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CORSO : “Tecnologie dei media digitali”

Chiar.mo Prof. G. Cecchinato

RELAZIONE

I ragazzi non accettano più di imparare dagli adulti. Fare entrare le nuove tecnologie digitali nella
scuola, sostituendo gli insegnanti con sistemi tecnologici per l’apprendimento dei contenuti
permetterebbe in qualche modo di aggirare questo problema. Gli insegnanti non apparirebbero più
ai ragazzi come la fonte delle conoscenze, e le modalità di apprendimento somiglierebbero di più
alle modalità di comunicare e di interagire a cui i ragazzi sono abituati fuori della scuola. Forse
allora la scuola apparirebbe ai ragazzi meno estranea di adesso. “Parisi D.)

La rapida evoluzione delle tecnologie digitali ha rivoluzionato, specie negli


ultimi anni, tutti i settori della vita del singolo e della comunità globale.
Il mondo del web è entrato prepotentemente nel modo di vivere quotidiano,
convertendo quella che prima era una realtà virtuale e “trascendentale”, in
“effettiva”, concreta, attuale ed attualizzabile.
È soprattutto il sistema della comunicazione ad essere interessato da questa
profonda trasformazione, basata sull’utilizzo di strumenti e modalità
innovative, grazie ai quali vengono abbattuti vincoli, creati nuovi spazi, ampliati
i confini della conoscenza, azzerati i tempi a favore di dell’immediatezza e della
simultaneità …
Date queste premesse, emerge la contraddizione, apparentemente insanabile,
tra la scuola, radicata ad una didattica tradizionale, e la realtà multimediale del
mondo circostante.
Al di là degli intenti politici e demagogici, è infatti evidente il disagio degli
stessi insegnanti a confrontarsi con discenti che padroneggiano ormai le nuove
tecnologie mediali con disinvoltura e per i quali è sempre più difficile attribuire
credibilità e valenza educativa all’interazione con i loro insegnanti.
I ragazzi avvertono, al contempo, la “resistenza” al cambiamento della scuola
la quale, come sostiene Geertz, si chiude alla maniera di una “cittadella
assediata” dall’attacco violento e massiccio della nuova cultura mediatica,
estranea ed esterna ad essa.
Il gap è evidente, drammatico in alcuni casi: docenti e discenti non parlano più
la stessa lingua; la scuola “novella Babele”, non prepara più alla vita, quella
reale, quella tecnologica e digitale, ed il risultato più evidente è la
“smitizzazione” del ruolo docente da parte dei ragazzi, che riconoscono, di
conseguenza, solo il gruppo dei “pari” come rivestito di una qualche autorità.
L’analisi di Parisi appare dunque spietata, spietata ma reale, eppure….
Pensare oggi ad una dinamica di apprendimento/insegnamento come quella
tradizionale, appare anacronistico e direi “criminoso”, tanto più se pensiamo
che gli stessi processi di apprendimento non sono più quelli tradizionali.
Come fa notare M. Prensky in Digital Natives, Digital Immigrantes, le nuove
generazioni sono caratterizzate da un tipo di apprendimento definito
“multitasking cognitivo”, cioè dalla capacità di operare ed utilizzare stimoli
provenienti da più canali.
Sulla stessa linea è Maria Elisabetta Cicognini, la quale ha inaugurato una
nuova corrente pedagogica parlando di “connettivismo”1, in cui dovrebbero
convergere i concetti delle neuroscienze, delle scienze cognitive e delle teorie
di rete e dei “sistemi complessi”.
È chiaro, pertanto, che l’ “apprendimento” vada riconfigurato sulla base delle
nuove realtà digitali, tenendo conto che i nuovi media non sono più semplici
dispositivi, ma si configurano come “strumenti cognitivi” in grado di modificare,
condizionare e dirigere processi mentali, come esemplificato da un efficace
filmato reperibile all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=LHCHqtxAZCw
Un altro aspetto che concorre “all’attacco” della scuola da parte delle nuove
tecnologie, è che esse comporterebbero la definizione di nuovi ambienti di
apprendimento, con la conseguente riorganizzazione logistica degli spazi e
degli ambienti scolastici dove avviene tradizionalmente la “lezione”, vista da
sempre come momento fondamentale di erudizione, di trasmissione del
sapere. Questa filosofia presiederebbe l’attuale sperimentazione di vari
ambienti virtuali di apprendimento interattivi, dedicati agli studenti in pieno
stile web 2.0, come nel caso di http://italia.aula365.com/inicio.aspx.
L’obiettivo innovativo che sottende queste iniziative è quello di sfruttare le
enormi potenzialità del web per renderlo un’aula virtuale dove tutti gli
stakeholder di una scuola possano incontrarsi, comunicare tra loro e, tramite
l'uso dei media, sviluppare la collaborazione, la condivisione culturale, il
sentimento di coesione (un nuovo “giardino” di Epicuro?).
Un’ulteriore carattere delle tecnologie digitali che Parisi evidenzia in un saggio
dal titolo Nuove competenze e nuove figure professionali per la produzione di
materiali di apprendimento digitali, è che esse “aprono orizzonti e possibilità
fino ad oggi impensabili alla comunicazione non-verbale, cioè in sostanza alla
comunicazione visiva e all’apprendimento attivo, cioè all’apprendere attraverso
il fare, interagendo e modificando la realtà, se non la realtà reale, almeno
quella virtuale ...”2
Vista da questa prospettiva, se si decide di esplorare realmente le possibilità e
gli scenari “fantastici”che da questo nuovo tipo di apprendimento traspaiono,
la scuola, ammettiamolo, appare “spacciata” e la condanna di Parisi: “
sostituire gli insegnanti con sistemi tecnologici per l’apprendimento…”non così
eretica.
Sebbene infatti non si possa generalizzare una situazione di “digiuno digitale”,
non si può tuttavia negare che le nuove tecnologie non trovino nella scuola
quello spesso radicamento che invece hanno in altri contesti extrascolastici….
La sfida è dunque già persa?
Antonio Calvani, in un articolo dal titolo Connectivism: New paradigm or
fascinating pout-pourri? sostiene che un uso “selvaggio” ed indiscriminato del
connettivismo a scuola, può indurre i giovani a credere che basti mettere
l’alunno “in rete” per produrre conoscenza, secondo lo stereotipo che più si
utilizzano le tecnologie più si acquisisce conoscenza.3 Diverse ricerche hanno

