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CAPITOLO 1

Richiami e BJT

Esiste un’importante differenza fra:


• elettronica integrata: i componenti sono collegati sullo stesso substrato (ad esempio una
scheda) su cui vengono progettati.
progettati. Il 95% dell’elettronica integrata si basa sul transistore
MOS ;1

• elettronica discreta: si prendono componenti già fabbricati e li si mette insieme con sistemi di
Process Control Block).
interconnessione PCB (Process Block
Ci occuperemo ora dell’elettronica integrata.

Bipolar Junction Transistor)


1.1 – Richiami: il BJT (Bipolar Transistor

Se mettiamo a contatto due semiconduttori drogati (uno di tipo n,, avente cariche mobili negative,
e uno di tipo p,, avente cariche mobili positive) formiamo una giunzione.

Quel che dovremmo osservare (ma che in realtà non avviene) è il fenomeno di diffusione,
consistente
ente nel fatto che le particelle aventi dei gradi di libertà (che in questo caso sono le cariche
presenti all’interno dei semiconduttori) tendono ad andare da zone di maggiore a zone di minore
concentrazione.
Cosa impedisce che tutto si mescoli?
Ebbene, see una carica positiva si sposta, si
ha che al suo posto rimane una carica
negativa (fissa): viceversa, se a spostarsi è
una carica negativa, quel che rimane è
una carica positiva. Allo stretto ridosso
della giunzione, presso le cosiddette
regioni di carica spaziale,
spaziale vengono dunque
a posizionarsi degli ioni di segno
opposto:: a tal proposito si dice che si ha
interfacciamento fra le cariche fisse positive
e le cariche fisse negative (v. figura).

Detto questo, è facile convincersi del fatto che esiste una una densità di carica nei pressi della
drogati: da un lato (drogaggio p) troveremo degli
superficie di contatto fra i due semiconduttori drogati:
ioni negativi; dall’altro (drogaggio n) troveremo degli ioni positivi.
Applicando le equazioni dell’elettrostatica, possiamo
possiamo immediatamente trovare il campo elettrico
nei pressi nella giunzione e quindi il potenziale.

1È da abbandonarsi la convinzione secondo la quale l’elettronica digitale riguarda unicamente i transistori MOS e
quella analogica si faccia soltanto coi BJT. Le cose sono molto più sfumate: esistono infatti molti circuiti analogici
costruiti con i MOS-transistors.
Il potenziale, chiaramente, dev’essere
definito a meno di una costante:
costante
scegliamo quindi di prendere il
semiconduttore p come riferimento e
tracciamo il grafico
gra (v. figura a
sinistra).. Si nota immediatamente che
il potenziale aumenta fino al valore
massimo costante ψ 0 (potenziale di
built-in2): tale variazione crea quindi
una barriera di potenziale, la quale è la
vera artefice della condizione
co di
equilibrio che si instaura senza dare
adito alla diffusione di cui parlavamo
poco fa.

Chiamiamo ora:
• N A cm -3  la concentrazione di ioni droganti accettori;

• N D cm -3  la concentrazione di ioni droganti donatori.


Questi parametri sono numeri dell’ordine di
1015 ( per gli atomi in minoranza ) ∼ 1019 ( per gli atomi in maggioranza )
e, come indicato tra parentesi, si pongono più o meno agli estremi di questo intervallo in base allo
specifico drogaggio considerato.
Dalla concentrazione di ioni si può passare alla concentrazione intrinseca; se chiamiamo:
• n cm -3  il numero di elettroni (concentrazione intrinseca degli elettroni),
elettroni)

• p cm -3  il numero di lacune (concentrazione intrinseca delle lacune),


lacune)
allora, all’equilibrio, sussiste la seguente relazione:
relazione
np = ni (costante3)
2
con ni = 1, 5 ⋅ 1010 cm −3 
n2
Nel semiconduttore di tipo P (maggioranza
(maggio di lacune) si ha che p ≈ N A e n ≈ i .
NA
ni2
Viceversa, nel semiconduttore di tipo N (maggioranza di elettroni) si ha che n ≈ N D e p ≈ .
ND
Consideriamo ora un diodo4, il cui funzionamento si basa proprio sulla presenza di una giunzione:

Si può dimostrare che per tale componente il potenziale di built-in è:

2 Built-in sta letteralmente per “costruito dentro”. Il motivo di questa denominazione risiede nel fatto che tale
potenziale è intrinseco (“in”) nella struttura stessa della giuntura.
3 In altre parole, in un qualunque semiconduttore la concentrazione
concentrazione di cariche libere (positive e negative) è costante, in
quanto la “competizione” fra le particelle fa sì che il prodotto np sia costante.
4
Il verso della corrente e della tensione è puramente convenzionale.
N A ND
ψ 0 = VT ln
ni2
dove VT è la tensione termica, pari a:
KT
VT =
q
(K  costante di Boltzmann5, T  temperatura in gradi Kelvin, q  carica dell’elettrone6)
A 300 K (temperatura che considereremo come ambiente), la tensione termica è di 25 mV. Ora
siamo in grado di calcolarci un valore plausibile per il potenziale ψ 0 , fissati N A ( 1018 ) e N D ( 1015 ):
10 33
ψ 0 = 25 ⋅ 10 ln
−3
≃ 0,73 V
( )
2
1, 5 ⋅ 1010
Ed in genere, infatti, tale potenziale vale 0,6 ∼ 0,8 V (7).
sottostante in cui è
Esaminiamo infine l’entità delle regioni a ridosso della giunzione (v. figura sottostante,
indicato anche un grafico di massima sul livello del drogaggio).
drogaggio

La profondità delle regioni di carica spaziale ( xp = profondità della regione di carica spaziale nel
semiconduttore P; xn = profondità della regione di carica spaziale nel semiconduttore N) è pari a:
2ε s (ψ 0 + VR ) N A ≫ ND
2ε s (ψ 0 + VR )
xn = =
 N  qN D
qN D  1 + D 
 NA 

2ε s (ψ 0 + VR ) N A ≫ND
2ε s (ψ 0 + VR ) N D
xp = =
 N  qN A2
qN A  1 + A 
 ND 
(NOTA: VR = −VD (8), ε s è la permettività elettrica del silicio)
silicio
Se calcoliamo il rapporto fra le zone di carica spaziale si ha:
2ε s (ψ 0 + VR )
 N  2ε s (ψ 0 + VR )
qN D  1 + D
xn  N A  qN D NA
= = =
xp 2ε s (ψ 0 + VR ) 2ε s (ψ 0 + VR ) N D ND
 N  qN A2
qN A  1 + A 
 N D

5 Costante di Boltzmann: 1,38 ∙ 10-23


23 [J K]

6 Carica dell’elettrone: 1,6 ∙ 10 [C]


-19
19

7 La cosa interessante è che tale potenziale non si può misurare con strumenti convenzionali, in quanto la sola azione

di collegare (alle due zone diversamente drogate) le punte dello strumento utilizzato per le misurazioni determina
un’ulteriore giunzione!
8 Si noti che viene utilizzata una polarizzazione inversa a quella indicata in figura.
Dunque la profondità delle regioni in questione è tanto più
grande quanto minore è il drogaggio.
Possiamo anche calcolare la carica presente all’interno di
tali regioni, la quale cresce con VR :
 C 
Q + = qN D xn = 2ε s qN D (ψ 0 + VR )
 m2 
 
Tale carica, localizzata presso il semiconduttore di tipo n, è,
per la conservazione della carica elettrica, la stessa presente
anche al di là della giunzione (sul semiconduttore di tipo
p):
Q+ = Q−

1.2 – Resistenza e capacità differenziali


ferenziali

Consideriamo un componente (bipolo) non lineare:

Volendo noi lavorare ai piccoli segnali, cioè con perturbazioni di lieve entità, poniamoci
p in un
intorno di un particolare punto della funzione I(V):
punto di riposo (bias) ξ ≡ ( V0 , I 0 )
L’ipotesi che facciamo è che tale componente lavori in tale intorno, senza cioè mai scostarsi più di
tanto da ξ . Immaginiamo ora di perturbare la tensione ai capi del dipolo di un piccolo valore v,
facendo passare il valore complessivo
comples da V0 a V0 + v; se tale perturbazione induce una variazione
di corrente i tale da scostare il valore complessivo da I 0 a I 0 + i allora possiamo scrivere che
I 0 + i = I ( V0 + v ) I è una funzione di V
Siccome ci siamo posti in un intorno, possiamo utilizzare lo sviluppo di Taylor per approssimare il
nuovo valore della corrente:
derivata n -esima della
funzione f calcolata in ξ lo scostamento

 alla n
f (ξ )
( n)


T (ξ + ∆ξ ) = ∑ ( ∆ξ )
n
Serie di Taylor 
n=0 n!
1 d2 I
I 0 + i = I ( V0 + v ) = I ( V0 ) + i = ≃ I ( V0 ) +
dI
v+ 2
v 2 + ...
Taylor dV ξ 2 dV ξ
Accontentiamoci di troncare lo sviluppo al prim’ordine:

I ( V 0 ) + i = ≃ I ( V0 ) + v + o ( v)
dI
Taylor dV ξ
A questo punto dividiamo ambo i membri per v…

= g (ξ )
i dI

v dV ξ
… per ottenere la cosiddetta conduttanza differenziale,
differenziale, della quale si esplicita chiaramente la
dipendenza in ξ . Tale parametro mette in rapporto l’effetto (la perturbazione di corrente i) con la
causa (la perturbazione di tensione v)) del leggero scostamento dal punto di riposo9.
Volendo, possiamo definire anche
una resistenza differenziale (sempre
definita rispetto al punto di riposo
ξ ):

= r (ξ )
v dV 1
=
g (ξ )

i dI ξ

Quel che abbiamo fatto nel nostro


intorno,, in soldoni, è stato
confondere la curva relativa alla
funzione I(V) con la retta tangente
al punto di riposo.
Da qui un nuovo elemento per comprendere meglio cosa intendiamo con piccolo segnale: è
necessario che le nostre perturbazioni siano tanto piccole quanto basta affinché l’errore che
commettiamo confondendo la curva reale con la retta tangente sia trascurabile.
trascurabi

Prese per buone queste considerazioni


e accettato l’inevitabile errore che si
commette nella semplificazione testé
compiuta, possiamo effettuare il
passaggio da circuito non-lineare
lineare a
circuito lineare: unn circuito lineare,
oltre ad essere relativamente
te semplice
da risolvere analiticamente,, ha la
proprietà di ammettere una funzione di
trasferimento,, in grado di mettere
comodamente in relazione l’uscita con
gli ingressi.
Un analogo procedimento si può attuare
per la ricerca di una capacità differenziale:
supponiamo di avere un componente
capacitivo non lineare caratterizzato, al
punto di riposo ξ , da una certa tensione V
ai suoi capi e da una certa carica Q sulle
sue piastre. Se allora immaginiamo di
perturbare la tensione
te ai capi del
componente di una certa quantità v,
saremo in grado di determinare la
conseguente variazione q della carica.
Com’è ovvio, la carica è funzione della
tensione; ciò ci porta a scrivere:

9 Chiaramente le cose potevano essere viste in maniera speculare senza che il principio di fondo venisse intaccato: la
tensione poteva essere l’effetto e la corrente la causa.
Q0 + q = Q ( V0 ) + q = Q ( V0 + v )
Agendo in maniera esattamente
nte identica a prima…
derivata n -esima della
funzione f calcolata in ξ lo scostamento

 alla n
f (ξ )
( n)


T (ξ + ∆ξ ) = ∑ ( ∆ξ )
n
Serie di Taylor 
n=0 n!
1 d 2Q 2
Q0 + q = Q ( V0 + v ) = Q ( V0 ) + q = ≃ Q ( V0 ) +
dQ
v+ v + ...
Taylor dV ξ 2 dV 2 ξ

Q ( V0 ) + q = ≃ Q ( V0 ) + v + o (v)
dQ
Taylor dV ξ

= c (ξ )
q dQ

v dV ξ
… ecco l’espressione della capacità differenziale
differenziale,, la quale può essere ulteriormente elaborata se
ricordiamo che:
dQ dQ dv dv
i= = =c (10)
dt dv dt dt

L’aver definito una capacità e una resistenza differenziali ci permette, a fronte della presenza di
una perturbazione, di scindere l’analisi di un unico e complicato circuito in altri due, più semplici:

Un circuito
o con un componente non Due circuiti: uno con il componente lineare
lineare, in cui si manifesta una (ma senza perturbazione) e l’altro con un
perturbazione componente differenziale e la sola perturbazione

incersi che una giunzione (ad esempio quella del BJT) è sede di una capacità:
Basta poco a convincersi

10 Si noti che tutte le quantità illustrate sono scritte in corsivo, il che le caratterizza come differenziali.
cj =
dQ
dV V = VR
(V R
= −VD ← tensione orientata in senso convenzionale )

2ε s qN D ε s qN D
2ε s qN D (ψ 0 + VR ) = 2ε s qN D (ψ + VR ) =
d d 1
cj = =
dV R dV R 0
2 (ψ 0 + VR ) 2 (ψ 0 + VR )
Possiamo riarrangiare questa relazione mettendo in evidenza il parametro
qε s N D cj0
c j 0 = c j ( VR = 0 ) = ⇒ cj =

 2ψ 0 VR
nessuna tensione 1 +
ai capi del componente
ψ0
il quale compare molto di frequente nei data sheet.
Il modello appena esposto, in realtà, va bene nelle giunzioni cosiddette brusche (cioè perfettamente
nette e delimitate, come quella che disegniamo sempre quando tiriamo in causa il BJT), nella realtà
non esistenti. Per una stima un po’ più realistica dobbiamo quindi operare una piccola correzione
all’espressione della capacità della giunzione:
cj0
cj = , con m ≤ 1
 
m 2
VR
1+ 
 ψ0 
Questa capacità può tornare utile in alcune applicazioni pratiche: supponiamo infatti di voler
costruire un oscillatore, circuitino LC costituito dal parallelo fra un’induttanza e un condensatore
di capacità variabile. Variando quest’ultima è possibile modulare la pulsazione di risonanza (e
quindi di funzionamento) del circuito, pari a
1
ω0 =
LC
Risulta tuttavia difficile costruire una capacità variabile così si preferisce inserire, al posto del
condensatore, un diodo polarizzato in inversa, il quale avrà una certa capacità differenziale
dipendente dalla tensione che gli applichiamo (come è illustrato nelle formule precedenti). Un
dispositivo di questo tipo si dice varactor.

È infine possibile, nel caso la tensione responsabile della capacità formantesi nella giunzione possa
variare da un valore massimo Vmax a un valore minimo Vmin , definire una capacità media
Q ( Vmax ) − Q ( Vmin )
c jAV =
Vmax − Vmin
la quale diventa, nel caso Vmin = 0 ,
cj0
c jAV =
2

Valori tipici di c j 0 si aggirano attorno ai 15 fF (caso N A ∼ 1018 , N D ∼ 1016 , VR ≅ 3, 3 V , A = 100 μm2 ,


ψ 0 ∼ 0,8 V ).

1.3 – Circuito equivalente di un diodo polarizzato in diretta

Sappiamo che l’espressione della corrente, per un diodo, ha questa forma:


 VVD 
I D = IS  e T − 1 
 
 
 VT = tensione termica, VD = tensione applicata al diodo, 
 
 I s = corrente di saturazione inversa del diodo
diod 

Come si nota, un diodo di questo tipo è un componente


passivo: se la tensione ai suoi capi è zero, infatti, non
scorre corrente attraverso di esso11.
Supponiamo ora di polarizzare il diodo in diretta (pedice
D). Fissato il punto di riposo ξ = ( V0 , I 0 ) , siamo in grado
di ricavare la conduttanza e la resistenza differenziali:
d   VT  d  VT  1  VD 0  I
VD 0 VD 0
1 dI D 0 VT
gD = = =  IS  e − 1   = IS  e − 1 = IS  e VT − 1  = D 0 ⇒ rD =
rD dVD 0 dVD 0    dV D 0   VT   VT I D0
    
 
I0

Anche in questo caso è presente una regione di carica


spaziale sui semiconduttori e, di conseguenza, anche
una capacità, detta capacità differenziale in diretta cD (che
ora dobbiamo trovare).
Come si nota, la resistenza rD e la capacità cD formano
un semplice circuito RC, la cui costante di tempo12 è:
τ = rD c D
Tanto maggiore sarà questa costante di tempo e tanto minore sarà la reattività del circuito; come si
vede nella figura sottostante, infatti, la scarica della capacità non avviene istantaneamente (in
concomitanza con l’azzeramento della tensione VD ai suoi capi) ma cala con un andamento
esponenziale: la pendenza della tangente che vediamo nel grafico in figura è proprio la costante di
tempo.

Attraverso la costante di tempo possiamo esprimere la capacità della


giunzione (semplicemente te facendo la formula inversa):
inversa)

11
Un foto-diodo,, invece, si sarebbe comportato in maniera diversa (v. figura a sinistra):
essendo un componente attivo, infatti, sarebbe stato in grado di cedere potenza anche a VD = 0 .
12 Parametro che misura il tempo di risposta del circuito: è pari il tempo richiesto per caricare
il condensatore, attraverso il resistore, al 63,2 % della sua capacità di carica totale (oppure
per scaricarlo al 36,8 % della sua differenza di potenziale).
potenziale
τD ID0
cD = =τD
rD VT
Utilizzando i seguenti parametri
• tensione termica VT = 25 mV
• corrente (in diretta) al punto di riposo I D 0 = 1 mA
• costante di tempo τ D = 100 ps
otteniamo una capacità (sempre in diretta) di 3,8 pF13.

13 Notiamo immediatamente che la c D , ovvero la capacità in polarizzazione diretta, è in genere decisamente più
piccola della c j .
CAPITOLO 2
I MOS transistors e il loro funzionamento ai piccoli segnali

2.1 – Il transistor N-MOS

Prendiamo un transistore di tipo N,


N, la cui ben nota raffigurazione logica è la seguente:
seguente

Per convenzione le zone graficate “in basso” (presso


( il source1) sono quelle a potenziale minore. Il
layout del transistor, ovvero la sezione trasversale,
trasversale, è invece così raffigurabile:

Si notano,, oltre al canale centrale di forma triangolare, le due diffusioni n presso il source e il drain
e lo strato di ossido (isolante) presso il gate. Anche in questo caso, come evidenziato, si forma una
giunzione: essa si instaura fra la diffusione e il substrato, ed è polarizzata in inversa onde evitare
che dal source fluisca corrente verso la regione di tipo p.
Sempre riferendoci alla sezione trasversale
trasversale del MOS, possiamo graficare la funzione quantità di
carica Q(x) presente lungo il transistor: essa è calcolabile mediante la seguente relazione
Q ( x ) = Cox VG − V ( x ) − VT 
( C ox capacità dell’ossido, VG tensione di gate,
VT tensione di soglia2, V ( x ) tensione in funzione dell’ascissa x)
tratta dalla definizione
Q = CV
Graficamente si ha:

Dalla formula precedente possiamo ricavare la carica presente sul source

1Dal quale si estende il canale.


2Esistente in ragione della perdita di potenziale nell’ossido: se l’ossido fosse infinitamente sottile, tale termine non
esisterebbe. Dell’ossido, ahimè,
è, non possiamo tuttavia fare a meno in quanto la struttura deve risultare isolata.
 
VGS
 
Q ( S ) = Q ( x = 0 ) = C ox VG − VS − VT  = C ox ( VGS − VT )

  
 = V (x) 
e presso il drain:
 V
GD
 
Q ( D ) = Q ( x = L ) = C ox VG − VD − VT  = C ox ( VGD − VT )

  
 =V ( L) 

Per un N-MOS
MOS esistono tre stati di funzionamento: sottosoglia, linearità, saturazione.
Si è sottosoglia (e il transistore si dice quindi “spento”) quando la VGS è inferiore alla tensione di
soglia VGS < VT . In tale situazione la corrente tra drain e source dovrebbe idealmente essere nulla;
esiste tuttavia
tavia una debole corrente di inversione, detta corrente di sottosoglia, la quale è una delle
cause del consumo di potenza nei circuiti integrati.
Per trovare la condizione sulle tensioni che determina quale si instaura fra i due rimanenti stati del
transistore ricorriamo a un semplice ragionamento: di seguito vediamo come varia la forma del
canale al crescere della tensione VDS :

Fatta l’ipotesi
potesi preventiva di lavorare soprasoglia, finché
finché la tensione fra drain e source non è
sufficientemente elevata il canale si estende per intero tra tali due terminali: se sussiste tale regime
il MOS si dice in regione lineare e la corrente che scorrerà dipenderà dalla tensione VDS (3) secondo
la relazione:
µnC ox W
ID =
2 L
(2 (VGS
− Vtn ) VDS − VDS
2
)
Quando la VDS è sufficientemente alta, invece, il canale non raggiunge più il drain e la corrente
smette di dipendere da VDS (4) essendo pari a
µnCox W
(V − VT )
2
ID = GS
2 L
A questo punto è facile dedurre che il valore di tensione discriminante le due situazioni è quello
per cui la carica è nulla presso l’ascissa x = L (cioè presso il drain, v. figura soprastante) ed è invece
diversa da zero in x = L− . Per cui è sufficiente porre a zero l’espressione che abbiamo visto poco fa
Q ( D ) = Cox ( VG − VD − VT ) = 0

3 E in tal caso si dice, infatti, che il transistore lavora come una resistenza.
4 In questo contesto il MOS si comporta come un amplificatore: d’ora in poi daremo quindi per
p scontata l’ipotesi di
trovarci in regione di saturazione.
Se aggiungiamo e sottraiamo il termine VS ha:
Cox ( VG + VS − VD − VS − VT ) = 0
VG − VS −VD + VS − VT = 0

   
VGS − VDS

VGS − VDS − VT = 0
VDS = VGS − VT = VDSAT
Possiamo finalmente concludere che:
• se VDS ≥ VDSAT ci troviamo in saturazione;
• viceversa, se VDS < VDSAT , siamo in regione lineare (o di triodo).

Come vediamo dalla figura a sinistra, se


fissiamo di volta in volta la tensione VGS
isulta possibile graficare le quantità I D e VDS .
risulta
La curva rappresentante la corrente Iɶ è D

quella che discrimina le due regioni di


funzionamento di un MOS acceso: il suo
andamento5 è regolato dalla relazione
1 W 2
IɶD = µC ox V
2 L DS

In realtà, le cose non sono così rosee e la


corrente non ha un andamento così ideale;
fin’ora infatti, considerando costante la corrente in
regime di saturazione, abbiamo in realtà descritto il
tipico comportamento di un generatore ideale di corrente,
il quale
uale fissa un valore costante di I per qualunque
tensione V suoi capi.
Sappiamo bene che i componenti ideali non esistono e,
infatti, il vero andamento concernente la l curva di
corrente in regione di saturazione è caratterizzato da
una lieve pendenza ed è qualitativamente
ualitativamente il seguente:

La domanda è: come mai?


Ebbene, questo effetto è dovuto alla presenza di una regione di carica spaziale presso la giunzione
moduliam tale regione
che le diffusioni formano col substrato. Aumentando la VDS accade che moduliamo
svuotata6, la quale provoca una leggera variazione nella lunghezza del canale e, di conseguenza,
nel valore della corrente.

5 Come si potrà notare dalla formula, la nostra curva è una parabola passante per l’origine.
6 Detta, in inglese, depleted region.. Al suo interno sono presenti soltanto cariche libere (e non cariche
cari fisse)
Abbiamo dunque bisogno di una nuova relazione per esprimere la dipendenza fra la VDS e la I D
(sempre quando ci troviamo in saturazione); per arrivare ad essa ci serve anzitutto esprimere lo
spessore xD della regione svuotata7:
ND ≫ N A
2ε s (ψ 0 + VDG + VT ) 2ε s
xD = = ψ 0 + VDG + VT = α ψ 0 + VDG + VT (8)
qN A qN A

α

( ε s è la costante dielettrica del silicio, q la carica dell’elettrone, ψ 0 è il potenziale di built-in,


N A è la concentrazione di ioni droganti accettori)
Il termine VDG + VT può essere poi elaborato affinché compaia la VDSAT :
VDG − VT = VD − VG + VT = VDS −VGS + VT = VDS − VDSAT

= − VDSAT

Quindi, alla fine:


xD = α ψ 0 + VDS − VDSAT
Come si vede dalla figura a destra, il termine
VDS − VDSAT rappresenta lo scostamento dal
punto esatto in cui inizia la regione di
saturazione, punto che chiamiamo ξ e che
esprimiamo con le coordinate
ξ = ( I DSAT , VDSAT )
Se ora sviluppiamo la nostra funzione attraverso
Taylor e nell’intorno di tale punto,
punto troncando al prim’ordine, otteniamo:
dI D
I D ≅ I DSAT + ( VDS−
dVDS ξ 
VDSAT )

scostamento

Se ora scomponiamo la derivata totale


dI D
dVDS
in

7 La seguente espressione è valida quando N D ≫ N A .


8
Si nota immediatamente che la lunghezza della regione di carica svuotata è proporzionale alla VDG e, di
conseguenza, utilizzando i soliti stratagemmi,
V DG = V D − VG = V D + VS − VG − VS = V DS − VGS
anche a VDS − VGS .
dI D dL dI D dL
=
dVDS dL dL dVDS
e analizziamo singolarmente le due quantità, che sono pari a
dI d  µnCox W 2 1 µnCox W
( VGS − VT )  = − ( VGS − VT ) = − I D
1 1
2
1) D =  ⇒ − I in ξ
dL dL  2 L  2 L
L  L L DSAT
= ID

dL dxd d  1 α
2) =− =− α ψ 0 + VDG + VT  = − (per una intuitiva ragione di
dVDS dVDS dVDS   2 ψ 0 + VDG + VT
complementarietà:: infatti, tanto maggiore è la regione svuotata, allora tanto più piccola è la
lunghezza del canale9)
possiamo infine esprimere l’andamento della corrente in regione di saturazione:
dI D dI dL
I D ≅ I DSAT + ( VDS − VDSAT ) = I DSAT + D
dVDS ξ  
( VDS−
dL dVDS ξ 
VDSAT ) =

scostamento scostamento

 
 α ( VDS − VDSAT )   α 
= I DSAT 1 + 
 = I DSAT 1 +

( VDS − VDSAT ) =
 2 L ψ 0 + VDS − VDSAT  2 L ψ 0 + VDS − VDSAT
  
 =λ 
= I DSAT 1 + λ ( VDS − VDSAT ) 
λ = parametro di modulazione della lunghezza
lunghezza di canale

2.2 – Layout di un transistor N-MOS


MOS

In questo paragrafo vogliamo brevemente trattare del layout di un transistore, intendendo con
questo termine distribuzione topologica degli elementi del nostro MOS.

9 Da qui il segno meno.


In figura vediamo messe in evidenza le dimensioni caratteristiche con le quali si tratteggia la
forma di un MOS transistor: la lunghezza L e la larghezza W del canale.
canale Sono poi illustrate le
tipiche collocazioni dei contatti (sul gate, sul source, sul drain).

2.3 – Il P-MOS

Il P-MOS
MOS transistor è il componente duale dell’N-MOS;
dell’N MOS; in questo caso, infatti, il canale è fatto da
cariche minoritarie di tipo p (lacune) e il substrato è invece di tipo n.

Come si vede, non si utilizza un substrato completamente di tipo n preferendo altresì la scelta di
“riciclare” il substrato di tipo p instillandovi una diffusione n (detta well) che contenga l’intero
transistor10. La well non può essere floating (cioè non contattata),
ontattata), dunque la si collega al potenziale
più alto ( VDD ) : in tal modo creiamo la polarizzazione inversa presente presso la giunzione fra le
zone p (del drain e del source) e la parte n corrispondente alla well,, in maniera esattamente
esattame duale a
ciò che avveniva nel MOS di tipo N. N
Inoltre la rappresentazione logica del transistor P prevede che, come da convenzione, il drain (che
in questo caso è il terminale a potenziale inferiore) sia raffigurato in basso.

Per quanto riguarda le tensioni


ioni e le espressioni delle correnti, basta invertire gli indici
VDS → VSD VGS → VSG
e sostituire VTN con VTP .

Di conseguenza si ha:
• VDSAT = VSG − VTP ;
1 W
( )
2
• espressione della corrente in saturazione ( VDSAT ≥ VSG − VTP ): I D = µ pCox VSG − VTP (11);
2 L
W 
2

( )
VSD
• espressione della corrente in lineare ( VDSAT < VSG − VTP ): I D = µ pCox  SG
V − VTP
V SD
− .
L  2 

Qui di seguito illustreremo come sia possibile, alla luce di quanto abbiamo detto fin’ora, porre un
N e un P-MOS
MOS sicuramente in regione di saturazione.

