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Ecce ancilla Dei.

Esempi di umiltà: re David (46-69)


Virgilio, che ha Dante alla propria sinistra, lo invita a non osservare solo una scultura e così il discepolo allarga lo sguardo e vede, oltre
l'esempio di Maria, un'altra storia scolpita nel bassorilievo. Dante oltrepassa Virgilio per osservarla meglio e vede che il marmo
raffigura il carro che trasportò l'Arca Santa a Gerusalemme, preceduto dagli Ebrei disposti in sette cori. La scultura è così realistica che
l'udito di Dante gli dice che le figure non cantano, mentre la vista glielo fa credere; anche il fumo dell'incenso è così veritiero che solo
l'olfatto impedisce a Dante di credere che sia reale. L'Arca è preceduta dal re David, che danza con la veste umilmente alzata, mentre
da un palazzo lo guarda la moglie Micòl, sprezzante e crucciata.

Esempi di umiltà: Traiano e la vedova (70-96)

G. Doré, Traiano

Dante si muove dal punto in cui si trova e vede scolpita un'altra storia nel bianco marmo, proprio accanto a Micòl. Qui è rappresentata
la gloria dell'imperatore Traiano, che spinse papa Gregorio a pregare per la sua salvezza: l'imperatore è raffigurato a cavallo, mentre
una vedova gli si avvicina in lacrime. Intorno a lui è pieno di cavalieri che levano al cielo le insegne imperiali a forma di aquila d'oro,
che sembrano muoversi al vento. Sembra che la vedova si rivolga a Traiano e gli chieda giustizia per il figlio ucciso, mentre l'imperatore
risponde di attendere il suo ritorno. La vedova ribatte che Traiano potrebbe non tornare, e lui replica che il suo successore le darà
soddisfazione. La vedova ricorda al principe che se un altro farà del bene al suo posto a lui non verrà alcun vantaggio e Traiano accetta
allora di fare giustizia prima di partire, poiché prova pietà per la donna. Solo Dio, osserva Dante, può aver prodotto tali sculture, che
non si sono mai viste sulla Terra e che sembrano parlare anche se non lo fanno.

Incontro con i superbi (97-139)

Due cariatidi di palazzo Puoti, Verona

Mentre Dante è attento a osservare le sculture che raffigurano esempi di umiltà, Virgilio gli sussurra che molte anime (i superbi) si
avvicinano a passi lenti e saranno loro a indirizzarli verso la Cornice successiva. Dante volge subito lo sguardo, curioso di vedere
queste anime, ma avverte il lettore che ciò che dirà non deve distoglierlo dai buoni propositi, dal momento che la pena è assai dura ma,
nel peggiore dei casi, non può protrarsi oltre il Giorno del Giudizio. Dante chiede spiegazioni a Virgilio, perché le figure che vede non
gli sembrano anime umane, così non sa che pensare. Il maestro spiega che la loro pena li obbliga a camminare curvi al suolo e lui stesso
è stato incerto al primo sguardo. Dante è invitato comunque a guardar meglio e osservare le anime che procedono sotto il peso di
enormi massi.
Dante prorompe in una violenta invettiva contro i cristiani superbi, che hanno la mente ottenebrata e procedono all'indietro, senza
capire che noi siamo come vermi destinati a formare una farfalla angelica e a volare verso la giustizia divina. Perché invece l'animo
umano insuperbisce e fa sì che l'anima resti una sorta di insetto non pienamente formato? Le anime dei superbi sono simili a quelle
sculture (le cariatidi) che talvolta, nell'architettura romanica, sostengono con le spalle un soffitto a guisa di mensola, e piegano le
ginocchia così da far nascere affanno a chi le osserva. I superbi hanno lo stesso aspetto, essendo piegati sotto il peso del macigno che
li fa curvare in maggiore o minor misura, e quello che sembra più paziente pare dire: «Non ne posso più».

