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Lezione 7

La tesi mazziniana a confronto con una


realizzazione musicale, parte 1/4
La strada generale che ha indicato Mazzini


1. L’opera (genere principe della musica) deve avere per fine non solo
la musica, e nemmeno solo il dramma, ma il progresso e
l’emancipazione umana, ossia un alto intento sociale

2. L’artista deve essere guidato da un’ispirazione religiosa, sia nel
senso di un’attitudine religiosa da artisti consci di una propria
missione nel mondo, sia nel senso di un’ispirazione che
effettivamente non prescinda dalla dimensione religiosa

Storia e Storiografia II, prof. Alberto


Proposte più minute

1. TEMA CONDUTTORE «Ogni uomo, ogni personaggio ha tendenze
proprie, stile proprio: è un concetto che tutta una vita sviluppa.
Perché non raffigurare quel concetto in una espressione musicale
appartenente a quell’individuo e non ad altri? Perché non valersi
dell’istrumentazione a simboleggiare negli accompagnamenti a
ciascuno dei personaggi quel tumulto di affetti, d’istinti, di tendenze
materiali e morali che operano più sovente nell’anima sua?»

2. CORO «Perché il coro, che nel dramma greco rappresentava l’unità
d’impressione e di giudizio morale, la coscienza dei più raggiante
sull’anima del Poeta, non otterrebbe nel dramma musicale moderno
più ampio sviluppo, e non s’innalzerebbe dalla sfera secondaria
passiva che gli è in oggi assegnata, alla rappresentazione solenne ed
intera dell’elemento popolare?»
Storia e Storiografia II, prof. Alberto

● 3. RECITATIVO OBBLIGATO «Perché il recitativo obbligato, un tempo
parte principale dell’opera, ai giorni nostri sì raro, non assumerebbe
nelle composizioni future maggiore importanza, e tutta quella efficacia
di cui è capace?»
4. TEMPO STORICO 4. «Perché, economizzando su tutto l’inutile, ch’è
pur tanto, non ampliare, ove la ragione storica e l’estetica del concetto
che forma l’argomento del dramma il richieggono, le proporzioni di
tempo?»
Un esempio musicale

Solitamente viene in mente Nabucco, e decisamente a proposito. Noi
peraltro ne abbiamo già parlato. Ma Verdi frequentava in quegli anni il
salotto di Clarina Maffei, la quale era così fervente patriota dallo
sbarrare la porta agli ufficiali austriaci e ai loro simpatizzanti

Ora introduciamo un esempio meno noto, e successivo a quei primi
anni ’40 dove le antenne di pubblico e artisti potevano assai
naturalmente essere sintonizzate sulle esigenze espresse dal saggio di
Mazzini

Un esempio meno noto, successivo, ma incorporante ancora molti dei
fermenti mazziniani

Si tratta naturalmente di un’opera, perché per Mazzini è al teatro
musicale che si rivolge, quale forma di maggiore coinvolgimento delle
masse di pubblico ai suoi tempi. Si tratta di un’opera che, chi come voi
Verdi, La battaglia di Legnano, 1849


La esamino, insieme a tutte le altre opere di Verdi in rapporto ai temi
della filosofia politica, in un mio libro del 2013, segnatamente in un
capitolo della Parte I (1839-1861, «Verso l’unità») intitolato
significativamente «La morte per la patria». Da qui attingerò

Titolo significativo perché dà subito il segno di come il discorso che
abbiamo visto in Mazzini, ossia un’opera d’arte dall’alto intento
sociale, qui miri al bersaglio più alto, e più scomodo: il sacrificio della
propria vita, per dare un contributo all’ottenimento di quell’obiettivo,
sia esso l’unificazione della patria o la difesa della patria

È in questa conseguenza estrema del ragionamento mazziniano che si
colloca l’opera di Verdi che andremo ad analizzare
Storia e Storiografia II, prof. Alberto

Verdi fa sua, già per l’impianto, la proposta n. 4 di Mazzini: il tempo
storico, qui, non è più quello fantasticheggiante di masnadieri e
corsari (come nelle opere immediatamente precedenti, ci tornerò
nella lezione successiva), ma un decisivo momento di battaglia per la
libertà – e per estensione l’indipendenza – da un oppressore straniero

La vicenda si riferisce infatti alla vittoria, presso Legnano, della lega
dei Comuni italiani contro Federico Barbarossa e i suoi alleati (tra cui
gli «infami» comaschi); ma fu scritta a immediato ridosso di eventi
cruciali nelle Guerre d’indipendenza per l’unificazione italiana,
andando in scena in quella Roma che sarebbe diventata di lì a poco (e
per poco), Repubblica Romana (9 febbraio – 4 luglio 1849, con
triumviri Aurelio Saffi, Carlo Armellini, e Giuseppe Mazzini: suffragio

Il procedimento adottato è quello comune a tutti gli artisti, delle varie
arti (anche figurative), che seguono il cosiddetto «canone
risorgimentale» (Alberto Banti): l’idea era di compenetrare in una
grande opera d’arte seria, da una parte una tragedia di personaggi
(cioè la dimensione individuale con vicende d’amore personalissime),
e dall’altra l’affresco di popolo (cioè la dimensione pubblica, con i
portati collettivi delle scelte individuali): in questo modo, presentando
una vicenda con cui chiunque potesse immedesimarsi, sarebbe stata
possibile l’immedesimazione anche con questioni altissime, e di minor
vicinanza con l’uomo qualunque, come quelle della patria
Una summa della «filosofia politica» verdiana

Tale è la costruzione edificata in ogni aspetto de La battaglia di
Legnano, secondo il canone risorgimentale visto, ma acquista la
caratura di una summa per la compresenza di tutte le possibili
posizioni nella loro complessità:

- da un lato, v’è la vicenda bellica di difesa della patria, talmente
importante da poter richiedere il prezzo della vita, ma è posto a
contrasto con le ragioni dell’amore (non ci si ama più, da morti – o sì?)
e con le ragioni di una madre (Lida teme ad esempio che i suoi figli,
nella battaglia, perdano il padre)

- dall’altro lato, per l’appunto, v’è la vicenda d’amore tra Lida e
Rolando, suo marito, e Arrigo, l’uomo da lei precedentemente amato
e creduto morto (per questo ha sposato Rolando): Arrigo è tutt’altro
che morto, e torna a Milano in occasione della battaglia che si sta
preparando contro il Barbarossa. I due uomini, a complicare le cose,
I, Dati dell’opera

