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Lezione 6

Ripresa del punto sull’ispirazione religiosa discusso


quando il drappello di chitarristi era assente, e passaggi
finali della tesi mazziniana
Ispirazione religiosa, ma di che tipo?
• Il concetto che la musica debba spiritualizzarsi è uno dei concetti cardine della Filosofia della musica
mazziniana; rispetto all’arte individualistica di Rossini, i giovani dovevano guardare ad altri modelli, altri ideali.
Sembrerebbe di poter intuire nella musica tedesca un’alternativa, ma Mazzini cerca sempre, nel suo
ragionamento dialettico, un tertium, una sintesi che corrisponda a qualcosa che ancora non c’è ma ci potrà
essere
• La sua critica della musica tedesca è, infatti, fulminante tanto quanto lo è stata quella della musica italiana: se
nella musica italiana, almeno nelle sue ultime manifestazioni compendiate da Rossini, c’è l’uomo ma non c’è
Dio, nella musica tedesca c’è Dio ma non c’è l’uomo; detto altrimenti, se nell’arte italiana (quella a lui
contemporanea e più «manchevole») era carente se non assente la dimensione sociale e spirituale, tutto
risolvendosi in un’individualità materialistica, in quella tedesca (quella a lui contemporanea e più manchevole)
la comunità normativa c’è eccome, ma all’individuo, che rimane per così dire in attesa, non viene lasciato
spazio di libertà per tradurre il pensiero in azione innovativa e veramente sua (Wagner in uno scritto del 1834,
il suo primo scritto, è della stessa idea: «Noi siamo troppo intellettuali e troppo eruditi per crear delle figure
umane palpitanti»!)
• Abbiamo visto un esempio, tratto dalla Passione secondo Matteo di Bach, dove in effetti il quadro sembrerebbe
corrispondere: in analogia con la dinamica drammaturgica che abbiamo individuato nell’accostamento di «Va’
pensiero» e la profezia di Zaccaria nel Nabucco di Verdi, dove l’io spronava alla speranza e all’azione una
comunità scoraggiata, nell’accostamento tra «Erbarme dich» e il corale che segue in Bach abbiamo un io che è
passivamente rassegnato (soprattutto ove si adotti una tecnica di emissione del suono da canto rinascimentale
e barocco), e la comunità lo rassicura in una salvezza collettiva non per meriti o volontà individuale, ma per
tramite di Dio

Storia e Storiografia II, prof. Alberto Nones, lezione


6, 2019-20, ISSM «Puccini»
Una strada alternativa: Wagner?
• Wagner, quando scriveva Mazzini, aveva 23 anni, come Verdi peraltro, e quindi
non possiamo sapere cosa ne avrebbe pensato l’autore della Filosofia della
musica. Come vedremo, Wagner avrebbe seguito implicitamente/inconsciamente
molti dei principi mazziniani. Tuttavia, Wagner lavorerà in una direzione affatto
peculiare: soppiantare il vecchio misticismo tedesco dell’orizzonte di salvazione
tramite il Dio cristiano, con un nuovo misticismo – perché la sua arte tedesca
evidentemente non poteva fare a meno di una dimensione collettiva e spirituale,
non poteva esaurirsi in un materialismo individualista alla Rossini
• Se prima c’era Dio senza uomo, nella critica mazziniana, ora non c’è più
nemmeno Dio: rimane la vecchia insopprimibile potenza del misticismo,
incarnata da nuovi miti di dei e semidei (abbiamo visto l’esempio della Walküre),
e un individuo che si è scrollato di dosso il peso del cristianesimo e del peccato e
nutre manie di potenza. Si potevano aprire scenari inquietanti (abbiamo visto un
utilizzo in tal senso di quella stessa musica in Apocalypse now)
• Non è questa la strada auspicata da Mazzini

Storia e Storiografia II, prof. Alberto Nones, lezione


6, 2019-20, ISSM «Puccini»
La strada che indica Mazzini
• Le nuove forme e il nuovo spirito che Mazzini addita per il melodramma
nuovo non sono qualcosa di totalmente nuovo: come abbiamo visto, egli si
rifaceva a un ideale di tragedia greca, lo stesso a cui peraltro si rifarà
Wagner con i suoi diversi esiti
• Se Wagner infatti – l’abbiamo visto con riferimento al suo Opera e Dramma –
vuole che il dramma, e non la musica, debba essere lo scopo dell’arte (ciò
che si può leggere anche secondo la formula schlegeliana dell’ «arte per
l’arte», e che metterebbe al riparo, fino a prova contraria, dal suo sfociare
infaustamente in un influsso sulla società…), Mazzini non considera questo
fine sufficiente: il dramma, di per sé, è ancora vuoto, rischia di essere
autoreferenziale per l’io (buono, al limite, in senso catartico)
• Nella filosofia della musica di Mazzini non la musica e neppure il dramma
sono lo scopo dell’arte, ma il pensiero sociale, e il progresso e l’evoluzione e
l’emancipazione umana ad esso collegati

