Sei sulla pagina 1di 24

LA MISERICORDIA CHE PERMETTE

DI NARRARE LA VITA

José Granados*

I critici più sagaci del cristianesimo hanno voluto vedere, nella miseri-
cordia, il punto debole del Vangelo, per poi denigrarlo. Secondo Nietzsche,
ad esempio, la morale misericordiosa genera una sorta di piacere per ciò
che è debole, cagionevole; con essa si finisce per rinunciare alla forza e allo
splendore dell’umano; per essa si invertono i valori e chi ha fallito esercita
una dittatura vittimista che rende impossibile l’eccellenza1. Il romanzo di
Graham Green The Heart of the Matter (Il nocciolo della questione) illustra, dal
cuore dell’esperienza della fede, questa perversione della misericordia. L’o-
pera intende trasmettere “che la compassione [pity] può voler attestare un
orgoglio quasi mostruoso”2. Il protagonista, il maggiore Scobie, è un uomo
onesto, soddisfatto del suo lavoro di poliziotto in un paese della costa afri-
cana durante la Seconda Guerra Mondiale. Scobie sarebbe anche un uomo
felice se non fosse per la presenza degli altri, a partire dalla moglie. La ragio-
ne di questa sua infelicità è l’altruismo: gli altri soffrono e lui non può sop-
portare questo dolore, del quale si sente responsabile. Convinto credente,
non capisce come Dio possa permettere la sofferenza; non è la morte che
lo colpisce, ma le lunghe ore di agonia. Il giorno delle nozze, non giura alla
moglie di amarla (chi può conoscere un altro essere umano ed unirsi a lui
veramente?), ma promette di evitarle qualsiasi sofferenza e di fare in modo
che sia felice3. E questo, anche a costo di pietosi inganni poiché, ai suoi

*
 Vicepreside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e
Famiglia, Roma.
1
  Cfr. W. Kasper, La misericordia. Clave del Evangelio y de la vida cristiana, Sal Terrae,
Santander 2013, 22-25; per una visione d’insieme del modo di intendere la compassione
nella Modernità: Id., La misericordia, cit., 32-40.
2
  Cfr. H. G. Greene, Ways of Escape, Vintage, London 1999, 110: “I had meant the
story of Scobie to enlarge a theme which I had touched on in The Ministry of Fear, the
disastrous effect on human beings of pity as distinct from compassion. I had written in The
Ministry of Fear: ‘Pity is cruel. Pity destroys. Love isn’t safe when pity’s prowling around.’
The character of Scobie was intended to show that pity can be the expression of an almost
monstrous pride”. Per un’analisi della compassione in Graham Greene, cfr. Ch. Moeller,
Literatura del siglo XX y cristianismo, vol. 1, Gredos, Madrid 1981.
3
  Cfr. H. G. Greene, The Heart of the Matter, Important Books 2013, 61: “he made
his terrible private vow that she should be happy”.

143
José Granados

occhi, nei rapporti umani, la verità conta ben poco: non lenisce il dolore4.
Poco a poco questa compassione, il desiderio di eliminare la sofferenza ad
ogni costo, lo metterà di fronte a delle scelte difficili. Si farà corrompere,
non per denaro, ma per compassione5. Dopo aver commesso un adulterio,
impietositosi dinanzi ad una povera rifugiata, si troverà intrappolato tra due
pietà opposte. Il dilemma lo dilania e lo lascia senza scampo. La diagnosi
di Nietzsche, pertanto, potrebbe sembrare corretta: la misericordia, intesa
come la capacità di provare la sofferenza dell’altro e il desiderio di alleviarla,
finisce per paralizzare l’azione, come dimostra il suicidio finale di Scobie,
commesso proprio per risparmiare sofferenze agli uomini… e a Dio.
Di fatto, questo esempio, non mostra forse che la misericordia è il con-
trario della buona novella, di un “Vangelo”, della venuta del “tempo della
pienezza”? Eppure, la grande tradizione cristiana ha insistito per collocare
la misericordia al centro del suo annuncio, proclamandola come mera-
vigliosa notizia, come quella che mostra la grandezza di Dio. Un ignoto
cristiano degli albori, rivolgendosi al pagano Diogneto, propone così il suo
messaggio:

“Chi di noi se lo sarebbe aspettato? (…) O immensa bontà e amore di


Dio. Non ci odiò, non ci respinse e non si vendicò, ma fu magnanimo
e ci sopportò e con misericordia si addossò i nostri peccati e mandò suo
Figlio per il nostro riscatto; il santo per gli empi, l’innocente per i mal-
vagi, il giusto per gli ingiusti, l’incorruttibile per i corrotti, l’immortale
per i mortali. Quale altra cosa poteva coprire i nostri peccati se non la
sua giustizia? (…) Dolce scambio, opera inscrutabile, benefici insospet-
tati! (…) Una volta conosciutolo, hai idea di qual gioia sarai colmato?
Come non amerai colui che tanto ti ha amato? Ad amarlo diventerai
imitatore della sua bontà, e non ti meravigliare se un uomo può diven-
tare imitatore di Dio: lo può volendolo lui”6.

Osserviamo subito delle novità importanti rispetto alla patologia della


misericordia, di cui sopra. Si tratta, in primo luogo, del carattere reciproco
di quest’ultima: la misericordia di Dio non si limita ad abbracciare il colpe-
vole, ma rende possibile una risposta libera di quest’ultimo. Vi è, infatti, un

4
  Cfr. H. G. Greene, The Heart of the Matter, cit., 59: “The truth, he thought, has
never been of any real value to any human being –it is a symbol for mathematicians and
philosophers to pursue. In human relations kindness and lies are worth a thousand truths”.
5
  Cfr. H. G. Greene, The Heart of the Matter, cit., 55: “They had been corrupted
by money, and he had been corrupted by sentiment. Sentiment was the more dangerous,
because you couldn’t name its price. A man open to bribes was to be relied upon below
a certain figure, but sentiment might uncoil in the heart at a name, a photograph, even a
smell remebered”.
6
 Cfr. A Diogneto VIII, 8.11; IX, 2-6; X, 1-4.

144
  La misericordia che permette di narrare la vita

“dolce scambio” nel quale l’uomo ama il Dio che lo ha amato per primo
e diviene imitatore della sua bontà, ‘poiché Lui lo vuole’. Ricordiamo che
Scobie, il personaggio di Graham Greene, non pensa all’amore: sarebbe
felice se fosse solo, lontano da tutti. La sua è una misericordia che si con-
centra solo sull’individuo, che prova pena e vuole cancellare il dolore degli
altri. La misericordia cristiana, invece, è reciproca. Il suo scopo principale
è la comunione: trasformare l’altro affinché egli possa stringere un legame
che nasca dal suo stesso desiderio.
Vi è un secondo elemento della Lettera A Diogneto che merita di esse-
re evidenziato. La misericordia può essere reciproca soltanto se accetta di
percorrere il tempo dell’uomo. La compassione di Scobie vuole soltanto
far sì che il dolore cessi, e identifica la morte come mezzo definitivo per
non causarne agli altri e a se stessi. Il brano A Diogneto, invece, presenta
una storia di misericordia che, partendo dalla vita di Gesù, abbraccia quella
del cristiano per riversarsi, attraverso di lui, sugli altri uomini. Così, la mi-
sericordia non appare soltanto come un’azione compiuta in un istante, ma
acquisisce uno spessore narrativo. Non si tratta soltanto di far rialzare colui
che è caduto, né di limitarsi a rimetterlo in forze affinché possa riprendere
da solo il suo cammino. La misericordia fa molto di più: essa si adatta ad
ognuna delle tappe del percorso per offrire all’uomo un cammino nuovo
che lo porterà ad un traguardo di pienezza.
Queste sue caratteristiche (reciprocità e narratività) ci aiutano a porre
un interrogativo fondamentale. Abbiamo osservato le difficoltà per com-
prendere la misericordia. Non è facile trovare il punto di equilibrio tra
rigorismo e lassismo, poiché ci sarà sempre un estremo più a sinistra o
più a destra per cui ognuno potrà dire che la propria posizione è quella
centrale. Chiunque rifiuterebbe una “misericordia a buon mercato” ma
chi può determinarne il giusto prezzo sul mercato della pietà? Ritengo
che l’errore stia nell’approccio stesso al problema: si è dimenticata la di-
mensione narrativa della misericordia, la necessità di raccontare la sua
storia, come faceva Gesù nelle parabole. La questione, infatti, non sta nel
sapere se la misericordia sia costosa o a buon mercato, ma piuttosto nel
modo in cui tesse i momenti di una vita, illuminando l’origine e il destino
dell’uomo. Per una misericordia che abbracci il nostro cammino per inte-
ro, si può dare tutto; se invece una misericordia si limita ad alcuni istanti
o a frammenti sconnessi della vita, il suo prezzo sarebbe sempre molto
elevato, anche se ci venisse data gratuitamente. La capacità di questa sto-
ria di aprire orizzonti verso l’origine e il destino, nonché di dimostrarsi
feconda, proverà che la misericordia è veritiera, poiché mostrerà la sua
virtù per condurre la vita alla pienezza. Per concludere, possiamo affer-
145
José Granados