La battaglia di Legnano, tragedia lirica in quattro parti su libretto di
Salvadore Cammarano, che utilizza e riadatta un dramma (con
triangolo amoroso) del francese Joseph Méry del 1828, La bataille de
Toulouse, su cui Cammarano e Verdi innestano l’elemento politico
italiano

Prima rappresentazione: Roma, Teatro Argentina, 27 gennaio 1849,
con Verdi «maestro al cembalo» nelle prime tre recite (dopo Il
corsaro, insuccesso anche per via dell’aver delegato, Verdi torna ad
occuparsi in prima persona della messa in scena)

Personaggi principali: Federico Barbarossa (basso), primo Console di
Milano (basso), secondo Console di Milano (basso), il podestà di
Como (basso), Rolando, duce milanese (baritono), Lida sua moglie
(soprano), Arrigo guerriero veronese (tenore)…, cori: Cavalieri della
Morte, magistrati e duci comaschi, popolo milanese, senatori di
II, Dati storici della vicenda

Come era successo già con I Lombardi alla prima Crociata (dove però
l’azione si spostava poi in un’orientaleggiante Gerusalemme), Verdi
ambienta questa vicenda nella sua Milano

Il riferimento è alla epocale battaglia di Legnano del 29 maggio 1176,
quando, nelle vicinanze di Legnano, a nord-ovest di Milano, avvenne
uno scontro decisivo tra gli uomini della Lega lombarda, che
reclamavano diritti, e le truppe di Federico I Barbarossa, l’imperatore
presente alla battaglia (uscito egli stesso disarcionato e malconcio).
Per conseguenza della vittoria, con la Pace di Costanza ai comuni
italiani verrà concessa l’autonomia, e il Barbarossa sposterà le sue
mire altrove (est Europa)

Un riferimento come questo ha quindi significato storico-simbolico
formidabile in tempi in cui si andava preparando la guerra
d’indipendenza dell’Italia dai dominatori stranieri
III, Dati storici coevi alla composizione e
messa in scena
A seguire, reagisce il nord. Carlo Alberto di Savoia concede lo Statuto,
che prevede Camera dei Deputati eletta. Venezia è particolarmente
calda: il 17 marzo si raduna una manifestazione per imporre la
liberazione dei prigionieri politici, tra cui Daniele Manin, che diverrà
capo della lotta contro gli Austriaci e guida della Repubblica Veneta. A
Milano la miccia esplode il 18 marzo, dando vita alle famose 5
giornate: il popolo (popolani + borghesi) mette sotto assedio il palazzo
del governo (austriaco). Gli austriaci, sotto il comando di Radetzky, si
ritirano nel quadrilatero delimitato dalle fortezze di Mantova,
Peschiera, Verona, Legnago.
III, Dati storici coevi alla composizione e
messa in scena

La pressione di quegli anni era ormai prossima ad esplodere, sull’onda
dei moti parigini. Primo sbotto in Sicilia, dove il 12 gennaio 1848 un
piccolo gruppo di giovani democratici (siamo nella fase «mazziniana»
dei moti) attacca le truppe borboniche e risulta vittorioso. Su questa
insperata vittoria il resto d’Italia prende coraggio. Seconda ribellione
ancora al sud, Napoli: Ferdinando II per fronteggiare la rivolta chiede
l’intervento degli Austriaci, ma papa Pio IX non li lascia passare
attraverso il suo territorio, e per questo Ferdinando dovrà concedere i
diritti sanciti dalla Costituzione del Regno delle Due Sicilie (29 gennaio
1848)

III, Dati storici coevi alla composizione e
messa in scena
Tutto è maturo perché, il 23 marzo, il Regno di Sardegna dichiari
guerra all’Austria (che inizialmente si perda, conta poco). È nel
subbuglio di questi eventi che Verdi scrive l’opera, andata in scena
poco prima della costituzione della nuova Repubblica romana (che
capitolerà dopo un lungo assedio francese, in cui verrà ferito a morte
Goffredo Mameli, e con Mazzini che si rifiuterà di arrendersi durante
un mese di bombardamenti: alla fine tratta l’uscita dalla città di
Garibaldi con i suoi volontari, e ritorna prima in carcere, poi
nuovamente esule)
Esamineremo oggi il I atto. La versione è quella di Lamberto
Gardelli, con Carreras e Manuguerra, la Ricciarelli e
un’orchestra e un coro di «Austri»

Sinfonia di apertura: non inizia con toni peroranti come altre opere
incentrate invece sui personaggi, ma in mf, su tema militaresco nel
suono degli ottoni, montando da lontano

Storia e Storiografia II, prof. Alberto


Esamineremo oggi il I atto. La versione è quella di Lamberto
Gardelli, con Carreras e Manuguerra, la Ricciarelli e

E, primo ad entrare in scena dopo la Sinfonia, è il CORO (proposta n. 2
di Mazzini!). Un coro d’introduzione che comincia in pp, con un lento,
graduale crescendo che prende forma con l’affluire di centurie sulla
scena. Quando attacca il coro, lo fa, si badi bene, a cappella, e
attenzione, è un coro di voci maschili e, poi, anche femminili: un
effetto che ricorda simile scena nel Corsaro, ma qui con significati
invertiti, non canto di libertà come puro godimento e assenza di limiti,
ma canto solenne di una libertà da raggiungere, libertà come nuova
legge. Davvero significativo che sia assente l’orchestra: Verdi non vuol
offrire musica a un uditorio di teatro, bensì, straniando il pubblico dal
teatro, si rivolge al popolo di una nazione che si sta realmente
formando fuori dal teatro; al contempo, attraverso quel coro a
cappella, il pubblico è chiamato a non rimanere spettatore, una volta
che dal teatro sarà uscito
Esamineremo oggi il I atto. La versione è quella di Lamberto
Gardelli, con Carreras e Manuguerra, la Ricciarelli e