10 Le proporzioni del disegno non sono corrette: la well è molto poco profonda rispetto al substrato p.
11 Si noti che è stata inserita la mobilità delle lacune µ p : in genere, essa è inferiore alla µ n .
2.4 – Invertitore C-MOS

La tecnologia
ecnologia C-MOS
C (Complementary MOS)) è utilizzata in elettronica
per la progettazione di componenti digitali utilizzando transistor. Essa
sii fonda su una struttura circuitale costituita
costituita dalla serie di una rete di
Up ed una di Pull-Down. La
Pull-Up
prima s'incarica di replicare
correttamente il livello logico alto
mentre alla seconda è destinata la
gestione del livello logico basso. La
rete di pull-up è costituita di soli P-
MOS,, mentre la rete di pull-down è
costituita di soli N-MOS.
La complementarietà degli invertitori costruiti con questa
tecnologia sta nel fatto che la rete di pull-up e la rete di pull-
down non sono mai contemporaneamente
emporaneamente accese, cosa che
rende nominalmente nullo il consumo di potenza statica.
Per una trattazione più completa ed esauriente della
tecnologia C-MOS
MOS si rimanda al riassunto di Elettronica L-A:L
concentriamoci invece in questa sede, seppur brevemente,
brevemen sul
layout di tale transistore, illustrato nell’immagine a destra.
Come si vede, sono presenti parecchi gradi di libertà:
dobbiamo infatti dimensionare ben due transistori (ognuno
dei quali è caratterizzato da una certa W e una certa L) e
ari contatti, con degli strati metallici, come indicato. Ci limitiamo infine a notare che il
collegare i vari
transistore P, caratterizzato una mobilità delle lacune µ p minore di µn (quella degli elettroni
MOS), deve compensare la sua bassa velocità con un maggiore dimensionamento.
nell’N-MOS),

2.5 – Effetto Body

L’effetto Body è una delle conseguenze della non idealità del canale dei
nostri transistors: tale effetto fa sì che la tensione
tensio di soglia venga a
dipendere dal potenziale VSB (di bulk rispetto a quello di source)12. Tale
dipendenza è espressa dalla seguente relazione:

VTN = VT 0 + γ ( VSB + 2φF − 2φF ) dove φF = −VT log


NA
NI

VTP = VP 0 + γ ( VBS + 2φF − 2φF ) dove φF = −VT log


ND
NI
coefficiente d’effetto Body (circa pari a 0,5 V (13)), mentre φF (il cui valore tipico si
Il termine γ è l’coefficiente
aggira intorno agli 0,7 V) è chiamato potenziale di Fermi.
L’effetto Body può essere evitato in due modi:
• in un N-MOS:
MOS: collegando il source a massa (come il bulk);
• in un P-MOS:
MOS: collegando il source a VDD (idem).
Questo è ciò che si verifica nell’invertitore C MOS (che quindi non soffre di Body effect).
C-MOS

2.6 – Altri parametri differenziali: transconduttanza

La transconduttanza indica quant’è la variazione di corrente presente in uscita (cioè la corrente di


drain I D ) rispetto alla tensione che si ha in ingresso14 (cioè la VGS ):: per questo si dice che essa è una
sorta di funzione di trasferimento. In base alla definizione appena enunciata:
dI D
gm =
dVGS ξ

Si noti come anche questo parametro, come tutti i parametri differenziali che abbiamo visto e che
vedremo, sia definito ad un certo punto di riposo (o lavoro) ξ .

Elaborando la definizione:
dI D d  µnCox W 2 ID
gm = =  ( VGS − VT )  = µnCox
W
( VGS − VT ) = 2
dVGS ξ
dVGS  2 L
 
L

( VGS
− VT )

ID in funzione di I D

La transconduttanza ci dice quanto è in grado di amplificare un transistore MOS. Come corollario,


isulta chiaro che, più vogliamo amplificare, e più dobbiamo consumare15. Se, infatti, facciamo la
risulta
formula inversa rispetto a

12Quel che avviene, in altre parole, è che se il bulk si trova a tensione inferiore al source allora si ha un aumento della
tensione di soglia.
18 16
13 Tecnologia con drogaggio: N A = 10 , N D = 10 .
14 Dualmente definiamo la trans resistenza, che suggerisce quant’è la variazione di tensione in uscita rispetto alla
variazione di corrente in ingresso.
15 È questo uno dei tanti e ingegneristici esempi di trade-off.
µnCox W
( VGS − VT )
2
ID =
2 L
otteniamo:
2ID 2ID
= ( VGS − VT )
2
 + VT = VGS
W W
µnCox µnCox
L L
Il termine sotto radice è chiamato tensione di overdrive e indica (a fronte della presenza di una certa
corrente di drain I D ) quanto la tensione tra gate e source è maggiore rispetto alla tensione di
soglia16.

2.7 – Altri parametri differenziali: conduttanza di source

La conduttanza di source è così definita:


dI D
gs =
dVSB
In pratica, tale parametro è indicatore di quanto la corrente di drain si modifica a fronte di una
variazione della tensione tra il source e il bulk.
Per quanto abbiamo detto nel paragrafo 2.5, la variazione di VSB innesca una reazione a catena:

aumento di VSB  effetto Body  aumento di VT  calo di I D

Dunque, visto che all’aumentare di VSB cala I D , la gs avrà sicuramente segno negativo17.
L’espressione della conduttanza di source può essere adeguatamente elaborata:
dI D dI D dVTN dI D dVTN
gs = = =
dVSB dVSB dVTN dVTN dVSB
Prendendo singolarmente i termini…
dI D d  µnC ox W 2 µC W
• = 
dVTN dVTN  2 L
( VGS − VTN )  = − n ox ( V − VTN ) = − gm
2 L GS


dVTN
=
d
dVSB dVSB
V + γ
 T 0 ( VSB + 2φF − )
2φF  =
γ
 2 V + 2φ
SB F

… otteniamo:
γ
gs = − gm ≅ − kg m
2 VSB + 2φF
Dunque la conduttanza di source è direttamente proporzionale rispetto alla transconduttanza18.

2.8 – Altri parametri differenziali: conduttanza d’uscita

La conduttanza d’uscita è definita, una volta effettuata la solita approssimazione al prim’ordine,


come il rapporto fra la perturbazione di corrente iD e la perturbazione di tensione vDS :

16 Ricordiamo che tutte queste considerazioni sono valide quando il transistore è in saturazione.
17 Chiaramente una conduttanza non può avere realmente segno negativo: è necessario specificare che tutti nostri
ragionamenti sono basati su un nostro modello teorico.
18 La costante di proporzionalità k vale, in genere, 0,1 ∼ 0,2.
dI D iD
g DS = ≅
dVDS ξ
vDS
Questo parametro, meglio di qualunque altro, ci permette di
descrivere l’effetto sortito dalla modulazione del canale e visto
in precedenza (e che ricordiamo per mezzo della figura a
destra). Il fatto che esista una g DS (sempre positiva) ci fa infatti
capire che, in regime di saturazione, non abbiamo la retta orizzontale tipica dei generatori ideali di
corrente bensì una retta con coefficiente angolare positivo.
Come è facile intuire, possiamo definire una resistenza d’uscita:
1
rDS =
g DS
Risulta che:
1 1
g DS = λ I DSAT ≅ λ I D ⇒ rDS = ≅
λ I DSAT λID
Inoltre, a sua volta:
1
λ∝
L
Per cui, tenendo conto delle approssimazioni:
I L
g DS ∝ D rDS ∝
L ID

2.9 – Circuito equivalente ai piccoli segnali

Risulta possibile disegnare per un transistor MOS (ma anche per un diodo) un circuito equivalente
ai piccoli segnali19, molto utile in sede d’analisi, con qualche accorgimento: in tale tipo di circuito
vanno inclusi soltanto le perturbazioni (sotto forma di generatori di corrente o di tensione) e i
parametri differenziali (resistenze, capacità, conduttanze, etc…). Tutto ciò
ciò che, ai grandi segnali, è
costante (ad esempio la tensione VDD ) non va indicato in quanto non si tratta di una perturbazione
e dunque, nel caso di tensione costante, si contatta a massa.
Ecco come appare il circuito equivalente di un N-MOS:

DS DS

Osservazioni:
• il gate e il bulk non sono contattati
contattat a nulla;
• esiste un generatore di corrente dal drain al source; esso rappresenta la iD , cioè la
perturbazione di corrente
ente che attraversa il canale del transistor, che si
s esprime mediante la
transconduttanza g m , moltiplicata per la perturbazione di tensione fra gate e source.

19 Questi piccoli segnali, ricordiamo, si pongono tutti in un intorno del punto di riposo del transistor.
Scrivendo tale relazione ci si accorge immediatamente che ci troviamo di fronte
fronte, a tutti gli
effetti, alla legge di Ohm:
dI D v
iD = vGS = gm vGS = GS
dVGS rm
• esiste l’effetto Body:: siccome quando sale la tensione di source cala la I DS , possiamo
schematizzare tale calo con una corrente che “risale” il transistor e procede dunque nel
senso opposto a quello voluto. Per far questo, introduciamo un altro generatore ed
esprimiamone la corrente tramite la conduttanza di source
dI D
gs =
dVSB
Otteniamo:
dI D
ieffetto Body = v = gs vSB
dVSB SB
• infine, visualizziamo la resistenza (conduttanza) di source.
utte queste quantità sono “figlie” dello sviluppo di Taylor al prim’ordine
È da notare che tutte prim’ordine; infatti,
esse hanno una forma comune. Si veda: veda
dI dI D
ieffetto Body = D vSB iD = v
dVSB dVGS GS

  f ′(x)
SERIE DI TAYLOR: f  x + ∆ x  = f ( x) + ∆x
   1!
 perturbazione  
Questa è la quantità che descrive le
grandezze regolate dai componenti
del circuito equivalente: una derivata
moltiplicata per la perturbazione

Possiamo semplificare il tutto contattando il bulk a massa, in modo da neutralizzare l’effetto Body;
Body
in tal modo, scompare uno dei due generatori e il circuito equivalente diventa semplicissimo:

DS

Si noti che entrambi i circuiti equivalenti sono del tutto simili all’analogo model
modello per il BJT, che
riportiamo qui di seguito per facilitare il confronto
confronto:

MOS è assolutamente analogo.


Il circuito equivalente per il P-MOS
2.10 – Capacità parassite

Le capacità hanno un ruolo fondamentale nell’analisi del funzionamento di un circuito,


soprattutto se quest’ultimo viene utilizzato ad alte frequenze. Il motivo per cui risulta importante
le capacità è illustrato seguentemente. Si definisce costante di tempo τ S quel
poter quantificare tale
parametro che indica quanto ci mette il circuito a portarsi in condizioni di regime una volta che è
avvenuta una perturbazione. Se la frequenza di funzionamento di un circuito è tale per cui si ha
1
f≪
τS
allora possiamo
o ignorare gli effetti perturbativi. Altrimenti, nel caso
1
f≈
τS
siamo costretti a considerare le capacità differenziali e gli effetti reattivi. Nel caso di circuito RC
(quello
llo che esamineremo più spesso), la costante di tempo è data da
τ = RC
Dunque la conoscenza del parametro C è più che auspicabile per una corretta sintesi del circuito.

Esaminiamo ora le cause della presenza di capacità nel circuito:


• overlap fra il gate, il source e il drain: l’ossido contattato al gate si sovrappone leggermente al
source e al drain,, determinando l’insorgere di una capacità
COV ≅ WLOV COX

LOV
• effetto fringing-field: si manifesta nell’instaurarsi di un campo di fra due spigoli
spi (v. figura) i
quali si comportano come punte
La presenza di questo effetto provoca l’insorgere di una capacità di overlap anche in assenza
di sovrapposizione;
• capacità intrinseche fra i terminali:

Sono presenti:
o una capacità gate-source
source, così approssimabile (si assume che il canale sia lungo circa
2L/3):
CGS ≅ ( WLC ox ) + COV
2
3
o una capacità gate-drain
drain:
CGD ≅ COV
o una capacità source-bulk:
bulk:
CSB ≅ ( AS + ACH ) c j + ps c jSW
   
parte correlata all'area parte correlata
al perimetro

Come indicato nella relazione testé scritta,


scritta la capacità CSB è costituita da due
contributi: il primo
(A S
+ ACH ) c j
( AS area del source, ACH area del canale, c j capacità della giunzione20)
ha ragion
agion d’essere in virtù del fatto che le superfici dei due terminali si comportano
alla stregua di due piatti d’un condensatore. Il secondo invece, cioè
ps c jSW
è dovuto al fringing-field
field il quale, coinvolgendo i bordi della struttura, varia
v il proprio
peso in base al valore perimetro ps della zona interessata.. Il termine c jSW – infine – è
la capacità21 (per unità di lunghezza) associata a questo contributo capacitivo;
o una capacità drain-bulk
bulk:
C DB ≅ AD c j + pd c jSW
(la simbologia è ancora quella del punto precedente)

20 Ricordiamo che tale capacità (misurata per unità d’area) si valuta in:
cj0
cj = m
 ψ0  j
1+ 
 VR 
21 La sua forma è ancora analoga a quella della capacità citata nella nota 20, con – unica differenza – c jSW 0 invece di

cj0 .
Fatte tali doverose premesse, è giunto il momento di inserire le nostre capacità all’interno del
circuito equivalente.
GD

Si noti che, sia qui che in precedenza, abbiamo trascurato la capacità tra il gate e il bulk; siccome il
transistor è saturo, infatti, diamo per scontata la presenza di un canale di cariche sotto il gate: tale
canale funge da “schermo” e impedisce perciò la la formazione della capacità CGB . Infatti,
ricordando il seguente procedimento per la misurazione della capacità mediante la sua definizione

Se ora inseriamo uno schermo fra i due piatti, la capacità crolla istantaneamente perché la
schermatura intercetta il campo elettrico e sul secondo piatto (quello non investito dal gradino)
smette di esserci carica:
Appendice – Valori tipici della tecnologia C-MOS 0,8 micrometri

TRANSISTORE N-MOS

Tensione di soglia VTN ≅ 0, 8 V


Potenziale di built-in ψ 0 ≅ 0,9 V
Drogaggio (accettori) N A ≅ 1016 cm −3
Drogaggio (donatori) N D ≅ 1018 cm −3
Coefficiente di effetto Body γ ≅ 0, 5 V
Prodotto mobilità delle carice e capacità
μA
del silicio per unità di superficie µ N C ox ≅ 90
V2

TRANSISTORE P-MOS

Come per l’N-MOS a parte:

Tensione di soglia VTP ≅ −0,9 V


Prodotto mobilità delle carice e capacità
μA
del silicio per unità di superficie µ PCox ≅ 30
V2

ALTRI PARAMETRI (esempio con caso N-MOS):

Tensione gate-source VGS = 1, 2 V


Tensione source-bulk VSB = 0, 5 V
Fattore di forma W = 20
L 2
Transconduttanza g m = 368 ⋅ 10 −6 S
Conduttanza di source g s = − kg m = −61 ⋅ 10 3 S
Resistenza d’uscita rDS = 143 kΩ
Parametro λ 96 ⋅ 10 −3 V −1
CAPITOLO 3
Specchi di corrente,, configurazione cascode e configurazioni di amplificazione.
amplificazione
L’analisi ad alta frequenza.

3.1 – Lo specchio di corrente N

Uno specchio di corrente (in inglese current mirror)) è una particolare configurazione di dispositivi
elettronici realizzata per riprodurre fedelmente in un ramo di un circuito elettronico
elettro la corrente
circolante in un altro ramo dello stesso circuito. La corrente da riprodurre può essere costante o
variabile a seconda dell'utilizzo. Teoricamente uno specchio di corrente non è altro che un
amplificatore di corrente a guadagno unitario; in n pratica diversi fattori impediscono di ottenere
nei due rami del circuito correnti
nti perfettamente identiche.
Ecco la struttura del nostro specchio:

In tale schema:
• sono presenti due transistors,
transistors aventi in comune il gate,, che chiameremo 1 e 2.
2 Supporremo
entrambi questi MOS saturi;
saturi
• I I è la corrente d’ingresso, cioè quella che circola nel ramo del circuito in cui è presente il
transistor 1;
• VO è la tensione d’uscita, presente al drain del transistore al ramo 2;
• IO è la corrente che scorre nel ramo 2.
Lo scopo di questo
esto circuitino è quello di fare in modo che si abbia:
I I = IO
Ma è evidente che ciò accade, visto che
VGS1 = VGS 2
e, di conseguenza,
I D1 = I D 2
Dunque, supponendo di trovarci in condizioni ideali, abbiamo emulato un generatore di corrente
agente sul ramo 2. L’unico requisito richiesto perché si abbia tale regime di funzionamento è,
è
come già enunciato, che sussista la saturazione
1 W
( VGS − VTN )
2
VDS ≥ VDSAT corrente  I D = µC ox
2 L

Perciò, riferendoci al transistor 2:


2II
VO = VDS 2 ≥ VDSAT =
µC W
ox
L
Fatte queste considerazioni, capiamo
immediatamente qual è il range di tensione
che lo specchio
chio di corrente può supportare (v.
figura).
Come si vede, sotto la tensione limite VDSAT 2
lo specchio non funziona correttamente.
Per aumentare il range di funzionamento
abbiamo un solo grado di libertà, ovvero il
fattore di forma W L : esso si trova infatti al
denominatore della VDSAT 2 ed è in grado di ridimensionare quest’ultima al ribasso.
ribasso
Lo specchio di corrente ha una VSB = 0 , dunque non soffre di effetto Body; per cui:
VTN 0 = VTN 1 = VTN 2

perturbazioni (cioè ai
È giunto ora il momento di capire come si comporti il circuito alle piccole perturba
piccoli segnali): per farlo, possiamo ricavare un circuito equivalente in grado di aiutarci in sede
d’analisi. Analizziamo anzitutto la parte sinistra del circuito (ramo 1):

Non dobbiamo faticare più di tanto, visto che ci troviamo in un caso caso identico a quello visto nel
capitolo 2. In più, non avendo effetto Body, il circuito equivalente ai piccoli segnali è più semplice
perché risulta avere un solo generatore.
Sfruttiamo la legge di Ohm per trovare l’espressione della corrente i1 :
1  1 
i1 = gm v1 +
v1 = v1  gm + 
rDS  rDS 
Dopodiché possiamo in un batter d’occhio quantificare l’impedenza vista “tagliando” il circuito
presso v1 :
g m ≫ g DS
i1 = v1 ( gm + g DS )
v1 1 1
⇒ = ≈
i1 g m + g DS gm
Per cui, utilizzando Thévenin, possiamo sostituire il ramo 1 con la sola rm = gm−1 :

A questo punto passiamo al ramo 2 e disegniamo un uguale circuito equivalente (anche il secondo
Body), annettendo anche il circuito equivalente di Thévenin:
transistor non soffre di effetto Body),
Come indicato in n figura, scompare il generatore del circuito equivalente associato al ramo 2: sul
ramo 1, infatti, non scorre corrente perché è presente un aperto. Per tal motivo il generatore
comandato non produce corrente e può essere eliminato.
Così agendo abbiamo ottenuto
tenuto immediatamente il valore della resistenza d’uscita del nostro
specchio di corrente: difatti, applicando ancora una volta la legge di Ohm presso il circuito del
ramo 2, abbiamo che
v
i0 rDS 2 = v0 ⇒ rDS 2 = 0 = R0
i0
Siccome la resistenza d’uscita R0 coincide con la resistenza rDS 2
ci troviamo di fronte all’effetto di modulazione del canale
provocato dal parametro λ (v. capitolo 2 e fig.
fig a destra). Se tale
effetto non sussistesse, avremmo davvero ottenuto un
generatore di corrente ideale.

3.2 – Lo specchio di corrente P

In figura a sinistra vediamo uno specchio di corrente P. La


situazione e la simbologia sono analoghe, a parte qualche
qualch
variazione topologica dovuta alla dualità del P-MOS P
rispetto all’N-MOS.
Verifichiamo immediatamente che,, ai grandi segnali e posto
VTP 1 = VTP 2 , si ha:
VSG 1 = VSG 2  I1 = I 2  I I = IO
Quindi questo circuito è davvero uno specchio di corrente
in quanto riporta in uscita
(ramo 2) la stessa corrente
che vi è in ingresso (ramo 1).
Esaminiamo il range d’uscita (fig. a destra): perché il transistori VDD − VSDSAT
siano in saturazione si deve avere
SAT: VSD ≥ VSG − VTP VS − VO ≥ VSG − VTP
  
= VDD = VD VDSAT

2I0
−VO ≥ −VDD + VDSAT  VO ≤ VDD − VSDSAT 2 = VDD −
µC W
L ox

Infine, la resistenza d’uscita di tale circuito è uguale a quella calcolata nel paragrafo precedente.
3.3 – Amplificatori MOS: introduzione

I MOS saturi si rivelano molto utili per realizzare degli amplificatori: qui di seguito1 ne vediamo
uno realizzato con un transistore di tipo N.
N

RD è conosciuta e, di conseguenza, lo è anche la VO :


VO = VDD − RD I D
n tal circuito non vi è effetto Body ( VSB = 0 ).
Si noti poi che in
Il guadagno di questo transistore dipende dal punto di riposo al quale lavoriamo:
lav vediamo come
calcolarlo disegnando il circuito equivalente a questo per
per i piccoli segnali. Ecco quali sono i
componenti coinvolti se viene perturbata la grandezza vI :

Studiando questo semplice circuito si ha:


 1 1  g DS ≪ GD

m I ( DS D)
vO = − gm vI  +  = − g v g + G ≈ − g m v I GD
r
 DS R D 

Calcolando il guadagno ai piccoli segnali come rapporto fra la perturbazione di tensione in uscita
e la perturbazione di tensione in ingresso si ha:
vO
= − g m GD
vI
Si noti come questa espressione,
così come lo schema del circuito
equivalente (quest’ultimo a meno
di un’impedenza d’ingresso non
nulla rBE ), sia analoga a quella di
un dispositivo simile ma
realizzato con un BJT (v. figg. a
destra).

1 In figura si è messo in evidenza l’effetto di controfase, dovuto al fatto che una VI alta provoca l’abbassamento di VO .
Per questo, con i MOS, possiamo fare anche degli amplificatori di carica: una carica
posta presso la base di un BJT (v. figura, riferita al circuito ai piccoli segnali) non vi
rimane, bensì viene “convogliata” lungo lla resistenza. Il gate di un MOS è invece
isolato e può mantenere la carica, la quale provoca un innalzamento di VG e – di
conseguenza – di VO .

3.4 – Esempio di applicazione dello specchio e introduzione di un secondo transistore

In figura a sinistra vediamo un esempio d’applicazione


riguardante uno specchio di corrente a P-MOS.
P Il nostro
scopo è capire quale valore dobbiamo dare
da ad R perché si
abbia una corrente in uscita pari a IO = 100 μA , sapendo
= 100
che il fattore di forma dei transistori è W .
L 1, 6
Chiaramente, trattandosi questo di uno specchio di
corrente, si avrà che IO = I I ; d’altronde, è possibile
valutare tale corrente applicando la legge di Ohm al ramo
1, presso la resistenza:
V
II = X
R
Da cui si ha:
VX = RI I = RIO
Partendo ora dalla definizione di VSG si ha:
VSG = VS − VG = VDD − VX
VSG − VTP = VDD − VX − VTP
Sostituendo l’espressione di VX abbiamo:
2 IO 2I D
VSG − VTP = VDD − RIO − VTP = (ricordiamo che VSG = VTP + )
µC W µC W
ox
L ox
L
Infine:
2 IO
VDD − VTP −
µC W
R=
ox
L = ... ≅ 37,7 kΩ
I0
È doveroso sottolineare che nell’elettronica
nell’elet integrata non è così
facile inserire dei componenti resistivi nel silicio2. Per sopperire
alla mancanza di componenti discreti e facili da montare, si usa
creare lunghi percorsi conduttivi (in modo da sfruttare il principio
enunciato dalla seconda legge di Ohm3) i quali a loro volta, per
poter stare in poco spazio, vengono ripiegati molte volte su sé
stessi (“a serpentina”, come si mostra a fianco).
fianco) Purtroppo, la
presenza di ripiegamenti introduce fastidiosi effetti reattivi e altri

2 Mentre risulta essere molto più semplice il farlo nell’elettronica discreta.


3 La resistenza di un conduttore è direttamente proporzionale
proporzionale alla sua lunghezza e inversamente proporzionale alla sua superficie.
Il coefficiente di proporzionalità si chiama resistività.
resistività
vuti alla discontinuità. Tutto ciò dovrebbe aiutarci a capire che una soluzione
inconvenienti dovuti
vincente è quella di sostituire la resistenza con un transistor.
La nuova e più evoluta soluzione, comprendente un terzo
transistore, viene mostrata in figura.
A questo punto è lecito chiederci quanto dobbiamo dimensionare
il neointrodotto transistore affinché si abbia il già noto valore di
corrente I I = IO = 100 μA .
Siano:
W W
• = i fattori di forma dei transistors 1 e 2
L 1 L 2

W
• il fattore di forma del transistor 3
L 3

Poco fa avevamo scritto questa relazione:


2 IO
VDD − VTP −
µC W
R=
ox
L
I0
Elaboriamola:
2 IO 2 IO
VDD − VTP − = RIO = VGS 3 = VTN +
µ pCox W µ pCox W
L1 L3
A questo punto facciamo la formula inversa e giungiamo la nostro risultato:
2 IO 2
W = = ... ≅ (4)
L3  
2
8
 2 IO 
 VDD − VTP − VTN −  µnC ox
 µ C W

p ox
L 1 

3.5 – Configurazioni d’amplificazione: source follower

Quella del source follower (v. figura) è la configurazione più utilizzata.


Come vedremo, la ragione di tale nome sta nel fatto che l’uscita insegue
l’ingresso a meno di una costante; ai grandi segna
segnali, infatti, si ha:
2I
VGS = VTN +
µCOX W
L
2I 2I
VI − VO = VTN + VI −VTN − = VO
µCOX W µCOX W
L  L
= − VK

VI − VK = VO
Ecco dimostrato quello che dicevamo poco fa: la tensione d’uscita VO
differisce da quella di ingresso VI soltanto di VK (che è costante).

4Domanda lecita: perché 2/8 e non 1/4? Il motivo risiede nel fatto che è difficile fare una W troppo piccola (cioè è difficile
di progettare
un transistor con un canale largo 1 piuttosto che 2): per mantenere il fattore di forma, dunque, ci tocca aumentare anche la
lunghezza del canale e portarci infine sui 2/8.
Notiamo anche che tale inseguitore non prevede un guadagno di tensione ma, essendo a tutti gli
effetti un amplificatore, produce un cospicuo guadagno in potenza: per questo la
l corrente d’uscita
è molto maggiore della corrente d’ingresso.
Esaminando meglio la struttura del nostro circuito notiamo bene che esso soffre di effetto Body: la
conseguente dipendenza di VTN da VSB fa sì che il termine VK non sia più costante e che bensì
diventi funzione della tensione d’ingresso VI . L’effetto Body, dunque, incide molto negativamente
sul corretto funzionamento di quello che noi vorremmo (fin’ora senza successo) essere un
traslatore;; per risolvere questo problema potremmo pensare di collegare il bulk al source, ma
purtroppo tale eventualità è resa impossibile dal fatto che il bulk è comune a tutto il chip.
L’unico modo per ovviare a questo problema
problema è quello di utilizzare un P-
P
MOS (v. figura) e di realizzare un source follower duale a quello precedente:
il funzionamento è analogo, ma questa volta non si ha effetto Body. Body
Ancora una volta si ha
VO = VI + costante
ma in tale secondo caso, come già espresso nella formula soprascritta, VK
è davvero una costante.
Il rovescio della medaglia sta nel fatto che il P-MOS
P MOS giace sopra una well,
la quale ha una capacità che ci ostacola fungendo da “zavorra” per il
nostro segnale.
Passiamo ora all’analisi del circuito equivalente (caso N-MOS):
N

rDS1

rDS 2

In figura vediamo il circuito equivalente a un source follower a N-MOS, MOS, in cui il generatore di
corrente è stato realizzato con uno specchio (current
( mirror, par. 3.1). Esaminandone i componenti:
• le resistenze rDS1 e rDS 2 sono due resistenze differenziali d’uscita:: la prima è quella associata
al transistor con indice 1;; la seconda, invece, è la resistenza d’uscita dello specchio di
corrente (collegato
collegato al transistor 2);
• il generatore di corrente comandato gm vGS = gm1 ( vI − vO ) , rappresenta la corrente fluente in
virtù della transconduttanza del transistor 1 e verso l’uscita;
• ( )
il generatore di corrente comandato gS vSB = gS vS − vB = gS vS = gS vO simboleggia l’apporto
dell’effetto Body.
Quest’ultimo componente è, a tutti gli effetti, un generatore di corrente comandato in tensione e
posto a cavallo della tensione che lo comanda ( vO ). Si può tuttavia dimostrare che un generatore
generator
di corrente, posto in tale configurazione, è equivalente a una conduttanza pari al rapporto fra la
corrente prodotta dal generatore e la tensione ai suoi capi. Si veda infatti la figura seguente:
Operando la sostituzione del generatore con la sua
ttanza equivalente (che in figura è chiamata
conduttanza
g X ), compaiono – nel circuito equivalente
complessivo – tre conduttanze in parallelo:
sfruttando le ben note regole di composizione,

possiamo raggrupparle tutte quante in una


sola, che chiameremo G. Tale conduttanza
sarà chiaramente pari a:
1 1
G = gS + + = gS + g DS1 + g DS 2
rDS1 rDS 2
A questo punto è facile ricavare il guadagno
in tensione ai piccoli segnali: utilizzando la
legge di Kirchhoff, infatti, possiamo dire con
certezza che la corrente, attraversante i due
rami (quello del generatore di corrente e
quello della conduttanza G) presenti nel circuito equivalente disegnato in figura a destra, è la
stessa. Si ha così:
vOG = gm1 ( vI − vO ) vOG + gm1 vO = g m1 vI
vO gm1 gm1
= =
vI G + gm1 gS + g DS1 + g DS 2 + gm1
Tenendo
nendo conto che in genere si ha
gm ≫ gS ≫ gDS
possiamo dire che questo guadagno si avvicina ad 1 ma che sarà sempre più piccolo di 1.