mare che non si può definire la misericordia considerando solo l’istante


presente: per distinguerla dai suoi surrogati, è necessario percorrere tutto
il suo cammino.
Ebbene, la teologia dispone di un metodo singolare che, pur senza
rinunciare a cercare un sistema, un logos o significato, accoglie questo
carattere narrativo della misericordia: è il metodo sacramentale. I sa-
cramenti, in quanto azioni simboliche, possiedono la caratteristica del
racconto che accompagna la vita dell’uomo introducendola nella storia
stessa di Gesù: sono memoria, evento presente, anticipazione di pienezza
futura. È in questo tessuto narrativo che i sacramenti gettano la loro luce,
come segni di salvezza quali sono. A partire dai sacramenti, infatti, si
potrà comprendere come la misericordia non si limiti ad aiutare l’uomo
nel suo incedere, ma cammina con lui e lo conduce al centro del mistero
divino.
In realtà, il metodo sacramentale può servire per illustrare qualsiasi
argomento teologico. Quando Pietro Lombardo dedica il suo quarto li-
bro delle Sentenze ai sacramenti, conferendo così una cornice chiara alla
riflessione teologica per molti secoli, lo fa seguendo uno schema ago-
stiniano, che troviamo anche in De doctrina christiana. Qui, il Dottore di
Ippona divide in due gruppi tutto ciò che esiste: le realtà che esistono in
quanto tali (res) e i segni (signa) di queste realtà, che esistono in virtù di
esse, al fine di rivelarle e comunicarle (il più chiaro esempio di segno è
rappresentato dalle parole). Ebbene per Lombardo, i primi tre libri delle
sue Sentenze, nei quali parla di Dio, dell’uomo e di Cristo, vertono sulle
realtà ultime da studiare (res), mentre il quarto libro, quello sui sacramen-
ti, è dedicato ai segni. Ciò significa che i sacramenti sono il linguaggio
con cui si esprime tutto il contenuto della teologia. Possiamo affermare
che il mistero di Dio e della Sua salvezza si comunica con simboli vivi;
azioni che, capaci di ricordo, di rappresentazione e di profezia, attraver-
sano e unificano la storia.
Questo metodo sacramentale, valido per qualsiasi tema teologico, si ap-
plica in particolare alla misericordia. Di fatto, un’immagine classica per
comprendere i sacramenti, che esercita grande influenza in tutto il Medio-
evo, è quella del Buon Samaritano7. A partire da questa immagine, infatti,
sono stati identificati i sette segni salvifici come medicina che cura i mali
dell’uomo, narrazione concreta della misericordia di Dio che accoglie la

7
 Cfr. Sant’Agostino, Sermo 131, 6 (PL 38,732); Pietro Lombardo, Sent. IV,
d. I, c. I (ed. Quaracchi, p. 745): “Samaritanus enim, vulnerato appropians, curationi eius
Sacramentorum alligamenta adhibuit, quia contra originalis peccati et actualis vulnera, Sa-
cramentorum remedia Deus instituit”.

146
  La misericordia che permette di narrare la vita

storia umana8. L’olio (elaion), ad esempio, che unse le ferite, secondo un


gioco di parole greco, conteneva la pietà (eleos) di Dio.
Come punto di partenza, ci sembra utile adottare quello di due sa-
cramenti concreti che si oppongono al più grande dei mali che affligge
l’uomo: il suo peccato. Di fatto, il peccato, ci separa da qualsiasi rapporto
con Dio e con i fratelli e impedisce, così, un racconto unitario tra origine
e fine. Il peccato equivale alla dispersione di tutti gli istanti presenti ed è il
principio dell’anti-storia, che irrigidisce il passato e volatilizza il futuro. I
sacramenti del Battesimo e della Penitenza sono i suoi antidoti: essi rifletto-
no in modo particolare la misericordia e, nella loro reciproca articolazione,
ci consentono di narrarne la storia9.

1. Il Battesimo: la misericordia primigenia per la carne bisognosa


dell’uomo
Il Battesimo è la porta d’ingresso ai sacramenti: attraverso di esso si
accede alla misericordia primigenia di Dio. Già Sant’Agostino associava al
Battesimo l’olio e il vino del Buon Samaritano, simboli della misericordia
che ricostituisce l’uomo10. D’altronde, si riferiscono al Battesimo anche gli
inizi della predicazione di Gesù, che sceglie proprio la figura di Giovanni il
Battista come tela di fondo per inaugurare il suo mistero.
Se leggiamo i testi evangelici, troviamo tuttavia una sorpresa: il Bat-
tesimo non è direttamente associato alla misericordia, ma piuttosto alla
conversione o penitenza (metanoia). Come il Battista, e usando le stesse pa-
role, anche Gesù inizia gridando: “convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc
1,14). E il suo ultimo monito, una volta risorto, sarà identico (Lc 24,47).
Messaggio di misericordia o messaggio di penitenza? Perdono gratuito dei
peccati o conversione operosa a Dio affinché ci accolga?
Per rispondere a questo interrogativo, possiamo considerare la differen-
za tra Gesù e il Battista, secondo le parole dello stesso Giovanni, quando
predice un Battesimo diverso dal suo, in acqua e Spirito. Perché, allora,
parlano entrambi di “penitenza” davanti alla “vicinanza del Regno” (con-
frontare Mc 3,2 e Mt 4,17)? Le parole del Risorto alla fine del Vangelo di
Luca ci possono aiutare. Qui, si ribadisce (cfr. Lc 3,3) che l’annuncio con-

8
  Cfr. P. Prétot, “Sacrements et guérison. Un essai de typologie des relations entre
deux dimensions du salut”, in La Maison-Dieu 245 (2006) 7-46.
9
  Sulla penitenza: cfr. W. Kasper, La misericordia, cit., 159-162.
10
 Cfr. Sant’Agostino, Sermo 131, 6 (PL 38,732); cfr. D. Sanchis, “Samaritanus
ille. L’exegese augustinienne de la parabole du Bon Samaritain”, in Recherches de Science
Religieuse 49 (1961) 406-425.

147
José Granados

siste nella “conversione (o penitenza: metanoia) per il perdono dei peccati”


ma si aggiunge che questa si farà “nel suo nome” (Lc 24,45). È il nome
di colui che è stato crocefisso e che è tornato alla vita (Lc 24,44), di colui
che passava “beneficando” (At 10,38), secondo ci narra tutto il Vangelo.
In altri termini, la conversione per il perdono dei peccati è ora preceduta
dalla passione e dalla vita di Gesù, ed è racchiusa in essa. È questa la novità.
Nel contesto della presentazione escatologica di Cristo, che appare
come colui che personifica il Regno di Dio, possiamo sostenere che: men-
tre per il Battista, la penitenza è preparazione verso il futuro giudizio di
Dio, per Gesù la penitenza consiste nell’accogliere l’irruzione definitiva di
questo giudizio che giunge con Lui e che acquisisce la forma della miseri-
cordia definitiva con il Popolo mediante la morte del Giusto per i peccati
degli uomini. Pertanto, è stato Dio a volgersi per primo verso l’uomo; Lui
che, in suo Figlio fatto carne, si è “convertito” verso di noi ed ha permesso
così al cuore dell’uomo di convertirsi verso di Lui. Possiamo concludere
dunque, che misericordia e penitenza sono strettamente legate e che il Bat-
tesimo cristiano contiene, giustappunto, la loro sintesi.
Secondo questo approccio, due elementi cruciali del Battesimo acqui-
siscono maggiore rilevanza: l’acqua, che lo lega alla materialità concreta
della carne e del tempo di Cristo, il Giusto; e il dono dello Spirito, versato
innanzitutto su Gesù e poi sugli uomini, che si associano così in comunio-
ne a Lui. Rivediamo dunque queste due caratteristiche della misericordia
primigenia donata nel Battesimo e che costituisce il nucleo originario del
Vangelo.

a) La dimensione corporale del Battesimo testimonia che la misericordia è legata


alla carne
Secondo la spiegazione patristica del Buon Samaritano, nel giumento
sul quale Gesù carica il ferito, è rappresentata la carne che Cristo ha assunto
per i nostri peccati11. Si tratta della carne nella quale soffre, carne che risor-
ge e ascende al cielo. E poiché dire “carne” significa dire apertura al mondo
e agli altri a partire dal centro del proprio essere, ciò che è in gioco qui sono
le relazioni fondanti che determinano l’identità della persona. Misericordia
sono i nuovi legami che Cristo ha vissuto e inaugurato. Ecco perché, se-
condo San Paolo, il Battesimo è incorporazione al corpo di Cristo (cfr. Rm
6,1-13), affinché le nostre membra servano la giustizia, essendo immersi

11
  Cfr. R. Roukema, “The Good Samaritan in Ancient Christianity”, in Vigiliae Chri-
stianae 58 (2004) 56-74.

148
  La misericordia che permette di narrare la vita

in nuove coordinate relazionali. La misericordia trasforma i vecchi legami,


purificandoli e rafforzandoli secondo i legami originati in Gesù.

b) La misericordia è legata al dono dello Spirito, mediante il quale diventa mi-


sericordia dinamica e reciproca
Condividendo la nostra carne, Cristo si è fatto uno con noi. Nello Spi-
rito, che Gesù riceve nel Giordano, la sua carne assunta ha ricevuto l’amore
del Padre ed ha risposto magistralmente a Lui. Ora, versando su di noi que-
sto stesso Spirito, ci consente di prendere parte alla sua risposta. Ecco dun-
que che il perdono divino e la conversione del cuore umano si uniscono.