Le parole: «Viva Italia! Sacro un patto tutti stringe i figli suoi: esso alfin
di tanti ha fatto un sol popolo d’eroi!». A siglare il patto è la Lega
lombarda, entro cui si sono unite fazione prima divise, pronta
all’eroismo – «forte ed una colla spada e col pensier» – per
fronteggiare il «feroce Barbarossa»

e Storiografia II, prof. Alberto Nones,



Non è un’astrazione, il popolo di quest’opera: è un popolo in cui ogni
individuo, democraticamente ossia mazzinianamente, può contare
come eroe. E infatti l’elemento che viene introdotto immediatamente
dopo il coro – personaggio principale che è il popolo nelle sue varie
forme – è l’eroe. Attenzione: è un recitativo obbligato, proposta n. 3 di
Mazzini! Arrigo è l’eroe che possiamo essere tutti. Già da libretto, non
viene qualificato col suo titolo nobiliare. È semplicemente «eroe
veronese»

Arrigo, canta l’amore, non per una donna: il tu a cui si rivolge, è
Milano, «la prima delle città Lombarde, o Milan valorosa». E però
l’ambiguità è latente: scopriamo presto dal suo canto che nel suo
cuore si accende anche amore per una donna, che sarà fonte della
contaminazione tra Storia e storia
Tutti / uno (/ Dio)

A seguire («Scena e Romanza», n. 7) avviene qualcosa di assai
interessante: si ode tornare un tema – proposta n. 1 di Mazzini? – che
sigla l’entrata in campo dell’esercito costituitosi, e in quel medesimo
momento il ritrovarsi di due amici

Arrigo incontra infatti Rolando, il quale è incredulo avendolo creduto
morto e gli confessa che per lui «lagrime sparsi» che nemmeno il
matrimonio (non sappiamo ancora con chi…) e la nascita di un figlio
valsero a mitigare: questi sono eroi umani, fragili (in quanto amici,
padri, mariti), non mercenari, e sono eroi solo perché la patria
nell’estremo pericolo glielo richiede. Si riabbracciano su un esultante
si bemolle maggiore, e da lì si innesca un imbeccare, psicologicamente
assai interessante, tra i due eroi e il popolo, teso a una dinamica di
immedesimazione tra popolo ed eroi, tra pubblico e patrioti, su cui a
un certo punto si aggiunge l’orchestra
Tutti / uno (/ Dio)

Quindi, ancora a cappella, giurano la solenne difesa di Milano «col
sangue nostro» contro l’ «Austro» - possiamo immaginare l’esultanza
tra il pubblico all’evocazione del nemico attuale. La presenza religiosa,
su cui torneremo nella prossima lezione, è fortissima. Sia per la natura
stessa del coro a cappella, sia per il contenuto di tale canto: «Il cielo è
con noi! Fra l’Itale schiere, / Dai barbari offeso, Iddio pugnerà!»

Storia e Storiografia II, prof. Alberto


Tutto un flusso sin qui. Ma se tutto fosse così
facile, 1. l’opera sarebbe già finita; 2. l’Italia

Entra l’elemento femminile, a creare la dinamica drammaturgica che
segna l’unica cesura reale del primo atto e il motore dell’azione a
venire. Si noti, già la voce dei soprani era entrata nel coro, quindi non
è esclusa dall’eroismo e dal patriottismo, ma qui è il personaggio di
Lida a intervenire

È Lida infatti a incarnare l’aspetto più doloroso dell’amore di patria

La notano in disparte le donne stesse: «Tu sola fuggi sì lieta vista, /
Come da scena orrida e trista: / Pur della patria senti l’affetto, / T’arde
nel petto – italo cor!»

Lida, entra in scena ancora su recitativo obbligato: «Voi lo diceste,
amiche, / Amor la patria, immensamente io l’amo! /… Ma… Sotterra /

Da qui si scatena la dinamica oppositiva: la splendida cabaletta in cui
si riaccenda l’amore in Lida per Arrigo che si è palesato, ma che è
sconvolto dall’averla trovata sposata ed è implacabile: ancora di più
(doppia motivazione anche per lui, dunque) sul si bemolle maggiore
del duetto «T’amai, t’amai qual angelo» non aspetta che di immolarsi
per la patria (e della donna amata dice «mi desti orror»), mentre lei
esprime il suo senso di colpa («son rea»)

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Lezione 8

La battaglia di Legnano, atto II


Aggiungeremo qui un tassello su un
elemento assai mazziniano… l’elemento
religioso
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Nones, lezione 8, 2019-20, ISSM «Puccini»

Va rilevato come, nel percorso della produzione di Verdi, l’opera
immediatamente precedente a La battaglia di Legnano fosse stata in
verità di tutt’altra specie, Il corsaro (1848): un’opera che, come
l’ancora precedente I masnadieri (1847), aveva fatto eccezione
rispetto a una complessiva preminenza politica nella prima fase della
produzione verdiana, non trattando esplicitamente del tema della
patria, anzi portando in scena la storia di un pirata che alla patria non
ambisce e anzi una patria rifugge, tutto dedito alle sue imprese e sue
faccende, e, soprattutto, alla sua storia d’amore: la vita va ancora la
pena di essere vissuta, senza patria; è quando viene meno l’amore,
che si impone la soluzione finale, farla finita con la vita. Opera
bellissima. Fiasco solenne

Nei giorni fatidici del 1848, il ‘corsaro Verdi’ sarebbe corso ai ripari,
tornando al ricongiungimento del tema amoroso (amore per una
donna) e del tema patriottico (amore per la patria), che aveva già
animato sue opere di successo dal 1839, quali Oberto, Nabucco, I
Lombardi alla prima Crociata, I due Foscari, Attila, Macbeth (prima

Verdi e Cammarano erano ben consci di stare seduti su una propizia
polveriera. In una lettera del 21 aprile 1848, Verdi scrive del tema
politico «che in questo momento è veramente grande!». Assiste ai
moti da Parigi, firma la petizione d’aiuto ai francesi da parte della città
di Milano. Una certa ambiguità: quando lascia Parigi e va a Milano, lo
fa soprattutto per affari; acquisterà infatti in quel momento il fondo
dove costruire la villa di Sant’Agata…

La musica della Battaglia di Legnano gli continuerà a piacere – state
appurando voi stessi perché! – nonostante il disinteresse seguito ai
trionfi iniziali che furono legati soprattutto all’occasione del momento,
e meditò perfino di riutilizzare la musica per un nuovo libretto da
intitolarsi Lida, ciò che lascia intuire quale elemento sarebbe stato
espunto dall’opera. Ma desistette dall’idea, forse non da ultimo
perché la musica stessa era imbevuta di politica, e musica+trama
(dramma) sono infatti inscindibili

