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ANNUARIO

ACCADEMIA di
BELLE ARTI di
VENEZIA

Dall’oggetto al territorio
Scultura e arte pubblica

ILPOLIGRAFO
ACCADEMIA
DI BELLE ARTI
DI VENEZIA
ABAV ANNUARIO
ACCADEMIA di
BELLE ARTI di
VENEZIA
a cura di Alberto Giorgio Cassani

Dall’oggetto al territorio
Scultura e arte pubblica

POLIGRAFO
ILPOLIGRAFO
IL 
ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VENEZIA

Organigramma Istituzionale
Presidente: Luigino Rossi
Direttore: Carlo Di Raco
Vice-Direttore: Sileno Salvagnini
Direttore amministrativo: Alessio Di Stefano
Direttore dell’ufficio di ragioneria: Pietro Cazzetta

Consiglio di Amministrazione
Presidente: Luigino Rossi
Rappresentante MIUR: Giuseppe Della Pietra
Direttore: Carlo Di Raco
Rappresentante dei docenti: Marco Tosa
Rappresentante degli studenti: Davide Aghayan

Consiglio Accademico
Presidente: Carlo Di Raco
Consiglieri: Guido Cecere, Silvia Ferri, Paolo Fraternali, Gaetano Mainenti
Marina Manfredi, Roberto Pozzobon, Giuseppe Ranchetti
Rappresentanti degli studenti: Filippo Rizzonelli, Nicola Mansueti

Nucleo di Valutazione
Presidente: Giovanni Castellani
Componenti: Raffaello Martelli, Mauro Zocchetta

Collegio dei Revisori dei Conti


Componenti: Anna Maria Serrentino, Maria Grazia Moroni

Consulta degli Studenti


Coordinatore: Renzo Marchiori
Componenti: Davide Aghayan, Pierpaolo Albanese, Olga Gutu, Nicola Mansueti
Filippo Rizzoneli, Cristina Tonon
Docenti
Jacopo Abis - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte, Serigrafia
Giulio Alessandri - Storia dell’Arte Contemporanea, Teoria e Storia dei Metodi di
Rappresentazione
Marta Allegri - Tecniche plastiche contemporanee, Scultura
Francesco Arrivo - Scenografia, Scenografia multimediale e televisiva
Alberto Balletti - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte, Calcografia
Elena Barbalich - Regia
Roberto Barbato - Teoria e Metodo dei Mass Media
Luca Bendini - Disegno, Pittura
Maria Bernardone - Disegno, Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte
Mirella Brugnerotto - Decorazione
Riccardo Caldura - Fenomenologia delle Arti contemporanee
Alberto Giorgio Cassani - Elementi di Architettura e Urbanistica, Storia
dell’Architettura contemporanea
Claudia Cappello - Pittura
Gaetano Cataldo - Metodologia della Progettazione
Maria Causa - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte
Guido Cecere - Fotografia, Storia del Design
Danilo Ciaramaglia - Plastica ornamentale
Paola Cortelazzo - Costume per lo Spettacolo
Paolo Cossato - Storia dello Spettacolo
Lorenzo Cutuli - Scenografia
Ivana D’Agostino - Stile Storia dell’Arte e del Costume, Storia dell’Arte contemporanea,
Storia della Scenografia contemporanea
Roberto Da Lozzo - Cromatologia, Pittura
Giuseppe D’Angelo - Tecniche per la Scultura
Alessandro Di Chiara - Pedagogia e Didattica dell’Arte, Antropologia delle arti
Carlo Di Raco - Pittura
Vallj Doni - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte
Luca Farulli - Estetica, Estetica dei New Media
Diana Ferrara - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte
Silvia Ferri - Anatomia artistica, Anatomia artistica per il Costume
Antonio Fiengo - Anatomia artistica
Manuel Frara - Pittura, Applicazioni Digitali per le Arti Visive
Paolo Fraternali - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte, Litografia
Aldo Grazzi - Tecniche extramediali, Pittura
Salvatore Guzzo - Tecniche di Fonderia
Giuseppe La Bruna - Scultura
Igor Lecic - Pittura
Patrizia Lovato - Anatomia artistica
Gaetano Mainenti - Decorazione
Stefano Mancini - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte, Litografia, Xilografia
Marina Manfredi - Storia dell’Arte contemporanea, Storia dell’Arte moderna,
Letteratura artistica
David Marinotto - Disegno per la Scultura, Scultura
Stefano Marotta - Tecniche Grafiche Speciali, Computer Graphics
Raffaella Miotello - Anatomia artistica, Semiologia del Corpo
Elena Molena - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte
Guido Molinari - Teoria della Percezione e Psicologia della Forma, Psicologia dell’Arte
Maria Anna Nagy - Pittura
Marilena Nardi - Anatomia artistica, Illustrazione
Mario Pasquotto - Tecniche grafiche speciali, Metodologia progettuale della
Comunicazione visiva, Packaging
Renzo Peretti - Anatomia artistica, Disegno, Elementi di Morfologia e Dinamiche della
Forma
Miriam Pertegato - Pittura, Disegno
Roberto Pozzobon - Scultura
Giuseppe Ranchetti - Scenotecnica, Pittura di Scena, Disegno Tecnico e Progettazione
Elena Ribero - Anatomia artistica
Laura Safred - Storia dell’Arte moderna
Remo Salvadori - Tecniche per la Pittura
Sileno Salvagnini - Storia dell’Arte contemporanea
Edoardo Sanchi - Scenografia
Martino Scavezzon - Pittura
Andrea Serafini - Tecniche dell’Incisione, Grafica d’Arte, Xilografia
Saverio Simi De Burgis - Storia dell’Arte contemporanea, Storia e Metodologia della
Critica d’Arte
Anna Sostero - Progettazione multimediale, Installazioni multimediali, Pittura
Franco Tagliapietra - Storia dell’Arte contemporanea
Federico Tesio - Scenografia
Alfredo Tigani - Anatomia artistica
Vanni Tiozzo - Restauro per la Pittura
Maurizio Tonini - Modellistica, Formatura Tecnologia e Tipologia dei Materiali,
Anatomia artistica
Annalisa Tornabene - Disegno, Anatomia artistica
Marco Tosa - Tecnologia del Marmo e delle Pietre dure, Restauro dei Materiali lapidei
Cristina Treppo - Decorazione
Atej Tutta - Decorazione
Gloria Vallese - Storia dell’Arte contemporanea, Elementi di Iconografia e Iconologia
Laura Zanettin - Anatomia artistica
Roberto Zanon - Design
Maurizio Zennaro - Plastica ornamentale, Tecniche del Mosaico
Mauro Zocchetta - Anatomia artistica
Docenti a contratto
Maria Alberti - Storia del Teatro contemporaneo, Storia della Scenografia
Fabio Barettin - Light Design, Illuminotecnica
Orietta Berlanda - Metodologia e Tecniche della Comunicazione
Carlo Tombola - Digital Video e Tecniche di Documentazione Audiovisiva
Nicola Cisternino - Arti e Musiche Contemporanee, Storia della musica
contemporanea, Progettazione spazi sonori
Andrea Franceschini - Tecniche di Montaggio, Tecniche di ripresa
Antonio Diego Collovini - Teoria e Storia del Restauro
Walter Criscuoli - Fotografia digitale
Michele Daloiso - Inglese
Paolo Del Piccolo - Arredo scenico
Giovanni Federle - Informatica per la Grafica
Giovanna Fiorentini - Tecniche ed Elaborazione del Costume, Tecniche grafiche
per il Costume
Manuel Frara - Fondamenti di Informatica, Applicazioni digitali per l’Arte
Ettore Molon - Ordini e Stili
Paola Moro - Autocad per la Scenografia
Stefano Nicolao - Taglio del Costume storico
Fabio Pittarello - Tecniche di Modellazione digitale D, Sistemi interattivi
Tiziano Possamai - Psicologia della Comunicazione
Gianfranco Quaresimin – Storia della Grafica d’Arte
Massimo Rossi - Elementi di produzione video
Davide Tiso - Sound Design, Fondamenti d’Informatica
Andrea Trevisi - Web Design, Restyling del sito Web
Giovanni Turria - Tecniche dei Procedimenti a Stampa: Tipografia
Milena Zanotelli - Tecniche e Tecnologie della Decorazione

Assistenti amministrativi
Francesca Barato, Barbara Brugnaro, Daniela Gianese, Daniela Hopulele
Serena A. Iglio, Elisabetta Marini, Alessia Orologio, Marilena Pari, Rita Zanchi

Coadiutori
Roberta Berengo, Maria Antonietta Boscolo, Manuela Breda
Teresa Brovazzo, Ada Carraro, Giuseppa Farruggia, Giovanna Guarini
Silvia Marafin, Graziella Marinoni, Ferruccio Nordio, Mara Oselladore
Elisa Porri, Barbara Scipioni, Sabiha Sfaxi, Angela Sorrentino
Rosa “Meo Ambrosi” Tiozzo, Mirca Vianello, Viviana Vivardi
Carlo Zaniol, Massimo Zinato
Annuario dell’Accademia di Belle Arti di Venezia
a cura di Alberto Giorgio Cassani
Annuario/Annuary 
Dall’oggetto al territorio. Scultura e arte pubblica
From the Object to the Territory. Sculpture and Public Art
comitato scientifico
Gabriella Belli, Giuseppina Dal Canton, Martina Frank, Marta Nezzo
Nico Stringa, Giuliana Tomasella, Piermario Vescovo, Guido Vittorio Zucconi
redazione internazionale
Laura Safred
per la realizzazione di questo numero si ringraziano in particolare
Diana Ferrara, Laura Safred, Evelina Piera Zanon
referenze fotografiche
Le immagini riprodotte provengono dall’Archivio fotografico dell’Accademia
e dagli archivi personali degli Autori, salvo dove diversamente indicato.
Si ringraziano: l’Archivio Luigi Nono per le immagini pubblicate nei contributi
di Nicola Cisternino e nel contributo A colloquio con Nuria Schoenberg Nono;
Giulio Secco per le immagini pubblicate nel contributo di Marco Tosa;
Alberto Giorgio Cassani per l’immagine di p. .

progetto grafico e realizzazione editoriale


Il Poligrafo casa editrice
Alessandro Lise, Sara Pierobon, Laura Rigon
Copyright © novembre 
Accademia di Belle Arti di Venezia
Il Poligrafo casa editrice
Il Poligrafo casa editrice srl
 Padova
piazza Eremitani - via Cassan, 
tel.  - fax 
e-mail casaeditrice@poligrafo.it
www.poligrafo.it
ISSN  
ISBN     
INDICE

 Editoriale
Alberto Giorgio Cassani
 Presentazione
Luigino Rossi
 Presentazione
Carlo Di Raco

DOSSIER
DALL’OGGETTO AL TERRITORIO
Scultura e arte pubblica
 Mnéme Mementum Monumentum.
Monoliti, colonne e obelischi come cardini
della costruzione dello spazio urbano
Gaetano Cataldo
 Architetture e sculture policrome a Venezia.
L’immagine perduta della città antica
Marco Tosa
 L’opera totale: Daniel Spoerri e il suo Giardino
Maria Alberti
 “Forma viva”.
Eredità e prospettive di un parco di scultura sull’Adriatico
Majda Božeglav Japelj
 La trasversalità dello spazio nella scultura
María Jesús Cueto-Puente
 “Être en ville”. Atelier de Design d’espace
pour des pratiques urbaines créatives, contextualisées et maîtrisées
Frédéric Frédout
 Public art nell’arena pubblica italiana
Orietta Berlanda
 Note sull’immaginazione tecnologica.
Contributo a un’estetica della media art
Luca Farulli
 Esperienze artistiche contemporanee fra ambiente e spazio pubblico
Riccardo Caldura
 Laboratorio integrato di Forte Marghera.
Un contributo dall’interno
Giulio Alessandri

SAGGI E STUDI
 La civetta sul ramo di perle.
Note su Bosch e Venezia
Gloria Vallese
 Confrontare i volti umani: tecnologia e osservazione
Bob Schmitt
 Qualcosa su Artaud
Natalia Antonioli
 Riagendo (a) Ruota di Bicicletta.
Parigi  - Venezia 
Giulio Alessandri
 Il segno nuovo di Arturo Martini
Marina Manfredi
 Il Suono giallo.
Caminantes no hay camino hay que caminar
 Nono-Vedova. Caminantes
Nicola Cisternino
 ...allora dare è quasi un voler ascoltare il silenzio stesso.
Su Luigi Nono con Massimo Cacciari (Venezia,  luglio )
Nicola Cisternino
 A colloquio con Nuria Schoenberg Nono
 Verso una pedagogia dell’autodeterminazione artistica
Alessandro Di Chiara
 La retorica negli oggetti
Roberto Zanon
DIPARTIMENTI
 Biscotti d’artista per la  Biennale
Roberto Zanon
 “Non più Polio” ma non solo.
Il Rotary di Venezia e la scuola di Incisione dell’Accademia
nella sfida per la qualità della vita
Carlo Montanaro
 Grafica d’arte e tipografia d’autore
Giovanni Turria