In sintesi, possiamo considerare il nostro source follower “quasi” come un


buffer; perché lo fosse stato davvero non avremmo dovuto avere due
effetti:
1. quello prodotto dalla conduttanza d’uscita g DS 2 dello specchio di corrente;
2. quello prodotto dall’effetto Body, che porta alla famosa modulazione di canale.

Calcoliamo
iamo ora la resistenza d’ingresso5 ai piccoli segnali, definita come6:
v
Ri = I
iI
Siccome presso il gate si ha impedenza infinita, non c’è bisogno di fare alcun calcolo:
Ri → ∞

Per la resistenza d’uscita dobbiamo essere un po’ più precisi, specificando che essa è calcolata con
ingresso vI = 0 (il che siamo in assenza di perturbazioni sull’ingresso). Tale resistenza RO è
definita come:
vO 1
RO = =
iO vI = 0
gS + g DS1 + g DS 2 + gm1

5 “Con quale carico in uscita? Dipende: per ora non ci preoccupiamo


preoccupiamo di questo aspetto e non ne mettiamo alcuno.” (cit. prof)
6 Si noti l’ennesima somiglianza con la legge di Ohm.
Infatti, ai piccoli segnali (cioè alle piccole perturbazioni dell’uscita) si ha il seguente circuito (si
noti che la condizione vI = 0 è soddisfatta, perché l’ingresso è messo a massa = tensione costante):

Applicando Kirchhoff come al solito si ha:


iO + ( − g m 1 vO ) −GvO =0
  
entrante (segno +) uscente (segno -)

iO = g m 1 vO + GvO = g m 1vO + ( gS + g DS1 + g DS 2 ) vO = vO ( gS + g DS1 + g DS 2 + g m 1 )


Per cui giungiamo alla relazione scritta poco fa:
vO 1
= = RO
iO gS + gDS1 + g DS 2 + gm1

Tenendo ora conto delle


le approssimazioni
gm ≫ gS ≫ gDS
si ha si ha che la resistenza d’uscita è pari circa a:
1
RO ≅
gm1

Concludendo, avendo il source follower


• un’impedenza d’ingresso elevatissima, che consideriamo infinita,
• un guadagno di tensione approssimativamente unitario,
• una bassa resistenza d’uscita
d’uscit (carico elevato),
possiamo infine ribadire che tale circuito è perfettamente assimilabile ad un buffer e, in quanto tale,
è in grado di pilotare carichi elevati (per i quali, cioè, c’è necessità di un gran quantitativo di
corrente).

d’amplificazion common gate


3.6 – Configurazioni d’amplificazione:

In figura a sinistra viene mostrata questa nuova configurazione


d’amplificazione. Il gate del transistor 1 è a tensione costante (quindi, ai piccoli
segnali, verrà posto a massa), mentre il generatore di corrente è realizzato
tramite uno specchio di corrente P-MOS,
P ill quale è in grado di drenare corrente
“dall’alto” (ricordiamo
ricordiamo dunque che, quando fra poco andremo a disegnare il
circuito equivalente ai piccoli segnali di questo amplificatore, dovremo
ricordarci di inserire la resistenza d’uscita rDS 2 di tale specchio).
specchio
Anche questa volta è evidente, ahinoi, la presenza di effetto Body.
Body
Ai piccoli segnali, questo amplificatore è equivalente al seguente circuito:
Si noti il gate posto a massa (= tensione costante VK ai grandi
di segnali)
segnali e la disposizione dei
generatori:
• il generatore di corrente comandato − gm1vi emette corrente verso vi , in quanto rappresenta
la transconduttanza del transistor 1;
• il generatore di corrente comandato gs1vi è quello associato all’effetto Body, che questa
volta lavora per portare corrente al nodo d’uscita.
Mettendo insieme questi due generatori in uno nuovo (emettente corrente verso vO ), otteniamo
l’ultimo circuito testé riportato.

Prefiggiamoci ora di calcolare il guadagno in tensione di questo amplificatore; sfruttiamo la legge


di Kirchhoff presso il nodo d’uscita:
− vO g DS 2 + ( g m1 + gS1 ) vI + g DS1 ( v I − vO ) = 0
       
uscente (verso entrante (contributo del entrante (attraverso la
massa) generatore di corrente) conduttanza g DS 1 )

− vO ( g DS 2 + g DS1 ) + ( g m1 + gS1 + g DS1 ) vI = 0


vO g m1 + gS1 + g DS1
AV = =
vI g DS 2 + g DS1
A questo punto,
o, ecco sopraggiungere le solite semplificazioni:
gm ≫ gS ≫ gDS
Per cui si ha:
gm1 + gS1 + g DS1 g m1
AV = ≅
g DS 2 + g DS1 g DS 2 + g DS1
Siccome le g DS sono piccole (così come la g m è relativamente grande), tale guadagno è positivo
posi ed
elevato.

ingresso; per trovarla agiamo come usualmente: perturbiamo la


Passiamo alla resistenza d’ingresso;
tensione in ingresso e osserviamo di quanto varia la corrente.
iI = (
g + g )v

m1
 S1 i
+ (
v −v )g

I
O DS1
=
contributo del generatore contributo dell
della conduttanza
complessivo di corrente in parallelo col generatore

= ( gm1 + gS1 + gDS1 ) vI − vO g DS1


Osservando che la corrente iI fluisce interamente verso massa lungo il ramo di rDS 2 , esprimiamo
la tensione vO utilizzando la legge di Ohm
vO = rDS 2 iI
Si ha dunque:
= rDS 2
 
 1 
iI = ( gm1 + gS1 + gDS1 ) vI − rDS 2 iI gDS1 iI  g DS1 + 1  = ( g m1 + gS1 + g DS1 ) vI
 g DS 2 
 
 
Infine:
1 i g + gS1 + gDS1
= I = m1
RI vI gDS1
+1
gDS 2
Facendo l’ipotesi che le conduttanze g DS1 e g DS 2 siano circa uguali,, e supponendo che si abbia
gm ≫ gS ≫ g DS , otteniamo:
1 gm1 + gS1 + gDS1 gm1 2
= ≈ ⇒ RI ≈
RI gDS1 2 g m1
+1
g DS 2
Dunque, fatte le approssimazioni soprastanti, la conduttanza d’ingresso è circa la metà della
transconduttanza del transistore 1. Si noti che, essendo la gm1 piuttosto consistente,
consis la resistenza
d’ingresso risulta essere relativamente bassa: di conseguenza, in ingresso, questo circuito “ciuccia”
(cit.) un sacco di corrente.

Passiamo alla resistenza d’uscita,, la quale può essere “liquidata” in un unico passaggio:
passaggio
vO 1
RO = = rDS1 // rDS 2 =
iO vI = 0
gS 1 + gS 2

Si noti infine che, modificando la VI , non si hanno variazioni in corrente (la quale è fissata dal
generatore): siamo dunque vincolati alla resistenza dello specchio,
specchio, il quale dev’essere pertanto il
più ideale possibile.

3.7 – Configurazioni d’amplificazione: common source

Esaminiamo questa nuova configurazione: ad un’occhiata distratta


sembra che non vi siano differenze col common gate.
gate In realtà, questa
volta:
• la tensione di source VK è mantenuta
tenuta costante;
• la tensione di gate è la tensione d’ingresso VI .
Dunque l’uscita sarà in controfase rispetto all’ingresso (se quest’ultimo è
alto la corrente non fluisce verso l’uscita, dove si avrà un valore basso,
e viceversa).
L’effetto Body c’è ancora ( VSB è diversa da zero), ma non ai piccoli segnali ( VSB è costante). Il
circuito equivalente del nostro amplificatore è il seguente:

Si ha:
• il solito generatore di corrente comandato g m1v1 associato al transistor 1;
• la resistenza d’uscita rDS1 che opera sul transistor 1;
• la resistenza dello d’uscita rDS 2 dello specchio di corrente (dove è presente il transistor 2),
che forma
rma il nostro generatore di corrente.

Forti della manualità acquisita nei paragrafi 3.7 e 3.8, diamo immediatamente:
• la resistenza d’ingresso RI = +∞ , visto che siamo sul gate del transistor;
transistor
• la resistenza d’uscita RO = rDS1 // rDS 2 ;
gm1
• il guadagno: AV ≅ − gm1 RO = − = − gm1 ( rDS1 // rDS 2 ) .
G0
Come si vede, il guadagno dipende:
• dalla transconduttanza gm1 , la quale è a sua volta pari a
W
g m1 = 2 I D µC ox
L
(valori tipici: I D = 100 μA , W = 100 )
L 1, 8
• dalla resistenze rDS1 e rDS 2 , la cui generica espressione è la seguente
L
rDS = K
I
(valori tipici: Kn = 8 ⋅ 10 , K p = 12 ⋅ 106 , rDS = 128 kΩ nel caso n)
6

Con parametri simili il guadagno è di circa ‒81,4, e quindi molto elevato7.


Per guadagnare di più possiamo scegliere di aumentare la resistenza d’uscita e, per far questo,
dobbiamo aumentare il fattore di forma W , o quantomeno la L;; tale scelta è però infelice
i visto
L
che il guadagno aumenta molto lentamente con questi parametri:
L W
AV ≅ − g m1 RO = … ⋅
… ⋅ … ⋅ ⋅…
… L
Inoltre, un transistor grande è anche più lento (in particolare per via dell’aumento della CGS , ma
anche perché diffusioni più grandi
andi danno un maggior contributo capacitivo).
capacitivo)

Dobbiamo quindi scegliere un’altra strada per aumentare il guadagno e l’efficienza di questo
amplificatore. Vediamo, dal prossimo paragrafo in poi, come sia possibile farlo aumentando
l’efficienza dello specchio
io di corrente.

7 Il segno meno continua a suggerirci che è un guadagno in controfase.


SCHEMA RIASSUNTIVO
3.8 – Specchio di corrente cascode
ascode

Facciamo una piccola modifica allo specchio di corrente, aggiungendovi due resistenze, una per
ramo:

Dimostriamo che, così facendo, guadagniamo in termini termini di resistenza d’uscita.


d’uscita Per farlo,
disegniamo lo schema del circuito equivalente ai piccoli segnali:

RS
RS

In tale schema, in cui sono presenti entrambi i rami del circuito equivalente, sono contemplate:
• (ramo 1) la transconduttanza del transistore 1;
• (ramo 2) le perturbazioni di tensione d’uscita vO e di corrente d’uscita iO ;
• (ramo 2) l’azione della transconduttanza del transistore 2 e la resistenza d’uscita di
quest’ultimo;
• (rami 1 e 2) le resistenze RS che abbiamo introdotto per effettuare questa modifica dello
specchio.
Troviamo ora un’espressione per la corrente iO :
vGS = iO RS
    
iO = g m 2 ( v K − vS ) + g DS 2 vO − vS 

 
 
iO = −iO RS ( gm 2 + gDS 2 ) + gDS 2 vO
Ora possiamo calcolare la resistenza
resistenz d’uscita RO attraverso la definizione:
iO = −iO RS ( gm 2 + gDS 2 ) + gDS 2 vO iO 1 + RS ( gm 2 + gDS 2 )  = gDS 2 vO
vO 1 + RS ( gm 2 + gDS 2 )
RO ≜ = = rDS 2 1 + RS ( gm 2 + gDS 2 ) 
iO gDS 2
Si poteva immaginare che la resistenza d’uscita fosse semplicemente rDS 2 + RS (un’ordinaria serie
di due resistenze) e, invece, scopriamo che è molto di più!
più
In virtù del fatto che gm 2 ≫ gS possiamo infine scrivere:
RO = rDS 2 1 + RS ( gm 2 + gDS 2 )  ≈ rDS 2 1 + RS gm 2  = rDS 2 + rDS 2 gm 2 RS ≈ rDS 2 gm 2 RS
Il motivo di questo aumento di resistenza sta in una retroazione che il sistema compie
com sul
tentativo esterno di aumentare corrente e tensione d’uscita. Infatti:
• aumentando la tensione d’uscita vO …
• … aumentiamo anche la corrente iO (legge di Ohm)…
• … aumentiamo la caduta di potenziale ai capi della resistenza RS …
• … e cioè andiamo a incidere sulla VK , la quale, a sua volta…
• … incide sulla VGS 2 , la quale cala…
• … e porta il transistor a far passare meno corrente.
Possiamo considerare
derare l’effetto finale (e complessivo) di calo di corrente come fondamentalmente
analogo ad un aumento di resistenza.
Dunque abbiamo a tutti gli effetti migliorato lo specchio di corrente8. Ricordando infine che è
difficoltoso costruire delle resistenze nel mondo dell’elettronica integrata, sostituiamo queste
ultime con dei transistor. Siamo così giunti al cascode current mirror:

Se ora,, sulla falsariga dei risultati ottenuti precedentemente (ovvero sostituendo la RS che si
trovava nell’espressione di RO con la nuova rS 2 ), andiamo a vedere a quanto è pari la resistenza
d’uscita otteniamo:
RO ≅ gm 4 rDS 4 rDS 2
Il valore di RO è piuttosto elevato e, più precisamente,
pre si pone sull’ordine di grandezza di 107 Ω .
L’aumento notevole della resistenza d’uscita diventa ancor più chiaro se teniamo presente che la
resistenza rDS 4 (cioè quella che avremmo avuto nel caso non-cascode)
non è pari a circa 10 5 Ω , ed è
quindi 100 volte inferiore.
Dove sta la fregatura? Gli inconvenienti sono principalmente 3:
1. c’è l’effetto Body, in quanto i transistor 3 e 4 hanno il source non a massa;
2. ci servono due transistor in più
più e dunque il circuito diventa più costoso e ingombrante;

8Nel paragrafo scorso si diceva che, per un maggiore guadagno degli amplificatori
amplificatori visti, è necessario aumentare la resistenza
d’uscita dello specchio di corrente che li alimenta.
3. viene ridotto lo swing logico: mentre nel normale specchio di corrente la tensione d’uscita
d’
poteva variare da VDD a VDSAT = VGS − VT , nel cascode il limite inferiore di tensione d’uscita
passa da VDSAT all ben più consistente 2 VDSAT + VT . Infatti, per fare in modo che i transistor
2 e 1 siano in saturazione, si deve avere che9
VDS1 ≅ VDS 2 = VGS 2 > VT + VOV 2
Inoltre, affinché anche il transistore 4 si trovi in tale regione di lavoro, è necessario che
VDS 4 > VOV 4
Dunque, mettendo insieme i requisiti necessari ai due transistor per essere in saturazione,
otteniamo:
VO min = VT + VOV 2 + VOV 4
 
quel che "chiede" quel che "chiede"
il transistor 2 il transistor 4

Facendo
endo l’ipotesi che tutte le tensioni di overdrive siano uguali, e pari a VOV , si ha infine:
VSAT = VGS − VT
 
VO min = VT + 2VOV = VT + 2 (
VGS − VT )

= VT + 2VSAT
VGS = VT + VOV ⇒ VOV = VGS − VT

3.9 – Amplificatore con specchio di corrente cascode

Dopo aver esaminato i pro e i contro del


nostro nuovo tipo di specchio di corrente,
andiamo a vedere come utilizzarlo in un
circuito
rcuito di amplificazione entro il quale
inseriamo, come generatore di corrente, uno
specchio di corrente cascode. Come si vede in
figura, l’amplificatore cascode è costituito dalla
sequenza di due stadi elementari
(disposizione in stack): il primo (presso il
transistore 2) a common gate e il secondo
(presso il transistore 1, al quale gate viene
applicata la tensione d’ingresso) a common
source.

Proponendoci di vedere qual è il guadagno ai piccoli


piccoli segnali, diamo un’espressione a:
gmp
• resistenza RL = gmp rDSp
2
= 2 : questa resistenza è quella d’uscita del cascode current mirror;
g DSp
• resistenza RD 2 = gm 2 rDS1rDS 2 : è quella che vediamo sotto al drain del transistore 2. Per
calcolarla abbiamo
amo utilizzato la formula ricavata nel paragrafo precedente.
Queste due resistenze sono fondamentali, perché ci permettono di trovare la resistenza d’uscita, la
quale è il parallelo fra RL e RD 2 .
Passiamo quindi
di al guadagno ai piccoli segnali: esso è definito come

9 Ricordiamo che si ha
2ID
VGS = VT + = VT + VOV
µC Wox
L
vO vO vX
Av = =
vI vX v I
Come si vede, abbiamo astutamente moltiplicato e diviso per vX ; questa operazione, innocua ma
astuta, ci permette di separare il problema in due sottoproblemi:
sot
v
• calcoliamo O utilizzando la formula del guadagno di un common gate: la
vX
configurazione del transistore 2 inserito nell’amplificatore cascode non è
infatti dissimile a quella della figura affianco, la quale si riferisce al
a
paragrafo 3.8.. Il guadagno è dunque
vO gm 2 gm 2 2
g mp ≫ g DSp g
= =   → m 2
v X g DS 2 + G L 2
g DSp g DS 2
g DS 2 +
g mp
vX
• calcoliamo utilizzando la formula del guadagno di un common
vI
source: il transistore 1 del nostro amplificatore cascode è infatti in una
configurazione non dissimile da quella osservabile nella figura
affianco (v. par. 3.9). Per accorgersene, è sufficiente sostituire la VO in
figura a destra con la VX del cascode e porre la VK a massa (del
generatore di corrente invece non ci preoccupiamo, visto che esso
rappresenta per noi tutto ciò che c’è al di sopra del drain del
transistore 1). Detto questo si ha:
vX gm
=− (guadagno common source)
vI gDS + GL
In virtù della struttura in stack dei nostri due transistor10, GL , che nella definizione
soprascritta dovrebbe essere la conduttanza che si vede al drain del transistore 1, diventa
automaticamente GS 2 , la quale è la conduttanza d’ingresso localizzata presso
pre il source del
transistore 2. Le quantità g m e g DS in formula, invece, rimangono associate al transistor 1:
vX gm gm1
=− =−
vI gDS + GL g DS1 + GS 2
Si ha quindi
APPROSSIMAZIONI
gDS 2
1+ g DS1 ≃ g DS 2 ≃ g DSp
G L1

sarebbe la conduttanza d'uscita gDS 2 gmp gm1 ≃ gm 2 ≃ gmp
del generatore che alimenta il
transitor 1, quindi è la
1+ 2
GL = RL−1 dell'intero cascode gDSp gm 2
RS 2 = = per cui GS 2 = ≈ g DSp
gm 2 gm 2 g DS 2 g mp
1+ 2
g DSp
Sostituendo:
vX gm1 gm
=− ≈−
vI gDS1 + GS 2 gDS1 + gDSp

A questo punto mettiamo insieme i nostri risultati:

10 Source del transistore 2 e drain del transistore 1 coincidono.


vO vO vX g  gm  g gm
Av = = = m2 −  = − m2
vI vX vI g DS 2  g DS1 + g DSp  g DS 2 g DS1 + g DSp
 
Applicando le già viste approssimazioni…
(g DS 1 )
≃ g DS 2 ≃ g DSp → g DS
(g m1
≃ g m 2 ) → gm
… otteniamo:
2
gm gm gm2 1 g 
= − 2 = −  m  = − ( g m rDS )
1 2
Av = −
g DS g DS + g DS 2 g DS 2  g DS  2
Come si vede, il cascode permette di avere un guadagno ben maggiore di un amplificatore a
singolo stadio. In generale aumentando gli stadi aumenta il guadagno, ma aumenta anche la
difficoltà di progettazione.

ima considerazione sui guadagni dei vari stadi di amplificazione,, che riassumiamo qui di
Un’ultima
seguito.

COMMON SOURCE SOURCE FOLLOWER COMMON GATE CASCODE


 1  gm gm  1  Quello del common source gm2 1 gm
−gm  ≈− = gm   − = −gm
gDS + GL 
 gDS gm + GL g + GL  cambiato di segno 2
2 gDS 2
2 gDS
 m
 
RO RO RO

l’espressione del guadagno è molto simile in tutti i casi, con la


Notiamo che la forma dell’espressione
transconduttanza g m che è regolarmente moltiplicata per la resistenza d’uscita RO (ma possiamo
vedere il tutto anche come rapporto fra la transconduttanza
tra g m e la conduttanza d’uscita gO ).

3.10 – T-model

La rappresentazione a T-model di un transistor ci offre un modo alternativo (e in certi casi più


semplificante) di vedere il modello ai piccoli segnali dei nostri circuiti.

Facendo l’ipotesi di trascurare la gS , i seguenti tre schemi, relativi a un transistore MOS, sono
perfettamente equivalenti:
Consideriamo l’ultimo dei precedenti schemi: possiamo connetteree i due generatori di corrente
(“chiudendo” la maglia) e imporre sul terminale che ne risulta una tensione qualsiasi, visto che la
presenza dei generatori fa sì che tale tensione non abbia effetti sulla corrente che scorre. Potendo
applicare una tensione qualsiasi,
ualsiasi, applichiamo quella di gate;; lo schema diventa così:

vGS

A questo punto, visto che si è creato un ramo (quello di sinistra) a tensione vGS , possiamo sfruttare
resistenza pari a 1
la legge di Ohm e sostituire il generatore ivi presente con una resistenza .
gm

Una risistematina ai componenti, ed ecco che siamo giunti al T-model:


T

3.11 – Coppia differenziale

Il seguente simbolo è la rappresentazione logica di un amplificatore operazionale:


operazionale

V0 OUT

Un amplificatore operazionale
azionale è un amplificatore differenziale,, accoppiato in continua e ad
elevato guadagno (idealmente infinito). Il nome è dovuto al fatto che con esso è possibile
realizzare circuiti elettronici in grado di effettuare numerose
numerose operazioni matematiche: la somma,
la sottrazione, la derivata, l'integrale
integrale, il calcolo di logaritmi e di antilogaritmi.
antilogaritmi Essendo tale
componente un amplificatore differenziale,
differenziale, l’effetto sarà quello di moltiplicare, in uscita, la
differenza tra due ingressi per un fattore costante, il guadagno differenziale A0 . Si avrà dunque:
VO = A0 ( V+ − V− )
Risulta perciòevidente che l’uscita dipende solo dalla differenza fra il valore di V+ e V−
Questo componente può essere
sere realizzato…

… tramite BJT … con dei MOS

Concentriamoci sul circuito costruito con i MOS e prestiamo attenzione alle correnti: se sul ramo
del transistore 1 scorre, per ipotesi, la corrente I D1 , tale corrente verrà specchiata sulla parte del
ramo 1 che si trova al di sopra del nodo VO . Siccome nel circuito è presente il generatore di
corrente IO = I D1 + I D 2 (v. figura), affinché siano soddisfatte le leggi di Kirchhoff, si dovrà avere,
presso il nodo di uscita:
• una corrente entrante (da “sopra”) pari a I D1 , ovvero quella specchiata;
• una corrente uscente (verso il basso) pari a I D 2 , la cui presenza è forzata dal generatore di
corrente;
• una corrente uscente (verso il carico RX ) pari a I D1 − I D 2 .
Per cui, ai grandi segnali, si avrà
 
VO =  I D 1 − I D 2  R X  VO ∝ ( V + − V − )  VO = A0 ( V+ − V− )
 
 ∝ V+ ∝ V− 
e tutto funziona come dovrebbe.
Che accade se caviamo il carico resistivo, lasciando al suo posto la sola VO e, cioè,
un’uscita
uscita che non drena corrente?
corrente La logica (v. figura a sinistra, considerando la
solita legge di Kirchhoff) ci suggerisce che si
dovrebbe avere
I D1 = I D 2
e, tuttavia, così non accade: lo specchio,
insomma, non funziona bene! E perché mai?
La causa del problema è da riscontrarsi nella presenza del
transistore 1: se, infatti
atti (v. figura a destra), prendiamo in
considerazione la resistenza d’uscita che viene vista dal nodo
di VO verso l’interno del circuito,
circuito ci accorgiamo della
dell’esistenz della corrente I D10 ≠ I D1 .
resistenza rDS del P-MOS, la quale è il motivo dell’esistenza

A questo punto, vediamo quant’è il guadagno in corrente della coppia differenziale.


differenziale Per calcolare il
guadagno facciamo il riferimento alla struttura seguente

Ai piccoli segnali v1 − v2

Applichiamo la legge di Ohm fra i due nodi di v1 e v2 e troviamo iS , generica corrente che scorre
da sinistra a destra:
v1 − v2
→ gm ( v1 − v2 )
gm 1 ≈ gm 2 1
iS = 
1 1 2
+
gm1 gm 2
Chiaramente, visto che la corrente non può uscire dal circuito e non vi sono altre correnti afferenti
ai nodi, si ha
iS = iD1 = −iD 2
Per cui
iD = iD1 + ( −iD 2 ) = 2 ⋅ g m ( v1 − v2 ) = gm ( v1 − v2 ) = gm vD
1
2   
vD

La corrente iD è quindi proporzionale ( g m costante di proporzionalità) alla differenza fra le


tensioni d’ingresso ( vD ). Perciò g m = iD vD è il guadagno della coppia differenziale.

model
3.12 – Coppia differenziale e T-model

Consideriamo la coppia differenziale vista


nell paragrafo precedente. Numeriamo i
transistor che la compongono e andiamo a
disegnare il circuito ai piccoli segnali
utilizzando:
• la rappresentazione “classica” per i P-
P
MOS 3 e 4;
• il T-model per gli N-MOS
N 1 e 2.
Nel farlo, chiamiamo:
hiamiamo:
• v A la tensione che vi è ai capi della
transconduttanza del transistore 3;
• iS1 e iS 2 le correnti emesse dai generatori presenti nelle maglie (transistore 1 e transistore 2)
delineate dal T-model;
• iX 1 e iX 2 le correnti che scorrono sulle conduttanze d’uscita del T-model
T model.
Infine, poniamo a massa tutti gli ingressi differenziali. Quel che otteniamo è raffigurato qui di
seguito:

Ora che ci troviamo davanti alla rappresentazione


rappresentazione logica del circuito, possiamo calcolare qualche
grandezza. Iniziamo con le correnti iX 1 e iX 2 :
vX
• corrente iX 1 = (legge di Ohm);
rDS 4
vX vX
• corrente iX 2 = ≈ (legge di Ohm
m per il percorso che va da vX a massa).
rDS 2 + 1 rDS 2
gm 2
Se trascuriamo le resistenze d’uscita rDS1 , rDS 2 e rDS 4 possiamo applicare la legge di Kirchhoff al
nodo rosso e scrivere che
iX 2 + iS1 + iS 2 = 0 ⇒ iX 2 = −iS1 − iS 2
(sono tutte correnti entranti al nodo)
Se poi introduciamo la seguente approssimazione sulle transconduttanze…

g m 3 ≈ gm 4
… e ricordiamo che, trascurate le resistenze
re d’uscita rDS1 , rDS 2 e rDS 4 , abbiamo un’unica e
gigantesca maglia, otteniamo:
gm 3 v A ≈ g 4 vA (moltiplichiamo ambo le parti per v A )
 m 
= is 1 = is 2
legge di Kirchhoff legge di Kirchhoff
al nodo del ramo SX ( blu ) al nodo di vx ( verde )

iS1 ≈ iS 2 → = iS (11)

Ora possiamo mettere a frutto l’equazione scritta poco fa:


iX 2 v
iX 2 = −iS1 − iS 2 = −2iS ⇒ iS = − ≈− X
2 2rDS 2

11Questo risultato non ci deve stupire, visto che è presente uno specchio di corrente, il cui scopo è proprio quello di
forzare l’identità iS1 = iS 2 .
Vogliamo ora calcolare la resistenza d’uscita; essa è definita come
v
RO ≜ X
iX
Possiamo calcolare iX applicando la
l legge di Kirchhoff al nodo di vX (verde
verde):
g m 4 v A − iS 2 − iX 1 − iX 2 + iX = 0
gm 4 vA − iS 2 − iX 1 − iX 2 + iX = 0
 
gm 4 v A = iS 2

iX = iX 1 + iX 2
Dunque possiamo concludere che:
v vX vX 1 1
RO ≜ X = = = = = r // rDS 4
i X i X 1 + iX 2 vX vX 1 1 gDS 4 + gDS 2 DS 2
+ +
rDS 4 rDS 2 rDS 4 rDS 2
Quindi,
uindi, se manteniamo costante i potenziali d’ingresso dei
transistori 1 e 2 (cioè la V+ e la V− ) e consideriamo le resistenze
d’ingresso abbastanza basse:
• vC si mantiene ad un potenziale praticamente costante;
costante
• il transistore 1 sii comporta come un gate comune;
• il transistore 2 si comporta come un source comune.