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Verdi, con quell’opera, si scrollava di dosso in un colpo solo la posa del
romantico malinconico, e diventa byroniano alfiere del patriottismo,
andando a solleticare il nervo scoperto di un popolo senza patria

L’opera che ne esce avrà un successo clamoroso. Al momento. Poi
cadrà nel dimenticatoio. Era «d’occasione»? Non si può dire tanto, ma
il dubbio ci fa ragionare su quanto possa essere universalizzabile, o
meno, la tesi mazziniana di un’arte dall’esplicito fine sociale e
ideologico

In questa lezione, andiamo a guardare più da vicino l’altro tema
portante di quest’opera, e anche questo non proprio popolarissimo
(oggi), come il tema religioso

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Dimensione religiosa

Tutto quanto abbiamo enucleato l’altra volta rispetto al «canone
risorgimentale», cioè la guerra, da una parte, e l’amore, dall’altra,
avviene sotto gli occhi di Dio, la religione essendo una presenza
fondamentale all’interno dell’opera

Ritorna la «religione della patria» - mi rifaccio anche qui al mio studio
del 2013 su Verdi – che il compositore aveva istituito nella sue opere
del 1842 e 1843, Nabucco e I Lombardi alla prima Crociata. Per capire
la portata dell’istituzione di questa religione della patria in Nabucco,
basti evidenziare come gli Ebrei, che sono guidati non da un re ma da
un sacerdote (Zaccaria), ottengano la libertà dalla schiavitù in
Babilonia non attraverso una guerra di liberazione architettata da
guerrieri, ma tramite l’intervento di Dio in persona, quel Dio che
illumina il tiranno babilonese facendogli sperimentare un dolore
personale. Nella fase di istituzione della «religione della patria», a

Questa dimensione ritorna nella Battaglia

La fede è al centro, per gli eroi, e infatti la scena madre del I atto in cui
ci eravamo fermati nella lezione scorsa, è quella in cui l’eroe, che
insieme agli altri costituisce quella moltitudine di eroi che è il popolo
in armi, giura fedeltà alla causa, fino alla morte

Si ricordi che, ritornando alla materia storica che dà origine all’opera,
nella battaglia storica del 29 maggio 1176 v’era effettivamente una
‘Compagnia della morte’ – guidata dal leggendario Alberto da
Giussano – chiamata a pugnare all’ultimo sangue

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Corollario del giuramento: gloria eterna, se il guerriero sarà fedele al
giuramento; infamia eterna, se mancherà al giuramento.
Conseguenza: il patriottismo è in quest’opera, in questo frangente
storico fatidico, sopra ogni altra cosa, ossia sopra non solo all’amore,
ma alla stessa vita sulla terra

La battaglia di Legnano costituisce la summa della filosofia politica
verdiana fino a quel momento, perché in essa si uniscono religione e
politica, così come in essa si superano in un di più – ossia la gloria –
morte e vita, dimensione privata e pubblica, amore per gli uomini e
amore per la patria

Questo perché, in un momento così fatidico, la patria non è altro che
la stessa vita, propria e di tutti i connazionali. Per questo, in
quest’opera di Verdi e solo in quest’opera, il patriottismo assurge al
massimo sentimento, più grande di tutti i sentimenti personali per
quanto accesi essi possano essere

L’esito non è lieto, perché l’eroe alla fine di questo percorso morirà: ...
Atto II, «Barbarossa!» - atto tutto al maschile
(Lida viene lasciata innescata dov’è)

Barbarossa è potente perché ha alleati, anche in Italia: i comaschi, che
figurano nel coro (preminenza dei popoli attraverso il coro: proposta
n. 2 di Mazzini) dell’Introduzione. Hanno ragioni di vendetta per non
unirsi ai milanesi: questo il problema per l’unificazione italiana
(proiezione attraverso un esempio storico, proposta n. 4 di Mazzini),
ossia la rivalità tra fratelli. Rappresentato nella scena I e II dell’Atto II

Entrano Arrigo e Rolando (proposta n. 1 di Mazzini: motivo
conduttore degli ottoni! 0’22’’ CD 1 traccia 13) per proporre un patto
davanti alla discesa di Barbarossa; i comaschi ricordano invece il loro
patto col Barbarossa; «E Itali voi siete!?», risponde Arrigo arrivando al
la bemolle, «La storia non v’appelli assassini dei fratelli!». Si noti che
tutta la trama procede qui secondo la proposta n. 3 di Mazzini, ossia
con recitativi obbligati. Quando ritorna il numero prettamente
musicale nel Duetto, la concordia degli amici fraterni procede per
Finale Secondo

Sopraggiunge il Barbarossa in persona: personificazione del nemico –
attuale – in un teatro italiano, superba idea! Incute soggezione, sì, ma
ad averlo lì davanti… ci si accorge che non è una divinità di cui aver
paura, ma un uomo, in carne ed ossa, che si può affrontare e battere

Non ribattono alle offese, Rolando e Arrigo lo faranno sul campo, «col
brando sol ragiona l’oppresso all’oppressor!»

I due eserciti sono incomparabili, certo – si noti che «strumenti
militari» salgono sul palco! Un impari confronto dunque? No,
argomento centrale: la forza dell’esercito degli oppressi è morale
(fondata su un senso di giustizia), incommensurabile con quella degli
oppressori che è materiale (fondata sull’interesse); altro punto: finora
il destino dell’Italia si è consumato in una volontà altrui (Barbarossa,
«Il destin d’Italia son io!», mi minore). Ora emerge la volontà italiana
di reagire: Arrigo torna sul «destin» con acuto, e si noti che le voci di
«Italia grande e libera sarà», una profezia a
cui, questa volta seguiranno i fatti /
«Soggiogata fia»…

Palesate le posizioni, lo ‘scrigno’ del concertato si può richiudere e
tutti, all’unisono, cantano con grido ferocissimo «Guerra dunque!...
Terribile! A morte!»

