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A questo proposito, un altro punto interessante è quello del rapporto che, nel simbolismo dei «Fedeli

d’Amore», esiste fra l’«Amore» e la «Morte»; esso è un rapporto duplice, poiché la parola «Morte» ha essa
stessa un duplice significato. Per un verso, fra l’«Amore» e la «Morte» vi è un accostamento e quasi
un’associazione (p. 159), la seconda è intesa allora come «morte iniziatica»; e questo accostamento sembra
si sia mantenuto in seno a quella corrente da cui sono nate, alla fine del Medioevo, le raffigurazioni della
«danza macabra» [In un antico cimitero del XV secolo, abbiamo visto dei capitelli nelle cui sculture sono
curiosamente riuniti gli attributi dell’Amore e della Morte]; per l’altro, vi è anche un’antitesi, fissata
attraverso un altro punto di vista (p. 166), la quale si può spiegare, in parte, attraverso la stessa costituzione
dei due termini: in entrambi è presente la radice mor, ma in a-mor essa è preceduta dalla a privativa, come
nel sanscrito a-mara, a-mrita, di modo che «Amore» può interpretarsi come una sorta di equivalente
geroglifico di «immortalità». Seguendo allora lo stesso senso, i «morti», in generale, possono essere
considerati come i profani, mentre i «viventi», o coloro che hanno ottenuto l’«immortalità», sono gli iniziati;
e qui è il caso di ricordare che l’espressione «Terra dei Viventi» è sinonimo di «Terra Santa» o «Terra dei
Santi», «Terra Pura», ecc., mentre la stessa opposizione da noi indicata equivale, sotto questo profilo, a
quella fra l’Inferno, che è il mondo profano, ed i Cieli, che sono i gradi della gerarchia iniziatica.
Per quanto riguarda la «vera fede», di cui si parla continuamente, è essa che viene designata come Fede
Santa, espressione che, al pari della parola Amore, si applica anche alla stessa organizzazione iniziatica.
Questa Fede Santa, di cui Dante era Kadosch, è la fede dei «Fedeli d’Amore» ed è anche la Fede dei Santi,
cioè l’Emunah dei Kadosch, così come abbiamo spiegato ne L’Esoterismo di Dante. Questa designazione
degli iniziati come dei «Santi», di cui Kadosch è l’equivalente ebraico, si comprende perfettamente
attraverso il significato dei «Cieli», così come l’abbiamo indicato precedentemente, poiché i Cieli sono, in
effetti, descritti come il soggiorno dei santi; e tale designazione dev’essere accostata a molte altre analoghe,
come Puri, Perfetti, Catari, Sufi, Ikhwan-es-Safa, ecc., tutte prese nello stesso senso; ciò permette anche di
comprendere cosa sia veramente la «Terra Santa» [Non è forse senza interesse segnalare, inoltre, che le
iniziali F.S. possono essere anche lette Fides Sapientia, esatta traduzione della Pistis Sophia gnostica].
Questo ci induce a segnalare un altro punto, al quale Valli allude solo troppo brevemente (pp. 323-324): si
tratta del significato segreto dei pellegrinaggi, riferito alle peregrinazioni degli iniziati, i cui itinerari,
d’altronde, spesso coincidevano in realtà con quelli dei comuni pellegrini, con i quali potevano così
confondersi esteriormente, tanto da poter dissimulare meglio le vere ragioni dei loro viaggi. Del resto, a
questo proposito, occorre anche tenere conto della ubicazione dei luoghi di pellegrinaggio, la quale, come
per i santuari dell’antichità, ha un valore esoterico [Grillot de Givry ha pubblicato sull’argomento uno studio
dal titolo: Les Foyers du mysticisme populaire, ne Le Voile d’Isis, Parigi, aprile 1920]; ciò è in diretta
relazione con quello che abbiamo chiamato «geografia sacra», e dev’essere accostato a quanto abbiamo
scritto a proposito dei Compagnoni e degli Zingari [Le Compagnonnage et les Bohémiens, ne Le Voile d’Isis,
Parigi, ottobre 1928 (Oggi: Il Compagnonaggio e gli Zingari, inserito nella raccolta di Studi sulla
Massoneria)]. Sull’argomento, forse, ritorneremo in altra occasione.
La questione della «Terra Santa» potrebbe anche fornire la chiave per comprendere i rapporti fra Dante, i
«Fedeli d’Amore» ed i Templari; è questo un altro degli argomenti che Valli ha trattato in modo incompleto.
Egli considera giustamente che questi rapporti con i Templari (pp. 423-426), ed anche con gli alchimisti (p.
248), siano di una realtà incontestabile, e fornisce alcuni accostamenti interessanti, come, per esempio,
quello dei nove anni di probazione dei Templari con l’età simbolica di nove anni nella Vita Nuova (p. 274);
ma avrebbe potuto dire ben altre cose sull’argomento. Così, a proposito della residenza centrale dei Templari,
stabilita a Cipro (pp. 261 e 425), sarebbe curioso studiare il significato del nome di quest’isola, i suoi
rapporti con Venere ed il «terzo cielo», nonché il simbolismo del rame, da cui deriva lo stesso nome; tutte
cose sulle quali, per il momento, non possiamo soffermarci e che ci limitiamo a segnalare.
Anche a proposito dell’obbligo imposto ai «Fedeli d’Amore» di impiegare nei loro scritti la forma poetica
(p. 155), sarebbe il caso di chiedersi perché gli antichi chiamavano la poesia: la «lingua degli Dei»; perché
Vates in latino era sia il poeta che il divinatore o il profeta (d’altronde, gli oracoli erano enunciati in versi);
perché in latino i versi erano chiamati carmina (ammaliamenti, incantamenti; termine identico al Karma
sanscrito, inteso nel senso tecnico di «atto rituale») [Rita, in sanscrito, è ciò che è conforme all’ordine, senso
che è rimasto nell’avverbio latino rite; l’ordine cosmico è qui rappresentato a mezzo della legge del ritmo]; e
perché di Salomone e di altri saggi è detto, in particolare nella tradizione mussulmana, che comprendessero
la «Lingua degli uccelli», la quale, per quanto strano possa sembrare, non è che un altro nome della «lingua
degli Dei» [La stessa cosa si ritrova anche nelle leggende germaniche].
Prima di ultimare queste note, dobbiamo spendere qualche parola sull’interpretazione della Divina
Commedia che Valli ha sviluppato in altre opere e che qui ha solo riassunto: le simmetrie della Croce e
dell’Aquila (pp. 382-384), su cui è interamente basata tale interpretazione, chiariscono certamente una parte
del significato del poema (d’altronde conforme alla conclusione del De Monarchia) [Cfr. Autorità Spirituale
e Potere Temporale, cap. VIII], ma in esso vi sono molte altre cose che con tali simmetrie non potrebbero
essere spiegate completamente, basta pensare all’impiego dei numeri simbolici; sembra che l’autore, a torto,
le consideri come una chiave unica, sufficiente a risolvere tutte le difficoltà. D’altra parte, l’uso di queste
«connessioni strutturali» (p. 388) gli appare come un’originalità di Dante, quando invece in
questa «architettura» simbolica vi è qualcosa di essenzialmente

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