Il fatto che il transistore 2 si comporti come un common source ci


permette di calcolare il guadagno utilizzando direttamente la
definizione:
per un source comune AV ≜ gm RO = gm ( rDS // RL )
Nella configurazione della nostra coppia differenziale, RL è la
resistenza di ciò che si vede sopra al nodo di vX , dunque
RL = rDS 4
Infine:
AV = gm ( rDS 4 // rDS 2 ) = g m RO
Questo
esto risultato conferma infine i calcoli che abbiamo fatto per trovare la resistenza d’uscita RO .

3.13 – Alte frequenze:: approssimazione a polo dominante e filtri

Fin’ora abbiamo ragionato a basse frequenze, senza cioè pienamente considerare l’apporto delle
capacità, le quali intervengono a frequenze più elevate di quelle corrispondenti a ω = τ −1 . Di per
sé, un carico capacitivo C non consuma potenza, ma dobbiamo comunque spendere energia per
caricarlo e scaricarlo:: perciò è importante esaminare che accade quando gli effetti capacitivi si
fanno sentire. Per arrivare al nocciolo della questione è tuttavia necessario introdurre alcuni punti
essenziali.

La seguente è una funzione di trasferimento del prim’ordine di tipo passa basso:


LAPLACE
s  jω
H (ω ) =
k ⇀ H ( s ) =
↽
k
ω s
1+ j 1+
ω0 ω0
• è una funzione di trasferimento12 in quanto è definita come rapporto fra l’uscita Y(s) e
l’ingresso X(s) di un sistema LTI;
• è del prim’ordine perché il denominatore è un polinomio, appunto, del prim’ordine;
• è di tipo passa basso perché, se grafichiamo H,
otteniamo qualcosa come in figura a destra. Come si
vede, sopravvivono i segnali che viaggiano in banda
base mentre tutti gli altri vengono filtrati.
Possiamo scrivere la funzione H in due modi alternativi:
 k k banda
 = frequenze
2π f f passante
1 + j 1+ j filtrate
 2π f0 f0
H (ω ) =
k
=
ω  k k
1+ j =
ω0  s 1 + sτ 0
1 + ω
 0

Nel primo modo abbiamo messo in risalto le frequenze, mentre nel secondo viene evidenziata la
costante di tempo τ 0 del sistema.
Come possiamo aumentare la selettività del filtro? Una scelta è certamente quella quel di mettere due
poli uno di seguito all’altro
13
altro come si ha, ad esempio, collegando in
cascata due circuiti RC (v. figura a sinistra).
Così
osì agendo otteniamo una
funzione di trasferimento del
second’ordine, del tipo
K ′K ′′
H ( s) =
 s  s 
 1 +  1 + 
 ω1  ω2 
per la quale viene mostrato in figura a destra un esempio di
raffigurazione. Elaboriamo ora il denominatore, che
chiameremo per comodità ∆s e le cui radici sono in
maniera evidente reali e disgiunte:
disgiunte
 s  s 
∆s =  1 +   1 +  = ( 1 + sτ 1 )( 1 + sτ 2 ) = s (τ 1τ 2 ) + s (τ 1 + τ 2 ) + 1
2

 ω1   ω2 
Ebbene, molto spesso,
sso, trattando di amplificatori, è possibile fare la cosiddetta approssimazione a
polo dominante, la quale consiste nel considerare
ω2 ≫ ω1 che implica τ1 ≫ τ2
e quindi nell’ipotizzare che il secondo polo sia talmente “in avanti” da poterlo tranquillamente
polinomio denominatore ∆s si semplifica
ignorare. Fatta questa approssimazione, la forma del polinomio-denominatore
notevolmente:
∆s = s 2 (τ 1τ 2 ) + s (τ 1 + τ 2 ) + 1 
τ 1 ≫τ 2 , ω2 ≫ω1
→ s (τ 1 + τ 2 ) + 1

12 Una funzione di trasferimento è una rappresentazione matematica della relazione tra l'ingresso di un sistema LTI (lineare
( tempo
invariante)) e la risposta del sistema stesso. È necessario che il sistema sia lineare tempo invariante o lineare invariante alla
traslazione affinché la trattazione teorica sia valida: in altre parole, tutti gli elementi
elementi facenti parte del sistema devono avere
un'equazione caratteristica lineare (in sistema elettrico, ad esempio, un diodo non è accettabile) ed i valori dei parametri che
costituiscono il sistema (come le capacità dei condensatori eventualmente presenti in un circuito) devono essere costanti
c nel tempo.
(Da Wikipedia, http://it.wikipedia.org/wiki/Funzione_di_trasferimento).
http://it.wikipedia.org/wiki/Funzione_di_trasferimento
13 Sono detti poli i valori di s che annullano il denominatore della funzione di trasferimento; parallelamente vengono definiti zeri i

valori di s che ne annullano il numeratore.


Perciò si ha:
K ′K ′′ K ′K ′′
H ( s) = ≈
 s  s  1 + s (τ 1 + τ 2 )
 1 +  1 + 
 ω1  ω2 

tavia, non è facile riuscire a porre un’equazione di secondo grado nella comoda forma
Talvolta, tuttavia,
di cui sopra; risulta altresì più facile far assumere ad ∆s la seguente struttura:
ω0
∆s = s2 + s + ω02
Q
fattor di qualità, mentre ω0 è la pulsazione di risonanza.
In questa relazione Q è detto fattore
Se Q:
• è minore di 1/2 allora abbiamo due poli (radici reali);
• è compreso fra 1/2 e 1 2 allora abbiamo, per ∆s , due radici complesse e coniugate; di
seguito vediamo il grafico della funzione di trasferimento:

• è maggiore di 1 2 si dice che le radici sono “oltre la quadratura”:


quadratura” in questo caso, come si
vede bene dal grafico sottostante, insorge il cosiddetto picco di risonanza.

Visualizzando sul piano di Gauss (v. figura a sinistra) il


movimento delle radici all’aumentare di Q, scopriremmo
che esse, dopo essere state reali e disgiunte, finiscono per
avere delle componenti immaginarie e muoversi su una
circonferenza; quando esse raggiungono le posizioni
3 3
corrispondenti agli argomenti + π e ‒ π allora si dice
4 4
che le radici sono in quadratura: di lì in poi, verso
argomenti minori in modulo (cioè, come si diceva, oltre la
quadratura), insorge
nsorge il picco di risonanza.

ESEMPIO: circuito RLC


In generale, si dice RLC un circuito che contenga solo
resistenze (R), induttori (L) e condensatori (C) (v. esempio in
figura). Il filtro RLC ha una pulsazione di risonanza pari a:
1
ω0 =
LC
La funzione di trasferimento di tale filfiltro è:
1 1
H ( s) = sC 1 LC
= 2 =
1 s LC + sRC + 1 R 1
+ sL + R s2 + s +
sC L LC
Ponendo:
ω0 R
=
Q L
Si ricava facilmente quanto deve valere Q, ovvero:
ω0 L 1 L
Q= =
R R C
Sostituendo nella formulazione di H(s) si ha:
1
ω02
H ( s) = LC =
R 1 ω
s2 + s + s2 + s 0 + ω02
L LC Q
Siamo infine facilmente riusciti a mettere il polinomio ∆s nella forma caratteristica che ci
interessa. Forti della nostra conoscenza del parametro Q,, possiamo ora facilmente intuire –
semplicemente controllando le condizioni descritte poco fa – se abbiamo o meno un picco
di risonanza.

E che accade nel dominio dei tempi?


Se prendiamo il nostro sistema LTI, caratterizzato dalla funzione di trasferimento H(s), e gli
applichiamo un gradino, allora:
• se Q è superiore a 1 2 allora si ha overshooting:

• in caso contrario non si ha alcun effetto:

Si può dimostrare che una rete costituita da sole resistenze e condensatori non sarà mai
caratterizzata da un Q maggiore di 1/2; dunque:
• non si avrà sicuramente overshoot;
overshoot
• avremo due poli e non avremo mai radici complesse coniugate.
Per poter avere queste ultime (dato che le radici complesse e coniugate consentono ad un filtro di
essere piuttosto selettivo) dobbiamo in qualche modo introdurre nel circuito il componente
“antagonista” della capacità, ovvero l’induttanza.
l

Infine, è possibile progettare anche filtri diversi dal passa-basso:


passa basso: di seguito riportiamo le forme
delle funzioni di trasferimento e i rispettivi grafici.
• filtro passa-alto (numero di poli = numero di zeri):
zeri)

Ks 2
H ( s) =
∆s

• filtro passa-banda:

ω0
Ks
H ( s) =
Q
∆s

3.14 – Alte frequenze: il ruolo delle capacità e costanti di tempo

In figura a sinistra è mostrata una configurazione d’amplificazione a


common source, in cui sono state evidenziate tre capacità:
• la capacità CGS fra l’ingresso (il gate) e il source (cioè massa);
vI • la capacità di carico C L , la quale rappresenta la circuiteria
presente all’uscita della nostra configurazione d’amplificazione;
v1
• la capacità CGD , tra il gate e il drain, che è fastidiosissima in
quanto tende a far “scavalcare” il transistore al segnale (senza invece
“farlo
farlo entrare”,
entrare come vorremmo).
Se andiamo a disegnare il modello ai piccoli segnali di questo circuitino otteniamo una cosa del
genere (NOTA: abbiamo trascurato il termine rDS ):
Come si vede,, sono presenti diverse resistenze e capacità: in particolare, è importante ricordare
che a ciascun componente reattivo (nello specifico, capacitivo) corrisponde o un polo o uno zero
nella funzione di trasferimento.
Ebbene, si dimostra che, per tali elementi capacitivi, esistono due tipi diversi di connessione
rispetto al percorso compiuto dal segnale:
• un solo piatto toccato dal segnale (v. figura a destra): in tal
caso il condensatore è una vera e propria zavorra per il
conseguenza viene introdotta una costante
segnale. Come conseguenza,
di tempo τ = RC e compare un polo nella funzione di
trasferimento;
• condensatore di by-pass, posto lungo il cammino del
segnale (entrambi i piatti coinvolti, v. figura): anche questa
volta dobbiamo fare i conti con una costante di tempo pari a
τ = RC , tuttavia abbiamo sia un polo
che uno zero. Un esempio, per questo
tipo di connessione, può essere
circuito CR (v. figura a sinistra):: funziona come un circuito
circu passa-
alto, ha uno zero in continua e un polo alla pulsazione ω0 = 1 RC .

Tornando al nostro circuito per i piccoli segnali, abbiamo:


• due configurazioni con un solo piatto toccato dal segnale = 2 costanti di tempo + 1 polo (non
cau dell’effetto Miller,, v. più avanti);
2, come sarebbe logico pensare, a causa avanti)
• una configurazione a by-passpass = 1 costante di tempo + 1 zero + 1 polo.
In totale abbiamo dunque 3 costanti di tempo, 2 poli e 1 zero; il nostro circuito può quindi essere
descritto con una funzione di trasferimento del del secondo ordine, che si dimostra essere:
 C 
gm RL  1 − s GD 
v0 gm  a = RI CGS + ( 1 + g m RL ) CGD  + RL ( CGD + C L )
=−  →  
vI s b + sa + 1
2
b = Ri RL CGDCGS + CGSC L + CGDC L 
C
Solitamente il termine s GD è piccolo e quindi si dice che l’effetto l’effetto dello zero è trascurabile;
gm
possiamo dunque semplificare:
gm RL  gm RL costante ( guadagno )
H ( s) ≈ − → 
s 2 b + sa + 1  s2 b + sa + 1 polinomio del II ordine
Dalla forma del denominatore possiamo intuire quali siano le caratteristiche della nostra f.d.t.,
indipendentemente da ciò che avviene al numeratore: sappiamo ad esempio che, se Q > 1 2,
dobbiamo aspettarci il picco di risonanza ( = overshoot nell dominio dei tempi).
tempi) Facciamo dunque
comparire Q, eguagliando il denominatore della nostra H ( s ) alla forma canonica del
second’ordine che conosciamo:
 2 1
ω0 s ω0 = b
s b + sa + 1 = s +
2 2
+ ω0 → verificata se 
2

Q Q = b
 a
Se facciamo l’analisi di Q scopriamo facilmente che è adimensionale
adimensionale e che è spesso inferiore ad 1/2
perché il denominatore a è sostenuto dal guadagno g m RL . Le radici di uno stadio common source
sono dunque reali e disgiunte: come corollario, non abbiamo né problemi di overshoot, né picchi di
risonanza. Inoltre, previo calcolo delle costanti di tempo, possiamo effettuare l’approssimazione a
polo dominante per la quale, se le radici sono reali e disgiunte, la pulsazione di taglio (cioè quella
a -3 dB) è la seguente:
H ( jω ) =
1 K
ω−3dB ≅  approssimazione della f.d.t. 
∑i τ i 1+ j
ω
ω−3dB
Dobbiamo, insomma, concentrarci sulle costanti di tempo; abbiamo detto che
sono tre:
• una prima costante di tempo, τ 1 = C L RL , è quella che agisce sull’uscita del
common source (v. figura a sinistra) e “butta giù” tutto il segnale;
• una seconda costante di tempo è
quella che scarica il segnale a massa
usando come zavorra la CGS . Essa è pari a
τ 2 = RiCGS ;
• la terza costante di tempo, τ 3 , è quella che bypassa il
segnale verso l’uscita ed è anche la meno immediata
da determinare: per riuscire in tal intento è infatti
necessario disegnare un secondo circuito equivalente ai piccoli segnali, dove compaiono
randezze che ci interessano (resistenze e generatori, senza capacità)
esclusivamente le grandezze capacità).

Il circuito che ci interessa,, e che ci permetterà di calcolare la resistenza RX vista da CGD , è il


seguente (NOTA: abbiamo trascurato le capacità):
capacità)

v1

gm v1

Effettuiamo qualche calcolo:


v1 = iX RI (legge di Ohm)
v −v
−iX − 1 X − g m v1 = 0 (legge di Kirchhoff)
 RL 
uscente   uscente
uscente
= iX

 v1  −v1 + vX v
 = − gm v1 (sostituiamo iX con la quantità 1 = iX )
 RI  RL RI
v1 −v + v
RI RL = 1 X RI RL − gm v1 RI RL (moltiplichiamo per RI RL da entrambe le parti)
RI RL
v1 RL = − v1 RI + vX RI − gm v1 RI RL
vX RI vX RI
= = RX = RI + RL + gm RI RL (sostituiamo v1 con iX RI )
v1 iX RI
Per cui possiamo scrivere che:
τ 3 =  RI + RL + gm RI RL  CGD
Dunque questo è il risultato della sommatoria:
∑τ i = τ 1 + τ 2 + τ 3 = CL RL + RI CGS +  RI + RL + gm RI RL  CGD = τ T
i

Ora siamo in grado di conoscere il valore della pulsazione di taglio:


1 1
ω−3dB ≅ =
∑τi
i
τT

Procediamo quindi con l’approssimazione a polo dominante:


H ( jω ) ≈ H ( s) ≈
K K K
→
Laplace
=
ω 1 1 + sτ T
1+ j 1+ s
ω−3dB ω−3dB
NOTA: il termine τ T è uguale
ale alla costante a della funzione di trasferimento del II ordine, la quale
era:
a = RI CGS + ( 1 + gm RL ) CGD  + RL ( CGD + C L ) = RI CGS + RI CGD + gm RI RLCGD + RLCGD + RLC L =
= RI CGS + RLC L + ( RI + RL + gm RI RL ) CGD = τ T
Dunque l’approssimazione fatta, oltre a farci risparmiare moltissimi calcoli, può essere molto
precisa (a meno che le radici
ici non siano reali e disgiunte: in tal caso abbiamo qualche problema che
qui non approfondiremo).

Infine, una domanda: quale fra le tre costanti di tempo è quella più dannosa? Dove mettiamo le
mani? In realtà non è possibile rispondere univocamente a questaquesta domanda;
do occorre bensì
effettuare l’approssimazione a polo dominante e, solo allora, capire quale τ è più influente per
potervi intervenire. Una cosa è tuttavia sicura: bisogna assolutamente evitare la soluzione
analitica!

3.15 – Effetto Miller

Non abbiamo però ancora sciolto un ultimo nodo, relativo a un passo del paragrafo scorso:

“[…] due configurazioni con un solo piatto toccato dal segnale = 2 costanti di tempo + 1 polo (non 2,
come sarebbe logico pensare, a causa dell’effetto Miller, v. più avanti)”

L’effetto Miller si ha quando due condensatori condividono lo stesso piatto; questo era proprio ciò
che si verificava nel modello a piccoli segnali che avevamo disegnato:

Quando trattiamo delle capacità, ad esempio per misurarle, utilizziamo sempre il seguente
metodo operativo: prendiamo un condensatore, modifichiamo la tensione ai suoi estremi ( V1 da
una parte e V2 dall’altra, facciamo variare ∆V2 − ∆V1 = ∆V ), valutiamo il flusso di
carica ∆Q e poi calcoliamo il rapporto
∆Q
∆Q = C  ∆V1 − ∆V2  ⇒ C =
∆V1 − ∆V2
Che accade ad applicare questo metodo in un circuito in cui è presente un
amplificatore invertente (v. figura a
destra)? Nel caso generale
general (ovvero con A
qualsiasi) si ha:
∆Q = C ∆V1 − C ∆V2 = C ∆V1 − C ( − A∆V1 ) = C ( 1 + A ) ∆V1
 
∆ V2

Per cui questo circuito è equivalente a quello raffigurato


qui sotto: come indicato, la capacità C ( 1 + A ) è detta
capacità di Miller:

Detto questo, possiamo ricondurci al nostro


nost schema, considerare la CGD una capacità di Miller
(visto che dal gate porta al drain, dove c’è il segnale amplificato) e raggruppare gli effetti capacitivi
di CGD e CGS in un’unica costante
tante di tempo14:

τ ′ = RI CGS + ( 1 + A ) CGD 
Come conseguenza di ciò, si può dimostrare che abbiamo un solo polo invece che due15.

3.16 – Cascode e capacità

In figura a fianco vediamo lo schema del nostro ormai


familiare amplificatore cascode, completo
compl di tutte le capacità
RO che insorgono se si lavora ad alte frequenze. Come prima
cosa, sommiamo fra di loro le capacità che sono in parallelo.

Come si nota, alcune di queste sono legate al drain del


transistore 1 (= source del resistore 2)
CS 2 = C D 1 = CSB 2 + C DB1 + CGS 2 (primo parallelo)
mentre altre fanno capo al drain del transistore 2:
C D 2 = CGD 2 + C DB 2 + C L (secondo parallelo)

14
Riporto le testuali parole del prof, per chi fosse in grado di capirle: “Il piatto comune, in pratica, fa sì che la capacità si suddivida in
due: una parte va a finire su un polo, l’altra
’altra confluisce in uno zero. Dunque i poli sono soltanto 2”.
15 Cfr. Gray-Meyer, pag. 491.
Si noti che CGD 2 è la fastidiosissima capacità che fa scavalcare il transistor al segnale.
Se andiamo a fare
re il circuito ai piccoli segnali otteniamo il seguente schema:

Infine, prima di passare all’analisi del tutto, precisiamo i valori de:


• la conduttanza d’uscita GL del cascode current mirror (generatore di corrente del ramo
superiore):
1
GL = 2
⇒ RL = g m rDS
2

gm rDS
• la resistenza che si vede al nodo presente fra il transistore 2
(che, come sappiamo, è a tutti gli effetti un common gate, v.
figura a destra) e il transistore 1: senza rifare calcoli già visti,
scriviamo che
g DS( 2 )
1+ 1 + g DS( 2 ) gm rDS
2
GL (2)
RI = = = 1 + rDS( 2 ) ≅ rDS( 2 )
gm gm
Tale resistenza rDS è stata anche evidenziata nel circuito ai piccoli segnali disegnato poco
sopra.

Neanche un folle penserebbe seriamente di risolvere questo circuito, per cui lanciamoci
nell’approssimazione a polo dominante:
ominante: questa volta, visto il numero di capacità presenti nello
schema, le costanti di tempo saranno
quattro:
• τ 1 = RI CGS1 (verde);
• τ 2 = ROC D 2 (rossa);
1
• τ3 = r CS 2 (blu);
2 DS

parallelo delle due
rDS viste da CS 2

• τ 4 = rX CGD1 .
Dobbiamo
mo ora capire a quanto sia pari rX , ovvero la resistenza che vede la CGD1 ; essa equivale a
RI ≈ rDS
1  1
rDS + g m  RI rDS  ≅ rDS ( 1 + g m RI ) ≅
1 1
rX = RI + 2
g m rDS = RO
2  2  2 2

Possiamo perciò calcolare la frequenza (o, meglio, la pulsazione) di taglio sommando tutte le
costanti di tempo:
1 1 1
ω−3dB ≅ = =
∑τ
i
i
τ1 +τ 2 +τ 3 +τ 4 τT

Quale fra le costanti di tempo ci dà più fastidio? Sicuramente si ha che CGS ≫ CGD , tuttavia CGD è
moltiplicata per rX e quindi è molto probabile
probabile che sia proprio lei la costante di tempo dominante.
Osserviamo infine che ci troviamo davanti ad un ennesimo trade-off; essendo consistente la
quantità al denominatore, la pulsazione di taglio (e quindi la banda) del cascode risulta essere
relativamente bassa: dunque il cascode ci permette sì di avere un maggior guadagno, il tutto però a
spese di una banda operativa inferiore. Questo aspetto verrà ulteriormente precisato nel prossimo
paragrafo.

3.17 – Il prodotto GBW

Esaminiamo il circuito in figura: il suo guadagno, che può essere


espresso nella forma che ormai conosciamo benissimo, è
AV 0 = − gm RO ≅ − gm RL
Se consideriamo la g DS trascurabile, allora è facile anche ricavare la
pulsazione di tempo del circuito:
1
ω−3dB ≅
RLC L
Si definisce quindi GBW (Gain BandWidth) il prodotto fra il guadagno e
la larghezza di banda:
gm
GBW ≜ AV 0 ω−3dB =
CL
Di fianco vediamo graficata la risposta del
nostro circuito (una classica risposta del
prim’ordine).. Se facciamo l’ipotesi
l’ipo che una
decade sull’asse delle x sia pari, come scala del
grafico, ad una decade sull’asse y, allora
l’angolo cerchiato in figura sarà veramente pari
a 45°. Ciò significa che vi è equivalenza fra AV 0
e la lunghezza del tratto segnato
gnato in rosso;
dunque, il punto d’intersezione fra il grafico e
l’asse x si trova ad un’ascissa pari alla somma
del tratto blu (pari alla pulsazione di taglio) e
del tratto rosso:: tale somma, essendo il diagramma di tipo logaritmico, diventa un prodotto e –
precisamente – diventa proprio il nostro GBW!
blu ⋅ rosso = ω−3dB AV 0 = GBW
Il gain bandwidth è importante in quanto è un
invariante per il nostro sistema. Infatti, cambiando un
parametro (ad esempio la resistenza di carico),
immediatamente si modificano anche le quantità
ω-3dB e AV 0 , ma non il loro prodotto (cioè la GBW).
GBW) E
qui sta il senso della considerazione
considera finale del
paragrafo 3.18, sul trade-off tra guadagno e banda.
Come riprova
prova di ciò che abbiamo appena
appena detto, aumentando il guadagno del dispositivo in
seguito all’introduzione di un secondo stadio (e ( finendo nella configurazione cascode), si dimostra
che il rapporto fra g m e la capacità di carico C L rimane costante (v. figura sopra). Infatti:
1 2 2 gm 1 1
AV 0 = − g r RO = ω-3dB = =
2 m DS 2
2 gDS ROC L 1 gm rDS
2
CL
2
gm
GBW ≜ AV 0 ω−3dB =
CL

3.18 – Il source follower e i piccoli segnali: considerazioni sulla capacità

Prendiamo un amplificatore inin configurazione source follower e


mettiamo in evidenza (v. figura):
• la capacità CGS applicata al gate (sul quale andiamo a
collegare il segnale d’ingresso);
d’ingresso)
• la C I , che rappresenta la generica capacità del nostro
no
circuitino col resto del mondo.
mondo
Come tali capacità influiscono ad alte frequenze?
Iniziamo con la CGS : essendo
ssendo essa una capacità fra ingresso e
uscita, tra l’altro con due condensatori che condividono lo stesso
piatto, avremo certamente effetto Miller, il quale tuttavia non
sarà molto marcato perché il guadagno del source follower è
inferiore ad 1.
Contrariamente all’esempio che facemmo nel paragrafo 3.17, infatti, il guadagno dell’amplificatore
è senza inversione di fase, dunque
ue la capacità viene “riflessa” come se fosse negativa16:
 
C 1 −  A 
 "riflessione" 

Andiamo ora a delineare la forma della funzione di trasferimento del nostro circuito:
v0 A0 ( gm + sCGS ) ω0
2

=
vI ω
s2 + 0 s + ω02
Q
Da questa espressione possiamo ricavare la pulsazione di ttaglio
aglio e il termine Q:
GI ( gm + GS ) GI ( gm + GS ) CGSCS + C ′I ( CGS + C L ) 
ω0 = Q=
CGSC L + C ′L ( CGS + C L ) GI C L + C I′ ( gm + GS ) + CGSCS
Discutiamo il termine Q: inserendo i dati nella nostra formulina (si fa per dire) siamo certamente
in grado di sapere se tale termine è maggiore o minore di 1/2 (e possiamo perciò fare tutte le
nostre considerazioni sulla presenza o meno di un picco di risonanza, etc…). In genere, ahimè,
saremo sfortunati in quanto, grazie all’effetto della CGS , sarà probabile avere radici complesse e
coniugate. Come possiamo fare ad evitare il fastidioso picco di risonanza? Beh, è senz’altro

16
Chiaramente una capacità negativa non può esistere come componente passivo, così come non poteva esistere la
resistenza negativa di cui abbiamo trattato tempo fa: non si tratta infatti di effetti riscontrabili nella realtà dei fatti, ma
solo di conseguenze imputabili al modello che abbiamo scelto. In tale modello, i conti tornano se consideriamo
l’apporto dell’energia interna dei componenti.
necessario agire sulle altre variabili, in particolare su C L : il problema è che, aumentando troppo la
capacità d’uscita
• il circuito diventa più lento visto l’aumento della costante di tempo τ T ≅ ROC L
1
• diventiamo più selettivi in frequenza. ω-3dB ≅
ROC L
Siamo dunque di fronte all’ennesimo trade-off da valutare in sede di progetto.

Nelle applicazioni, il source follower è spesso usato come buffer.