L’atto secondo si chiude sull’imminenza della guerra, che è certezza di
morte, perché la guerra è la misura finale, il confronto estremo tra
posizioni divenute inconciliabili

Attenzione, la musica è selvaggiamente in mi maggiore

Il tempo sta finalmente per giungere

Si ascolti, per questa lezione, l’Atto II de La battaglia di Legnano
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Lezione 9

La battaglia di Legnano, atto II


Aggiungeremo qui un tassello su un
elemento assai mazziniano… l’elemento
religioso
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Nella scorsa lezione ci siamo soffermati sul II atto dell’opera La
battaglia di Legnano, e su quella dimensione religiosa su cui
inevitabilmente torneremo oggi: il III atto infatti (ca 40’ di ascolto che
vi consiglio di fare d’un fiato terminata la lezione) la esemplifica
ancora di più

Ricordavo un paio di lezioni fa il titolo di un capitolo dal mio libro su
Verdi, «La morte per la patria». Ciò che sta succedendo in queste
settimane in Italia, ci mostra come quel tema, morire per la patria,
che forse potremmo tradurre in maniera più moderna come il morire
nello svolgere il proprio dovere, non sia un cimelio da museo del
Risorgimento, e quindi una musica che tratti di quel tema possa
rivelare una inaspettata attualità

Ma, ciò detto – e posto che non è affatto irrilevante visto il fuoco di
questo corso, ossia la filosofia della musica – proseguiamo nella
disamina dell’opera
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Dicevo che avremmo aggiunto elementi sulla religione della patria, in
quest’opera. Ebbene, l’atto III si apre con una scena che più sacra, ai
lombardi, non potrebbe essere: siamo nelle volte sotterranee della
basilica di S.Ambrogio

Un’osservazione generale sulla musica che andremo qui ad ascoltare:
non è necessariamente ‘bella’ (benché le armonie, nelle svolte dopo
le insistenze monotone, sia timbricamente assai potenti agli ottoni).
Verdi sembra anche in questo seguire quel monito mazziniano, per cui
la musica non può essere tutta gradevolezza di Narciso. La situazione
è grave, e la musica è egualmente grave, ieratica, come di pietra.
L’impasto orchestra è scolpito come un bassorilievo. «Il suono che
produce è poco più che un ruvido strascinare abiti talari su un nudo
battuto di pietra» (mi prendo la libertà di citare dal mio libro da qui in
avanti)

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A che momento stiamo assistendo? Al momento sacro di un
giuramento davanti ai morti. Niente sfarzo, niente pompa,
nessunissima circostanza: il coro dei Cavalieri della Morte, che sono
convenuti per giurare, sussurra, cantando sottovoce:
« Fra queste dense tenebre, fra il muto orror di questi consci avelli,
sull’invocato cenere de’ padri qui giacenti e de’ fratelli, ripetasi
l’accento del sacro e formidabile giuramento». Ricorda il «Patria
oppressa» da Macbeth

Tra questi giuranti, compare Arrigo, che vuole «Con voi morire, o
trionfar con voi», queste sono le uniche alternative in campo: il
giuramento è di vita o morte per la patria, con particolare valenza per
il luogo in cui è pronunciato

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V’è una dimensione plurale che travalica l’individuo. Quando Arrigo
viene salutato come «Lombardo e prode egli è!», egli risponde: «Son
per valore ultimo forse, ma per santo amor della Patria comun primier
m’estimo… o secondo a nessuno»

Giurando vita o morte per la patria si diventa un tutt’uno, reso un
tutto dal comune amore che è il patriottismo, l’amore per la patria

Nel giuramento si fanno uno dai molti che erano, e ciò avviene anche
musicalmente nel modo più intuitivo: l’unisono, anche tra solista e
coro, che arriva sul passo «Giuriam d’Italia por fine ai danni,
cacciando oltr’Alpe i suoi tiranni. Pria che ritrarci, pria ch’esser vinti,
cader fra l’armi giuriamo giuriamo giuriam giuriam estinti». Mirabili
musicalmente, con profusione di settime e none nelle sestine agli
archi (prolungate nel recitativo a seguire… a significare come la stessa
temperatura agiti la dimensione pubblica e privata)

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Il giuramento non rimane nell’aria. Ha un suo sigillo nella punizione
prevista in caso di tradimento del giuramento. Qual è questa
punizione?
«Se alcun fra noi, codardo in guerra, mostrarsi al voto potrò rubello, al
mancatore nieghi la terra vivo un asilo, spento un avel: siccome gli
uomini Dio l’abbandoni, quando l’estremo suo dì verrà: il vil suo nome
infamia suoni ad ogni gente, ad ogni età»

Non è poco. È l’infamia più totale, «L’Infamia!» essendo per l’appunto
il titolo dell’atto III. Articolandosi, lo stigma, nelle seguenti
conseguenze: niente asilo, se rimarrà in vita; niente sepoltura, se
morrà; la dannazione anche da parte di Dio; infamia presso gli uomini
del presente e del futuro

Storia e Storiografia II, prof. Alberto


[«Ma Dio mi volle» precorre La traviata di «Ah
quell’amor…», 1853, ma in un frammento di recitativo
obbligato!]

Ora, per quanto pregnante sia questa dimensione e questa scena, la
vita, in quest’opera, è anche altro. La scena seguente si apre con il
ritorno in scena di Lida, che non abbiamo visto per tutto il II atto. È
agitatissima, ancora sconvolta dal suo incontro e il disastroso dialogo
con Arrigo. Gli ha scritto una lettera con un’importante rivelazione
(rassicurazione) e la affida a Imelda, mezzosoprano sua ancella, la
quale l’ha scoperta e con la quale si è confidata. Lei promette che la
darà nelle mani di Arrigo e solo di Arrigo (peccato che dalla voce della
Ricciarelli le r di Arrigo non escano…, 4’20’’, forse un taglio mal
riuscito??), ma volevo segnalarvi un particolare musicale qui, che
bene si inscrive nelle raccomandazioni per il recitativo obbligato (e in
generale accompagnamento orchestrale) da parte di Mazzini per via
del loro superiore potere di rappresentare i sentimenti:


Di seguito entra in scena Rolando, che è venuto a dire addio alla
moglie nel caso in cui non dovesse ritornare dalla battaglia che si sta
per combattere. È una specie di testamento morale, quello che lascia,
per la madre e per il figlio. La scena ricorda quella che si trova ne I due
Foscari (opera di Verdi del 1844), dove Jacopo Foscari, condannato
all’esilio, dice addio alla moglie Lucrezia