Interpretazione complessiva
Il Canto descrive l'ingresso dei due poeti nella I Cornice ed è dedicato in gran parte agli esempi di umiltà scolpiti nel bassorilievo alla
base della parete del monte, mentre nell'ultima parte sono presentati i superbi e la loro pena (camminano curvi sotto dei pesanti macigni,
in modo tale che anche il più paziente sembra al limite della sopportazione). L'apertura mostra Dante e Virgilio che accedono alla
Cornice salendo lungo una via scavata nella roccia, che procede a zig-zag e li obbliga a camminare lentamente per evitare gli spuntoni
di roccia; è questa l'interpretazione più probabile, anche se alcuni hanno ipotizzato che la roccia si muova effettivamente come un'onda,
fenomeno che però Dante dovrebbe spiegare in modo più dettagliato (il sentiero tortuoso è simbolo della via ardua e difficoltosa che
conduce alla salvezza, con un chiaro riferimento all'ascesa al primo balzo del Canto IV, vv. 31 ss.). La salita richiede molto tempo,
visto che i due arrivano nella I Cornice quando sono circa le dieci di mattina, e una volta qui ci sono mostrati gli esempi di umiltà (cioè
della virtù opposta a quella del peccato che si sconta nella Cornice), che si presentano in forma di sculture su dei bassorilievi di marmo
posti sullo zoccolo della parete rocciosa, in modo che i superbi possano vederli.
Gli esempi sono tre, partendo come sempre da quello di Maria Vergine (l'Annunciazione recatale dall'arcangelo Gabriele), cui segue
quello biblico di David (e al quale fa da contrappunto la moglie Micòl, dispettosa e trista per l'umiltà del sovrano) e quello classico di
Traiano, la leggenda della vedova che chiede giustizia divenuta un luogo comune della letteratura medievale e all'origine della presunta
salvezza dell'imperatore pagano (cui Dante dà credito, poiché includerà Traiano tra gli spiriti giusti del VI Cielo). Dante sottolinea a
più riprese che tali sculture sono frutto dell'arte divina, quindi superano non solo la maestria del più grande artista classico (lo scultore
greco Policleto), ma addirittura la natura che è a sua volta creazione divina. È il preannuncio di un discorso sull'arte che Dante ha già
iniziato col rimprovero di Catone nel Canto II e riprenderà nel Canto XI col il discorso di Oderisi da Gubbio, che toccherà non solo le
arti figurative come la miniatura o la pittura ma anche la poesia: Dante qui ribadisce che queste sculture sono estremamente realistiche,
come mai potrebbero esserlo opere realizzate da artisti umani, tanto che esse ingannano la vista e sollecitano altri sensi come l'udito o
l'olfatto. L'arcangelo Gabriele e Maria sembrano davvero parlare, così come le schiere di Ebrei che accompagnano l'Arca Santa
sembrano cantare e solo l'udito smentisce l'impressione di Dante, mentre la vista lo ingannerebbe; allo stesso modo il fumo degli incensi
raffigurato inganna l'olfatto, mentre l'esempio di Traiano e della vedova si trasforma agli occhi del poeta in una sorta di sacra
rappresentazione, con attori in carne e ossa che si muovono sulla scena e dialogano, mentre gli stendardi con l'aquila imperiale paiono
sventolare al vento. Dante sottolinea che ciò è possibile in quanto è frutto dell'arte divina, mentre l'arte umana non sarebbe certo in
grado di riprodurre la realtà in modo così fedele; obiettivo dell'arte è quello di fornire insegnamenti agli uomini e non gareggiare
follemente con Dio o la natura, per cui è da condannare ogni intento edonistico dell'opera d'arte così come la superbia degli artisti,
oggetto del discorso di Oderisi nel Canto seguente e che tocca lo stesso Dante molto da vicino.
Una similitudine tratta dalla scultura è ancora usata per descrivere la pena dei superbi, che sembrano a Dante quelle cariatidi che, specie
nell'architettura delle chiese romaniche, rappresentavano come capitelli figure umane o bestiali che sostenevano l'architrave (e facevano
nascere con la finzione un autentico affanno in colui che le osservava). I superbi sono addirittura stravolti sotto il peso degli enormi
macigni, per cui Dante da un lato rassicura il lettore e gli ricorda che tale pena, per quanto dura, cesserà il Giorno del Giudizio, dall'altro
accusa duramente i superbi cristian, miseri lassi, che credono presuntuosamente di saper tutto e finiscono per camminare all'indietro.
Gli uomini sono come vermi per la loro imperfetta fisicità, destinati a formare una angelica farfalla (l'anima libera dal peccato) purché
non vengano distolti dalla loro superbia, che li fa restare antomata in difetto, insetti non pienamente sviluppati. L'insistenza sulla
pericolosità della superbia e sulla durezza della sua punizione in Purgatorio, che si svilupperà anche nel Canto XII con i numerosi
esempi del peccato punito, si spiega col fatto che questo è il peccato capitale più grave e che più lega l'uomo alla terra, nonché con la
considerazione che proprio la superbia era stata all'origine della ribellione di Lucifero e, quindi, del male nel mondo (ciò spiega anche
l'ampio risalto dato da Dante ai risvolti di tale peccato nel campo artistico, in cui lui come si è detto si sente particolarmente coinvolto).

