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FINESSE

Dr. Claudio Cuccia


Direttore Unità Operativa Complessa di Cardiologia
“Fondazione Poliambulanza” Istituto Ospedaliero
25100 Brescia

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Erano passate da poco le 11 del mattino di lunedì 3 settembre, quando a Vienna, durante
un’affollatissima HOT LINE Session, il silenzio misto all’amarezza spegnevano l’eccitazione per
l’attesa dei risultati dello studio FINESSE.

Perchè?

Perché poco dopo le 11, il FINESSE ha decretato la definitiva scomparsa della cosiddetta strategia
di facilitazione alla PCI: sul campo, questa volta, sono rimasti l’abciximab, sia quando combatteva
da solo, sia nel sodalizio (peraltro sfortunato) con metà dose di reteplase.

Cos’è lo studio FINESSE?

L’acronimo sta per Facilitated INtervention with Enhanced reperfusion Speed to Stop Events, una
parola che anziché ‘fermare gli eventi’ suggella la fine degli studi di confronto tre strategie che si
sono illuse di facilitare la Primary PCI nell’infarto ST sopraslivellato.

Per l’ultima partita del campionato, il FINESSE ha messo in campo le seguenti formazioni:

• abciximab + mezza dose reteplase prima del trasferimento


• abciximab da solo prima del trasferimento
• placebo prima del trasferimento e abciximab in sala

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Figura 1

I ricercatori si sono chiesti se sia giusto fornire le nostre ambulanze o i Pronto Soccorsi degli
Ospedali senza emodinamica interventistica dell’inibitore della GP IIb/IIIa, da solo o in compagnia
del reteplase, un trombolitico la cui somministrazione viene effettuata in due boli successivi.
Lo studio ha un suo razionale, non c’è dubbio, e la ragione sta nel fatto che in Europa come altrove
il ritardo alla PCI primaria è frequente, ribadita nello stesso ‘lunedì nero della facilitazione’, durante
il quale dal registro EUROTRANSFER si è saputo, una volta di più, che soltanto un terzo dei
pazienti riesce a giungere alla PCI entro i fatidici 90’.

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Figura 2

Si sa che la pervietà del vaso responsabile pre-PCI rappresenta un fattore favorente la prognosi del
paziente e si è pensato quindi che l’inibitore della GP IIb/IIIa, capace di favorire la PCI quando
praticato durante l’esame, amplificasse il proprio beneficio se iniziato molto prima, in ambulanza o
nell’ospedale ‘spoke’.

L’arruolamento è stato lungo e faticoso (2002 Æ 2006) e il 30 dicembre 2006, una volta raggiunti
2452 dei 3000 pazienti preventivati, si è detto stop!

Gli end point primari sono riportati nella figura che sintetizza il disegno dello studio; gli end point
principali di sicurezza sono rappresentati dai sanguinamenti maggiori (non intracranici) o minori
avvenuti entro 7 giorni o entro la dimissione dall’ospedale oppure dall’emorragia intracranica
(compresa la trasformazione emorragica) sempre entro 7 giorni o entro la dimissione.

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La popolazione, equamente distribuita tra i tre gruppi, presenta un’età media attorno ai 62 anni, un
quarto dei pazienti è di sesso femminile, più del 60% sono fumatori o ex fumatori, gli ipertesi sono
all’incirca il 50% mentre i diabetici il 16%, quasi il 50% dei pazienti ha un infarto a sede anteriore,
il 10% un pregresso infarto, il 10% una Killip >1 e il 67% sono definiti ad alto rischio (infarto
anteriore, età >70 anni, killip>1 o FC >100).

Le diapositive seguenti illustrano i risultati principali, suddivisi per i 3 gruppi così schematizzati:
PCI = Angioplastica primaria, abc fPCI = abciximab somministrato per facilitare la PCI, ret + abc
fPCI= reteplase ed abciximab per facilitare la PCI.

Figura 3

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Figura 4

Figura 5

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Figura 6

Figura 7

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Figura 8

Figura 9

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Dello studio FINESSE si parlerà molto, e noi stessi lo analizzeremo nei vari dettagli. Per ora, però,
faccio mie le parole del Professor Van de Werf (sperando che non si offenda…), che in aula ha
commentato i risultati dello studio, concludendo in questo modo:

“Lo studio FINESSE non conferma la strategia di facilitazione alla PCI. Questo tipo di facilitazione,
sia che si ricorra al trombolitico a piena dose, sia che si utilizzi l’inibitore della GP IIb/IIIa, da solo
o combinato con metà dose di trombolitico, NON può essere raccomandata. Se rimane valida la
‘open artery hypothesis’, la strategia riperfusiva dovrà essere effettuata con la trombolisi e solo
alcuni pazienti così trattati dovranno poi rapidamente rivolgersi alla PCI: saranno quelli che si
presentano presto (entro 2-3 ore dall’esordio dei sintomi), con un’ampia quota di miocardio vitale,
con un previsto ritardo alla PCI, che siano trattati con una terapia antitrombotica adeguata, nei quali
poi la PCI sia rinviata se ci sarà evidenza di una riperfusione efficace (TIMI 3) dopo la terapia
farmacologia. Questo approccio non dovrà più chiamarsi ‘angioplastica facilitata’ ma ‘strategia
farmaco-invasiva’.”

I nostri punti di primo soccorso, pertanto, non hanno bisogno di farmaci complessi, ma di medici
capaci di riconoscere l’infarto, di eseguire un semplice bolo di trombolitico e di saper stratificare
dinamicamente il rischio del paziente.

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