Tutto, qui, avviene nel nome del sangue: la vittoria ha un «prezzo di
sangue», e al sangue si richiama Rolando rivolto al figlio in fasce:
«Digli [al figlio quando sarà cresciuto] ch’è sangue italico, digli ch’è
sangue mio, che de’ mortali è giudice la terra no, ma Dio! [qui il modo
cambia, da sol minore a sol maggiore] E dopo Dio la Patria, la Patria,
dopo Dio la Patria gli apprendi a rispettar»

Storia e Storiografia II, prof. Alberto



Qui, in un duetto magnifico dall’introduzione di sestine a clarinetto e
flauto fino all’arpa finale, troviamo un ordine, una gerarchia di
autorità e obbligazioni morali: verso Dio, in primis, e poi verso la
Patria, dal sangue del padre al sangue del figlio, di fronte a una
madre, che dovrebbe restare «insegnatrice di virtude a lui»… e che
invece è voce critica rispetto a questo patriottismo. Lida comprende
bene l’importanza del patriottismo, ma nutre delle preoccupazioni
concrete («Che il dì novello un orfano potrebbe in lui trovar…» in
‘scrigno’ sul testo del baritono)

Storia e Storiografia II, prof. Alberto



La scena successiva ci porta dalla dimensione della famiglia, al
rapporto d’amicizia. La battaglia è prossima, e quindi prossima può
essere l’ora in cui l’Italia sarà libera, o schiava più di prima

Protagonisti della scena sono naturalmente Rolando – uno splendido
Manuguerra – e Arrigo, i due vecchi amici

E ancora una volta gli eroi verdiani non sono RoboCop, «Or son marito
e padre!» si confida preoccupato Rolando con Arrigo, che già prima,
nel commiato da moglie e figlio, aveva il ciglio molle di pianto, e
ancora una volta si asciuga una lacrima. Ed è all’amico che,
nell’abbraccio delle legature agli archi, affida e figlio e moglie, dovesse
cadere in guerra…: «Esser tu dèi per loro l’angelo tutelar!». Anche su
questo, Rolando chiede ad Arrigo di giurare; Arrigo è,
comprensibilmente per noi (che sappiamo dei suoi trascorsi con Lida),
restio, ma poi acconsente. Un abbraccio, e i due si lasciano
Storia e Storiografia II, prof. Alberto

Qui Verdi, in due sole pagine brucianti, fa scattare la molla
drammaturgica che ha sin qui lentamente ma inesorabilmente
caricato:

1. Marcovaldo, accompagnato da un serpentesco clarinetto, che vuole
vendicarsi del suo amore per Lida da lei non corrisposto, svela a
Rolando la lettera di Lida per Arrigo, da lui intercettata: «Ahi scellerate
alme d’inferno, sposa ed amico tradir così!», esclama; infranto il
sogno di sposo e di amico, dichiara che si incenerirà, oddly enough in f
major… (solo nella coda, dopo il taglio, si tinge della terza minore),
quanto Dio ancora non ha spento;

2. n.9, Finale III. Lida si reca da Arrigo, che sta scrivendo una lettera
d’addio alla madre mentre guarda il fiume che scorre lì sotto…, ma
davanti a Lida confessa che è pronto a morire non solo per l’amore
per la patria, ma anche per la profonda delusione di essere stato
tradito dalla donna. Lei ribatte che l’ama ancora, e accenna a una
lettera, che però lui rivela di non aver mai ricevuta…;
Storia e Storiografia II, prof. Alberto

Accade qualcosa per cui il privato, su cui stavamo scivolando, e il
pubblico si rimescolano di nuovo. Al suono delle trombe che
annunciano l’inizio della battaglia, mentre Rolando decide di non
ridursi a pugnalare quel petto che gli viene davanti, ma di condannare
Arrigo all’Infamia pubblica: esce dalla stanza e serra la porta con
chiavi e catenacci. Arrigo si sente ed è in gabbia, mentre un geniale
tamburo fa il suo ingresso a 3 prima di 33, rimarcando un conto alla
rovescia di crome con quattro battiti a battuta: «Quei prodi vanno a
salvar la Patria, ed io…». Lui, potremmo chiosare noi, è chiuso
nell’armadio come un amante pescato a fornicare. Sente l’infamia
pendere sul suo nome, e compie un atto inconsulto: dall’alto di quella
torre, gridando «Viva Italia!», la4-la3, che è la dominante: lui non
scende sulla tonica, no; si getta dal verone nel fiume, nel tentativo
estremo di raggiungere i compagni che vanno a pugnare, il cui coro
(Leitmotiv mazziniano…) s’ode in sottofondo

Storia e Storiografia II, prof. Alberto


Così si chiude il III atto, e si può ben
immaginare quali entusiasmi dovesse
suscitare
• una
«mentre da una scena
parte del genere
rimbombavano nele, secondo
gli applausi 1849.ilMa
vediamone un resoconto:
consueto, se ne domandava la replica, un energumeno esce fuori da
un palchetto al quint’ordine con urli da indemoniato ‘Bis! Bis! Fuori le
bandiere!’ e simili grida. Nel mentre che si stava alzando il sipario
questo individuo (era un ufficiale) si slaccia urlando lo squadrone e lo
getta sul proscenio. Il fanatico seguita a strillare e dietro lo squadrone
getta giù una daga che rimane infissa sul palco, poi un cappotto, poi si
strappa le spalline, e giù in pezzi anche quelle: cresce intanto il
tumulto. L’indemoniato prende una sedia e giù, poi un’altra, poi tutte
quelle che stavano sul palco e le fa volare tutte sul palcoscenico. I
carabinieri accorrono e lo arrestano, per quanto si dice, nel mentre
egli stesso, non trovando altro oggetto da gettare, si disponeva a fare
Storia e Storiografia II, prof. Alberto
un capitombolo…», Pallade (giornale romano), 5 febbraio 1849
Lezione 10

La battaglia di Legnano, atto IV, e


conclusioni sulla filosofia della musica
mazziniana
Dalla prossima lezione passeremo ad
Adorno e al Novecento

Lezione 10, Storia e storiografia II, prof.