Cosa ci dicono questi due elementi circa la misericordia battesimale?


Che la misericordia abbia a che vedere con la condizione incarnata della
persona (primo elemento), è qualcosa che già Aristotele aveva intuito12.
Per lo Stagirita, si prova misericordia per qualcuno a cui è accaduta una
disgrazia, perché comprendiamo che tale disgrazia potrebbe colpire anche
noi. È così che nasce la compassione nei confronti delle miserie altrui –un
sentimento nobile, consolidato dalla percezione che la felicità che possiamo
garantire con i nostri mezzi è molto fragile.
Nella visione cristiana, però, la misericordia non è solo la percezione del
fatto che “la stessa sorte potrebbe toccare anche a me”, ma in essa c’è un
movimento che spinge ad abbracciare il dolore di colui che soffre, sostenuti
dalla speranza che, in questo modo, lo si possa curare. Questo è possibile
perché la vulnerabilità della carne non è vista soltanto come fragilità della
condizione umana, ma piuttosto come possibilità di stabilire relazioni, che
aprono l’accesso alla comunione, al bene più pieno che la persona possa vi-
vere, donato proprio nello Spirito, elencato sopra come secondo elemento
battesimale. Pertanto la misericordia, poiché nasce da un’amicizia e tende
a svilupparla, potrà essere anche una virtù, una capacità stabile di compiere
azioni buone. All’origine di questa nuova percezione della misericordia c’è
la novità del fatto cristiano: l’attrazione di Dio verso la carne –il suo farsi
carne per salvarla mandando il proprio Figlio e facendola maturare median-
te lo Spirito lungo la vita, la morte e la resurrezione di Cristo, ed elevando
così l’uomo alla comunione con Lui.
Se questo è vero, allora la misericordia, ancor prima di rivolgersi all’uo-
mo in quanto peccatore, si versa su di lui in quanto egli vive nella carne. La
misericordia nasce dinanzi all’uomo carnale quando percepisce, da un lato,

12
  Cfr. A. Keaty, “The Christian Virtue of Mercy: Aquinas’ Transformation of Ari-
stotelian Pity”, in Heythrop Journal 46 (2005) 181–198.

149
José Granados

quanto fragile ed incerta sia la sua vita e, dall’altro, quanto possa ricevere
e in che modo possa essere trasformata, aprendosi allo Spirito divino. Di
fatto, la persona umana è bisognosa fin dalla nascita: necessita sempre di un
amore che continui a generarla, affinché possa entrare appieno nell’esisten-
za. Ecco perché deve poter contare su un tessuto di relazioni che l’abbracci
fin dall’inizio e nel quale si possano già identificare, sebbene in modo im-
perfetto e fragile, i primi segni della misericordia divina come accoglienza
incondizionata della carne. In questa vulnerabilità è racchiuso il segreto di
una singolare fecondità: nella comunione delle persone, l’esistenza diventa
più grande di quanto il limitato orizzonte dell’individuo possa immaginare.
Solo in questo modo il nome ricevuto dalla persona diventa anche il suo
destino.
Il sacramento del Battesimo si comprende alla luce di questa esperienza:
ora l’esistenza incarnata dell’uomo, i rapporti che costituiscono lo sfondo
della sua vita nel mondo e con gli altri, appare accolta nell’esistenza stessa di
Gesù, nello sfondo relazionale inaugurato da Cristo che si dona alla Chiesa.
Il primo atto della misericordia è, pertanto, un atto generativo, che consen-
te alla carne di percorrere una storia di pienezza.
Molte sono le testimonianze della tradizione che collegano la misericor-
dia alla condizione stessa dell’uomo nella carne, applicando il brano paolino
“la forza si manifesta pienamente nella debolezza” (2Cor 12,9) alla costitu-
zione corporale dell’uomo. Tertulliano, ad esempio, afferma che i benefici
di Dio sulla carne sono il tratto distintivo della sua misericordia, ciò che fa
brillare la sua bontà13. Egli ama la carne sebbene questa sia debole, malata,
indegna, e per questo versa su di lei il suo Spirito. Sant’Ireneo di Lione,
dal canto suo, contempla la misericordia divina come una grande pazienza
dimostrata nei confronti del percorso dell’uomo, vista la lentezza tipica
della carne che necessita di essere plasmata nel tempo, mediante l’azione
dello Spirito14.

13
 Cfr. Tertulliano, De resurrectione carnis, IX, 3-5 (CCL 2,932): “Bonum deum
nouimus: solum optimum a Christo eius addiscimus. Qui dilectionem mandat post suam
in proximum, facit et ipse quod praecipit: diligit carnem tot modis sibi proxima, etsi in-
firmam, sed Virtus in infirmitate perficitur (2Cor 12,9); etsi inbecillam, sed Medicum non desi-
derant nisi male habentes (Lc 5,31); etsi inhonestam, sed Inhonestioribus maiorem circumdamus
honorem (1Cor 12,23); etsi perditam, sed Ego, inquit, ueni, ut quod periit saluum faciam (Lc
19,10); etsi peccatricem, sed Malo mihi, inquit, percutiam et sanabo (Ez 18,23). Quid ea
exprobras carni, quae deum expectant, quae in deum sperant? Honorantur ab illo quibus
subuenit. Ausim dicere: si haec carni non accidissent, benignitas gratia misericordia omnis
uis dei benefica uacuisset”.
14
 Cfr. Sant’Ireneo di Lione, Adv. Haer., III, 20; cfr. P. Evieux, “Théologie de
l’accoutumance chez saint Irénée”, in Revue des Sciences Religieuses 55 (1967) 5-54.

150
  La misericordia che permette di narrare la vita

Certamente, la miseria che il Battesimo allevia è anche quella del pec-


cato. Mentre per Aristotele era degno di pena solo colui che soffriva im-
meritatamente, ora la misericordia si rivolge anche, e in modo particolare,
a colui che soffre a causa delle sue azioni malvagie, ovvero il peccatore15.
Ciò nonostante, la particolarità del Battesimo consiste nel vedere questo
peccato in quanto colpisce la condizione corporale dell’uomo. Quando è
compiuto dall’uomo, essere carnale, il peccato, sebbene voluto volonta-
riamente, porta comunque conseguenze che vanno ben al di là di quanto
direttamente scelto. Il peccatore rimane intrappolato in una rete dalla quale
non potrà uscire da solo, poiché nel suo atto malvagio ha distrutto un dono
che non era suo e che andava ben al di là di lui. “Spiritus vadens et non re-
diens” (Sal 77 [78],39), “un soffio che va e non ritorna”: Ugo di San Vittore
riferisce questo testo al peccatore, capace di smarrirsi da solo lungo il cam-
mino, ma incapace di tornare sui suoi passi senza l’aiuto della grazia16. Anche
per questo, il peccatore –che, in tal senso, non sapeva quello che faceva (cfr.
Lc 23,34)- è degno di compassione, pur meritando la pena. Il Battesimo si
rivolge all’uomo, innanzitutto, in quanto il suo peccato lo ha superato, si è
fatto carne nella sua storia per contrassegnarla, fino al punto di passare di ge-
nerazione in generazione (tanto che la caratteristica specifica del Battesimo
è proprio quella di cancellare il peccato originale). San Paolo, parlando delle
membra a servizio del peccato, di cui il credente si libera nel Battesimo, ha
voluto ribadire con decisione questo punto fondamentale (cfr. Rm 6,13.19).
Appare dunque chiaramente la supremazia della misericordia di Dio,
che precede sempre la risposta umana e che è particolarmente rilevante
nel Battesimo di bambini. La misericordia, nel Battesimo, appare non solo
come un’azione puntuale di Dio, ma anche come dono di uno sfondo
originario sul quale si potrà tessere l’intera vita del cristiano, all’altezza del
dono sempre più grande fatto dal Padre. Così facendo, il credente riceve
un’origine che nessun peccato potrà cancellare; una promessa che nessuna
infedeltà potrà ritrattare; un destino che nessun ostacolo potrà impedire.
Sarà poi compito della Chiesa, compito di “alta misericordia” a cui non
può rinunciare, quello di invitare sempre i cristiani a vivere entro le coor-
dinate narrative (origine, fedeltà, destino) aperte dalla vita di Gesù e comu-
nicate nel Battesimo.