CAPITOLO 4
Lo scaling

4.1 – Introduzione: capacità, resistenze e costante di tempo

Consideriamo un chip di silicio, contenente diversi


elementi funzionali fra loro collegati.
collegati Se su uno di essi
si genera un segnale,, è ragionevole pensare che sarà
necessario il trascorrere di un certo periodo di tempo
affinché esso venga comunicato agli altri. Il tempo in questione
dipende da due quantità: dalla resistenza della linea che collega gli
elementi funzionali e dalla capacità che tale linea instaura verso
massa. La linea di
collegamento, infatti,
si trova ad un certo
potenziale e, per questo, si polarizza col piano di
massa: avremo dunque l’instaurazione di un
campo elettrico fra il path (cioè il collegamento
metallico che mette in comunicazione gli elementi
elementi del circuito) e il supporto del chip. La presenza
di una resistenza e di una capacità certo ci fa pensare ad una costante di tempo propria del
collegamento:: tale costante, assimilabile a quella di un semplice circuito RC, RC ci dà un’indicazione
sulla reattività del circuito, cioè sulla sua rapidità di risposta1.
Esaminiamo dunque:
• la capacità: la definizione “classica” di capacità si
riferisce all’usuale esempio di campo
instaurantesi
ntesi fra due armature di un
condensatore. Detta A l’area di tali armature, t la
loro mutua distanza e ε la costante dielettrica
del mezzo, la capacità C è definita come:
A
C ≜ε
d
Purtroppo, tale formula è valida in un caso ideale, in cui il
campo è formato da linee inee di forza perfettamente parallele
fra loro. Una tale situazione è però solo teoricamente
realizzabile, visto che,, nella realtà, si forma anche un
campo aggiuntivo “di bordo” detto fringing field (v.
figura). La capacità “vera”, fatta quest’osservazione,
quest’osservazione
diventa quindi leggermente maggiore di quella che ci
suggerisce la definizione:
A
C >ε
d
• la resistenza:: esaminiamo uno un spezzone di conduttore, parte integrante di un collegamento
(ad esempio una linea di trasmissione),
tra , avente forma di un parallelepipedo. Sia tale

1Immaginando infatti di far variare istantaneamente, con un gradino, la tensione di un generico terminale del nostro
chip, posto a tensione Vi , avremo che un elemento
elemento locato nelle vicinanze recepirà tale tensione solo dopo un certo
lasso di tempo, dovuto ad un processo di “carica” non dissimile da quello che si ha in un circuito RC.
conduttore lungo L, alto H, largo W, e disti t dal piano di massa cui lo riferiamo; allora, la
resistenza complessiva di questo conduttore sarà pari a
L
(seconda legge di Ohm) R=ρ
WH
( ρ Ωm  è la resistività , il prodotto WH è
2 ,3

la sezione trasversale del conduttore)


f
Poiché H è costante per ogni specifica tecnologia, si
può riscrivere la relazione appena illustrata definendo
una “R-square” avente la seguente forma:
ρ Ω
R□ =
H  □ 
Il motivo per cui si definisce una resistenza così insolita è che tale parametro è spesso
fornito dai costruttori;; da esso è chiaramente possibile passare alla resistenza complessiva
attraverso la relazione
L
R = R□
W
(L / W è il numero di “quadrati” del collegamento)

Che accade se scaliamo (cioè rimpiccioliamo)


rimpiccioliamo di S volte la nostra tecnologia?
• Capacità: la capacità cala S volte tanto. Infatti:
W L
A WL A′ S S 1 WL 1
PRIMA C =ε =ε DOPO C′ = ε =ε = ε = C
t t t t S t S
C
S
• Resistenza:: la resistenza aumenta S volte tanto. Infatti:
L
L S L
PRIMA R=ρ DOPO R′ = ρ =Sρ = SR
WH W H WH

S S R

• Costante di tempo: la costante di tempo non varia. Infatti:


1
PRIMA τ = RC DOPO τ ′ = R′C ′ = SR C = RC = τ
S

4.2 – Densità di corrente

La tendenza attuale è quella di realizzare, a parità di tensione, dispositivi sempre più piccoli:
questo porta inevitabilmente ad un aumento della densità di corrente, aumento che può risultare
pericoloso se pensiamo al fatto che, superato
superato un certo limite di densità di corrente, sussistono
indesiderati fenomeni fisici (elettroevaporazione).. Ricordando, infatti, che la densità di corrente è per
definizione pari a
I
J=
A

2 L’inverso della resistività è un parametro notevole chiamato conducibilità σ [S m‒1].


−8
3 Valori tipici di resistività: alluminio  2 ,7 ⋅10 − 8 Ω m , rame  1, 7 ⋅ 10 Ωm .
sezione trasversale del conduttore. Elaborando tale relazione
dove I è la corrente e A è l’area della sezion
si ha:
Definizione

di tensione

I 1 V V HW V EL E
J= = = = = =
A A R
 WH
 ρL ρL ρL ρ
= I (1° legge =A = R (2° legge
di Ohm) di Ohm)

Abbiamo ottenuto nientemeno che la legge di Ohm puntuale detta anche applicata ai continui:
E  1
J= ⇒ J = Eσ σ = 
ρ  ρ
L’effetto che lo scaling ha su questa grandezza è quindi ben visibile nella seguente relazione:
V V V
J′ = = =S = SJ
ρ L′ L ρL
ρ 
S J

La densità di corrente aumenta del fattore di scaling S.


L’unica maniera per ovviare a questo problema è quella di ridurre la tensione d’alimentazione e
proprio questo, infatti, è ciò che sta avvenendo nel mondo dell’elettronica: tale progressivo
abbattimento di V, tra l’altro, ha anche la positiva conseguenza di ridurre il consumo per i
dispositivi che lavorano a frequenze elevate. Si è passati dunque dai 5 V ai 3,3 V (standard più
comune), ma esistono già tecnologie più raffinate a 1,2 V e sono in sperimentazione dispositivi
funzionanti a 0,5 o 0,33 V.

4.3 – Scaling locale e scaling locale a resistenza costante

Lo scaling può non essere uniforme e differenziarsi fra i diversi componenti


componenti del circuito. Ad
esempio, si potrebbe ridurre l’intero chip di un fattore SG (scaling globale) e i singoli elementi di un
): risulta evidente che, in tal caso, la miniaturizzazione dei sottodomini è
fattore S (scaling locale):
diversa da quella dell’intera struttura. Tale scelta può essere presa, per esempio, con lo scopo di
far stare più componenti su una stessa estensione d’area.

Se tutti i componenti sono ridotti di S volte, si


hanno i risultati già visti in precedenza:
R →
diventa
RS
C  →C
S
τ  →τ
V
J  → JS (oppure J  → J se V 
→ )
S
Se invece,, facendo riferimento alla figura soprastante, nella quale sono raffigurati due conduttori,
facciamo uno scaling locale detto a resistenza costante:
• riduciamo di un fattore S le quantità H, W, WS e t;
• riduciamo di un fattore S la distanza L fra i componenti.
In tal caso, la variazione delle nostre grandezze è la seguente:
R  → R (da qui la denominazione a resistenza costante)
C  →C
S
→τ
τ 
S
4.4 – Scaling globale e scaling globale a dimensione costante

Continuando a fare riferimento alla figura del paragrafo precedente, lo scaling globale consiste:
• nel ridurre di un fattore S le quantità H, W, WS e t;
• nell’aumentare di un fattore SG la distanza L fra i componenti.
In tal caso si ha:
R 
→ S 2SG R
C 
→ SGC
τ 
→ S2SG2τ
Come si nota, tale tipo di scaling ci limita moltissimo: è però importante sottolineare che tali
problematiche si manifestano soltanto nella
nella comunicazione fra i sottoblocchi e non localmente.

Se invece effettuiamo uno scaling globale a dimensione costante:


• manteniamo costanti le quantità H, W, WS e t;
• aumentiamo di un fattore SG la distanza L fra i componenti.
Allora si ha:
R 
→ SG R
C 
→ SGC
τ 
→ SG2τ

Visto l’aumento delle caratteristiche R e C, e per


ovviare al problema di comunicazione fra un
sottoblocco e l’altro, conviene utilizzare dei buffer,
cioè degli amplificatori (in corrente) che ricopino in
uscita il segnale che ricevono
cevono in ingresso. In tal
modo possiamo pilotare carichi più consistenti4.

4.5 – Scaling e fringing field

Nel paragrafo 4.1 ci siamo limitati


limitat a dire che, a causa del fringing field, la capacità risultava essere
più grande di quanto suggerisse la definizione classica. Vediamo ora cosa succede a tale campo in
virtù di uno scaling.
È intuitivo comprendere (v. figura) che la capacità associata al fringing field non cala con la
riduzione del componente:

Fortunatamente esistono delle relazioni semplificate che permettono di “disaccoppiare” la


componente capacitiva generata dal fringing field da quella dovuta alle linee di forza parallele (cioè
quelle della definizione relativa al caso ideale). In pratica si ha l’equivalenza fra:

4 Cioè meno resistivi e richiedenti, per questo, più corrente.


• un conduttore largo W, spesso H e distante t0 dal piano di massa in cui sussistono sia il
ampo “classico” che quello di fringing field…
campo

• … e l’effetto complessivo dovuto a due conduttori: uno cilindrico (diametro H), che da solo
rappresenta il campo di bordo, e un altro simile a quello del punto precedente, largo
H
W − , ugualmente spesso,
spesso ma senza effetto di fringing.
2
H
W−
2

Così agendo, abbiamo per il nostro conduttore la seguente espressione (comoda e analiticamente
sviluppabile) della capacità per unità di lunghezza:
lunghezza
ε H 2πε H
c = W −  + (valida per W ≥ )
t 2  t  2
ln  
H

Ricorrendo a simulazioni elettromagnetiche è anche possibile anche graficare l’andamento della


capacità all’aumentare del rapporto W :
H
H
T

W
H

4.6 – Scaling e capacità interlinea

Se abbiamo più linee affiancate (o anche su più strati diversi),


diversi), si presentano due tipi di capacità:
• un primo gruppo di capacità (che indicheremo
con CG ) si instaura fra ogni conduttore e massa;
• un secondo insieme di capacità, dette di
interlinea (raggruppate sotto il termine C INT ), si
manifesta mutuamente fra i conduttori presi due a
due.
In figura vediamo l’andamento di entrambe le capacità, e della capacità complessiva C INT + CG , al
variare del rapporto W :
H

Notiamo, nei pressi di W = 2 (precisamente attorno a 1,75(5)) si ha il minimo valore di capacità


H
complessiva.

A titolo informativo, accenniamo al fatto chee la tendenza attuale è quella di fare piste più strette
che alte6: questo comporta un calo del rapporto W e, purtroppo, un peggioramento
H
complessivo della situazione per quanto riguarda la capacità C.

5 Valore calcolato statisticamente.


6 Si intende altezza “del conduttore” e non altezza “dal piano di massa”.
CAPITOLO 5
Linee di trasmissione

5.1 – Parametri concentrati e parametri distribuiti

Consideriamo un semplice conduttore, avente lo


scopo di trasmettere un segnale. Due sono i modi
di considerare questo componente:
• modello concentrato (lumped): tale modello
prevede che la resistenza e la capacità (così come
l’induttanza e la conduttanza verso il piano di
massa, anch’essi parametri importanti ma che più
avanti scopriremo essere meno influenti), caratteristiche proprie della nostra elementare
linea di trasmissione, vengano concentrate in un unico componente (resistivo, capacitivo,
etc…). Seguendo tale approccio possiamo, ad esempio, sostituire il conduttore con un
singolo circuitino RC;
• modello distribuito (distributed
distributed): questo modello, più preciso,, tiene conto del fatto che la
resistenza, come la capacità e le altre grandezze, non sono realmente ed interamente
concentrate in un unico punto del conduttore, bensì distribuite in tutta la sua lunghezza.
Per tenere conto di ciò, si sceglie di dividere la
la nostra linea in tanti segmentini infinitesimi
di lunghezza ∆x e di associare ad
ognuno di essi un componente
elementare per ogni importante
grandezza elettromagnetica che lo
riguarda. In figura si vede uno
spezzone del nostro conduttore
cond
consistente in tre elementi
infinitesimi, ad ognuno dei quali è
stata associata:
o una resistenza pari a r ∆x . Il parametro r è la resistenza per unità di lunghezza della
nostra linea;
o una capacità verso massa pari a c∆x . Il parametro c è una capacità per unità di
lunghezza.
Per ogni spezzone i, inoltre, definiamo la tensione ai suoi capi vi e la corrente verso il
condensatore I i .

Concentriamoci ora sul modello distribuito ed iniziamone l’analisi sfruttando una delle più note
relazioni differenziali:
dV
I =C
dt
Tale relazione ci suggerisce la seguente forma per la corrente Ii :
dV i
I i = c ∆x
dt
Possiamo trovare la stessa grandezza Ii anche utilizzando la legge di Kirchhoff:
Kirchhoff

Ii =
(V i +1
− Vi ) + ( Vi −1 − Vi )
=
∆Vi +1 − ∆Vi
r ∆x r ∆x
Possiamo quindi scrivere:
dVi ∆Vi +1 − ∆Vi
c ∆x =
dt r ∆x
dV ∆Vi +1 − ∆Vi
rc i =
( ∆x )
2
dt
Se ora facciamo tendere ∆x a zero otteniamo la seguente equazione differenziale del secondo
second
ordine (non risolvibile in forma chiusa):
dVi d 2 Vi
rc =
dt dx 2
Questa equazione è detta della diffusione.
diffusione

È sperimentalmente provato che la


rappresentazione lumped è più imprecisa
rispetto a quella distributed,, e tuttavia ne
faremo largo uso: in primo luogo, infatti,
essa è più semplice da gestire; inoltre,
facendo i calcoli, rispettiamo a nostra
insaputa l’ingegneristica filosofia del caso
peggiore, in quanto, per uno stesso
circuito, la rappresentazione a parametri
concentrati è sempre meno reattiva (cioè
più lenta, come suggerisce il grafico a
destra) rispetto a quella a parametri distribuiti, che è allo stesso tempo più “ottimistica” e più
vicina alla realtà. Si faccia riferimento alla seguente tabella per qualche valore notevole della
costante di tempo, calcolata nei due casi:
SOGLIA LUMPED DISTRIBUTED
50% 0,7RC 0, 4RC
63% RC 0, 5RC
90% 2, 3RC RC

Anche qui risulta evidente che la rete distributed è più veloce rispetto alla corrispettiva lumped.

5.2 – Il ritardo di Elmore

Molto spesso, quando prendiamo in


considerazione delle reti complesse, ci capita di
avere sistemi collegati a sottosistemi tramite
configurazioni ad albero. Tali configurazioni
prevedono che i componenti siano fra loro
collegati tramite percorsi conduttivi differenti, i quali si diramano man mano che l’albero si
estende. L’avere percorsi diversii implica che anche i ritardi di propagazione (che certamente
dipendono dalla lunghezza delel percorso) saranno eterogenei.

ntrodurre il cosidetto teorema di Elmore e, a tal fine, consideriamo una


A questo punto ci è utile introdurre
orrispondenza 1 a 1 tra i componenti resistivi e quelli capacitivi
rete ad albero in cui vi è una corrispondenza capacitivi.
Numeriamo resistenze e capacità associandovi, come indice, quello
quello del ramo cui fanno parte,
come si vede nella figura seguente.

Fissato un nodo d’ingresso s, chiamiamo


hiamiamo la seguente quantità resistenza di percorso condivisa fra i
nodi i e k:
Rik = ∑ Rj : Rj ∈ path ( s → j ) ∩ path ( s → k )
j

In pratica, tale quantità rappresenta quella parte di resistenza condivisa dai percorsi del nodo
sorgente s ai nodi k ed i.
ESEMPI:
• Ri 4 = resistenza condivisa tra il ramo i e il ramo 4, per il percorso avente come nodo
sorgente quello che abbiamo chiamato s  Ri 4 = R1 + R3 .
Infatti, se tracciamo i percorsi s → i ed s → 4 , ci accorgiamo di oltrepassare in entrambi i
casi le resistenze R1 ed R3 ;
• Ri 2 = R1 ;
• Ri 3 = R1 + R3 .

Si dice ritardo di Elmore la quantità:


τi = ∑R C
k =1,i
ik k

Tale parametro, ad esempio per il nodo i, sarà pari a1:


τ i = C1R1 + C2 R1 + C3 ( R1 + R3 ) + C4 ( R1 + R3 ) + Ci ( R1 + R2 + R3 )

A questo punto utilizziamo il teorema di Elmore per valutare il ritardo della nostra linea
distribuita, schematicamente illustrata in figura
figura.

Calcoliamo τ per:
• il nodo 1: RElmore = r ∆x τ 1 = c∆x ( r ∆x )

1 Si noti la somiglianza con l’approssimazione a polo dominante.


• il nodo 2: RElmore = 2r ∆x τ 2 = c∆x ( r∆x ) + c∆x ( 2r ∆x )
• il nodo 3: RElmore = 3r ∆x τ 3 = c∆x ( r∆x ) + c∆x ( 2r ∆x ) + c∆x ( 3r∆x )
… e così via.
Supponendo di dividere la nostra linea in N segmenti, il ritardo di Elmore assume questa forma
generalizzata:
2 N ( N + 1)
costante di tempo del nodo n-esimo  τ N = rc ( ∆x )
2
Facendo le ipotesi che
• la lunghezza complessiva della linea di trasmissione sia p pari a X (e quindi ogni segmentino
X
di linea sia pari a ∆x = )
N
• N tenda ad infinito
allora il ritardo di Elmore diventa:
(
∆x )
2

1 X 2 N ( N + 1 ) N →∞ 1 1 RC
τN = rc 2   → rcX 2 = rX =
 cX
2 N 2 2 2 R C 2
1
Si noti dall’espressione τ N = rcX 2 che il ritardo cresce quadraticamente con la lunghezza X della
2
tratta. Notiamo inoltre che il ritardo di una rete distribuita è la metà di quello che avremmo
ottenuto facendo il calcolo analogo ma nel caso lumped (=RC):: ancora una volta abbiamo la
azione che, facendo i calcoli con il modello a costanti concentrate, stiamo “dalla parte del
dimostrazione
sicuro”, prendendoci un margine decisamente maggiore rispetto al caso distributed.

5.3 – Linea LC

Rimanendo all’interno del modello a costanti distribuite, sostituiamo


sostituiamo ora le resistenze con delle
induttanze (l = induttanza per unità di lunghezza)
lunghezza):

Il delta (cioè la variazione) di tensione tra un nodo e l’altro è chiaramente:


di ( x )
∆v ( x ) = v ( x + ∆x ) − v ( x ) = − l∆x per un’induttanza si ha infatti  v ( t ) = L
di
dt dt
Similmente, il delta di corrente fra i nodi è pari a:
dv ( x )
∆i ( x ) = i ( x + ∆x ) − i ( x ) = − c ∆x per un condensatore si ha infatti  i ( t ) = C
dv
dt dt
Portando ∆x  → 0 possiamo mettere a sistema queste due relazioni…
 dv di
 dx = −l dt

 di = −c dv
 dx dt
…per ottenere un’unica equazione differenziale del II ordine:
d2 v d2 v
= lc equazione delle onde
dx 2 dt 2
 s2  1  m2 2
Si noti che l’unità di misura di lc è  2  e che, di conseguenza,  2 ≜ u  è una velocità al
m  lc  s 
1
quadrato. Tale velocità, ovvero ≜ u , è precisamente quella col quale si propaga il segnale
lc
all’interno della linea di trasmissione.

Come viene fatto notare in figura, una linea di tipo LC (fatta l’ipotesi visibilmente
visi irrealistica che
non vi sia alcun contributo resistivo) non perturba il segnale2.
Questo fatto è spiegabile attraverso la stretta relazione che vi è
fra l’induttanza e la capacità, entrambe fortemente relazionate
coi campi elettrico E e magnetico H(3) (
. L’induttanza, infatti,
provoca (fig. a destra) la generazione di campo magnetico a
partire da spire, fili et similia, mentre la capacità (fig.
sottostante) è legata
alla presenza di un
campo elettrico fra
due conduttori (che, nel nostro caso, sono i due fili
della linea di trasmissione ordinaria).
ordinaria) Questi legami
sono tra l’altro ben visibili all’interno delle definizioni

Q ∫∫ φ ∫∫
D dS B dS
C= = S
L= = S

V V I I
dove φ è il flusso magnetico, D = ε E l’induzione
elettrica e B = µ H l’induzione magnetica.

La velocità di propagazione dell’onda è un fattore tutt’altro che di poca importanza. Abbiamo


infatti detto che è pari a
1 1 1
u= = = (4)

lc εµ ε r ε 0 µr µ0
Generalmente i materiali con cui abbiamo a che fare hanno tutti, più o meno,

2 Per questo motivo la linea lc divenne un ottimo modello per le linee telegrafiche.
3 Chiaramente, affinché vi sia questo stretto legame, i campi devono essere generati dalle stesse sorgenti.
4 Si ha lc = µε per via delle equazioni di Helmholtz.
µr ∼ 1 ⇒ µ r µ 0 ∼ µ 0
mentre la costante dielettrica varia fortemente da materiale a materiale5. A questo punto possiamo
trovare una versione approssimata per la velocità di propagazione u:
1 1 c
u= ≅ =
ε r ε 0 µ r µ0 ε r ε 0 µ0 εr
1
(c = velocità della luce = )
ε 0 µ0
Usando, per i parametri di cui sopra, i valori tipici del vuoto e dei materiali tipicamente usati
nell’elettronica, si ottengono le seguenti velocità per la radiazione:
• nel vuoto 30 cm/ns;
• nell’ossido di silicio 15 cm/ns;
• nel teflon 20 cm/ns.
Alle frequenze di clock oggi adottate, è facile
capire che questi valori non siano poi così
alti come sembrano.. Dobbiamo perciò stare
molto attenti al ritardo di propagazione dei
segnali e al dimensionamento dei circuiti
(vedremo più avanti le problematiche
relative alla quasi-stazionarietà
stazionarietà).

L’equazione delle onde che abbiamo visto


poco fa (o equazione di D’Alembert) impone
che, all’interno della linea di trasmissione, la
radiazione si propaghi
propag sotto forma di onda.
In figura a sinistra si mostra come sia
possibile caratterizzare l’onda sia
spazialmente che temporalmente e viene
messo in evidenza che la rappresentazione è
assolutamente identica.

La forma d’onda può essere visualizzata se


pensiamo di graficare le linee di forza, come
viene illustrato nella figura sottostante: una
maggiore intensità delle linee di forza del
campo, in una certa sezione, corrisponderà alla
presenza di una maggiore quantità di carica
all’interno del conduttore
uttore caldo in quella stessa
sezione.

5.4 – Impedenza caratteristica

Se ora teniamo presente la definizione di corrente:

5 Ad esempio:
• teflon  ε r = 2,3

• ossido di silicio  ε r = 3,9


quantità di carica
per unità di piccolo tratto

lunghezza

di linea

∆q ⋅ cv dx dx
i=
→ = cv = cvu
∆t dt dt
Facendo il rapporto fra v ed i otteniamo la cosiddetta impedenza caratteristica della linea6:
v 1 l
= = ≜ Z0 Ω 
i cu c
L’impedenza caratteristica della linea ha l’importante proprietà di
dipendere unicamente dalla geometria della linea stessa.
Prendiamo, ad esempio, un cavo coassiale (v. figura): tale linea di
trasmissione, formata da un conduttore
conduttore interno ((core) e da uno
esterno (ground), ha, come tipici valori di Z0 , 50 o 75 Ω (7). La
capacità per unità di lunghezza risulta invece essere
2πε
c=
D
ln
d
E qui appare evidente che, se viene alterata la geometria della
struttura (ovvero i parametri D e d),), si hanno ripercussioni anche
sull’impedenza caratteristica (che a sua volta dipende da c).

Che succede se accoppiamo due linee con impedenza diversa?


Osserviamo
erviamo l’immagine sottostante: essa raffigura l’intersezione fra due tratti di linea eterogenei,
uno a impedenza Z1 e l’altro a impedenza Z2 . Nel punto in cui questi due tratti di linea vanno a
toccarsi si ha una discontinuità,, verso la quale ora immagineremo muoversi un fronte d’onda
(incidente): a contatto con la discontinuità, l’onda incidente si divide in riflessa e trasmessa (la prima
“torna indietro”, mentre la seconda prosegue nella direzione in cui si muoveva il fronte d’onda).

(pedice i = incidente, pedice t = trasmessa, pedice r = riflessa)


Come viene specificato in figura, presso il tronco di linea di sinistra la relativa impedenza
caratteristica imporrà
v
Z1 = 1
i1
mentre sull’altro tratto di linea avremo
v2
Z2 =
i2

6In assenza di perdite.


7Se provassimo a quantificarla con un ohmetro avremmo un risultato pari a ∞ : l’impedenza caratteristica, infatti, si può misurare
solo in presenza di un fronte d’onda, come vedremo.
Possiamo a questo punto applicare la semplice legge di Ohm…
vi = Z1ii vr = Z1ir vt = Z2 it
… nonché la legge di Kirchhoff:
ii = ir + it
vi vr vt
= +
Z1 Z1 Z2
Il parametro vt , a sua volta, è pari alla somma di vi + vr (per continuità della tensione presso il
punto di congiunzione fra le due linee di trasmissione) quindi si ha:
vi vr vi + vr  1 1   1 1 
= + vi  +  = vr  − 
Z1 Z1 Z2  Z1 Z2   Z1 Z2 
Z − Z1
vr = vi 2 = vi ρ [da cui vt = vi + vr = ( 1 + ρ ) vi ]
Z2 + Z1
Il parametro ρ viene chiamato coefficiente di riflessione, e ci dice – in soldoni – quanto dell’onda
incidente “rimbalza indietro” sotto forma di onda riflessa8.
Il coefficiente di riflessione compare quindi anche nelle espressioni delle correnti…
ir = ρ ii  Kirchhoff it = ii − ir  it = ( 1 − ρ ) ii
… e della potenza:
( )
P2 = vt it = ( 1 + ρ ) vi ( 1 − ρ ) ii = 1 − ρ 2 P1
ESEMPI
La discontinuità è fra una linea di trasmissione e:
• un circuito aperto (impedenza Z2 = ∞ ). In tal caso si ha
Z2 − Z1 Z2 →∞ Z2
ρ= → =1 da cui vr = vi ρ = vi
Z2 + Z1 Z2
quindi il segnale torna indietro esattamente uguale a come era arrivato presso la
discontinuità;
• un cortocircuito (impedenza nulla). In tal caso si ha
Z − Z1 Z2 = 0 Z
ρ= 2  → − 1 = −1 da cui vr = vi ρ = − vi
Z2 + Z1 Z1
quindi il segnale torna indietro cambiato di segno;
• un carico adattato (impedenza Z2 esattamente uguale a Z1 ). Abbiamo che
Z2 − Z1 Z2 = Z1
ρ= → 0 da cui vr = vi ρ = 0
Z2 + Z1
e quindi il segnale viene completamente assorbito dal carico. Per questo si dice che, quando
si ha adattamento, sussiste il massimo trasferimento di potenza al carico.

5.5 – Disadattamento di impedenza

Facendo sempre riferimento allo scenario illustrato nel paragrafo precedente, si dice che si ha
disadattamento di impedenza quando Z2 ≠ Z1 . Vediamo cosa accade in questa situazione:
immaginiamo lo scenario mostrato in figura.

8 Chiaramente il coefficiente di riflessione dev’essere inferiore (o al limite uguale) ad 1, visto che l’onda riflessa non può essere

superiore all’onda incidente per il principio di conservazione dell’energia.


