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LIBRI Nuova Umanità

XXV (2003/2) 146, pp. 259-269

ONTOLOGIA PERSONALISTICA DELLA LIBERTÀ


E PENSIERO RELIGIOSO TRADIZIONALE
IN GIUSEPPE RICONDA

1. FRA PRAGMATISMO E METAFISICA,


CRITICISMO E TRADIZIONE, RELIGIONE ED ERMENEUTICA

Nel corso del suo variegato e comunque unitario cammino


di pensiero, Giuseppe Riconda (Torino, 29.4.1931) è passato da
un giovanile interesse per l’empirismo e il pragmatismo, america-
no in particolare (Ugo Spirito, Edizioni di «Filosofia», Torino
1955; La filosofia di William James, Edizioni di «Filosofia», Tori-
no 1962; La metafisica dell’esperienza di Whitehead, Giappichelli,
Torino 1975; La filosofia speculativa di Whitehead, Edizioni di
«Filosofia», Torino 1977; cf. inoltre il più recente Invito al pensie-
ro di James, Mursia, Milano 1999), benché attraverso una com-
prensione dell’apertura metafisica e religiosa di tale pensiero, te-
stimoniata anche dai coevi studi di filosofia e fenomenologia della
religione (Introduzione alla filosofia della religione, Giappichelli,
Torino 1967, 19702; Introduzione al pensiero di Max Scheler,
Giappichelli, Torino 1971-1972, 19832), ad una sempre più ap-
profondita attenzione alla problematica ontologica della libertà e
in particolare del male, soprattutto in autori di area tedesca, ma
anche russa, nonché affrontata anche col ricorso al pensiero me-
tafisico e tradizionale (Schopenhauer interprete dell’Occidente,
Mursia, Milano 1969; Il problema del male nel pensiero di Kant,
CUSL, Torino 1986; Invito al pensiero di Kant, Mursia, Milano
1987, 19912, 19983, 20023; Schelling storico della filosofia, Mursia,
Milano 1990; Il problema del male e della libertà. Aspetti del pen-
siero russo dell’ottocento, Università di Torino-Vercelli, Torino
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1992; con X. Tilliette, Del male e del bene, Città Nuova, Roma
2001). Dimostrando quindi di unire sempre nella sua ricerca filo-
sofica un’istanza criticistica – tipicamente moderna, ma già socra-
tica e infine idealista, fenomenologica ed esistenzialista – e un’a-
pertura religiosa, metafisica, veritativa nel senso trascendente del-
la cosa, tanto da intrecciare i percorsi e mischiare fecondamente
le acque di fede e ragione, filosofia e teologia, criticismo e metafi-
sica, pensiero tradizionale e pensiero moderno.
In particolare con il recente volume Tradizione e avventura
(SEI, Torino 2001) – frutto di un lungo scavo filologico e storio-
grafico e di una sempre appassionata ricerca nel pensiero moder-
no e contemporaneo, a seguirne linee evolutive e prospettive in-
consuete alla visione dominante – il pensiero di Riconda emerge
con voce limpida e forte nel dibattito filosofico attuale. La propo-
sta teoretica è quella di una rielaborazione del pensiero tradizio-
nale e religioso, una «restaurazione creatrice» della «tradizione»,
assumendo il valore di «avventura intellettuale» della modernità e
delle problematiche da essa emerse come orizzonte critico inelu-
dibile, seppur da interpretarsi in maniera radicalmente alternativa
alle imperanti letture della modernità come esclusiva emancipa-
zione e progresso rispetto a ogni cultura tradizionale, di cui non
sarebbe che immanentistica e razionalizzante secolarizzazione.
Tradizione e avventura sono quindi termini da comprender-
si vicendevolmente assieme, come soltanto in correlazione reci-
proca possono approfondirsi verità e criticità, eternità e storicità,
trascendenza e finitezza, inesauribilità e libertà, mistero e pro-
spettiva, essere e interpretazione, assolutezza ed ermeneuticità,
pensiero religioso e pensiero moderno, metafisica e modernità.
La filosofia nata da tale connubio paradossale sarà così capace di
approfondire e rispondere alle domande più inquietanti, sino al-
l’ateismo e al nihilismo e alla distruzione dell’uomo, proprie all’e-
tà moderna e contemporanea, riattingendo alle inesauribili fonti
trascendenti del pensiero tradizionale del passato, ma, rinnovan-
done creativamente le forme e gli interrogativi inglobati, anche di
aprirne a un futuro, assieme religiosamente escatologico e attiva-
mente in agone storico contro le forze negativamente esaurenti
l’essere e riducenti l’uomo, la multidimensionalmente ricca po-
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tenza conoscitiva e di vivente vita, ulteriormente vivacizzata e sol-


lecitata e moltiplicata nell’assunzione matura della libera criticità
interpretativa moderna.