15
  Cfr. A. Keaty, “The Christian Virtue of Mercy”, cit., 181-185, in riferimento a:
Aristotele, Retorica 1385b; Id., Poetica 1453a.
16
 Cfr. Ugo di San Vittore, De sacramentis II, 14, 4 (PL 176,557B): “Spiritus vadens
et non rediens. De via perditionis dictum est, quod omnes qui ingrediuntur per eam amplius
non revertentur, quia homo per se quidem ad malum ire potest, per se redire non potest
nisi per gratiam adjuvetur; et adjutus sic ad poenitentiam renovetur”.

151
José Granados

Ecco dunque una prima risposta alla domanda circa il nesso tra la mise-
ricordia e l’azione umana. Il Battesimo offre nuove coordinate all’operare
dell’uomo: sono le coordinate di una misericordia che garantisce un’origi-
ne e un destino, partendo dall’origine e dal destino di Gesù nel Padre. Fac-
ciamo ora il passo successivo per comprendere il racconto della misericor-
dia. Quest’ultima, che acquisisce nel Battesimo lo sfondo narrativo, dovrà
diventare cammino e accompagnare la nuova vita dell’uomo. L’esegesi di
Sant’Agostino della parabola del Buon Samaritano, dopo aver identificato
nel vino e nell’olio il sacramento del Battesimo, ribadisce che questa medi-
cina non cura del tutto il malato17. Esso infatti viene portato alla locanda –la
Chiesa- dove passerà la convalescenza, sempre bisognoso di cure, del so-
stegno di una comunione viva. La Chiesa sarà locanda fintanto che saremo
pellegrini e si trasformerà in dimora definitiva alla fine dei tempi. Questa
misericordia continua di cui l’uomo ha bisogno si rende presente nel sa-
cramento della Penitenza, articolazione narrativa del Battesimo nel tempo.

2. Il sacramento della penitenza e il suo contributo per compren-


dere la misericordia
La predicazione di Gesù inizia (Mt 4,17) e termina (Lc 24,47) con una
chiamata alla conversione (o penitenza: metanoia), che è la realizzazione
massima della misericordia e che si associa al Battesimo. Battesimo e Peni-
tenza, quindi, si illuminano e si rafforzano vicendevolmente.
Il Battesimo non è mai un momento preciso che il cristiano può con-
siderare passato, ma è l’origine continua, la fonte permanente da cui sfocia
il suo operare. Ciò che l’uomo riceve nel Battesimo, non è solo acqua ma,
per così dire, una vera e propria sorgente, una presenza costante dell’o-
rigine, che racchiude il potere di rigenerarlo. La penitenza va concepi-
ta rispetto a questa estensione temporale del Battesimo, alla capacità che
questo racchiude di abbracciare l’intero cammino temporale del fedele18.
Ecco dunque che ci viene offerto un quadro adeguato per comprendere
la classica immagine della penitenza come “seconda tavola” di salvezza19.
Nella fattispecie, non si tratta di una seconda opportunità offerta indipen-
dentemente dalla prima, ma si tratta piuttosto di una salvezza che reintegra

17
 Cfr. Sant’Agostino, Sermo 131, 6 (PL 38,732).
18
  Cfr. W. Pannenberg, Teologia Sistematica, III, Queriniana, Brescia 1996, 264-277.
19
  La formula appare in: San Girolamo, Epistola 133 Ad Demetriadem (PL 22,1115);
cfr. il commento di San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae III, q. 84, a. 6, co.

152
  La misericordia che permette di narrare la vita

il cristiano nella logica piena del Battesimo, la cui traccia permane sempre
nel credente in virtù del carattere sacramentale.
La caratteristica della penitenza è che in essa la misericordia come nascita avvenu-
ta nel Battesimo diviene ora misericordia come cammino, come compagnia per i passi
dell’uomo. Nella penitenza lo sviluppo narrativo della misericordia, sempre
in rapporto con le coordinate battesimali dell’origine e del destino della
strada, diventa visibile ed efficace. Questa si manifesterà, quindi, come mi-
sericordia che riabilita l’uomo ad agire, trasformando il suo cuore mediante
la conversione a Dio e rendendolo misericordioso con i fratelli.
La teologia medievale ha articolato questa partecipazione dell’azione
umana nella misericordia attraverso la duplice visione della penitenza,
come virtù e come sacramento. Tale distinzione emerge quando i teologi
riflettono sul nesso tra il pentimento del cuore e la confessione davanti al
sacerdote. Si fa la differenza quindi tra una penitenza interiore ed un’altra
esteriore: invisibile la prima, manifesta con atti e parole la seconda. Ugo di
San Vittore e Pietro Lombardo già conoscono questa differenza, che sarà
poi sviluppata da autori successivi.
Poco a poco la penitenza interiore si spiegherà a partire dalle virtù ari-
stoteliche, mentre quella esteriore sarà compresa nel quadro della teoria
generale dei sacramenti, strutturata nel Medioevo. Lungi dal separare questi
due momenti, gli autori insistono sulla loro unità intrinseca: il sacramento
racchiude dentro di sé la virtù, mostrando l’intima sinergia tra l’azione
dell’uomo e l’azione di Dio. In questo modo, da un lato, l’idea greca di
virtù si trasforma, a partire dalla logica del dono tipica dei sacramenti cri-
stiani e, dall’altro, il rito sacro rimane radicato nell’azione in cui la persona
costruisce la sua esistenza, in consonanza con il culto del corpo proprio del
cristianesimo (cfr. Rm 12,1)20.
Può essere interessante osservare più da vicino come si articolano questi
due momenti –quello dell’azione e quello sacramentale- nella conversio-
ne del penitente a Dio. Il sacramento della penitenza è diverso dagli altri
(tranne il matrimonio) in questo aspetto: esso include, nel suo segno stesso,
una struttura antropologica originaria. San Bonaventura identifica infatti la
sua istituzione iniziale proprio nella natura creata, concretamente a partire
dalla parola della Genesi: “dove sei Adamo?” in cui si chiedeva al primo
uomo di tornare in sé, di ritornare al cuore21. Di conseguenza, la penitenza

20
  Cfr. M. C. Morrow, “Reconnecting Sacrament and Virtue: Penance in Thomas’s
Summa Theologiae”, in New Blackfriars 91 (2010) 304-320.
21
 Cfr. San Bonaventura, In IV Sent., d. 22, a. 2, q. 1, p. 579; Dio, con queste pa-
role rivolte ad Adamo (“dove sei?”) “monebat eum redire ad cor, iuxta illud propheticum:
Redite, praevaricatores, ad cor”.

153
José Granados

conferisce un valore sacramen­tale a tutto il processo della conversione, cosa


che non accade nel Battesimo. Di fatto, se il catecumeno è adulto, gli verrà,
sì, richiesta una preparazione fino al sacramento e alla conversione. Tutta-
via, tale preparazione non sarà parte integrante del sacramento, sebbene la
sua mancanza possa inficiare il conferimento della grazia in questione (ad
esempio se il catecumeno continuasse a commettere gravi peccati). Nella
penitenza, invece, la materia del sacramento sono gli atti stessi del peniten-
te; il lato corporale del sacramento, che normalmente si apre a elementi
naturali come l’acqua, il vino o l’olio, si impernia proprio nell’esistenza
incarnata dell’uomo. Pertanto, se si concentrasse tutto nel Battesimo, non
sarebbe così chiaro il modo in cui la grazia accompagna il nostro cammino
verso Dio. Nella penitenza, acquisisce un peso sacramentale la sinergia tra
Dio e l’uomo, il cammino di allontanamento dal peccato e di avvicinamen-
to alla comunione con Dio. Ecco dunque che la penitenza getta una nuova
luce sull’azione umana.
Per approfondire questa conclusione, è utile studiare i tre elementi chia-
ve della penitenza: contrizione, confessione e soddisfazione22. Non bisogna
pensare tanto a tre momenti di un processo temporale (prima la contrizio-
ne, poi la confessione e infine la soddisfazione) ma più che altro a tre fattori
che sono sempre legati. La contrizione, sebbene possa avvenire prima di
ricevere il sacramento, deve includere il proposito della confessione e della
soddisfazione e maturerà mentre queste saranno realizzate. La confessione,
dal canto suo, anche se si esprime davanti al sacerdote, si prepara, come atto
di memoria, lungo tutto il processo e, in questo senso, continua fino alla
fine. La soddisfazione, in quanto adeguamento all’amicizia e alla giustizia di
Dio, abbraccia tutte le azioni del penitente. Di conseguenza, si può parlare
di un organismo penitenziale nel quale si anticipano i momenti successivi
e si prolungano verso il futuro quelli precedenti. La cosa si spiega partendo
dal nesso tra questo sacramento e il tempo biografico dell’azione umana,
consumata nell’azione di Gesù.
Ricordiamo inoltre che in questi tre momenti si intrecciano, in sinergia,
l’azione di Dio e quella dell’uomo. Questa sinergia è testimoniata dall’as-
soluzione del sacerdote, che definisce l’intero processo e che, nella sintesi
tomista, è l’elemento formale23. Come esempio di questa compenetrazione
tra divino e umano, San Tommaso associa la contrizione alla misericordia
divina (che ci cambia il cuore), la confessione alla sapienza (poiché ci con-

22
  Da questo punto in poi, parlando di penitenza, mi riferisco alla penitenza sacramen-
to, a meno di altre note. Rimane inteso che la penitenza sacramento racchiude in sé la
penitenza virtù .
23
 Cfr. San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae III, q. 84, a. 3.