FONDO STORICO, ARCHIVIO, BIBLIOTECA, PROGETTO TESI, PROGETTI EUROPEI


 «Ad augendam Pinacothecam Corneliam».
I disegni della raccolta dell’abate Giampietro Antonio Corner
Paolo Delorenzi
 Le carte dell’Accademia dal  al 
Nadia Piazza
 Nuove fonti per la storia della fotografia a Venezia.
Il Fondo storico dell’Accademia di Belle Arti
Sara Filippin
 Venezia ed Erasmo: per una cultura di pace.
Il programma europeo Erasmus nell’Accademia di Belle Arti di Venezia
Antonio Fiengo

EVENTI
 Eventi 
Mostre, workshop, convegni, conferenze
a cura di Miriam Pertegato

APPENDICI
 Riassunti
 Abstracts
 Autori
 Indice dei nomi
Gloria Vallese
La civetta sul ramo di perle
Note su Bosch e Venezia

Due trittici firmati da Jheronimus Bosch (- ca), una Santa crocifissa e
I Santi Eremiti Girolamo, Antonio ed Egidio, e quattro pannelli frammentari con Vi-
sioni dell’aldilà sono testimoniati ab antiquo al Palazzo Ducale di Venezia. L’intero
nucleo è stato trasferito nel  nel riallestito Palazzo Grimani a Santa Maria
Formosa, a sottolineare la relazione con il grande collezionista veneziano, il car-
dinale Domenico Grimani (-), che li acquistò forse vivente l’artista, o poco
dopo la sua morte.
Secondo una parte consistente della critica, si tratta di un gruppo stilistico
omogeneo che presenta una stretta contiguità con il Trittico delle Tentazioni di
sant’Antonio di Lisbona, opera nodale della maturità dell’artista.
Nell’intero corpus di Bosch nessuna opera è giunta datata e i dipinti di Vene-
zia non fanno eccezione; ma il nucleo di Palazzo Grimani comprende opere della
più alta qualità, e di esse ben due, i trittici, recano la rara segnatura autografa del
pittore brabantino, l’iscrizione «Jheronimus bosch» in grandi minuscole gotiche,
molto imitata nel corso del XVI secolo, ma nota in originale solo in un piccolo
numero di esemplari.
Come sempre nel caso di Bosch, la cronologia è molto controversa; ma il grup-
po, anche per assonanze con la pittura veneziana e internazionale coeva, sembra da
collocarsi qualche anno dopo il , più verosimilmente verso il - 

 Sulla segnatura «Jheronimus bosch» si vedano: Mia Cinotti, L’opera completa di Bosch, intro-
duzione di D. Buzzati, Milano, Rizzoli, , p. ; e i diversi contributi in Godfried C.M. van Dijck,
Op zoek naar Jheronimus van Aken alias Bosch, Zaltbomme, Europese Bibliothek, . Nell’ambito
del presente articolo, ove non diversamente richiesto dalle fonti bibliografiche e documentali, ci
atterremo alla grafia «Jheronimus» adottata dall’artista stesso.
 Bosch a Palazzo Grimani, catalogo della mostra (Venezia, Palazzo Grimani, dicembre  -

marzo ), a cura di Vittorio Sgarbi, Milano, Skira, ; Le Delizie dell’Inferno. Dipinti di Bosch
e altri fiamminghi restaurati, catalogo della mostra (Venezia, Palazzo Ducale, maggio-agosto ),
contributi di Umberto Franzoi, Caterina Limentani et al., Venezia, Il Cardo, , schede , , ;
Il Rinascimento a Venezia e la pittura del Nord ai tempi di Bellini, Dürer, Tiziano, catalogo della mostra
 GLORIA VALLESE

Di non altrettanta fortuna ha goduto finora, nonostante le sue interessanti


prerogative sia formali che iconografiche, la piccola tavola raffigurante Cristo al
Limbo conservata al Museo Correr, attribuita ad Anonimo fiammingo del XV se-
colo, e avvicinabile al momento stilistico dei Sette Peccati Capitali.
Il trittico con la Santa crocifissa (figg. -) si trovava a Palazzo Ducale già nel
, dove è individuato senza possibilità di equivoco da Marco Boschini, che nel-
le sue Minere della pittura descrive:
Un altro quadro in tre comparti, oue si vede il martirio d’una Santa in Croce, con
molte figure, & in particolare uno in terra caduto in suenimēto, sostenuto da diuer-
si: & è dipinto da Girolamo Basi.
Il suo resoconto è ripreso e ampliato nel  dallo Zanetti, che ricorda nello
stesso luogo (ovvero nel «Transito, che ci conduce alla Sala dell’Eccelso Conseglio
de’ X»), un trittico con «un San Girolamo, e altri due Santi», a firma di Bosch; egli
riferisce peraltro al Civetta «li quattro bislunghi, con bizzarre invenzioni», che oggi
ci appaiono tra i più squisiti e originali, pur se frammentari, autografi di Bosch.
La storica collocazione in Palazzo Ducale fa pensare che possa trattarsi di opere
provenienti dalla collezione del cardinale Domenico Grimani, che alla morte, nel
, lasciò alla città il suo antiquarium e la sua quadreria perché se ne facesse quello
che nel suo progetto doveva divenire il primo museo pubblico d’Europa.
Solo dopo parecchi lustri, peraltro, e per pressante interessamento del nipote, il
cardinale Marino Grimani, i marmi antichi andarono a costituire il notevole antesi-
gnano di quello che è oggi il Museo Archeologico Nazionale di Venezia; i quadri in-
vece, fra i quali si annoveravano numerose opere “alla ponentina”, furono depositati
in alcune casse al pianterreno di Palazzo Ducale e ivi, a quanto pare, dimenticati.
Solo parecchio più tardi, nel , furono rinvenute casualmente «nella ca-
mera del Cavaliere del Doge» alcune casse contenenti «diverse pitture antiche
di buona ed eccellente mano», che furono allora, per ordine del Consiglio dei X,

(Venezia, Palazzo Grassi, settembre  - gennaio ), a cura di Bernard Aikema e Beverly Louise
Brown, Milano, Bompiani, , in part. schede  e -. Sottolineano l’omogeneità stilistica del
gruppo, e la contiguità stilistica con il Trittico di Lisbona: M. Cinotti, L’opera completa di Bosch, cit.,
p.  e cat. -; Le Delizie dell’Inferno, cit., e Frédéric Elsig, Jheronimus Bosch: la question de la chrono-
logie, Genéve, Librairie Droz, , pp.  sgg.
 Sul Cristo al Limbo del Museo Correr: Michelangelo Muraro, La Quadreria del Museo Correr,

Venezia, Ongania, , p. ; Gloria Vallese, Follia e Mondo alla Rovescia nel Giardino delle Delizie di
Bosch, «Paragone/Arte», , maggio , pp. -; Caterina Limentani, scheda  in Le Delizie dell’In-
ferno, cit. (nega il possibile riferimento a Bosch, attribuendo l’opera ad anonimo brussellese).
 Antonio Maria Zanetti, Descrizione di tutte le pubbliche pitture della città di Venezia, Venezia

[], pp. -. Un accurato regesto e discussione delle fonti circa le opere di Bosch già in Palazzo
Ducale, e la loro possibile provenienza dalla collezione di Domenico Grimani, in Lorne Campbell,
Notes on Netherlandish pictures in the Veneto in the fifteenth and sixteenth centuries, «The Burlington
Magazine», CXXIII, , , pp. -. Gli antichi inventari di Palazzo Ducale, che ricostruisco-
no la vicenda delle «casse otto de quadri bollade, et sigillade, piene de quadri» di cui alle citazio-
ni seguenti, furono riportati in luce da Rodolfo Gallo, Le donazioni alla Serenissima di Domenico
e Giovanni Grimani, «Archivio Veneto», s. V, L-LI, , pp.  .
LA CIVETTA SUL RAMO DI PERLE. NOTE SU BOSCH E VENEZIA 

restaurate e appese alle pareti; lo testimonia un dipinto di Gabriel Bella oggi alla
Pinacoteca Querini Stampalia, che mostra una sala in Palazzo Ducale con alle
pareti i due trittici.
Se questa storia fa ragionevolmente supporre che i dipinti di Bosch oggi in
Palazzo Grimani provengano dal legato del cardinale Domenico, occorre d’altra
parte una certa cautela nell’identificare queste opere con quelle descritte da Mar-
cantonio Michiel nella sua Notizia d’opere d’arte del disegno.
Il Michiel asserisce di aver visto nel , in casa del cardinale Domenico Gri-
mani, «la tela dell’inferno con la gran diversità de’ mostri de Jeronimo Bosch / la
tela delli sogni de man de l’istesso... la Fortuna con el ceto che ingiotte Giona».
È questa la più antica menzione documentaria di dipinti di Bosch in collezio-
ni veneziane; ma notiamo che il Michiel parla di opere su tela, mentre i dipinti già
in Palazzo Ducale sono tutti su tavola. Su tela erano anche gli altri dipinti di Bosch
che poco più tardi, nel , Marcantonio vide a casa di Marino Grimani. Poteva
forse trattarsi dunque di beschreve cleeren o lienzos, ovvero di quei dipinti a tempera
su tela non preparata, di cui gli antichi inventari spagnoli attribuivano a Bosch un
gran numero; erano molto diffusi nella tradizione nordica, ma, a causa dell’eleva-
ta deperibilità, sono pervenuti fino a noi solo in rari esemplari. Spesso a soggetto
didascalico-morale, molto ricercati ed esportati in varie parti d’Europa, i beschreve
cleeren oggi perduti potrebbero costituire la spiegazione della comparativa scarsi-
tà di opere che è stata osservata nella prima parte della carriera di Bosch.
Quanto ai soggetti menzionati dal Michiel, se «la tela dell’inferno con la gran
varietà de’ mostri» e «la tela delli sogni» possono dubitativamente evocare i dipinti
frammentari oggi a Palazzo Grimani, i due trittici non vengono menzionati, a
meno di non voler forzare al punto da identificare la nostra Santa crocifissa con la
«Santa Caterina sulla ruota nel paesaggio» vista dal Michiel in casa Grimani e da
lui attribuita al Patinier; né sussiste, tra le opere pervenute, una “Fortuna” (cioè
una tempesta di mare), con la balena (ceto) che inghiotte Giona.
Il cardinale Domenico Grimani, committente del bellissimo breviario fiam-
mingo miniato, che è oggi una delle gemme della Libreria Marciana, è noto per

 Marcantonio Michiel (ed. Th. Frimmel), Notizia d’opere d’arte del disegno..., «Quelleschrif-
Quelleschrif-
ten für Kunstgeschichte», Wien, , p. . Jennier Fletcher, Marcantonio Michiel: His Friends and
Collection, «The Burlington Magazine» CXXIII, , , pp. -. Ernst H. Gombrich, Le origini
del paesaggio, in Norma e Forma/Studi sull’arte del Rinascimento (), trad. it. Torino, Einaudi, ,
pp. -.
 Ernst H. Gombrich, Il Giardino delle Delizie di Hieronymus Bosch. La prima descrizione del

Trittico (), in L’eredità di Apelle. Studi sull’Arte del Rinascimento, trad. it. Torino, Einaudi, ,
pp. -.
 Sui lienzos nelle fonti relative a Bosch e lo sviluppo della pittura didascalico-morale nei Pa-

esi Bassi: Otto Kurz, Four Tapestries after Hieronymus Bosch, «Journal of the Warburg and Courtauld
Institutes», XXX, , pp. -: ; sulla collocazione del genere nella produzione artistica neer-
landese fra Quattrocento e Cinquecento, Hanns Floerke, Studien zur niederlandischen Kunst- und
Kulturgeschichte. Die Formen des Kunsthandels, das Atelier und die Sammler in den Niederlanden vom .- .
Jahrhundert, München-Leipzig, Georg Müller, , in part. pp. -.
 GLORIA VALLESE

la straordinaria apertura di gusto che lo rendeva avido collezionista sia di reperti


classici che di pittura contemporanea, italiana e “ponentina”. Egli può dunque
ben essere stato il primo proprietario dei dipinti oggi a Palazzo Grimani e di altre
opere di Bosch, sparse nelle sue diverse residenze in città e nell’entroterra, senza
che questo ci obblighi a interpretazioni forzate di descrizioni che non sembrano
corrispondere.
Opere di Bosch, in ogni caso, sono all’origine di echi e citazioni molto preco-
ci nell’arte italiana e di alcune mode figurative, tra cui quella dei «paesi da fogo,
che par che abbruscino le mani approsimandosi per tocargli», ovvero le scene con
alberi ed edifici resi incandescenti da incendi notturni di cui si fa menzione negli
antichi inventari; quelli di Ferdinando Gonzaga Duca di Mantova annoverano ben
venti opere di questo genere, comprate tutte in una sola volta.
Quanto al complesso tema della versione a “grandi teste” di scene della vita
di Cristo, che in uno stesso torno d’anni, poco dopo il , coinvolge Leonardo,
Dürer, Bosch, Giorgione e numerosi artisti della scuola veneziana in una com-
plessa rete di echi e rimandi, si tratta di un fenomeno singolare e rilevante, ma
impossibile anche solo da riassumere nei limiti del presente articolo.
I dipinti di Jheronimus Bosch già in Palazzo Ducale sono in condizioni non
ottimali, danneggiati dal fuoco di un antico incendio (probabilmente quello che
distrusse gran parte del palazzo nel ). Un’antica parchettatura ha oblitera-
to per sempre il lato esterno dei due trittici. Le quattro ante raffiguranti scene
paradisiache e infernali, dal  a Palazzo Grimani, sono frammenti di perduti
insiemi e si presentano accorciate in alto e in basso.
Il trittico della Santa crocifissa (l’identificazione del personaggio permane in-
certa) mostra inoltre di essere stato rimaneggiato in antico dallo stesso Bosch, che
per qualche ragione cancellò due figure maschili di committenti raffigurati sulle
ante laterali (tornate però visibili grazie ai raggi X), ridipingendole rispettivamen-
te con due figure di persecutori che deridono la martire e con una tentazione di
sant’Antonio.
Secondo Leonard Slatkes (), questi committenti indossano vesti italia-
ne; egli osservò inoltre che, fra le martiri che subirono la crocifissione, vi è una
santa Giulia di Corsica particolarmente venerata a Brescia, città dell’entroterra
veneziano. La sua conseguente ipotesi di un viaggio di Bosch al di qua delle Alpi