2. TRADIZIONE E MODERNITÀ

Per accedere alla prospettiva teoretica di Riconda di una


«restaurazione creatrice» della tradizione e assieme di una rivolu-
zione conservatrice nella civiltà attuale attraverso un «personali-
smo ontologico, antinomico ed escatologico», occorre innanzitut-
to precisare la sua innovativa interpretazione dei rapporti fra tra-
dizione e modernità. Il metodo per giungervi è lo stesso della sua
autobiografica filosofica, come dichiara limpidamente nella Prefa-
zione al volume. Infatti, inizialmente «affascinato dall’avventura
del pensiero moderno», Riconda «ha ritrovato la tradizione» solo
lungo il percorso del suo interrogativo cammino filosofico, socra-
ticamente ispirato dalla missione propria alla filosofia di un conti-
nuo esame critico della verità, i cui due termini, critica e verità,
come anche philía e sophía, póros e penía, entrambi devono conti-
nuamente sussistere per mantenerne autenticamente la vocazione.
Come testimonia l’interesse teoretico di Riconda per la sto-
ria della filosofia, non solo moderna e contemporanea, né solo oc-
cidentale, l’altro metodo per comprendere l’importanza e profon-
da attualità di un rinnovamento del pensiero tradizionale e reli-
gioso è riscontrare come diversi filosofi che si siano «staccati dalla
tradizione», incapace di rispondere ai nuovi problemi proposti
dalla storia umana, approfondendo fino in fondo tali interrogativi
suscitati dalla modernità siano stati costretti per affrontarli a riat-
tingere al bagaglio culturale del pensiero tradizionale, anche se
diversamente che dal passato interrogato e sollecitato, secondo
quindi un vero e proprio «ritorno alla tradizione» in età moder-
no-contemporanea. Ciò non consiste solamente in una «dialettica
dell’illuminismo» da tempo denunciata, ma propriamente nella
esigenza stessa della ragione moderna, soggettiva e finitamente
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trascendentale, a spingersi e aprirsi oltre i limiti del proprio im-


manente sapere, proprio per dire e affermare la stessa criticità ad
essa costitutiva, in una autonegazione od estasi della ragione sep-
pur paradossalmente quindi essenziale, che dispone il pensiero
moderno entro i propri stessi angusti confini a farsi trasparente
alla significatività di un pensiero tradizionalmente religioso,
aprendosi alla trascendenza.
Riconda distingue chiaramente tre possibili posizioni e pro-
spettive nel rapporto fra tradizione e modernità: una progressista,
una conservatrice, una creativamente restauratrice. Quella sinora
storiograficamente predominante, non solo e non principalmente
in ambito filosofico, è l’interpretazione propria al progressismo,
che intende il pensiero moderno in rottura con, contro la tradi-
zione: la modernità come negazione e superamento evolutivo del
passato storico e culturale, liberantesi dalla tradizionalità, letta ri-
duttivamente in un’ottica egoisticamente limitata alle sue sole e
rigide forme storiche. Ad essa retroattivamente correlata sta la
posizione del conservatorismo, consistente in una re-azione re-
stauratrice della precedente tradizione, ma solo nel senso della
mera conservazione delle sue irrigidite forme storiche passate, da
contrapporsi unilateralmente e alternativamente alle moderne, al-
trettanto limitatamente e miopemente e reattivamente e reaziona-
riamente escludenti ogni aspetto del passato e del suo pensiero
aperto a fonti trascendenti la storia di significazione. Le due pro-
spettive perdono quindi entrambe l’essenziale del pensiero tradi-
zionale, cioè la sua apertura alla trascendenza veritativa, da incar-
narsi e viversi inesauribilmente in ogni sua concretizzazione e isti-
tuzionalizzazione storica ed esistenziale finitamente realizzabile.
La terza prospettiva, esclusa dalle precedenti due, proposta
da Riconda, intende il pensiero moderno in continuità con la tra-
dizione, elaborando un rinnovato pensiero tradizionale che con-
trasti sì la prima posizione miopemente unilaterale e riduttiva-
mente materialistico-razionalista di una modernità come soppres-
sione della tradizione e di ogni pensiero aperto alla trascendenza
possibile, ma reagendo positivamente ad essa, tenendo conto del-
le sue istanze critiche e liberatorie da sclerotizzati pensieri e sche-
mi nemmeno più mentali, corrispondendo ai suoi interrogativi in-
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quietanti, seppur non sempre radicali. Si tratta quindi di una «re-


