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Corso di Laurea: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE (D.M.

270/04)
Insegnamento: DISCIPLINE DEMOETNOANTROPOLOGICHE
Lezione n°: 9
Titolo: Guardare in modo olistico
Attività n°: 1

Facoltà di Psicologia

Guardare in modo olistico


Questo breve elenco dovrebbe, nella sua sinteticità, aver fatto almeno capire cosa s’intende per
riduzionismo e per concezioni riduzionistiche della cultura. Senza dimenticare che sono stati gli
stessi antropologi ad aver incoraggiato od ostacolato queste concezioni nel corso delle loro
ricerche. La risposta dell’antropologia contemporanea, nel dibattito sempre aperto sui metodi e
sugli scopi dell’antropologia culturale, tende a stigmatizzare le precedenti come ricerche
preconcette perché partono da una tesi cercando di schiacciare i propri dati su quest’ultima
anziché l’inverso, cioè partire dai dati “crudi” per elaborare un’ipotesi sul modo di vedere il
mondo. Solo così, dicono gli antropologi che la pensano diversamente, si può fare
dell’antropologia una scienza.
Le spiegazioni che partono da questo secondo punto di vista globale sul ruolo della cultura e sulla
concezione della realtà che ne deriva si oppongono radicalmente alle precedenti spiegazione
riduzionistiche e prendono il nome di spiegazioni olistiche.
Abbiamo già definito l’olismo come ciò che riguarda il “tutto intero” (dall’etimologia della parola
greca) ovvero ogni approccio che considera le spiegazioni precedenti sulla percezione che l’uomo
ha della propria posizione nel reale come parziali o, in un certo

© 2007 Università degli studi e-Campus - Via Isimbardi 10 - 22060 Novedrate (CO) - C.F. 08549051004
Tel: 031/7942500-7942505 Fax: 031/7942501 - info@uniecampus.it
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Insegnamento: DISCIPLINE DEMOETNOANTROPOLOGICHE
Lezione n°: 9
Titolo: Guardare in modo olistico
Attività n°: 1

Facoltà di Psicologia

senso, eccessivamente generalizzate. Anziché “ridurla” i portatori del punto di vista olistico
cercano di enfatizzare la complessità della cultura sottolineando la complessità dell’essere
umano e dei suoi modi di vedere il proprio ruolo nel mondo, considerando la globalità del suo
vivere contemporaneamente la cultura e nella cultura, senza tralasciare gli aspetti anche
distruttivi dell’immagine che esso ha di sé.
Con tutto ciò le spiegazioni olistiche affermano che anche le spiegazioni dualistiche della natura
sono un portato culturale e, in quanto tali, non fanno che spostare l’oggetto della ricerca
antropologica dalle cause agli effetti della stessa. In altre parole, non esistono confini netti che
separino corpo e spirito, organismo e ambiente, individui e società, ecc. L’essere umano è troppo
complesso e troppo multiforme, come mostra una rapida occhiata agli innumerevoli aspetti dalla
sua esistenza e della sua percezione di sé. Ma soprattutto esistono tante culture ed ognuno
cerca delle proprie risposte indipendentemente dal fatto che l’antropologia sia nata in una di
quelle culture e si interroghi solo sugli aspetti che “culturalmente” le offrono una chiave
interpretativa della realtà umana. Insomma, bando al riduzionismo insito nell’opporre le due
“nature” diverse dell’essere umano, la visione olistica adotta sulla condizione umana la
prospettiva secondo la quale mente e corpo, organismo e ambiente, individui e società, innato e
appreso, si influenzano l’uno con l’altro senza soluzione di continuità.

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Insegnamento: DISCIPLINE DEMOETNOANTROPOLOGICHE
Lezione n°: 9/S1
Titolo: Contesto e interpretazione.
Attività n°: 1

Facoltà di Psicologia

Contesto e interpretazione
“L’insieme è superiore alla somma delle sue parti”. Non si può distinguere, nell’essere umano, ciò
che è innato da ciò che è appreso: geni e cultura si integrano a vicenda producendo qualcosa di
completamente nuovo. Siamo tornati alla definizione di essere umano in quanto organismo
bioculturale, con in più l’affermazione che dividere biologia e cultura è impossibile per chi pensa
l’essere umano in modo olistico. La vita in comunità e l’influenza di un individuo sull’altro
sarebbero alla base di questa fusione. A questo si riferiva precisamente l’antropologo americano
Clifford Geertz quando diceva che allevare degli esseri umani in isolamento non produce né delle
scimmie né degli uomini più “naturali” come credevano gli Illuministi influenzati dalle idee di
Rousseau: il risultato sarebbero dei “casi disperati”. A questo proposito, chi di voi ha tempo per
farlo, si può guardare il film Il ragazzo selvaggio diretto da François Truffaut (per una rapida
scheda filmografica vedi http://www.imdb.com/title/tt0064285/).
L’approccio olistico, che tende a mediare anziché enfatizzare gli opposti riduzionistici nello studio
della condizione dell’essere umano, che considera quest’ultimo come sistema aperto e la
condeterminazione delle parti che lo compongono come la strategia migliore per indagarne la
natura, si può altresì definire dialettico, nel senso più tipico che il termine

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Insegnamento: DISCIPLINE DEMOETNOANTROPOLOGICHE
Lezione n°: 9/S1
Titolo: Contesto e interpretazione.
Attività n°: 1

Facoltà di Psicologia

assume nella tradizione filosofica occidentale.