 Sulla profonda relazione formale tra Bosch e Giorgione, oltre a V. Sgarbi, Bosch a Palazzo
Grimani, cit., pagine classiche in Roberto Salvini, Leonardo, i fiamminghi e la cronologia di Giorgione,
«Arte Veneta», XXXII, , pp. -. Su Bosch e i “paesi da fogo” nelle collezioni italiane: E.H. Gom-
brich, Le origini, cit, pp. -.
 Roger H. Marijnissen, Peter Ruyffelaere, Bosch, Milano, Rizzoli, , pp.  .

Immagini ai raggi X, riflettografie e fotografie all’infrarosso dei dipinti oggi a Palazzo Grimani
sono disponibili nel sito boschproject.org. Dal , il Bosch Research and Conservation Project (BRCP),
coordinato dal Dr. Matthijs Ilsink, fotografa e documenta le opere di Bosch in tutto il mondo con
metodi scientifici standardizzati. Al gruppo partecipa per Venezia il museo di Palazzo Grimani, con
il laboratorio tecnico-scientifico coordinato da Maria Chiara Maida.
 Leonard Slatkes, Hieronymus Bosch and Italy, «Art Bulletin», LVII, , pp. -.
LA CIVETTA SUL RAMO DI PERLE. NOTE SU BOSCH E VENEZIA 

poco dopo il , pur non comprovata da fonti documentarie, è oggi ritenuta
verosimile da una parte consistente della critica, e anzi ha guadagnato sempre più
credito in anni recenti, anche a seguito degli approfondimenti biografici e delle
revisioni di dati sviluppatesi a partire dalla mostra di Rotterdam e dal convegno di
’s-Hertogenbosch del  
Un indizio di connessione con l’ambito veneziano, importante anche se spes-
so sorvolato dalla letteratura successiva, è stato messo in luce nel  da Phillis
Williams Lehmann. La studiosa statunitense notò che la giraffa dai tratti singolari
raffigurata nel pannello di sinistra del Giardino delle delizie di Bosch, con le sue pro-
porzioni minute e le corna che terminano in un grosso pomello, deriva da un tac-
cuino di appunti del viaggiatore Ciriaco d’Ancona, corredato da preziosi disegni di
rari animali esotici, che circolava manoscritto nella bottega dei Bellini a Venezia.
Difficile pensare dove, se non a Venezia e per accesso diretto, Bosch avrebbe
potuto trascrivere questa particolare rappresentazione del raro animale.
I due sportelli del trittico della Santa crocifissa si presentano, nella versione
attuale, abbastanza scollegati dallo scomparto centrale. A sinistra, in particolare,
Bosch sembra aver rilavorato il paesaggio e le figure di astanti in secondo piano nel
pannello centrale per meglio adattarli all’atmosfera cupa dello scenario notturno,
desolato e punteggiato da incendi, rappresentato nel laterale attiguo, nel quale egli
ha fatto sprofondare nel buio, insieme al committente, anche la città tipicamente
nordica che appariva alle sue spalle e che forse fungeva da identificativo.
Nessun dubbio comunque sulla stupenda autografia “alla prima” di molti dei
nuovi dettagli; Bosch disegna qui direttamente col pennello, evocando sintetica-
mente a rapidi tocchi di luce, non meno di quanto faccia Giorgione nello stesso
torno d’anni nella Laura o nella Tempesta.
In entrambi i trittici di Palazzo Grimani gli incendi notturni sulla sinistra,
con gli alberi trasfigurati dal bagliore, sono stilisticamente molto vicini a quelli di
un capolavoro maturo come il celebre trittico delle Tentazioni di sant’Antonio di
Lisbona, giustamente considerato da buona parte della critica strettamente con-
tiguo ai quadri di Venezia (figg. -).
La Santa in croce, che domina la composizione dall’alto col suo volto sereno,
ha ai suoi piedi un gruppo di figure che mostrano un contrapposto di emozioni e
attitudini: a destra di chi guarda, i due dignitari che hanno con ogni evidenza deci-
so la sua sorte sembrano ora commentarla con gelido distacco. A sinistra, invece,
la scena è pervasa dal dolore e dall’orrore degli amici della martire, che appaiono
variamente feriti nei sensi: uno si porta le mani alle tempie, uno si tura il naso coi
lembi del copricapo; un altro, un giovane in ricche vesti, cade al suolo in deliquio,
travolgendo un compagno (in consonanza con il gruppo dello “svenimento della
Vergine” che spesso appare nelle scene della Crocifissione di Cristo).

 Ibid.; discussione in F. Elsig, Jheronimus Bosch, cit., e G.C.M. van Dijck, Op Zoek naar Jhero-
nimus van Aken, cit.
 Phyllis Williams Lehmann, Cyriacus of Ancona’s Egyptian Visit and its Reflections in Gentile

Bellini and Hieronymus Bosch, Locust Valley (NY), J.J. Augustin, 
 GLORIA VALLESE

Le figure sono abbigliate con vesti esotiche di fantasia, ma osserviamo che


il giovane svenuto esibisce un dettaglio di moda squisitamente veneziano: porta
infatti “calze alla divisa”, di diverso colore, su una delle quali è ricamata alla coscia
un’impresa, ornata da uno sprazzo di perle (fig. ).
Era questa l’insegna delle Compagnie di Calza, associazioni di giovani patrizi
veneziani che si riunivano per intervenire nella vita pubblica allestendo accoglien-
ze, feste e spettacoli. Le compagnie si distinguevano per un caratteristico abbi-
namento di calze di diverso colore (dette appunto “alla divisa”, da cui si origina
il termine moderno), che i membri si obbligavano a portare dal momento in cui
una compagnia “levava la calza”, ovvero si costituiva:
Portava ciascuno dei patrizi aggregati una calza appunto quartata di colori diversi, o
ricamata di perle e gioie fino a mezza gamba, e facevano conoscere il loro pensiero
particolare con qualche ingegnosa impresa, più o meno a gara secondo la disposizio-
ne del loro animo.
Inizialmente, vi fu a Venezia una sola Compagnia di Calza, fondata nel ;
ma la situazione si andò differenziando nel corso del XV e XVI secolo, tanto che il
Sansovino, scrivendo nel , ne annoverava ben quarantatré.
Spesso banalizzate sotto la categoria di “feste”, le attività delle Compagnie
erano invece un originale capitolo di quei rituali civili per i quali Venezia si distin-
gueva, palestre di stile per i giovani destinati ad alte carriere. Nelle accoglienze
squisitamente coreografate di personalità straniere, nei donativi, nei balli, nelle
feste organizzate dai Compagni, l’attività diplomatica, la dedizione al pubblico e
l’orgoglio privato delle grandi famiglie veneziane si saldavano in un unico, carat-
teristico insieme.
Nei dipinti di Carpaccio, i Compagni di Calza figurano in gran numero, con le
loro calze “alla divisa” e le imprese ricamate e riccamente ornate di gioielli e perle su
varie parti del vestiario: sulle maniche, sulla berretta, all’interno del cappuccio.
Nel telero dell’Incontro dei fidanzati e partenza dei pellegrini () dal Ciclo di
sant’Orsola, Antonio Loredan, figlio di Nicolò, il committente, appare in atto di in-
dicare al pubblico il filatterio con la data e la dedica del ciclo. Sulla sua manica è ri-
camata l’impresa dei Fratelli Zardinieri: fra le iniziali “F” e “Z”, una dama dall’alto
copricapo alla borgognona in atto di annaffiare un alberello entro un hortus conclusus,
mentre in alto scocca fra le nubi il fulmine divino. Sulla sua calza sinistra, di scarlatto,
si leggono le iniziali S.A., che lo Zorzi interpreta come “Societas Amicorum”(fig. ).
Anche l’amico in piedi accanto a lui ha un’impresa ricamata e riccamente
ornata di gioie, non sulla calza, ma sulla berretta rossa che tiene in mano; si tratta

Sulle Compagnie di Calza a Venezia: LionelloVenturi, Le Compagnie della Calza (secc. XV-XVI),
Venezia, Istituto Veneto di Arti Grafiche, ; Giuliana Chesne Dauphiné Griffo, I costumi della
Compagnia della Calza dipinti dal Carpaccio nel ciclo delle Storie di S. Orsola: immagine di Venezia nel
Rinascimento, «Quaderni di Teatro», XIV, nov. , pp. -.
 Questo dettaglio del dipinto, e l’emblema dei Fratelli Zardinieri, sono studiati in Ludovico

Zorzi, Carpaccio e la rappresentazione di sant’Orsola, Torino, Einaudi, , pp. -.


LA CIVETTA SUL RAMO DI PERLE. NOTE SU BOSCH E VENEZIA 

dell’affiliato a un’altra compagnia, i Fruttuosi o Sempiterni, che «avevano la testa


coperta di una Beretta Nera, o Rossa, ricamata d’oro con Gioie».
In un altro telero di Carpaccio, il Miracolo della Croce a Rialto, si nota un gio-
vane che porta, ricamata all’interno del cappuccio, un’impresa formata da una
sirena e da un doppio spegnitoio, accompagnata dal motto «Con Tempo». Più a
sinistra, un altro giovane dalla folta zazzera inanellata lunga fino alle spalle porta
calze alla divisa, con un ricamo a filo d’oro (che s’intravede appena, essendo la
figura di spalle) sulla coscia destra (fig. , ).
La stessa fonte manoscritta ci permette di identificare anche questi due come
affiliati dei Fruttuosi:
Questi ultimi portavano invece del mantello ducale una specie di Veste, o di picciolo
Tabarro, dalle cui spalle pendeva un lungo cappuccio, nel quale al di dentro con
Riccamo di seta, o d’oro, era marcato a suo gusto un emblema: verbigrazia, una
Pallade; o un Cupido; un Sole; o un picciolo Animale, o altro. Uno vi pose una Sirena
col motto: Con Tempo.
Li capelli erano allacciati con un cordone di seta, et il soprapiù era di Veluto, o altra
stoffa con maniche tagliate, da cui ussiva ciò, che vi era soto, et queste legate con
cordelle, e tessute con oro, anzi il tutto era guernito d’oro, di Pietre, e di Perle.
La calza era di diversi colori addornata con rilucenti gioie, e Perle con Oro, et Ar-
gento; e fra’ Compagni vi era ardente gara per far risplendere in Venezia la loro
magnificenza.
Similmente, poco più oltre, sempre a proposito della Compagnia dei Fruttuosi:
L’anno  vestivano con un Cappetto, da cui verso le spalle pende un cappuccio,
nella parte di cui è con ricamo espresso il simbolo o impresa di ciascuno. In capo un
berrettone o rosso, o nero, pendente da una parte. Li capelli lunghi talvolta erano
ligati con un nastro. Il giubbone era di bombace, o di seta, ricamata d’oro; nelle ma-
niche del quale, trinciate, appariva la camicia. Le calze erano ricamate, e una di esse
fino alla metà ornata di gioie.
Il giovane Compagno di Calza nel dipinto di Bosch a Palazzo Grimani ha scelto
come impresa per la sua calza destra, di color verde oliva, una civetta posata su un
ramo spinoso, commentata da un filatterio (il motto non vi appare, a causa dell’esi-
guità del dettaglio) e sottolineata da uno sprazzo luminoso di perle traslucide.
È proprio l’effetto visuale di quest’ultimo particolare a far pensare che Bosch abbia
avuto occasione di osservare dal vivo questo dettaglio veneziano così caratteristico.
La calza sinistra del personaggio, invece, è «negra»: nel dipinto, questo det-
taglio può essere casuale, ma segnaliamo in ogni caso che la «calza zanca negra»
distingueva la Compagnia dei Concordi, fondata nel  

 Venezia, Biblioteca Correr, MS Cicogna , f. , c. .