staurazione creatrice» della tradizione, secondo una libera adesio-
ne all’inesauribilità di essa, della fonte trascendentemente verita-
tiva a cui in umiltà si ispira, mettendola alla prova, al vaglio criti-
co delle sfide moderne, correndo pienamente il rischio della vera
e propria «avventura intellettuale» ad essa intrinseca seppur trop-
po spesso materialisticamente devitalizzata e piattamente deserti-
ficata.

3. DEL NOCE E PAREYSON

Nell’individuare una possibile prospettiva alternativa alla


contrapposizione fra tradizione e modernità nel pensiero moder-
no e contemporaneo, Riconda si riallaccia a precedenti interpre-
tazioni della storia della filosofia che ne abbiano individuate linee
più o meno recondite, comunque diversificate rispetto a quelle
comunemente storiograficizzate, tali da individuarne gli esponen-
ti e le tematiche capaci di attingere un pensiero tradizionale,
aperto criticamente alla trascendenza nella storicità stessa incar-
nata e liberamente praticata, secondo appunto una terza via inno-
vativa. Contro l’interpretazione razionalisticamente immanentista
del moderno quale secolarizzazione del pensiero religioso tradi-
zionale, la quale, en passant, esclude dal novero storiografico
pressoché tutto il Seicento, la controriforma in particolare, non-
ché il romanticismo, buona parte dell’idealismo e l’esistenziali-
smo in toto, Giuseppe Riconda riprende ed evidenzia le letture
della storia della filosofia moderna e contemporanea elaborate e
proposte da Augusto Del Noce e da Luigi Pareyson.
Del Noce ha individuato una linea alternativa nella storia
della filosofia moderna, che sorge proprio con lo stesso Cartesio,
di cui dà una lettura diversificata dalle dominanti la manualistica
superficiale, e attraverso Malebranche giunge sino a Rosmini e al-
lo spiritualismo francese e oltre, compresa anche Simone Weil, in-
dicabile complessivamente come ontologismo: una comprensione
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della presenza dell’essere e persino di Dio nella realtà moderna e


contemporanea, pur essendo questa inestricabilmente legata al
prospettivismo soggettivo, sino all’ateismo e al nihilismo odierni,
realizzati in particolare nella società totalitaria od opulenta frutto
del tradursi in filosofia della prassi, attualisticamente fascista o
materialisticamente comunista o consumisticamente capitalista
che sia, della secolarizzazione razionalista di ogni pensiero tradi-
zionale: analogicamente ontologico e comprendente lo stato di
caduta proprio all’uomo temporale.
Pareyson invece, attraverso una formidabile ridiscussione
dei principali esponenti del classicismo, del romanticismo e dell’i-
dealismo tedeschi, universalmente esemplare per la storiografia
relativa, ha enucleato in particolare un’alternativa alla interpreta-
zione razionalista hegeliana della storia della filosofia moderna,
compiutasi nella dissoluzione del sistema hegeliano in Feuerbach
e Marx, da un lato, ma anche in Kierkegaard e nella teologia dia-
lettica e nelle filosofie dell’esistenza dall’altro, consistente nelle li-
nea esistenzialista e poi ermeneutica, in senso ontologico e verita-
tivo, che va da Fichte e Schelling, ma anche Goethe, Schiller e
Novalis, attraverso Kierkegaard e Dostoevskij, sino all’esistenzia-
lismo personalistico, al personalismo ontologico e all’ermeneutica
veritativa novecenteschi, capace di contrapporre ad un pensiero
espressivo solo di storicità e ideologizzato, sino alla tecnicizzazio-
ne dell’uomo privato di libertà e verità, un pensiero rivelativo al
tempo stesso esprimente la persona esistenzialmente situata e at-
tingente l’inesauribilità veritativa dell’essere trascendente.