Concentriamoci adesso sull’ambiguità dell’esperienza culturale. A questo proposito l’esperienza del
difficile rapporto iniziale tra corpo di pace in Botswana e gli indigeni Tswana spiegato dalle
osservazioni dell’antropologo Alverson con la differente interpretazione data dagli Tswana ai
momenti di relax “solitario” che i soldati americani si prendevano per fumarsi una sigaretta,
laddove l’isolamento anche momentaneo è proprio solo dei pazzi e delle streghe per gli Tswana,
esemplifica la nozione di differenza culturale. Da questo punto di vista, si può tornare a valorizzare
l’interpretazione semiotica della cultura, secondo cui quest’ultima ha alla base atti comunicativi tra
organismi che usano segni codificati in un certo modo all’interno della propria comunità. Se per
interpretare un segno correttamente colui che riceve il messaggio, sia esso vocale, scritto, gestuale,
ecc. ha bisogno di collocare il segno in un contesto (così in italiano la parola “specie” da sola non
basta a far capire se si tratta di una o più “specie”, a differenza della parola “tavoli”, ma occorre
specificare altre parole che ne costituiscono il contesto, -ad esempio “la specie” o “queste specie”-
che permette di risolvere l’ambiguità), così ogni atto culturale va contestualizzato all’interno del
sistema di significati codificato da una certa cultura per comprenderne il valore. Ma c’è di più. La
contestualizzazione vale anche all’interno di una stessa cultura, come dimostra l’esempio famoso,
citato ancora da Clifford Geertz, per cui si pensa che uno/a sconosciuto/a ci faccia un occhiolino e ci
imbarazziamo, attribuendo al gesto un significato preciso, prima di accorgerci che si tratta in realtà
di un tic nervoso...
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Titolo: Contesto e interpretazione.
Attività n°: 1

Facoltà di Psicologia

La prospettiva etnocentrica
Ma interpretare un segno non è sempre possibile in modo così immediato, dato che ai
codici che ne legano forma e contenuto spesso stanno dietro contesti non immediatamente
percepibili perché legati ad informazioni stratificate nella cultura. Queste ultime risultano
immediate e “naturali” per chi di una data comunità fa parte, ma impossibili da decifrare
per chi vi si “cala” dall’esterno. Si pensi al possibile riferimento, all’interno di un discorso, ad
una persona/personaggio particolare, nota all’interno della comunità culturale perché
legata magari ad una storia, ad un racconto condiviso, insomma ad un messaggio
sufficientemente mediatizzato. Ad esempio Peter Pan, o Quasimodo il gobbo di Notre
Dame, o, perché no, la Pimpa, Lupo Alberto, Homer Simpson, ecc. sono nomi che non
dicono niente ad un Trobriandese che ascolta una conversazione tra adolescenti alla
fermata di uno scuolabus in Italia: si parla a questo proposito di tradizioni culturali.
Non sempre, come si vede dall’esempio precedente, le tradizioni culturali sono antiche o
vengono insegnate dalle nonne ai nipotini: si tratta solo di diffusione all’interno di una
cultura e della velocità con cui essa avviene (nella società dei mezzi di comunicazione di
massa e della globalizzazione tale diffusione sarà molto più veloce che non in una comunità
che conosce solo strumenti di comunicazione orale).

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Insegnamento: DISCIPLINE DEMOETNOANTROPOLOGICHE
Lezione n°: 9/S1
Titolo: Contesto e interpretazione.
Attività n°: 1