 Ivi, f. , c. .
 Ivi, cc. -.
 “Zanca” è veneziano per “sinistra”. Le Compagnie annoveravano generalmente fra i dieci

e i venti membri; ma quella dei Concordi si “serrò” sui nomi di soli cinque cittadini: «Z. Fontana
 GLORIA VALLESE

La calza negra in sé connotava “corruccio”, lutto, dissenso; come si osservò


quando alcuni membri dei Fruttuosi, in dissapore con gli amici, «strazzorno i
capitoli» della Compagnia e dalla mattina seguente «alzorno calze negre»; la pro-
testa, comunque, rientrò qualche giorno dopo.
Per quanto riguarda l’impresa con la civetta ammonitrice, rimane da scoprire
se essa sia esistita nella realtà, al di fuori di questo dipinto, e, in tal caso, quale
compagno l’abbia “divisata”.
La civetta posata sul ramo di spine appare spesso nei dipinti di Bosch; da un
certo punto in poi, questo dettaglio sembra divenire anzi un elemento ricorrente,
quasi una sigla personale dell’artista.
Essa vigila sull’incoscienza degli amanti nel Carro di fieno, fa capolino dalla
Fonte del Paradiso nel Giardino delle delizie, appare, non vista, fra le travi scon-
nesse della capanna nell’Epifania del Prado. Nel Trittico degli Eremiti di Palazzo
Grimani, è annidata sul capo di un “grillo” formato da una testa che se ne va in
giro direttamente attaccata ai piedi, commentando con il suo sguardo attonito la
scena popolata di parvenze (fig. ).
La civetta è protagonista anche nei tre disegni “umanistici” di Bosch: l’allegoria
Il bosco che sente e vede (Berlino, Staatliche Museen, KDZ r, fig. ), le Tre civette (Rot-
terdam, Museum Boymans-Van Beuningen, Prentenkabinet, N. r), e la paradossa-
le Visione dell’uomo-albero (Vienna, Albertina, inv. ), quest’ultima così simile nel
carattere alle allegorie politiche disegnate negli stessi anni da Leonardo.
Appollaiata, come qui, su un ramo spoglio, la civetta è silenziosa testimone della
penitenza di san Girolamo nel bel dipinto di Bosch al Museo di Gand (fig. ). L’opera
è notevole, oltre che per il grande fascino dello scenario, anche per la singolare posa
di prosternazione profonda del protagonista ai piedi del crocifisso. Si tratta di un det-
taglio originale, unico nell’iconografia cinquecentesca della penitenza di san Gerola-
mo, e tuttavia non inventato: la prosternazione apparteneva, infatti, al costume dei
devoti hieronymiti dell’età moderna, che la praticavano rifacendosi a un’esperienza
descritta dal santo stesso nelle sue lettere. Durante il suo periodo di mortificazione
nel deserto della Palestina, per combattere i pensieri lascivi che lo assalivano a onta
delle privazioni più dure, Gerolamo si gettava in ideale prostrazione ai piedi di Cristo,
rigandoli di lacrime di pentimento («ad Iesu iacebam pedes, rigabam lacrimis»).
Il fatto che numerose figure nel trittico della Santa crocifissa indossino prezio-
si velluti veneziani non è in sé una prova di rapporto diretto con la città lagunare,

q.m Andrea; Anzolo Anzelieri q.m Giacomo; Francesco Inzegner q.m Zuanne; Vettor Ziliol q.m
Alessandro; Antonio Dolce q.m Alvise», ibid.
 L.Venturi, Le Compagnie della Calza, cit., pp. -.
 F. Elsig, Jheronimus Bosch, cit., pp. -; Otto Benesch, Der Wald, der sieht un hört: zur

Erklärung einer Zeichnung von Bosch, «Jahrbuch der Preussischen Kunstsammlungen», , ,
pp. -. Stephen D. Bowd, Reform before the Reformation: Vincenzo Querini and the religious Renais-
sance in Italy, Leiden, Brill, .
 San Girolamo, Lettere, introduzione e note di Claudio Moreschini, Milano, Rizzoli, ,

p. . Si tratta della celebre Epistola XX, Ad Eustachium, contenente un’esortazione alla verginità.
LA CIVETTA SUL RAMO DI PERLE. NOTE SU BOSCH E VENEZIA 

dato che queste stoffe erano assai ricercate e viaggiavano ovunque; ma osser-
viamo che a partire da questo gruppo di opere l’artista sembra subirne in modo
particolarmente intenso la fascinazione: motivi caratteristici dei tessuti, profilatu-
re e sprazzi di perle trasmigrano dalle stoffe ad altri dettagli della composizione:
animali, piante, creature soprannaturali (tav. I).
Un’altra possibile suggestione veneziana si può notare nel Trittico di Lisbo-
na, uno dei capolavori maturi dell’artista e stilisticamente molto vicino, come già
osservato, ai dipinti di Palazzo Ducale (fig. ).
Il Trittico di Lisbona è l’esempio più rilevante della trasformazione da parte
di Bosch del tema delle tentazioni di sant’Antonio in chiave contemporanea: la fi-
gura dell’anacoreta tentato da visioni ingannevoli, duramente percosso e perfino
trascinato in volo dalle forze demoniache, diviene simbolo dell’uomo contempo-
raneo negli anni della preriforma, tormentato dai comportamenti dissoluti e folli
di una Chiesa sempre più corrotta e vacillante nella sua autorità morale.
Bosch elabora i momenti salienti della leggenda con una scrittura pittorica
corsiva e veemente, che si discosta spesso dal disegno preparatorio seguendo il
filo di un’affascinante ideazione subitanea.
Nel laterale sinistro, Bosch sviluppa il noto episodio del volo e della caduta
del Santo; in quello destro, Antonio appare in preghiera, assalito da parvenze
femminili e da visioni di mense imbandite. Nel pannello mediano, il tema trova
un’inflessione inedita, più direttamente connessa all’idea della corruzione eccle-
siastica contemporanea. Troviamo qui, fra l’altro, alcune torve rappresentazioni
della messa degenerata, celebrata da animali putrescenti, o ridotta a un sozzo
banchetto. Senza scomporsi, dal centro della ridda delle apparizioni, Antonio si
volge verso lo spettatore e indica al pubblico col gesto fermo di due dita bene-
dicenti l’interno della sua cella, in cui Cristo stesso, apparendo come in visione,
esorta a contemplare il Crocifisso eretto su un piccolo nudo altare.
Commentare nel suo insieme la complessa iconografia del Trittico eccede gli
scopi del presente articolo.
Ci limitiamo qui a far notare che nel pannello mediano, appena più a destra
del centro della composizione, sulla facciata di un palazzo gotico-rinascimentale
che sorge dall’acqua, appare il minuscolo particolare di un orologio murale coi
segni dello zodiaco intorno al quadrante, e il fondo cosparso da minuti punti
luminosi (figg.  ).
Può trattarsi di un riferimento al famoso “astrarius” di Gian Carlo e Gian
Paolo Ranieri da Reggio, collocato nel  su una torre appositamente costruita
a Venezia, in Piazza San Marco, all’imboccatura delle Mercerie (fig. ).

Ana Maria Mesquita, Carmo et Pedro Antunes de Souza, Le triptyque de la Tentation de


Saint Antoine de Jheronimus Bosch. La photographie et la réflectographie infrarouges dans la détection du
dessin sous-jacent, e Jeanne van Waadenoijen, The Lisbon Triptych by Jeroen Bosch: an annotation, en-
trambi in Jérôme Bosch et son entourage et autres études, a cura di Hélène Verougstraete e Roger
Van Schoute, Leuven, Paris - Dudley (MA), Peeters, , rispettivamente alle pp. - e -.
 GLORIA VALLESE

A partire dalla fine del Trecento, gli orologi meccanici avevano cominciato
ad apparire in giro per l’Europa, ma al tempo di Bosch non erano ancora molto
diffusi; è pertanto agevole constatare che solo una piccola parte di quelli esistenti
all’epoca includeva la rappresentazione dello zodiaco, e solo quello di Venezia
associava la rappresentazione dello zodiaco al manto di stelle in bronzo dorato su
un prezioso fondo di azzurro oltremarino.
Riproduzioni dell’orologio veneziano cominciano ad apparire subito dopo
il ; ma il dettaglio delle stelle tradotto nel dipinto di Bosch in un vibrare di
punti luminosi si direbbe una reminiscenza visuale diretta, più che desunta da una
stampa o da un disegno.
L’orologio di Bosch ha anche un’altra singolarità, forse in relazione con l’epi-
sodio raffigurato nel pannello di sinistra: tra tutti i segni zodiacali, appena accen-
nati, uno solo è chiaramente delineato, il toro; la lancetta lo sottolinea, indican-
dolo allo spettatore.
Nel pannello di sinistra del Trittico di Lisbona, in alto, ha luogo l’episodio
del volo e della caduta di sant’Antonio: trascinato nell’aria da esseri mostruosi e
provocato da acrobati osceni, il padre degli anacoreti resiste, rigido e come pietri-
ficato nel suo atteggiamento di preghiera. Al centro, tramortito dopo il terribile
volo, l’asceta viene ricondotto alla sua dimora da alcuni fedeli; a sostenerlo sono
alcuni monaci antoniti, e un laico, che volge lo sguardo all’osservatore con espres-
sione amara e risentita (fig. ).
La Vita Antonii di sant’Atanasio menziona più volte quest’amico che veglia
a rispettosa distanza sulla vita del grande anacoreta. Dopo l’epica battaglia con i
demoni che lo sollevano in aria e poi lo sbattono a terra con violenza, lasciandolo
tramortito, è l’anonimo seguace a soccorrere Antonio, a riportarlo al villaggio, a
medicare le sue ferite; ma l’asceta, riprendendo conoscenza dopo diverse ore, gli
chiede soltanto, con brevi parole, di essere riaccompagnato al suo deserto.
Le perifrasi suggeriscono di identificarlo con l’autore stesso della leggenda,
sant’Atanasio; il quale più tardi, divenuto vescovo di Alessandria, soleva indossare
sotto i solenni paramenti pontificali la melòte (pelle di capra) consunta che era
stata la veste di Antonio nelle solitudini.

 Nicolò Erizzo, Relazione storico-critica della Torre dell’Orologio di San Marco in Venezia cor-
redata di documenti autentici e inediti, Venezia, Tipografia del Commercio, ; Restauro della Tor-
re dell’Orologio, a cura di Giandomenico Romanelli, Venezia, Musei Civici Veneziani, , p. .
L’astrarius veneziano, meraviglia tecnologica della sua epoca, mostrava i moti dei pianeti, delle
costellazioni e le fasi giornaliere e mensili della luna. Costruito in accordo al sistema tolemaico,
subì nei secoli vari rimaneggiamenti che interessarono anche il quadrante, fino al recente restauro
del -. I segni zodiacali e le stelle attualmente visibili sono originali del secolo XV, in rame
sbalzato e dorato, sullo sfondo parzialmente preservato in blu oltremare. Un altro quadrante più
semplice, che include solo le ventiquattr’ore, ma richiama il caratteristico fondo blu a stelle dorate,
si trova sulla facciata nord della Torre dell’Orologio, dal lato delle Mercerie; identico a quest’ultimo,
il quadrante dell’orologio collocato nel cortile interno del Fondaco dei Tedeschi (figg. , ).
 Glossario, ad vocem, in Detti e fatti dei padri del deserto (), a cura di Cristina Campo,

Piero Draghi, trad. it. Milano, Rusconi, ; [Atanasio], Vita di Antonio, introduzione di Christine
LA CIVETTA SUL RAMO DI PERLE. NOTE SU BOSCH E VENEZIA 

Nel dipinto di Bosch, mentre il gruppo varca il ponticello che oltrepassa un


rigagnolo, si moltiplicano intorno, quasi a stabilire un confronto, gli accenni a una
religione moderna corrotta e degradata. In un celebre dettaglio, prelati bestiali in-
cedono verso un corpo umano trasformato in un’osteria-bordello. Proprio sotto
il ponticello, nell’acqua fangosa, un alto prelato (o papa?) grottesco appare in atto
di cospirare con due compari inquietanti e ridacchia, leggendo insieme a loro un
documento (figg.  ).
Immagini allusive a una generale iniquità, ma in particolare all’avidità e alla
lussuria, si addensano intorno. Come il “pesce grosso mangia pesce piccolo” che
appare sulla sinistra: elevato a sistema, si direbbe, e tradotto in una perversa, car-
nevalesca macchina da guerra, oscena e viscida, che sembra materializzarsi d’un
tratto nel mezzo del sentiero.
In primo piano, la desolazione dilaga: a sinistra, un uccello-mostro ingoia i
suoi nati appena escono dall’uovo; a destra, un altro uccello mostruoso, inceden-
do azzardatamente su pattini sopra una crosta di ghiaccio sottile, mette in eviden-
za il messaggio che porta infilato nel suo becco storto, forse destinato proprio al
cattivo prelato immerso nel fango del rigagnolo (figg.  ).
Chi sono questi personaggi? Nonostante la forte deformazione caricaturale,
alcuni di essi presentano fisionomie particolari e ben caratterizzate.
Con le sue insolite orecchie a foglia di cavolfiore, ad esempio, il prelato sotto
il ponte sembra trovare corrispondenza nel noto disegno per la figura di un papa
(Berlino, Staatliche Museen, KDZ ), che Dürer eseguì a Venezia nel , in
preparazione per la sua Pala del Rosario (fig. ).
Com’è noto, il dipinto, commissionato nel  per la chiesa di San Bartolo-
meo a Rialto, chiesa nazionale della comunità germanica a Venezia, era destinato
a celebrare un munifico gesto della Serenissima: il Fondaco dei Tedeschi, distrutto
da un incendio nella notte del  gennaio , era stato ricostruito a tempo di
record a spese della Repubblica veneziana, e veniva da essa donato alla comunità
dei mercanti d’oltralpe (figg.  ).
La Pala del Rosario di Dürer è pervenuta fino a noi e mostra il Papa e l’Impe-
ratore inginocchiati ai piedi del trono della Vergine, con un importante seguito di
personalità veneziane e tedesche. Lo stato di conservazione, purtroppo, è molto me-
diocre; vaste aree della superficie originale, cadute, sono state sostituite da pesanti
ridipinture che hanno interessato anche i volti di numerosi protagonisti (fig. ).