Siamo arrivati a quel finale del III atto, dove Arrigo si getta dalla torre
per salvare il suo onore insieme alla patria, e qualcuno tra il pubblico
dell’epoca poteva immedesimarsi al punto da voler saltare giù dal
palchetto

L’ultimo atto si intitola «Morire per la Patria!» ed è la parte più sacra
dell’opera, più ancora di quella del giuramento: perché qui non basta
più giurare; si dovrà davvero combattere mettendo a repentaglio la
propria vita

Già l’inizio della scena ce fa intuire come la battaglia non sia avulsa dal
sacro: si comincia infatti in una ‘piazza di Milano dove sorge un
vestibolo di tempio’. La piazza, elemento pubblico per eccellenza,
supplementata dal tempio, l’elemento religioso. Cosa fa il popolo che
vediamo rappresentato? Prega: donne, vecchi e fanciulli, cioè coloro
che non possono combattere, sono coi religiosi a pregare, in una
unitarietà perfetta di tutte le componenti della società
Lezione 10, Storia e storiografia II, prof.
Una digressione

Si sappia che Verdi, dopo La battaglia se gli eventi politici non fossero
precipitati in malo modo, aveva in animo di musicare il soggetto
dell’assedio di Firenze (partendo dalla narrazione ottocentesca di
Guerrazzi): anche lì, lo troviamo nelle fonti dell’epoca, come un
decreto del 2 novembre 1529 della Repubblica Fiorentina,
«qualunque persona non abile e non idonea all’arme come sono preti
frati monaci, monache fanciulli ed donne di qualunque età che ogni
volta si venisse da nostri soldati alla battaglia colli Inimici… tutte le
sopradette persone… siano tenute et obbligati inginocchiarsi sì nelle
chiese come ne’ conventi e nelle case loro et fare continua
oratione…»

Ecco, la saldatura tra fede e civismo che interessava a Verdi, e
Mazzini…
Lezione 10, Storia e storiografia II, prof.
Una digressione

Si sappia che Verdi, dopo La battaglia se gli eventi politici non fossero
precipitati in malo modo, aveva in animo di musicare il soggetto
dell’assedio di Firenze (partendo dalla narrazione ottocentesca di
Guerrazzi): anche lì, lo troviamo nelle fonti dell’epoca, come un
decreto del 2 novembre 1529 della Repubblica Fiorentina,
«qualunque persona non abile e non idonea all’arme come sono preti
frati monaci, monache fanciulli ed donne di qualunque età che ogni
volta si venisse da nostri soldati alla battaglia colli Inimici… tutte le
sopradette persone… siano tenute et obbligati inginocchiarsi sì nelle
chiese come ne’ conventi e nelle case loro et fare continua
oratione…»

Ecco, la saldatura tra fede e civismo che interessava a Verdi, e
Mazzini…
Lezione 10, Storia e storiografia II, prof.

La musica sottolinea la sacralità del momento: al di là degli squilli di
tromba iniziali, è l’organo a suonare. Un organo che accompagna il
salmodiare «Deus meus, pone illos ut rotam…» dal Salmo 82: «Mio
Dio, rendili come turbine, come pula dispersa dal vento»

È l’ira di Dio, la sua forza, invocata contro i nemici, hostes cioè nemici
pubblici (non inimicos vale a dire nemici privati), da parte di chi
attende le sorti della battaglia e prega per il suo volgere a favore della
patria. Tra essi, Lida, che prega anche per due uomini… l’amore per i
quali è inconciliabile, ma i due nomi tornano sulle labbra di Lida alla
pari, insieme, come amici fraterni nel frangente estremo della guerra

Lezione 10, Storia e storiografia II, prof.



Prima rotte, incalzate e frammentate da rulli di tamburi e squilli di
trombe giungono le prime voci, e sono voci di vittoria: a Legnano la
patria è stata salvata

«Popol, gioisci!... Vincemmo!» annuncia il primo console, suscitando
non esaltazione fanatica, ma ringraziamento a Dio, «Dio clemente!»

Qui si scatena l’orchestra in un giubilante sol maggiore a cui si
uniscono le campane a festa della chiesa: è un coro di caratura
risorgimentale, non più solo storicistico di riferimento alla vicenda di
Legnano, come tradisce il testo: «Dall’Alpi a Cariddi echeggi vittoria!
Vittoria risponda l’Adriatico al Tirreno!»

Addirittura si intravede, in questo passaggio corale, l’etimo stesso del
Risorgimento italiano: «Italia risorge…». Tenete presente che
l’entusiasmo fu tale, a Roma, che l’atto venne bissato tutto. Non era
solo musica, era una proiezione, un transfer
Lezione 10, Storia e storiografia II, prof.

Si fa festa, ma la vittoria ha un prezzo, lo immaginiamo. Il
Risorgimento, avrà un prezzo, il prezzo di sangue che aveva esplicitato
Rolando

Il momento musicale di transizione, di ritorno a questa
consapevolezza, è mirabile: eravamo in sol maggiore, ora si consuma
una modulazione tutta in mezzo agli squilli di tromba, quelli che
avevano annunciato la bella notizia, e che ora, su un accordo
diminuito volto al re minore, gela il sangue a noi, immedesimati a
questo punto con Lida, che attende di sapere le sorti degli uomini che
ama

Lezione 10, Storia e storiografia II, prof.



Entra in scena Arrigo, che penseremmo dunque dapprima essere colui
che è sopravvissuto, ma è sorretto dai compagni Cavalieri della morte,
ferito a morte. È lui, apprendiamo, l’eroe della battaglia, colui che ha
sbalzato di sella il Barbarossa

A sorreggere Arrigo sta anche, incolume, Rolando, ‘a capo chino e
taciturno’

Arrigo vuole essere adagiato sui gradini del tempio, per spirare al
cospetto di colui nel cui nome ha combattuto. Ma vuole prima
riappacificarsi col vecchio amico. Con l’ultimo fiato che gli rimane,
giura «Per la salvata Italia – che vediamo quanto gli sia costata –
siccome puro è un angelo il cor di Lida è puro» («puro siccome un
angelo» si troverà nel Verdi di Stiffelio, Aroldo, Il corsaro, e più
notoriamente ne La traviata e Simon Boccanegra)

Lezione 10, Storia e storiografia II, prof.



