta di
raggiungere col getto ogni punto dell’area protetta;
⋅ Le tubazioni fisse della rete idranti sarà costituita da tubi in acciaio zincato protetto contro il
gelo per le parti esposte e tale rete sarà indipendente dalle altre reti PN16;
⋅ Le caratteristiche idrauliche dell’impianto ad idranti garantiranno al bocchello della lancia, nelle
condizioni più sfavorevoli di altimetria e distanza, una portata non inferiore a 120 L7m ad una
pressione di almeno 2 bar per gli UNI 45 con idranti in funzione;
⋅ Per gli idranti antincendio si disporrà un gruppo di pompaggio costituito da elettropompe e
motopompa rispondenti alle norme UNI 9480 ed avente caratteristiche tali da ottenere le
portate e prevalenze ai bocchello degli idranti sopra descritte;
⋅ La riserva idrica è già predisposta nei serbatoi di accumulo del Policlinico, appositamente adibiti
per l’uso antincendio ed alimentati dal serbatoio piezometrico.
Esternamente all’edificio, nei punti di più facile accesso dei mezzi di soccorso antincendio,
saranno posizionati gli attacchi per motopompa VV.F.
14.14.2 ESTINTORI
Si prevede l’installazione di estintori portatili da 6 kg aventi capacità estinguente pari a 55°
233BC in ragione di 1 estintore ogni 100 m² di superficie. Il posizionamento sarà segnalato mediante
cartellonistica adeguata posta in punti ben visibili.
14.15 SEGNALETICA ED ISTRUZIONI DI SICUREZZA
Secondo quanto disposto dal D.Lgs n. 493 del 14/08/1993 verrà disposta idonea ed adeguata
segnaletica facilmente individuabile da ogni punto dei comparti, posizionata in basso ed idoneamente
illuminata. Tale segnaletica dovrà indicare:
⋅ Le vie di fuga;
⋅ Le vie di circolazione;
⋅ Le uscite di sicurezza;
⋅ Gli spazi calmi in termini di posizione e di funzione:
⋅ La presenza di mezzi di estinzione mobili e fissi;
⋅ La posizione dei dispositivi di arresto di tutti gli impianti presenti (distribuzione del gas,
dell’energia elettrica, dell’impianto di ventilazione, ….) ed il relativo impianto afferente;
⋅ L’indicazione degli impianti e dei locali a rischio specifico;
⋅ Il divieto di compiere azioni pericolose;
⋅ Il divieto di usare acqua per spegnere gli incendi su apparecchiature elettriche;
⋅ Le informazioni necessarie ed i numeri utili in caso di emergenza;
⋅ L’obbligo dell’uso dei dispositivi di protezione individuale (DPI) previsti per le specifiche
attività;
IMPIANTI TERMOTECNICI – VOL.UME TERZO 337
Il parcheggio interrato è compartimentato in una zona di area pari a 2550 m². Non sarà
concesso il parcheggio di auto alimentate a GPL nei piani interrati e tale divieto sarà segnalato da
appositi cartelli posti in punti ben visibili e con chiara dicitura.
14.17.1 RESISTENZA A FUOCO DELLE STRUTTURE
I vani scala di accesso all’autorimessa saranno separati dagli ambienti destinati al parcamento e
alla manovra delle vetture con pareti tagliafuoco aventi resistenza al fuoco REI 120 e dotate di
congegno di autochiusura. Le altre strutture non separanti dell’autorimessa avranno comunque
resistenza al fuoco almeno pari a REI 90.
14.17.2 AFFOLLAMENTO ED USCITE DI SICUREZZA
La densità di affollamento prevista è di n. 1 persona ogni 20 metri quadrati di superficie lorda
(0.05 pers./m², D.M. 01/02/1986) con i seguenti affollamenti: Livello 166.70 m.s.l.m. , 128 persone
L’accesso e l’uscita dal parcheggio avverrà tramite la prevista viabilità sia a pari quota esterna che
all’interno dell’edificio, lungo il corpo longitudinale del complesso. Sono previste n 4 uscite di
sicurezza organizzate in modo da avere almeno 3 moduli (capacità di deflusso pari a 150 persone del
comparto). L’accesso ad ogni vano scale avverrà mediante filtro a prova di fumo in modo da rendere le
stesse scale un luogo sicuro (dinamico) ai fini delle normative antincendio.
Le uscite di sicurezza saranno distribuite opportunamente ed organizzate in modo da avere una
distanza non superiore a 40 m. Saranno evitate barriere architettoniche (scalini, guide sporgenti dei
portoni, telai, …) sui percorsi di fuga in modo tale da permettere un sicuro raggiungimento dei vani
scala, delle rampe e degli ascensori.
Le pendenze del pavimento dovranno impedire o spandimento dei liquidi verso le uscite e le
rampe e comunque i dislivelli di 3÷4 cm che potranno essere presenti a tale scopo saranno sempre
raccordati opportunamente in modo da non costituire barriera architettonica.
14.17.3 SEGNALAZIONI DI SICUREZZA
E’ prevista l’installazione di cartelloni di sicurezza secondo quanto previsto dalla normativa
vigente ed evidenziata negli elaborati grafici allegati alla presente relazione. In corrispondenza delle
uscite di sicurezza saranno apposti cartelli e segnalazioni luminose che indicheranno anche le vie di
fuga.
In corrispondenza delle rampe di accesso saranno disposti i cartelli di divieto per l’ingresso delle
auto alimentate a GPL. Inoltre saranno apposti nelle zone di accesso i cartelli di divieto di deposito di
sostanze combustibili e/o infiammabile.
14.17.4 IMPIANTO ANTINCENDIO
L’impianto antincendio sarà costituito da una rete di idranti alimentata