Mohrmann, testo critico e commento a cura di Gerhardus J.M. Bartelink, trad. it. di Pietro Citati
e Salvatore Lilla, Roma-Milano, Fondazione Lorenzo Valla - Mondadori, .
 Albrecht Dürer, Lettere da Venezia, a cura di Giovanni Maria Fara, Milano, Electa, ,

pp. - e nota ; Fedja Anzelewsky, Hans Mielke, Berliner Museen Preussischer Kulturbesitz /
Albrecht Dürer, Kritischer Katalog der Zeichnungen, Berlin, Hartmann, , scheda , Kopf des Papstes
aus dem Rosenkrantzfest. Su Dürer a Venezia e la Pala del Rosario: Ludwig Grote, Albrecht Dürer. Reisen
nach Venedig, München, Prestel, ; Katherine Crawford Luber, Albrecht Dürer and the Venetian
Renaissance, Cambridge (MA), Cambridge University Press, .
 Albrecht Dürer, The Feast of the Rose Garlands  - , a cura di Olga Kotková, Praga,

Národni Galerie v. Praze, . Sul rapporto tra disegni preparatori e disegno soggiacente rivelato
 GLORIA VALLESE

Sussistono peraltro i molti affascinanti disegni, ricchi di notazioni realistiche,


con cui Dürer si preparò, con la diligente applicazione che gli era propria, all’ese-
cuzione dei singoli personaggi.
Per dare un volto all’imperatore Massimiliano I, che doveva divenire il mag-
giore committente dei suoi anni maturi, Dürer si basò su un disegno di Ambrogio
De’ Predis, il collaboratore di Leonardo; l’artista milanese aveva avuto occasione di
ritrarre dal vivo l’imperatore accompagnando in Austria la principessa Bianca Ma-
ria Sforza, nipote di Ludovico il Moro, andata sposa a sua maestà cesarea nel .
Per quanto riguarda invece l’effigie del Papa, il profilo dal naso ricurvo e
mento sfuggente corrisponde a quello di Alessandro VI nelle monete, medaglie
e nei ritratti ufficiali a noi noti (dove però le orecchie risultano sempre accura-
tamente nascoste, o di forma regolare). Nel disegno di Dürer, il dettaglio delle
orecchie di forma così inusuale sembrerebbe rispondere a un intento veridico, ma
non sappiamo a quale fonte l’artista abbia attinto (tav. II).
Nel dipinto, oggi a Praga, le orecchie grottesche permangono, ma il profilo
è divenuto quello di Giulio II, succeduto nel  ad Alessandro, dopo il breve
interregno del senese Pio III. Come provano le copie antiche, il cambio d’identità
è imputabile a un’iniziativa d’intento devoto del restauratore ottocentesco, che
peraltro ha preservato le esecrabili orecchie.
Il prelato di Bosch indossa la mozzetta rossa, ma il suo zucchetto (un copri-
capo che viene anche detto solideo, perché si toglie solo dinanzi a Dio) non è dello
stesso rosso come sarebbe proprio del papa, oppure bianco, ma del particolare
viola paonazzo che tuttora contraddistingue i vescovi.
All’epoca queste distinzioni non erano forse ancora così rigorose come di-
vennero in seguito, ma è possibile che il dettaglio non sia casuale. Di un presun-
to patto col diavolo fatto dal futuro papa Alessandro quand’era ancora vescovo si
conserva memoria in un testo teatrale popolare italiano, modellato probabilmen-
te su leggende correnti. La grottesca storiella narra che Rodrigo Borgia, certo di
gabbare anche il diavolo, aveva sottoscritto un patto col maligno, apparsogli nelle
sembianze di un misterioso abate, promettendogli l’anima in cambio del ponti-
ficato. Allorché però il diavolo si presentò, molto prima del tempo stabilito, per ri-
scuotere il suo premio, si trovò a non poterlo fare, perché papa Alessandro si era
premunito e portava a contatto del suo corpo, sotto le vesti, certe sante reliquie
dalle quali non si separava mai e che per allora tennero a distanza l’avversario.
Ma venendo infine a morte, ne fu spogliato; la notte stessa un enorme cane nero che
abbaiava senza tregua e un infernale strepito sul tetto annunciarono l’impazienza del

dalla riflettografia all’infrarosso, e sul metodo artistico di Dürer nel comporre il dipinto, K. Craw-
ford Luber, Albrecht Dürer, cit., in part. pp. -.
 Albrecht Dürer, The Feast of the Rose Garlands, cit., in part. pp. , -, dove è presentato uno

schema delle parti originali conservate a cura della restauratrice Paulína Strnadová; Olga Kotková, ‘The
Feast of the Rose Garlands’: what remains of Dürer?, «The Burlington Magazine», CXLIV, , , pp. -.
LA CIVETTA SUL RAMO DI PERLE. NOTE SU BOSCH E VENEZIA 

maligno. Gli accudienti, spaventati, lasciarono solo il corpo, che sarebbe scomparso
insieme al cane nero, né sarebbe stato mai più ritrovato.
Per strano che possa sembrare, considerata la rilevanza storica della Pala del
Rosario, solo un piccolo numero di altri personaggi è stato finora identificato con
certezza.
Inequivocabile lo stesso Dürer, che appare sotto l’albero in secondo piano a
destra, coi lunghi capelli inanellati e un elegante abito italiano, reggendo il cartel-
lo in maiuscole latine che gli attribuisce la paternità del dipinto: «EXEGIT QUINQUE-
MESTRI SPATIO ALBERTUS DÜRER GERMANUS MDVI AD».
Un altro personaggio sulla cui identificazione tutti concordano è l’architetto
incaricato della ricostruzione del Fondaco: individuato dalla squadra che tiene
in mano, si trova subito accanto all’uomo in azzurro inginocchiato alle spalle
dell’imperatore.
Anche il volto dell’architetto purtroppo è molto restaurato; e anche in questo
caso, un più puntuale riferimento è costituito dal disegno preparatorio, tra i capola-
vori della ritrattistica del maestro (Berlino, Staatliche Museen, KDZ , fig. ).
Scrive Erwin Panofsky:
L’architetto vicino al margine destro, i cui tratti nervosi e la cui suprema indifferenza
alla trascuratezza del proprio aspetto formano uno strano contrasto con l’ambiente
maestoso, può essere identificato come maestro Hieronymus, il costruttore del nuo-
vo Fondaco dei Tedeschi: il disegno dal vero che ci è pervenuto è un capolavoro di
penetrante caratterizzazione.
Il misterioso “Hieronymo Thodescho” (o “Todescho”) è un personaggio che
gli storici dell’architettura non sono ancora riusciti a individuare con certezza tra
le personalità note; il che non ha mancato di causare perplessità. Strano infatti che
una commessa di livello così alto e politicamente così sensibile come il Fondaco
sia potuta andare a una figura non altrimenti nota, o non abbia lasciato traccia al-
cuna nelle biografie di personalità conosciute; come è il caso di quel Hieronymus
van Augsburg che viene spesso citato al riguardo, ma che nulla mostra di avere in
comune – a parte la coincidenza del nome – con la costruzione veneziana.
L’ignoto tedesco non sembra, peraltro, aver lasciato una particolare impron-
ta nella costruzione e la sua vicenda a Venezia non fu, forse, del tutto serena.
“Hieronymo Thodescho” viene incaricato del progetto a seguito di una pres-
sante richiesta ufficiale («grande istanzia») della comunità germanica, cui la Sere-
nissima delibera di accondiscendere, considerando – si dichiara – che in definitiva

 Alessandro D’Ancona, Origini del teatro in Italia, seguite da un’appendice sulle rappresentazio-
ni del contado toscano, Firenze, Successori Le Monnier, , p. 
 Fedja Anzelewsky, Hans Mielke, Berliner Museen Preussischer Kulturbesitz. Albrecht Dürer,

Kritischer Katalog der Zeichnungen, Hartmann, , scheda  (“Bildnis Eines Baumeisters”).
 Erwin Panofsky, La vita e l’opera di Albrecht Dürer (), trad. it. di C. Basso, Milano,

Abscondita, p. .
 GLORIA VALLESE
LA CIVETTA SUL RAMO DI PERLE. NOTE SU BOSCH E VENEZIA 

-. Jheronimus Bosch, Santa crocifissa, trittico, insieme e particolari,


firmato nel pannello centrale «Jheronimus Bosch», Venezia, Palazzo Grimani
(©  foto Scala, Firenze, su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali).
 GLORIA VALLESE

. Vittore Carpaccio, Incontro dei fidanzati e partenza dei pellegrini, dal Ciclo di Sant’Orsola, part.,
tempera su tela, firmato e datato , Venezia, Gallerie dell’Accademia
(©  foto Scala, Firenze, su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali).
LA CIVETTA SUL RAMO DI PERLE. NOTE SU BOSCH E VENEZIA 

  Vittore Carpaccio, Miracolo della Croce a Rialto, particolari,


tempera su tela, Venezia, Gallerie dell’Accademia
(©  foto Scala, Firenze, su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali).
 GLORIA VALLESE

. Jheronimus Bosch, Trittico degli Eremiti, part. del pannello sinistro, olio su tavola, firmato nel
pannello centrale «Jheronimus Bosch», Venezia, Palazzo Grimani
(© foto Cameraphoto / Scala, Firenze).
. Jheronimus Bosch, Allegoria (Il Bosco che sente e vede), disegno a penna e bistro,
Berlino, Staatliche Museen - Preussischer Kulturbesitz, Kupferstichkabinett, KDZ r
(© foto Scala, Firenze / BPK - Bildagentur für Kunst, Kultur und Geschichte, Berlin).
LA CIVETTA SUL RAMO DI PERLE. NOTE SU BOSCH E VENEZIA 

. Jheronimus Bosch, San Gerolamo in preghiera, olio su tavola,


Gand, Museum voor Schone Kunsten (foto Scala, Firenze).
 GLORIA VALLESE

 Jheronimus Bosch, Tentazioni di sant’Antonio, trittico, insieme a sportelli aperti, olio su tavola,
firmato nel pannello centrale «Jheronimus Bosch», Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga
(De Agostini Picture Library / Scala, Firenze).
LA CIVETTA SUL RAMO DI PERLE. NOTE SU BOSCH E VENEZIA 

 Jheronimus Bosch,
Tentazioni di sant’Antonio,
trittico, part. del pannello centrale,
Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga
(De Agostini Picture Library /
Scala, Firenze) .
. Jheronimus Bosch, Trittico degli
Eremiti, pannello sinistro, part.,
Venezia, Palazzo Grimani
(© foto Cameraphoto / Scala, Florence,
su concessione del Ministero per i Beni
e le Attività Culturali).
 GLORIA VALLESE

. Jheronimus Bosch, Tentazioni di sant’Antonio, trittico, part. del pannello centrale,
Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga (De Agostini Picture Library / Scala, Firenze).
LA CIVETTA SUL RAMO DI PERLE. NOTE SU BOSCH E VENEZIA 

. Jheronimus Bosch, Tentazioni di sant’Antonio,


trittico, part. del pannello centrale,
Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga
(foto José Pessoa, Instituto Português de Museus,
Divisão de Documentação Fotográfica).
. Gian Paolo e Gian Carlo Ranieri da Reggio,
orologio, quadrante verso la piazza, ,
Venezia, Torre dell’Orologio (foto John Volpato).
. Gian Paolo e Gian Carlo Ranieri da Reggio,
orologio, quadrante verso le Mercerie,
Venezia, Torre dell’Orologio (foto Paolo della Corte).
 GLORIA VALLESE

. Venezia, Fondaco dei Tedeschi, facciata verso il Canal Grande (foto Paolo della Corte).