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6, 2019-20, ISSM «Puccini»
• Una nota: Mazzini è pensatore critico, ma non liquida mai il passato
artistico come «sbagliato»; in quanto legato all’uomo nel suo tempo,
ogni frutto artistico è sempre necessariamente legato alla storia e
alla cultura del suo tempo. È per il tempo presente nuovo, e per
quello dei posteri a venire, che Mazzini agogna un’arte diversa, che
si elevi dal mestierantismo pigro e si nutri a quanto di meglio lo
spirito italiano possa offrire: sulle ragioni dell’arte, sul terreno di
coltura della musica, il pensiero può avere effetti
• Così, conclude il suo saggio in maniera aperta e generosa, non con
una lista di cose da non fare, ma con una serie di domande rivolte da
un pensatore ai giovani del suo tempo e dei tempi a venire,
domande che passeremo ora in rassegna vedendo se e quanto
saranno in linea con gli sviluppi a lui (1836) successivi:
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6, 2019-20, ISSM «Puccini»
• 1. «Ogni uomo, ogni personaggio ha tendenze proprie, stile proprio: è un concetto che
tutta una vita sviluppa. Perché non raffigurare quel concetto in una espressione musicale
appartenente a quell’individuo e non ad altri? Perché non valersi dell’istrumentazione a
simboleggiare negli accompagnamenti a ciascuno dei personaggi quel tumulto di affetti,
d’istinti, di tendenze materiali e morali che operano più sovente nell’anima sua?»
• Prefigura qui il Leitmotiv «wagneriano», cioè quel motivo conduttore che compare
ricorrente in una composizione con specifico riferimento a un personaggio (ma anche a
un’idea, un sentimento, perfino un oggetto: sono più di settanta i Leitmotiv nel ciclo
dell’Anello del Nibelungo). Attenzione, anche Verdi fa uso di questa tecnica (soprattutto in
associazione a situazioni psicologiche, si pensi già al Macbeth con il tema del
sonnanbulismo di lady Macbeth che è preannunciato nel preludio e confluisce nel terzo
atto, https://www.youtube.com/watch?v=_odiVg8RrbU, da 2’53’’ e 2h11’00’’ ), ma era
comparsa almeno con Mozart (evidente nel Don Giovanni) e più ancora in Weber (fu
parlando delle opere di Weber che il critico berlinese Friedrich Wilhelm Jähns nel 1871
coniò il termine «Leitmotiv»), insomma in tutta l’opera romantica, ed era direzione
inevitabile nel gioco tra conscio/inconscio e percezione visiva/uditiva in cui procederà la
Settima Arte

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6, 2019-20, ISSM «Puccini»
• 2. «Perché il coro, che nel dramma greco rappresentava l’unità
d’impressione e di giudizio morale, la coscienza dei più raggiante
sull’anima del Poeta, non otterrebbe nel dramma musicale moderno più
ampio sviluppo, e non s’innalzerebbe dalla sfera secondaria passiva che
gli è in oggi assegnata, alla rappresentazione solenne ed intera
dell’elemento popolare?»
• Si noti qui che il coro, che in Wagner ha pure una funzione importante
(penso più al Coro dei pellegrini del Tannhäuser –
https://www.youtube.com/watch?v=xZAYzSyd7ck, 55’ – che al Coro
nuziale dal Lohengrin, e soprattutto al «Wach auf» dai Meistersinger),
assumerà ancora maggiore valenza di personaggio in Verdi, che sembra
farsi carico del seguito della domanda di Mazzini: «Perché il coro,
individualità collettiva, non otterrebbe come il popolo di ch’esso è
interprete nato, vita propria, indipendente, spontanea?»
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• 3. «Perché il recitativo obbligato, un tempo parte principale dell’opera,
ai giorni nostri sì raro, non assumerebbe nelle composizioni future
maggiore importanza, e tutta quella efficacia di cui è capace?»
• Qui Mazzini denuncia la debolezza del recitativo secco, auspicando un
recitativo accompagnato dall’orchestra con forti connotazioni
drammatiche grazie alla possibilità di usare i timbri orchestrali. Si
immagina una forma durchkomponiert, con la cessazione dell’uso
dell’alternanza tra recitativi (specie se secchi) e pezzi chiusi, che fa
perdere il flusso di immedesimazione da parte del pubblico. Qualcosa
di sperimentato già da Gluck e Mozart (ancora Don Giovanni, «Don
Ottavio son morta»,
https://www.youtube.com/watch?v=3yYC7cOQzmw), e ripreso da
Berlioz…