1
A. Fini, M.E.Cicognini Web 2.0 e social networking, in “I quaderni di Form@re” n.9, Erikson,
Trento, 2009
2
Cfr Pepe D. e Parisi D. La simulazione nella formazione a distanza: modelli di apprendimento
nella Knowledge society. Roma, ISFOL, 2005, pag 116
3
Bisognerebbe stabilire anzitutto chi sia effettivamente e realmente “in rete” ; una veloce e
simpatica statistica è stata effettuata da Roberto Venturini in “Il peso della rete in Italia”
-http://www.apogeonline.com/webzine/2010/10/29/il-peso-della-rete-in-italia-tutta-la-mezza-verita
inoltre messo in luce dati contrastanti riguardo ad una correlazione positiva tra
utilizzo delle tecnologie informatiche e performance degli alunni.4
Del resto, se è vero in parte che “se ci si affida alle lezioni orali a alla lettura di
libri non si va molto avanti”5ed è necessario utilizzare rappresentazioni
iconiche, animate, per poter “agire” su ciò che si vede, e comprendere quanto
si apprende, appare doveroso sottolineare il rischio di una nuova
“analfabetizzazione”.
L’uomo, nel corso dei secoli, ha reso degno sé stesso, grazie alla produzione di
testi memorabili … L’avanguardia tecnologica consente di consultare un libro
senza averlo tra le mani, abdicando il fascino indescrivibile della lettura… Ciò
che temo è che le nuove generazioni, con questa infinita “portabilità” e
fruibilità della conoscenza, appiattiranno ogni contenuto, senza alcun
discernimento critico, poiché nel web, in fondo, Manzoni e Zalone sono uguali

Ma è soprattutto un altro l’aspetto su cui vorrei porre l’accento e che, a mio
avviso, restituisce valore insostituibile ed unico all’ “antica arte d’insegnare”:
mi riferisco alla relazione emotiva ed empatica che viene a stabilirsi tra
docente e discente, feconda di risultati quanto e più di un mero apprendimento
nozionistico.
Credo che appartenga all’esperienza di ciascuno di noi aver conosciuto,
nell’arco della vita “scolastica”, un insegnante che abbia “lasciato il segno”,
non tanto e non solo per ciò che insegnava, ma per “come” lo insegnava, per
l’esempio che trasmetteva, per l’ “umanità” che dimostrava…
Ricordo, a tal proposito, il mio professore di filosofia, Don Manfredonia: ricordo
le appassionanti lezioni di Storia della Filosofia, ricordo ancor più le
indimenticabili lezioni di “Filosofia della vita”, come le definiva lui. Noi ragazzi
eravamo catturati dal fascino di quegli insegnamenti, dalla grandiosità di
quell’anima che era davanti a noi, che ci istruiva non al sapere, ma alla vita ….
Non è un caso che io stessa sia diventata un’insegnante di Filosofia: stesso
metodo, stessa passione, differente, ahimè, solo l’immensa umanità.
Provo dunque un profondo disagio quando leggo che i giovani, non avendo più
valori, non accettano neanche più insegnamenti dagli adulti. Al contrario
ritengo che in una realtà come quella attuale, creare spazi “emotivamente”
coinvolgenti e stimolanti sia essenziale, ma spazi reali, genuini, in cui
condividere un “sentire comune”.
La nuova generazione vive in una realtà “cognitivamente avanzata”, ma di
contro, in uno stato di “analfabetismo” emotivo. Ecco perché spesso rifiutano
di farsi educare, come sostiene Parisi, cercando stimoli ed input solo dai pari.
L’apprendimento si basa sulla comunicazione, ma attraverso il filtro emotivo ed
affettivo; lo stesso Gadamer sottolinea giustamente che ogni relazione
comunicativa è una relazione umana, e come tale basata sull’attaccamento,
sull’”affettività”. L’insegnamento dunque, fa leva proprio su quella dimensione
affettiva che la “rete”, per sua stessa costituzione, è impossibilitata ad offrire.
Accade, ed accade così da sempre: il bambino apprende dalla madre, poichè
“lei sa”, ma apprende anche perché “ama” sua madre, riconosce in lei
qualcuno di cui fidarsi, a cui abbandonarsi.