4. CRITICISMO ERMENEUTICO-METAFISICO
O FILOSOFIA NEGATIVA E POSITIVA

Accanto e in sinergia con queste due linee alternative inter-


pretative del pensiero moderno e contemporaneo, Riconda ne in-
dividua una terza, che possiamo definire di criticismo ermeneuti-
co-metafisico, proposta in particolare con i saggi costituenti la
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parte centrale del volume, dedicati a Kant, Schopenhauer, Hor-


kheimer, Schelling, Rosmini, Barth, Leont’ev, Solov’ëv, Berdjaev,
attraverso uno scavo innovativo nelle interpretazioni, chiarissimo
nella esposizione, esaustivo nella precisa ricostruzione, appassio-
nante negli approfondimenti e interrogativi teoretici originalmen-
te prospettati. Tale rilettura, attraverso alcuni filosofi, più noti e
anche meno noti, della storia della filosofia moderna e contempo-
ranea, conduce Riconda a prospettare la propria posizione filoso-
fica come un criticismo personalisticamente e ontologicamente
declinato, figlio legittimo e legittimante della modernità, aperto in
quanto tale ad una comprensione ermeneutica delle realtà metafi-
siche, rielaborantesi quindi in un pensiero tradizionale o religio-
so, rivolto alla trascendenza veritativa in ogni propria finita e sto-
rica prospettiva. Schellingianamente ci troviamo qui di fronte ad
una filosofia in due o a due filosofie in una: una «filosofia negati-
va» ed una «filosofia positiva». La prima critica, trascendentale,
esistenziale, personalistica, anche se ontologicamente orientata; la
seconda ermeneutica della tradizione, aperta alla trascendenza
della verità, arricchita dal libero rivelarsi di Dio – seppur sempre
sospesa in cammino fra gli scoscesi versanti dell’incarnata opero-
sa lotta contro la morte, il male, in negativo temporale, e dell’ulti-
mità escatologica solo in elevazione per grazia antinomicamente
sperabile, arrischiabile, comprensibile.
La «filosofia negativa» proposta da Riconda consiste in un
«personalismo ontologico, antinomico ed escatologico». Si tratta in-
nanzitutto di un personalismo, cioè una filosofia che declina il
criticismo moderno in modo esistenziale, secondo una visione
dell’esistenza quale persona, cioè singolare incarnazione di valori,
libera scelta personale di verità, interpretazione individuale di tra-
scendenza inesauribile, autocostituzione personalizzante in quan-
to relazione essenzialmente eteroorientata e aperta all’alterità in
ogni sua presente o assente espressione. È quindi chiaro come
non vi possa essere personalismo se non nella sua comprensione
ontologica, nel senso che la persona sia costitutivamente apertura
all’essere, comprensione più o meno cosciente o implicita dell’es-
sere e della verità, che la trascende proprio nell’abitarla, essendo-
la e facendola essere quello che essa diviene in quanto già essa è.
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«Divieni ciò che tu sei», questo è pindaricamente il senso attri-