154
  La misericordia che permette di narrare la vita

sente di conoscerci e di vivere nella verità), la soddisfazione alla sua potenza


(poiché possiamo compiere opere degne di Dio grazie alla Sua azione in
noi); e racchiude tutto il processo sotto il nome di misericordia, come suo
fulcro24.

a) Soffermiamoci sul primo elemento: la contrizione, termine che richia-


ma alla mente la frantumazione di una pietra. Il blocco granitico qui, non
soltanto si fessura o si spacca in due o tre parti, ma si polverizza, perde
interamente la sua unità interna. Nella lettura di San Tommaso, la pietra
è l’individuo chiuso in sé, che giudica tutto a partire dal suo isolamento25.
Questa chiusura si spezza con il cuore contrito: si perde il principio che
dava apparenza di solidità alla vita autonoma dell’individuo; si scopre la
vanità di queste fondamenta, tanto da portare al crollo dell’edificio costru-
ito su di esse. Appare chiaro che questo può accadere soltanto dal di fuori
del soggetto, a partire da una relazione che sveli l’inconsistenza di questa
solidità che, partendo da se stessa, sembra poter spiegare tutto. La contri-
zione, dunque, è legata all’irruzione della grazia, principio nuovo di rap-
porti, cemento di una diversa unità che si basa sui legami. Da qui si evince
l’etimologia che ritroviamo in Sant’Anselmo: “cor contritum, hoc est cum
gratia tua tritum vel strictum”26.
Proprio la contrizione, come metanoia, è il centro della virtù della pe-
nitenza e l’ambito in cui la misericordia di Dio risplende maggiormente.
Questa, afferma San Tommaso, non può lasciare intatta la volontà dell’uo-
mo. È impossibile per Dio perdonare il peccatore senza trasformare il suo
volere: “non autem potest contingere quod Deus remittat offensam ali-
cui absque immutatione voluntatis ejus”27. A questa frase il Santo rivolge
un’obiezione: l’uomo perdona senza chiedere il pentimento di colui che
offende, mentre Dio esige conversione: allora l’uomo, non è forse più
generoso e liberale di Dio? La risposta a questa domanda è la seguente:
l’uomo non può convertire dal di dentro l’offensore e, di conseguenza,

24
 Cfr. San Tommaso d’Aquino, Super Sent., IV, d. 17, q. 3, a. 2, qla. 3, ad 3: “Ad
tertium dicendum, quod secundum quamdam adaptationem partes poenitentiae tribus at-
tributis personarum adaptari possunt; ut contritio misericordiae vel bonitati respondeat
propter dolorem de malo; confessio sapientiae propter veritatis manifestationem; satisfactio
potentiae propter satisfaciendi laborem: et quia contritio est prima poenitentiae pars ef-
ficaciam aliis partibus praebens, ideo eodem modo judicatur de tota poenitentia sicut de
contritione”.
25
 Cfr. San Tommaso d’Aquino, Super Sent., IV, d. 17, q. 2, a. 1, qla. 1, co.
26
 Cfr. Sant’Anselmo, Medit. super Miserere, 37 (PL 158,847); cfr. H.-F. Dondaine,
L’attrition suffisante, Vrin, Paris 1934.
27
 Cfr. San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae III, q. 86, a. 2.

155
José Granados

non deve esigere che costui si penta. Dio ha più misericordia, non meno,
perché è capace di cambiare il cuore, liberando dal male più profondo28.
Ecco perché, quando verrà annunciata la misericordia al peccatore, egli
la vedrà sempre come qualcosa di opposto al suo volere (come la goccia
che cade sulla pietra, secondo l’immagine ignaziana) perché la conversione
consisterà proprio in un riordinamento del desiderio, ovvero nel far sì che
la chiamata di Dio concordi con il cuore umano (e sia come la goccia che
impregna la spugna, per completare l’immagine di cui sopra).

b) Il secondo elemento è la confessione, mediante la quale si dichiarano


i peccati al sacerdote: un momento specifico dell’economia inaugurata da
Cristo. La confessione è anche un elemento della virtù della penitenza che
opera fin dal principio del processo, sebbene l’atto sia realizzato successi-
vamente. Di fatto, affinché la contrizione sia reale, ci deve essere in voto
la confessione. Ciò indica il carattere relazionale della penitenza, portata a
termine nell’ambito ecclesiale, come abbandono dell’isolamento e ingresso
nella rete di legami inaugurata da Gesù. In tal modo, si tiene in considera-
zione la condizione incarnata dell’uomo, che si rapporta a Dio attraverso
le relazioni che si stabiliscono nel suo corpo. Dio concede all’uomo di po-
tersi pentire nel modo umano, ossia corporalmente, mediante la parola e la
voce, ascoltando con orecchie umane la remissione della sua colpa.
Tale dimensione ecclesiale della penitenza, testimoniata dalla presenza
del sacerdote che ascolta e assolve, è stata ampiamente rivalutata dalla te-
ologia contemporanea. Molti teologi sostengono che la res et sacramentum
della penitenza, ossia, il passaggio intermedio tra il segno sensibile (sacra-
mentum tantum: gli atti visibili del penitente) e la grazia ultima (res tantum:
perdono dei peccati) è la riconciliazione o pace con la Chiesa29. Questo
punto di vista sembra corretto e riflette bene la pratica penitenziale della
Chiesa dei primordi.
Dinanzi a questa osservazione della teologia recente si colloca la tesi
classica, che vede nella contrizione interiore del penitente la res et sacramen-

28
 Cfr. San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae III, q. 86, a. 2, ad 3: “miseri-
cordia Dei est maioris virtutis quam misericordia hominis in hoc, quod immutat volun-
tatem hominis ad poenitendum, quod misericordia hominis facere non potest”. Dinanzi
all’obiezione, Summa Theologiae III, q. 86, a. 2, ag. 3: “maior est misericordia Dei quam
misericordia hominis. Sed homo interdum remittit offensam suam homini etiam non po-
enitenti: unde et ipse Dominus mandat, Matth. V: Diligite inimicos vestros: benefacite his qui
oderunt vos. Ergo multo magis Deus dimittit offensam suam hominibus non poenitentibus”.
29
  Cfr. G. Emery, “Reconciliation with the Church and Interior Penance: The Con-
tribution of Thomas Aquinas on the Question of the Res et Sacramentum of Penance”, in
Nova et Vetera 1 (2003) 283-302.