. Venezia, Fondaco dei Tedeschi, interno (foto Paolo della Corte).
. Venezia, Fondaco dei Tedeschi, orologio (foto Paolo della Corte).
LA CIVETTA SUL RAMO DI PERLE. NOTE SU BOSCH E VENEZIA 
 GLORIA VALLESE

 Albrecht Dürer, Pala del Rosario,


olio su tavola, firmato e datato nel pannello
centrale, Praga, Národní Galerie
(foto Scala, Firenze).
. Jheronimus Bosch, Tentazioni
di sant’Antonio, trittico, part. del pannello
sinistro, Lisbona, Museu Nacional
de Arte Antiga (foto Scala, Firenze).
LA CIVETTA SUL RAMO DI PERLE. NOTE SU BOSCH E VENEZIA 

. Albrecht Dürer, Testa del papa per la Pala del Rosario, penna, inchiostro e biacca su carta
azzurra veneziana, monogrammato “AD” e datato , Berlino, Staatliche Museen-Preussischer
Kulturbesitz, Kupferstichkabinett, KDZ  (foto Jörg P. Anders).
. Jheronimus Bosch, Tentazioni di sant’Antonio, trittico, part. del pannello sinistro,
Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga (foto Scala, Firenze).
. Albrecht Dürer, Ritratto di architetto per la Pala del Rosario, disegno, Berlino, Staatliche Museen-
Preussischer Kulturbesitz, Kupferstichkabinett, KDZ  (foto Jörg P. Anders).
. Jacques Le Boucq (attribuito a), Ritratto di Jheronimus Bosch, dal Recueil d’Arras,
iscrizione coeva «Jeronimus Bos painctre», carboncino e pastello rosso su carta,
Arras, Bibliothèque de la ville, MS , f.  (© foto Scala, Firenze).
 GLORIA VALLESE

 . Jheronimus Bosch,


Tentazioni di sant’Antonio,
trittico, particolari
del pannello sinistro,
Lisbona, Museu
Nacional de Arte Antiga
(foto Scala, Firenze).
LA CIVETTA SUL RAMO DI PERLE. NOTE SU BOSCH E VENEZIA 

6 7. Jheronimus Bosch, Tentazioni di sant’Antonio, trittico, particolari del pannello sinistro,
Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga.
6 7 Jheronimus Bosch (atelier), Tentazioni di sant’Antonio, trittico, particolari del pannello
sinistro, Bruxelles, Musées Royaux des Beaux-Arts, inv.  (foto J. Geleyns - RoScan, Bruxelles).
 GLORIA VALLESE

. Testo della deliberazione del Senato del  giugno  che affida a «Hieronymo Thodescho»
la ricostruzione del Fondaco, Archivio di Stato di Venezia, Senato di Terra, reg. , c. v
(foto ASV).
LA CIVETTA SUL RAMO DI PERLE. NOTE SU BOSCH E VENEZIA 

Palmette e perle, dall’alto a sinistra


in senso orario: Bosch, Trittico
degli Eremiti, Venezia, Palazzo
Grimani, due particolari; Trittico
della Santa Crocifissa, Venezia, Palazzo
Grimani; Carpaccio, Il Miracolo
della Croce a Rialto, Venezia, Gallerie
dell’Accademia; Bosch, Trittico
della Santa Crocifissa; San Giovanni
Evangelista a Patmos, Berlino,
Staatliche Museen (© foto Scala,
Firenze / Böhm/BPK Bildagentur für
Kunst, Kultur und Geschichte, Berlin).
 GLORIA VALLESE

II.Orecchie di papa Alessandro VI, dall’alto a sinistra,


in senso orario: Pinturicchio, Vaticano, Appartamento Borgia,
part.; Scuola spagnola, sec. XVI, Roma, Pinacoteca Vaticana;
Anonimo tedesco, sec. XVI, Dijon, Musée des Beaux-Arts
(in controparte); Bosch, trittico di Lisbona, part.;
Dürer, disegno per la testa del Papa, part., Berlino, Staatliche
Museen, KDZ ; Anonimo, Ritratto di Alessandro VI,
Firenze, Uffizi (© foto Scala, Firenze; De Agostini Picture
Library / Scala, Firenze; Kupferstichkabinett Staatliche Museen
zu Berlin).
LA CIVETTA SUL RAMO DI PERLE. NOTE SU BOSCH E VENEZIA 

III. Naso di Bosch, dall’alto a sinistra, in senso orario:


Albrecht Dürer, Ritratto di “Hieronymo
Thodescho”, estruso in grafica D e ruotato in posizione
frontale (© Tim Faltemier & Bob Schmitt, );
copia da presunto ritratto di Bosch, dal Recueil d’Arras
di Jacques le Boucq, estruso in grafica D e ruotato
in posizione frontale (©Tim Faltemier & Bob Schmitt, );
presunto autoritratto nel cosiddetto uomo-albero
del Giardino delle delizie, in controparte, Madrid, Museo
del Prado, estruso in grafica D (©Tim Faltemier,
Bob Schmitt, ); presunto autoritratto come
“amico del Santo”, Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio,
pannello sinistro, ruotato di circa ° in senso antiorario
e in controparte, Lisbona; Albrecht Dürer, Ritratto
di “Hieronymo Thodescho” (foto Jörg P. Anders).
Per agevolare il confronto, i due autoritratti sono stati
rovesciati specularmente, in modo da raffigurare il volto
nello stesso verso dei ritratti. Nelle immagini si osserva
la frattura che ha deviato il setto nasale, causando una
rientranza sul lato sinistro rispetto a chi osserva e l’emergere
di una sporgenza carnosa dal lato opposto; le narici sono
a livello asimmetrico, la destra rispetto a chi guarda più alta.
Setto deviato, sporgenza e narice sollevata si osservano anche
nel ritratto di Dürer e (nonostante le dimensioni minori
e il ductus più sintetico) anche nel possibile “autoritratto”
del Trittico di Lisbona.
 GLORIA VALLESE

il dono del Fondaco viene fatto per compiacere i mercanti d’Oltralpe e importa
che sia soprattutto gradito e utile a loro.
Nelle note del diarista Marin Sanudo, che si estendono lungo l’arco di diversi
mesi, la Serenissima appare divisa tra il desiderio di accattivarsi il favore della po-
tente comunità tedesca in una congiuntura internazionale oltremodo delicata e
quello di mantenere il controllo sul progetto.
Questione d’importanza era infatti l’esterno del Fondaco, che sarebbe venu-
to a trovarsi in uno dei punti più visibili della città, ai piedi del ponte di Rialto;
ma non meno delicata era la ridefinizione degli spazi interni, sui quali sarebbe
andata a riflettersi la partita diplomatica e di potere in atto, che vedeva i mercanti
di Augusta capitanati dai Fugger in ascesa, da una parte, e dall’altra quelli di No-
rimberga e di tutte le altre città germaniche.
Comunque sia, la commessa a “Hieronymo Thodescho” viene ufficializzata
dal Senato veneto il  giugno ; l’uomo del disegno veneziano di Dürer (mo-
nogrammato e datato ) riappare anche nella Pala del Rosario, terminata fra
il  agosto e l’ settembre di quell’anno. L’ignoto cui questo volto corrisponde
viene quindi, a tutti gli effetti, celebrato dal dipinto commemorativo come re-
sponsabile del Fondaco ricostruito.
Nella realtà storica però, a quanto risulta, le cose andarono diversamente.
Dopo il suo trionfo nominale, infatti, “Hieronymo Thodescho” scompare
dalla storia del Fondaco e al suo posto riaffiora, nelle cronache della conduzione
dei lavori, un veneziano, il concorrente sconfitto Giorgio Spavento, il potente pro-
tho di San Marco (ovvero l’architetto in capo della Serenissima), a cui il progetto
rimane in pratica affidato.
Scrive McAndrew nella sua Storia dell’Architettura:
Quello che è certo, è che nel  furono presentati dei modelli, due di Spavento e uno
di “Hieronymo tedesco”, un tedesco altrimenti sconosciuto, di cui come architetto
si sono poi perse le tracce. Il suo schema fu preferito a entrambi quelli di Spavento
per la sua composizione elegante e ingegnosa [...]. Gerolamo il Tedesco potrebbe
aver avuto un ruolo equivalente a quello di Celestro il Toscano nelle Procuratie; in
altre parole egli può aver concepito la generale disposizione degli spazi. I tedeschi,
cortesemente consultati, preferirono naturalmente il loro compatriota. In quanto
straniero, egli doveva essere affiancato da un veneziano, o meglio sottoposto a un
veneziano, e quello prescelto fu Spavento, proto dei potenti Procuratori. Troppo
impegnato per potersi dedicare esclusivamente a questo nuovo grande progetto, egli
scelse come sostituto soprintendente Scarpagnino, per il quale richiese ed ottenne il
doppio della paga abituale [...]. Più congeniale come mentalità ai mercanti tedeschi

, giugno: «Fu posto, et visto im Pregadi, li modeli dil fontego di todeschi; che ’l colegio
habi libertà di comprar quelle caxe lì atorno, a ducati [...] per cento, e se li pagi di danari di la Signo-
ria nostra, acciò si grandissa e fazi più belo il fontego; et che, examinato il colegio ben li modelli dil
Spavento e dil Todescho, poi si vegni a Pregadi»; a di’ : «Fu posto, per li savij, parte zercha il fonte-
go di todeschi; sier Antonio Trun, savio dil consejo, andò in renga, dicendo quest’altra septimana si
verìa con le opinion; et cussì fo indusiato. Et noto, il colegio à comprà le caxe lì a presso, a raxon di
 per », Marin Sanuto, Diarii, t. VI, a cura di Guglielmo Berchet, Venezia, , c.  e passim.
LA CIVETTA SUL RAMO DI PERLE. NOTE SU BOSCH E VENEZIA 

di qualsiasi italiano, Gerolamo (o Hieronymus) si sarebbe trovato nella situazione


più adatta a realizzare un programma pratico, attuando una funzionale disposizio-
ne degli spazi, e stabilendone dimensione e accostamenti. Solo Spavento, tra i suoi
contemporanei veneziani, non avrebbe sofferto per le restrizioni imposte dal Senato
e avrebbe potuto trovare la forma più adatta a rivestire, in un insieme armonioso, le
idee pratiche di Gerolamo.
In realtà, la decisione dovette risultare meno indolore di quanto appaia da
questa lettura dei fatti.
Come attestano i diari del Sanuto, infatti, il tedesco e Giorgio Spavento pre-
sentarono la loro visione sia dell’interno che dell’esterno del nuovo Fondaco, at-
traverso i rispettivi modelli, che furono allestiti in Palazzo Ducale e attentamente
esaminati dal Consiglio.
Si venne così ai termini molto calcolati della deliberazione finale del  giu-
gno . Dopo alcune lodi di maniera, essa assegna il progetto al tedesco, ma in
pratica lo costringe a rivedere/annientare il suo intero disegno esterno.
Il progetto viene assegnato a lui, e si precisa che sia la costruzione che even-
tuali modifiche e adattamenti futuri, sia da parte veneziana che tedesca, dovran-
no scrupolosamente attenersi al suo modello; ma poi parte la richiesta di una
significativa serie di varianti.
Gli viene innanzitutto prescritto di circoscrivere il perimetro della nuova co-
struzione con ambienti da adibire a botteghe e magazzini aperti verso l’esterno,
«come sta negli altri modelli» (ovvero i due presentati da Giorgio Spavento); det-
taglio rilevante, perché la città se ne sarebbe riservata il lauto affitto.
Cosa forse più importante, gli viene vietato di dare all’erigendo Fondaco con-
notati palaziali, ordinandogli senza mezzi termini e con dettagliate prescrizioni di
ricondurre l’esterno ai tratti tipici, dimessi e disadorni, della costruzione utilitaria
veneziana: nudo laterizio e, dove occorre, pietra bianca semplicemente squadrata
e martellata al grezzo, nient’altro («dove la caderà, far se debi in piera viva batuda
de grosso et da ben»). Gli viene proibito espressamente, in particolare, l’utilizzo di
ornamenti e trafori “de marmoro” («non se possi in esso fontego far cossa alcuna de
marmoro, né et laoriero alcuno intagliado de straforo, over altro per alcun modo»;
si veda il testo integrale, riprodotto qui di seguito, p. ).
Ne risulta perciò, stando ai termini della deliberazione, un edificio nudamen-
te funzionale, sul genere dell’umile Fondaco del Megio, o altre strutture simili
tuttora esistenti: uno scatolone di mattoni rossi, merlato, con semplici rinforzi
di pietra bianca agli spigoli. Dimesso al punto da presentare un profilo forse fin
troppo basso per il Canal Grande in quel punto, tanto che nel giro di pochi anni
la Signoria penserà bene di rendere l’esterno più rappresentativo intonacando la
facciata e adornandola con gli affreschi moderni di Giorgione e Tiziano, di cui
oggi si conservano soltanto esigui frammenti.