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• 4. «Perché, economizzando su tutto l’inutile, ch’è pur tanto, non ampliare, ove la
ragione storica e l’estetica del concetto che forma l’argomento del dramma il
richieggono, le proporzioni di tempo?»
• Quest’ultima domanda è la più cogente e la più pregna di conseguenze per
l’opera che sarebbe seguita: allude a un’opera in cui il colore storico sia
verosimile, proietti in un mondo con le sue lotte sociali, dia l’idea della possibilità
di una partecipazione al dramma da parte del pubblico, per quanto esso sia
necessariamente (in tempi di censura) una proiezione indietro nel tempo
• La prima opera di Verdi che, attingendo all’opera di un contemporaneo come
Dumas figlio (La dama delle camelie, 1848), ebbe un’ambientazione
contemporanea ai suoi tempi – disattesa per ragioni di prudenza nelle prime
rappresentazioni in Italia – fu La traviata (1853), che oggi per coerenza dovrebbe
avere un’ambientazione almeno tanto contemporanea quanto questa :
https://www.youtube.com/watch?v=7RYsbUcqKSM, da 5’30’’

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6, 2019-20, ISSM «Puccini»
Una provocazione
• Il senso, infatti, in un’opera come Traviata, tutta denuncia sociale, deve essere
almeno tanto forte quanto quello della scena iniziale (la più grande scena di party
mai girata, con chaos, decadenza, ognuno con la sua storia triste) del film del 2014
di Paolo Sorrentino La grande bellezza,
https://www.youtube.com/watch?v=oORva4fYHTw
• Alcune domande vanno aggiunte a questo punto a quelle di Mazzini: può un’opera
musicale (tanto più se di repertorio) avere oggi questo tipo di incisività, l’incisività
di un film creato ex novo?
• Quanto possono la regia e la direzione musicale, ossia quanto può
l’interpretazione?
• È questo – l’incisività sociale – l’obiettivo a cui deve mirare il teatro d’opera oggi, o
il fine è, oggi più di ieri, «solo» la buona musica (con per mezzo, come lamentava
Mazzini, il dramma)?
• Mazzini naturalmente stava rivolgendosi ai creatori dell’opera d’arte, non ai ri-
creatori: ma c’è tutta questa differenza? Qual è l’essenza dell’essere artisti?
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Tornando a Lualdi
• Ricordate come, nella sua Introduzione, Lualdi scrivesse nel
1942, anno di guerra in cui sentiva risuonare – retoricamente o
sinceramente? – il monito mazziniano come se fosse presente,
diretto alle generazioni viventi allora
• «Siamo alla veglia dell’armi», scriveva Mazzini nel 1836, e
Lualdi lo sentiva come rivolto al suo tempo, che egli dichiarava
non più di vigilia, ma di messa alla prova – con tutti i problemi
di schieramento del caso, che non sta a noi discutere qui. Da
discutere rimane la valenza, eventuale, di un briciolo di
contemporaneità nella filosofia della musica di Mazzini, pur
nella sua prosa che ci risuona così aliena, così remota dal
nostro giorno di musicisti del 2020
Storia e Storiografia II, prof. Alberto Nones, lezione
6, 2019-20, ISSM «Puccini»
Prima di passare, nella prossima lezione, all’esame di
un’opera che incarna molti aspetti di Mazzini,
concludiamo con un’ultima concatenazione di citazioni da
La filosofia della musica: deliranti, o «deliranti» solo
perché misticheggianti nel nostro cinismo imperante?

• «L’arte che trattate è santa e voi dovete essere santi


com’essa, se volete esserne sacerdoti. L’arte che vi è
affidata è strettamente connessa col moto della civiltà e
può esserne l’alito, l’anima, il profumo sacro, se traete
le ispirazioni dalle ricerche della civiltà progressiva, non
da canoni arbitrari, stranieri alla legge che regola tutte
le cose. La musica è un’armonia del creato, un’eco del
mondo invisibile, una nota dell’accordo divino che
l’intero universo è chiamato ad esprimere un giorno…»

Storia e Storiografia II, prof. Alberto Nones, lezione


6, 2019-20, ISSM «Puccini»
1. Apertura; 2. Unione; 3.
Comunione
• «S’accostino i giovani artisti alle opere dei grandi in musica, dei
grandi, non d’un paese, d’una scuola, o d’un tempo, ma di tutti i
paesi, di tutte le scuole, e di tutti i tempi: non per anatomizzarli e
disseccarli colle fredde e vecchie dottrine di professori di musica, ma
per accogliere in sé stessi lo spirito creatore e unitario che move da
quei lavori; non per imitarli grettamente e servilmente, ma per
emularli da liberi, e connettere al loro un nuovo lavoro»
• «Santifichino l’anima loro coll’entusiasmo, col soffio di quella poesia
eterna che il materialismo ha velata, non esiliata dalla nostra terra,
adorino l’Arte, siccome cosa santa e vincolo tra gli uomini e il cielo.
Adorino l’Arte prefiggendole un alto intento sociale, ponendola a
sacerdote di morale rigenerazione e serbandola nei loro petti e nella
loro vita, candida, pura»
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6, 2019-20, ISSM «Puccini»
Un’ultima domanda che ci rivolge
Mazzini

«E perché vorrete rimanervi accozzatori di note, trovatori


d’un giorno, o peggio, quando sta in voi consacrarvi sulla
terra a tal ministero che gli angioli soli, nella credenza dei
popoli, esercitano su nel cielo?»

Storia e Storiografia II, prof. Alberto Nones, lezione


6, 2019-20, ISSM «Puccini»

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