Su queste parole si apre lo scrigno di voci e parole del finale. È tornato
il sol maggiore, che risuona di purezza e catarsi: dopo il pubblico,
anche il privato sfocia in questa regione

Mentre Rolando, Lida e Imelda fanno eco alle ultime parole di Arrigo,
il coro – quanto importante è ‘il coro mazziniano’ in quest’opera! –
canta le virtù di un patriota: «Di sue virtudi il premio in Ciel fra poco
avrà»

Si noti come a questo coro si aggiunga il coro del tempio, che intona
un Te Deum («Te Deum laudamus. Te Dominum confitemur, te
aeternum Patrem omnis terra veneratur», sappiamo che Verdi tornerà
a scrivere un Te Deum nell’ultima stagione della sua vita, nel 1898,
volendone poi portare il manoscritto con sé nella tomba, e anche lì vi
sarà un coro, anzi, enigmaticamente, due cori che si richiamano e si
rispondono)

Rolando porge ad Arrigo la mano, e stringe Lida al petto
Lezione 10, Storia e storiografia II, prof.

È un clima di riconciliazione, di amicizia, di sublimazione del dolore

L’ultimo pensiero di Arrigo morente è – come era stato per Giovanna
nell’opera verdiana altrettanto e altrettanto ingiustamente poco nota
Giovanna d’Arco – che gli venga data una bandiera, qui il vessillo
portato dal carroccio

Il sol maggiore si fa sempre più carico di luce, sia nell’orchestra, sia nel
fortissimo del Te Deum, mentre il resto del coro e dei personaggi si
rivolge a Dio: «Apri Signor, l’Empiro al tuo guerrier fedel»; un
concertato in cui Arrigo spira negli ultimi sospiri di parole «È salva
Italia!... Io spiro… e … benedico… il ciel!»

ASCOLTATE IL IV ATTO

Lezione 10, Storia e storiografia II, prof.



Dunque, i contrasti tra vicenda amorosa e vicenda pubblica, secondo
il canone risorgimentale, vengono esperiti e superati in quest’opera
non attraverso un lieto fine, che non c’è e non ci può essere (Lida
potrebbe mai avere tutti e due gli uomini, e per di più entrambi vivi? E
resistere a una invasione straniera può non avere prezzo?)

È a livello simbolico e morale che i contrasti vengono riconciliati:
Arrigo, cadendo per la patria, da una parte contribuisce da eroe alla
salvezza della patria, dall’altra rende possibile la sua propria
riabilitazione sociale, la riconciliazione post mortem con l’amico, e il
perdono da parte di questi per quella donna il cui onore – lo
testimonia giurando sulla patria salvata – non era venuto mai meno

È un quadro tutto ottocentesco, si capisce, con l’onore quale categoria
fondamentale; forse – dal nostro punto di vista oggi – categoria
soverchiante

Ma a valere ancora è che il protagonista non fugge, come i pirati
dell’opera precedente, dalla sua vita pubblica per cercare rifugio

Mazzini
«Un giorno, io mi destai con l’animo tranquillo... Riesaminai
pacatamente... Rifeci da capo l’intero edifizio della mia filosofia
morale... Una definizione della Vita è base prima, riconosciuta o no,
d’ogni filosofia. La vita è Missione. Ogni altra definizione è falsa e
travia chi la accetta»

Questo era il Mazzini che reagisce ai lutti che l’avevano colpito, e a un
senso di fallimento, e fa della sua vita una missione

La funzione che si dà Verdi in quest’opera scritta a ridosso della
campagne di liberazione dell’Italia, l’abbiamo vista. Non sta qui a noi
metterci a disquisire sulla sincerità di quella posizione, o sul suo
opportunismo. Fatto si è che Verdi fa suoi tutti i moniti mazziniani –
dal ruolo del coro al motivo conduttore, dalla storicità al recitativo
obbligato – e fa sua una certa definizione della vita come missione –
possiamo valutare se missione politica in questa fase (fino al Viva
VERDI), o (io ne converrei) più ampiamente artistica
Lezione 10, Storia e storiografia II, prof.
Filosofia della musica

Senz’altro, Verdi fa sua la filosofia della musica di Mazzini, nella
misura in cui anche per lui «la musica, sola favella comune a tutte
nazioni, unica che trasmetta esplicito un presentimento d’umanità, è
chiamata certo a più alti destini che non son quelli di trastullar l’ore
d’ozio a un piccolo numero di scioperati»

È questa una filosofia della musica che informa di sé una parte
importante della musica ottocentesca, almeno della prima metà
dell’Ottocento. Ed è da vedere quanto, forme d’arte all’apparenza più
avulse dalle forze sociali e politiche in campo – come, per fare un solo
esempio, l’arte pianistica chopiniana – siano davvero parnassiane…

Vi ricordate come Mazzini lamentasse nel suo saggio, riferendosi
all’arte italiana del suo tempo, lo spirito di un’arte il cui fine fosse
‘solo’ la bellezza («l’art pour l’art», per dirla con Gautier), cioè un’arte
che bastasse a sé stessa, senza un fine superiore

Per Mazzini l’arte deve avere un fine al contempo più alto, spirituale, e
così facendo più pratico, di emancipazione sociale: non «Uomo senza
Dio», vi ricordate, e nemmeno «solo Dio senza uomo», bensì un
tertium, una società dove sia viva la spiritualità e viva anche l’energia
tutta umana per concretizzarla

Per Mazzini, non solamente la musica (Rossini…), e nemmeno
solamente il dramma (Wagner…), sono lo scopo dell’arte, ma il
pensiero sociale, cioè il progresso e l’evoluzione e l’emancipazione a
quel pensiero collegati

Può La battaglia di Legnano di Verdi costituire un inveramento della
tesi di Mazzini. Credo di sì. È un’opera d’arte esaustiva di tutti gli
approcci possibili alla musica nell’Ottocento, e di tutto lo stesso Verdi,
che di quel secolo percorre da protagonista sessant’anni buoni? Forse
non tutti, e non tutto. Ma si pensi a quanto di «pensiero sociale» (non
più politico e ideologico, lì, ma sociale ed esistenziale, sì!) ci sia nella
produzione verdiana pre- e post-1849: tutto
Lezione 10, Storia e storiografia II, prof.

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