Facoltà di Psicologia

La difficoltà con cui le comunità umane si integrano l’una con l’altra dipendono, si sarà capito, dal
fatto che tali comunità possano o meno avere tradizioni culturali diverse e possano essere più o
meno permeabili all’accettazione dell’altro (cfr. il termine Lat. alius ‘altro’ nel senso di diverso, o i
significati che assume in italiano l’aggettivo ad esso collegato “alieno”). In altre parole, comunità
diverse culturalmente possono più o meno essere convinte che le differenze tra “noi” e “loro”
corrispondono ad una scala riduzionistica di valori del tipo buono vs. cattivo.
Il riduzionismo, insomma, può essere semplicemente un modo rapido di interpretare una realtà
culturale diversa dalla propria per timore che le proprie certezze, il proprio “sistema di valori”
possa in qualche modo venir messo in discussione rendendo difficile la conservazione della
comunità.
Il ragionamento che porta un occidentale a considerare una comunità che conosce solo forme di
comunicazione orale, quindi poco o niente tecnologicizzata, meno “evoluta” della propria è lo
stesso che portava i crociati cristiani a considerare “infedeli” gli islamici di cui invadevano il
territorio. Alla base di ogni atteggiamento di questo tipo, che porta a giudicare il proprio modo di
vita come quello “corretto” o addirittura “normale”, sta quella che gli antropologi culturali
definiscono prospettiva etnocentrica, o semplicemente etnocentrismo. Quest’ultimo consiste
fondamentalmente nel ridurre l’altro modo di vita a versione degenerata o deformata di quello
adottato dalla propria comunità culturale.

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Titolo: Contesto e interpretazione.
Attività n°: 1

Facoltà di Psicologia

I rischi inerenti in questo atteggiamento sono evidenti: se entrambe le comunità ritengono


che solo “convertire” l’altra alle proprie coordinate culturali sia la soluzione possibile in
funzione del mantenimento del (proprio) equilibrio e della propria visione del mondo, si può
arrivare a conseguenze gravi come il cosiddetto dualismo aggressivo che può implicare lo
scontro diretto o addirittura il genocidio. Spesso gli organismi politici a capo degli stati
sfruttano e, addirittura, incoraggiano proprio le tendenze etnocentriche di una comunità per
affermare, dietro l’apparente volontà di conservarne “ l’identità” o la “nazione”, i meri
interessi personali (congiuntamente di tipo economico e per la conservazione del potere).

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Lezione n°: 9/S2
Titolo: La prospettiva etnocentrica
Attività n°: 1

Facoltà di Psicologia

Approfondimento: la persona
sociale 4
La persona sociale è data dalla somma di questi status. Ogni status si porta con sé delle
aspettative sociali che lo caratterizzano, che contribuiscono al suo mantenimento nel
tempo. Ad esempio, in una società tradizionale dove la parentela abbia un'importanza
fondamentale per l'organizzazione della società, lo status di nipote può essere anche più
forte di quello di capotribù.
Come abbiamo visto si distinguono due tipologie di status, quelli ascritti e quelli acquisiti. I
primi sono quelli che non dipendono da noi (tipicamente quelli legati alla parentela
biologica, come nipote, figlio, zio, ecc.), i secondi quelli acquisiti dall'agente. La differenza
sembra semplice, eppure, come sempre, nella realtà del dato antropologico le cose sono
molto più sfumate. Interessante notare a questo proposito una differenza illuminante. Nelle
società occidentali la professione è tipicamente uno stato acquisito (si pensi solo al
curriculum di studi che si sceglie di seguire), ma in moltissime società tradizionali si tratta di
uno status ascritto.

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Lezione n°: 9/S2
Titolo: La prospettiva etnocentrica
Attività n°: 1

Facoltà di Psicologia

• Un concetto molto vicino a quello di stato è il ruolo, tanto che spesso le due parole
sono usate come sinonimi. In antropologia, nondimeno, il ruolo è generalmente definito
(Linton 1936) come l'aspetto dinamico dello status, cioè il comportamento effettivo di una
persona all'interno dei limiti imposti dallo status. In una società occidentale quello di tassista
può essere tipicamente una status; il ruolo di tassista sarà definito da ciò che effettivamente
quel tassista fa nel suo quotidiano. Il fatto di possedere uno status sociale determina le azioni
di un individuo. Non ci si aspetta da un prete cattolico di tirar tardi la notte in locali notturni.
Allo stesso modo uno sciamano Inuit non dovrà rifiutarsi di stabilire un contatto con un dio in
una particolare situazione, ad esempio quando aiuta un malato a guarire; una moglie nelle
Isole Trobriand dovrà essere monogama; un politico in una società occidentale non dovrà
utilizzare fondi pubblici per interessi personali, e via dicendo. Rompere una di queste regole
ed aspettative porta altri membri della società a reagire imponendo sanzioni sociali più o
meno severe.

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Attività n°: 1

Facoltà di Psicologia

I rischi inerenti in questo atteggiamento sono evidenti: se entrambe le comunità ritengono


che solo “convertire” l’altra alle proprie coordinate culturali sia la soluzione possibile in
funzione del mantenimento del (proprio) equilibrio e della propria visione del mondo, si può
arrivare a conseguenze gravi come il cosiddetto dualismo aggressivo che può implicare lo
scontro diretto o addirittura il genocidio. Spesso gli organismi politici a capo degli stati
sfruttano e, addirittura, incoraggiano proprio le tendenze etnocentriche di una comunità per
affermare, dietro l’apparente volontà di conservarne “ l’identità” o la “nazione”, i meri
interessi personali (congiuntamente di tipo economico e per la conservazione del potere).

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