156
  La misericordia che permette di narrare la vita

tum della penitenza30. Ma allora, questi due punti di vista vanno forse con-
siderati opposti? In realtà, possiamo mostrare che entrambe le conclusioni
si completano a vicenda.
Per farlo, bisogna osservare in primo luogo, che questa reconciliatio cum
Ecclesia, possibile grazie al potere delle chiavi, esprime il rapporto con Cri-
sto Capo della Chiesa –in consonanza con la presenza del ministro, che è
il sacerdote. Ecco che, ancora una volta, ci troviamo dinanzi al carattere
incarnato della penitenza, della sua connessione con l’unico corpo di Cristo
e della Chiesa. Gli atti visibili del penitente e, ancor più concretamente, la
confessione dei peccati, con l’accettazione e il compimento della penitenza
imposta dal confessore, sono il segno, in primis, di una reconciliatio con il
corpo ecclesiale che, a sua volta, è segno del perdono dei peccati.
Tale reconciliatio è possibile, inoltre, perché esiste nel penitente il ca-
rattere battesimale, ovvero lo sfondo originario, a mo’ di nuovo corpo
configurato con il corpo di Cristo, a cui il peccatore ritorna grazie alla
penitenza. Il penitente che riconosce il suo peccato dinanzi al confessore,
viene reintegrato in questo sfondo, riconciliato con la Chiesa e con Cristo,
in quanto si associa al corpo unico di Cristo e della Chiesa, dello Sposo e
della Sposa secondo l’espressione paolina. Solo reintegrandosi in questo
corpo si comunica la realtà di grazia ultima che è il perdono del peccato e
l’amicizia con Dio.
Ebbene, colui che, possedendo lo sfondo del Corpo di Cristo –il ca-
rattere battesimale- confessa i suoi peccati dinanzi al sacerdote e ascolta
l’assoluzione, compie necessariamente, grazie alla configurazione a Cristo
–che possiede a partire dal Battesimo- il cambiamento interiore (la contri-
zione) che distrugge l’“io” isolato e ricrea l’uomo comunionale. È qui che
risiede la spiegazione corretta del principio scolastico: vi clavium fit poenitens
ex attrito contritus. La conversione interiore, possiamo dire, deve attraver-
sare la carne e i rapporti concreti stabiliti in essa (deve essere reconciliatio
cum Ecclesia), proprio perché il peccato, l’isolamento radicale dell’uomo, ha
avuto inizio negando la carne come spazio relazionale originario. In altri
termini, si può raggiungere la contrizione interiore soltanto se si riscoprono
le relazioni fondanti che si tessono nel corpo e che diventano accessibili al
cristiano grazie all’associazione al Corpo di Cristo, alle nuove relazioni che
Egli ha inaugurato nella sua carne e nel tempo. All’interiorità si arriva solo
tramite la relazionalità.

30
 Cfr. San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae III, q. 84, a.1, ad 3: “Res autem
et sacramentum est poenitentia interior peccatoris”.

157
José Granados

Per approfondire questa affermazione è utile considerarla nel suo di-


namismo temporale, vale a dire, in rapporto al processo del perdono e al
modo in cui Cristo lo ha assunto e portato a compimento. Il perdono può
sembrare impossibile, poiché tende a separare l’agente dalla sua azione31:
non si corre forse il rischio di fargli perdere la sua identità, giacché la per-
sona si mette in gioco in quello che fa? L’operazione è possibile perché
non si tratta di cancellare l’azione, quanto piuttosto di trasformarla attra-
verso un lavoro della memoria: raccontare in altro modo la propria storia,
affinché si continui a riconoscere, sì, quanto è stato fatto come proprio,
ma che non pesi più come colpa. Naturalmente tale lavoro non può es-
sere fatto dall’offensore da solo: se così fosse, sarebbe una grossolana farsa.
La coscienza isolata si perderebbe invano in infiniti percorsi alla ricerca
della propria auto-assoluzione. Lo sguardo inedito sulla storia necessita la
presenza dell’offeso, affinché offra il perdono come chiave di lettura della
storia personale e comune. Questa mano tesa, che avviene nel piano oriz-
zontale dell’incontro tra offensore e offeso ha, da un lato, una dimensione
verticale, un’apertura al trascendente. Di fatto, si può perdonare soltanto
se si raggiunge una singolare profondità nella lettura della storia comune,
affinché la colpa commessa possa collocarsi in un contesto più ampio. Sol-
tanto invocando un amore originario si può fare in modo che la colpa, il
cui enorme peso sembra schiacciare le spalle dell’uomo, possa essere posta
a margine del cammino.
La necessità della confessione si colloca proprio in questo punto.
Nell’incontro relazionale con la Chiesa, Corpo di Cristo, emerge il per-
dono come opportunità per reinterpretare la propria storia ad una nuova
luce: la luce dell’amore tra Cristo e la Chiesa che abbraccia e sostiene il
peccatore, offrendogli un nuovo tessuto narrativo a partire dall’amore del
Padre. La confessione dinanzi al sacerdote, che pronuncia l’assoluzione,
permette da questo punto di vista la rottura della storia isolata dell’uomo
ed è un elemento intrinseco della contrizione. Quest’ultima, non è un atto
isolato nel quale il peccatore, una volta ricevuta una grazia interna, si volge
verso Dio: la contrizione è, al contrario, il frutto di un incontro nella carne
e nella storia, che illumina il racconto del peccato per rileggerlo, alla luce
della vita di Cristo e del suo dono per la Chiesa, come una narrazione di
grazia perdonante. Nulla impedisce, quindi, che la res et sacramentum sia nel
contempo la reconciliatio cum Ecclesia e la poenitentia interior o cor contritum
poiché entrambi gli aspetti sono intimamente legati.

31
  Cfr. in merito l’analisi di: P. Ricoeur, La mémoire, l’histoire, l’oubli, Seuil, Paris
2000, 595-656.

158
  La misericordia che permette di narrare la vita

Abbiamo dunque due momenti nei quali il sacramento della penitenza


tocca la carne: a) la reincorporazione al corpo di Cristo che è la Chiesa
(particolarmente visibile nella confessione e assoluzione); b) la necessità di
ristrutturare la memoria alla luce del perdono di Cristo (e che in prospet-
tiva, si prolunga fino al futuro escatologico). Possiamo dire quindi che la
penitenza tocca la carne attraverso il tempo, attraverso la memoria riconciliata.
Il fatto che la confessione richieda la rilettura della propria storia, significa
anche che esige pazienza e lavoro: il lavoro della memoria, che può essere
portato avanti soltanto attraverso l’azione, riscrivendo il passato a partire da
un futuro nuovo, orientato verso Dio. Arriviamo così al terzo fattore della
penitenza: la soddisfazione.

c) La soddisfazione ci ricorda il quadro di amicizia con Dio nel quale ci


muoviamo durante tutto il processo della penitenza. Con la Sua misericor-
dia, Dio ci eleva alla sua stessa altezza: come abbiamo visto, la soddisfazione
è legata alla potenza di Dio, poiché Egli ci comunica, in un certo qual
modo, il suo stesso potere. Attraverso la soddisfazione, la misericordia non
solo raddrizza ciò che era distorto, ma traccia il cammino secondo il grande
disegno di Dio, dalla sua origine fino al suo compimento.
Questo spiega che la virtù della penitenza sia stata considerata come
parte della virtù della giustizia, in quanto ristabilisce l’armonia di Dio con
l’uomo e dell’uomo con la sua stessa storia e con la storia del mondo. Se la
penitenza è il modo specifico di percepire e accogliere la misericordia di
Dio, allora la giustizia, di cui la penitenza è parte, appartiene al cuore della
misericordia, ossia è un elemento intrinseco di quest’ultima. La Lettera a
Diogneto esprime questo concetto con grande efficacia: “Quale altra cosa
poteva coprire i nostri peccati se non la sua giustizia?”32. Osserviamo che
questa giustizia non è quella dell’uomo, ma è la giustizia di Dio, che si mi-
sura con il suo desiderio di amicizia con noi, elevandoci a sé.
Come abbiamo osservato, sulla scia di Paul Ricoeur, il perdono esiste
come capacità di narrare in modo diverso la propria storia, a partire da un
evento che rende possibile questa rilettura e che consiste in un incontro
trasformativo tra offeso e offensore, alla luce di un mistero trascendente.
Abbiamo aggiunto a questa considerazione un ulteriore concetto: il per-
dono non esiste solo come evento, ma anche come lavoro paziente della
memoria alla luce dell’evento di grazia. La caratteristica specifica della pe-
nitenza, quindi, non è soltanto odiare il male commesso (per questo baste-
rebbe la carità), ma è piuttosto il fatto di operare la sua distruzione e quella

 Cfr. A Diogneto, IX, 3.