Osservando l’immagine da sinistra verso destra notiamo:
• la presenza di un generatore di tensione VI ;
• la resistenza d’uscita RS del generatore di tensione;
• uno spezzone di linea di trasmissione (impedenza caratteristica Z0 ),
) avente – all’imbocco –
tensione VS ;
• una terminazione a circuito aperto (tensione presso la discontinuità = VL ); abbiamo poco fa
verificato che, in queste condizioni, si ha ρ = 1 e ZL = ∞ .
All’interno della linea di trasmissione circola corrente9 e sono presenti due impulsi: quello di
tensione e quello di corrente, fortemente correlati dal fatto che il loro rapporto è pari
all’impedenza caratteristica.
Notiamo immediatamente la presenza di d due coefficienti di riflessione:
• il primo (della sorgente), che chiameremo ρS , si riferisce alla discontinuità fra il generatore
e lo spezzone di linea di trasmissione;
RS − Z0
ρS =
RS + Z0
• il secondo, invece, fa riferimento alla terminazione della linea di trasmissione, ove vi è la
discontinuità rappresentata dal circuito aperto.
aperto. Abbiamo già dimostrato che, che nella
situazione appena descritta, questo coefficiente è pari ad 1.
Z − Z0 RL →∞
ρ= L → 1
ZL + Z0
Che accade ad un’onda generata presso i morsetti del generatore e viaggiante all’interno della
linea? Essa entrerà in contatto con le due discontinuità, generando un’onda riflessa e un’onda
trasmessa ogni volta che inciderà su una di esse.
esse. Supponiamo, per esempio e per semplicità, di
annullare per un attimo il generatore e di far incidere un’onda presso l’imbocco della linea di
trasmissione, ove viene a trovarsi una tensione VS ; l’onda si propaga
(senza perdite) all’interno di questa linea e, una volta giunta
gi presso il
c.a., “rimbalza” indietro con una tensione pari a10 ρ VS . Tale onda riflessa
(che a questo punto è la nuova onda incidente) prosegue verso sinistra
fino a ritrovarsi presso la prima discontinuità, quella fra generatore e
linea di trasmissione, dove perde11 parte della sua energia in virtù del
fatto che Z0 ≠ RS : questo porta alla generazione di una nuova onda
riflessa, avente un valore di tensione nominalmente pari a ρS ( ρ VS ) e

9 Vi è quindi “un travaso di carica da un punto all’altro”.


10 Nel nostro esempio l’onda rimbalza esattamente uguale a sé stessa (coefficiente di riflessione ρ = 1), ma manteniamo il
parametro ρ per dare più generalità alla nostra descrizione.
11 L’energia “perduta” è quella
uella in realtà trasmessa verso il generatore.
propagantesi
esi nuovamente verso destra. Quest’onda riflessa,
riflessa a sua volta, diventerà la nuova onda
incidente presso la seconda discontinuità e così via. Ponendoci nei panni dell’onda oscillante
all’interno della linea di trasmissione ci accorgiamo che, ogniqualvolta la radiazione incontra una
discontinuità, l’onda “perde” (o, meglio, trasmette verso l’esterno) parte della sua energia (o, al
limite, se ρ = 1 , rimbalza indietro uguale).
Questo ragionamento è però stato fatto senza contare la presenza del generatore il quale, durante
tutti i rimbalzi descritti, è in realtà presente continua ad erogare potenza;
potenza; per considerare questo
apporto distinguiamo due casi:
R − Z0
• CASO 1: RS < Z0 , per cui ρS = S <0
RS + Z0
Possiamo calcolare l’espressione di VS :
Z0
VS = VI
RS + Z0
Se costruiamo un grafico in cui andiamo a
riportare i valori di VL e VS mettendo in
evidenza, sull’asse delle ascisse, il
cosiddetto time of flight tF (parametro che
indica quanto impiega il segnale per
andare da un estremo all’altro della linea
di trasmissione) possiamo fare interessanti
osservazioni: anzitutto, quando l’onda
giunge presso la discontinuità con il
circuito aperto (e rimbalza indietro
ind non
cambiata di segno ), l’effetto riscontrato è
12

l’aumento della la tensione presso la


terminazione a 2 VS ( VS dall’onda
tF
incidente + VS dall’onda appena riflessa).
riflessa)
Tornata indietro, l’onda andrà ad incidere contro la discontinuità fra linea di trasmissione e
generatore; essendo −1 < ρS < 0 , l’onda riflessa sarà una versione attenuata13 e “ribaltata”14
di quella incidente cosicché, nel rimbalzo successivo,
successi la tensione VL calerà sotto a VI . Vi è
poi la creazione di una nuova onda riflessa e il ciclo ricomincia.
Come si può notare, si ha una oscillazione (effetto di ringing,, non molto dissimile –
qualitativamente – da quello generato dall’overshoot)
dall’ ) della tensione attorno ad un valore
centrale:: asintoticamente, infatti, tendiamo verso il valore di tensione VI
RS − Z0
• CASO 2: RS > Z0 per cui ρS = >0
RS + Z0
VI
Di conseguenza: 0 < VS < .
2
Il comportamento,, nel principio, è simile
a quello del caso 1,, solo che questa volta
la discontinuità presso il generatore è
“costruttiva” e l’onda riflessa generata

12 Coefficiente di riflessione positivo e pari ad 1.


13 Modulo del coefficiente di riflessione < 1.
14 Coefficiente di riflessione negativo.
dà un contributo non cambiato di segno. Anche questa volta tendiamo al valore limite VI
ma senza l’effetto di overshoot del caso precedente.

Il fatto che il segnale tenda a VI ce lo dice non solo la realtà d


delle
elle cose, ma anche la matematica.
Andiamo infatti ad esaminare il valore della tensione ad ogni “rimbalzo” fra i due estremi della
linea di trasmissione (le parti di volta in volta riflesse, e quindi rispedite indietro, sono quelle
colorate: i termini scritti in piccolo sopra le frecce corrispondono al contributo dell’onda riflessa,
gli altri valori sono quelli “netti” di tensione ai capi della linea
linea):
VS → VS + ρ VS
VS

lato GENERATORE VS + ρ VS + ρS ( ρ VS ) ←


ρ VS
 lato FINE LINEA
→ VS + ρ VS + ρS ( ρ VS ) + ρ  ρS ( ρ VS )  ....
ρS ( ρ VS )

Siccome nel nostro caso ρ = 1 (circuito aperto), abbiamo:
VS  → VS + 1 ⋅ VS
S V

VS + VS + ρS ( 1 ⋅ VS ) ←
VS

ρ V

S S
→ 2VS + ρS VS + 1 ⋅ ρS VS
lato GENERATORE 1⋅ ρS VS lato CIRC. APERTO
2VS + 2 ρS VS + ρS2 VS ← 
ρS VS
2
 → 2VS + 2 ρS VS + ρS2 VS + ρ  ρS2 VS 
ρ  ρS2 VS 
2VS + 2 ρS VS + 2 ρS2 VS + ... ←
 

Si vede bene che la forma matematica della tensione è la seguente:

1 Z0 1
VL = 2∑ VS ρSi  
serie geometrica
→ 2VS = 2 VI =
i =0 1 − ρS RS + Z0 RS − Z0
1−
RS + Z0
Z0 1 Z0 RS + Z0
= 2 VI = 2 VI = VI
RS + Z0 RS + Z0 − RS + Z0 RS + Z0 2Z0
RS + Z0
Si noti che questo risultato si verifica indipendentemente dall’entità di ρS .
Un caso simile a quello descritto può essere quello in figura a fianco, in cui
la linea di trasmissione è collegata ai gate dei transistor facenti parte
invertitore.. A rigore, dunque, tale linea è chiusa su una capacità, che
dell’invertitore
dal punto di vista stazionario è considerabile come un circuito aperto.

5.6 – Linea di trasmissione: modello completo

In figura a destra vediamo il


modello “completo” di linea di
trasmissione: oltre alla capacità e all’induttanza compaiono
anche la conduttanza (in virtù delle perdite nel dielettrico) e
la resistenza (per l’effetto Joule). Risolvendo le equazioni
differenziali che questo schema impone abbiamo:
d2v d2 v
= rgv

dx 2 dovuta
+ ( rc + lg ) dt
dv
+ lc
t2
d
alle  
perdite dall'equazione della parte responsabile
diffusione del trasporto di
informazione
Si noti che, ponendo r e g a zero, riotteniamo l’equazione delle onde
d2 v d2 v
= lc
dx 2 dt 2
mentre, se sono l e g ad andare a zero, abbiamo l’equazione della diffusione:
d2 v dv
2
= rc
dx dt
Se a prevalere è il termine di “trasporto” ((lc),
), il segnale si propaga senza la tendenza a deformarsi;
se è invece il termine rc ad essere preponderante, la linea di trasmissione tende a spanciare (quasi
a “sciogliere”) il segnale.

Generalmente l’induttanza l, che fin’ora non abbiamo preso più di tanto in considerazione, si
“accoppia” con g, che spesso è un parametro d’entità trascurabile. Questo ha significativi effetti
sulla nostra formula, che perde due dei suoi termini:
d2v
dx 2
= rgv + rc(+ lg
dv
dt
)
+ lc
d2 v
dt 2
= rc

dv
dt
+ lc

d2 v
t2
d
componente RC componente LC
(diffusione) (trasporto)

Come distinguiamo fra una rete a comportamento LC e una a comportamento RC?


Esaminiamo un elemento infinitesimo di linea di trasmissione, il quale può essere
matematicamente modellato tramite il partitore in figura sottostante.. Aggiungiamo anche il
termine R , che è la componente resistiva del nostro tratto infinitesimo di linea
linea:
N

In virtù di come abbiamo caratterizzato questo spezzone di linea (che a colpo d’occhio e per la sua
configurazione ricorda un partitore resistivo) possiamo scrivere:
2Z0
Vi′ = Vi (per un tratto infinitesimo)
2Z0 + R
N
Se ora consideriamo l’intera linea (lunga x), ricordando che N è il numero di tratti infinitesimi in
cui l’abbiamo divisa, la relazione soprascritta diventa:
N
 
2Z0
V ( x) =   V (0) (per tutta la linea)
  2Z + R  
tensione al termine
della linea
 0 N tensione all'imbocco
della linea
Facendo il rapporto fra la tensione V ( x ) e la V ( 0 ) , cioè fra la tensione “in uscita” e quella “in
ingresso”, otteniamo una vera e propria funzione di trasferimento,
trasferimento, la quale risulta essere pari al
prodotto delle f.d.t. di ciascuno spezzone:
spezzone
N
V ( x)

 2Z0


= lim
V ( 0 ) N →∞  2Z0 + R 
 N
Si può dimostrare che, elaborando un po’ quest’ultima equazione, compare un limite notevole:
n
 k
lim  1 +  = e − k
n→∞
 n
Si ha dunque:
V ( x)
R

= ... = e 2 Z0

V (0)
Il decadimento è quindi di tipo esponenziale, tanto più accentuato quanto maggiore è il termine R.
Elaborando un po’ la nostra relazione otteniamo:
V (x)
R rX ru
− − − t
=e 2 Z0
=e 2 Z0
=e 2 Z0

V (0)
(r = resistenza per unità di lunghezza, u = velocità di propagazione del segnale nella linea)
Per cui possiamo anche scrivere:
ru

V ( x) = V (0) e
t
2 Z0

Questa relazione ci fa intuire che il fronte si


spancia tanto maggiore è il tempo che ci mette
il segnale per arrivare al termine della linea di
trasmissione.. Dunque il valore della nostra
f.d.t. dipende anche (e soprattutto) dalla
lunghezza della linea.
dipendenza da R  dipendenza da X (15)  dipendenza da t

V ( x)
Il termine , in particolare, è quello che discrimina il comportamento di una linea. La regola
V (0)
empirica recita che:
che
• finché si trova fra 1 e 0,8 (e
quindi la linea è abbastanza corta) a
prevalere è il comportamento di tipo
LC;
• finché
hé si trova fra 0,8 e 0,08 il
comportamento della linea è da
considerarsi intermedio fra quello LC
e quello RC (quindi vi è sia trasporto
che diffusione  comportamento
RLC);
• se è inferiore a 0,08 la linea risulta RC a tutti gli effetti.

15 Più la linea è lunga più è resistiva.


Come illustrato sull’asse delle ascisse, i valori notevoli riportati in elenco corrispondono,
pressappoco, ai seguenti valori di lunghezza X della linea:
Z 5Z0
0,8 = 80%  0 0,08 = 8% 
2r r

5.7 – Il problema della quasi-stazionarietà


stazionarietà

Come abbiamo già fatto intuire nei paragrafi precedenti, non è detto che, se ci troviamo a lavorare
ad alte frequenze, due punti qualsiasi di uno spezzone uniforme di linea di trasmissione abbiano
??
lo stesso valore di tensione (v. figura a sinistra).
V1 = V2
La radiazione viaggia infatti a velocità relativamente
elevatissima, ma comunqueunque finita e, se la lunghezza
d’onda assegnata alla massima frequenza di funzionamento del circuito è comparabile con le
dimensioni del nostro sistema (v. figura a
destra), si cominciano a intravedere gravi
problemi riguardo ai tempi di trasmissione.
Risulta dunque intuitivo il fatto che la frequenza
massima di funzionamento (che d’ora in poi
chiameremo f MAX , corrispondente alla
lunghezza d’onda λMIN = u f MAX ) fissi un limite
inferiore alle
le dimensioni del nostro sistema.
si
Si ha infatti la cosiddetta quasi-stazionarietà,
condizione che ci permette di aggirare le
problematiche relative ai sopracitati tempi di propagazione (e di sostenere che, nell’esempio fatto
poco fa, V1 è approssimativamente uguale a V2 ), se risulta verificata la seguente condizione:
u u
X≪  f MAX ≪
f MAX X

distanza percorsa
dalla radiazione in un
periodo d'onda

Tale requisito è più stringente di quanto possa sembrare: se prendiamo ad esempio un bus
funzionante a 600 MHz, abbiamo che:
u
X≪ ≃ 0, 25 m
f MAX
E quindi il bus, per soddisfare il requisito di quasi-stazionarietà,
quasi stazionarietà, deve essere parecchio più corto di
25 cm!

Il problema della quasi-stazionarietà


quasi non
mina soltanto i segnali analogici (come ad
una prima analisi può erroneamente
sembrare) bensì anche quelli digitali: anche
per quest’ultima tipologia di segnali
esistono infatti importanti tempi di
riferimento16 come, ad esempio, il rise time
tr (o tempo di salita, v. figura) che
rappresenta ill tempo impiegato dal segnale per giungere dal valore logico 0 alla soglia del valore

16 Come era importante il periodo T della forma d’onda sinusoidale nell’esempio analogico.
−1
logico 1, convenzionalmente posta al 90% dello swing del segnale. Essendo tr ≅ f MAX , come
indicato in figura, risulta facile trovare una nuova condizione formulata ad hoc per i sistemi
digitali:
u X
X≪ ≅ utr ⇒ tr ≫ = t f
f MAX u
Il tempo t f è detto time of flight e quantifica quanto impiega il segnale per arrivare da un estremo
all’altro del circuito.

Per esemplificare, prendiamo in considerazione il circuito in figura:

Supponiamo che il generatore produca un gradino di tensione (corrispondente ad un passaggio


01 in un circuito digitale) e ignoriamo i rimbalzi che la discontinuità induce nel circuito. Il
nostro scopo è quello di formulare la condizione di quasi-stazionarietà
quasi stazionarietà riguardante tale circuito. A
fianco vediamo una rappresentazione equivalente17 di tale
circuito,
cuito, in cui la linea di trasmissione è stata sostituita con
un elemento di capacità cX (c = capacità per unità di
lunghezza, X = lunghezza della linea). Si noti che tale
rappresentazione consiste, a tutti gli effetti, in un circuito
RC. Il tempo di salita risulta perciò essere
tr = 2, 3 RSC = 2, 3 RS cX
Il time of flight è invece
X
tf =
u
Poco fa abbiamo ricavato che si deve avere tr ≫ t f , per cui
X
= XZ0 c
2, 3RS cX ≫ (si ricorda che u = 1 Z0 c )
u
Se, furbamente, moltiplichiamo il termine di destra (il time of flight) per 2,3 e sostituiamo il simbolo
“ ≫ ” con il semplice “ > ” otteniamo:
X
2, 3RS cX > 2, 3
u
RScX > XZ0 c
RS > Z0
Semplificando la condizione di quasi-stazionarietà
quasi ne abbiamo dunque ricavata un’altra,
enunciata nel paragrafo 5.5, riguardante l’assenza di effetto di overshoot nella situazione descritta
(serie di generatore + linea di trasmissione terminata in c.a.).
c.a.)

17“Equivalente” solo nel ristretto ambito del nostro obiettivo, che è quello di ricavare il tempo di salita in modo da ricondurci alla
condizione di quasi-stazionarietàà per il nostro circuito. Nel nostro esempio, infatti, il tempo di salita si riferisce al tempo di carica di
una certa capacità (ad esempio una cella di memoria, oppure il gate di un transistor, l’ingresso di un componente logico, etc…)
all’interno di un circuito digitale ma nel
el caso generale nulla ci autorizza a sostituire linee di trasmissione con capacità!
5.8 – Schema riassuntivo

NOTE:
• utilizzando la formula
1 1
Z0 =  c=
uc uZ0
è possibile calcolare in maniera semplice la capacità per unità di lunghezza;
• a partire da
Z0 = l
c
possiamo scrivere che
l = cZ02
Tramite tale relazione risulta agevole il calcolo dell’induttanza per unità di lunghezza.
lunghezza

5.8 – Contributi capacitivi

La capacità per unità di lunghezza di un cavo coassiale è

Se prendiamo una sripline

possiamo calcolarne la capacità per unità di lunghezza utilizzando la formula


1
c=
uZ0
A sua volta, l’impedenza
’impedenza caratteristica di tale linea di trasmissione
tr può esser calcolata tramite la
seguente relazione approssimata18:
 w
1+ 
1 µ  b 
Z0 ≅ ln 
4 ε  w t
 + 
 b b

Prendiamo ora un semplice generatore. Come calcolarne la capacità? Possiamo


utilizzare la definizione, che dice:
Q
Q ≜ CV ⇒ C ≜
V
Risulta tuttavia molto complicato calcolare l’esatto quantitativo di carica19
presente sulle piastre del condensatore (ovvero il termine Q), così si preferisce
ragionare “alle differenze”, facendo cioè fluire sulle armature una certa quantità
di carica ∆Q (più facilmente misurabile20) e misurando la conseguente variazione
di tensione ∆V :

18 Errore dell’ordine dell’1% se w / b > 1 e se b > 5t .


19 La carica, possiamo dire, “assoluta”.
20 Basta utilizzare un integratore, componente molto diffuso in elettronica, per integrare la corrente, operazione che ci restituisce

immediatamente la carica.
∆Q
C≜
∆V
Si noti che questo ragionamento è valido unicamente in virtù delle caratteristiche di linearità del
nostro componente. Definita in questi termini, la capacità dipende dalla geometria del
condensatore21.

Come agiamo se abbiamo più conduttori?


In questa situazione è necessario individuare una
capacità mutua fra un conduttore e tutti gli altri; per
farlo, dobbiamo tuttavia prima definire una capacità fra
due conduttori (misurata
misurata tenendo in conto della
presenza di molti altri componenti affini).
affini Esaminiamo,
ad esempio, i conduttori generici h e k (v. figura): per
calcolare la capacità Chk è necessario mettere a massa
tutti gli altri conduttori (come indicato), imporre un
gradino di tensione ∆Vh su h e andare a misurare il
deflusso di carica ∆Qk che la nuova situazione impone su k. Quindi si avrà:
∆Q k
Chk =
∆V h Vi = 0 ∀i ≠ h

Si definisce invece capacità intrinseca22,23 del conduttore h-esimo


esimo la quantità:
∆Qh
Chh =
∆V h Vi = 0 ∀i ≠ h

Si noti che ∆Qh ≠ ∆Qk perché sono presenti tante altre masse conduttrici,
conduttrici, anche loro “scaricanti”
verso massa una certa quantità di carica ∆Qi i ≠h ,k
. La relazione corretta è invece la seguente (la
quale deriva direttamente dal principio di conservazione della quantità di carica):
∆Qh = ∑ ∆Qk = ∑ C hk ∆Vh = C hh ∆Vh  Importante relazione: ∑ C hk = C hh
k≠h k≠h k ≠h

Dunque, ad esempio, se abbiamo 4 conduttori (che indicheremo con gli indici da 1 a 4), questa è
l’espressione della capacità intrinseca del conduttore 4 (o C44 ):
C44 = C 41 + C42 + C 43

Una proprietà interessante delle capacità mutue


m è la seguente relazione di reciprocità:
Chk = C kh
Quando ci siamo calcolati tutte le capacità del nostro sistema a n conduttori (sia quelle mutue che
quelle intrinseche)
e) possiamo inserire il tutto in una matrice, detta matrice capacità
capacit , così strutturata:
C11 C12 ⋯ C1n 
 
 C21 ⋱ ⋮ 
C=
 ⋮ ⋱ ⋮ 
 
Cn1 ⋯ ⋯ Cnn 

21 Dalla quale dipende, in ultima analisi, anche il campo elettrico.


22 Contrapposta alle capacità “mutue” di cui abbiamo
abb parlato.
23 Se abbiamo un solo conduttore, e vi convogliamo una certa quantità di carica, otteniamo un campo elettrico che viene recepito da

tutti i conduttori. La capacità intrinseca di questo conduttore, parametro che quantifica come l’universo percepisce
perce le variazioni di
carica su tale componente, è pari al rapporto fra carica e potenziale al suo interno.
Per le proprietà poco fa illustrate questa matrice ha alcune caratteristiche notevoli:
• è quadrata;
• è simmetrica (per la reciprocità dei termini capacitivi);
• ciascun elemento sulla diagonale è dato dalla somma degli elementi sulla stessa colonna o
sulla stessa riga24.

5.9 – Contributi induttivi

Lo stesso ragionamento fatto con le capacità può essere


replicato
plicato anche con le induttanze; consideriamo per
esempio la figura a sinistra:: il nostro scopo è quantificare
l’iterazione del campo magnetico fra il solenoide h-esimo e
quello k-esimo.
Ricordiamo che, dalla teoria elementare dell’elettrotecnica,
si ha:
φ = LI
dΦ dI
V= =L
dt dt
L’induttanza mutua fra l’elemento h-esimo e quello k-esimo
avrà dunque il seguente aspetto:

∆Vk
Lhk =
dI h
dt dIi dt = 0 ∀i ≠ h
In pratica, tale termine è calcolabile facendo variare la corrente sul solenoide h-esimo e andando a
misurare la variazione di tensione su quello k-esimo, con la condizione che la corrente sia costante
in tutti gli altri elementi induttivi.
Anche questa volta è possibile definire un parametro di natura intrinseca detto autoinduttanza, da
riferirsi per un conduttore rispetto a sé stesso:

∆Vh
Lhh =
dI h
dt dIi dt =0 ∀i ≠ h
Andando a porre tutte le mutue induttanze e le autoinduttanze in una matrice, otteniamo una
matrice induttanza di struttura e proprietà simili a quella capacità:
 L11 L12 ⋯ L1n 
 
 L21 ⋱ ⋮ 
L=
 ⋮ ⋱ ⋮ 
 
 Ln1 ⋯ ⋯ Lnn 
Anche questa volta, infatti, si ha:
• reciprocità  Lhk = Lkh ;
• la seguente proprietà per l’autoinduttanza  Lhh = ∑ Lhk .
h≠ k

Andando a mettere insieme ciò che abbiamo detto in questi ultimi due paragrafi, otteniamo le
induttanza
seguenti relazioni per la matrice capacità e induttanza:

24 Sempre per simmetria.


Q = CV V = LIɺ
( Q = vettore delle quantità di carica; V = vettore delle tensioni;
Iɺ = vettore delle derivate delle correnti)
Si noti che queste relazioni vettoriali sono molto simili alla loro “controparte scalare”: tra l’altro, in
virtù di questa corrispondenza, è possibile anche scrivere che
1 1
I = LC dove u =
2 d
u LC
( Id = matrice identità)

5.10 - Modi pari e dispari, cross-talk


talk

Consideriamo lo schema in figura

Come si nota, abbiamo tre conduttori25 (due caldi e uno di massa) e una configurazione
simmetrica26. Se ci troviamo in questa configurazione, il segnale risulta essere la composizione di
due segnali (tanti quanti sono i conduttori caldi), fra loro completamente indipendenti:
indipendent il modo
pari (even) e il modo dispari (odd).

MODO PARI (E)


I due conduttori sono allo stesso potenziale e le due linee
viaggiano “parallelamente”.
mente”. Il campo elettrico che si forma è
necessariamente divergente27.

MODO DISPARI (O)


Il modo dispari contempla un segnale avente tensioni
antisimmetriche rispetto all’asse di simmetria (la tensione sul
conduttore 1 è l’opposto della tensione sul conduttore 2). Il
campo elettrico formantesi ha linee di forza convergenti.

Il campo totale generato dalle due linee è la sovrapposizione del modo pari e del modo dispari: i
due campi, presi singolarmente, sono tuttavia completamente slegati e per questo tirano in ballo
parametri capacitivi completamente disgiunti.
disgiunt

Consideriamo ora una soltanto delle due linee (v. figura a


sinistra): se sfruttiamo il teorema delle immagini, che qui non
dimostriamo, possiamo rimuovere il piano di massa (che
supponiamo per ipotesi infinitamente esteso) e di porre,

25 Essendo n = 3, le matrici L e C saranno 3x3.


26 Quello tratteggiato è l’asse di simmetria.
27 Come lo sono le linee di forza di due cariche aventi stesso segno.
simmetricamente rispetto a tale piano, una linea dispari28 (avente quindi tensione di segno
opposto). Il risultato è quello visibile in figura:

Forti di questo teorema e tornando al caso n = 3, possiamo calcolare la capacità C E ( c E per unità
di lunghezza) che si instaura fra i conduttori nel modo pari: il risultato della rimozione del piano
di massa e della creazione della parte immagine è visibile nella seguente figura.
figura.

Un risultato simile è ottenibile anche per il modo dispari (capacità CO  c0 per unità di
lunghezza):

I modi pari e dispari hanno anche diverse velocità di propagazione (esse sono uguali soltanto se ci
troviamo in un mezzo omogeneo, in virtù della relazione u = c con c = velocità della luce:
εr
questo è un problema non da poco perché,
perché, in un mezzo non omogeneo, risulta che uno stesso
segnale ha delle componenti che vanno più
più velocemente ed altre che vanno più lentamente)…
lentamente
1 1
uE = uO =
c E lE cO lO
… e diverse
iverse impedenze caratteristiche:
lE lO
Z0 E = Z0 O =
cE cO

28L’immagine è dispari perché le cariche che usiamo sono di tipo elettrico (sarebbe stata pari se queste ultime erano quelle -
teoriche - di tipo magnetico).
Si può infine dimostrare che si hanno le seguenti relazioni per l’impedenza caratteristica dei modi
e della linea intera:
Z0O < ZO < Z0 E Z0 ≃ ± Z0 O + Z0 E (media geometrica)

NOTA: i modi pari e dispari sono utili anche


anche in presenza di più conduttori;
condutto possiamo infatti
definire i modi pari e dispari prendendo, di volta in volta, un conduttore
conduttore rispetto a tutti gli altri.

Passiamo ora a un definizione più rigorosa


rigoros delle capacità. In
figura vediamo visualizzate le capacità:
• C11 e C22 , intrinseche dei conduttori caldi;
• C12 = C 21 , mutue fra i conduttori caldi;
• C1G e C 2G , fra i conduttori caldi e massa (ground).

La capacità del modo è pari è29


∑ Chk =Chh
k≠h
 
C E = C11 − C12 = C1G + C12 − C12 = C1G
Quella del modo dispari, invece28
∑ Chk =Chh
k≠h
 
CO = C11 + C12 = C1G + C12 + C12 = C1G + 2C12

Per se induttanze il discorso è esattamente analogo:


LE = L11 − L12
LO = L11 + L12

Si dice coefficiente di cross-talk in tensione la quantità:


∆V1
KV 12 =
∆V2
Come si vede, tale coefficiente ci dà una misura di quanto si modifichi la tensione sul conduttore 1
una volta applicata una variazione ∆V2 sul conduttore 2. I vari conduttori, infatti, interagiscono
fra di loro nelle variazioni di tensione.
Si definisce worst case cross-talk
talk coefficient (“coefficiente di
cross-talk del caso peggiore”) il seguente rapporto:
rapport
∆V1
KV 1 =
∆Vtalk
Questa volta il confronto fra le variazioni di tensione non
è solo fra 2 conduttori, ma fra uno e tutti gli altri (v.
figura), e consiste nell’aumentare di ∆Vtalk la tensione di
tutte le linee tranne una (quella rispetto alla quale
facciamo il calcolo) per poi osservare quanto varia V sul conduttore 1. Chiaramente
Chiar è improbabile,
nella realtà, che tutte le linee siano interessate da una perturbazione contemporanea di stesso
segno e di stesso modulo ma, come abbiamo detto, stiamo esaminando il caso peggiore.

29Anche qui tralasciamo la dimostrazione; per maggiori delucidazioni si veda il paragrafo 7.2 (“Linee simmetriche a due fili”) del
riassunto di campi elettromagnetici.
Nella nostra linea a due conduttori, il coefficiente di cross-talk è definibile anche così:
Z − Z0O
KV = 0 E
Z0 E + Z0 O
Esistono infine dei coefficienti di cross-talk riferiti alle capacità e alle induttanze; la cosa
interessante è che, a partire da questi ultimi (facilmente misurabili), si può giungere ai coefficienti
co
di worst case cross-talk:
C C12
• per le capacità (rispetto alla linea 1) si ha KVC 1 = 12 =
C11 C12 + C1G
L12 L12
• mentre, per le induttanze (sempre rispetto alla linea 1) KVL1 = =
L11 L12 + L1G
Ecco la relazione che, nel caso generale (sia che il dielettrico sia omogeneo che in caso contrario),
contrario) ci
permette di passare da questi due ultimi coefficienti a quello del caso peggiore:
K V 1 = ( KVC 1 + K VL1 ) (media aritmetica)
1
2
Se il dielettrico è omogeneo si ha:
KVC 1 = KVL1 = KV 1
Se, invece, abbiamo più conduttori:
∑C
j ≠ i ,G
ij ∑L
j ≠ i ,G
ij

KVCi = KVLi =
Cii Lii

5.11 – Effetto del modo pari e del modo dispari in una configurazione classica

Consideriamo la linea di trasmissione disegnata


nella figura in alto a sinistra.
ra. Abbiamo due
conduttori: in uno si propaga un segnale ( Vi ) ,
mentre l’altro è “fermo”. Si supponga che le linee
siano perfettamente adattate ( R = Z0 ) e che sulla
linea “calda” viaggi un gradino di tensione,
appunto, Vi . Sia inoltre τ f il time of flight del
segnale.
Se andiamo a misurare le tensioni VNE (tensione
alla near end, v. figura) e VFE (tensione alla far end,
v. figura), e a graficare i risultati, otteniamo lo
schema a destra. La forma del grafico della VFE , in
cui è presente uno spike, è giustificabile in virtù
della presenza di “rimbalzi” dovuti alla diversa
velocità dei modi pari e dispari. Sia la tensione V A che la tensione VB sono quantificabili: vediamo
i vari casi.