 John McAndrew, L’architettura veneziana del primo Rinascimento (), trad. it. Venezia,
Marsilio, .
 M. Sanuto, Diarii, cit, c.  e passim.
 GLORIA VALLESE

Di fatto, quindi, al Tedesco viene concesso di operare a suo modo solo nel-
la distribuzione degli ambienti interni, su cui Venezia concede opportunamente
mano libera agli ospiti transalpini (fornendo, con l’occasione della radicale inno-
vazione, un probabile assist ai potenti Fugger, che andranno a occupare le stanze
 e  della nuova costruzione).
Ecco i termini della deliberazione (fig. ), che val la pena di rileggere per intero:
Havendose cum diligentia visti et ben esaminati i modeli del fontego di Thodeschi
apresentadi alla Sig.ria Nostra; et considerà non esser gran differentia di spesa da
luno et laltro: l’è ben conveniente satisfar a la grande Instantia facta p. li mercadanti
de esso fontego; i quali dovendo esser quelli che lo hanno a galder et fruir, hanno
supplicato se voglj tuor el modello fabricado per uno dei suoi nominato Hieronymo,
homo intelligente et practico, per esser non manco de ornamento di questa città et
utele de la Sig.ria Nostra, che comodo ad loro, sì per la Nobel, et Ingeniosa com-
posizione et constructione de quello, come per la quantità e qualità de le camere,
magaceni, volte et botteghe se faranno in esso, delle qual tute se tracerà ogni anno
de affitto bona summa de denari.
Perhò andrà parte per autorità de questo consiglio la fabrica del fontego soprascritto
far se debbi iuxta el modello composto per el prefato Hieronymo Thodescho, et
accadendo quello conzar over modificar in parte alcuna ad beneficio della Sig.ria
Nostra et comodo delle mercadantie, haveranno ad star in esso: sia dà libertà al co-
legio Nostro a bossoli e ballotte, passando i do terci, posserlo fare sì come li parerà
expediente, cum questo però, che la faça et rive da la banda davanti non sia in parte
alcuna alterada né mossa, immo sia facta et reducta secondo la forma de esso mo-
dello, tuttavolta chel no se possi venir più fuori in Canal grando cum li scalini de le
Rive de quello è al presente la fondamenta. Et ulterius, dove da basso sono magaceni
da la parte de fuori, Redur si debbi in tante botege, et volte, come stanno i altri mo-
delli: né se possi in esso fontego far cossa alcuna de marmoro, né et laoriero alcuno
intagliado de straforo, over altro per alcun modo; ma dove la caderà, far se debi de
piera viva batuda de grosso et da ben, sì come serà bisogno.
Viene da chiedersi se, in mancanza di altri candidati credibili, non valga la
pena di provare a far coincidere il misterioso maestro “Hieronymo Thodescho”
con l’artista neerlandese Hieronymus van Aken, alias Bosch. Si deve tener conto
che, in quel torno d’anni, il mondo tedesco, quello neerlandese e quello spagno-
lo erano, per ragioni dinastiche, strettamente interrelati. Al momento dei fatti,
Bosch aveva appena ricevuto una commessa di rilievo dal reggente asburgico dei
Paesi Bassi Filippo il Bello, figlio dell’imperatore Massimiliano (settembre ). A
partire da marzo , l’imperatore risiede per diversi mesi nei Paesi Bassi, presso
Filippo, cui era andato a dar man forte nella guerra di Gheldria; l’ambasciatore
veneziano vedeva pressoché quotidianamente entrambi. Sempre nel , Filip-
po dona al padre un dipinto delle Tentazioni di sant’Antonio, verosimilmente di
Bosch; altri dipinti dell’artista sono documentati prima del  nelle collezioni di

 Venezia, Archivio di Stato, Senato di Terra, reg. , c. v.


LA CIVETTA SUL RAMO DI PERLE. NOTE SU BOSCH E VENEZIA 

Isabella di Spagna, suocera di Filippo. Bosch ha tra i suoi committenti e collezio-


nisti, in quel momento e in seguito, gli intimi dell’arciduca alla corte di Bruxelles:
la sorella Margherita d’Austria, il conte Hendrick III di Nassau-Breda e don Diego
De Guevara, raffinato e colto gentiluomo spagnolo-fiammingo, maestro di casa
di Filippo, e «uno de li cari habbia sua maestà». Fra il  e il , don Diego
risulta iscritto alla Confraternita di Nostra Signora a ’s-Hertogenbosch, la stessa
di cui il nostro pittore fece parte per tutta la vita e della quale divenne uno dei
notabili; è quella l’occasione in cui si presume che abbia commissionato a Jhero-
nimus il Carro di fieno oggi al Prado, databile al -.
Di discendenza spagnola, ma nato nelle Fiandre, presumibilmente prima del
, don Diego De Guevara fu un diplomatico e negoziatore d’alto rango, tra i
più attivi fautori dell’avvicinamento tra la casa d’Asburgo e quella dei re cattolici.
Nel , don Diego aveva preparato il doppio matrimonio tra Giovanni di Casti-
glia e Margherita d’Austria da una parte, e Filippo il Bello e l’infanta Giovanna la
Pazza dall’altra.
Oratore della Serenissima presso Filippo il Bello in quegli anni è un perso-
naggio abbastanza sorprendente: quel giovanissimo Vincenzo Querini, dottore
in lettere, molto erudito e fluente nell’eloquenza latina, che coltivava un’ardente
inclinazione per un rinnovamento profondo nel mondo cristiano e per la vita
ascetica, tanto che, avendo fatto voto di castità fin dal , abbandonò il mondo
e prese a vivere come eremita camaldolese nel .
A partire dal marzo , quando presenta le sue credenziali a Filippo il Bello
ad Hagenau presso Strasburgo, dove l’arciduca si intratteneva attendendo l’arrivo
dell’imperatore, Vincenzo Querini aggiorna assiduamente la Signoria sull’incon-
tro e i colloqui tra l’imperatore Massimiliano, il figlio Filippo e la nuora Giovanna.
Nell’agosto-settembre, da ’s-Hertogenbosch, egli riferisce in dettaglio le loro
giornate, che trascorrono tra ricevimenti, giostre e banchetti, seguendo quindi le
loro maestà a Bruxelles ( settembre).

 «Septembre l’an XVC quatre A Jeronimus van Aeken dit Bosch paintre de(meurant) au Bois
le Duc la somme de trente-six livres dudict pris en prest et paiement a bon compte sur ce qu’il
pouvoit et pourroit etre deu sur ung grant tableau de paincture de neuf pietz de hault et onze pietz
de long, ou doit estre le Jugement de dieu assavoir paradis et infer que icellui (Seigneur) lui avoit
ordonné faire pour son tres noble plaisir. Pour ce icy par sa quictancy rend(ue) ladicte somme de
xxxvj l(ivres)». Rijssel, Archives départementales du Nord, Archives du Nord, côte B. , f. v.
G.C.M. Van Dijck, Op zoek naar Jheronimus van Aken, cit., pp. -: . Il dipinto in questione non
è stato identificato con certezza tra quelli pervenuti; ma i termini della commessa, cioè un Giudi-
zio finale “assavoir Paradis et Enfer”, che l’alto committente ordina “pour son trés noble plaisir”,
fanno pensare che l’artista avesse già stabilito l’altro dei filoni di genere che, assieme alle Tentazioni
di sant’Antonio, l’avrebbero reso famoso a raggio europeo: i Giudizi finali che da quadri da chiesa
si trasformano in dipinti di meditazione laica, rassegne in tre fasi delle follie che caratterizzano il
passaggio dell’umanità sulla terra, come il Carro di fieno e il Giardino delle delizie.
 Vincenzo Querini, Dispaccio da Hagenau, aprile  , in Die Depetschen der Venetianischen

Botschafters Vincenzo Quirino, a cura di Constantin R. von Höfler, «Archiv fur Österreichischen
Geschichte» LXVI, , pp. -, scheda , p. .
 GLORIA VALLESE

In seguito, partito l’imperatore, Vincenzo Querini accompagna Filippo nel


suo viaggio in Inghilterra e quindi in Spagna, dove il sovrano andava per far vale-
re i suoi diritti ereditari sul regno di Castiglia; ivi, a Barcellona, concluderà la sua
missione nell’agosto del .
Oratori della Serenissima presso l’imperatore Massimiliano furono France-
sco Cappello e Pietro Pasqualigo; alla corte di Spagna, quel Gerolamo Contarini
che, con Vincenzo Giustiniani e lo stesso Querini, forma a Venezia il gruppo di
punta della preriforma. Questi umanisti sinceramente cristiani, preoccupati del
rinnovamento della Chiesa, trovarono probabilmente molto consentaneo al loro
gusto e alla loro sensibilità il mondo tedesco e quello dei Paesi Bassi, che dello
spirito della preriforma erano già così pervasi.
Alcuni di questi personaggi si immaginano bene come destinatari ideali di
dipinti di Bosch sul tema degli eremiti o dei suoi cosiddetti “disegni umanistici”,
già citati: l’allegoria Il bosco che sente e vede, le Tre civette, o la Visione dell’uomo-albero
(in cui è un minuscolo anacoreta nascosto tra le rupi a contemplare la paradossale
apparizione del mostro che si staglia enorme nel paesaggio).
Se mai Jheronimus van Aken, alias Bosch, visitò Venezia, sembra più che
naturale che abbia gravitato intorno al Fondaco dei Tedeschi e alla chiesa di San
Bartolomeo, e che abbia avuto rapporto con la locale comunità dei transalpini,
tedeschi e neerlandesi, oltre che con la società veneziana.
Concedendo qualche tempo per la realizzazione dell’importante Giudizio
finale per Filippo il Bello, si arriverebbe intorno al - come epoca per il
possibile viaggio a Venezia.
È quello, in effetti, il momento più verosimile per il gruppo delle cosiddette
“pale eremitiche” che include anche i dipinti di Palazzo Grimani; quando le atti-
nenze con la pittura veneziana, in particolare con Giorgione, sembrano farsi più
intense e dirette, e la circolazione di motivi tra Bosch, Leonardo, Dürer e l’am-
biente veneto diviene più che mai evidente.
Prove documentarie del passaggio di Bosch a Venezia non sono finora emer-
se; ma, per nuovi indizi al riguardo, rimane da riconsiderare l’evidenza stilistica
offerta dai dipinti stessi, ben lontana ancora dall’essere esplorata per intero.
L’edificio del trittico di Lisbona su cui spicca l’orologio zodiacale, trasforma-
to in un albergo di lusso per gaudenti, è forse l’immagine del Fondaco veneziano
come Bosch l’aveva immaginato?
La veemenza e l’ironia amara e graffiante che si leggono nel dipinto sono
forse innescate da uno spunto autobiografico?
Nello sportello di sinistra, il perfido uccello in primo piano reca appuntato
sulla spalla uno scudetto che lo designa come messaggero (fig. ). Lo stemma
nello scudetto non è stato identificato finora, ma osserviamo che la figura che
vi appare, in nero su fondo oro, è quella nota in araldica come archipenzolo (o
archipendolo). Si tratta di una squadra munita di filo a piombo, uno strumento
usato da architetti e capomastri fin dall’antichità per controllare l’orizzontalità dei
piani, la giustezza degli angoli, alcuni tipi di allineamenti ecc. Dai mosaici pom-
LA CIVETTA SUL RAMO DI PERLE. NOTE SU BOSCH E VENEZIA 

peiani fino al secolo XIX, l’archipendolo appare molto di frequente come simbolo
dell’architettura (e talora, in senso figurato, della giustizia e della rettitudine).
Il breve infilato nel becco reca la parola, scritta a rovescio e variamente in-
terpretata finora, “protio” (o “protho”, leggendo il segno dopo la “t” come “h”
connessa da una legatura alla “o” che segue; figg. A-B).
È possibile che questo bieco animale alluda al “protho” di San Marco?
Bosch non gli attribuisce connotati positivi; per lui è uno stolto ingannatore
(come indica l’imbuto azzurro in testa) che procede spericolatamente sul ghiac-
cio sottile (proverbiale indice di imprudenza in ambito neerlandese), in atto forse
di tramare col bestiale prelato sotto il ponticello.
In una copia del dipinto ai Musées Royaux des Beaux Arts di Bruxelles, l’iscri-
zione sul breve che l’uccello porta nel becco è sostituita da una diversa, che ha
finora eluso i tentativi di interpretazione; forse perché si tratta di una parola ita-
liana, anche in questo caso scritta a specchio e a rovescio. Suggerisco di leggervi
“smaniosi” (ovvero “pazzi, dissennati”); l’inizio della parola è un po’ consunto,
ma le lettere interpolate ad alcune eleganti minuscole cancelleresche (come la “s”
molto allungata) sono capitali romane, ulteriore tratto allusivo al mondo italiano
(figg.  A-B).
Quanto all’“amico di Antonio”, il personaggio che, ostentando un ginocchio
denudato, simbolo d’iniziazione, incede al centro del pannello aiutando a sorreg-
gere il santo e guarda fuori dal dipinto con espressione amara e risentita, si tratta
di una delle figure tradizionalmente considerate autoritratto ideale dell’artista
(così come il viandante all’esterno del trittico del Carro di fieno, il Figliol prodigo
di Rotterdam, e l’uomo-albero presente nel disegno dell’Albertina e nel pannello
destro del Giardino delle delizie).
È soprattutto l’atteggiamento di testimone turbato di questo personaggio,
che si distacca dalla rappresentazione per una sorta di appello diretto all’osserva-
tore, che ha indotto a vedere nel suo singolare volto incavato e dalla fisionomia
angolosa un autoritratto dell’artista.
Si tratta peraltro, anche in questo caso, di materia congetturale; non sono in-
fatti pervenuti ritratti certi di Jheronimus Bosch coi quali effettuare un confronto.
Unica possibile testimonianza circa le fattezze del maestro di ’s-Hertogen-
bosch viene considerato un disegno incluso nel cosiddetto Recueil d’Arras, album
in cui il francese Jacques Le Boucq (-), pittore araldico di Carlo V, raccolse