32

159
José Granados

degli strascichi che lascia dietro di sé. Il lavoro è tale non solo per colui che
è perdonato, ma anche per colui che perdona33.
Comprendiamo, in questo modo, che la misericordia non è volta sem-
plicemente a eliminare la sofferenza. La sofferenza è inclusa nella condizio-
ne incarnata dell’uomo, in quanto tende a ricomporre la sua storia distorta
affinché si adatti alla storia piena di Cristo. L’importante della sofferenza,
vista dalla prospettiva di Dio, è che dia frutto. Così, in 2Cor 7,8-10 l’Apo-
stolo gioisce della sofferenza che ha causato ai membri della comunità, per
le opere buone che questa ha generato.
Nell’ambito della soddisfazione entra anche la misericordia che scaturi-
sce dal cristiano verso il suo prossimo. Egli stesso diviene fonte di miseri-
cordia, prolungando così l’azione di Dio. C’è un ordine della misericordia,
che inizia con la misericordia che si prova verso se stessi, ossia, con la mi-
sericordia che si riceve da Dio convertendosi a Lui. Solo la realizzazione di
questa conversione potrà far ricadere la misericordia anche sugli altri. Così,
si potrà essere misericordiosi non in un modo qualsiasi, ma nel modo del
Padre celeste, come chiede Gesù: “Siate misericordiosi, come il Padre vo-
stro è misericordioso” (Lc 6,36). La misericordia della Chiesa avrà le stesse
caratteristiche dell’azione divina: rigenerare l’uomo, accompagnarlo nella
sua debolezza fino al traguardo della pienezza34. La Chiesa diviene così ser-
vitrice della misericordia di Dio, l’unico che conosce il cuore e che sa quale
sia il momento migliore per giungere ad esso.
Per riassumere, si tratta di generare questa novità di vita in cui sfocia la
penitenza, attraverso le sue tre dimensioni: contritio, confessio, satisfactio.
Con la contrizione, afferma San Bonaventura, si tritura un bicchiere, ma
per poi formarne un altro con i frammenti. Per questo si dice con-trizione,
secondo l’originale etimologia del Serafico: si riunisce o si compone un’al-
tra volta la polvere triturata. San Bonaventura può quindi parlare di una
contritio ad generationem35. Ancora una volta, non si tratta nella fattispecie,
di una compassione che elimini la pena; l’essenziale della misericordia è la

33
 Cfr. San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae III, q. 84, a. 3, co.: “Ego te
absolvo, quia peccata sunt quaedam vincula...”
34
 Cfr. San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae III, q. 84, a. 5, arg. 2 e ad 2:
“Requirit etiam ipsa misericordia ordinata ut homo subveniat poenitendo suae miseriae,
quam per peccatum incurrit, secundum illud Proverb. XIV, Miseros facit populos peccatum:
unde et Eccli. XXX dicitur: Miserere animae tuae placens Deo”.
35
 Cfr. San Bonaventura, In IV Sent., d. XVI, p. 1, a. 1, q. 2 (Quaracchi, 385):
“in contritione gratiae est contritio ad generandum vas novum et solidum per humorem
gratiae et lacrymarum; et ideo recte dicitur contritio, non attritio, quia partium tritarum est
unio, ut fiat vas in honorem...”

160
  La misericordia che permette di narrare la vita

vita grande che permette all’uomo, le nuove coordinate di pienezza in cui


lo inserisce. Dio non vuole eliminare i problemi per offrire una falsa pace
nell’istante effimero del sentimento, ma intende assicurare la grandezza e
l’altezza di tutto il cammino della vita; egli vuole che non scendiamo, come
dice Karol Wojtyła, “al di sotto di ciò che l’occhio vede”, che non “de-
cadiamo, poiché sono le sue bilance ad indicare il peso della nostra vita”36.

3. Battesimo e Penitenza nell’economia sacramentale:


l’asse Matrimonio – Eucaristia
Mediante il Battesimo e la Penitenza, la misericordia di Dio accompa-
gna la storia del credente. Per comprendere pienamente come entrambi i
sacramenti riflettano l’essenza della misericordia, è necessario collocarli nel
quadro completo dell’economia sacramentale. Ci limiteremo ora ad osser-
vare due relazioni cruciali: quella con l’Eucaristia, come sacramento del nuovo
corpo di Gesù, tela di fondo originaria di ogni misericordia; e quella con il
Matrimonio, come sacramento del corpo originario creaturale, che incorpora la
realtà creata nell’ambito di relazioni aperte dalla carne di Cristo.

a) Il nesso con l’Eucaristia


L’Eucaristia offre la tela di fondo per l’intera vita dei sacramenti. Di
fatto, se questi sono l’assimilazione dell’uomo al modo di vivere nel corpo
inaugurato da Cristo, l’Eucaristia è il corpo di Gesù in persona e forgia le
relazioni di unità della Chiesa. In realtà, la prima misericordia di Dio è
Gesù stesso: fragile nella carne assunta, ascoltato e salvato dalla morte dal
Padre. Gesù è misericordia non solo in quanto Dio lo ha generato, ma an-
che in quanto il Padre ha mosso la libertà del Figlio lungo tutta la sua storia
nella carne, per guidarlo e consumarlo in sé. Per questo, in Gesù trovano la
loro radice, sia la misericordia come nascita, che la misericordia come via
verso Dio. L’Eucaristia è, pertanto, sostrato del Battesimo e della Penitenza
nella vita della Chiesa.
A sua volta, l’Eucaristia è fine ultimo a cui tendono i sacramenti. Se
il Battesimo è misericordia come nascita, la cui risposta è la gratitudine,
quest’ultima culmina nell’azione di grazia eucaristica, grata per la nascita
definitiva di Gesù risorto in Dio e per la vita nuova per i cristiani che sca-
turisce da Lui.

  K. Wojtyła, El taller del orfebre, BAC, Madrid 2005, 69.


36

161
José Granados

La Penitenza, dal canto suo, in quanto rifà la storia dell’uomo per in-
corporarla a quella di Cristo, ha anche il proprio prolungamento logico
nella partecipazione eucaristica. Il movimento di allontanamento dal male
per gravitare nell’orbita di Dio, che la Penitenza assume nella logica dei
sacramenti, culmina nella partecipazione eucaristica. Così, la Penitenza ci
ricorda che l’Eucaristia non è un evento automatico che si realizza davanti
ai nostri occhi di spettatori, ma abbraccia piuttosto il movimento della vita
del credente, della sua libertà, per associarlo al dinamismo di Cristo. Non
ha senso, dunque, parlare di un’amministrazione della Penitenza che non
implichi, a sua volta, la partecipazione nell’Eucaristia37.

b) Il nesso con il matrimonio


Dal canto suo, il matrimonio è importante in quanto offre il punto di
contatto di tutta l’economia sacramentale con le esperienze originarie cre-
aturali dell’uomo nel suo corpo e nel suo tempo.
È utile osservare, in primo luogo, il legame con il Battesimo. Se il Bat-
tesimo è misericordia primigenia, come venuta alla vita, nel matrimonio
questa nascita riceve un’ulteriore perfezione. Ciò che è stato incorporato
al Corpo di Cristo nel Battesimo si associa ora a questo Corpo in modo
nuovo, in quanto “una sola carne” di due battezzati. Se la misericordia si
esprime innanzitutto come cura che Dio riserva alla carne fragile dell’uo-
mo, questo movimento si rivela ora come cura per l’“una sola carne” di
uomo e donna, segnata da una fragilità nuova e bisognosa di una nuova
misericordia. Il fatto che questa carne si possa inserire nell’“una sola carne”
di Cristo e della Chiesa, fa si che tutto il matrimonio sia sacramento di mi-
sericordia. La misericordia si vive principalmente nell’esistenza quotidiana
del matrimonio e non soltanto in casi estremi di infedeltà o di fallimento.
Solo grazie all’esistenza di un tessuto di misericordia nella vita coniugale,
può sorgere la misericordia che sostiene nelle difficoltà estreme, e la cui
misura sarà sempre quella dell’amore coniugale.
In secondo luogo, e questa volta in relazione più diretta con il sacra-
mento della Penitenza, il matrimonio custodisce lo sfondo umano del per-
dono, che permette di comprendere la misericordia di Dio verso l’uomo.
È interessante osservare che l’atto del perdono divino adotta nella Bibbia,
come analogia principale, quella del perdono alla sposa infedele o, in altre
occasioni, quella del perdono paterno. In entrambi i casi, il perdono acqui-
sisce caratteristiche distintive: è possibile perché si realizza sullo sfondo di

37
  È la proposta, a mio parere infondata, di: X. Lacroix, “L’indissolubilité du maria-
ge, entre le mystère et la loi”, in Théophilyon 16 (2011) 89-110.