CARICO ADATTATO (ipotesi preliminarmente già fatta)


V L C  mezzo omogeneo Vi C12 1
VA = i  12 + 12   → = K V
4  L11 C11  2 C11 2 V 1 i
V τ f  L12 C12  mezzo omogeneo
VB = i  −   →0
2 τ r  L11 C11 

CARICO NON ADATTATO


Con un’unica espressione possiamo esprimere le nuove tensioni rispetto a quelle del caso “carico
adattato”:
 R − Z0 
VA′ ,B = V A ,B  1 + 
 R + Z0 
CAPITOLO 6
Calore,, effetti d’accoppiamento induttivi e capacitivi

6.1 – Il calore e la sua dissipazione

Ogni volta che commutiamo lo stato, all’interno di un circuito elettronico, consumiamo energia: il
procedimento che la macchina effettua per compiere un calcolo si basa infatti su una
trasformazione energetica, che fa capo ai principi della Fisica
isica (e, in particolare, ai principi della
Termodinamica). È quindi comprensibile che un sistema complesso come un chip generi
costantemente calore1.
Un corpo caldo, verso un corpo di temperatura inferiore, conduce calore: ciò significa che una
parte di energia fluirà dal corpo caldo al corpo freddo2. Tale calore fluente può essere quantificato
tramite l’equazione
equazione di conduzione del calore:
JQ = − K ⋅∇T
( ∇T è il gradiente della temperatura, K la conduttività termica del materiale)
Questa espressione ha anche un’altra forma, più utile operativamente;
operativamente; supponendo di avere due d
corpi a temperatura diversa, separati da un certo materiale di spessore d e superficie A, si ha
infatti:
∆Q KA ∆T d
=− ∆T = − ⇐ ϑ=
∆t d ϑ KA
( ∆T = differenza di temperatura fra i corpi, d = distanza fra i corpi, ∆t = intervallo temporale in
cui avviene loo scambio di calore,
calore A = superficie del materiale che mette a contatto i due corpi)
Si noti che ∆Q si misura in  J  e quindi è, a tutti gli effetti, una potenza (= P) ; il parametro ϑ
∆t  s 
d
= è invece chiamato resistenza termica (v. figura a destra), in analogia con la a noi
KA
più familiare resistenza elettrica.. Possiamo quindi riscrivere così la nostra equazione:
∆T T −T T −T
P=− = − 2 1 = 1 2 ⇒ T1 = T2 + ϑ P
ϑ ϑ ϑ
(indice 1 = corpo più caldo,
cald indice 2 = corpo più freddo)
Il rappresentare con delle resistenze i materiali attraverso i quali si propaga il calore porta il
notevole vantaggio di poter utilizzare le arcinote formule di composizione in serie e in parallelo.
Immaginiamo ad esempio che,, come viene mostrato in figura a
sinistra, tra il corpo caldo (un chip 
temperatura TJ appena sopra la giunzione J)J e il
corpo freddo (l’ambiente circostante A 
temperatura TA ) vi sia il resto della giunzione
nzione J
(resistenza termica ϑJC ) e un package C (resistenza termica ϑCA ). Questa situazione
è schematizzabile mettendo in serie due resistenze termiche (fig. a destra).
Applicando le formule viste in precedenza
precedenz si ha:

1 Ricordiamo brevemente la differenza fra calore e temperatura:: il calore è energia (sprigionabile attraverso una
trasformazione o un processo fisico di quale tipo) mentre la temperatura è l’energia cinetica media delle molecole di
un certo materiale.
2 Si ricorda, anche se è ovvio, che il calore può trasmettersi spontaneamente solo da un corpo a temperatura maggiore

ad uno a temperatura minore.


(
TJ = TA + P ϑCA + ϑJC )
In pratica, il parallelismo è fra:
(differenza di) temperatura ↔ (differenza di) tensione
resistenza termica ↔ resistenza elettrica
potenza ↔ corrente
Chiaramente, se vogliamo far funzionare il chip a una velocità maggiore, dobbiamo aumentare P:
questo però porta ad un aumento (lineare) della lla temperatura della giunzione. Una soluzione a
questo problema consiste nell’inserimento di uno un o più
dispositivi di raffreddamento (una ventola, oppure una
3

struttura di metallo a “pettine”) i quali,


qual nel nostro schema,
possono essere rappresentati come delle resistenze termiche aggiuntive messe in serie.
4

L’introduzione di pasta di silicone, avente resistenza termica bassissima, facilita ulteriormente la


dispersione di calore verso l’ambiente esterno.
C’è da dire che la resistenza termica dipende anche dalla frequenza e quindi,quindi ovviamente, dalla
pulsazione ω ; tale dipendenza è qualitativamente illustrata nella figura seguente:

Inoltre, l’efficacia che la ventola ha nella dissipazione del calore è sempre meno evidente tanto più
la facciamo girare velocemente: infatti, comecome si vede nel grafico sottostante, oltre ad una certa
velocità del flusso d’aria non conviene spingersi, visto il calo praticamente trascurabile della
resistenza termica che possiamo associare al dispositivo ventola.

Da queste ultime due considerazioni capiamo che non possiamo “spremere” più di tanto e fino
alle estreme conseguente le soluzioni che abbiamo escogitato per dissipare il calore: tale questione
è dunque molto delicata e richiede la massima attenzione da parte del progettista.

6.2 – Effetti induttivi: accoppiamenti

Fin’ora abbiamo trascurato gli effetti induttivi: quando tuttavia i dispositivi sono fra loro
disomogenei, può subentrare un effetto dovuto proprio al termine L. Ogni componente elettrico è
infatti collegato col resto del mondo tramite
tr dei pin (piedini) ed è presso di loro che,
che a causa della
variazione della topologia di collegamento tra l’interno e l’esterno, gli effetti induttivi si fanno più

3 In inglese, dispositivo di raffreddamento si dice heat sink.


4 Che chiaramente dev’essere la più bassa possibile.
sentire. Se semplifichiamo fino all’osso il principio di funzionamento dei circuiti
circuit digitali, possiamo
dire che l’elaborazione avviene grazie all’apertura/chiusura di un certo numero di interruttori e al
conseguente movimento di carica elettrica Q (cioè degli elettroni).
Nello schema a fianco abbiamo “raccolto” tutti gli
interruttori in due grandi famiglie: aperti e chiusi.
Entrambe queste categorie di switch sono chiuse su
termini capacitivi C e su resistenze R, rappresentanti
i componenti presenti all’interno del circuito circuit
digitale.. I termini induttivi, invece, sono stati posti
presso le giunzioni (pin) che connettono ciò che c’è
all’interno del circuito digitale (delimitato dalla
linea tratteggiata) con ciò che sta al di fuori (in
questo caso, l’alimentazione). Si noti in particolare
che, a causa dell’induttanza L, presso gli ingressi del el circuito digitale la tensione non è
propriamente VDD , bensì VDD′ .
Si può dimostrare che gli effetti induttivi sono trascurabili se la costante
costante di tempo L / R è molto
minore di RC, cioè se:
τ L << τ C
La costante di tempo τ C (corrispondente al termine RC) dipende dalla velocità di funzionamento
del nostro circuito: essa cresce con l’aumentare di R, di C e influisce sulla frequenza di
funzionamento f MAX (massima perché vogliamo considerare il caso peggiore). Certo non è
opportuno avere una τ C molto alta per ovvi motivi riguardanti la reattività del circuito
c (v. capitoli
5 e prec.); se tuttavia τ C diventa confrontabile con τ L , gli effetti induttivi su fanno sentire. La loro
presenza è pericolosa in quanto si
manifesta in un’indesiderata caduta di
tensione ai capi di L: è quindi opportuno
che tale caduta sia molto inferiore a VDD ,
in modo che il circuito digitale non
subisca le conseguenze dei dannosi sbalzi
di tensione5. Si deve quindi avere:
dI V
L ≪ VDD  L ≪ DD
dt dI
dt
Il termine dt corrisponde al tempo di
commutazione del circuito: risulta intuitivo il fatto che, se ci troviamo a frequenze alte,alte tale
termine risulta essere molto piccolo e mette perciò in crisi la disuguaglianza. Per la robustezza di
tale relazione è quindi
indi opportuno che L sia bassissima (dell’ordine dei nano Henry6).

Visualizzando un pin come una linea di trasmissione


di forma cilindrica (diametro d) posta a distanza h
rispetto al piano di massa (v. figura), si può dimostrare
che sussistono le seguenti
nti relazioni per la capacità e

5 Anche qui è opportuno tenere conto del caso peggiore, ovvero


ovvero quello in cui gli interruttori del circuito risultano tutti
chiusi. L’effetto descritto viene qualitativamente illustrato nella figura a sinistra.
6 Ad esempio, se vogliamo mantenere delle variazioni di tensione a livello dei 250 mV, l’induttanza dev’essere dev’
inferiore ai 0,2 nH.
l’induttanza per unità di lunghezza:
2πε µ  4h 
c= l= ln
 4h  2π  d 
ln  
 d 
Come si nota, possiamo ridurre l (con un conseguente aumento di c):
• riducendo h (anche se il vantaggio è trascurabile per via della presenza del logaritmo
naturale);
• aumentando d.
In pratica, dobbiamo evitare strutture sottili e lontane dal piano di massa: ciò ha un’importante
effetto sull’effettiva forma scelta per i pin.

Qualche esempio numerico: col metodo di packaging


denominato DIL (Dual( In Line packaging,, v. figura a
destra) i valori tipici di induttanza stanno fra i 3 e i 30
nH. Utilizzando invece la più evoluta tecnologia BGA
(Ball Array, v. figura a sinistra) scendiamo di circa
Ball Grid Array,
un ordine di grandezza (0,1 – 1 nH).

6.3 – Accoppiamenti col clock e utilizzo di condensatori


c

Il clock è un componente fondamentale all’interno dei circuiti digitali ma purtroppo, ad alte


frequenze, introduce disturbi quali interferenze e accoppiamenti induttivo/capacitivi
induttivo/ca con la parte
analogica. Per evitare questo inconveniente è opportuno opportuno disaccoppiare l’alimentazione
distribuendo opportunamente i collegamenti e separando il piano di massa fra parte digitale (D) e
parte analogica (A),, come mostrato nella figura sottostante.

Bisogna anche evitare percorsi chiusi che comprendano sia l’alimentazione


l’alimentazione che il piano di massa
(altrimenti abbiamo spiacevoli inconvenienti come effetti d’antenna!).

Per disaccoppiare il circuito dalle interferenze prodotte dal clock spesso si introduce in parallelo al
dispositivo una capacità, la quale fornisce,
fornisc nell’immediato e nei
momenti di crisi, la carica richiesta dal dispositivo
all’alimentazione. Come è noto, infatti, la capacità è il
componente duale dell’induttanza; inoltre, essa contrasta anche la
caduta di potenziale dovuta alla resistenza della linea
lin che collega
l’alimentazione al circuito.
Alle capacità si richiede una dimensione ridotta e, allo stesso
tempo, valori di C abbastanza grandi (e cioè dell’ordine dei nF): purtroppo, queste due
caratteristiche contrastano l’una con l’altra7 e si è costretti a dover far fronte ad un trade-off. Esiste
tuttavia un compromesso accettabile che consiste nell’utilizzo di condensatori elettrolitici8: nei
condensatori elettrolitici non è presente un materiale dielettrico, ma l'isolamento è dovuto alla
formazione e mantenimento di uno sottilissimo strato di ossido metallico sulla superficie di una
armatura. A differenza dei condensatori comuni, la sottigliezza dello strato di ossido consente di
ottenere molta più capacità in poco spazio, ma per contro occorre adottare particolari accorgimenti
per conservare l'ossido stesso9.
Un condensatore elettrolitico può essere modellato con la serie di:
• una resistenza R (dovuta alla soluzione elettrolitica): valore tipico ∼ 0, 2 Ω ;
• un’induttanza L (il condensatore, essendo arrotolato, genera un percorso spiroidale): valore
tipico ∼ 20 nH ;
• una capacità C, che sarebbe il condensatore vero e proprio.

Un ultimo appunto: ad alte frequenze questi condensatori funzionano un po’ peggio visto che a
condurre sono gli ioni (più lenti degli elettroni). Questo difetto viene però compensato se
inseriamo un condensatore ceramico (che invece funziona benissimo ad alte frequenze)
parallelamente al condensatore elettrolitico.

7 Si ricordi la celeberrima relazione:


A
C ≜ε
d
Fare condensatori piccoli (A piccolo) contrasta contro il voler disporre di una C consistente. Avvicinare i piatti del
condensatore (ovvero ridurre d) risolve solo parzialmente questo problema, come abbiamo messo in evidenza nel
capitolo riguardante lo scaling.
8 I condensatori si dividono in ceramici, elettrolitici e in poliestere: i primi hanno la forma di dischi mentre quelli in

poliestere consistono in fili arrotolati. Dei condensatori elettrolitici parliamo appena di seguito.
9 Da Wikipedia.
CAPITOLO 7
Progettazione su scheda:
scheda alcune tecniche

7.1 – Strategie di progettazione su scheda

Nel connettere i componenti su scheda, possiamo trovarci di fronte a una gran serie di
problematiche:
• Ricerca di adattamento in potenza:
potenza in questo caso si inserisce
serisce un partitore resistivo: dissipa
potenza, ma stabilisce adattamento evita problemi di rimbalzo “spuri”.
“spuri”

* Valori per 3,3 V


In alternativa si sceglie di inserire una resistenza al termine della
della linea di trasmissione:

• portare un segnale in più rami: in questo caso si può instaurare in collegamento come in
figura seguente:

Questa soluzione,, tuttavia, è valida soltanto se la velocità dei segnali è modesta e se


l’applicazione è tale per cui non è di fondamentale importanza che il sincronismo (fra le
ramificazioni) sia perfetto. Se, in caso contrario, quest’ultimo aspetto è da tenere in
considerazione, la scelta che si fa è la seguente:
• necessità di elementi bidirezionali:
bidirezionali in questo caso si utilizza il cosiddetto buffer
bidirezionale o buffer tri-state
state. Tale componente,, di fondamentale importanza nei bus, ha tre
comportamenti diversi, selezionabili digitalmente da un flag a 2 bit (v. figura).

Di seguito ne vediamo, schematicamente, la configurazione interna:

• necessità di uniformare i ritardi: una


na tecnica molto usata per la ramificazione del segnale è
quella cosiddetta dell’H-tree
tree:

La cosa interessante della struttura ad H-tree


(messa in evidenza nelle figure) è che il percorso
compiuto
iuto per raggiungere eventuali componenti
posti alle estremità di spezzoni lunghi d n è
2
costante (e quindi il ritardo di propagazione
risulta essere uniforme,, cioè costante, per tutti gli
elementi del circuito1).
La lunghezza del percorso rcorso effettuato dal
segnale, per un albero di livello n, può essere
quantificata con questa formula:
 n

n
1  1  2
2 D ∑ k = 2 D 1 −    
 n→∞
→ 2D
k =1 2   
2 
 

1 Questa strategia di ramificazione ha anche altre appl applicazioni:


icazioni: ad esempio è utilizzata per massimizzare il fringing-
field nei cosiddetti capacitori frattali,, i quali sono in grado di fornire una capacità molto elevata in un’area molto
piccola.
Come indicato, facendo tendere al’infinito n otteniamo facilmente una lunghezza-limite di
percorso pari a 2D. Questo ci permette anche di definire la costante di tempo di tipo RC per
una rete H-tree:
ρ W 2 ερ
τ ≈ rcL2TOT ≅ ⋅ε n →∞
⋅ LTOT  → 4D2
WH 
 t tH
r c

(r e c sono la resistenza e capacità per unità di lunghezza, t è l’altezza della linea dal piano
di massa, W e H sono le dimensioni dell’area della sezione trasversale della linea)
Sulla base della formula appena scritta risulta facile comprendere che, per la distribuzione
del clock, conviene utilizzare le linee più alte (t alto  τ basso). Si noti anche che la
costante di tempo decresce con l’aumentare dell’area WH della sezione trasversale;
• effetto pelle (skin effect): quando scorre corrente in un conduttore (reale), gli elettroni
tendono a generare una corrente in prossimità della superficie2. Questi elettroni vanno a
porsi tutti “sottopelle”, cioè in prossimità della superficie, in quanto tale configurazione
permette loro di allontanarsi il più possibile l’uno dall’altro3. Si può dimostrare che lo
spessore di penetrazione, ovvero la regione all’interno del conduttore entro la quale il
campo risulta essere diverso da zero, è pari a
ρ
δ=
πµ f
( ρ = resistività, µ = permettività magnetica, f = frequenza)
Si noti che, all’aumentare della frequenza, cala l’entità dello spessore di penetrazione.
Esiste inoltre un legame fra la resistenza per unità di lunghezza e le quantità che troviamo
all’interno dell’ultima relazione scritta:
ρπµ f
r=
2(H + W )
Questa volta, all’aumentare della frequenza, cresce la resistenza r.
L’effetto pelle va considerato solo oltre una certa frequenza: questa frequenza “limite” può
essere determinata empiricamente tramite la seguente formula

fS =
πµ max {WH}( )
2

2 In un conduttore ideale questo sarebbe stato impossibile, visto che avremmo avuto E = 0 entro tutta la superficie
interna del conduttore.
3 Sono cariche di stesso segno e, di conseguenza, si respingono.
CAPITOLO 8
Campionamento e rumore di quantizzazione

8.1 – Principi base della conversione

Consideriamo un convertitore analogico-digitale


analogico (A/D): tale componente è in grado di trasformare,
seppur con un’approssimazione (ovvero commettendo il cosiddetto errore di quantizzazione), un
segnale tempo-continuo e continuo nei valori (analogico) in un segnale tempo-discreto
tempo e discreto nei
valori (digitale).. Lo schema del nostro convertitore è il seguente:

In ingresso abbiamo la tensione1 Vi ; in uscita troviamo la sequenza di bit B0 = {b1 , b2 , ..., bN } ; la


tensione VR è invece la cosiddetta tensione di riferimento, quella cioè che definisce i limiti entro i
quali facciamo variare il segnale d’ingresso.

Ad essere rigorosi, esiste un’infinita varietà di relazioni che possono mettere in corrispondenza il
segnale d’ingresso (segnale analogico) con i bit d’uscita (segnale digitale);; una di quelle possibili (e
probabilmente la più ovvia) è la seguente2:
VO codifica ideale
VR
codifica reale

4 possibili valori continuità di valori

VI
VR
Sugli assi troviamo le tensioni d’uscita (ordinate) e d’ingresso (ascisse) normalizzate rispetto a VR :
notiamo immediatamente che le uscite possono assumere solo determinati valori, corrispondenti,
corrispo
in ordine crescente, alle stringhe di bit 00, 01, 10 e 11. La codifica del segnale in uscita è infatti la
seguente (caso N generico):
(
VO = VR b1 2 −1 + b2 2 −2 + ... + bN 2 − N )
Per cui, ad esempio, la stringa 01 corrisponde a una tensione:

( ) (
VO = VR b1 2 −1 + b2 2 −2 = VR 0 ⋅ 2 −1 + 1 ⋅ 2 −2 = ) 1
V
4 R
Mentre la stringa 10 è rappresentata dal seguente valore in uscita:

( ) (
VO = VR b1 2 −1 + b2 2 −2 = VR 1 ⋅ 2 −1 + 0 ⋅ 2 −2 = ) 1
V
2 R

1 Per motivi “storici”


i” e di convenzione scegliamo di porre l’accento sulla tensione; in realtà il principio del convertitore
va bene anche per lee correnti o per altre quantità.
2 Facciamo l’ipotesi che N = 2 (vogliamo quindi codifiche a 2 bit).
bit)
Chiaramente, questa codifica non è perfettamente precisa: dobbiamo infatti “riassumere” infiniti
possibili valori di tensione in ingresso con solo 4 valori in uscita. La codifica
c A/D ideale,
d’altronde, prevedrebbe, per far fronte all’infinità non numerabile di valori per VI , altrettanti ∞
possibili valori d’uscita (codificabili con una stringa infinitamente lunga di bit). Ne Nel grafico
riportato nella pagina precedente, tale codifica ideale è rappresentata dalla retta a pendenza 45°: i
punti in cui tale retta interseca la “gradinata” corrispondente
corrisponde alla codifica reale scelta (con N = 2)
sono gli unici 4 casi in cui la codifica reale non commette errore. In tutti gli altri casi si ha il
cosiddetto errore di quantizzazione VQ , corrispondente alla tensione in ingresso “persa” utilizzando
la nostra codifica non ideale3; per cui possiamo scrivere:
VO = VI + VQ
L’errore VQ , fortunatamente, sta entro alcuni limiti definibili in base alla codifica (numero N di bit,
tensione di riferimento VR ): possiamo infatti scrivere
1 1
− VLSB < VQ < VLSB
2 2
dove VLSB è la variazione di tensione in uscita corrispondente alla variazione del bit meno
significativo (LSB = Least Significant Bit).

V LSB
VLSB
VLSB
VLSB

La tensione VLSB è facilmente determinabile4, come dicevamo, a partire da N e VR :


(
VO = VR b1 2 −1 + b2 2 −2 + ... + bN 2 − N )
VR bit meno significativo
VLSB = VR ⋅ 1 ⋅ 2 − N =
2N
Possiamo verificare questa caratteristica graficando
grafi la
funzione corrispondente all’errore di quantizzazione (v.
figura a sinistra). Tale grafico può sperimentalmente essere
ottenuto tramite l’apparato
mostrato in figura a destra.

8.2 – Valutazione dell’errore

Il problema della valutazione


quantitativa dell’errore di
quantizzazione è fondamentale
nello studio dei convertitori.

3 Questa tensione è “graficamente” e” descrivibile come la distanza tra retta e scalinata.


4 Sotto le ipotesi di codifica “uniforme” il che, in soldoni, sta a significare che i gradini nella nostra “scalinata” (v.
figura), sono tutti alti allo stesso modo.
Si definisce valor quadratico medio temporale (unità di misura  V 2  ) la quantità
T
1 2 2
V ( t ) dt
T −T∫ Q
V 2
Q
=
2

(l’operatore è quello di media temporale)


Tale parametro è per sua natura una potenza e, in particolare, trattasi della potenza trasferita ad
un carico resistivo di 1 Ω .

Isoliamo ora un periodo della funzione periodica errore di quantizzazione:

 t
Funzione5: VLSB  −  = VQ ( t )
 T
Svolgiamo ora il calcolo per trovare il valor quadratico
medio (temporale) dell’errore di quantizzazione:
T T 2
1 2 2 1 2 2 t
V 2
Q
=
T −T∫ Q
V ( t ) d t =
T −T∫ LSB  T 
V   dt =
2 2
T
2
VLSB  t3 
2 2
VLSB
= 3   =
T  3  −T 12
2

Tale valore, se posto sotto radice, ci restituisce il valore efficace6 (detto


detto anche root mean square, unità
di misura [V]) del nostro errore di quantizzazione:
V
VQ2 = LSB
12
Assumiamo ora che VQ sia una variabile aleatoria: a questa variabile sarà associata una densità di
probabilità che assumeremo uniforme (se consideriamo il caso generale, infatti, non c’è ragione per
la qualee alcuni valori siano più probabili di altri).
altri)

1
VLSB

Se proviamo a calcolare il momento del second’ordine ci accorgiamo immediatamente che l’analisi


temporale (quella svolta poco fa) e quella statistica
statistica (matematicamente più rigorosa, che facciamo
ora) danno lo stesso risultato. Si ha infatti:

5 Ribadiamo che T è il periodo della


la funzione errore di quantizzazione.
6
Si noti che questo valore è inferiore a V LSB , visto che non ci troviamo sempre nel caso più sfortunato!

momento del II ordine → VQ2 ≜ ∫ V p ( V ) dV =
2
Q Q Q
−∞
VLSB V LSB
1  x3  2
2 2
1 2 VLSB
= ∫
V LSB VLSB
x dx =  
VLSB  3  − VLSB
=
12
− 2
2

Tale risultato è analogo a quello elaborato poco fa tramite il valore quadratico medio!

8.3 – Caratterizzazione del rapporto segnale/rumore


segnale (SNR)

Consideriamo lo schema in figura:


• nel caso ideale, il segnale viene dato in pasto al sistema, che lo amplifica senza problemi;
• nel caso reale, il segnale è “mescolato” ad un rumore (dovuto a vari fattori,
fat dei quali molti
sono di natura fisica e per questo ineludibili) e il sistema amplificherà sia l’uno che l’altro.
l’altro
Per caratterizzare un sistema risulta quindi di largo uso il parametro SNR (Signal
( to Noise Ratio,
quasi sempre espresso in dB), il quale ci dà una misura di quanto il segnale utile sia più potente
del rumore. Questa è infatti la definizione:
P potenza del segnale
SNRdB = 10 log 10 S = 10 log 10
PN potenza del rumore
Nel calcolo della potenza siamo molto avvantaggiati visto che partiamo dalle considerazioni fatte
nel capitolo scorso, in cui
ui si era detto che il generico termine
T
1 2 2
s (t ) s ( t ) dt
T −T∫
2
=
2

(valore quadratico medio temporale)


calcolato a partire dal segnale s(t) (che in quel caso era deterministico ovvero conosciuto per ogni
suo istante), è a tutti gli effetti una potenza e, precisamente, la potenza trasferita ad un carico
resistivo di 1 Ω .
Come facciamo però a calcolare la potenza di un segnale completamente aleatorio qual è il
rumore? In questo caso, infatti, non abbiamo
abbiamo affatto un’espressione analitica da inserire dentro
l’integrale, bensì un segnale il cui andamento è completamente imprevedibile, sennonché ci viene
in aiuto il fatto che il rumore risulta sperimentalmente essere di tipo gaussiano per cui si ha
l’importante uguaglianza fra

valor quadratico medio temporale = valore quadratico medio statistico


A questo punto è effettivamente possibile il calcolo dell’SNR il quale, chiaramente, dev’essere
massimizzato se vogliamo una conversione il quanto più precisa
precisa.

Come
ome si valuta il rapporto SNR ((dove il rumore, in questo caso, è quello dovuto all’errore di
quantizzazione7 e non a fenomeni di tipo “fisico”)
“fisico”) di un convertitore A/D?
Supponiamo di dare in pasto al nostro convertitore una banalissima sinusoide:
A sin (ωt + ϕ )

VR
0 2
VR

−A
Calcoliamone la potenza:
T
1 2 A 2 VR2
( )
2 A
ω ϕ
T −T∫ 
PS =  A sin t +  d t = =  root mean square =
2 8 2
2

corrispondente al valore quadratico


Il rumore di quantizzazione ha invece la seguente potenza ((corrispondente
medio temporale), già calcolata nel paragrafo 8.2:
2
 VR 
2
VLSB  2N  2
PN = =  = VR
12 12 12 ⋅ 2 2 N
Ora possiamo calcolare l’SNR:
VR2 2
PS 8 12 ⋅ 2 2 N  2 3 ⋅ 2N   3 N
SNRdB = 10 log 10 = 10 log 10 = 10 log = 10 log   = 20 log  ⋅2  =
PN VR2
10
8 10  2 2  10  2 
   
12 ⋅ 2 2 N
= … = 6, 02 N + 1,76
Chiaramente se aumentiamo N,, ovvero i bit con cui esprimiamo il segnale tradotto da analogico in
digitale, la conversione risulta essere più precisa8 per cui crescee l’SNR. A volte, tuttavia,
aumentare N può essere problematico per cui si ricorre all’oversampling (sovracampionamento),
metodo molto astuto per ottenere un SNR un po’ più consistente consistente.

8.4 - Sovracampionamento

aliasing la frequenza minima


Dalla teoria (Shannon-Nyquist)) sappiamo che, per evitare effetti di aliasing,
di campionamento di un segnale dev’essere almeno pari alla
9
lla frequenza di Nyquist 2 fm (dove f m
n convertitore funzionante alla frequenza 2 fm viene per questo motivo
è la banda del segnale): un
chiamato convertitore di Nyquist.. Portandoci oltre questa frequenza possiamo tuttavia avere alcuni
vantaggi dovuti ad una quantità più cospicua di dati: in questo modo riduciamo l’incertezza nel
nella

7 E quindi è deterministico.
8 È intuitivo il fatto che usare 1024 valori - invece di, ad esempio, 128 - porti ad una descrizione più accurata della
forma d’onda.
9 Per come abbiamo inteso la conversione A/D, possiamo dire che essa è qualitativamente analoga al campionamento

unito ad un’approssimazione in grado di “comprimere” gli infiniti possibili


possibili valori in ingresso nei finiti valori digitali
d’uscita.
codifica del segnale e, conseguentemente, diminuiamo l’SNR. I convertitori funzionanti a
frequenze superiori a 2 f m vengono quindi denominati a sovracampionamento.
sovracampionamento
Il principio che sta dietro al sovracampionamento è semplice; consideriamo
consideriamo infatti la densità
spettrale di potenza del rumore di quantizzazione ( fS = frequenza di funzionamento del
convertitore):

2 2
VLSB VLSB
Il rettangolo in figura ha base fS e altezza , nonché area costante e pari a : aumentando
12 fS 12
fS schiacciamo questo rettangolo spalmandolo su una quantità maggiore di frequenze e
decrementandone conseguentemente l’altezza. “Decrementare l’altezza” signifi
significa però abbatterne
i valori di densità, cosa senz’altro positiva visto che riusciamo in questo modo a “diluire” la
potenza del rumore su più componenti frequenzali.