4
Cfr http://www.dfes.gov.uk/research/data/uploadfiles/RR816.pdf.
5
Cfr Parisi D. Nuove tecnologie per nuovi cittadini in SCENARI E ESPERIENZE PER L'E-
LEARNING. Milano, Guerini in corso di stampa.
Per questo ritengo che la sfida dell’insegnamento non sia persa, ma anzi, possa
essere ancora vinta dagli stessi insegnanti, visti come depositari di valori (non
più unicamente saperi) ed esempi che le giovani generazioni ancora cercano.
L’onestà, l’attaccamento al lavoro ed agli allievi, l’impegno e la passione, sono
cose che i ragazzi avvertono ed apprezzano, e le gratificazioni che possono
ricevere da simili persone li aiutano a crescere e maturare…
In un saggio intenso ed appassionato: “La credibilità dell’insegnante”, Guido
Gili sottolinea come ogni rapporto educativo sia anzitutto un rapporto
personale tra due persone (non tra una persona ed un pc…) in cui l’allievo
percepisce l’insegnante non solo come una macchina parlante, un dispensatore
di conoscenze, ma come un modello affascinante e persuasivo di umanità e di
sapere “perché le due cose nel nostro mestiere sono inesorabilmente
intrecciate”.
Da sempre, infatti, le materie che risultano maggiormente gradite ai ragazzi
sono quelle in cui i docenti privilegiano il dialogo, un legame affettivo che si
manifesta anche fuori dallo stesso ambiente scolastico.
Lo stesso spazio “fisico” della scuola, si configura per i giovani come spazio
emotivo, in cui confrontarsi, crescere, sbagliare, maturare … in una realtà tutta
immanente e non virtuale.
Sostengo semplicemente che la nuova sfida dell’insegnamento è quella di
conciliare la nuova realtà tecnologica, con il valore insostituibile della relazione
emotiva ed affettiva, e ciò è tanto più valido se pensiamo agli alunni
diversamente abili, in cui l’apprendimento va necessariamente strutturato,
veicolato, attraverso il canale empatico che si stabilisce tra alunno e docente,
spesso proprio il “suo” docente di sostegno.
La scuola, come sostiene Rogers, non è solo il luogo dove si impara, ma anche
l’ambiente in cui far entrare le proprie emozioni, il proprio vissuto, le proprie
esperienze reali e concrete.
Si tratta dunque di ripensare alla didattica in termini nuovi e non sterili; si
tratta di ripensare ad una didattica che sappia rispondere ai bisogni diversi
degli alunni, perchè tutti gli alunni sono portatori di preziose diversità.
Si tratta di proporre dunque una didattica coinvolgente, che appassioni i
giovani, li entusiasmi, li interessi … li motivi. Una didattica che usi e si adegui
al loro linguaggio, al loro modo di fare e pensare, al loro mondo, fatto di blog e
wiki, di realtà virtuale e interattività, una didattica che intrecci operatività ed
emotività, per progettare realmente il futuro. Si tratta di sfruttare in tutti i modi
le potenzialità dei nuovi media, proporre i nuovi possibili scenari agli alunni,
per cui questa stessa riflessione è stata di stimolo per una lezione aprendo un
confronto con gli alunni, fecondo di spunti e riflessioni.
Si tratta, infine, di passare dall’”educazione ai media” ad una educazione “con
“, “attraverso” i media, dove l’insegnante non è più al centro della relazione
didattica strutturata in un rapporto gerarchico, ma coopera al fianco di nuove
figure professionali, esperti e tutor, sfruttando, non lasciandosi sostituire,
dalle tecnologie digitali.
Il compito che si profila è dunque arduo, soprattutto in un momento in cui la
professione docente è mortificata su più fronti, ma siamo all’inizio di una nuova
era che esige flessibilità, apertura, competenza.
Quello dell’insegnamento è un valore immenso, che resiste sempre, ogni
giorno; un valore fatto di impegno, dedizione e passione, ma è un valore
basato sul più nobile degli scopi, formare concretamente il “cittadino del
futuro”.
Corsista: Prof.ssa Antimina Mea

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