Note e passi controversi


I vv. 7-12 indicano probabilmente che il sentiero scavato nella roccia procede tortuosamente, per cui Virgilio avverte Dante che occorre
salire evitando le sporgenze e accostandosi alle rientranze (accostarsi / ...al lato che si parte); suggestiva ma poco convincente l'ipotesi
che la roccia si muova effettivamente.
Lo scemo de la luna (v. 14) è la parte in ombra del disco lunare, che è la prima a toccare l'orizzonte quando la luna cala dopo il
plenilunio: poiché la luna tramonta circa quattro ore dopo l'alba, sono più o meno le 10 del mattino.
I vv. 29-30 indicano con ogni probabilità che lo zoccolo della parete rocciosa del monte ha minor ripidezza (che dritto di salita aveva
manco), quindi non è perpendicolare al pavimento della Cornice ma inclinato a 45 gradi circa, in modo che le anime dei superbi, pur
chinate, possano vedere gli esempi scolpiti.
Policleto, citato al v. 32 come supremo esempio di arte classica, era noto nel Medioevo essendo citato varie volte dagli scrittori latini.
I vv. 55-57 descrivono la traslazione dell'Arca Santa dalla casa di Abinedab a Gerusalemme, narrata in II Reg., VI, 1-16; il v. 57 allude
al fatto che Oza, uno dei condottieri del carro, toccò l'Arca in pericolo di cadere e fu folgorato da Dio, in quanto solo ai sacerdoti era
permesso toccarla. Il benedetto vaso (v. 64) è ancora l'Arca.
L'umile salmista (v. 65) è re David, che secondo il racconto biblico precedeva l'Arca danzando con la veste alzata in segno di umiltà
(trescando indica una danza compiuta a salti, come il «trescone» popolare). Micòl è indispettita dal fatto che David si mortifichi in tal
modo e Dio la punisce con la sterilità.
La leggenda di Traiano e della vedova (vv. 73-93) era molto diffusa nel Medioevo e forse traeva origine da una scultura presente in
molti archi romani, raffigurante un imperatore romano a cavallo e una donna inginocchiata accanto a lui, simbolo di una provincia
sottomessa. Ciò aveva originato un'altra leggenda, quella di papa Gregorio Magno che, commosso dall'episodio, pregò intensamente
per Traiano fino ad ottenerne la salvezza (la gran vittoria del v. 75), fatto accettato da molti teologi.
Le aguglie ne l'oro (v. 80) sono le aquile in campo d'oro degli stendardi romani, che Dante immaginava come vessilli in panno simili
agli stendardi medievali e perciò mossi dal vento.
L'espressione visibile parlare (v. 95) è propriamente una sinestesia, che sottolinea l'assoluto realismo delle sculture.
La frase ciascun si picchia (v. 120) può indicare che i superbi si battono il petto, oppure avere valore impersonale (ognuno di loro è
tormentato dalla giustizia divina).
La forma antomata, «insetti» è un grecismo che deriva da un falso plurale, sulla base di vocaboli come problemata, dogmata, ecc. (il
plur. greco, éntoma, era ritenuto sing.). Alcuni mss. leggono entomata.
Il termine pazienza (v. 138) vuol dire «capacità di sopportazione», ma è stato anche interpretato come «sofferenza» (quindi, in tal caso,
l'anima che soffre di più sembra dire che non può sopportare oltre).

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