buito da Riconda al suo personalismo ontologico: un compito li-
bero, liberamente scelto dalla singolare e unica e iniziante perso-
na, eppure una vocazione ad essere e divenire scegliendosi ciò
che già si è, non certo solo storicamente e temporalmente, ma es-
senzialmente in quanto chiamati da un essere superiore, fatti esse-
re in libertà e con libero atto d’amore da una trascendenza ine-
sauribile pur nel suo donarsi incessantemente generoso.
In altri termini, ad una visione più approfondita, cosciente
della gettatezza storica in cui l’esistente persona è donata a se
stessa collocata, il «personalismo ontologico» è indicato da Ri-
conda come «antinomico ed escatologico». Esso è antinomico
perché la libertà della persona si apre alla libera verità dell’essere
trascendente solo nella scelta continua fra bene e male, nella lotta
incessante contro l’ostacolo del male, realmente presente e ri-
scontrabile inesorabilmente nel mondo temporale, senza quindi il
cui contrasto e combattimento e superamento nella vittoria quoti-
diana e sempre da rinnovare non c’è bene, per la persona umana.
È antinomico e paradossale, eppure solo in questa forma tragica
vero, che non vi sia possibilità di bene per l’uomo mortale che
non sia lotta contro il male, reale nel mondo temporale, da com-
battersi quindi innanzitutto interiormente a se stessi, in quanto li-
bere persone, cioè capaci di scelta fra bene e male.
Ma il «personalismo ontologico», oltre ad essere «antinomi-
co» è anche «escatologico», proprio perché la sua apertura onto-
logica, veritativa, non può fermarsi finitamente all’antinomicità
temporale, all’attingimento di verità e bene solo nel contrasto e
contenimento continuo della menzogna e del male, propri ad una
testimonianza spesso rasentante il martirio, ma ancora di più il
tradimento imperante e l’oblivione. Senza trasformare l’operare
umano in realizzazione storica e terrena del Regno di Dio attingi-
bile solo nei cieli, il «personalismo ontologico» si apre allora, in-
carnato attivamente nell’antinomia temporale in continua lotta
contro il male per realizzare almeno tracce e lievi scintille di bene,
all’escatologia, all’ultimità temporale trascendente ogni tempora-
lità mondana, storica, antinomica, terrena, nella speranza e nella
scommessa della fede quasi impensabilmente realizzante una libe-
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razione piena, nell’apocatastasi definitiva del male e in una pan-


teistica comunione cosmoteandrica di ogni esserci, essere, creata
e increata e trascendente creatura, entità, sovraunità sovraessen-
ziale. Il «personalismo ontologico», compresa l’antinomia tempo-
rale, si apre alla trascendenza escatologica, alla vita oltremonda-
na, solo nella narrazione mitica o nell’esperienza religiosa sensata-
mente dicibile.
Accanto e assieme alla «filosofia negativa» intesa come «per-
sonalismo ontologico, antinomico ed escatologico», Riconda ela-
bora quindi un vera e propria «filosofia positiva», un «pensiero tra-
dizionale o religioso» ermeneuticamente inteso. Ciò che in esso va
innanzitutto continuamente compreso e presentemente atteso è il
mantenere insieme il «carattere trascendente dell’éschaton» e la
«significanza dell’attività umana», l’umiltà dell’opera temporale,
indefessamente attiva e significativa anche se non presuntuosa-
mente e totalizzantemente realizzativa e produttiva, e l’apertura
religiosa alla trascendenza delle realtà ultime, compiute, realmente
e perfettamente ultimate, in divina armonia e umana benevolente
pace. Questo duplice passo richiesto all’uomo, per una «filosofia
positiva» ermeneuticamente aperta a comprendere l’esperienza e il
pensiero religioso, non è che il riconoscimento di esser fragilmente
sospesi nel proprio temporale cammino lungo una stretta cresta
mortalmente affilata sul peccato originale: originaria caduta im-
mettente in uno stato di natura decaduta. Caduta, male, morte so-
no propri all’uomo temporale, realmente e duramente, eppure
non in modo insuperabile: è anche possibile – non solo-umana-
mente – una trasfigurante ed elevante liberazione. Facendosi nel
tempo «organo di rivelazione della verità», l’uomo può umilmente
aprirsi nelle proprie opere e giorni alla trascendenza religiosa, sce-
gliendosi come persona ontologicamente orientata ed escatologi-
camente chiamata, persino da Dio incarnato liberata ad una possi-
bile salvezza eterna e assieme temporale rinnovazione.
Abitando la negatività della caduta, la persona può singolar-
mente combattere innanzitutto in sé e poi fuori di sé il negativo,
nell’esercizio della scelta, nella libertà per il bene contro il male.
Meta-politicamente ciò non consiste semplicemente nella non-
violenza, che, seppur passivamente e kenoticamente, appiattisce
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ancora l’uomo a dimensione orizzontale, al regno dei rapporti di


