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LA MUSICA NEI LAGER NAZISTI

Ben diversa era la funzione della musica nella fenomenologia dei lager nazisti: Qui il lavoro, soprattutto a partire
dagli anni ’40, produceva non merci, ma cadaveri: la musica era la “colonna sonora” del campo. Un’orchestra
accoglieva i prigionieri (aspetto di facciata e di falsa rassicurazione presente anche nei gulag) appena scesi dai
trasporti; scandiva l’andata e il ritorno in marcia verso e dal lavoro; era strumento denigratorio per i prigionieri,
spesso obbligati a comporre musiche che schernivano la loro “razza inferiore”; si configurava come “passatempo”
della vita del campo che le SS adottavano come svago tra un crimine e l’altro; infine rappresentava per le autorità
un importante fattore di controllo, e valvola di sfogo, sociale nel campo.

Anche qui, alla musica per così dire ufficiale, si affiancava quella clandestina, fatta di canti sussurrati in momenti
della notte soprattutto nelle baracche sovraffollate di anziani, e le filastrocche musicate per far imparare la storia o
la geografia ai bambini, che si cantavano in gran segreto perché l’educazione era ufficialmente proibita.
Naturalmente, per alcuni prigionieri la presenza, seppur ambigua e a due passi dall’aberrazione delle camere a gas
e dei crematori, di orchestre anche jazz (la funzione della propaganda nei lager nazisti e i gusti musicali delle SS
consentiva l’esecuzione di generi musicali proibiti al di là del filo spinato) permetteva di evadere spiritualmente,
almeno per pochi istanti, dall’inferno concentrazionario e, per i musicisti simboleggiava anche un’unità meta-
temporale di esistenza e di speranza verso il futuro, riscattando il tempo presente nel tempo musicale.

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