Sia ora OSR (OverSampling


OverSampling Ratio detto anche fattore di sovracampionamento)
sovracampionamento il rapporto fra la
frequenza di campionamento effettiva e quella di Nyquist10, che supponiamo essere fS . Ecco
mostrato l’effetto appena descritto:

lo spettro si spalma

fS fS
Operando ora un filtraggio per frequenze superiori a e inferiori a −
quel che otteniamo è
2 2
una sensibile diminuzione del rumore di quantizzazione: parte dello spettro, infatti, viene
letteralmente spazzata via!
lo spettro che si salva

fS fS

2 2
10Quindi possiamo dire che il nostro convertitore a sovracampionamento campiona ad OSR volte “più velocemente”
rispetto alla frequenza di Nyquist.
Per trovare la potenza del rumore è ora necessario trovare l’area del rettangolo verde, che è pari a:
2 2
VLSB f VLSB VR2
PN = 2⋅ S = = (11))
12 ⋅ OSR ⋅ fS  2 12 ⋅ OSR 12 ⋅ 2 2 N ⋅ OSR
   base
altezza

Procedendo ora al calcolo dell’SNR, otteniamo:


VR2
P 8
SNRdB = 10 log 10 S = 10 log 10 = ... = 6,02 N + 1,76 + 10 log 10 OSR
PN VR2
12 ⋅ 2 2 N ⋅ OSR
Notiamo con disappunto che l’oversampling
oversampling influisce solo logaritmicamente12!

8.5 – Convertitori sigma-delta

Esaminiamo il seguente schema:

integratore: funge da
filtro passa-basso
retroazione negativa

In questa retroazione, di tipo digitale, ciò che viene riportato in ingresso soffre di rumore di
quantizzazione; se ora ci poniamo nel caso estremo in cui N = 1, otteniamo il cosiddetto modulatore
Σ∆ (sigma-delta).

VI

Notiamo immediatamente che il convertitore A/D diventa un comparatore,


comparatore mentre quello D/A si
trasforma in un deviatore (con possibilità di “scelta” fra due soli valori di tensione, VR e −VR ). Ad
ogni colpo di clock (CK), il comparatore effettua un controllo a soglia su VX e opta per un 1 o uno
0 (1 se VX è positiva, 0 se VX è negativa):
negativa): questo valore viene passato al deviatore, che andrà a
sottrarre, all’ingresso VR o −VR . Facciamo l’ipotesi che VI stia sempre all’interno del range
 −VR , +VR  e, precisamente, che VI sia una frazione di VR :
V
VI = R con α > 1
α

2
VLSB
11 L’altezza ha quel valore in quanto dobbiamo dividere
d la potenza (area del rettangolone originario) per il
12
valore della base del rettangolo spalmato ( = OSR⋅ fS ), quando ancora non è stato filtrato.
16
12Esempio: disponendo di un convertitore a 8 bit, dovremmo campionare ad una frequenza 2 volte superiore a
quella di Nyquist per ottenere le stesse prestazioni di un convertitore a 24 bit.
A quanto è pari VX , cioè ciò che esce dall’integratore? VX è appunto il risultato dell’integrazione
del segnale Vε , perciò è uguale a
T
VX = ∫ Vε dt
0

(T = periodo di clock)
Il “segnale d’errore” Vε dentro all’integrale è pari a:
VR α +1
• Vε = VI + VR = + VR = ... = VR > 0 se al clock precedente si aveva VX < 0 (se VX < 0 ,
α α
infatti, il deviatore sottrae all’ingresso −VR , ovvero somma + VR visto che siamo in
condizioni di retroazione negativa).
negativa Integrando questo valore di Vε (costante e positivo),
otterremo in uscita una rampa crescente13;
V 1−α
• Vε = VI − VR = R − VR = ... = VR < 0 se al clock precedente si aveva VX > 0 (se VX > 0 ,
α α
infatti, il deviatore sottrae all’ingresso + VR ). Integrando questo valore di Vε (costante e
negativo), otterremo in uscita
scita una rampa decrescente13.
periodo
Facendo l’ipotesi che VI sia costante14
otteniamo un andamento periodico di VX
caratterizzato da rampe crescenti e
decrescenti
nti cicliche15.
In figura a sinistra vediamo proprio
l’andamento della tensione VX e, sotto,
ciò che il comparatore restituisce in uscita
(0 quando VX è negativo, 1 quando VX è
positivo).

A questo punto nto è interessante capire


quanto tempo impiega la rampa ad
arrivare al massimo e quanto
qua tempo ci
metta a decrescere fino al minimo. Per far
questo trasliamo la forma d’onda di VX tanto quanto basta affinché il suo valore minimo sia a

13Domanda: perché la rampa crescente è più pendente di quella decrescente (e quindi servono più rampe decrescenti
per riportarci sotto lo zero e provocare il conseguente avvento di una nuova rampa crescente)? Basta vedere quale
valore dobbiamo integrare. Facciamo un esempio numerico con α = 1 ,2 5 :
1−α 0,25
• caso rampa decrescente:: si integra V =− V = −0, 2 VR ;
α R 1,25 R
1+α 2,25
• caso rampa crescente: si integra VR = V = 1, 8 VR .
α 1,25 R
0,2 è 9 volte inferiore rispetto a quello di 1,8: integrando il valore costante −0, 2 VR
Risulta evidente che il modulo di -0,2
avremo una rampa molto meno pendente rispetto a quella ottenuta integrando 1, 8 VR .
14Questo significa che, all’uscita dell’integratore, vi sarà una rampa.
15 Perché cicliche? Nella nota 13 abbiamo spiegato la “fisionomia” delle rampe crescenti e decrescenti: possiamo
immaginare che l’andamento ciclico (cioè periodico) inizi con una (o più) rampa(/e) crescente(/i) e termini quando
finiamo sotto lo zero in seguito to a una serie di rampe decrescenti. Tuttavia, siccome alla fin fine sommiamo e
sottraiamo sempre le stesse quantità, ogni ciclo sarà uguale a quello precedente (e successivo).
ridosso dello 0 (v. figura a fianco). Chiamiamo
quindi VT il valore massimo toccato dalla nuova
configurazione della curva della tensione VX .
A quant’è pari VT ? Per scoprirlo basta integrare il
1−α
valore che generava la rampa decrescente (ovvero VR ) su un periodo più lungo rispetto a
α
agire per n1 − 1 periodi
quello di clock:: in pratica vogliamo “prolungare” questa rampa facendola agir
di clock aggiuntivi (per un totale di n1 periodi di clock totali) finché non tocca lo zero
zero.

L’integrale diventa quindi:


1−α 1−α α −1
n1T

∫ 0
α
VR dt = n1T
α
VR = −VT ⇒ n1T
α
VR = +VT

Si noti che la scelta del pedice “1”” in n1 non è casuale: abbiamo infatti una rampa decrescente per
ogni 1 in uscita dal comparatore.
elementare” fino a n0 periodi di
Facciamo lo stesso con la rampa crescente16, prolungando quella “elementare
clock:

VT

Ecco il relativo integrale:


1+α 1+α
n0T


0
α
VR dt = n0T
α
VR = VT

Anche questa volta la scelta del pedice “0” in n0 non è casuale: ricordiamo infatti che si ha una
rampa crescente per ogni 0 in uscita dal comparatore.

n1 − n0
Possiamo a questo punto trovare il termine :
n1 + n0
 1+α α VT α VT α VT
n0T α VR = VT ⇒ n0 = −
 α + 1 TVR n1 − n0 α − 1 TVR α + 1 TVR 1
  = = ... =
n T α − 1 V = + V α VT n1 + n0 α VT α VT α
⇒ n1 = +
 1 α R T
α − 1 TVR α − 1 TVR α + 1 TVR

16Come si nota, in questo esempio facciamo finta che la rampe crescenti necessarie
necessarie a raggiungere il massimo siano più
d’una.
Tale valore rappresenta una particolare media dia calcolata sui bit in uscita: precisamente, trattasi
della quantità calcolata coinvolgendo una certa finestra ed effettuando, appunto, una media fra il
valore centrale e quelli che vi stanno intorno.

Fatto questo, si sostituisce al valore centrale la media appena calcolata e si fa scorrere la finestra.

Questo modo d’agire fa il gioco di un filtro passa-basso


passa in quanto rende tutti i valori più uniformi,
“ammorbidendone” le variazioni.

PRIMA  DOPO

Come sappiamo dalla Teoria


eoria dei segnali, le variazioni lente corrispondono a frequenze
f basse (cioè
a una combinazione lineare di sinusoidi di bassa frequenza) e da qui il comportamento passa-
passa
basso.

Il componente in grado di effettuare tutte queste


operazioni si chiama decimatore (o filtro digitale passa-
basso) e viene posto a valle del Σ∆ . L’insieme
modulatore Σ∆ + decimatore è chiamato convertitore
Modulatore Σ∆ sigma-delta.

Convertitore Σ∆

All’uscita del decimatore (cioè del


del convertitore) troviamo le medie codificate con una stringa
lunga N bit.

Nell’esempio sovrastante N = 8 e quindi il decimatore sputa fuori dei byte. Si noti che la frequenza
d’uscita di ogni byte (stream “lento”) è quella del vero e proprio convertitore
convertito e, in quanto tale,
dev’essere almeno pari a 2 fS , cioè alla frequenza di Nyquist:
Nyquist: per ogni byte escono però 8 bit dal
modulatore sigma-delta
delta e ciò ci fa capire che quest’ultimo componente abbia una ben più elevata
frequenza di funzionamento (stream
stream “veloce”). Per questo motivo il sigma-delta
sigma entra di diritto
nella categoria dei convertitori a sovracampionamento.

delta, come ogni altro convertitore,


Il convertitore sigma-delta, convertitore, introduce un rumore di quantizzazione.
Per capire a quanto ammonta dobbiamo fare un ragionamento dal sapore “controllistico”; il
seguente…
… è lo schema di un convertitore Σ∆ [si noti l’introduzione del rumore di quantizzazione n(s)]. La
funzione di trasferimento,, chiamato x(s) il segnale in ingresso e y(s) quello in uscita, uscita sarà dunque
del tipo:

y ( s )  x ( s ) − y ( s )  s
k
k
= = ... = (funz. di tipo passa-basso
basso del I ordine)
x ( s) x ( s) k+s
Volendo valutare il rapporto fra y(s) ed n(s), annullando x(s)17, otteniamo:

y ( s) y ( s) s + n ( s)
k
s
= = ... = (funz. di tipo passa-alto
alto del I ordine)
n ( s) n ( s) s+k
Dunque il convertitore:
• si comporta come un passa-basso rispetto al segnale;
• si comporta come un passa-alto rispetto al rumore.
Questo fatto è senz’altro
o positivo visto che, oltre all’abbattimento (cioè alla “spalmazione”
“spalma 18
) dello
spettro da parte dal sovracampionamento, otteniamo l’eliminazione di alcune componenti di
rumore (noise-shaping) grazie al sopraccitato filtraggio.

Se andiamo a calcolare l’SNR per un convertitore sigma-delta,


sigma delta, otteniamo infatti la seguente
espressione:
SNR = 2,61 + 9,03 log 2 OSR
Si noti la comparsa del logaritmo in base 2 in luogo di quello in base 10 della “vecchia”
espressione relativa ad un A/D converter generico: l’SNR del sigma--delta risulta quindi, a
confronto, più consistente.

8.6 – Il sample&hold,, un valido ausilio alla conversione

Abbiamo visto nei paragrafi precedenti che esiste un


importante trade-off fra precisione e frequenza del
campionamento. Vediamo ora come il procedimento di
sample&hold (“campiona e trattieni”) si inserisca in questo
contesto e porti significativi vantaggi.
vantaggi
Con un sample&hold, ad ogni colpo di clock il segnale
mantiene costante il valore di tensione fino al colpo di
destra)
clock successivo (v. figura a destra).

17 Sfruttiamo la sovrapposizione degli effetti.


18 Termine tecnico :-)
Dal punto di vista dell’analisi in frequenza, il
sample&hold diminuisce visibilmente gli effetti delle
frequenze alte (poche variazioni = combinazione
lineare di sinusoidi di bassa frequenza): una volta
passato per il sample&hold, il segnale avrà quindi
molte meno componenti ad alta frequenza (v. figura) e
sarà perciò più facile sia da campionare che da convertire.

Circuitalmente, un circuito di sample&hold si realizza così:

Come viene indicato, il dimensionamento del termine resistivo


resistivo e di quello capacitivo risente dei
vincoli imposti sulla costante di tempo τ = RC , la quale dev’essere molto più piccola dell’inverso
della frequenza f m (quella massima del segnale trattato) altrimenti il condensatore non riuscirà a
raggiungere in tempo il giusto valore di tensione da mantenere.
Un altro requisito che dobbiamo rispettare è quello che riguarda la massima variazione del
segnale nel tempo: se vogliamo la massima precisione dobbiamo infatti campionare ad una
frequenza tale per cui, all’interno di uno stesso periodo di clock (entro il quale, come abbiamo
detto, la tensione del segnale rimane costante),
costante), i valori di tensione in ingresso siano tutti riferibili
ad un unico valore in uscita19; il caso
ca indesiderato è infatti quello per cui, all’interno di uno stesso
periodo di campionamento, il segnale varia di una quantità maggiore a VLSB : in tale situazione,
infatti, il convertitore A/D posto a valle del dispositivo non si accorge di questa variazione visto
che il sample&hold ha mantenuto costante il valore della tensione.

Consideriamo, per esemplificare, il seguente segnale sinusoidale:


V
Vi = R sin ( 2π ft )
2
Facendo la derivata della tensione rispetto al tempo,
tempo e calcolandone il max, siamo in grado di
quantificare la massima variazione del segnale nel tempo, parametro che ci servirà a trarre un
limite inferiore per la frequenza di campionamento:
dVi
= VRπ f
dt max
(il termine seno è pari ad 1 perché siamo
siamo nel caso “massimo”)
Ora dobbiamo imporre che la variazione del segnale d’ingresso sia inferiore alla VLSB : facciamo
quindi la formula inversa e ricaviamo dt.
dVi
= dt
VRπ f

19E stiamo, cioè, tutti “all’interno di un gradino” della funzione-scalinata


funzione scalinata del convertitore A/D, senza sforare verso
valori d’uscita successivi.
Ecco che abbiamo trovato un vincolo importante: il segnale dato in ingresso al sample&hold può
rimanere costante al massimo per dt (= periodo di clock).. Oltre quel valore può succedere che
l’uscita (una certa stringa di bit) non corrisponda a ciò che è in ingresso (e che dovrebbe essere
codificato con un’altra stringa di bit).
dVi
CONDIZIONE: dt <
VRπ f
Nelle applicazioni in cui è possibile implementarlo, il sample&hold è di grande ausilio alla
al
conversione A/D per il sopraccitato abbattimento delle frequenze alte;
alte; se ragioni logistiche ci
impediscono
pediscono di realizzarlo, ci tocca invece farne a meno.

8.7 – Integrating A/D converter

Si esamini lo schema seguente: questo interruttore serve per


resettare l’integratore, altrimenti
lui continua ad integrare fino alla
saturazione

Quello appena disegnato è un integrating A/D converter: il suo compito è quello di calcolare la
seguente quantità
T
−V T
V
VX = − ∫ i dt = ∫ i dt
0 RC 0 RC

che, come si vede, è stata elaborata integrando il segnale d’ingresso Vi . Una volta trascorso un
certo tempo T, misurato tramite un contatore a N bit, l’interruttore presso l’integratore si chiude e
quest’ultimo componente inizia ad integrare la tensione VR , di segno contrario a Vi . Possiamo
quindi distinguere due fasi:
• durante una prima fase
l’integratore opera su una
quantità costante che dipende
dal segnale d’ingresso (rampe
rampe
crescenti,, e di pendenza
dipendente da Vi , v.
disegno). In questa prima fase
VX cresce;
• quando scatta il contatore
viene integrata la quantità VR
(di segno opposto alla Vi ,
cosicché abbiamo una rampa
decrescente nel disegno) fino
a quando VX , a forza di calare,
calare avrà raggiunto lo zero.
Si tenga presente che la rampa crescente può avere una pendenza qualsiasi, visto che dipende da
Vi , mentre la rampa decrescente ha sempre la stessa derivata (imposta da VR ).
Una volta che VX è tornata a zero (il momento esatto ce lo dice il comparatore a valle
dell’integratore) scatta la logica di controllo, la quale ci informa su quanto tempo ci ha messo il
segnale a tornare a zero. Da tale
ale informazione, infatti, è possibile risalire al valore di tensione Vi .
Chiamiamo infatti T1 il tempo che impiega il contatore per arrivare alla fine del conteggio (hp:
contatore a 2 N bit, conteggio che parte dalla stringa 000000… 0 e termina al valore 111111…..1);
tale tempo sarà pari a:
T1 = 2 N TCK
Il tempo T2 , ovvero quello che impiega il segnale per tornare a zero,
zero, è invece pari a
T2 = 2 N B0TCK
dove B0 è una certa codifica che si trova tra 000000… 0 e 111111…..1 (20):
B0 = b1 2 −1 + b2 2 −2 + ... + bN 2 − N
Abbiamo quindi che:
T2 2 N B0TCK
= N = B0
T1 2 TCK

T2 Vi
Il rapporto coincide però col rapporto per le tensioni in quanto
T1 VR
T1 T
Vi 2
V ViT1 VRT2 T V
∫0 RC dt − ∫0 RCR dt = RC −
RC
= 0 ⇒ ViT1 = VRT2 ⇒ 2 = i
T1
VR
   
salita discesa

quindi abbiamo ottenuto, in colpo solo, la codifica binaria del segnale, il rapporto fra i tempi di
salita e di discesa, il rapporto fra la tensione di riferimento (conosciuta) e la tensione d’ingresso
(nota pure lei, a questo punto).
Tale convertitore è molto preciso ma deve necessariamente attendere una quantità di tempo prima
di emettere i suoi valori, per cui è anche molto lento.

8.8 – Convertitore ad approssimazioni


zioni successive
comparatore

sample&hold

Quello in figura è lo schema del cosiddetto convertitore ad approssimazioni successive.


successive
Il suo funzionamento può essere illustrato attraverso un algoritmo:

20 VR è, per definizione, maggiore in modulo rispetto a qualsiasi valore che VI possa assumere. Di conseguenza, la

rampa decrescente è più pendente di qualsiasi controparte crescente: perciò si ha che T2 < T1 .
Campiona Vi
È la tensione d’ingresso
d’
B0 = 0 maggiore di un certo
i=1 valore di riferimento V A ?

Dai in uscita un Dai in uscita uno


Vi ≥ VA 0 per il bit bi
1 per il bit bi

Aumenta la
risoluzione:
bi = 1 bi = 0 nuovo valore di
riferimento
Aumenta la
risoluzione: VR VR
nuovo valore di VA ← VA + VA ← VA −
2 i+1 2 i+1
riferimento

Possiamo
Scaliamo di un bit
aumentare
verso quelli meno i ← i +1 ulteriormente
significativi
la risoluzione?
Sì No
i<N STOP

Il principio di funzionamento di questo convertitore è basato sul metodo delle bisezioni, che
permette di determinare la parola digitale a n bit che rappresenta il segnale di ingresso in soli n
periodi di clock (contro i 2n periodi di clock dei convertitori
convertitori a rampa lineare o incrementali).
All’inizio di ogni ciclo di conversione il segnale di ingresso Vi viene campionato dal sample&hold;
successivamente, il segnale di ingresso viene confrontato con la tensione analogica fornita dal
DAC, che corrisponde al bit più significativo21. Se il segnale di ingresso è di ampiezza inferiore
rispetto al segnale fornito dal DAC significa che il bit più significativo della parola digitale di
uscita deve essere posto a “0”, altrimenti significa che essoesso deve essere posto a “1”. Una volta
stabilito il valore del bit più significativo, esso viene memorizzato dal registro ad approssimazioni
successive e mantenuto. Si passa quindi al bit successivo, confrontando la tensione fornita dal
DAC con il segnale d’ingresso. In base alla decisione del comparatore si stabilisce se il bit in
questione deve essere “0” o “1”, memorizzando poi il risultato nel registro ad approssimazioni
successive. Si procede in questo modo per n periodi di clock fino a che non vengono determinati
tutti i bit22.

21VR
ESEMPIO (N = 5):: arriva in ingresso una tensione pari a . Il sample&hold campiona e il
32
circuito inizia ad elaborare.

21 Quindi, in un esempio N = 4, viene generato un valore di tensione pari alla parola 1000. Si noti che, al primo passo,
la tensione VA viene posta esattamente a VR 2 .
22 Tratto da http://ims.unipv.it/~piero/Misure/Misure09.pdf.
http://ims.unipv.it/~piero/Misure/Misure09.pdf
21  1 ?? ?? ?? ??  V
Primo confronto: VR ≥ VR  1 + 2 + 3 + 4 + 5  = R ??
32  2 2 
2 2 2  2
 
VA

L’ipotesi è corretta quindi l’1 va bene!


 1 1 ?? ?? ??  VR VR
Cambio di risoluzione: VA = VR  1 + 2 + 3 + 4 + 5  (ovvero il vecchio valore di VA + cioè + )
2 2 2 2 2  2 i +1 22
21  1 1 ?? ?? ??  3V
Secondo confronto: VR ≥ VR  1 + 2 + 3 + 4 + 5  = R ??
32  2 2 
2 2 2  4
 
VA

Ipotesi errata: l’1 non è corretto e sostituiamolo con uno zero.


 1 0 1 ?? ??  VR VR
Cambio di risoluzione: VA = VR  1 + 2 + 3 + 4 + 5  (ovvero il vecchio valore di VA − cioè − )
2 2 2 2 2  2 i +1 22
21  1 0 1 ?? ??  5V
Terzo confronto: VR ≥ VR  1 + 2 + 3 + 4 + 5  = R ??
32  2 2 
2 2 2  8
 
VA

Ipotesi corretta: l’1 è effettivamente il bit di indice i = 3.


 1 0 1 1 ??  VR VR
Cambio di risoluzione: VA = VR  1 + 2 + 3 + 4 + 5  (ovvero il vecchio valore di VA + cioè + )
2 2 2 2 2  2 i +1 24
21  1 0 1 1 ??  11VR
Quarto confronto: VR ≥ VR  1 + 2 + 3 + 4 + 5  = ??
32  2 2 2 2 2  16
  
VA

L’ipotesi è errata quindi l’1 non va bene!


1 0 1 0 1 VR VR
Cambio di risoluzione: VA = VR  1 + 2 + 3 + 4 + 5  (ovvero il vecchio valore di VA − cioè − )
2 2 2 2 2  2 i +1 25
21  1 0 1 0 1  21VR
Quinto confronto: VR ≥ VR  1 + 2 + 3 + 4 + 5  = ??
32  2 2 2 2 2  32
  
VA

In questo caso le due quantità da confrontare sono


esattamente coincidenti per cui lasciamo l’1
ipotizzato. La stringa corrispondente al valore di
tensione in ingresso è quindi 10101.

8.9 – Flash A/D converter

In figura a sinistra vediamo lo schema del flash A/D


converter. Esso è costituito da 2 N comparatori ed è
molto veloce in quanto replica il principio del
convertitore ad approssimazioni successive ma
facendo tutti i passaggi in una volta: le resistenze,
infatti, provocano le cadute di tensione alla stregua
di come la logica di controllo, nel caso ad
approssimazione successiva, “aumentava la
risoluzione” abbattendo (o anche aumentando, ma
nel caso flash le resistenze non possono che
abbattere!) il valore di riferimento.
Sotto ogni resistenza vengono prelevati i valori di tensione da dare in pasto ai comparatori:
compar questi
saranno configurati per effettuare il giusto controllo relativo ad uno dei bit della codifica
termometrica (v. tabella sottostante) e,
e, a loro volta, daranno in uscita un bit da dare in pasto a un
convertitore in grado di trasformare un codice termometrico in un codice binario.
binario

ESEMPIO di conversione termometrico  binario con N = 4

Cod. termometrica Cod. Numero


binaria naturale
0 0 0 1 0 0 0
0 0 1 1 0 1 1
0 1 1 1 1 0 2
1 1 1 1 1 1 3

8.10 – Convertitore A/D a due passi

moltiplicatore x16

A/D
Vi A/D D/A + 4 bit
4 bit 4 bit

primo livello secondo livello

Questo convertitore agisce a due livelli (v. schema soprastante,


soprastante esempio N = 8):
• il primo livello codifica i bit più significativi attraverso un normale convertitore A/D,
dopodiché riconverte in analogico. Questa operazione serve per poter “depurare” il segnale
in ingresso Vi in modo da lasciare intatte solo le differenze fra tale valore e quello esatto,
più vicino e inferiore codificabile sulla scala a 4 bit.
ESEMPIO:
Ingrandendo questo trattino di
VR
linea azzurra (la differenza), e
applicando un’altra conversione
A/D, possiamo ricavare i quattro
bit meno significativi
significati

VR
2
Una volta giunti qui abbiamo a
disposizione i quattro bit più
significativi, corrispondenti al
valore indicato dalla freccia
verde e cioè 1010
verde,

0
• il secondo livello agisce sulla differenza di cui abbiamo parlato nel punto precedente e
difica i bit meno significativi in quanto la moltiplicazione x 2 N “aumenta la risoluzione” e
codifica
permette di essere più precisi.

Una volta giunti qui abbiamo a


disposizione i quattro bit più
meno, corrispondenti al valore
indicato dalla freccia blu, e cioè
1100

8.11 – Interpolating A/D converter

Il convertitore A/D ad interpolazione ha un


meccanismo simile a quello del convertitore
flash,, ma consuma molto meno perché la
capacità d’ingresso è molto inferiore (si notino
i 2 comparatori “grandi” in luogo dei 2 N del
caso precedente).

V2 B V2 A
V2

V2

V2 A

V2 B V2 C

V2C
8.12 – Folding A/D converter

A sinistra vediamo lo schema di un folding A/D


converter. Si notino anzitutto i quattro
dispositivi, ciascuno governato da quattro
tensioni di riferimento (nel caso più generale
possibile possono essere tensioni qualsiasi,
purché
rché scelte in ordine crescente come indicato
in figura). I numeri indicati presso le frecce
entranti corrispondono a quelli mostrati
sull’asse delle ascisse del grafico sottostante.

Tali numeri indicano, per ogni dispositivo, la


posizione dei punti “notevoli” (quelli colorati)
in grado di descrivere il posizionamento
(sempre sul grafico a destra) della forma
d’onda sottostante.

Inoltre, sempre tali numeri indicano la quantità da


mettere al denominatore in
??
V
16 R
per trovare la corrispondenza fra questi ultimi e il
valore di tensione di riferimento.
Ecco quindi, ad esempio, i valori di V1 , V2 , V3 e V4 all’aumentare della tensione Vi (da 0 al
massimo, cioè VR ):

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16
V1 0 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 1 1 1 1 0
V2 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0 1 1 1 1 0 0
V3 0 1 1 1 1 0 0 0 0 1 1 1 1 0 0 0
V4 1 1 1 1 0 0 0 0 1 1 1 1 0 0 0 0

gruppo 1 gruppo 2

Per sciogliere l’ambiguità fra la permanenza del segnale nel gruppo 1 o nel gruppo 2 (o,
comunque, per capire in che zona della tabella binaria ci troviamo) è necessario l’apporto del
convertitore A/D a 2 bit mostrato nello schema in alto. Notiamo inoltre che, anche in questo caso,
la logica di controllo dovrà tradurre una codifica termometrica per trarne una binaria.
binaria
Nella figura sottostante vediamo lo schema dei dispositivi comandati dalle quattro tensioni.

8.13 – Convertitore pipelined

Ecco lo schemaa di quest’ultimo convertitore:

Notiamo la presenza di:


• latch: un latch è un circuito
elettronico utilizzato per bi
immagazzinare informazioni
nei sistemi a logica
sequenziale asincrona;
• DAP (1 bit Digital
): il DAP è un
APprossimator):
dispositivo di cui vienee a fianco mostrata la struttura interna.

Notiamo immediatamente che il


convertitore pipelined ha bisogno di
N colpi di clock per arrivare a
determinare un risultato:
risultato ad ogni
colpo, in particolare, abilitiamo il
sample&hold e la pipeline (i dati
scorrono da sinistra a destra e
scendono dall’alto al basso).
Il funzionamento del circuito è
schematicamente illustrato in figura
a fianco.

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