forza, sia anche la non-forza; occorre infatti assieme alla non-vio-
lenza dire e praticare la non-menzogna, testimoniare la verità co-
me trascendente la storia eppure ascoltabile anche immersi nelle
sue lotte egoisticamente mortali. Non c’è libertà senza verità, né
verità senza libertà. Ciascuna persona può condurre singolarmen-
te la lotta di libertà aperta alla verità contro il male, senza deman-
dare a istituzioni solo orizzontalmente ad essa maggiori, non cer-
to in verticalità aperta alla trascendenza: dimensione religiosa essa
soltanto capace di verità e libertà per l’uomo. Infatti «l’idea di
Dio è l’unica idea superiore all’uomo che non distrugga l’uomo».
L’insostituibilità dell’individuo inteso come singolare persona nel-
la lotta contro il male ci dice quindi come il suo pensiero aperto
alla trascendenza, tradizionale o religioso, sia alternativo e contra-
stante il «pensiero tecnico» onniappiattente e reificante, imma-
nente e materialisticamente strumentale, totalitaristico e banaliz-
zante il male, onnientificante cioè onninientificante.
Infine Riconda propone l’amore interno alla famiglia e l’ecu-
menismo fra le religioni difese dall’ortodossia delle differenti chiese
quali possibili forme quasi istituzionali, proprie di corpi intermedi,
come spazi di crescita per le libere persone, quindi capaci di edu-
carne al meglio l’apertura trascendentemente spirituale e veritativa
nella stessa corporea incarnazione temporale e particolare. La fami-
glia come dimensione etica solo in quanto anche innanzitutto reli-
giosa, educante quotidianamente all’amore come accesso a un’alte-
rità personale, rivelazione di valori superiori, sino all’intuizione del-
la santità, nel vedere in ogni uomo un volto e in ogni persona il ri-
flesso della luce dello sguardo glorioso di Dio. L’ecumenismo fra le
religioni, derivante dal loro comune orizzonte veritativo, dall’idea
condivisa che l’essere non si riduca alla sua mera presenzialità
mondana, tale che ne mantenga le tante identità proprie attraverso
l’apertura alla trascendenza della verità che esse hanno in comune.
Famiglia ed ecumenismo fra le religioni testimoniano ancora nel-
l’oggi nihilisticamente tecnologicizzato la realtà di un uomo non
strumentalizzato, di una persona libera perché in rapporto con la
verità, vera perché non idolatricizzabilmente trascendente, escato-
logicamente compiuta e storicamente attendibile in umile opera
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quotidiana, nonché di una verità inesauribilmente trascendente e


vera perché accoglibile liberamente da libere persone.

5. CRISTIANESIMO E ONTOLOGIA DELLA LIBERTÀ

Nel riattingimento e nella rielaborazione di un pensiero tra-


dizionale ossia religioso, alla luce dell’istanza critica ed ermeneu-
tica moderno-contemporanea, Riconda opera quindi una restau-
razione creatrice della tradizione cristiana, conscia del valore cri-
tico-negativo ed esistenzialmente ermeneutico della modernità,
attraverso la formulazione di un personalismo ontologico, antino-
mico ed escatologico che proprio in quanto ontologia personali-
stica della libertà si apre anche ad essere simultaneamente positi-
vo pensiero religioso tradizionale.
La singola e relazionale persona che noi siamo è – secondo
la prospettiva filosofica di Riconda – intrinsecamente apertura al-
l’essere. Ma la finita esperienza della persona solo antinomica-
mente, nella continua lotta della libertà umana contro il male ef-
fettivo e la menzogna storica, può aprirsi all’essere, comprenden-
dolo quale reale e originaria libertà del bene, solo escatologica-
mente propriamente attingibile nella sua restaurata irrevocabilità
protologica. E’ quindi ad una filosofia positiva intesa come pen-
siero tradizionale o religioso, proprio alla tradizione della fede
cattolica cristiana, cioè ad una ermeneutica della verità escatologi-
ca a partire dall’esistenza immersa nell’ambiguità ed errore, nel
bene e nel male della terrena storia umana, che Riconda affida la
propria formulazione più approfondita di una ontologia persona-
listica della libertà originaria, tesa fra significatività dell’operare
umano e permanente trascendenza dell’éschaton – come l’inscin-
dibilità di evidenza e mistero nella stessa rivelazione del Dio in-
carnato in Gesù Cristo, attraverso l’annuncio della fede cristiana,
ha rivelato.

FRANCESCO TOMATIS

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