 Sull’imbuto azzurro come copricapo del ciarlatano nel dipinto La cura della follia, si veda
M. Cinotti, L’opera completa di Bosch, cit., scheda , p. ; il colore azzurro come emblematico della
follia nel dipinto i Proverbi fiamminghi (Berlino, Gemäldegalerie) di Bruegel il Vecchio; il simbolismo
del ghiaccio sottile come insidia per gli incoscienti nel suo quadro I pattinatori (Bruxelles, Musées
Royaux des Beaux Arts) e in dipinti di genere dello stesso tema del Seicento olandese.
 Roger H. Marijnissen, Peter Ruyffelaere, Bosch. The Complete Works, Antwerp, Tabard-

Press, Mercatorfonds, , p.  e nota .


 La questione dei possibili autoritratti di Bosch è discussa in G.C.M. Van Dijck, Op zoek naar

Jheronimus van Aken, cit., cap. , “Jheronimus en Zijn Portret”, pp. -.
 GLORIA VALLESE

una serie di effigi di personaggi illustri storici e contemporanei, fra cui uno identi-
ficato dall’iscrizione di mano antica come «Jeronimus Bos painctre» (Bibliothéque
Municipale, Arras, MS , f. ; fig. ).
Il disegno di Le Boucq risale al  circa, cioè a molti anni dopo la morte di
Bosch; ma lo si direbbe diligentemente desunto da un perduto originale di inten-
to realistico e oggettivo, che raffigurava l’artista già anziano.
Poiché pareva interessante tentare comunque, a titolo di esperimento, un
raffronto fra il presunto ritratto del Recueil d’Arras, il “testimone” nel Trittico di
Lisbona, e il “meester Hieronymus” di Dürer, ho chiesto a Bob Schmitt, specialista
di Visual Face Recognition, di sottoporre le tre effigi a un esperimento di confron-
to. La sua discussione è riprodotta nell’articolo che segue. Le sue elaborazioni
grafiche, alle quali ha dato un importante contributo Andrea Chiarato, iscritto al
biennio specialistico di Nuove Tecnologie per l’Arte dell’Accademia di Belle Arti
di Venezia, hanno messo in evidenza fra l’altro che il volto di Jheronimus Bosch
presentava i segni di una caratteristica frattura del setto nasale che lo rende incon-
fondibile; questa particolarità anatomica diviene un elemento determinante nel
collegare alcune delle immagini fra loro (tav. III).
Che Bosch possa essere identificabile con “Hieronymo Thodescho”, coinvol-
to, almeno in fase iniziale, nella ricostruzione del Fondaco e visto da Dürer a Ve-
nezia nel , rimane comunque per il momento non molto più che un castello
congetturale, un’ipotesi in attesa di più solide conferme documentali.
In ogni caso, oltre al nome, peraltro piuttosto comune, di Hieronymus e a
un cognome che suona indubitabilmente tedesco, “van Aken” (ovvero “da Aqui-
sgrana”, la città renana da cui la famiglia proveniva), Bosch sembra avere avuto
almeno un ulteriore requisito per candidarsi al ruolo: l’esser stato legato in quegli
anni da relazioni di committenza al più alto livello con la corte asburgica (il che
può render ragione delle raccomandazioni pressanti, la “grande istanzia”, fatte
dai mercanti tedeschi per fargli ottenere l’incarico).
Ma, si potrà obiettare, se Bosch giunse a Venezia come artista già così impor-
tante, perché allora la deliberazione del Senato veneziano non individua “Hiero-
nymo Thodescho” in qualche modo come pittore o artista, ma semplicemente
come «homo intelligente et praticho»?
Probabilmente perché, fino al momento del viaggio in Italia, Bosch, pur ap-
prezzato da Filippo il Bello e dalla sua cerchia, quindi dai membri di un’altissima
élite internazionale, non era forse ancora generalmente “famoso” nel senso in cui
lo fu più tardi.
Come è stato osservato, egli comincia apparentemente solo in quel torno
d’anni a firmare i dipinti con la caratteristica segnatura che conosciamo, e che
peraltro è un nome d’arte; a darsi cioè un’identità, di carattere geografico, come

Vedere discussione e bibliografia in RKD Images, : http://explore.rkd.nl/nl/explore/




images/.
LA CIVETTA SUL RAMO DI PERLE. NOTE SU BOSCH E VENEZIA 

è stato notato, distaccandosi dal patronimico van Aken, che condivideva col padre
e coi numerosi fratelli, anch’essi artisti.
Le sue opere, che pure non sfuggirono all’occhio di qualche collezionista
veneziano di rango, come il cardinale Grimani e suo nipote Marino, prive come
sono di desinenze anticheggianti, e gravi invece di inflessioni morali e di calem-
bour visuali ispirati a modi di dire della lingua olandese, devono essere risultate
abbastanza ostiche, o anche del tutto indifferenti, a molti conoscitori d’arte di
gusto italiano.
Una serie di indizi, che vanno dal contenuto generale della sua produzione a
quella scarruffata segnatura in grandi minuscole gotiche (un legame col mondo
del libro nordico coevo, sia a stampa che manoscritto), ci rende difficile immagi-
narlo versante nelle cose italiane al modo in cui lo fu Dürer; in atto, cioè, di com-
prarsi abiti alla moda, di compitare frasi in veneziano e di prendere anche qualche
lezione di ballo, come fece il collega di Norimberga.
Contrariamente a quanto parrebbe, la qualifica di “Thodescho” non costitui-
sce invece ostacolo all’identificazione di un brabantino come lui. All’epoca, le de-
finizioni geografiche erano diverse da quelle attuali; la parola “tedesco” indicava
non un ambito territoriale, ma piuttosto un ceppo linguistico che includeva l’in-
tero bacino del Reno fino al mare del Nord. Lo precisa, fin dal titolo, il fiorentino
Ludovico Guicciardini, nipote del più celebre Francesco, pubblicando nel  la
sua Descrizione di tutti i Paesi Bassi, altrimenti detti Germania inferiore. All’aprir-
si del Cinquecento, i popoli che abitavano l’area corrispondente alla Germania
d’oggi erano definiti “tedeschi”, ma venivano altrettanto facilmente designati
come “sudditi del Re dei Romani”, o “del Sacro Romano imperatore”.
Più seria può essere l’obiezione che le fonti d’archivio finora note individua-
no Bosch sempre e soltanto come pittore, mai come architetto; anche se nella sua
famiglia, una dinastia di artisti/maestri attiva da più generazioni nell’ambito delle
grandi fabbriche gotiche di ’s-Hertogenbosch, le attività di pittura e architettura
non debbono essere mai state intese come nettamente distinte, nel modo in cui
le pensiamo oggi.
Considerata anche la lacunosità della documentazione pervenuta, non si
può a nostro avviso escludere che Jheronimus van Aken, alias Bosch, abbia po-
tuto cimentarsi all’occasione nell’architettura oltre che nella pittura; per di più
nell’ambito di un progetto sui generis come quello della ricostruzione del Fondaco
veneziano dei Tedeschi.
Certo è, che Bosch si mostra al corrente di alcuni dettagli segreti gelosamente
custoditi e noti solo agli iniziati appartenenti alla massoneria cosiddetta “operati-
va”, ovvero alla fraglia internazionale dei costruttori del tardo Medioevo.
Com’è noto, le compagnie di costruttori derivavano dalle organizzazioni

 G.C.M. van Dijck, Op zoek naar Jheronimus van Aken, cit., cap. , “Jheronimus op reis?”,
pp. -; F. Elsig, Jheronimus Bosch, cit., p. 
 Lodovico Guicciardini, Descrizione di tutti i Paesi Bassi altrimenti detti Germania inferiore,

Anversa, Guglielmo Silvio, .


 GLORIA VALLESE

romane, di cui avevano conservato attraverso l’Alto Medioevo la capacità operativa


e la struttura gerarchica; in virtù del possesso di “segreti” circa il trattamento del
materiale lapideo, dalla cava alla scienza architettonica, avevano visto rispettata la
loro autonomia anche dai re barbarici, e si erano poco a poco costituite in un vero
e proprio autorevole ordine laico, che dialogava con le giurisdizioni sia civili che
ecclesiastiche da una posizione di forza. L’esclusiva dei “segreti” della professione era
dunque un valore vitale per la fraglia, che lo custodiva con estrema determinazione,
regolando rigidamente sia l’accesso iniziale che i gradi della gerarchia interna.
Il massone che si fosse trovato in viaggio per apprendistato, o nel suo
Wanderjahr, presentandosi per amicizia e assistenza alla loggia di una città
straniera, doveva provare la propria genuinità rispondendo a un’interrogazione
fatta di domande e risposte apprese a memoria, di cui rimane eco nei rituali
massonici delle età successive.
Il derisorio “grillo” architetto del Trittico di Lisbona sembra delineato per
designarlo, punto per punto, come ignaro (o traditore). Il dialogo di accoglienza,
infatti, si apriva con le parole: «Degno confratello muratore, tu sei uno che si
presenta con una lettera [ein Briefer], o con un saluto [ein Grüsser]?» «Con un
saluto». E invece il grillo, protho, che si annuncia apertamente come adepto per lo
scudetto che ha alla spalla, porta una lettera!
Altri dettagli posti più oltre, nel cuore del dialogo massonico, precisano in
modo inequivoco la falsità morale del nostro personaggio, col suo becco storto al
posto della bocca, e in testa, come cappello, l’imbuto azzurro della follia:
«Che genere di Muratore sei tu?»
«Uno con la bocca» [Ein Mund-Maurer].
«Come lo sapremo?»
«Dal mio saluto, dalle parole che pronuncerò con la mia bocca».
[...] «Cosa porti sotto il cappello?»
«Una lodevole saggezza».
«Cosa porti sotto la lingua?»
«Una lodevole onestà».
Ma a quale pubblico Bosch potrebbe aver indirizzato dettagli allusivi così
riservati? Il loro contenuto sarebbe stato comprensibile a ben pochi al di fuori
della professione.
Uno dei pochi era l’imperatore Massimiliano, che nel  a Strasburgo aveva
incontrato i capi della massoneria operativa, e confermato le libertà e gli antichi
privilegi della fraglia. Un altro ideale destinatario di queste frecciate beffarde era
proprio il protho veneziano, che dalla sua posizione di potere aveva forse posto al
confratello straniero, una dopo l’altra, le domande dell’interrogazione rituale:
«Perchè ti presenti a noi?»
«Per onorevole promozione, istruzione, e onestà».
«Che cosa sono istruzione e onestà?»
«L’usanza e la consuetudine dell’Arte».
«Quando cominceranno?»
LA CIVETTA SUL RAMO DI PERLE. NOTE SU BOSCH E VENEZIA 

«Appena avrò onestamente e fedelmente terminato il mio apprendistato».


«Quando finiranno?»
«Quando la morte spezzerà il mio cuore».
«Da che cosa riconosceremo un Maestro Muratore?»
«Dalla sua onestà». [...]

L’interrogazione rituale per un massone viaggiante è nota dagli atti della loggia Archime-
des di Altenberg: J.G. Findel, History of fremasonry [sic], from its rise down to the Present Day, Appen-
dix A, Examination of a German “Steinmetz”, pp. -; www.co-masonry.org/Site/English/Histo-
ry.aspx (traduzione in italiano di chi scrive). Per il termine “Grüsser” (con fraseologia relativa alla
domanda «Grüsser oder Briefer?»), cfr. Deutsches Rechtswörterbuch-DRW online, www.rz.user.uni-
heidelberg.de, ad vocem, con bibl.

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