162
  La misericordia che permette di narrare la vita

un momento fondatore (la paternità, la sponsalità) la cui profondità radicale


non può essere inficiata da nessuna offesa. Il padre potrà sempre perdonare
il figlio, perché il suo amore si impernia in quell’Origine indisponibile che
è intervenuta nella generazione e che dona un credito infinito di speranza
nella nuova vita. Sarebbe impossibile generare se non si fosse certi di ri-
cevere il figlio a partire da questa misteriosa fonte più profonda. Qualcosa
di simile avviene con l’unione tra uomo e donna. La promessa sponsale,
suggellata nella carne, il cui linguaggio è quello originario del corpo, per-
mette sempre di ricorrere a una ‘origine più originaria’ di qualsiasi offesa e
di qualsiasi abbandono, poiché è Dio colui che ha unito gli sposi, proprio
attraverso l’amore umano. Di conseguenza, il matrimonio è necessario per
comprendere in profondità il sacramento della penitenza. Questa sarebbe
penitenza disincarnata, priva di riferimenti nell’esperienza concreta dell’uo-
mo, se mancasse la testimonianza del matrimonio creaturale e della sua
integrazione dell’economia di grazia di Gesù.
Nelle nozze cristiane, segno efficace dell’amore tra Cristo e la Chiesa,
il perdono che abita in ogni matrimonio è elevato a pienezza. Nella Pe-
nitenza, in quanto riconciliazione con la Chiesa come Capo e Corpo, in
quanto unione con il Cristo totale, c’è un riferimento allo stesso perdono
che abita nel matrimonio. C’è quindi consonanza e armonia tra penitenza
e matrimonio sacramento: entrambi rendono presente, sebbene in modo
diverso, una medesima realtà. Nella misura in cui il matrimonio è indisso-
lubile –nella misura in cui la sua promessa tocca la profondità ultima della
storia della persona come promessa realizzata a partire dall’amore di Cristo-
esso può offrire la salvezza del tempo, ovvero, far sì che il tempo dell’uomo
non sia tempo scomposto, perso in frammenti, ma che possa associarsi al
disegno salvifico di Dio rivelato nella storia di Gesù. Questa stessa salvezza
del tempo, unità totale della vita in quella di Cristo, si rende presente nel
sacramento della penitenza e nella sua capacità di rileggere ogni biografia
e di associarla al perdono radicale di Gesù. Penitenza e matrimonio coin-
cidono nell’includere in essi la storia della persona, il suo movimento in
libertà verso la pienezza: ecco perché questi sono i due sacramenti nei quali
non c’è alcun elemento materiale esterno –gli atti del cristiano fanno parte
del sacramento, sono inclusi nell’azione di Gesù per rendere trasparente la
sinergia tra il divino e l’umano38.

38
 Cfr. San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae III, q. 84, a. 1, ad 1: “In illis
autem sacramentis quae habent effectum correspondentem humanis actibus, ipsi actus hu-
mani sensibiles sunt loco materiae: ut accidit in poenitentia et matrimonio. Sicut etiam in
medicinis corporalibus quaedam sunt res exterius adhibitae, sicut emplastra et electuaria;
quaedam vero sunt actus sanandorum, puta exercitationes quaedam”.

163
José Granados

Questa interpretazione della Penitenza alla luce dell’unione sponsale di


Cristo con la Chiesa è testimoniata in un testo di Isacco della Stella. Il santo
abate inizia affermando che, sia la confessione che la remissione, apparten-
gono soltanto a Dio; pertanto, è solo a Lui che vanno confessati i peccati.
Tuttavia, proprio per la sua misericordia, Cristo ha sposato la Chiesa, umile
e povera; l’ha elevata da schiava a regina, da prostrata ai suoi piedi a se-
duta al suo fianco39. E, come avviene tra gli sposi, Egli le ha dato ciò che
possiede, quindi anche la capacità di ascoltare i peccati e di assolverli. La
confessione, pertanto, è grazia per l’uomo, che può riconciliarsi con Dio
attraverso la Chiesa visibile, ricevendo un perdono in accordo con l’eco-
nomia della carne. La misericordia che riceve ogni cristiano si aggiunge
alla misericordia primigenia che ha ricevuto la Chiesa e che è misericordia
sponsale:

“La Chiesa non può perdonare nulla senza Cristo; Cristo non vuole
perdonare nulla senza la Chiesa. La Chiesa non può perdonare altro
che il penitente, cioè, colui che è stato già toccato da Cristo; Cristo
non vuole assicurare nessun perdono a chi disprezza la Chiesa. Cristo
onnipotente può fare tutto da sé, cioè battezzare, consacrare l’Eucaristia,
ordinare, perdonare i peccati e tutto il resto; ma come Sposo umile e
fedele non vuole fare nulla senza la Sposa. Dunque, quello che Dio ha
unito, l’uomo non lo separi. Questo è un grande sacramento in Cristo
e nella Chiesa”40.

Abbiamo cercato di narrare la misericordia poiché verificare la sua pre-


senza guardando solo all’istante presente è del tutto impossibile. Bisogna
far riferimento al tempo di una vita, dove la misericordia si mostra come
movimento relazionale e reciproco. Vista così, la misericordia è risultata es-
sere, innanzitutto, una nascita: la vita dell’uomo riceve relazioni nuove che
la inquadrano in un’origine e un destino in Dio. La misericordia diviene,

39
  Isacco della Stella, Sermo XI. In dominica III post Epiphaniam I (PL
194,1728A-1728C).
40
  Isacco della Stella, Sermo XI. In dominica III post Epiphaniam I (PL 194,1729B-
C): “Nihil ergo potest Ecclesia sine Christo dimittere: nihil vult Christus sine Ecclesia
dimittere. Nihil potest Ecclesia, nisi poenitenti, id est quem Christus tetigit, dimittere; nihil
vult Christus Ecclesiam contemnenti dimissum servare. Omnia per se potest Christus om-
nipotens, id est baptizare, Eucharistiam consecrare, ordinare, peccata dimittere, et similia:
sed nihil vult humilis et fidelis Sponsus sine Sponsa. Quod ergo Deus conjunxit, homo non
separet. Ego dico, sacramentum hoc magnum in Christo, et in Ecclesia. Noli caput turturis
prorsus abrumpere, noli caput corpori detruncare. Non enim decollari voluit Christus,
sed cruce extendi, distendi, suspendi, ut ima, summa, media, copularet. Noli ergo caput
corpori subtrahere, ut nusquam sit totus Christus: neque enim totus Christus sine Ecclesia
usquam, sicut tota Ecclesia sine Christo nusquam”.

164
  La misericordia che permette di narrare la vita

in secondo luogo, azione e include la conversione e la penitenza, l’allonta-


namento dal peccato e l’avvicinamento progressivo al Padre.
Il tempo, di per sé –affermava giustamente un ben noto filosofo- non
può curare le ferite41. Non basta il trascorrere del tempo, ci deve essere
una trasformazione nel modo stesso di viverlo. Il tempo deve collocar-
si all’altezza dell’eterno, ricordando e ravvivando le grandi promesse che
strutturano la vita: la promessa battesimale e quella sponsale, il cui vertice
sta nell’Eucaristia. Solo così sorge un tempo nuovo, come tempo della co-
munione tra Dio e l’uomo.
Scobie, il personaggio di Graham Greene con cui abbiamo iniziato la
nostra disamina, pensa che la regione miserabile dell’Africa nella quale vive,
dove regnano corruzione e menzogna, permette di adottare lo sguardo di
Dio: “amare gli uomini quasi come Dio li amava, sapendo il peggio”42.
Tuttavia, questa descrizione dell’amore di Dio è estremamente parziale.
Dio non guarda principalmente alla miseria dell’uomo ma, in primo luogo,
al grande disegno che ha preparato per lui. Ecco perché Egli può scrivere
una storia che volga verso la pienezza: la sua misericordia consiste nell’ac-
compagnarla. Non si tratta, dunque, come pensava Scobie, di risparmiare
sofferenze, ma di fare in modo che la sofferenza sia feconda. Un’altra opera
di Graham Greene The End of the Affair (Fine di una storia) mostra perfetta-
mente questo punto: qui la protagonista, Sarah, che vuole essere ricevuta
nella Chiesa cattolica, chiede al sacerdote di consentirle di abbandonare suo
marito e di unirsi al suo amante.

“«No, no, no», ha detto, «io non potevo sposarti, non potevo conti-
nuare a vederti, se volevo diventare cattolica». Ho pensato: «al diavolo
tutti costoro», sono uscita dalla stanza e ho sbattuto la porta per far
vedere ciò che pensavo dei preti. «Si interpongono tra noi e Dio», ho
pensato; «Dio ha più compassione», e poi sono uscita dalla Chiesa e ho
visto il crocifisso che tengono lì, e ho pensato, «certo, ha compassione,
soltanto è un così strano genere di compassione, a volte ha l’aria di un
castigo»”43.

41
  Cfr. R. Spaemann, “Divorce and Remarriage”, in First Things n. 4 (2014): “Time
is not creative. Its passage does not restore lost innocence. In fact, its tendency is always
just the opposite –namely, to increase entropy (…) We should not confuse the gradual
deadening of the sense of sin with its disappearance and release from our ongoing respon-
sibility for it”.
42
  Cfr. H. G. Greene, The Heart of the Matter, cit., 32: “Here you could love human
beings nearly as God loved them, knowing the worst...”.
43
  H. G. Greene, The End of the Affair, Vintage, London 2004, 120.

165
José Granados

La strana misericordia che Gesù ha ricevuto dal Padre era così perché,
pur senza risparmiargli la sofferenza passeggera, lo colmava di fecondità
eterna. Parafrasando San Bonaventura, potremmo parlare –e forse il segreto
di tutto è proprio racchiuso in questo- di una misericordia ad generationem
–misericordia verso la nascita definitiva in Dio44.

44
 Cfr. San Bonaventura, In IV Sent., d. XVI, p. 1, a. 1, q. 2 (Quaracchi, p. 385);
cfr., sopra la nostra nota 34.

166

Potrebbero piacerti anche